Giustizia: il magistrato di sorveglianza non incontra i detenuti perché è senza automobile di Stefano Anastasia Terra, 4 giugno 2010 La riforma delle intercettazioni è tornata in Commissione. Cercheranno il modo di far quadrare il cerchio, tra le motivazioni manifeste e quelle latenti, tra gli intendimenti degli uni e quelli degli altri. Vedremo cosa ne uscirà, se servirà a qualcosa, e a chi. Prima di essere frenato dai suoi gerarchi, Berlusconi si è buttato lancia in resta sulle “grandi riforme”, tra cui primeggia - nella sua testa - quella della giustizia. Lasciamo perdere il merito, e stiamo al metodo, che si potrebbe definire “induttivo”. La forza di Berlusconi, si sa, è nel proporsi come un uomo comune, che si è fatto da sé e che ha avuto successo; nulla a che vedere con quei politicanti che non hanno mai lavorato o quelli che sanno tutto solo per averlo studiato sui libri. Berlusconi è “uno di noi”, come si direbbe in curva, e “uno di noi” non ragiona per massimi sistemi. Le proposte di Berlusconi sono le conseguenti considerazioni di un uomo comune sulle proprie esperienze quotidiane. Lo inseguono e lo accusano metà delle procure d’Italia, lui fa esperienza, vede come funziona la giustizia, e ne propone le riforme: intercettazioni, prescrizioni,… I malpensanti potranno chiamarle “leggi ad personam”, ma è solo metodo induttivo. Se Berlusconi fosse proprio “uno di noi”, questo metodo potrebbe anche funzionare, ma non lo è; e allora, in assenza dell’idealtipo della vittima della giustizia, si potrebbe partire da un’altra parte, da un’altra storia. Perché non da Franco? 61 anni, originario del napoletano, condannato a 10 anni e spiccioli per fatti di droghe, contesta la sua perdurante assegnazione al circuito di Alta sicurezza, cui è costretto da una delle sue condanne, già completamente espiata. Ma non è questo, ora, che ci interessa, quanto un curioso allegato alla sua missiva. Avrebbe voluto parlare con il magistrato di sorveglianza, della sua condizione e della possibilità di cominciare ad avere qualche permesso, avendo scontato buona parte della pena. Avrebbe voluto, ma il 20 febbraio scorso il direttore del carcere di Piacenza ha fatto affiggere il seguente “avviso alla popolazione detenuta”: “A richiesta dello stesso, si comunica che il magistrato di sorveglianza ha fatto conoscere che nei prossimi mesi, per problemi relativi alla mancanza di automezzo, non potrà recarsi presso l’istituto penitenziario al fine di effettuare colloqui con i detenuti”. Niente soldi, niente auto, niente colloqui, nessun giudice? E non era ancora stata approvata la manovra economica… Induzione per induzione, perché non partire dai problemi di Franco e dei suoi compagni di sventura, se si vuole riformare la giustizia? Giustizia: Iacolino (Ppe); dall’Ue maggiori risorse per migliorare le condizioni dei detenuti Italpress, 4 giugno 2010 “Da qualche tempo avevamo avviato attività per migliorare le condizioni, comprese quelle alberghiere, dei detenuti e per favorirne la riabilitazione attraverso programmi di reinserimento sociale, previste nella Risoluzione sul Programma di Stoccolma votata in Parlamento il 25 novembre 2009, sulla base di apposito emendamento proposto dal Partito Popolare Europeo in sede di Commissione Libertà e Giustizia”. Lo dice l’europarlamentare Salvatore Iacolino in merito alla decisione del Parlamento Europeo di intervenire con significativi sforzi finanziari per migliorare le condizioni alberghiere dei detenuti. Previsti, inoltre, interventi concreti in tema di contrasto alla droga. Iacolino sottolinea che “anche in tema di contrasto alla droga, nella medesima Risoluzione, era stato previsto un potenziamento delle iniziative relative alle attività di prevenzione e di riabilitazione nel presupposto che, quotidianamente, secondo i dati dell’Osservatorio di Lisbona, 3 milioni di persone che vivono in Europa fanno quotidianamente uso di sostanze stupefacenti. Adesso, sulla base di specifici emendamenti voluti dal Ppe, la Commissione Budget ha approvato maggiori risorse finanziarie per migliorare le condizioni dei detenuti attraverso ulteriori misure di inclusione sociale che dovrebbero sostenerne il cammino verso la riabilitazione e il mercato del lavoro. Nel contempo, l’apposito testo approvato, prevede esplicitamente iniziative per il contrasto alla droga quale priorità del Parlamento Europeo per il 2011. É un successo - conclude - del Partito Popolare Europeo, che intende giocare un ruolo di primo piano nella elaborazione del Piano Antidroga, in particolare a valere per gli anni 2013-2020”. Giustizia: in Italia sono 75 mila i bambini che hanno almeno un genitore in carcere Ansa, 4 giugno 2010 In Italia i bambini che hanno genitori in carcere sono 75 mila. In Europa più di 800.000. Dati forniti dalla onlus Bambini Senza Sbarre, che dal 1996 si occupa del supporto alla genitorialità negli istituti di pena, durante una mostra in cui sono esposti i disegni dei figli dei detenuti delle carceri milanesi di San Vittore e Bollate. I disegni sono stati realizzato nel cosiddetto spazio giallo, una sorta di “sala di attesa”, dove i bambini si preparano al colloquio con la madre o il padre. Obiettivo della mostra “portare allo scoperto bambini che sono invisibili”, ha spiegato Lia Sacerdote, presidente di Bambini Senza