Giustizia: riprende l’esame del ddl sulla detenzione domiciliare, previste nuove modifiche Asca, 8 giugno 2010 Oggi pomeriggio la Commissione Giustizia prosegue la discussione del nuovo testo del ddl 3291 che prevede norme per l’esecuzione domiciliare delle pene detentive non superiori ad un anno. L’articolato originario varato dal Governo è stato già sottoposto ad ampia revisione con emendamenti governativi e i subemendamenti della Lega Nord. La misura - in base ai chiarimenti forniti dal relatore in Commissione Bilancio, Mario Commercio del gruppo Misto interesserebbe circa 10.000 detenuti che hanno un anno di pena residuo, ma vanno esclusi quelli che non possono ottenere il beneficio dei domiciliari in quanto responsabili di reati espressamente previsti dall’articolo 1. Dei restanti 7.000 sono 5.000 quelli che hanno un domicilio in cui scontare la restante parte di pena e, quindi, sarebbero circa 2.000 quelli che dovrebbero essere ospitati in strutture pubbliche o private con oneri a carico dello Stato che devono essere esattamente quantificati. Anche alla luce di questi rilievi la Commissione Giustizia deve valutare quali ulteriori emendamenti correttivi devono essere discussi e votati. Giustizia: Radicali; le carceri sono un sistema impazzito, Alfano venga a visitarle con noi Dire, 8 giugno 2010 Il ministro della Giustizia Angelino Alfano “visiti le carceri con noi radicali”. Va bene che “un ministro non entra nelle celle e non parla con i detenuti, ma bisogna conoscere la realtà per fare delle politiche efficaci”. Lo chiede la deputata dei radicali Rita Bernardini, che tra sabato e domenica ha visitato cinque strutture detentive in Emilia-Romagna (la Dozza e il Cie di Bologna, il Cie di Modena e le due case lavoro di Castelfranco Emilia e di Saliceta San Giuliano nel modenese). Al termine delle visite, i radicali raccontano di aver trovato una “situazione sempre più grave e deteriorata”, dove ci sono “numerose illegalità” (che presto raccoglieranno in un’interrogazione parlamentare), e parlano di “sistema impazzito, che produce solo danni ed è estremamente dispendioso a fronte dell’assenza di risultati”. Bernardini, in una lunga nota, attacca poi anche la “politica della sicurezza”, che ha dato una forte stretta all’applicazione delle misure alternative: “Erano 50.000 nel 2005 e oggi sono 10.000”, con un tasso di recidivi che ora è del 68% (mentre sarebbe del 30% con misure alternative). Mai come nei Cie è evidente, attacca Bernardini, che “lo Stato italiano può essere considerato alla stregua di un delinquente professionale, viste le continue violazioni della legalità, rispetto alle quali non si intende porre rimedio in alcun modo”. Dopo aver visto i centri di Bologna e Modena, Bernardini afferma: “All’interno di queste strutture il degrado umano e civile può solo far vergognare un rappresentate delle istituzioni: persone trattenute come animali in gabbia, in mezzo alla sporcizia e al degrado”. Pesantissimo anche il giudizio sulle case lavoro, dove si scontano quelli che Bernardini definisce “ergastoli bianchi”. Nella case lavoro sono rinchiuse “persone ai margini della società tra cui tossicodipendenti, alcolisti, senza casa, disperati senza famiglia” ed “è evidente che il sistema non sia riuscito a recuperare nessuno”. Si tratta infatti di “ex detenuti che hanno già scontato il loro debito con la giustizia, ai quali, però, la pena può essere reiterata di altri sei mesi, un anno, 18 mesi, perché considerati socialmente pericolosi”. Ma come possono riabilitarsi se poi, fa notare Bernardini, “in queste ‘case lavorò, il lavoro non c’è o non c’è per tutti”, né vi sono educatori? A Saliceta San Giuliano, ad esempio, “non viene insegnato nulla e gli internati sono utilizzati solo per lavori di pulizia interna e cucina”, niente di utile al reinserimento nella società. A Castelfranco, invece, “i laboratori specializzati già presenti non sono utilizzati per una mancanza di interazione e di progettualità con le istituzioni locali”. Senza contare che agli “internati” delle case lavoro non vengono concessi mai permessi, dice Bernardini, anche se spetterebbero loro di diritto. Altro punto dolente delle case lavoro è il problema sanitario: “enorme, di notte non c’è la guardia medica. A Castelfranco c’è il defibrillatore, ma senza medico nessuno lo può far funzionare” e “i problemi odontoiatrici sono all’ordine del giorno, proprio per l’elevata presenza di tossicodipendenti”. È per tutti questi motivi che le pene scontate nelle case lavoro, prosegue la deputata radicale, “sono definite ergastoli bianchi, in palese contraddizione con la legge e la Costituzione italiana”. Tornando ai Cie, Bernardini sottolinea le pessime condizioni degli ospiti raffrontate alle dispendiosità per lo Stato. “Ogni ospite costa ben 75 euro al giorno, assegnati alla ditta che ha in appalto la struttura, più tutte le altre spese di gestione dei centri e il costo del personale addetto alla sorveglianza”. Quanto ai numeri, quello di Bologna ha una capienza di 95 persone, ma ne ospita 57, mentre il Cie di Modena ha una capienza di 60 persone. Le persone sono tenute come “animali in gabbia” per un tempo medio “di 30 giorni, con la procedura di rimpatrio per quelli riconosciuti, mentre quelli non identificati sono rimessi in libertà con l’ingiunzione di lasciare il paese nei successivi 5 giorni”. Bernardini spende poi qualche parola anche sulla Dozza di Bologna, dove i detenuti sono 1.150 (contro una capienza di 480), di cui il 65% è straniero. Gli educatori sono otto in tutto, ci sono problemi sanitari, soprattutto sul fronte dell’assistenza odontoiatrica e di quella psichiatrica. “Le medicine di prima necessità devono essere acquistate all’esterno e a spese dei detenuti. Anche la carta