Giustizia: ddl detenzione domiciliare; problema è costo delle 2.000 persone da accogliere Asca, 5 giugno 2010 La prossima settimana proseguirà la discussione del nuovo testo del ddl 3291 che prevede norme per l’esecuzione domiciliare delle pene detentive non superiori ad un anno. L’articolato originario varato dal Governo è stato sottoposto ad ampia revisione in Commissione Giustizia con gli emendamenti governativi e i subemendamenti della Lega Nord. Il relatore Mario Commercio del gruppo Misto ha già sottolineato che andrebbero acquisiti elementi di quantificazione idonei a dimostrare la neutralità finanziaria delle disposizioni nelle ipotesi in cui i soggetti interessati possano utilizzare per l’esecuzione della pena un luogo pubblico o privato di cura o assistenza. I detenuti con ancora un anno di pena sono circa 10.000, ma vanno esclusi i condannati per reati che comportano - in base all’articolo 1 del testo - l’esclusione dal beneficio. Una percentuale del 70% dei restanti 7.000, cioè circa 5.000 dispongono di un domicilio dove scontare la pena residua. Sono, quindi, circa 2.000 i detenuti per i quali sarebbe necessaria l’esecuzione della pena residua di un anno in strutture assistenziali pubbliche o private o, in caso di tossicodipendenti, in comunità terapeutiche la cui retta verrebbe posta a carico del Ssn. Spetta ora alla Commissione Giustizia riformulare le norme per le quali sono stati evidenziati problemi di copertura finanziaria. Giustizia: Osapp; il ministro Alfano e il Governo verso uno “storico fallimento” Adnkronos, 5 giugno 2010 “L’assenza al problema del Ministro Alfano in particolare e del Governo nel suo complesso sulla questione carceri preludono al più grande e disastroso fallimento della storia penitenziaria italiana”. Lo afferma Leo Beneduci, segretario del sindacato di polizia penitenziaria Osapp. Beneduci sottolinea poi che in Italia “non sono oltre 1.700 gli appartenenti alla polizia penitenziaria che ogni notte provvedono alla sorveglianza di oltre 220 istituti penitenziari per adulti e circa 20 istituti per minori per una media che, stanti le attuali capienze delle carceri, è di 42 detenuti a testa e che tenuto conto dei servizi esterni diventa anche, soprattutto nelle grandi strutture, di 100/150 detenuti, ovvero dalle due alle tre sezioni detentive per ciascun agente ogni nottè. Per l’Osapp si tratta di dati “che dovrebbero far riflettere profondamente” sia rispetto al forte aumento dei suicidi tra i detenuti e degli “episodi di violenza in carcere per risse ed aggressioni, che sono da mettere in relazione alla minore tenuta del sistema in termini di funzionalità e di sicurezza e che dovrebbero preoccupare chi immaginava di risolvere il problema del carcere spendendo cifre anche ingenti per costruire infrastrutture penitenziarie senza investire in servizi e in personale soprattutto di polizia penitenziaria”. Oltre ad Alfano e al Governo, Beneduci punta il dito anche contro il capo del Dap Franco Ionta, accusandolo di “scarsità di iniziative dal punto di vista gestionale ed organizzativo per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro nelle carceri, e di avere indirizzato l’attenzione della politica e persino dell’opinione pubblica verso la panacea di un piano-carceri di sola edilizia”. Veneto: la Casellati; 3 milioni e mezzo di euro per le carceri di Padova, Venezia e Vicenza Giornale di Vicenza, 5 giugno 2010 Seicento mila euro per il carcere di Vicenza, 900mila per la videosorveglianza a Venezia e 2 milioni per il carcere di Padova. Sono questi i finanziamenti annunciati oggi dal sottosegretario alla giustizia, la senatrice Elisabetta Casellati, durante la visita alla casa circondariale di Vicenza. La rappresentante di Governo ha spiegato che il finanziamento per Vicenza servirà a migliorare le condizioni di vita degli agenti di polizia penitenziaria. Già stanziati 600 mila euro per la caserma della polizia penitenziaria di Vicenza (è inagibile il terzo piano) all’interno del carcere di San Pio X. È con questo annuncio che la sottosegretaria alla Giustizia, Elisabetta Alberta Casellati, è arrivata ieri mattina per un sopralluogo all’istituto penitenziario. Ad attenderla, all’esterno, un presidio di agenti che denunciavano il