Sbarre, che insieme a un network di associazioni di 14 paesi europei ha organizzato la prima settimana europea di sensibilizzazione per i figli dei detenuti. Un evento che si concluderà il 6 giugno e si articola in una serie di iniziative volte a mettere in evidenza una situazione “Il carcere spesso continua ad essere considerato una realtà separata, che riguarda solo i detenuti, mentre coinvolge i loro figli, le loro famiglie, e l’intera società” ha aggiunto la Sacerdote, secondo cui è fondamentale riuscire a far proseguire quel rapporto tra genitori e figli che la detenzione interrompe bruscamente. “Chiediamo che le carceri si attrezzino per accogliere nel miglior modo possibile questi bambini e che il mondo esterno non li discrimini o li escluda”, conclude la responsabile dell’associazione. Giustizia: lavoro in carcere, una “finestra” sul mondo, ecco l’esperienza di Rebibbia Redattore Sociale, 4 giugno 2010 Una fabbrica di infissi con macchinari all’avanguardia dà lavoro a 2 lavoratori detenuti e a un capo d’arte. A gestirla è Panta coop, che per metterla su ha speso oltre 200 mila euro. Pellegrini: “Importanti le agevolazioni della legge Smuraglia”. Il lavoro in carcere è una “finestra” sul mondo: è quello che accade, letteralmente, all’interno della Casa di reclusione di Roma Rebibbia, dove esiste un laboratorio che fabbrica infissi in alluminio. Dotato delle più moderne attrezzature e di macchinari all’avanguardia, il laboratorio è stato aperto nel 2008 dalla cooperativa Panta Coop e per il momento impiega due lavoratori e un capo d’arte. Allestita in un vecchio laboratorio da tempo fuori uso, la fabbrica è in grado di produrre portoni, finestre, grate ecc. a prezzi competitivi, grazie alle agevolazioni fiscali di cui la cooperativa gode in nome della legge 193 del 2000, meglio conosciuta come legge Smuraglia. A dirigere l’impresa è Mauro Pellegrini, presidente di Panta Coop. “Abbiamo iniziato con la formazione di alcuni detenuti all’interno dell’istituto di Rebibbia: un percorso durato sei mesi, al termine del quale sono state assunte due persone, oltre al tecnico. L’obiettivo del progetto è dare una professione a queste persone e far sì che quando raggiungono i benefici di legge possano passare dalle attività della cooperativa all’interno del carcere a quelle esterne. Qual è la prima condizione necessaria perché un progetto come questo possa svolgersi? La collaborazione di chi amministra l’istituto: se si trova un’ammirazione sensibile e aperta al tema della formazione e dell’inserimento dei detenuti, l’attività si porta avanti senza difficoltà. Noi dobbiamo rispettare esigenze di mercato: tempi di consegna e prezzi. Un’amministrazione non collaborativa ci impedisce di rispettare queste regole e quindi di portare avanti progetti come questo Su quali criteri vi siete basati per la selezione dei lavoratori? Il corso di formazione era aperto a tutti, abbiamo semplicemente pubblicato un avviso. Invece, in base a una prova d’arte, abbiamo proceduto alle assunzioni Quali sono le condizioni contrattuali dei lavoratori detenuti? Ci atteniamo completamente al contratto collettivo nazionale delle cooperative sociali Di quali agevolazioni gode la cooperativa nello svolgimento di questa attività? La Smuraglia ci concede di non pagare una quota di contributi: praticamente, risparmiamo 512 euro mensili per chi ogni lavoratore full ime. Poi, va considerato che i locali sono messi a disposizione gratuitamente da amministrazione, dobbiamo pagare solo una quota dell’elettricità. I costi che abbiamo sostenuto riguardano invece la ristrutturazione dei locali, la messa a norma e i macchinari. Quanto vi è costato mettere su questo laboratorio? Oltre 200 mila euro. Chi sono i vostri clienti? Lavoriamo soprattutto per privati, ma anche per entri e costruttori. Adesso, per esempio, stiamo lavorando l’ordine di un grande centro sportivo Chi compra i vostri infissi sa da dove arrivano? Dipende: per ogni singolo caso, decidiamo se sia opportuno o meno rivelare la fonte. C’è chi non comprerebbe mai un prodotto, se sapesse che è fabbricato da detenuti; e chi invece, più sensibile, considera questo un valore aggiunto. Ad ogni modo, nel mercato vige una sola regola: il rapporto qualità/prezzo. E su questo noi siamo concorrenziali: grazie alle agevolazioni di cui godiamo, possiamo abbattere i prezzi Un esempio? Quanto sono convenienti i vostri prodotti? Un effetto legno sul mercato esterno, comprato, a un cliente privato arriva a 380 euro a metro quadro. Noi proponiamo lo stesso prodotto al 25% in meno. Per questo, anche nei mesi di maggiore crisi e nei momenti più difficili, abbiamo sempre lavorato e non abbiamo mandato via nessuno L’esperienza lavorativa aiuta a non ricadere nel crimine? Sì, anche se molto dipende dall’ambiente in cui il detenuto dimesso va a reinserirsi. Il lavoro mostra che esiste un’altra forma di società e che si può vivere dignitosamente senza delinquere. Molti non sapevano neanche di avere un interesse: proponendo queste attività, hanno scoperto interessi completamente diversi dal delinquere. Giustizia: il direttore di Rebibbia; il carcere non deve essere luogo del nulla Redattore Sociale, 4 giugno 2010 Parla il direttore della Casa di reclusione di Rebibbia: “Accanto ai servizi alle dipendenze dell’amministrazione, stiamo