Giustizia: se i detenuti fossero 43.000, lo Stato risparmierebbe 1miliardo e mezzo l’anno di Patrizio Gonnella (Associazione Antigone) www.linkontro.info, 7 giugno 2010 Una settimana difficile per il piano carceri del capo del Dap nonché commissario straordinario all’edilizia penitenziaria Franco Ionta. Il sottosegretario all’economia Alberto Giorgetti ha convinto la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati a esprimere parere negativo circa le norme presenti nel disegno di legge Alfano sulla detenzione domiciliare che riguardavano l’assunzione di duemila poliziotti penitenziari. La Commissione ha anche espresso notevoli dubbi sulla norma che prevede la possibilità per i detenuti tossicodipendenti o alcol dipendenti di scontare la pena residua presso strutture sanitarie pubbliche o private accreditate. “È suscettibile di determinare maggiori oneri non quantificati né coperti a carico del Servizio sanitario nazionale” - così ha dichiarato il sottosegretario. Un altro sottosegretario, quello alla Giustizia Giacomo Caliendo, ha affermato invece che nonostante tutto e nonostante la mancata copertura finanziaria, bisogna andare avanti in quanto “su un provvedimento così importante come quello in esame bisogna assumersi delle responsabilità serie”. La presidente della Commissione Giustizia Giulia Bongiorno si è posta nel mezzo dei due sottosegretari affermando che vi è ora “la necessità di approfondire ulteriormente il parere della Commissione Bilancio e di verificare la possibilità di una riformulazione delle norme delle quali si chiede la soppressione al fine di renderle adeguate sotto il profilo della copertura finanziaria”. Occorre, quindi, un’ampia rielaborazione del testo tenendo conto anche che la Commissione Affari Sociali, nel parere espresso sul disegno di legge sulla detenzione domiciliare, ha chiesto di escludere dal beneficio i responsabili di delitti di maltrattamenti in famiglia, prostituzione e pornografia minorile, detenzione di materiale pornografico, turismo diretto allo sfruttamento della prostituzione di minori, violenza sessuale e corruzione di minorenni. Il commento della capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, è stato: “La commissione Bilancio azzoppa il ddl svuota carceri e smentisce il ministro Maroni che aveva legato l’approvazione del provvedimento ad un potenziamento dell’organico delle forze dell’ordine”. Infatti la Commissione ha detto no anche all’assunzione di 1.500 poliziotti e 1.500 carabinieri. Sulla questione dei tossicodipendenti si aspetta invece la reazione di Carlo Giovanardi, che ha la delega governativa sul tema delle droghe e che invece più volte in passato aveva sostenuto la necessità di favorire percorsi di recupero. D’altronde il costo giornaliero di un detenuto è pari a 157 euro, molto di più rispetto al costo di un giorno trascorso presso una comunità terapeutica o un Servizio pubblico per le tossicodipendenze. Ogni giorno il totale dei detenuti costa agli italiani 10.588.708 euro. Ogni mese 317.661.240 euro. Ogni anno 3.811.934.880 euro. Se tornassimo ad avere i 43 mila detenuti corrispondenti ai posti letto regolamentari risparmieremmo 1.432.625.000 euro. Quasi un miliardo e mezzo di euro. Un pezzo di manovra. Altri ridimensionamenti al Piano carceri sono arrivati proprio dalla manovra economica approvata dal Governo e firmata dal Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano. Sono solo 500 milioni (tratti dai soliti fondi Fas, ossia dal Fondo per le aree sotto-utilizzate) quelli previsti per attuare, anche per stralci, il programma di edilizia carceraria finalizzato a creare nuove infrastrutture o aumentare la capienza di quelle esistenti. Non saranno sufficienti a costruire tutte le carceri promesse. Giustizia: gli immigrati delinquono come gli italiani… ma finiscono di più in carcere di Corrado Giustiniani Il Fatto Quotidiano, 7 giugno 2010 Più immigrazione eguale più criminalità: vero o falso? Falso, falsissimo secondo la Banca d’Italia. “Dal 1990 al 2007 la popolazione degli immigrati regolari in Italia è quadruplicata, mentre tassi di criminalità e reati sono rimasti costanti - ha spiegato Paolo Pinotti, del Servizio Studi di via Nazionale - è questa è la prova che l’immigrazione non ha peggiorato il quadro”. Pinotti è stato chiamato a rispondere al quesito dagli organizzatori del Festival dell’Economia di Trento, assieme al sociologo Franco Barbagli, a Franco Pittau della Caritas, a Linda Laura Sabbadini dell’Istat e all’economista americano David Card, dell’Università di Berkeley. Quest’ultimo ha mostrato le statistiche sul rigido sistema detentivo della California: è in carcere ben il 4 per cento degli uomini nati negli Stati Uniti di età compresa tra i 18 e i 40 anni, ma solo lo 0,5 per cento dei nati all’estero. Se in Italia si passa dall’analisi delle denunce a quella delle detenzioni, la popolazione straniera è invece molto più rappresentata: in quindici anni gli immigrati sono passati infatti dal 15 al 40 per cento dei detenuti. Ma hanno molte più possibilità di finire dentro in attesa di giudizio e molte meno di uscire per fruire delle pene alternative. Franco Pittau ha iniziato col dire che l’Italia aveva nel 2006 una media di 4,6 denunce ogni 100 residenti, inferiore alla media europea del 6 per cento e in più, nel corso del 2008, si è registrato un calo del 10 per cento delle denunce complessive, da 2 milioni 933 mila a 2 milioni 965 mila. Ma le buone notizie sembrano avere le gambe corte, come se fossero bugie. Del resto, in un altro dibattito Ilvo Diamanti, citando dati dell’Osservatorio di Pavia, ha dimostrato come il Tg1 sia il telegiornale più ansiogeno d’Europa, con 239 notizie a sfondo criminale nel primo trimestre del 2010, a fronte di 109 del Tg spagnolo, 79 della Bbc, 42 di France 2 e appena 24 del Tg tedesco Ard. Si parla di criminalità e si tacciono, o quasi, i gravi problemi della crisi economica e della disoccupazione, per poi riscoprirli adesso all’improvviso, moltiplicando l’effetto ansiogeno. Il tasso di criminalità degli immigrati regolari è del tutto simile a quello degli italiani, sostiene la Caritas, e per giunta un sesto delle denunce si riferisce al soggiorno illegale sul nostro paese. Tra il 2005 e il 2008 le denunce a carico degli stranieri sono aumentate del 20 per cento, ma la popolazione è salita del 46 per cento. Particolarmente ingiuste le critiche ai rumeni: le denunce a loro carico sono aumentate nel triennio del 32 per cento, ma la loro presenza in Italia è quasi triplicata (più 267 per cento). Più allarmato Marzio Barbagli. É vero che i dati delle carceri sovrastimano la quota degli immigrati, ma - ha osservato il sociologo bolognese - in alcuni delitti, come le rapine in abitazione, la presenza straniera è salita moltissimo: siamo al 51 per cento delle denunce. E, nel Centro-Nord, il 50 per cento delle denunce per omicidio è a carico di immigrati (anche se spesso è straniera anche la vittima). “Falso che l’immigrazione aumenti la