sovraffollamento, carenza di organico e super turni. Ma Casellati ha assicurato: “A breve anche 2 mila assunzioni a livello nazionale; 900 mila euro per la video sorveglianza a Venezia, 2 milioni di euro per il carcere di Padova dove si realizzeranno altri 200 nuovi posti per i detenuti. Che la situazione si grave, lo sappiamo. Il Governo ha chiesto lo stato di emergenza per le carceri e c’è la massima attenzione”. E a Vicenza Casellati chiede uno sforzo in più: “Di avviare in modo più deciso laboratori e attività propedeutiche a lavoro e rieducazione fuori dalla cella, perché gli spazi materiali ci sono”. Davanti a lei e ai cronisti, affiancati da tanto di picchetto, si sono spalancate le porte del carcere. Come è la prigione di Vicenza? Ti accolgono le grate azzurre e dietro i primi lunghi e ampi corridoi bicolore, azzurro intenso e bianco. La struttura è del 1986, 24 anni portati maluccio. Giro di chiavi della guardia penitenziaria, si sale una rampa di scale e davanti un’altra grata. Tutti fermi: il sottosegretario Casellati, il direttore del carcere Fabrizio Cacciabue, il vicario del provveditorato regionale, Oreste Velleca, il comandante del reparto, Giuseppe Testa, le guardie del corpo di Casellati. Si apre e si entra. Ecco le celle, tutte numerate, dove vivono i detenuti. Si distingue ancora un leggero odore di disinfettate. Chissà quanto olio di gomito, prima della super visita per ottenere questo risultato, viene da chiedersi. Dietro la porta-cancello, 9 metri quadri con tre letti, due a castello e uno accanto. Un tavolino e un altro vano, il bagno, che appena si scorge, ovviamente senza porta. Qui passano le ore i 338 detenuti attuali del carcere. Tutto il giorno, tranne l’ora e mezza di aria che hanno a disposizione. O le attività di laboratorio come giardinaggio e officina. Casellati, che ha iniziato a ottobre un tour per le carceri d’Italia, dimostra una certa dimestichezza. E comincia a parlare col detenuto nella cella 5. Gli chiede come si trova, che reati ha commesso. Se la pena è definitiva o meno. E via, quella accanto. Intanto si sbircia in quell’angolo di vita senza porte, senza privacy, quasi a disagio. Qualcuno ha appeso la foto dei bimbi. Qualcuno è sotto le coperte di lana che dormicchia. E qualcuno azzarda: “Ministra, non è che mi fa un altro indulto? Non vedo l’ora di uscire”. E intanto ad uscire è il gruppo. Si arriva alle celle esterne: “Io inizio lo sciopero della fame”, annuncia sconfortato un detenuto, riassumendo la sua situazione al sottosegretario che rassicura e chiede alle guardie di provvedere in qualche modo. Si passa all’area dove si coltivano ortaggi con tanto di serre. Ci sono detenuti in mezzo ad un campo a lavorare di vanga. Altri dentro le serre a raccogliere la verdura che poi verrà venduta. Qui grazie al Ciapat della confederazione agricoltori si insegna ai carcerati un mestiere. Ad ogni corso una dozzina di detenuti. Si passa all’officina di lucidatura e saldatura metallizzata. Allo stesso tavolo un giovane pakistano: “Quando uscirò da qui, fra tre anni, farò questo mestiere”, annuncia a Casellati. Accanto un tunisino che l’italiano non lo conosce, ma il lavoro sì. Con il corso in laboratorio si acquisisce un patentino riconosciuto a livello Ue. Si esce, si passa accanto a un’area: “Qui - spiegano - fino a qualche anno fa si faceva pet therapy. Dava grandi risultati. Ma poi sono finiti i soldi”. Si ritorna all’interno, in un’ala dove le porte ci sono (ma c’è uno spioncino per vedere dentro). Qui c’è la sala operatori Sert, quella per l’assistenza. E, addirittura con la porta aperta, la scuola media: una manciata di detenuti sui banchi. Alla lavagna il teorema di Pitagora. L’insegnate annuncia: “Fra pochi giorni faranno l’esame di Stato”. Poco più avanti la biblioteca, multilingue: “Chiedono testi di codici civili, libri d’amore e di poesia”, spiega un detenuto. Ancora qualche corridoio e si ritorna al cancello principale. La visita è finita. Tutti fuori. O quasi. Marche: tutte le carceri della Regione sono affollate oltre la capienza tollerabile Il Resto del Carlino, 5 giugno 2010 Sono affollate oltre la capienza tollerabile le case di reclusione delle Marche, con una situazione persino peggiore di quella che c’era nel 2005, appena