rilanciando le attività produttive, affidate a cooperative sociali. Così il detenuto lavorante diventa lavoratore detenuto”. “Il carcere non deve essere luogo del nulla, una parentesi vuota: se parentesi è, va riempita di contenuti. E questo compito spetta soprattutto al lavoro”: Stefano Ricca, direttore della Casa di Reclusione di Rebibbia dal giugno del 2000, non ha dubbi: il lavoro “deve essere il perno intorno al quale ruota la vita penitenziaria: un diritto che, in base all’ordinamento penitenziario, diventa obbligo per tutti i detenuti con pena definitiva” Ma di cosa parliamo quando parliamo di lavoro in carcere? Le attività lavorative in carcere si distinguono in due tipologie: da una parte, quelle tradizionali, che possiamo chiamare servizi, che sono legate al mantenimento della struttura (pulizia, facchinaggio, piccola manutenzione ecc.) e si svolgono alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. In questo caso, la retribuzione corrisposta dall’amministrazione è quella prevista dall’ordinamento ed è inferiore a quella del Ccnl. Personalmente, ritengo che queste attività siano insoddisfacenti dal punto di vista quantitativo, ma anche qualitativo, perché non richiedono competenze professionali. Per questo, ho deciso di incrementare l’altra tipologia di lavoro in carcere: le attività industriali e produttive, di cui si occupa le legge n. 193/2000, meglio nota come legge Smuraglia. Questa prevede l’affidamento a soggetti esterni, soprattutto cooperative sociali, di attività produttive, da attivare in laboratori che la stessa cooperativa si impegna ad allestire. In questo modo, alle dipendenze della cooperativa e con una retribuzione dettata dal Ccnl, cambia l’identità del detenuto: da detenuto lavorante si trasforma in lavoratore detenuto. E acquisisce competenze professionali, che potranno servirgli al momento della dimissione per un reinserimento nella società. A Rebibbia, quanti sono i detenuti che lavorano? Su un totale di circa 230 detenuti (esclusi quelli semiliberi), una cinquantina lavorano nei servizi alle dipendenze dell’amministrazione, mentre circa 30 sono stati assunti dalle diverse cooperative a cui abbiamo affidato le attività produttive: tra queste, la Panta Coop per il laboratorio d’infissi in alluminio, la Syntax Error per il confezionamento dei pasti, la Spazio verde per la gestione dell’azienda agricola annessa all’Istituto e presto anche per la gestione della raccolta differenziata dei rifiuti, la Coos per la carrozzeria. Da cosa dipende lo scarto tra domanda e offerta di lavoro all’interno del carcere? Il lavoro in carcere è poco in relazione alle poche attività che effettivamente possono svolgersi dentro un istituto. Sarebbe auspicabile che gli istituti avessero maggiori spazi per le attività lavorative, ma è necessaria anche una maggiore disponibilità da parte delle cooperative: ancora oggi, pochi imprenditori conoscono i vantaggi offerti dalla normativa. E comunque non tutti sono disposti a sperimentarsi in un carcere Quale impatto ha l’esperienza lavorativa in carcere sulla possibilità di recidiva del detenuto? Statistiche specifiche su questo non esistono. Sappiamo però che l’indice di recidiva è pari al 75% per i soggetti dimessi che abbiano espiato per intero la condanna, mentre si riduce al 25% per coloro che abbiano godute di misure alternative, quindi abbiano svolto lavoro all’esterno o in semilibertà Perché allora si ricorre così poco alle misure alternative? Uno dei presupposti per l’ammissione alla misura alternativa è che il soggetto abbia un’attività lavorativa stabile. Siccome non c’è questa disponibilità della società e delle imprese a dare queste opportunità lavorative, anche i soggetti con i requisiti previsti da norma restano in carcere fino alla scadenza della pena. Quanto costa all’amministrazione penitenziaria il lavoro in carcere? Per quanto riguarda le attività produttive, il costo è pari a zero, ma serve un dispendio notevole di energie per tessere i rapporti con i soggetti esterni. L’impiego nei servi alle dipendenze dell’amministrazione ci costa invece circa 500.000 euro l’anno. Quanto pesa il sovraffollamento delle carceri sull’inadeguatezza dell’offerta di lavoro? Poco, È vero che i detenuti sono in eccedenza rispetto alla capienza delle strutture. Qui a Rebibbia per fortuna non abbiamo questo problema. Ed è vero che organici e personale, come pure risorse finanziarie, sono inadeguati. Ma anche se i detenuti fosse in numero regolamentare, non riusciremmo a dar lavoro a tutti, perché sono poche le attività da svolgere in istituto. Come vede il futuro del sistema penitenziario italiano, rispetto ai nodi che in questi anni stanno venendo al pettine, primo fra tutti il sovraffollamento? Come giudica le ipotesi di cui si sta discutendo in questi giorni? Le prospettive per il futuro a medio termine credo siano positive: credo che buone soluzioni possano essere offerte dal piano carcere, con la costruzione di nuove sezioni detentive e l’assunzione di nuovo personale di polizia penitenziaria, come pure dal disegno di legge all’esame del Parlamento, che prevede la possibilità di ammissione alla detenzione domiciliare per i detenuti in espiazione dell’ultimo anno Non condivide quindi l’allarme di chi teme che possano uscire dal carcere elementi socialmente