criminalità, ma il problema è molto rilevante - ha sostenuto infine il direttore centrale dell’Istat Linda Laura Sabbadini. In molti tipi di delitti la quota degli stranieri è salita e c’è un sommerso di denunce non sporte che la farebbe crescere ancora. Di certo, però, va attribuita agli italiani la stragrande maggioranza delle violenze sessuali: il 67 per cento, secondo le nostre indagini, è opera di mariti e partner, che però, per paura, non vengono denunciati dalle vittime”. Giustizia: Uil; in attesa del piano carceri ancora detenuti suicidi, rivolte e proteste Ansa, 7 giugno 2010 “Ieri pomeriggio Alessandro Lamagna, 34enne detenuto per rapina con fine pena 2012, si è suicidato nella sua cella nel carcere di Salerno. È il 29° suicidio in cella dal 1 gennaio 2010. Sia il personale della polizia penitenziaria che i detenuti definiscono Alessandro Lamagna un detenuto tranquillo: avrebbe presto beneficiato della buona condotta e avrebbe potuto ottenere anche la semilibertà. Lamagna, intorno alle 13.30, si è andato nel bagno della sua cella e si è portato con sé un pezzo di lenzuolo. Ne ha fatto un cappio e si è impiccato. Gli altri tre detenuti che dividevano con lui la cella, non vedendolo uscire dal bagno, hanno dato l’allarme, ma quando sono arrivato gli agenti della polizia penitenziaria, Lamagna era già morto. Val la pena ricordare che in tutta la Campania c’è posto solo per 5.259 detenuti, ma oggi ce ne sono ben: 7.950 e nel carcere “Fuorni” di Salerno, che potrebbe contenere solo 400 persone, ci sono rinchiusi circa 500 detenuti. Ieri sera i detenuti del 2° Piano della 1 Sezione di Genova Marassi hanno dato vita ad una violentissima protesta con incendio di suppellettili e lenzuola, degenerata con il barricamento di sette detenuti in una cella. Solo il deciso intervento dei poliziotti penitenziari ha riportato l’ordine. Bilancio: due agenti feriti. A Novara sino a tarda notte si sono succedute le proteste dei detenuti attraverso la battitura del pentolame e delle stoviglie sui cancelli e sulle grate. Sabato a Padova , Vicenza e San Vittore analoghe manifestazioni di protesta messe in atto dalla popolazione detenuta. Venerdì a San remo un detenuto è stato salvato in extremis dalla polizia penitenziaria. Ancora venerdì a Milano Opera un detenuto ha aggredito e ferito con pugni un agente: è il 96° agente penitenziario aggredito e ferito dall’inizio del 2010. Giovedì l’evasione di un detenuto dall’ospedale Gemelli di Roma. Basta e avanza per dire che siamo oltre il baratro. A redigere quello che somiglia molto ad un bollettino di guerra è il Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno. Credo che abbiamo speso tutte le parole possibili per lanciare l’allarme su cosa succederà negli istituti penitenziari. Adesso più che parlare bisognerà concentrarsi su come affrontare questa estate di proteste e rivolte nelle prigioni, nella consapevolezza di essere stati lasciati nel più completo abbandono a dover gestire, senza mezzi, uomini e risorse queste tensioni. Gli episodi violenti della settimana appena trascorsa non i sono che l’avamposto dell’eruzione che ci attende. C’è molta preoccupazione tra gli addetti ai lavori per la situazione in atto nei penitenziari. Purtroppo il Parlamento pare essere distratto da altre cose e irresponsabilmente non ha voluto approfondire la tematica relativa alle carceri. La discussione dello scorso gennaio si è vaporizzata in un insano accordo bipartisan che lascia immodificato lo stato delle cose e scarica sugli operatori penitenziari una situazione ingestibile e pericolosa. Non è eresia affermare che il dramma penitenziario, come eloquentemente definito dall’esimio Presidente Ciampi, non interessi i nostri politici e i nostri governanti. 67500 detenuti; 29 suicidi in cella; 44 tentati suicidi sventati; 96 agenti penitenziari, 2 medici e 4 infermieri aggrediti e feriti; 4 evasioni e 5 tentate evasioni . Questi sono i numeri dello sfascio, dell’emergenza e del dramma penitenziario. Il personale è stanco, depresso, demotivato e sfiduciato. Su tutto il territorio nazionale fioriscono manifestazioni di protesta contro un’Amministrazione statica, immobile, insensibile ed incapace. Nonostante ciò , il silenzio e l’immobilismo continuano ad essere i tratti caratterizzanti dell’azione dipartimentale. La bocciatura in Commissione Bilancio del ddl che prevedeva le annunciate 2000 assunzioni è un motivo ulteriore di preoccupazione e rammarico. Non c’è il piano carceri. Almeno ne abbiamo perso completamente le tracce. Non ci sono le norme deflattive. Ora non ci sono più nemmeno le 2000 assunzioni. Diciamo che le parole sono state tante. I fatto sono zero. Non ce ne voglia il Ministro Alfano, ma sul fronte penitenziario i suoi propositi sono naufragati sullo scoglio degli interessi politici della lega Nord. Ma a pagarne le conseguenza non saranno solo gli operatori penitenziari, quanto l’intero Paese. Giustizia: ministro Meloni; per le carceri dai giovani una grande lezione di umanità Italpress, 7 giugno 2010 “Ritengo meritoria, nonché segno tangibile di grande serietà e consapevolezza, la partecipazione con la quale i giovani italiani interpellati nell’indagine promossa dal Forum Nazionale dei Giovani sulla realtà carceraria italiana hanno risposto e ragionato su un tema così delicato e complesso”. Così il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, commenta i dati dell’inchiesta commissionata all’Istituto di ricerca Gpf dal Forum Nazionale dei Giovani sulle carceri e sulla loro situazione in Italia, presentata a maggio nella Sala del Refettorio della Camera dei Deputati a Roma. “C’è grande consapevolezza del fatto che, tra chi vive la realtà carceraria italiana, ci sono anche tanti loro coetanei - prosegue il ministro -. Ragazzi che, durante il proprio giovane cammino, hanno smarrito la strada, sono caduti, ma hanno poi trovato ugualmente il coraggio di rialzarsi e riprendere la marcia”. “Avere una seconda possibilità è un diritto, non un privilegio, in particolare per chi è giovane e con tutta la vita davanti a sé - sottolinea la Meloni -. Di più, è un’opportunità per l’Italia. Chi ha commesso un errore e, messo di fronte alle proprie responsabilità, ha riconosciuto gli sbagli e ha ripianato il suo debito con la società, ha infatti pieno titolo, al pari di chiunque altro, per riprendere il cammino interrotto e contribuire alla crescita economica, culturale, sportiva o sociale della nazione”. “Compito delle istituzioni - spiega il ministro della Gioventù - è esortare le coscienze a non ignorare questa realtà, a non voltarsi dall’altra parte, a non farsi annebbiare la vista dal pregiudizio. Ancora una volta - conclude la Meloni - è proprio dai giovani, così spesso tacciati di essere totalmente privi di principi ed ideali, che giunge una grande lezione di umanità, civismo e senso dello Stato”. Giustizia: storia di don Luigi Melesi… il Cappellano di San Vittore di Nando Dalla Chiesa Il Fatto Quotidiano, 7 giugno 2010 Con quel filo di voce