prima dell’indulto. A sottolinearlo Ilse Runstemi, Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, a Fermo per presentare la festa per il 193° anniversario della fondazione del Corpo di Polizia Penitenziaria, in programma l’ 8 giugno. Una situazione al limite della sopportazione aggravata dalla ormai cronica carenza di personale: “Abbiamo oggi 1.085 detenuti, a fronte di 648 unità di polizia penitenziaria. Prima dell’indulto non arrivavamo a 1.000, nel 2006 sono usciti 600 detenuti, facile fare il calcolo di quanto siano aumentati in questi anni. Assunzioni non ne sono previste, nel piano carceri c’è una possibilità di ampliamento solo per la casa di reclusione di Ancona Barcaglione, che non funziona ancora nel pieno delle sue possibilità. Per il resto andiamo avanti così, grazie alla dedizione e alla professionalità della polizia penitenziaria”. Nelle Marche sono presenti 4 case circondariali, Ancona Montacuto, Ascoli Piceno, Camerino e Pesaro, 3 case di reclusione, Ancona Barcaglione, Fermo e Fossombrone, l’ex casa mandamentale di Macerata Feltria. E ancora, due uffici di esecuzione penale esterna, a Macerata a Ancona. Una festa, quella di martedì prossimo a Fermo, che si aprirà intorno alle 10 in una piazza del Popolo piena di autorità e con i reparti di polizia penitenziaria schierati. Orgoglioso di ospitare l’evento il sindaco di Fermo, Saturnino Di Ruscio, che ha fortemente voluto anche il concerto della banda nazionale della polizia penitenziaria, in città il prossimo 25 giugno. Il presidente della provincia, Fabrizio Cesetti, ha sottolineato il ruolo fondamentale delle case di reclusione per la sicurezza del Paese, ma anche per il recupero sociale di chi ha sbagliato: “Un recupero che può avvenire dentro il percorso di espiazione della pena che pure deve essere garantito. La festa regionale della polizia penitenziaria a Fermo è un implicito riconoscimento di questa nostra provincia appena nata, ma che già esiste ed è cornice ideale per eventi come questo”. Angelica Malvatani Piemonte: i Consiglieri regionali del Pd hanno iniziato un “viaggio nei penitenziari” Adnkronos, 5 giugno 2010 “Anche Torino conferma il dato nazionale, ovvero una situazione drammatica a causa del sovraffollamento che ha raggiunto ormai limiti intollerabili. Nel complesso si registrano quasi 70mila detenuti a fronte dei 44mila posti disponibili”. Così la parlamentare torinese del Pd Anna Rossomando che, oggi, ha iniziato con altri parlamentari e consiglieri regionali del Partito Democratico “un viaggio” nel mondo penitenziario della regione. Tra oggi e lunedì la delegazione visiterà, infatti, gli istituti di pena di Torino, Ivrea, Novara, Asti, Alba, Biella, Cuneo, Fossano, Vercelli e Verbania con l’obiettivo di verificare le condizioni di vita ed il funzionamento del sistema penitenziario e per incontrare gli operatori. “Occorrono maggiori risorse - aggiunge Anna Rossomando - ma soprattutto una diversa politica sulla pena, perché non si può continuare a varare norme che producono carcere per pochi giorni. L’illusione che sia possibile risolvere l’emergenza carcere rimanendo all’interno della stessa logica che vede il penitenziario come unica forma sanzionatoria - dice ancora - va definitivamente superata a vantaggio di soluzioni culturalmente più avanzate, economicamente più vantaggiose e socialmente più adeguate”. Per Giorgio Merlo “la visita di oggi conferma la grave carenza della politica del centrodestra, che sottovaluta colpevolmente l’esigenza di adottare interventi mirati per la politica penitenziaria. Il Governo aveva promesso 2000 assunzioni ed un piano straordinario per le carceri: il piano non si vede e le assunzioni nemmeno, per contro chi lavora nelle carceri vedrà di sicuro gli stipendi bloccati”. Milano: troppi detenuti a San Vittore e nelle celle scoppia la protesta di Luca Fazzo Il Giornale, 5 giugno 2010 Gli unici a stare zitti sono stati i reietti, gli ultimi degli ultimi: i detenuti del reparto “protetti”, quelli che a San Vittore vivono isolati dal resto del mondo, per impedire che su di loro si abbatta la violenza del resto del carcere. Il loro piano, il secondo piano del sesto raggio, mercoledì sera era avvolto nel silenzio. Dagli altri piani del sesto raggio, per