igienica è a pagamento”. Il personale di Polizia penitenziaria è “sempre in difficoltà, con turni di lavoro pesantissimi” e la struttura necessita di “numerosi interventi di ristrutturazione” a partire dalle docce. Giustizia: Sappe; situazione è sempre più grave, irresponsabile ignorare continue tensioni Il Velino, 8 giugno 2010 “L’allarmante situazione delle carceri italiane sta determinando in molti istituti penitenziari tensioni tra i detenuti e inevitabili problemi di sicurezza interna che ricadono sulle donne e gli uomini della Polizia penitenziaria, come dimostrano le recenti proteste di detenuti in vari carceri del Paese, le molte aggressioni a poliziotti penitenziari, i detenuti morti (l’ultimo suicidio tra le sbarre ieri a Salerno). La situazione è sempre più grave, rischia di degenerare ulteriormente in vista dei mesi estivi e sarebbe davvero grave ed irresponsabile non mettere in campo una strategia d’urgenza ormai non più rinviabile. Si consideri anche che il Corpo di Polizia penitenziaria è carente di più di seimila unità, con ciò limitandosi gravemente le condizioni minime di sicurezza dei penitenziari. Si concretizzi la possibilità che i detenuti stranieri, il 40% dei presenti, scontino la pena nelle carceri del proprio Paese d’origine. Il Governo e il Parlamento abbiano poi il coraggio di far scontare in affidamento ai servizi sociali con contestuale impiego in lavori socialmente utili - che è detenzione a tutti gli effetti - il residuo pena ai detenuti italiani con pene inferiori ai tre anni. Si faccia al più presto qualcosa, insomma, per disinnescare la mina delle carceri italiane che ogni giorno rischia di esplodere con effetti devastanti”. È il commento di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di categoria, in relazione alle manifestazioni di protesta di detenuti in atto in alcuni penitenziari del Paese e al suicidio di un detenuto a Salerno. Ancora una volta la segreteria generale del Sappe rinnova la proposta di “una nuova politica della pena, necessaria e indifferibile, prevedendo un maggiore ricorso alla misure alternative alla detenzione e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici (come il braccialetto elettronico) che hanno finora fornito in molti Paesi europei una prova indubbiamente positiva”. Giustizia: Osapp; i soldi del piano carceri dovrebbero essere utilizzati per il personale Adnkronos, 8 giugno 2010 “Le nuove carceri di Rieti e Trento sono accomunate dalla stessa disfunzione: pur potendo ospitare 250 detenuti ciascuno, non possono averne nemmeno la metà perché manca il numero adeguato di agenti di polizia penitenziaria”. Lo denuncia Leo Beneduci, segretario del sindacato di polizia Penitenziaria Osapp, che chiede di “utilizzare meglio nella manovra economica i 600 milioni del piano-carceri quale incentivo all’occupazione giovanile o per il rinnovo del contratto delle Forze di Polizia”. Rieti è aperta dall’ottobre 2009, Trento aprirà nello stesso mese di quest’anno. “Gli istituti sono costati dai 60 ai 70 milioni di euro ciascuno, per quanto riguarda il carcere laziale con oneri a carico dello Stato e per quello di Trento da parte della omologa provincia autonoma a cui, in questo caso, sono da aggiungere ulteriori 50 milioni di euro per gli alloggi”. “Le infrastrutture - aggiunge - dovrebbero ospitare ognuna 250 detenuti quale capienza regolamentare aumentabili, nel massimo, fino a 500. A Rieti, però, dopo 8 mesi di attività non si è mai riusciti a superare i 110 detenuti, visto che per un organico di 160 unità di polizia penitenziaria in servizio ce ne sono solo 100; mentre per Trento la situazione appare persino più difficile, tenuto conto che per le 105 unità di polizia presenti è stata richiesta un’integrazione dalle 180 alle 250 unità in più, che nessuno darà mai”. Beneduci parla di “una situazione che assomiglia al famoso “armiamoci e partite” perché nonostante i pareri contrari dei sindacati e dei relativi provveditori regionali, il Dap sta forzando per la fine di giugno le operazioni di completa apertura. Non ci resta - conclude - che la speranza che la manovra economica all’esame in Parlamento dal prossimo 9 giugno distolga i 600 milioni di euro previsti dalle legge finanziaria 2010 per le nuove carceri del “piano”, fortunatamente ancora non approvato dal Ministro Alfano, magari per destinarli al nuovo contratto delle Forze di Polizia non rinnovato da 3 anni, oppure quale incentivo alle imprese per dare nuovo impulso all’occupazione giovanile”. Giustizia: per il caso di Giuseppe Uva le Camere penali “accusano” il Pm di abusi di Claudia Fusani L’Unità, 8 giugno 2010 La famiglia assistita dall’avvocato Anselmo e dall’Associazione “A Buon Diritto” di Luigi Manconi chiede da un anno la riesumazione del cadavere. Il pm la nega e ha interrogato i periti della difesa. Interrogatori con toni e modalità “inconsuete” e “anomale”, “piuttosto discutibili”, con domande “pressanti” e affermazioni tali “da mettere il teste in uno stato di sudditanza psicologica” e “quasi da fargli cambiare idea”. Usano parole durissime il presidente e il segretario dell’Unione delle Camere penali, Oreste Dominioni e Lodovica Giorgi, nei confronti della pubblica accusa che indaga sulla morte di Giuseppe Uva, 43 anni, deceduto all’ospedale di Varese il 14 giugno 2008 causa “embolia gassosa” dopo aver passato tre ore in una caserma di carabinieri dove erano presenti anche gli agenti di tre volanti. Vicenda complessa e dolorosa questa di Giuseppe Uva, un altro di quei misteri accaduti in quello sciagurato territorio che è il momento in cui le forze dell’ordine fermano qualcuno, di notte, e lo portano in una caserma o in un posto di polizia. Territorio che dovrebbe ugualmente essere garantito dai diritti. Ma che invece, caso