domerebbe anche Fra Diavolo. E, in effetti, altro che i briganti ha ammansito credendo nella forza della parola. Come quando andò a dimessa nel braccio del carcere in cui erano stipati i terroristi. Il direttore di San Vittore glielo aveva sconsigliato, “quelli sono tutti atei”. La celebrò in perfetta solitudine, in un silenzio di gelo. E al direttore che, saputo com’era andata, lo invitava a trarne le conseguenze, rispose che tutto sommato l’esperimento aveva funzionato. Nessuno aveva fatto fracasso per boicottarlo. Nessuno aveva lanciato bestemmie d’ira o di scherno dalle celle. Così ci riandò. E poi ci riandò ancora. Finché se ne trovò qualcuno vicino. Finché qualcuno servì messa. Con lunghe discussioni durante la predica. Il filo di voce si chiama Luigi, don Luigi Melesi. Ed è originario della Valsassina, provincia di Lecco, dove l’altra sera ha tenuto inchiodate centinaia di persone raccontando la sua vita di “prete da galera”, come recita il titolo del libro che lo ha per protagonista. Un prete che ha avuto un punto di osservazione tutto suo sull’Italia di questi tempi e di tempi ormai lontani, visto che a San Vittore - nella veste di cappellano - ci sta da più di trenta anni e che prima ha vissuto presso il riformatorio Ferrante Aporti di Torino e la casa di rieducazione di Arese. Frequentando rapinatori, terroristi, mafiosi, ladruncoli di strada, immigrati clandestini, semplici balordi, detenuti eccellenti dal colletto bianco candido. Raccogliendo confidenze, portando un barlume di conforto, aiutando impossibili redenzioni, incoraggiando confessioni, provando ad ammansire gli errori della giustizia. E cercando di non avere mai una casacca addosso, neppure quella dell’associazione più benefica. Di essere, come dice, uomo spoglio di tutto tranne del Vangelo. Le storie che racconta hanno sempre qualcosa di incredibile, sembra al profano che solo il carcere le sappia e possa produrre. “Una sera avevo davanti a me alcuni rappresentanti delle forze dell’ordine. Dissi qualcosa sul carcere e sui nostri doveri verso i detenuti. Alla fine venne da me un carabiniere e mi disse che provava un senso di colpa. Durante la giornata lui e dei suoi colleghi avevano fermato quattro giovani in un bar ma uno solo era stato portato a San Vittore. Aggiunse che secondo lui era quello che c’entrava meno e che gli avevano fatto pagare solo la reazione più nervosa e indisponente. Che era in pensiero per lui. Così il mattino presto andai a San Vittore e chiesi di questo ragazzo, lui venne, confermò di essersi trovato nel bar per caso, che non c’entrava niente con gli altri tre, era il figlio di una persona importante. A un certo punto, quasi incredulo, mi chiese chi mi avesse mandato in quel preciso momento. E mi rivelò che la guardia era andato a chiamarlo proprio mentre si stava suicidando. Mi disse di andare su in cella a controllare, che avrei trovato i lacci già legati all’inferriata”. Di queste storie incredibili la vita di don Luigi è piena. Come quando assistette spiritualmente Giordano Dell’Amore, ottantenne ex rettore della Bocconi finito a San Vittore negli anni ruggenti di Tangentopoli, trovato in ginocchio nella cappella e poi assolto con formula piena. O quando, dopo il segno di pace scambiato alla fine di una messa, un boss incriminato per un omicidio provò fulmineamente vergogna della propria vita: e si decise a confessarne trentacinque di omicidi, e i giudici non gli credettero e gli avvocati ne risero perché ormai si era fatto la fama dell’imputato strafottente e inaffidabile. O come quando i brigatisti lo avvertirono che tre carceri erano imbottite di dinamite pronte a saltare e a Roma non volevano credergli. O quando nel 1982, sempre i brigatisti, decisero di lasciare le armi presso l’arcivescovado di Milano. Erano gli anni del cardinale Martini, che per d on Luigi stravedeva. L’opinione pubblica nazionale rimase impressionata per quel ritrovamento; per quel gesto di resa, certo, a valori superiori. Che però erano quelli della Chiesa, non quelli dello Stato. Il mondo intero è passato davanti a questo prete. Il quale dei giudici non porta in realtà un buon giudizio. Trasmette questo suo pensiero con toni lievi ma se ne sente in pieno il dramma. Perché ogni mancanza di scrupolo umano o professionale ha conseguenze che lui ben conosce. Non si sogna nemmeno di portare legno alla fascina del capo del governo, non sono gli interessi dei potenti che lo scuotono, ma le sofferenze degli ultimi, compresi i potenti che tra gli ultimi finiscono. Non che non abbia il metro del male. “Un giorno mi sorpresi che quel mafioso potesse uscirsene libero per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva. Com’era possibile, con tutti i reati che aveva confessato? Lo chiesi un po’ turbato a un magistrato. E lui mi rispose che la colpa era dei suoi colleghi che in tanti anni non erano riusciti a processarlo nemmeno per un reato minore”. Ma certo se gli chiedete da che parte sta, lui vi risponderà che sta con la persona che si trova dentro ogni detenuto. Nella ricerca di quella persona si è speso per decenni. Finché un giorno la fatica ha presentato il conto. Un aneurisma lo ha mandato in coma. Un intervento disperato all’aorta. Per settimane, mesi, non si è capito se si sarebbe mai ripreso. Una riabilitazione difficilissima. La voce si è fatta più flebile, è diventata ancora più soffio. Quando è rientrato a San Vittore a dir messa, la folla degli ultimi della terra si è fatta tripudio. Da mesi lo aspettava un cartello grande quanto una lavagna: “don Luigi preghiamo per te”. Lettere: Amnesty International seria e credibile, l’Italia faccia i conti con i diritti umani di Daniele Perissi Il Tirreno, 7 giugno 2010 La presentazione di una rigorosa analisi sulle problematicità dei sistemi di protezione dei diritti umani in tutto il mondo dovrebbe essere una preziosa occasione per riflettere sulle questioni maggiormente sensibili, anche per mettere a punto più efficienti meccanismi di prevenzione e di punizione delle violazioni. È avvilente che il contributo delle istituzioni di un Paese che sostiene di considerare la difesa dei diritti umani tra le priorità della propria agenda politica si limiti ad una negazione frettolosa e generica di ogni suo contenuto, bollato come “indegno” e “contrario alla realtà”, senza minimamente scendere nel merito dei problemi. È a mio avviso superfluo ribadire la serietà e la credibilità delle ricerche di Amnesty International un’organizzazione che da quasi 50 anni conduce in maniera imparziale e indipendente campagne contro la violazione dei diritti umani. Solamente chi non conosce alcunché della storia del movimento mondiale per i diritti umani e non si è mai informato degli sviluppi del diritto internazionale dell’ultimo mezzo secolo può nutrire dubbi sul metodo di lavoro, sull’organizzazione e sui successi di un’associazione che conta quasi 3 milioni di persone impegnate in più di 80 paesi. Le lacune sottolineate nel rapporto, in riferimento all’Italia, riguardano