pericolosi? I detenuti che espiano l’ultimo anno di pena, se non uscissero domani uscirebbero tra un anno più domani. Sarebbe quindi opportuno comunque creare percorsi per un graduale rientro, oltre naturalmente ai dovuti controlli. Giustizia: la testimonianza; il lavoro in carcere ti dà il senso del reinserimento Redattore Sociale, 4 giugno 2010 “Qui dentro è importante non perdere tempo, non oziare, sfruttare ogni occasione. Mandare quella piccola somma a casa mi fa essere più vivo, mi fa sentire di appartenere ancora alla società”. La testimonianza dei lavoratori del laboratorio di infissi di Rebibbia. “Il lavoro in carcere ti dà un senso di reinserimento: qui dentro è importante non perdere tempo, non oziare, sfruttare tutto quello che ci viene offerto: scuola, sport, lavoro”: Massimo Tata è uno dei lavoratori detenuti della fabbrica di infissi di Roma Rebibbia. In carcere dal 1994, sa bene “cosa significhi per un detenuto avere un lavoro: mandare quella piccola somma a tua moglie e ai tuoi figli ti fa essere più vivo, ti fa sentire di appartenere ancora alla società esterna”. Massimo, insieme al collega Luigi e al capo d’arte Carlo, lavora nel laboratorio 6 ore e 40 minuti ogni giorno: “Sono 6 ore e 40 di evasione dalla monotonia della detenzione - È uno spazio in cui non c’è distinzione tra detenuto e persona libera: all’interno del momento lavorativo, si lavora e basta e siamo tutti uguali. Purtroppo - denuncia - sono ancora troppo pochi quelli che hanno la possibilità di lavorare in carcere, anche a causa del sovraffollamento degli istituti. Io mi considero fortunato: chissà, forse questo mestiere potrebbe essere una prospettiva per quando sarò un uomo libero. Finalmente”. Luigi lavora qui da 16 mesi e “sto imparando un mestiere. Fuori da qui non ho mai avuto l’opportunità di imparare un lavoro. Non immaginavo proprio che il carcere potesse insegnarmi qualcosa!”. Giustizia: Osapp; durante la notte solo 1.700 agenti per vigilare 69mila detenuti Il Velino, 4 giugno 2010 “In Italia sono oltre 1.700 gli appartenenti alla polizia penitenziaria che ogni notte provvedono alla sorveglianza di oltre 200 istituti penitenziari per adulti e circa 20 istituti per minori per una media che, stanti le attuali capienze delle carceri, è di 42 detenuti a testa e che tenuto conto dei servizi esterni diventa anche, soprattutto nelle grandi strutture, di 100/150 detenuti, ovvero dalle due alle tre sezioni detentive per ciascun agente ogni notte”. Ad affermalo è il segretario generale dell’Osapp Leo Beneduci che aggiunge: “Ma la media dei detenuti su cui vigilare durante i servizi di c.d. di “prima”, ovvero pomeridiano-serali, per circa 6.000 unità di polizia penitenziaria in servizio operativo in quegli orari è di appena la metà inferiore e pari a 1 agente per 40/80 detenuti, mentre tale media si riduce ulteriormente solo del 50 per cento (20 detenuti ogni agente presente) a fronte delle 13mila unità in turnazione interna, durante i servizi dalle 8 alle 16. Sono dati che dovrebbero far riflettere profondamente sia rispetto all’incremento esponenziale dei suicidi nella popolazione detenuta - prosegue il sindacalista - sia riguardo all’aumento complessivo degli episodi di violenza in carcere per risse ed aggressioni, che sono da mettere in relazione alla minore tenuta del sistema in termini di funzionalità e di sicurezza interna-esterna, e che, soprattutto, dovrebbero preoccupare chi immaginava di risolvere il problema del carcere in Italia spendendo cifre anche ingenti per costruire infrastrutture penitenziarie e senza investire in servizi e in personale soprattutto di polizia penitenziaria”. “Anche osservando i dati della crescita numerica dei detenuti nelle patrie galere - spiega Benedici -, il sovraffollamento non si è certo fermato, visto che gli incrementi sono passati dai 200/250 settimanali nei mesi di febbraio-marzo ai 100/120 di aprile-maggio, secondo una tendenza periodica che non implica comunque saturazioni tra ingressi ed uscite da e per il carcere. Se quindi - conclude il segretario dell’Osapp - il maggiore e più grave rilievo che muoviamo all’attuale capo del Dap Ionta, oltre alla scarsità di iniziative dal punto di vista gestionale e organizzativo, per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro nelle carceri, è quello di avere indirizzato l’attenzione della politica e persino dell’opinione pubblica verso la panacea di un piano-carceri di sola edilizia, quanto ci allarma all’inverosimile sono le imprecisioni dei Sottosegretari alla Giustizia quali e ultime quelle della dott.ssa Casellati, nonché l’assenza al problema del ministro Alfano in particolare e del Governo nel suo complesso e che preludono, a nostro avviso, al più grande e disastroso fallimento della storia penitenziaria italiana”. Giustizia: Osapp; meglio che la Polizia penitenziaria dipenda da Maroni Adnkronos, 4 giugno 2010 “Nulla dal Ministero della Giustizia e dal Capo del Dap Ionta per la Polizia Penitenziaria. Meglio il passaggio del Corpo alle dipendenze del Ministro dell’Interno Maroni”. È quanto afferma Leo Beneduci, segretario del sindacato di polizia penitenziaria Osapp commentando le parole del Capo del Dipartimento e del sottosegretario Casellati, sulla possibilità cioè che il Governo disponga nuove assunzioni per 2 mila unità