Cucchi e Gugliotta sono solo gli ultimi, sembra una terra di nessuno dove può accadere la qualunque. L’esposto delle Camere Penali prende le mosse da una denuncia dell’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Uva. Sulla morte di Giuseppe c’è già un’inchiesta, titolare il pm di Varese Sara Arduini subentrata al collega Agostino Abate, per cui domani il gip dovrà decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio di due medici di Varese accusati di omicidio colposo. Avrebbero riempito di tranquillanti Giuseppe Uva che la notte del 14 giugno 2008 era stato fermato per schiamazzi, ubriachezza e spostamento di transenne in centro a Varese. I tranquillanti con l’alcol avrebbero prodotto “una mortale depressione del sistema nervoso centrale”. L’eventuale colpa è quindi dei medici. Estranei a tutto sembrano i carabinieri e i poliziotti che per tre ore hanno trattenuto Uva in caserma “in evidente stato di agitazione”. Jeans insanguinati La famiglia di Uva, assistita dall’Associazione “A Buon Diritto” di Luigi Manconi, però non è convinta, ha nominato propri consulenti medico legali e ha chiesto la riesumazione del cadavere. Ha chiesto anche nuove perizie sui jeans di Giuseppe “che presentavano una vistosa macchia rossastra a livello del cavallo”; ha posto quesiti sul fatto che “sono scomparsi gli slip di Giuseppe trovato invece cadavere in ospedale con addosso un pannatone” e su eventuali fratture ossee, “le più probabili cause di un’embolia gassosa”. Non solo, la famiglia dispone anche della testimonianza di Alberto Biggioero arrestato con Uva. Un racconto che sembrerebbe diverso da quello ufficiale. Il 30 settembre 2009 viene aperto un fascicolo stralcio, modello 45, senza indagati, sulla morte di Giuseppe Uva. Ne è titolare il pm Arduini. Ma la nuova autopsia non viene mai ordinata. Accade invece che, quando i media hanno cominciato a parlare del caso e dopo l’incontro tra l’avvocato Anselmo e il procuratore di Varese Maurizio Grigo, torna in gioco il primo pm dell’inchiesta, Agostino Abate, che da marzo 2010 avvia un’attività di indagine ascoltando come testi i periti della famiglia Uva (Brunero, Begliomini più altre due), lo stesso Manconi e un paio di giornalisti di Varese che in questi mesi hanno dato spazio alla controinchiesta della famiglia Uva. L’avvocato Anselmo, legale della famiglia Uva, sostiene che il suo perito è stato sentito in modo “improprio” dal pm Abate che avrebbe “utilizzato la sua posizione di potere solo per difendere se stesso e le sue precedenti indagini” allungando anche l’ipotesi che il consulente della famiglia Uva “era stato male informato dal legale”. Le Camere Penali hanno accolto le accuse dell’avvocato Anselmo. Una prima risposta potrebbe già arrivare domani se nell’udienza preliminare il gip dovesse accogliere le richieste della famiglia Uva. Piemonte: l’Osapp chiede un “obolo” ai cittadini e mette in imbarazzo i vertici delle carceri La Stampa, 8 giugno 2010 A lanciar provocazioni, a volte, c’è caso che qualcuno risponda. Sul finire di maggio Gerardo Romano, il segretario regionale piemontese dell’Osapp, organizzazione sindacale della polizia penitenziaria, aveva lanciato un appello per smuovere le coscienze: “Cittadini onesti - aveva detto - aiutateci a svolgere il nostro lavoro. Versate un obolo all’amministrazione penitenziaria. Così ci pagheranno gli straordinari, potremo ricucirci le uniformi, risuolarci le scarpe, pagare il carburante per i furgoni”. Era chiaramente una boutade. Il segretario regionale voleva solo attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla situazione, a volte davvero drammatica, in cui è costretta a lavorare la polizia penitenziaria sempre a corto di fondi. Ma qualcuno non l’ha presa come tale e ha risposto. L’associazione “Caino non tocchi mai più Abele” di Cuneo ha appena inviato un assegno di cento euro intestato al segretario regionale Osapp perché quei soldi siano usati per aiutare la polizia penitenziaria. “Mi è arrivato accompagnato da una lettera a firma del presidente dell’associazione, il cavaliere Rinaldo Di Nino - racconta Gerardo Romano - Siamo molto grati, anche se non so nemmeno in che modo lo si possa incassare”. Il cavaliere non è l’unico a essersi fatto avanti. Il presidente nazionale della Cna, l’associazione che raccoglie gli artigiani, si è infatti dichiarato disposto a offrire una pre-revisione del parco veicoli della polizia penitenziaria di Torino (41 automezzi) e a inviare materiale di cancelleria. “Chiedono aiuto e io cerco di aiutarli” ha dichiarato il presidente Piero Rista. Il segretario regionale dell’Osapp, dopo il riscontro al suo appello, ha inviato una lettera aperta a al provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria e per conoscenza al ministro della Giustizia Angelino Alfano e al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria nella quale ha ricordato le difficoltà del personale e ha invitato il provveditore a utilizzare i soldi pervenuti a migliorare le condizioni di lavoro. Ha inoltre suggerito allo stesso di contattare le aziende di trasporto pubblico e le cooperative taxi per chiedere un aiuto nel trasferimento dei detenuti. Un’altra provocazione nella speranza che anche questa venga accolta. Lombardia: “Liberate i prigionieri”, una campagna della Comunità di Sant’Egidio Redattore Sociale, 8 giugno 2010 Arriva nelle carceri di Monza e Opera la campagna per sostenere i detenuti africani. Tallei (S. Egidio): “Nessuno è così povero da non poter aiutare. E nelle carceri italiane ci sono già tanti piccoli esempi di solidarietà”. Arriva in Lombardia, nelle carceri di Monza e Opera, la campagna della comunità di Sant’Egidio “Liberate i prigionieri” che ha come obiettivo quello di aiutare i detenuti africani. Questa