i diritti dei migranti, dei rifugiati e dei richiedenti asilo, i diritti delle persone sospettate di terrorismo, gli abusi o i maltrattamenti commessi in singoli episodi dalle forze di polizia e la discriminazione nei confronti della comunità rom. Per suggerire un’idea di quanto degne e reali siano le questioni sollevate da Amnesty è illuminante fare due semplici considerazioni. Le ricerche di Amnesty poggiano in buona parte su fonti la cui autorevolezza non può essere messa in discussione dalle autorità italiane in quanto esse stesse hanno contribuito a crearle e le accettano ufficialmente; basti pensare all’esempio del Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria, il quale agli inizi del 2009 ha criticato l’Italia per i centri di identificazione ed espulsione. In secondo luogo è interessante notare come le stesse problematiche siano state confermate da ulteriori fonti insospettabili in un periodo successivo all’analisi di Amnesty. Due esempi lampanti: il 13 aprile scorso, nel caso Trabelsi, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia per violazione del divieto di tortura e trattamenti inumani per aver trasferito in Tunisia un cittadino immigrato senza valutare il rischio che in quel paese esistessero pratiche vietate a danno dei detenuti. A fine mese è stato poi reso pubblico il rapporto del Comitato europeo contro la tortura (organo composto da esperti in diritti umani scelti dagli stati membri nell’ambito del Consiglio d’Europa) sull’Italia, nel quale si esorta a rivedere la prassi dei “respingimenti forzati” in Libia, secondo la quale da maggio 2009 le autorità italiane trasferiscono a Tripoli i migranti e i richiedenti asilo soccorsi in mare, senza valutare le loro necessità di asilo e protezione internazionale. Dato che la Libia non è firmataria della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e non si è dotata di una procedura di asilo, questa politica non garantisce l’assistenza necessaria a questi individui e viola il divieto di rinvio di una persona verso un paese in cui potrebbe essere a rischio di subire gravi violazioni dei diritti umani. Sarebbe interessante un dibattito sulla validità del principio secondo il quale la sicurezza e il dovere dello Stato di difendere la popolazione dal terrorismo non possono essere perseguiti a ogni costo, e sulla conformità della pratica dei rinvii forzati ai principi del diritto internazionale. Daniele Perissi, laureato in Relazioni internazionali e attivista di Amnesty Emilia Romagna: Radicali; dietro le sbarre realtà drammatiche, urgono pene alternative Dire, 7 giugno 2010 Una realtà “drammatica, incivile e di disagio totale”. Sono queste le parole usate dai parlamentari dei Radicali dopo aver portato a termine la visita in alcune strutture carcerarie tra Bologna e Modena: tra sabato e domenica Monica Mischiatti e Rita Bernardini sono state alla Dozza e al Cie di Bologna, al Cie di Modena e a due case lavoro nel modenese, quella di Castelfranco Emilia e quella di Saliceta San Giuliano. Ne sono uscite colpite dal sovraffollamento e dalla “condizione di incertezza totale” in cui i reclusi vivono: alla Dozza, racconta Mischiatti, ci sono detenuti tre volte tanto della capienza massima e in stanza di 10 metri quadrati vivono tre persone. Non va meglio nelle case lavoro, dove gli stanzoni sono più grandi, circa sui 20 metri quadrati, ma ospitano 10 persone. “È necessario prodigarsi per chiedere l’applicazione delle misure alternative e trovare modi per liberare spazi nelle carceri” afferma Mischiatti, che non esita a definire i Cie “luoghi allucinanti”. Bocciate, poi, anche le case lavoro, dove si trovano “persone che hanno finito di scontare la pena, ma gli è stata reiterata perché sono valutate ancora socialmente pericolose da un giudice”. In queste strutture, le persone dovrebbero imparare un lavoro, ma “non ci sono le possibilità per tutti, mancano le convenzioni con gli enti locali e con la società esterna - spiega Mischiatti - così finisce che fanno i turni tra di loro: un recluso lavora una settimana e per quattro non fa nulla”. A Castelfranco, ci sono un giardino e una falegnameria, dove si lavora a turno, mentre a Saliceta fanno attività di “pulizia e cucina, in pratica autogestendo la struttura”. Senza contare il fatto che buona parte degli ospiti delle case lavoro sono “senza tetto”, racconta Mischiatti, mentre nelle carceri ci sono tossicodipendenti, alcolizzati e persone con disagi mentali, cioè “persone che col carcere non dovrebbero avere niente a che fare”. Insomma, prosegue la deputata dei Radicali, “i cittadini non si immaginano cosa siano questi luoghi. Per quanto un cittadino possa aver commesso un reato, il modo con cui lo Stato tratta queste persone deve essere civile”. Infine, una nota negativa sul personale. “Mancano educatori e assistenti sociali, e le guardie penitenziarie fanno un super lavoro ma sono poche, tanto che non riescono a fare i turni per andare in ferie”, conclude Mischiatti. Milano: Presidente Tribunale Sorveglianza; celle sovraffollate, siamo ai limiti della tortura Ansa, 7 giugno 2010 “L’esigenza di sicurezza, tanto invocata oggi, è molto più tutelata da un sapiente uso delle misure alternative alla detenzione. Non a caso, in passato, si ripeteva spesso che il carcere è la scuola del crimine”. Lo ha affermato Pasquale Nobile de Santis, presidente del Tribunale di sorveglianza di Milano, intervenuto come relatore nella sala-convegni dell’hotel Tremoggia di Chiesa in Valmalenco (Sondrio) a un incontro sulla giustizia promosso dai Lions della Valtellina. “Un altro aspetto importante sul piano della rieducazione del detenuto - ha aggiunto Nobile de Santis, sino a pochi anni fa alla guida della sesta sezione penale del Tribunale milanese con competenza in materia di criminalità organizzata - è rappresentato dal lavoro che può svolgere mentre si trova dietro le sbarre”. Per il magistrato aiutare i carcerati a trovare un’occupazione per quando escono, anche attraverso apposite agenzie, “abbatte di parecchio il rischio di recidiva”. Il giudice, inoltre, ha sottolineato le gravi difficoltà in cui operano gli agenti di Polizia Penitenziaria, costretti a turni massacranti per l’insufficienza di personale, e il sovraffollamento delle carceri, anche di quelle milanesi. “Quando gli spazi che ospitano i reclusi sono al di sotto di una certa soglia - ha aggiunto il presidente del Tribunale di sorveglianza - si è quasi al livello della tortura. Ecco perché, in un recente passato, - ha ricordato Nobile de Santis - la Corte europea ha condannato l’Italia: le celle di alcune carceri che ho visitato, nel corso del mio lavoro, sono strette al punto che non ci si sta neppure in piedi. Condizioni disumane favoriscono i suicidi fra i detenuti e gli agenti”. Milano: Garante detenuti; con l’arrivo del caldo la protesta si estenderà in più carceri Agi, 7 giugno 2010 “Penso che la protesta naturalmente si estenderà in più carceri”. Lo dice a CNRmedia Giorgio Bertazzini, Garante