un’ora filata, una sarabanda di pentole sbattute - la colonna sonora, da sempre, di tutte le proteste dietro le sbarre - ha cercato di richiamare l’attenzione della città sulle condizioni di vita all’interno della prigione di piazza Filangieri. Ma non è successo nulla, le pentole un po’ alla volta si sono azzittite, e della protesta nemmeno si sarebbe saputo se non avesse provveduto un sindacato della polizia penitenziaria, ieri, a parlarne in un comunicato. Niente di clamoroso, a San Vittore non tira aria di rivolta. Anzi, paradossalmente, a colpire è la rassegnazione con cui i detenuti sembrano affrontare una situazione oggettivamente disumana, soprattutto in alcuni raggi del vecchio e cadente carcere. Non a caso, la protesta di mercoledì è partita dal sesto raggio, il più invivibile, dove in celle destinate a due detenuti ne vengono pigiati sei. E se una situazione dove bisogna fare i turni per alzarsi dalle brande è difficile da accettare nella brutta stagione, il peggio è destinato ad arrivare col caldo, quando il sole a picco surriscalda soprattutto le celle dei piani alti. Oggi a San Vittore ci sono quasi milleseicento detenuti, almeno quattrocento in più di quelli che sarebbero tollerabili. La ressa acuisce le tensioni, e l’incrociarsi di etnie diverse (i due terzi degli ospiti non hanno passaporto italiano) è un continuo focolaio di tensioni. L’unico elemento positivo è che il trend di crescita sta un po’ rallentando: si era arrivati a ottocento ingressi in un mese, ora - senza un motivo preciso - la curva è leggermente scesa. Ma a rendere la situazione senza sbocchi c’è il fatto che è arrivato sostanzialmente al punto di saturazione l’intero sistema dei carceri lombardi, che finora veniva usato a intervalli regolari come valvola di sfiato per la “casanza” milanese, e che ora invece ha raggiunto quota novemila detenuti. Sulla porta dell’albergo carcere c’è il cartello “completo”. Ma questo è un albergo che non può rifiutare clienti, e così si pigia la gente nelle celle come calze nei cassetti. Poiché del nuovo carcere milanese non si parla nemmeno più, dopo la dissoluzione del progetto “Cittadella della giustizia”, per smaltire una parte della ressa di San Vittore bisognerà aspettare che vengano pronti i nuovi posti letto nelle tre carceri lombarde interessate da lavori di ampliamento: Cremona, Pavia, Voghera. In tutto, un migliaio di posti. Ma ci vorrà un anno e mezzo, se tutto fila liscio. E già si sa che ci vorrà un amen perché l’effetto svanisca. La verità è che non c’è carcere, per quanto grande, che la Lombardia non sappia riempire. Novara: parlamentari in visita al carcere; c’è bisogno di interventi urgenti Asca, 5 giugno 2010 Il carcere di Novara mostra tante criticità, dalla direzione agli agenti della polizia penitenziaria, ai detenuti. Lo sostengono le parlamentari Franca Biondelli ed Elisabetta Rampi, che ieri hanno visitato la casa circondariale di via Sforzesca accompagnati dai Giovani democratici Rosy Russo, Luca Ballardini e Marta Veronica. “La situazione del carcere di Novara rispecchia quella nazionale in cui domina il sovraffollamento - dice Franca Biondelli - a Novara perfino la direttrice ha il contratto non rinnovato e deve confrontarsi con continui tagli di spesa. La polizia penitenziaria è sotto organico; non c’è il personale per garantire il trasporto in sicurezza dei detenuti nelle strutture sanitarie per le cure. I detenuti sono costretti a soggiornare in sette in celle da 18 metri quadrati. Il carcere ha bisogno di grossi interventi di ristrutturazione”. Franca Biondelli: “Le interrogazioni fatte da me e dalla collega Rampi non hanno sortito alcun effetto per questo motivo le riproporremo come ordini del giorno in aula perché le risposte sono necessarie. All’assessore regionale alla Sanità chiederemo spiegazioni dal momento che anche i detenuti hanno diritto alle cure sanitarie”. L’iniziativa “Dietro le sbarre” ideata dal partito democratico prevede la visita di tutte le carceri del Piemonte: “Lunedì - dice Elisabetta Rampi - mi recherò nella sezione femminile del carcere di Vercelli. A Novara i tagli di spesa hanno bloccato perfino i corsi di alfabetizzazione e di computer”. Due i progetti che la direttrice vorrebbe realizzare, ma