mattina si è svolto l’incontro fra una trentina di detenuti del penitenziario brianzolo e gli operatori di Sant’Egidio, oggi pomeriggio in programma l’incontro con un centinaio di ristretti nel penitenziario di Opera. “Nessuno è così povero da non poter aiutare. E perché nessuno, meglio di loro, può capire la condizione dei detenuti in Africa”, spiega Stefania Tallei, della comunità di Sant’Egidio. Da luglio 2009 fa la spola tra le diverse carceri per presentare la campagna “Liberare i prigionieri” e chiedere ai detenuti un piccolo contributo: un euro per acquistare cinque pezzi di sapone o una stuoia, 2 e 50 per una zanzariera, 3 per i medicinali di prima necessità. Mentre 30/50 euro bastano per pagare la cauzione di un detenuto che ha scontato la pena. Ma la solidarietà, all’interno delle carceri italiane (anche di quelle più disastrate) non è cosa rara. “Ci sono tanti piccoli esempi di solidarietà concreta -spiega Stefania Tallei-. Chi può cerca di aiutare i propri compagni meno fortunati”. Con un flacone di shampoo o un tubetto di dentifricio, con un maglione o un paio di pantaloni puliti. Ma anche organizzando collette spontanee per consentire agli stranieri più indigenti di chiamare casa. “Gli incontri come quello che si è svolto oggi sono molto ricchi, intensi - dice Stefania Tallei. Per questi ragazzi è un’occasione importante per sfogarsi, ma anche per far sapere al mondo “fuori” che chi si trova in carcere è capace di solidarietà”. Novara: continua la protesta con pentole battute sulle sbarre, da ieri sera “turni” da 2 ore Apcom, 8 giugno 2010 Dopo l’ennesimo suicidio nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno, il 29esimo - avvenuto a Salerno domenica scorsa - continua la protesta dei detenuti. A Novara, dove ci sono , tra gli altri, alcuni 41 boss “importanti” (i cui nomi sono top secret), i carcerati hanno continuato a battere stoviglie e pentole contro le sbarre anche oggi. Da questa mattina, due i turni per esprimere i disagi dovuti al sovraffollamento: dalle 8 alle 10 e dalle 12 alle 14. Ieri avevano iniziato verso sera andando avanti fino a tarda notte. E protesta anche la polizia penitenziaria. Oggi la segreteria regionale dell’Osapp ha scritto una lettera urgente al ministro della giustizia Angelino Alfano, al capo dipartimento nazionale dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta e al provveditore regionale. “Da tempo l’Osapp sta denunciando il totale sfascio e abbandono organizzativo e gestionale degli istituti del Piemonte e della Valle d’Aosta” è l’incipit del documento, che denuncia, oltre al sovraffollamento, la “mancanza di automezzi, il mancato pagamento delle missioni e degli straordinari, i turni massacranti per i poliziotti da 20 ore a digiuno, mancanza di vestiti”. Nella lettera l’Osapp lancia un appello “a tutte le aziende municipalizzate del trasporto pubblico, le cooperative i taxi delle città sede di istituti penitenziari affinché possano donare e concorrere con i propri automezzi a dare manforte per le traduzioni dei detenuti e gli accompagnamenti degli stessi alle udienze di convalida, che tra l’altro non competono alla polizia penitenziaria”. È il secondo appello che l’Osapp piemontese lancia nell’ultimo mese. Alla fine di maggio l’organizzazione sindacale si era rivolta ai cittadini affinché dessero un contributo economico alla polizia. Un’offerta libera “per sopperire alle mancanze dello stato”. Il primo assegno, da 100euro, è arrivato in questi giorni al carcere delle vallette di Torino da parte dell’associazione Caino non tocchi mai più Abele. L’Osapp ringrazia l’associazione, nella lettera, e “Piero Rista, vicepresidente Confederazione nazionale artigiani, il quale si è reso disponibile, a titolo gratuito, ad una pre-revisione di tutti gli automezzi del parco auto di Torino ed eventualmente estenderla a tutto il parco automezzi della regio”. Venezia: convegno di volontariato ed operatori penitenziari; siamo sull’orlo del collasso Ansa, 8 giugno 2010 Con oltre 67 mila detenuti a fronte di una capienza di poco più di 44 mila persone, 24 suicidi dall’inizio dell’anno, scarsità di cibo, mancanza di educatori e servizi sociali, il sistema carcerario italiano è sull’orlo di un collasso che potrebbe manifestarsi già nei prossimi mesi. Il quadro è emerso oggi a Venezia nell’incontro promosso dall’associazione di volontariato “Il granello di senape”, al quale hanno partecipato, tra gli altri, la criminologa Laura Baccaro, Augusta Roscioli, del Ministero di Giustizia, e la deputata radicale Rita Bernardini. Secondo i dati del Ministero, ha detto Maria Teresa Menotto, del “Granello di senape”, la maggior parte della popolazione carceraria è composta da stranieri, tossicodipendenti, “i più poveri tra i poveri”, che in percentuali del 40% ed oltre vengono reclusi solo per pochi giorni, e ai quali le condizioni di restrizione, per come sono concepite oggi, tolgono ogni dignità. Eppure, è stato rilevato, per alleggerire questa situazione basterebbero poche elementari misure: tra queste, evitare il carcere per chi è condannato per qualche giorno, prevedere misure detentive alternative, che statisticamente riducono il rischio di recidiva, garantire la territorialità della detenzione, creare occasioni di lavoro per i detenuti e permettere incontri con i familiari in un contesto umano. Questo perché, ha rilevato Roscioli, non vanno negati gli affetti “punendo soprattutto quelli che sono fuori”. “Oggi - ha detto Rita Bernardini - è cambiata la tipologia del detenuto e le carceri sono divenute discariche per persone che la società rifiuta. Ma lo Stato - ha concluso - che viola le proprie stesse regole, quando pagherà per questo?”