di polizia penitenziaria in più, grazie al ddl sulla carcerazione domiciliare. “I nuovi posti di lavoro promessi da Berlusconi non ci saranno - dice - e questo perché in alcun testo all’esame del Parlamento né tantomeno in quello sulla detenzione domiciliare è mai esistito un dispositivo di tale contenuto”. L’Osapp fa notare che invece, “nonostante le riduzioni conseguenti alla nuova manovra finanziaria, permangono vigenti e spendibili i 600 milioni di euro per il piano di edilizia penitenziaria, che alle attuali condizioni corrisponderanno a 600 milioni in opere inutilizzabili”. “Se tale è la considerazione nei nostri confronti - spiega Beneduci - ci chiediamo che senso abbia per i poliziotti penitenziari italiani permanere alle dipendenze degli attuali Ministro e Sottosegretari della Giustizia, nonché di un Capo di Dipartimento che percepisce un’indennità aggiuntiva di 400 mila euro l’anno proprio grazie al Corpo, e se, invece, vista la strenua difesa dei propri uomini sostenuta anche in Consiglio dei Ministri, non sia più utile, anche per la sicurezza della Collettività, il passaggio della polizia penitenziaria alle dipendenze del Ministro dell’Interno Maroni”. Campania: Uil; carceri superaffollate oltre il 141%, se c’è un piano carceri si attui subito Il Velino, 4 giugno 2010 “La situazione della Campania non è la peggiore, ma la situazione è ugualmente rischiosa: bisogna intervenire subito, per questo ho scritto al Premier” lo dice al Velino Eugenio Sarno segretario nazionale della Uil Penitenziaria. Quali sono i numeri della situazione carceraria in Campania? Gli ultimi dati evidenziano che siamo a quota 7.850 detenuti, a fronte di una capienza di 5.506: l’indice di affollamento è al 141%. Così si rischia il peggio. Cosa ha scritto al Presidente Berlusconi? Ho chiesto di intervenire il più rapidamente possibile: in Italia è oramai un triste ritornello quello dei penitenziari super affollati. Se c’è un piano carceri si attui subito. Sarebbe favorevole alla possibilità di affidare il controllo delle misure alternative alla Polizia Penitenziaria? Questa è una proposta del Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli Angelica Di Giovanni. Ne abbiamo discusso più volte, l’ultima, quando abbiamo visitato gli istituti penitenziari della Campania. Un maggiore ricorso alla pena alternativa è necessario, ma per evitare l’allarme sociale bisogna organizzare il controllo. Nei compiti istituzionali della polizia penitenziaria ci sarebbe il controllo delle misure alternative. Quindi? Guardi non solo siamo d’accordo e pronti, le dirò di più: su quest’ipotesi c’era il sì anche dell’allora Guardasigilli Mastella e dell’ex direttore del Dap Ferrara. Eravamo in una fase avanzata del progetto, poi tutto si è fermato. Se passasse questa competenza alla Polizia Penitenziaria, il Ministro Maroni non dovrebbe chiedere oggi 1.500 poliziotti e 1.500 Carabinieri per l’attuazione del decreto sulle carceri. Quali altre proposte servirebbero ad arginare il sovraffollamento? Io mi faccio carico delle difficoltà della magistratura di Sorveglianza: per esaltarne le funzioni è arrivato il momento di adeguarci agli altri Paesi Europei, sgravare di lavoro la Sorveglianza affidando alcune competenze ai dirigenti penitenziari. Un esempio? I direttori delle carceri oggi devono dare un parere ai magistrati, parere che è di fatto fondamentale, per concedere ai detenuti alcuni benefici previsti dall’ordinamento come la liberazione anticipata. Un automatismo derivante dal comportamento in carcere. È praticamente inutile gravare di quest’ulteriore incombenza la Sorveglianza e questo vale anche per permessi e licenze. Milano: tra i detenuti di San Vittore monta la protesta, anche fuoco alle lenzuola Agi, 4 giugno 2010 Da due giorni ormai, nel tardo pomeriggio per un paio di ore, i detenuti ristretti all’interno della casa circondariale di Milano San Vittore protestano nei confronti del sovraffollamento dell’istituto, a questo punto al di sopra della soglia di guardia, e delle conseguenti precarie condizioni detentive. Protestano da due giorni i detenuti del carcere milanese di San Vittore contro il sovraffollamento e le conseguenti precarie condizioni di vita. Una protesta che vuole farsi sentire: per un paio d’ore ogni sera, a partire dalle 18.30/19, i detenuti battono pentole, coperchi, inferriate e tutto quanto possa fare rumore. “Qualcuno brucia le lenzuola della cella e altri fanno esplodere qualche bomboletta di gas monouso”, spiega Angelo Urso, segretario nazionale della Uil Pa penitenziari. A parte il rumore e i danni alle suppellettili - garantisce il sindacalista - non si registrano situazioni critiche nei confronti del personale di polizia penitenziaria, che è però in stato di allerta. “San Vittore - dice Urso - dovrebbe ospitare 900 detenuti ma oggi ne conta 1.592. Le richieste di sfollamento vanno a rilento perché la ricettività nazionale è ormai al limite. Si registrano anche difficoltà ad attuare i trasferimenti”. “Quand’anche arrivasse lo sfollamento - prosegue il sindacalista - si dovrebbe poi fare i conti con le difficoltà ad acquistare i biglietti aerei perché i fondi sono esauriti da un pezzo e, anzi, l’istituto ha centomila euro di debiti con le agenzie di viaggio”. Il sindacato ha chiesto anche, in una lettera inviata