per i detenuti della Provincia di Milano, riferendosi alle agitazioni partite dal penitenziario di Padova giovedì scorso, e che si sono diffuse anche a Vicenza, San Vittore, Genova Marassi e Novara. “Ci sono anche carceri un po’ meno sovraffollate - prosegue Bertazzini - ma non parlo certo di San Vittore che ha una capienza regolamentare di 712 detenuti ma ora ce sono più di 1600: e qui parla tutta l’eloquenza dei numeri. Penso quindi che sia inevitabile che la protesta si estenda. Certo, nessuno deve soffiare sul fuoco di una agitazione, che tutti gli operatori auspicano sia civile e corretta, ma quando la situazione è oggettivamente insostenibile non ci si può però stupire se ci sono degli eccessi”. Il Garante denuncia anche che al momento “si è superata la capienza massima di 64mila detenuti nelle carceri italiane, che attualmente contengono oltre 67mila persone e ad agosto verrà toccata la soglia record di 70mila detenuti”. Milano: Uil; debito di 100mila euro con le agenzie di viaggio per trasferimento dei detenuti Redattore Sociale, 7 giugno 2010 Urso, segretario nazionale Uil Pa penitenziari: “Il sistema carcere è saturo. Non sappiamo più dove mettere i detenuti. Nemmeno nelle altre carceri italiane c’è più posto per gli “sfollati” di San Vittore” “Il sistema carcere è saturo. Non sappiamo più dove mettere i detenuti”, denuncia Angelo Urso, segretario nazionale della Uil Pa penitenziari. Basti il caso di San Vittore dove venerdì mattina c’erano 1.592 detenuti (a fronte di una capienza di poco più di 900 posti letto, ndr), già nel pomeriggio gli agenti non sapevano dove collocare 13 nuovi giunti. Le richieste di sfollamento, per alleggerire la pressione sul penitenziario milanese infatti, procedono a rilento: nemmeno nelle altre carceri italiane c’è più posto per gli “sfollati” di San Vittore. Inoltre, come se non bastasse, i trasferimenti devono fare i conti con le difficoltà ad acquistare i biglietti aerei perché i fondi, denuncia ancora la Uil Pa, sono esauriti da un pezzo e l’istituto ha un debito di circa 100 mila euro con le agenzie di viaggio. I detenuti attualmente presenti nelle carceri italiane sono 67.542 (di cui 24.944 stranieri, pari al 37% del totale) a fronte di una capienza regolamentare poco superiore ai 44mila posti mentre la soglia di “tollerabilità” è fissata a 66.905 unità. In Lombardia i detenuti sono circa 9 mila, a fronte di una capienza regolamentare di 5.540 persone. “I tre pilastri fondamentali della riforma carceraria sono crollati - commenta Angelo Urso. Non si sa che fine abbia fatto il piano carceri, non ci sono stati provvedimenti deflattivi per ridurre la presenza di detenuti, non ci sono state le 2 mila assunzioni di agenti di polizia penitenziaria promesse”. E con l’estate alle porte, la situazione rischia di diventare ancora più ingovernabile: “Siamo qui a fare la conta degli eventi critici - conclude Angelo Urso - ma nessuno si siede a un tavolo per affrontare il problema. Siamo rassegnati ad aspettare che accada qualcosa”. Genova: nel carcere di Marassi mancano sonniferi e tranquillanti… scoppia la rivolta Ansa, 7 giugno 2010 Nella serata di ieri, una violenta protesta di detenuti è scoppiata al secondo piano del penitenziario del capoluogo ligure: secondo quanto riferito da Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari, i carcerati hanno dato fuoco ad arredi e lenzuola, poi sette di loro si sono barricati all’interno di una cella. Secondo quanto riferito, il “deciso intervento” degli agenti della Penitenziaria ha permesso di sbloccare la situazione. Due di loro, però, sono rimasti feriti e giudicati guaribili in 10 giorni. Nei giorni scorsi, simili proteste sono andate in scena nei carceri di Novara, Padova, Vicenza e San Vittore (Milano): anche alla luce di questi fatti, Sarno dice che “abbiamo speso tutte le parole possibili per lanciare l’allarme su che cosa succederà negli istituti penitenziari. Adesso, più che parlare, bisognerà concentrarsi su come affrontare quest’estate di proteste e rivolte nelle prigioni, nella consapevolezza di essere stati lasciati nel più completo abbandono a dovere gestire, senza mezzi, uomini e risorse, queste tensioni”. Secondo il sindacalista, insomma, questi episodi violenti “non sono che l’avamposto dell’eruzione che ci attende”. Alla base dei disordini sarebbe stata la mancata somministrazione della terapia di tranquillanti e sonniferi. “Da due mesi la Cooperativa incaricata del servizio interno al carcere non paga le infermiere e questo sta creando delle ripercussioni. Abbiamo anche avuto un incontro con i sindacati qui a Marassi per cercare di sanare la situazione e nelle settimane scorse ho scritto alla responsabile Asl del servizio sanitario interno al carcere, paventando il pericolo di disordini per la situazione. Cosa che è avvenuta”, spiega il direttore del carcere Salvatore Mazzeo. “Definirla rivolta è eccessivo - spiega il direttore - ma effettivamente stanotte c’è stato un episodio in una cella di sette detenuti, tutti tunisini. Con le bombolette di gas, che hanno in dotazione, hanno incendiato i materassi, hanno dato fuoco a tutto quello che potevano, gettando anche oggetti e le stesse bombolette contro gli agenti della Penitenziaria e si sono barricati dentro. Così siamo dovuti intervenire con l’uso della forza e con gli estintori”. I sette tunisini, medicati, si trovano ora nelle celle di isolamento. Per loro scatteranno procedimenti disciplinari. “Il sovraffollamento certo non aiuta - conclude il direttore - questo problema deve essere risolto. Aspettiamo con trepidazione i provvedimenti del governo per il deflazionamento delle carceri”. Sappe: gravi le violenze al “Marassi” di Genova “Quella che si è vissuta questa notte nel carcere genovese di Marassi è stata una pagina gravissima e inaccettabile di violenza ingiustificata che merita una ferma presa di condanna e un’altrettanto intransigente risposta in termini disciplinari e penali”. Lo ha detto Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sappe, in merito all’episodio avvenuto questa notte nel carcere genovese di Marassi. Martinelli ha, poi, sottolineato che “questi gravi episodi avvengono quando non c’è fermezza nel punire i responsabili. Poteva anche succedere - ha spiegato - una strage per la follia di alcuni detenuti stranieri (tutti tunisini), che hanno prima aggredito alcune unità di Polizia penitenziaria (brandendo anche lamette da barba nascoste in bocca, lanciando loro contro le bombolette di gas che lecitamente posso detenere in cella e suppellettili vari) e hanno poi dato fuoco ai materassi con il rischio di provocare un incendio devastante. Solo grazie ai nostri eroici agenti in servizio, alcuni dei quali sono dovuti ricorrere alle cure dei sanitari per le ferite subite, è stata anzitutto impedito che il fuoco e il fumo sprigionatisi potessero provocare una strage nel carcere di Genova Marassi e poi che la situazione potesse ulteriormente degenerare coinvolgendo altri detenuti nella protesta