. “I problemi del carcere non si risolvono perché non si vogliono risolvere”, ha detto Roscioli, dichiarando il sospetto che si aspetti l’estate ormai alle porte “per vedere i fuochi d’artificio”. Sulmona: Bertolaso partecipa a cerimonia in carcere, sulle sue dichiarazioni scoppia polemica Adnkronos, 8 giugno 2010 “Questa via crucis che è stata ristrutturata e riportata all’antico splendore ha un grande significato ed è il simbolo di sacrificio e di sofferenza non solo dal punto di vista spirituale e religioso ma per quello che vivono i detenuti all’interno di questo istituto. Tutti viviamo la nostra via crucis. Anch’io di questi tempi ho la mia”. Lo ha detto oggi a Sulmona (L’Aquila) il sottosegretario alla Protezione civile Guido Bertolaso intervenendo alla cerimonia che si è tenuta all’interno del supercarcere di via Lamaccio per presentare i risultati del progetto “Adotta una chiesa” avviato dai detenuti del carcere di Sulmona nell’ambito delle iniziative di solidarietà a sostegno delle popolazioni colpite dal sisma. Nel corso del suo breve saluto Bertolaso ha anche parlato del ruolo che svolgono le associazioni di volontariato “la parte bella del nostro Paese che rappresenta anche un segnale di speranza per il futuro”. Alla cerimonia sono intervenuti oltre a Bertolaso i parlamentari Paola Pelino (Pdl), Luigi Lusi (Pd), il vicepresidente del Consiglio regionale abruzzese Giovanni D’Amico, la presidente della commissione Affari sociali dell’assemblea regionale, Nicoletta Verì, il consigliere regionale Giuseppe Di Pancrazio, il vescovo della diocesi di Sulmona-Valva monsignor Angelo Spina. Nell’occasione sono stati presentati alcuni progetti che i detenuti stanno portando avanti come quello delle scuole lavoro (falegnameria, ceramica e pelletteria), quello musicale-teatrale, quello socio-educativo legato al rapporto detenuto-famiglie-figli. E commentando proprio questa piccola rappresentazione teatrale tenuta dai detenuti Bertolaso ha voluto sottolineare un passaggio secondo il quale spesso “le favole diventano alibi e gli alibi diventano favole, bisogna -ha spiegato- che qualcuno rifletta su questa cosa qui”. Al sottosegretario i detenuti hanno consegnato una ceramica con il simbolo della Protezione civile. Osapp: Bertolaso ci offende “Oggi, dopo essere stati testimoni dell’ennesimo suicidio in carcere, si parla del 29° episodio dall’inizio dell’anno, ci chiediamo quali elementi di comunione vi siano tra il sottosegretario Bertolaso e un detenuto che decide di togliersi la vita - si esprime così il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci in merito alle dichiarazioni rilasciate dal Capo della Protezione civile a Sulmona in occasione della cerimonia di premiazione dei detenuti che hanno realizzato il progetto “Adotta una chiesa”. “Bertolaso parla di via crucis dei detenuti, della stessa via crucis che lui sta vivendo, accomunando la sua condizione a quella dei 68mila e 500 detenuti rinchiusi in cella nelle carceri italiane e che anche questa settimana sono aumentati di 150 unità. Lui però almeno in carcere non c’è e ci appare almeno indelicato se non del tutto offensivo utilizzare consimili termini nei confronti dei reclusi e dei poliziotti penitenziari che, benché non citati dal Capo della Protezione civile, vivono, loro sì, una quotidiana via crucis”. “Come tutte le storie che si rispettino, in ossequio a quella Giustizia che ancora nel nostro Paese sopravvive, nonostante disegni di legge in itinere, l’onorevole Bertolaso chiarirà la propria posizione e ci auguriamo non debba mai varcare i 3 famosi scalini di Regina Coeli. Altri, la gente comune invece, rimangono in cella, spesso indipendentemente dal fatto di essere colpevoli o innocenti, a scontare con i nostri colleghi condizioni e luoghi che sempre di più ricordano i gironi danteschi”. Bertolaso: mai paragonato mia vicenda a detenuti “Mai paragonato la mia vicenda personale a quelle di quanti sono reclusi nell’istituto”. È quanto afferma il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, precisando il significato delle parole pronunciate nel corso della sua visita nel carcere di Sulmona. In relazione alla notizia “Carceri: Sulmona; Bertolaso via crucis detenuti come la mia” - afferma una nota del Dipartimento - si precisa che il capo del Dipartimento della Protezione Civile, intervenuto presso la casa di reclusione di Sulmona ad una cerimonia di consegna delle tavole della Via Crucis danneggiate dal sisma del 6 aprile 2009 e restaurate grazie alle donazioni dei detenuti, non ha mai paragonato la propria vicenda personale a quelle di quanti sono reclusi nell’istituto”. Nel suo intervento, prosegue il Dipartimento, “Bertolaso ha avuto, tra le altre cose, parole di elogio per i numerosi progetti che sono stati illustrati nel corso dell’incontro e che vedono impegnati i detenuti della casa di reclusione di Sulmona in attività dedicate al sociale e alla realizzazione di manufatti”. Fossano (Cn): il deputato Pd Anna Rossomando in visita alle carceri del cuneese www.targatocn.it, 8 giugno 2010 Il Deputato Pd alla Camera della Commissione giustizia Anna Rossomando ha visitato ieri il carcere di Fossano, dopo la visita a quello di Cuneo in mattinata. L’iniziativa dal titolo “Dietro le sbarre, oltre il tollerabile” organizzata dai “Giovani democratici” prevede la visita in tutti gli istituti di pena del territorio. Ad accompagnarla nelle visite alle carceri piemontesi il Responsabile carceri del Pd Sandro Favi e un gruppo di giovani democratici che raccoglieranno e divulgheranno i dati raccolti. L’obiettivo è di fare una reale mappatura della situazione carceraria. “L’iniziativa è nata nei mesi scorsi” hanno spiegato i giovani del Pd- insieme al gruppo consigliare, “lo spunto sono state le notizie di cronaca”. “La visita non riguarda solo i detenuti e il