gli spazi di via Sforzesca sono angusti: “La sala polivalente - concludono le parlamentari del pd - e l’avvio delle attività lavorative, importanti per la riabilitazione”. Empoli: il provveditore regionale; presto un nuovo decreto per la riapertura del carcere La Repubblica, 5 giugno 2010 Adesso è ufficiale. Lo dice anche il provveditore regionale toscana dell’amministrazione penitenziaria Maria Pia Giuffrida: “A Empoli no, non ci sarà il carcere sperimentale per i transessuali. Stiamo aspettando il nuovo decreto”. Scusi provveditore, può spiegarci perché avere cambiato idea? “Perché hanno valutato che a livello nazionale che ci saranno altre priorità”. E quali sono le altre priorità? “Verrà presto varato un nuovo decreto”. Le carceri sono sovraffollate, quando riapre l’istituto di Empoli? “Non so dire una data, ma mi hanno assicurato che sarà presto. È tutto pronto”. Tornerà ad essere un carcere femminile? “Non lo so, aspettiamo di conoscere le decisioni. Ci sono più opzioni”. Ma l’opzione scartata è quella di farne un carcere per transessuali, malgrado gli annunci di qualche mese fa. Perché? Per settimane il garante per i diritti dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, ha protestato e chiesto spiegazioni. Per mesi non ha ricevuto risposte e anche dopo sei giorni di sciopero della fame non ha ottenuto risultati: “Ma è scandaloso che si facciano venire in Toscana le transessuali da altri istituti italiani per dirottarle su Empoli e poi si cambi idea, si lascino nelle celle di Sollicciano e poi si rimandino nei rispettivi istituti di provenienza, come pacchi postali. Qualcuno - chiede Corleone - chiederà scusa a queste persone?”. Al momento non sembra, tutto tace e il silenzio sa di imbarazzo. Porto Azzurro (Li): dopo le proteste degli agenti il prefetto in visita al carcere Il Tirreno, 5 giugno 2010 Il Prefetto di Livorno ha fatto visita al carcere di Porto Azzurro per tastare con mano i disagi che affronta quotidianamente la polizia penitenziaria. Gli agenti, come ampiamente ha riportato la stampa locale, sono da tempo costretti a turni stressanti per la carenza di personale. Gli straordinari vengono pagati in ritardo e, purtroppo, i poliziotti hanno dovuto affrontare anche una rivolta dei detenuti. Una situazione grave sfociata in una protesta da parte delle organizzazioni sindacali. Di fronte a questo malessere generale il Prefetto, che ha incontrato le organizzazioni sindacali per discutere le effettive difficoltà operative del personale, sia dal punto di vista della sicurezza e sia della vivibilità extra-lavorativa, si è detto preoccupato per i disagi del personale ed ha manifestato i suoi timori ai ministeri degli interni e della giustizia invitandoli a assumersi le proprie responsabilità per tutto ciò che è successo. Soddisfatte le organizzazioni sindacali per l’incontro avvenuto. “Il Prefetto - dichiarano - si è fatto carico di tentare di creare forme sinergiche con gli enti locali al fine di ottenere un migliore tasso della qualità della vita di chi vive e lavora in questa struttura”. Firenze: il “panneggio” di Sollicciano, lo straccio sventola e così nasce un amore di Laura Montanari La Repubblica, 5 giugno 2010 L’amore al tempo del carcere si sventola come una bandiera, è uno straccio bianco o rosso o nero che naviga nell’aria e cerca le parole come può, nel deserto senza intimità di una cella, nel tempo negato di una prigione. Ci sentite da li? Le mani sbucano dalle feritoie di Sollicciano, alla periferia di Firenze. Le mani si allungano fuori dalle finestre con le sbarre e “parlano” da un’ala all’altra di questo istituto che è un edificio ad anfiteatro, così largo che in mezzo ci potrebbe stare quasi un campo da calcio. Le voci non viaggiano abbastanza in quel vuoto e allora i detenuti e le detenute si arrangiano con il “panneggio”. È una specie di chat senza computer, un T9 senza telefonino, un alfabeto morse senza suoni. Un dialogare per mezzo degli stracci, qualcosa di antico e primitivo, un viaggiare lento, da terza classe rispetto ai bit che attraversano il mondo libero. Un giro del panno per dire “a”, due per dire “b”, tre “c” e così lungo tutte le lettere fino alla “z”. Una fatica leggersi a distanza, ma quando le ore non passano e il