violenta”. Il segretario Martinelli ha espresso apprezzamento “per il coraggio e l’alta professionalità dimostrati in quei tragici e critici momenti” dal personale. “La violenza di questa notte - ha aggiunto - nel carcere di Marassi avviene a circa una settimana da un altro grave episodio nel penitenziario, quando una detenuta sieropositiva ha aggredito due poliziotti, ferendone uno con un morso tanto da creare grande preoccupazione per un eventuale rischio contagio. Questi gravi episodi violenti - ha concluso - sono inaccettabili e meritano ferme prese di posizione. Pensiamo ad esempio a un maggiore ricorso all’isolamento giudiziario fino a fine pena con esclusione delle attività in comune ai detenuti che aggrediscono gli agenti. Ma sarebbe davvero l’ora che i detenuti stranieri (che a Marassi sono il 60 per cento dei presenti, a fronte di una percentuale nazionale di presenza che si attesta al 40 per cento) scontassero la pena nei penitenziari dei loro Paesi d’origine”. Padova: Casellati; entro il prossimo autunno la Casa Circondariale avrà 200 posti in più Il Mattino di Padova, 7 giugno 2010 In arrivo da Roma 2 milioni di euro per la Casa Circondariale di via Due Palazzi, finalizzati al completamento del padiglione adiacente alla struttura esistente. Per i detenuti in attesa di giudizio, soprattutto extracomunitari stipati come sardine, significa una vera e propria boccata di ossigeno di 200 posti letto, previsti entro il prossimo autunno. Ad oggi, su una capienza di massima tollerabilità di 220 ospiti, il Circondariale ha sforato i 260 detenuti. Resta tuttavia la questione agenti: il personale è ai minimi termini, il piano carceri governativo contempla altre 2000 assunzioni, ma da spalmare su tutto il territorio. Inoltre un milione di euro è stato finanziato per ciascun Provveditorato, compreso quello veneto. Questi alcuni paragrafi delle risorse finanziarie (in tutto 20 milioni di euro) che il Governo ha destinato agli istituti detentivi italiani. “Sono denari già disponibili, non è una promessa” ha precisato il sottosegretario alla Giustizia Elisabetta Alberti Casellati. Ieri mattina la senatrice ha prima visitato il carcere di Vicenza, dove ha incontrato i sindacati degli agenti penitenziari. Poi ha fatto rotta su Padova e qui ha dato la bella notizia dei fondi stanziati ai direttori Salvatore Pirruccio e Antonella Reale. Le gravi deficienze però restano sul tavolo. E Padova continua a collezionare record negativi: il 90% dei detenuti è straniero e questo comporta ogni giorno una “lotta” all’integrazione. Basti pensare che la Circondariale gestisce fino a 100 etnie diverse in un tourn over di permanenze che vanno da alcuni giorni ad un massimo di 8-9 mesi. Negli ultimi mesi inoltre Padova ha sforato i record di sovraffollamento arrivando a ospitare 12 persone in celle da 6. Tanto che il sottosegretario, che della questione carceraria padovana ha fatto un punto d’onore, non ha esitato ad ammettere che “una sezione della circondariale padovana è peggiore del carcere napoletano di Poggioreale”. Modena: Rita Bernardini; gli “ospiti” sono in gabbia, le Case di lavoro e i Cie sono illegali Il Resto del Carlino, 7 giugno 2010 Il tour nelle carceri, case lavoro e centri di identificazione ed espulsione di Rita Bernardini, deputata radicale eletta nelle liste del Pd, ha fatto tappa a Modena. Ieri la parlamentare ha visitato le case lavoro di Castelfranco Emilia e Saliceta e il Cie di Modena con Bernardetta Graziani, consigliere comunale di Pavullo ed Emilio Salemme. “Le case lavoro sono ergastoli bianchi - ha detto Bernardini - perché qui gli internati scontano pene già concluse. Ci sono persone chiuse qui dentro che dopo il carcere si erano rifatte una vita, trovando un lavoro, ma poi sono state giudicate socialmente pericolose e portate in queste strutture. Risultato? Hanno perso il posto e non imparano nulla. Qui in pratica non ci sono educatori e non si impara alcun mestiere, al massimo si fanno le pulizie”. L’onorevole sottolinea che la sua protesta non è contro i dirigenti delle strutture ma contro il governo che “sta mettendo in atto una delinquenza professionale perché queste strutture sono illegali”. Le case lavoro sono l’esempio del fallimento del sistema carcerario proprio perché dopo la scarcerazione c’è ancora chi viene ritenuto pericoloso. I detenuti e gli internati non godono di misure alternative, non c’è rieducazione”. Passando al capitolo Cie il parere è altrettanto duro: “A Modena come negli altri centri - dice Bernardini - c’è un degrado totale. Gli immigrati clandestini sono in gabbia come allo zoo. Vivono in condizioni pessime. E pensare che queste strutture costano molto allo Stato: per ogni trattenuto il Governo paga, quotidianamente, 75 euro”. Anche la Graziani punta il dito sulla rieducazione e propone: “Perché non usiamo gli insegnanti in pensione nelle carceri e nelle case lavoro?”. Emilio Salemme rileva infine come da dieci anni le strutture non siano cambiate: “Queste nuove carceri sono uno spreco di risorse”. Napoli: 47enne agli arresti domiciliari per piccoli reati si impicca in casa Ansa, 7 giugno 2010 Un uomo di 47 anni, che si trovava agli arresti domiciliari perché accusato di piccoli reati, si è ucciso impiccandosi nella sua abitazione di via Emilio Scaglione, a Napoli. Il fatto è avvenuto ieri. Secondo quanto ricostruito dai carabinieri, l’uomo, che era apparso depresso negli ultimi tempi, ha preso una corda che ha fissato alla ringhiera delle scale e si è lasciato andare. Scattato l’allarme, sul posto sono giunti sia i soccorritori del “118” che i carabinieri. Inutili i tentativi di rianimarlo. Il cadavere è stato trasferito all’istituto di medicina legale del policlinico “Federico II”. Padova: ispettore di Polizia penitenziaria sfruttava prostitute, condanna a 5 anni e 4 mesi Il Mattino di Padova, 7 giugno 2010 Il gup di Padova Lara Fortuna ha condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione, oltre al pagamento di 1800 euro di multa, Rossano Sperati, 53 anni originario di Paliano (Frosinone) e domiciliato a Villafranca Padovana, di professione ispettore di polizia penitenziaria nel carcere Due Palazzi. Gravissime le accuse contestate: sfruttamento della prostituzione ed estorsione nei confronti di due ragazze rumene minacciate di morte se non avessero pagato rispettivamente 2.600 e 2.300 euro per l’uso di un appartamento preso in subaffitto da lui. Sostanzialmente accolte le richieste del pubblico ministero Sergio Dini che aveva chiesto 5 anni e 6 mesi. L’imputato è stato anche interdetto dai pubblici uffici: dal 2006, quando l’inchiesta era stata avviata, era sospeso dal servizio ma non radiato, nonostante avesse un precedente penale per atti di libidine violenta. Eppure, finché non era finito in manette nel luglio 2006 in seguito alla denuncia presentata dalle due giovani lucciole dell’Est, Sperati era un insospettabile. Anzi, era considerato nel lavoro intraprendente (svolgeva un’attività di tipo amministrativo, non a