sovraffollamento delle carceri - ha spiegato Rossomando- ma prendiamo in considerazione anche la situazione della polizia penitenziaria, dei lavoratori amministrativi e degli educatori”. L’emergenza carceri è ormai cronica in Italia: sovraffollamento dei detenuti, condizioni di vita non idonee, attività lavorative di formazione e di recupero educativo che non possono essere svolte per mancanza di personale e di spazi. Ogni detenuto costa giornalmente allo Stato 112 euro, sono 70 mila le persone in carcere con un esborso di 8,5 milioni di euro al giorno. “Il carcere fossanese è in linea con i dati nazionali- ha sottolineato Rossomando. Sono detenute 158 perone quando la “tollerabile”, cioè il massimo previsto è di 111 detenuti. La situazione è comunque tranquilla, grazie all’enorme sforzo del personale”. Il Deputato Pd ha sottolineato l’importanza del corso di formazione lavoro, nel carcere fossanese, di carpenteria a cui accedono solo 10 detenuti. Le richieste sono molte di più, ma mancano gli spazi ed il personale per poter ampliare questa offerta che dà una possibilità di reinserimento sociale al termine della pena. Stesso problema di personale riguarda le attività ricreative o sportive: nelle carceri italiane manca il personale di sorveglianza per le partite di calcio tra detenuti o per altre attività. Non va meglio nel carcere di Cuneo, il “Cerialdo”. Il dato della popolazione carceraria è leggermente inferiore a quello nazionale. In realtà il sovraffollamento è in linea con le altre strutture carcerarie: su 240 detenuti 94 sono in regime di 41-bis, il cosiddetto carcere duro, che prevede la detenzione in isolamento in celle singole con conseguente vigilanza, ospitati in un’ala del carcere cuneese. Gli altri detenuti, invece, sono sei in celle adatte ad ospitare tre persone. La polizia carceraria è sotto organico: sono solo 200 gli agenti di polizia, lunedì erano in servizio 180. È in previsione una nuova ala per ospitare i detenuti, ma non sono in previste nuove assunzioni di personale. La Rossomando ha sottolineato l’impossibilità di avere spazi e di organizzare percorsi di lavoro o riabilitativi. Funziona bene il volontariato: molto presente la Caritas che sopperisce ai bisogni per i detenuti extra comunitari. “La situazione carceraria italiana è causata da una legislazione che produce carcere anche solo per pochi giorni. Si parla da tempo del “Piano carceri”, ma non si sa ancora esattamente in cosa consiste. Dovrebbe essere sviluppato in un triennio, ma l’emergenza assunzioni è adesso”. L’Ispettore capo della casa di reclusione fossanese Giuseppe Maglione: “Queste visite servono a rendersi conto delle condizioni in cui lavoriamo, con turni massacranti”. La ricetta secondo il Deputato è una nuova organizzazione carceraria, con leggi che non affollino le carceri in casi di pene di pochi giorni, ma con pene alternative commisurate al reato: pecuniarie, lavori socialmente utili, ecc. Non si tratta di non dare una pena, ma il problema di avere persone detenute, magari perché non in regola col permesso di soggiorno, per pochi giorni non ottiene nessuna riabilitazione e affolla inutilmente gli istituti di pena con un costo per lo Stato. “Da studi effettuati emerge che il 75% dei detenuti che non hanno potuto avere un percorso riabilitativo o rieducativo ha una recidiva, cioè quando esce dal carcere ritorna a delinquere”- ha sottolineato Sandro Favi-. “La percentuale si abbassa al 35% per chi ha potuto seguire un percorso formativo- riabilitativo”. Altra proposta del Pd è quella di ridurre i tempi della giustizia: anni per avere una sentenza non sono tollerabili. La prossima visita è il 12 giugno al carcere di Alba. Salerno: sovraffollamento, spazi angusti e personale addetto alla sorveglianza carente La Città di Salerno, 8 giugno 2010 Sovraffollamento, spazi angusti, servizi ridotti all’osso e personale addetto alla sorveglianza a dir poco carente: sono questi i problemi che attanagliano in generale le carceri italiane e, nello specifico, anche la casa circondariale di Fuorni. “Non si può certo dire che queste emergenze provochino suicidi o tentati suicidi, ma è indubbio che una situazione più vivibile ed una sicurezza maggiore potrebbero migliorare le condizioni dei detenuti - ha spiegato Lorenzo Longobardi, segretario provinciale della Uil penitenziaria - Da anni chiediamo un confronto con le istituzioni ed ora la situazione è diventata insostenibile”. A parlare sono i numeri: la capienza del carcere di Fuorni è di 250-280 detenuti, mentre attualmente il numero sfiora le 465 unità. Basta poco per rendersi conto della situazione all’interno delle celle e di quanto lavoro e soprattutto di quanta responsabilità siano caricati gli agenti della penitenziaria”. Pochi, anzi pochissimi rispetto al fabbisogno reale, tra l’altro, “mortificati dall’assenza di qualsivoglia incentivo, a partire dagli straordinari che non vengono pagati”. Il segretario provinciale della Uil denuncia: “Si lavora su turni massacranti ed i controlli sono inadeguati in relazione al numero spropositato di detenuti che si trovano a Fuorni”. Il problema, come dicevamo, è generale e riguarda le carceri di tutta Italia, dove il sovraffollamento è diventato un’emergenza da risolvere in tempi brevi. “I suicidi sono aumentati - ha concluso il sindacalista - Oltre al caso di dicembre dall’inizio dell’anno ci sono stati tre tentativi di suicidio”. Ascoli: sei detenuti in “trasferta” nel teramano per lavoro socialmente utile in una pineta Agi, 8 giugno 2010 Sei detenuti della Casa Circondariale di Ascoli Piceno si recheranno, domani, a Civitella del Tronto per pulire e sistemare la pineta situata nelle adiacenze della fortezza borbonica e del centro storico, entrato nel maggio del 2008 a far parte