silenzio è un mattone, la mano che sventola il pezzetto di stoffa diventa un’ancora, una compagnia, un ciao, un come stai. Qualcosa. Una giovane regista teatrale, Elisa Taddei, che lavora con la gente di Sollicciano (il 17 e il 18 giugno porterà in scena al Giardino degli Incontri lo spettacolo “Il giardino degli animali”) racconta che nel carcere fiorentino, il panneggio è un linguaggio che va avanti da anni. “Me l’hanno spiegato alcuni detenuti, sono nate anche delle storie d’amore”. Una di certo. Quella fra Marinella e Vito. Lei dentro per spaccio e qualche scivolata precedente, lui per cose analoghe commesse in un’altra città. “Ci siamo spediti qualche lettera dall’interno del carcere, poi un giorno Vito mi ha scritto: stasera vieni al panneggio?”. Marinella ha venticinque anni e sigarette che si inseguono incessanti sulle labbra mentre nella cucina di casa sua a Pistoia, dove è agli arresti domiciliari racconta: “Una zingara, Salia, che stava in cella con me, mi ha insegnato come si fa. Per un po’di mesi ho detto no, che non mi interessava, ma stavo ore e ore distesa sulla branda della mia cella a guardare il soffitto, con la musica nelle orecchie, a pensare al mio bambino di otto anni, fuori e dato in affido per i miei errori”. Un giorno anche “Mari” allunga le braccia dal terrazzino della sua cella e sventola segnali di stoffa nell’aria: “Ciao, sono qui”. C’è qualcuno? Una bandierina che sventola, un messaggio di solitudine in bottiglia. Dall’altra parte qualcuno fa altrettanto. Chi è? Sarà lui? “Era proprio Vito, ci eravamo incrociati tramite un’altra ragazza che era in cella con me e che continuava a parlarmene. Così è come se fosse già stato un mio amico. In carcere l’amore scatta subito, basta poco”. Il cuore sale sull’ottovolante, non è come fuori. Ovunque la passione grida, nel carcere grida come può. “Il panneggio per me era diventato un’ossessione - riprende Mari - c’è stato un periodo in cui andavo a lavorare, in lavanderia o come badante di una detenuta invalida. Lei era in isolamento e da lì non si panneggia. Allora la mattina prima di uscire io e Vito ci si dava il buongiorno sventolando i nostri stracci e poi si contavano le ore e si riprendeva quello strano modo di parlare, a sera”. Lo straccio ha il suo alfabeto: se è rosso vuol dire che il soggetto è occupato, se è nero meglio girare alla larga, se è bianco e steso come un lino ad asciugare tra le sbarre, vuol dire che si aspetta una chiamata. L’altra metà di Sollicciano è in linea. Ma ci sentite da lì? Roma: una “Scuola del sociale” dedicata a Stefano Cucchi, presentato fumetto-denuncia Ansa, 5 giugno 2010 Dando seguito al voto unanime del consiglio provinciale, dedicheremo la “Scuola del sociale”, un prestigioso ed autorevole istituto sulla Via Cassia, alla memoria di Stefano Cucchi. Lo ha annunciato l’assessore provinciale al Lavoro e alla Formazione professionale, Massimiliano Smeriglio, a margine della presentazione del fumetto “Non mi uccise la morte”, dedicato al ragazzo morto. Nel corso dell’evento, che si svolge alla “Casetta rossa” della Garbatella, coordinato dal consigliere provinciale di Sel, Gianluca Peciola, Smeriglio ha aggiunto: “La Scuola del Sociale, presieduta da Giulio Marcon, uno dei massimi esperti di economia sociale, ci è sembrato il luogo più adatto per onorare la memoria di Cucchi, perché qui si formano operatori sociali, sanitari, del volontariato e di tutto il terzo settore. Concorderemo l’inaugurazione della targa con i familiari e i consiglieri provinciali, comunque avverrà entro 20 giorni”. Soddisfatto il consigliere Peciola, primo firmatario della mozione per l’intitolazione di un istituto di formazione professionale a Stefano Cucchi: “È importante che l’assessore Smeriglio abbia attuato le indicazioni della mozione, intestandogli la Scuola del Sociale in cui si formano operatori del settore. Aspettiamo ancora la verità su Cucchi, perché quella giudiziaria non ci pare aver fatto luce sulla catena di responsabilità istituzionali che hanno portato alla sua tragica morte”. Non mi uccise la morte, storia di Stefano Cucchi Un fumetto triste, di denuncia. Una storia vera. Il volto di un ragazzo entrato vivo in una prigione e uscito morto da un ospedale. È tutto questo “Non mi