ieri, l’intervento del presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, che “a gennaio aveva proclamato lo stato di emergenza nazionale nelle carceri. Ad un provvedimento del genere - spiega ancora Urso - avrebbero dovuto seguire provvedimenti urgenti e adeguati che, invece, non ci sono stati”. La ricettività delle strutture non è sufficiente, lamenta il sindacato. Il personale di polizia penitenziaria - spiegano - continua a diminuire per effetto dei pensionamenti e del mancato turnover, le risorse economiche diminuiscono per effetto dei tagli e la condizione degli istituti penitenziari si fa sempre più drammatica, soprattutto per chi ci lavora. Padova: Uil; in corso “rumorosa protesta” dei detenuti contro il sovraffollamento Agi, 4 giugno 2010 I detenuti ristretti presso i due istituti penitenziari di Padova, da ieri sera, hanno iniziato una “rumorosa protesta” messa in atto attraverso la battitura delle stoviglie sulle grate e sui cancelli delle celle. Da oggi è stato annunciato anche il rifiuto del vitto fornito dall’Amministrazione. A darne comunicazione è il segretario della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, rilevando che “i motivi della protesta sono da riportarsi allo stato di particolare sovraffollamento delle strutture”. Questa protesta, spiega il sindacalista, “non è solo che la punta dell’iceberg: i 67.602 detenuti registrati ieri alle 17.00 la dicono lunga sulla necessità di intervenire a deflazionare un sovrappopolamento che genererà, inevitabilmente, gravi problemi di gestione e di ordine pubblico. Rispetto alla situazione specifica di Padova gli 808 ristretti alla Casa di Reclusione (a fronte di una capienza massima di 439) e i 291 presenti alla Casa Circondariale (a fronte di una capienza massima di 209) testimoniano la gravità della situazione che le organizzazioni sindacali. avevano già da tempo, vanamente, denunciato”. In queste ore, ricorda ancora il sindacalista, è in atto un sit-in di protesta a Vicenza, dove la polizia penitenziaria sta manifestando contro i carichi di lavoro insostenibili. Pavia: polizia penitenziaria in protesta, agenti rifiutano la mensa di servizio del carcere La Provincia Pavese, 4 giugno 2010 Ora è stato di agitazione. Nel carcere di Pavia la situazione sta portando alle prime proteste: si parte con lo “sciopero della mensa”. Da lunedì 7 giugno il personale di polizia penitenziaria non mangerà più alla mensa di servizio del carcere. È il primo passo dello stato di agitazione, con la possibilità “di porre in atto altre e più eclatanti forme di protesta”. L’elenco dei problemi della casa circondariale di Pavia è lungo. Si parte dall’organico. “Dovrebbero esserci 285 agenti di polizia penitenziaria - spiegano i sindacati - attualmente sono in organico in 214, ma di questi circa 40 sono assenti a vario titolo, distaccati presso altre sedi per vari motivi o a disposizione dell’ospedale militare”. Ci vorrebbero 110 persone in più. Tanto che il personale “continua a lavorare in emergenza e a livelli minimi di sicurezza - aggiungono - È consuetudine che un operatore penitenziario debba lavorare da solo in sezione con un rapporto agente/detenuto di 1 a 50”. Gli agenti arrivano a fare 35-40 ore di straordinari al mese. I sindacati sottolineano anche il problema del sovraffollamento: ci dovrebbero essere 250 detenuti a Pavia e invece ce ne sono 440, senza dimenticare l’introduzione della terza branda. Una brandina da campeggio, pieghevole, che si apre la sera e si mette via al mattino. Anche sul carcere pende la manovra finanziaria: il timore è che non ci siano le assunzioni per il nuovo padiglione in costruzione (“che porterà a 300 ulteriori posti teorici, con la facile previsione che i posti disponibili raddoppino”, spiegano le organizzazioni sindacali). E le risorse nazionali? “I tagli ammontano, nell’ultimo triennio, a circa 140 milioni di euro - spiegano - sono i soldi per pagare la benzina, per la manutenzione degli edifici”. Come è messa Pavia? “La struttura nel suo complesso, quindi sia quella adibita ai detenuti sia gli spazi riservati agli agenti (la caserma e la palestra), è in condizioni fatiscenti - spiegano i sindacati - ci sono infiltrazioni d’acqua praticamente dappertutto, scale senza l’antiscivolo, impianti elettrici approssimativi”. Poi c’è la situazione dei mezzi di trasporto: “I pullman sono devastati e non funzionanti, e le autovetture hanno quasi tutte più di 300mila chilometri sul groppone”. Soldi? Pochi. Il “Piano carceri” del ministro Alfano prevedeva nuove costruzioni per un totale di 2 miliardi di euro. “Ma finora ne sono stati stanziati 600mila - spiegano i sindacati - saremo curiosi di sapere dopo l’approvazione della manovra finanziaria da dove verranno attinte le risorse per continuare i lavori”. Contro la manovra finanziaria ci sarà anche un presidio di tutti i lavoratori del settore pubblico davanti alla Prefettura, domani mattina. Un presidio promosso dalla Cgil, spiega Massimiliano Preti, contro le misure proposte dal decreto legge in fase di discussione alla Camera: dal blocco dei rinnovi contrattuali alla perdita del posto di lavoro per chi ha contratti a tempo determinato e interinali. Frosinone: Pedica (Idv); mancano 130 agenti, politica restituisca dignità a polizia penitenziaria Dire, 4 giugno 2010 Continuando il