dell’esclusivo club dei Borghi più Belli d’Italia. Il progetto che i detenuti porteranno avanti, grazie alla sinergia instaurata tra il carcere circondariale e l’amministrazione comunale civitellese, avrà un duplice obiettivo: valorizzare una delle aree naturalisticamente più importanti del territorio e permettere ai detenuti che stanno scontando la pena di rendere un servizio importante alla collettività, anche ai fini di un loro reinserimento nella società civile e di un loro ravvedimento. Il parco giochi e l’area pic-nic, situate all’interno della pineta torneranno ad essere luogo di piacevole intrattenimento per l’estate. Libri: “Don Cuba, il prete dei carcerati. Scritti e testimonianze”, di Maurizio Naldini Adnkronos, 8 giugno 2010 È stato il prete dei carcerati, degli umili, degli emarginati: in una parola, degli “ultimi”. La vita di don Danilo Cubattoli (1922-2006) è stata ora ricostruita dal giornalista e scrittore Maurizio Naldini nel volume “Don Cuba. Scritti e testimonianze” (Sarnus, pp. 264, euro 19). Il libro sarà presentato martedì 15 giugno, alle ore 17, a Firenze nella Sala Vanni di piazza del Carmine, presenti il sindaco Matteo Renzi e il cardinale Silvano Piovanelli, oltre a Giampiero Maracchi, a don Renzo Rossi e a Giovanna Carocci nel ruolo di moderatrice. Il libro racconta la storia del noto prete fiorentino ripercorrendone le tappe cruciali in ordine cronologico. Basandosi su materiale inedito (oltre 300 fra lettere, appunti, foto e anche un diario), Naldini ricorda la formazione di “don Cuba” sotto la guida del cardinale Elia Dalla Costa, quindi il suo ordinamento al sacerdozio, avvenuto nel 1948 nel Duomo di Firenze. E naturalmente l’attività a fianco dei ragazzi di San Frediano e presso l’opera di San Procolo, da lui fondata insieme a Fioretta Mazzei e Ghita Vogel, così come l’assistenza ai carcerati (per oltre 50 anni è stato il cappellano delle carceri di Murate, Santa Verdiana e Sollicciano, dove ha conosciuto Pietro Pacciani) e a chiunque gli chiedesse aiuto. Amava in modo speciale i giovani e sognava per loro un futuro radioso, santo: “Vorrei mettervi le ali. Siete tutti unici e irrepetibili perché figli di un unico Padre amoroso e onnipotente”. Droghe: Giovanardi; affidamento a tossicodipendenti fino a 6 anni di pena, legge da applicare Affari Italiani, 8 giugno 2010 Piano carceri, una settimana difficile dopo il no della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati sulle norme presenti nel disegno di legge Alfano sulla detenzione domiciliare che riguardavano l’assunzione di duemila poliziotti penitenziari. La Commissione ha anche espresso notevoli dubbi sulla norma che prevede la possibilità per i detenuti tossicodipendenti o alcol dipendenti di scontare la pena residua presso strutture sanitarie pubbliche o private accreditate. D’altronde il costo giornaliero di un detenuto è pari a 157 euro, molto di più rispetto al costo di un giorno trascorso presso una comunità terapeutica o un Servizio pubblico per le tossicodipendenze. Ogni giorno il totale dei detenuti costa agli italiani 10.588.708 euro. Ogni mese 317.661.240 euro. Ogni anno 3.811.934.880 euro. Se tornassimo ad avere i 43 mila detenuti corrispondenti ai posti letto regolamentari risparmieremmo 1.432.625.000 euro. Quasi un miliardo e mezzo di euro. Un pezzo di manovra. Una questione che tocca da vicino il sottosegretario con delega governativa sul tema delle droghe Carlo Giovanardi, che sceglie Affari Italiani per illustrare la sua proposta per il favorire percorsi di recupero per i tossicodipendenti. Ministro Giovanardi, come pensa di agire sul tema dei detenuti tossicodipendenti in carcere? Dico che bisogna prevedere la possibilità per coloro che sono tossicodipendenti e hanno commesso reati, fino a sei anni quindi anche con reati gravi, di essere affidati alle comunità. Questa norma deve essere applicata. Legge che però non viene applicata... La complicazione è una sola: che la sanità penitenziaria è passata alle regioni, non è più in carico al Ministero della Giustizia ma alle regioni quindi anche i pagamenti delle rette dipendono da loro. Quindi bisogna, regione per regione, fare una ricognizione. Con la normativa in vigore c’è la possibilità. Lo abbiamo già segnalato al Ministero della Giustizia. Soprattutto tenendo conto che in Italia nessuno è in carcere per l’uso personale della droga. È un equivoco molto comune. I tossici in carcere pero ci sono perché hanno commesso altri reati e non per il solo fatto che sono tossici. Quindi... La normativa prevede un utilizzo di una pena alternativa al carcere nelle comunità anche per reati piuttosto gravi a scopo curativo. Il tossico in alternativa al carcere accetta di stare in una comunità di recupero per curarsi. Ma come si può far rispettare questa legge? Intanto la legge deve essere applicata. C’è bisogno che l’amministrazione penitenziaria insieme con le regioni e le comunità di recupero mettano in moto i meccanismi che consentano il passaggio dal carcere alle comunità di recupero. Normalmente pagando le spese che spettano alle regioni Quali sono i vantaggi che l’applicazione di questa legge può portare? Consideriamo che la situazione in carcere è di grande disagio, di sovraffollamento. Non ci sono risparmi togliendo dal carcere e mettendo in clinica. Però è una questione di principio. Di civiltà. Mentre un tossico che ha finito di espiare una pena ha ancora una propensione a delinquere, se invece durante la pena viene curato e recuperato in una comunità e con processi di accesso al lavoro uscirà dal carcere avrà meno propensione a delinquere. La legge è applicabile, è normativa vigente. L’applicazione dipende dalle regioni. Noi siamo favorevoli ad un ulteriore incremento di questa attività con l’immediato