diretto contatto con i detenuti) e nella vita sociale stimato: era stato calciatore nell’Astrea, la squadra di calcio del Ministero della Giustizia, e poi allenatore per diversi team giovanili nel settore dilettanti in Veneto. Fin dal marzo del 2005 provvedeva ad acquistare spazi per inserzioni da parte di ragazze provenienti dall’Est e dal Sudamerica nel periodico Aladino e in alcuni siti Internet come Cerco Amici Vip, Cerco Amici e Best Annunci. Ragazze che si prostituivano in alcuni appartamenti in via Mortise, Tiepolo, Zevio e Gattamelata, presi in locazione da Sperati e poi ceduti alle giovani. Ad un prezzo tutt’altro che modico: dai 50 ai 100 euro al giorno. E visto che le lucciole erano almeno una ventina, l’incasso settimanale era piuttosto consistente per l’ispettore il cui lavoro ufficiale, di fatto, risultava una vera e propria copertura. Piuttosto elevato il suo tenore di vita. Troppo per un dipendente della polizia penitenziaria: viaggiava in Mercedes e aveva a disposizione tra i 4 e i 5 cellulari destinati a tenere una rete consistente di contatti. Nell’arco di sei mesi, peraltro, Sperati aveva eseguito nel suo conto in banca versamenti in contanti per circa 20 mila euro. Fossombrone: “Lo sport per il sociale”, si confrontano detenuti e campioni dello sport Corriere Adriatico, 7 giugno 2010 L’iniziativa, dal titolo “Lo sport per il sociale”, si svolgerà mercoledì 9 giugno nella chiesa di San Filippo. Presenti anche Ario Costa, Mabel Bocchi e Giancarlo Sorbini, presidente della Scavolini volley. Detenuti che per la prima volta racconteranno in pubblico come l’attività di ginnastica abbia migliorato la loro vita, accanto a grandi nomi che hanno fatto la storia dello sport italiano. L’iniziativa, dal titolo “Lo sport per il sociale”, si svolgerà mercoledì 9 giugno a Fossombrone nella chiesa di San Filippo (ore 17) ed stata organizzata dalla Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Urbino con il patrocinio del Comune, dell’Ambito territoriale sociale 7 e del Comitato nazionale italiano fair play. Al centro dell’incontro la presentazione del libro “L’attività motoria nelle carceri italiane e l’esperienza di Fossombrone”, scritto da Ario Federici, professore dell’Università feltresca, e Daniela Testa, insegnante di scienze motorie, con una prefazione di don Luigi Ciotti, dell’associazione ‘Liberà contro tutte le mafie. Si tratta del primo studio condotto a livello nazionale per verificare i benefici dell’attività motoria sui reclusi, i cui risultati verranno presentati nell’occasione, con le testimonianze di alcuni detenuti che hanno preso parte al progetto promosso dalla Facoltà di Scienze motorie nel carcere di Fossombrone, e di alcuni big dello sport come Ario Costa, Mabel Bocchi e Giancarlo Sorbini, presidente della Scavolini Robur Volley campione d’Italia 2010. I lavori, moderati da Mabel Bocchi, oggi giornalista di Gazzetta dello Sport e Corriere della Sera, inizieranno con i saluti di Maurizio Pelagaggia (sindaco di Fossombrone), professor Stefano Pivato (Magnifico Rettore dell’Universit degli Studi di Urbino Carlo Bo), professor Vilberto Stocchi (Preside della Facolt di Scienze Motorie), Angela Panatta (amministratore delegato dell’azienda Panatta Sport), Maurizio Pennelli (direttore della Casa di Reclusione di Fossombrone), Daniela Grilli (direttore dell’Ufficio dei Detenuti e del Trattamento del Provveditorato Regionale Marche). Quindi le relazioni: “Carcere e Ipocinesia, l’educatore fisico penitenziario” del professor Ario Federici; “Carcere e patologie del rachide” di Silvia Bellagamba (posturologa); “L’attività Motoria nella Casa di reclusione di Fossombrone”, con l’esperienza di un detenuto; “L’attività motoria e sportiva nelle carceri Italiane” della professoressa Daniela Testa; “Dal Carceron... agli anni di piombo” con l’ex direttore della casa di reclusione di Fossombrone, Aldo Maturo. Quindi la poesia di un detenuto dalla raccolta “Un Mondo a quadretti. Voci oltre il muro”. Seguirà la premiazione dei campioni dello sport intervenuti. L’iniziativa stata promossa in collaborazione con Panatta Sport, Monte di Piet Fossombrone e Banca di Credito Cooperativo del Metauro. Massa Carrara: con Legambiente, volontari e detenuti insieme per pulire la spiaggia Il Tirreno, 7 giugno 2010 Volontari e detenuti del carcere di Massa insieme, stamani, per pulire la spiaggia. Anche quest’anno si svolgerà la campagna nazionale di Legambiente “Spiagge Pulite” e, come di consueto, il Circolo di Carrara ha deciso di aderire. Come da alcuni anni a questa parte, è stato deciso di svolgere questa iniziativa nel tratto di litorale antistante il Viale da Verrazzano, denominato “ex-simposio”, per riaffermare il diritto dei cittadini a godere di uno spazio che dev’essere riqualificato e reso fruibile per tutti, non assoggettato agli interessi della lobby portuale. Sarà interessato dalle operazioni di pulizia anche il primo tratto della foce del Carrione. Anche quest’anno ci sarà l’occasione di vedere nuovamente all’opera un consistente gruppo di detenuti del carcere di Massa e, per sottolineare l’importanza della partecipazione dei ristretti, come nelle edizioni passate anche questo appuntamento è stato ribattezzato “Spiagge Pulite Galeotte” sottolineato dalla presenza di una maglietta “dedicata”, finanziata dal Cermec, che sarà offerta a tutti i partecipanti. La Pubblica Assistenza metterà gentilmente a disposizione un pulmino per garantire gli spostamenti da Massa alla sede dell’iniziativa. La manifestazione è ovviamente aperta a chiunque. Ai volontari che parteciperanno alla pulizia, verranno distribuiti da Legambiente gli accessori necessari alla raccolta (guanti, sacchi, rastrello e retino), cappellini per il sole e stivali per chi si occuperà della pulizia del fiume. Tutti i rifiuti raccolti durante l’iniziativa verranno ritirati, come di consueto, da un mezzo messo a disposizione dell’Amia. Si rinnova l’invito a partecipare. L’appuntamento è per stamani alle ore 10, presso il Viale da Verrazzano, tra la foce del Carrione e quella del Lavello. Ferrara: il teatro in carcere, riesce ad aprire le porte dell’integrazione La Nuova Ferrara, 7 giugno 2010 Il teatro apre la mente. A volte fa anche miracoli: apre le porte. Apre quelle chiuse a più mandate del carcere. Nel giugno del 2007 andò in scena al Teatro Comunale di Ferrara “Schegge. Da Totò a Beckett”. Nei prossimi giorni l’esperienza si ripeterà con un altro spettacolo, sempre al Comunale. La particolarità - oggi come allora - è che sul palco, ci saranno i detenuti-attori. Il teatro, il recitare, il diventare protagonisti assieme ad altri sono gli strumenti con i quali si cerca di offrire la possibilità di reinserimento dei detenuti. Esiste un progetto europeo chiamato Esprit che coinvolge quattro nazioni: Italia, Francia, Germania e Ungheria. Il ruolo di coordinatore spetta a Horacio Czertok del Teatro Nucleo di Ferrara. La settimana scorsa c’è stato un incontro a Juvisy sur Orge, ad alcuni chilometri da