giro delle carceri del Lazio, finalizzato alla redazione di un dossier sulle condizioni dei detenuti e della Polizia Penitenziaria da presentare prossimamente al ministro Angelino Alfano, il senatore Stefano Pedica, segretario regionale dell’Italia dei Valori, ha visitato questa mattina la casa circondariale di Frosinone. “Assieme a Civitavecchia, Viterbo, Piacenza e Porto Azzurro, Frosinone è una delle cinque carceri in Italia con condizioni più critiche per gli agenti: mancano 130 agenti per completare l’organico, 12 sono in malattia per lo stress psicologico subito e persone con alle spalle anche 28 anni di servizio devono gestire detenuti ad alta sicurezza e collaboratori di giustizia che presuppongono misure speciali. Ma le unità non ci sono e a rimetterci è la sicurezza degli agenti, dei cittadini e dei detenuti, un suicidio solo l’anno scorso”, ha detto Pedica. Il quale poi ha continuato: “La Regione ha dato 50 mila euro all’Asl di Frosinone per attivare un supporto psicologico agli agenti, ma non si è vista ancora nessuna iniziativa. Alfano ha promesso 2mila nuove assunzioni ma si è subito rimangiato la promessa sotto la scure di Giulio Tremonti che blocca il rinnovo dei contratti. O la politica si impegna davvero per restituire loro dignità o la sicurezza rischia di saltare”. San Gimignano (Si): Sappe; mega rissa tra detenuti, coinvolte quaranta persone Ansa, 4 giugno 2010 Mega rissa tra detenuti intorno alle 14 di ieri nel campo sportivo all’interno della Casa di Reclusione di San Gimignano (Siena): coinvolti una quarantina di detenuti. Lo rende noto il sindacato di polizia penitenziaria Sappe di Siena, spiegando che si sono fronteggiati reclusi italiani da una parte ed extracomunitari dall’altra, poi riportati alla calma per l’intervento degli agenti, che, seppur in numero ridotto, sono riusciti a “ristabilire l’ordine e a scongiurare conseguenze ben più gravi”. I detenuti, spiega Claudio Benzo segretario del Sappe di Siena, erano al campo, chi impegnato a giocare a calcio, chi in altre attività sportive. Tutti sono stati poi sottoposti a visita medica, ma nessuno ha avuto conseguenze fisiche. Sui motivi della rissa Benzo spiega che sono da chiarire, ma a suo parere tra le cause ci sono il sovraffollamento e la cronica carenza di agenti di polizia penitenziaria che caratterizzano anche la casa di reclusione di San Gimignano. Ad oggi, spiega Benzo, sono 340 i reclusi contro i 233 previsti mentre il personale di polizia penitenziaria conta 149 unità contro le 233 previste. “Quello che si è verificato - commenta Benzo - è l’ennesimo campanello d’allarme di una situazione che rischia di esplodere, determinando, gioco forza, tensioni tra gli stessi detenuti e inevitabilmente problemi di sicurezza interna che ricadono sugli agenti. Con l’approssimarsi dell’estate la situazione rischia di degenerare ulteriormente. La grave carenza di personale di polizia penitenziaria, più volte denunciata da questa organizzazione sindacale nelle diverse sedi politiche ed istituzionali deve essere, come ribadito anche dalla nostra segreteria regionale, non una demagogica presa di coscienza ma un vuoto da colmare”. Rimini: Berselli (Pdl); nel carcere molti musulmani, rischio di radicalizzazione jihadista Dire, 4 giugno 2010 Nel carcere di Rimini c’è il “rischio di radicalizzazione jihadista”. Lo sottolinea oggi il senatore del Pdl Filippo Berselli, annunciando per dopodomani alle 15 la partecipazione ad una tavola rotonda sul tema sicurezza nella sede della Provincia riminese. Secondo il neo consigliere provinciale in corso d’Augusto, “anche nella casa circondariale di Rimini, per la cospicua presenza di detenuti mussulmani, esiste il rischio di una radicalizzazione che può portare al terrorismo: non dobbiamo enfatizzare il fenomeno ma nemmeno sottovalutarlo”. Dunque, per il presidente della commissione Giustizia al Senato “occorre intervenire a sostegno dell’associazionismo cattolico riminese rafforzando adeguatamente l’organico della Polizia penitenziaria”. Berselli insiste sulle associazioni: “È importante valorizzare il ruolo svolto dalla direzione del carcere riminese nonché dalle comunità di San Patrignano e dalla Papa Giovanni XXIII” affinché possano svolgere “un ruolo fondamentale per ridurre il sovraffollamento penitenziario, creando opportunità di recupero e reinserimento”. Rispetto al rischio terrorismo e alla criminalità in generale, il senatore del Pdl dice che è “necessaria comunque la massima inflessibilità per chi delinque”. Roma: Uil; detenuto evade dall’ospedale, troppi agenti impiegati nei “palazzi del potere” Agi, 4 giugno 2010 Un detenuto 26enne, Manuele Di Tomasi, ricoverato presso il Policlinico Gemelli di Roma, ha eluso nel primo pomeriggio la sorveglianza degli agenti penitenziari ed è evaso. Il giovane era ricoverato al decimo piano del nosocomio romano per patologie collegate ad uno stato depressivo. Lo rende noto la Uil Pa Penitenziari che, attraverso il segretario regionale Lazio, Daniele Nicastrini, sottolinea ancora una volta le difficoltà in cui operano i poliziotti penitenziari. “Purtroppo le già difficili condizioni di lavoro che derivano dal particolare momento che si vive all’interno dei penitenziari non possono non riflettersi anche sui servizi esterni - afferma il sindacalista - più e più volte