ricovero in comunità anche nel momento del processo solo con la sospensione del processo. È una delle nostre idee proposte al ministero della Giustizia. Immigrazione: 4 milioni di “regolari” e 600 mila “irregolari”, cifre che smentiscono la linea dura di Salvatore Palidda Il Manifesto, 8 giugno 2010 Da circa venticinque anni i razzisti (e “nordisti”) italiani ed europei sbraitano incitando alla guerra contro l’immigrazione, ma ecco che ogni anno l’Istat conferma che il numero di immigrati regolari aumenta (siamo a circa 4 milioni) e secondo le stime più affidabili quello degli irregolari continua ad attestarsi attorno al 15 per cento circa dei primi (cioè 600-650 mila). Soprattutto negli ultimi vent’anni è assai arduo dimostrare che ci sia stata un’effettiva discontinuità fra i governi che si sono succeduti; ma è certo che la destra - e innanzitutto i leghisti - hanno sbraitato e si sono sentiti in diritto e dovere di fare cento volte peggio di quanto abbiano fatto i leader nazionali e locali del centrosinistra convertiti al credo neocons (tolleranza zero contro rom, immigrati e marginali in genere). A parte la breve e poco nobile parentesi Prodi, la destra governa dal 2001 e il fulgido ministro Maroni ha sempre assicurato anche l’intolleranza cattiva nei confronti di immigrati. Allora come spiegare che nonostante l’impegno militante/militare dei leghisti e destri al potere gli immigrati regolari e irregolari aumentano? Non solo, come spiegare che sono sempre più numerosi proprio in quella padania in cui i “celoduristi” soldati nordici promettono ferro e fuoco contro l’immigrato invasore (si pensi ai manifesti di quel Prosperini che infine s’è svelato per quello che probabilmente sono tanti militanti “nordisti”). Un caso paradossale è peraltro proprio Milano: basta andare nelle parallele e traverse a destra e a sinistra di viale Monza, a partire da piazzale Loreto, e anche in altre zone della città, e si può vedere l’aumento straordinario di commerci e della presenza di immigrati. In tutte le città, le polizie sanno bene dove stanno gli immigrati irregolari e i regolari; ma sanno bene anche dove sono ubicate tutte le attività semi-sommerse che impiegano manodopera semi-regolare o del tutto al nero spesso grazie a caporali “etnici” che quasi sempre lavorano per padroni e padroncini padani o comunque italiani. Il ministro Maroni e i suoi sodali sanno bene che sbandierare per la guerra all’immigrazione serve a terrorizzare gli immigrati per meglio schiavizzarli. Ma sino a quando durerà la loro demagogia? Forse sino a quando italiani e stranieri delle economie sommerse riusciranno a trovare la capacità di reagire. Una proposta forse utile: perché non si cerca di organizzare in tutte le situazioni in cui si può fare l’aggregazione dei lavoratori italiani e stranieri contro le economie sommerse e per la regolarità chiedendo a magistrati, avvocati, operatori di polizia democratici di tutelare i lavoratori di queste realtà (anche col permesso speciale agli irregolari vittime)? E perché non pubblicare sempre più inchieste sui padroni e padroncini padani che schiavizzano gli immigrati o speculano sugli affitti? Immigrazione: nel Cie di Roma due algerini tentano il suicidio per paura dell’espulsione 9Colonne, 8 giugno 2010 “In Algeria la situazione per chi viene rimpatriato dopo aver abbandonato il Paese illegalmente per sottrarsi a una pesante emergenza umanitaria, è a grave rischio di detenzione, trattamenti inumani e degradanti, tortura. Nonostante un periodo in cui il governo si è impegnato per recuperare la via dei diritti umani, qualche anno fa, oggi tali diritti non esistono per i soggetti più deboli, fra i quali vanno annoverati senza ombra di dubbio i deportati dall’Europa”. Così il gruppo EveryOne commenta il tentativo di impiccagione di due giovani algerini che avrebbero attuato al Cie di Ponte Galeria, a Roma, alla vigilia della loro espulsione. “Purtroppo nessun monitoraggio viene effettuato in seguito al rimpatrio coatto. È cosa certa però - prosegue EveryOne - che i detenuti subiscono i più pesanti abusi da parte delle autorità. È auspicabile che l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati e quello per i Diritti Umani, di fronte alle deportazioni indiscriminate, si prodighino affinché siano rispettate le leggi internazionali che tutelano i diritti e la dignità di chi abbandona Paesi in cui esiste persecuzione e si verificano tante violazioni”. Iran: si teme ondata di esecuzioni, in 26 rischiano l’impiccagione nelle prossime ore Adnkronos, 8 giugno 2010 Nelle prossime 24 ore ben 26 persone rischiano di dover salire sul patibolo nel carcere Ghesel Hesar, a ovest di Teheran. È l’allarme lanciato da Iran Human Rights (Ihr) un’organizzazione che si batte contro la pena di morte nella Repubblica Islamica. Secondo l’organizzazione, 26 detenuti sono stati trasferiti in una sezione speciale del carcere che ospita i condannati a morte nelle ore precedenti alla loro esecuzione. L’avvocato iraniano e attivista per i diritti umani Moammad Mostfaei ha rivelato che questa notizia gli è stata confermata da alcuni prigionieri del carcere. Stando a quanto ha riferito Mostfaei, gran parte dei condannati a morte sono sospettati di traffico di droga. Durissimo il commento del portavoce di Ihr, Mahmood Amiry Moghaddam, che ha chiesto all’Onu di inviare in Iran al più presto un team di osservatori. “Le autorità - ha affermato Moghaddam - stanno provando a infondere paura nella popolazione per prevenire nuove proteste il 12 giugno”, anniversario delle contestate elezioni presidenziali. “Noi - ha concluso l’avvocato - ci aspettiamo che i Paesi che hanno legami economici e politici con l’Iran usino tutti i mezzi a loro disposizione per evitare queste esecuzioni”.