uccise la morte, storia di Stefano Cucchi”, la graphic novel nata dalla penna di Luca Moretti e Toni Bruno ed edita da Castelvecchi. Il libro è stato presentato questa sera nello spazio socio-culturale di Roma Casetta Rossa dal consigliere provinciale Gianluca Peciola (Sel), alla presenza degli autori, del padre di Stefano, Giovanni Cucchi, e dei dj che proprio oggi hanno portato la “discoteca” nel carcere femminile di Rebibbia. Le tavole, in bianco e nero, raccontano l’arresto di Cucchi e il suo calvario dal carcere all’ospedale Sandro Pertini dove è morto alle 06.45 dello scorso 22 ottobre. Parallelamente raffigurano il dramma vissuto dalla sua famiglia, dei suoi genitori “che non si sono arresi” e hanno denunciato questa storia che ha scosso l’opinione pubblica. Con in sottofondo la musica di Fabrizio De Andrè il disegnatore Toni Bruno ha spiegato “Il fumetto ha sempre avuto il compito di dare delle informazioni che il popolo non poteva prendere altrove. Questo è anche il nostro caso”. “Oggi è stata una giornata importante per Roma, dedicata ai diritti dei detenuti - ha aggiunto Peciola - questo pomeriggio le donne di Rebibbia hanno potuto danzare grazie all’iniziativa “Due ore d’aria”, ora presentiamo il libro su Cucchi. Lo facciamo per chiedere verità: affinché le responsabilità istituzionali vengano a galla e le carceri non siano mai più luoghi di morte”. Eboli (Sa): il miglior video sulla sicurezza è quello dei giovani detenuti dell’Icatt Asca, 5 giugno 2010 Periferia, un giovane alle prese con una dose di eroina, si accascia in un prato. Nuvole, musica plumbea. Poi cambia, U2, s’affaccia il sole, arriva una bambina che vuol giocare, vorrebbe. Tiene in mano un bambolotto, dietro l’albero trova il ragazzo, quello di prima, quella della droga, il bambolotto le cade di mano, lo riprende, per portarlo via e metterlo al riparo. Non è quello il gioco che voleva. Ma poi ci ripensa, torna indietro, con un pezzo di stoffa bagnato, le appoggia sulla fronte del ragazzo, lo sveglia, lo aiuta, lo prende per mano e lo porta via. C’è una speranza. Va saputa coltivare. Sono quattro minuti intensi quelli del video dal titolo “Io so dove si nasconde il sole” che ha vinto il riconoscimento speciale, settore tecniche multimediali, del progetto “Un poliziotto un amico in più” riservato a tutte le scuole di ordine e grado. Gli autori del video, sezione scuola secondaria, sono i giovani detenuti della Icatt di Salerno, l’Istituto di custodia cautelare attenuata riservato a giovani con condanne definitive da 1 a 4 anni. “Lavoro acuto e intelligente - si legge nella motivazione - la scelta stilistica rivela che i ragazzi hanno veramente svolto un lavoro prima che artistico, intellettuale di riflessione e rielaborazione personale”. Ricominciare dall’educazione, anche quella civica. Farlo dalle scuole, anche quelle dell’infanzia. E avere come interlocutore - perché no - anche un poliziotto. “Un poliziotto un amico in più” è il progetto patrocinato da ministero dell’Interno e ministero della Pubblica istruzione che anche quest’anno, alla fine dell’anno scolastico, assegna il premio alla classe che ha saputo interpretare meglio, nel modo più originale e compiuto, il tema: “Insieme per un ambiente sicuro”. Hanno partecipato decine di scuole di 37 provincie. Il liceo artistico-linguistico di Biella ha vinto con il lavoro Protection il primo premio riservato alle scuola secondarie di II grado. Le tre prime dell’istituto Quadrio di Sondrio hanno vinto realizzando un plastico. La scuola Don Milano di Sarteano (Siena) s’è inventata un gioco di società. Rebecca Detti e Luca Maltinti, alunni della 2B del liceo scientifico G.Marconi di San Miniato, hanno scritto un racconto, “Madre”. I ragazzi dell’istituto Iccat di Salerno sono pensato e poi scritto e infine girato il video dopo vari incontri organizzati dal questore di Salerno tra gli agenti e i giovani detenuti. Immigrazione: fiamme, cancelli divelti e feriti, cronaca della rivolta al Cie di Ponte Galeria di Giulio Mancini Il Messaggero, 5 giugno 2010 Materassi in fiamme, cancelli scardinati e bocchette antincendio divelte dal pavimento. Due carabinieri feriti, nove stranieri arrestati e cinque evasi. Notte d’inferno al Cie, Centro immigrazione di Ponte