Parigi, dove gli operatori si sono trovati per fare il punto della situazione. Estremamente qualificata la delegazione ferrarese che ha presentato tutti gli “attori” di questo importante lavoro che già da alcuni anni si svolge nel carcere di via Arginone: Horacio Czertok e Andrea Amaducci del Teatro Nucleo, il direttore del carcere Francesco Cacciola, l’assessore ai servizi sociali Chiara Sapigni, il dirigente dello stesso assessorato Roberto Cassoli, Vito Martiello coordinatore Centro Servizi Volontariato, Gianandrea Munari rappresentante associazione Alpha Centauri. In Francia erano presenti i partner storici della pratica teatrale in carcere, oltre al Nucleo, il francese Theatre du Fil, il tedesco Alarm Theatre e anche il Centro Universitario Teatrale Jèszc di Pècs in Ungheria. Gli attori con i loro interventi e l’aiuto di alcuni video hanno mostrato quanto si sta facendo. A confronto l’esperienza pluriennale italo-franco-tedesca e quella recente ungherese, nata grazie al giovane Géza Pintér, allievo a Ferrara di Czertok, come pure allievo è stato il tedesco Otto Harald. Esperienze che nascono, si sviluppano e si rafforzano proprio grazie a questa continua osmosi; non esiste una scuola d’arte drammatica in carcere, ma la scuola è il teatro stesso, con la figura dell’educAttore. L’alchimia tra il teatro come massimo luogo di libertà e il carcere come luogo di detenzione, fa nascere questo progetto educativo. “Il progetto - ha detto Sapigni - è avviato da molti anni e questo per la politica regionale sull’integrazione. È essenziale una rete tra società, teatro, carcere e istituzioni. Il risultato positivo è dato proprio dalla loro collaborazione”. “Il carcere di Ferrara - ha detto Cacciola - ha 550 detenuti e con un tale numero è difficile gestire una politica educativa. Czertok nel 2005 mi ha proposto di fare uno spettacolo in carcere. L’effetto e l’emozione che lo spettacolo ha creato mi ha convinto che era un’esperienza da portare avanti. Il lavoro ha dato la possibilità di sensibilizzare e mostrare nuovi modelli culturali e di socializzare. Vorremmo far vedere quello che facciamo alla città. Un lavoro utile sia ai detenuti sia agli operatori”. Volterra: un po’ Alice e un po’ Amleto… così la Casa di reclusione si apre Il Tirreno, 7 giugno 2010 La casa di reclusione apre le porte all’esterno. Anche quest’anno sarà possibile assistere a un’opera teatrale messa in scena dalla Compagnia della Fortezza. Lo spettacolo, dal titolo provvisorio di “Hamlice”, sarà realizzato il 26, 27, 28 e 29 luglio e sarà la continuazione del grande successo dello scorso anno di “Alice nel paese delle meraviglie”. La compagnia, ormai dalla storia pluri ventennale, conta più di 45 attori-detenuti provenienti dal “Sud d’Italia e del mondo”. Come ci dice Armando Punzo, regista e direttore artistico della compagnia, “il contesto carcerario appartiene alla nostra realtà. Per fortuna è proprio della stragrande minoranza delle persone ma c’è, esiste e non possiamo far finta che non ci sia”. E continua Punzo: “Di soddisfazioni ne ho avute molte, in oltre 22 anni sono tanti i momenti belli che hanno caratterizzato il mio cammino con i detenuti anche se credo che la soddisfazione più grande potrà essere quella di creare il primo teatro stabile al mondo. Credo molto in questo progetto e nella sua realizzazione”. La rappresentazione teatrale all’interno delle mura carcerarie non è altro che uno dei tanti progetti che il penitenziario di Volterra realizza. Altra grande e seguitissima iniziativa è quella organizzata in collaborazione con l’Unicoop Firenze delle “Cene Galeotte”, cene all’interno del carcere dove i cuochi e i camerieri sono detenuti. Tutte queste iniziative realizzate o in fase di realizzazione si trovano in un contesto nel quale le carceri si stanno profondamente modificando, da luoghi di chiusura e repressione coatta a luoghi in cui è maggiore il coinvolgimento con l’esterno per un eventuale reinserimento futuro. Oristano: l’esibizione in carcere dei Tenores incontra l’apprezzamento dei detenuti La Nuova Sardegna, 7 giugno 2010 Le pesanti cancellate della “rotonda” si sono aperte per ospitare quattro gruppi di canto a tenore. I circa quattrocento detenuti attualmente presenti nella Casa di reclusione di Mamone, così, hanno potuto apprezzare uno spaccato della cultura sarda, dialogato con l’esterno e ringraziato tutti i soggetti che hanno promosso la coinvolgente manifestazione di solidarietà. L’iniziativa, avallata dal direttore del luogo di pena Francesco Cocco, è stata organizzata dall’associazione Luches, sotto gli auspici del presidente Maria Lucia Sannio, insegnante di lettere dalla lunga esperienza nelle carceri, e il suo vice Giuseppe Contu, impiegato a Mamone. I gruppi a tenore, provenienti gratuitamente dai centri di Oniferi, Orgosolo, Mamoiada e Lodè, hanno creato autentici momenti di emozione. Hanno completato il quadro scenico l’organettista Giovanni Coghe e due detenuti: Guido, che si è esibito con l’organetto, e il marocchino Tlili, che ha suonato il “pifferu”, ricavato artigianalmente con materiale plastico e canna. È stato uno spettacolo lungo oltre tre ore non solo di emozioni ma anche di interazione di culture diverse, di conoscenza e socializzazione. Tutti contenti. Diversi extra-comunitari, in particolare quelli di colore, hanno riconosciuto nel canto a birimbò qualcosa di forte, a livello musicale, in grado di scuotere le corde del cuore umano. Ed è stata una scoperta per certi, un qualcosa di appartenenza, un volo pindarico identitario per altri. I detenuti, alla fine, hanno ringraziato i responsabili di Luches, il direttore, polizia penitenziaria e personale con l’auspicio che “giornate indimenticabili come questa,veramente speciale, vengano proposte anche in futuro”. È il segno che anche dietro le sbarre c’è umanità, ci sono esseri umani, che sanno apprezzare il fatto che anche oltre le mura c’è gente attenta e non dimentica il pianeta carcere. Una considerazione è d’obbligo: aprire il carcere verso l’esterno rappresenta un insegnamento pedagogico importante per far riprendere, a chi paga i conti con la giustizia, i contatti con la società civile. Afghanistan: presidente ordina rilascio “presunti” talebani in carcere “senza prove sufficienti” Ansa, 7 giugno 2010 Il presidente afgano Hamid Karzai ha ordinato la costituzione di una commissione che esamini i dossier dei centinaia di talebani detenuti nelle carceri afgane. La decisione di Karzai si conforma alle conclusioni della “jirga della pace”, la conferenza per la pace organizzata a Kabul dal governo del presidente afgano, che ha espresso a larga maggioranza il proprio sostegno all’apertura di negoziati senza condizioni con la guerriglia talebana. Karzai ha invitato il ministero della Giustizia a stilare un elenco di tutti coloro che sono detenuti “senza prove sufficienti a loro carico” e a liberarli. Il decreto di Karzai sembra riferirsi solo a coloro che sono nelle carceri afgani e non in custodia militare americana.