Galeria. L’ennesima rivolta che ha messo a dura prova le forze dell’ordine. Ci hanno riprovato dopo appena 48 ore. E stavolta gli algerini, indicati come gli ultimi arrivati e i più turbolenti, sono riusciti ad aggregare anche qualche marocchino, quale egiziano e qualche tunisino. Così coalizzati, poco dopo le 23, hanno tentato una fuga di massa mettendo a ferro e fuoco la struttura distesa lungo la via Portuense. Cinque di loro ci sono riusciti: mentre tutti gli sforzi della vigilanza coordinati dall’Ufficio Stranieri della Questura erano concentrati sul fronte stradale, quattro algerini e un marocchino sono riusciti a scavalcare il muro che fiancheggia la ferrovia Roma-Fiumicino e si sono dileguati nella notte. Uno di loro, un algerino di 24 anni, è stato bloccato alle 11 di ieri mattina mentre si aggirava a poche decine di metri dal terminal dell’aeroporto. Tutto è esploso inaspettatamente per opera di un manipolo di quattordici persone. Il personale di sorveglianza aveva accolto la richiesta dei mussulmani di poter pregare ancora per un quarto d’ora nella loro moschea. E questa concessione è stato il via libera per l’azione. Mentre alcuni di loro riuscivano a strappare dal muro le manichette metalliche antincendio, e con quelle spaccavano i lucchetti di un paio di porte e ringhiere, gli altri sradicavano dai cardini un grosso cancello. Usandolo come ariete, con quell’artiglio di ferro riuscivano ad abbattere ogni barriera si trovasse sul loro percorso. In questo blitz rapidissimo, il fronte dei rivoltosi si divideva in due gruppi. Aiutati da complici che davano alle fiamme materassi e cuscini per creare una coltre di fumo e offuscare la visione delle telecamere di sorveglianza, un primo branco fronteggiava agenti e militari. Una seconda squadra, invece, riusciva ad arrivare al muro di cinta e usava il cancello-ariete come scala per scavalcarlo. In queste fasi concitate ci sono stati scontri fisici. Due carabinieri sono rimasti feriti: uno ne avrà per sette giorni, l’altro per cinque. Alla fine, dopo un’ora di tafferugli, le forze dell’ordine sono riuscite a riportare sotto controllo la situazione. Ed è stato a quel punto, quando si è fatto il riscontro tra i fermati, ci si è accorti che in cinque erano riusciti a fuggire. Ad eccezione dell’evaso rintracciato nella mattinata, sono ricercati tre algerini (due di 24 anni e uno di 21) e un marocchino di 23. Sono stati arrestati per resistenza, lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamenti altri nove immigrati (arresti convalidati, processo fissato per il 22 luglio): due egiziani di 21 e 26 anni, tre marocchini di 24 e 33 anni, due algerini di 21 e 35 anni, un tunisino di 49 e un romeno di 20. Evasi ed arrestati sono tutti pluripregiudicati per reati che vanno dalla rapina, agli stupefacenti, alla detenzione di armi, alle lesioni personali, alla ricettazione, all’incendio doloso. Il Garante per i detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, dopo un sopralluogo al Cie ha sottolineato che “il problema da affrontare è come conciliare ospitalità e sicurezza in questo posto, che non deve essere considerato un carcere”. “Quanto accaduto è l’ennesima dimostrazione che la situazione è ormai esplosiva e che le condizioni di vita dei migranti reclusi, disposti a tutto pur di lasciare il Centro, sono disumane denunciano Ivano Peduzzi e Stefano Galieni della Federazione della Sinistra Per questo motivo, intendiamo rientrare al più presto nel Cie di Ponte Galeria, questa volta accompagnati dalla delegazione di avvocati e giornalisti a cui è stato impedito l’accesso durante il sopralluogo della settimana scorsa”. Svizzera: detenuto di 38 anni detenuto muore durante il trasporto ospedale Asnsa, 5 giugno 2010 Un detenuto del penitenziario di Schöngrün a Soletta è morto ieri durante il trasporto all’ospedale. Non si conoscono le cause del decesso. La salma è stata trasferita all’istituto di medicina legale per un’autopsia. L’uomo, un bernese di 38 anni, si era lamentato di avere problemi di salute e il medico della prigione ne aveva ordinato il ricovero in ospedale. Durante il trasferimento, il suo stato di salute è rapidamente deteriorato. La morte è stata costatata poco dopo, precisa oggi la polizia solettese.