abbiamo denunciato la grave deficienza organica del personale chiamato a lavorare all’interno degli istituti penitenziari o a svolgere compiti operativi come il servizio delle traduzioni e dei piantonamenti in luoghi esterni di cura”. Nel Lazio, continua l’esponente della Uil, “pur operando circa 5mila unità di polizia penitenziaria, coloro che effettivamente svolgono servizi interni e/o direttamente connessi alla sorveglianza, ai piantonamenti e alle traduzioni sono appena 3.200. Questo sta a significare che circa 1.800 unità sono impiegate in luoghi diversi dai penitenziari, presumibilmente impiegati nei palazzi del potere”. Dunque, conclude Nicastrini, “occorre stanare quelle sacche di privilegio che in questi tempi di magra sono un’offesa per chi con sacrificio, molto prossimo al martirio, opera in prima linea: purtroppo al Dap ma alla stessa via Arenula non paiono sensibili a questo problema. Evidentemente nell’Amministrazione Penitenziaria, mentre al Governo si parla di sprechi da comprimere, si opera in senso opposto. Anche se nell’occasione non possiamo esimerci dal biasimare la superficialità e la negligenza del personale addetto ai controlli e alla sorveglianza”. Novara: giornata dedicata alle carceri; visita di parlamentari e convegno in serata Ansa, 4 giugno 2010 Giovani democratici, consiglieri regionali e onorevoli del Pd, questa mattina, dalle 9 alle 11,30, hanno visitato la Casa circondariale di via Sforzesca, a Novara. La visita si inserisce nell’ambito dell’iniziativa “Dietro le sbarre”, promossa dal gruppo regionale del partito, manifestazione voluta per comprendere la reale situazione delle carceri piemontesi, in particolare di quella novarese. Nel pomeriggio, poi, dalle 18, all’hotel Europa, convegno “Oltre il tollerabile. Il carcere visto da dentro”. Tra i relatori, don Dino Campiotti, direttore della Caritas diocesana, Renzo Inghilleri, presidente della Camera penale di Novara, le onorevoli Anna Rossomando, Elisabetta Rampi, Franca Biondelli e la consigliera regionale Giuliana Manica. Roma: rivolta degli immigrati nel Cie; 9 processati per direttissima, 4 sono riusciti a fuggire La Repubblica, 4 giugno 2010 Ancora una protesta nel Centro di identificazione ed espulsione di Roma, dove alcuni stranieri sono usciti dalle loro stanze hanno bruciato materassi, spaccato finestre, danneggiato mobili prima di tentare la fuga. Alcuni sono fuggiti, altri sono stati fermati. Il garante dei detenuti: “Conciliare ospitalità e sicurezza”. Protesta la scorsa notte nel Cie di Ponte Galeria. Alcuni extracomunitari sono usciti dalle loro stanze hanno bruciato materassi, spaccato finestre, danneggiato mobili. Alcuni sono saliti sul tetto della struttura, altri si sono arrampicati sulla recinzione. Nove di loro, marocchini, egiziani e algerini, sono stati arrestati per danneggiamento aggravato ai beni stato. Cinque si sono allontanati e ora sono ricercati dalla polizia. Uno di loro è stato fermato nei pressi dell’aeroporto di Fiumicino stamattina e sarà denunciato a piede libero. Il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, è andato al Cie per un sopralluogo e per capire cosa sia accaduto. Secondo il racconto di uno dei testimoni, che ha parlato ai microfoni di Radio Ondarossa, la rivolta è iniziata ieri mattina, nella sezione maschile, “per la disperazione”. “Abbiamo dato fuoco ai materassi - ha detto - abbiamo sfondato i cancelli e abbiamo smesso di mangiare e di bere. Perché qui ci trattano come bestie. Siamo 300 persone in venti stanze da 8. Ci fanno dormire per terra come i cani”. In serata poi, il tentativo di fuga. “Alcuni sono riusciti a scappare. Uno lo hanno preso, lo hanno legato a una sedia nudo e lo hanno lasciato così, massacrandolo di botte”, riferisce la stessa voce. Testimonianza ribadita da una nota di “Cronache dai Cie”, secondo cui “tra le persone fermate durante la fuga c’è la conferma che qualcuno sia stato pestato violentemente, ma non si riesce ad avere notizie sulle sue condizioni. Intanto in cinque avrebbero conquistato la libertà”. Dopo la visita nel Cie, il garante del Lazio, informa che non ci sono feriti gravi, solo due carabinieri colpiti leggermente. “La protesta - spiega Marroni - è stata organizzata da una quindicina di algerini. Oggi il problema da affrontare è come conciliare ospitalità e sicurezza in questo posto, che non deve essere considerato un carcere”. Nessuna conferma, invece, per quanto riguarda i gravi pestaggi subiti dai rivoltosi. Più o meno la stessa versione è stata confermata da fonti della questura di Roma, che hanno parlato del “clima di confusione che nel centro continua da almeno venti giorni e viene fuori soprattutto nei momenti dei pasti e delle terapie”. Secondo la questura, sarebbero quattordici le persone che ieri hanno tentato la fuga, di cui dieci sono stati ripresi e portati in tribunale, dove saranno processati per direttissima. Marroni: quattro i fuggiti, perché uno è stato ripreso Nessun ferito grave al Cie di Ponte Galeria, solo due carabinieri colpiti leggermente, rispettivamente con sette e cinque giorni di prognosi. Il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, ridimensiona le notizie giunte dal Cie, dopo essersi recato di persona sul luogo. “La protesta è stata organizzata da una quindicina di algerini - riferisce alla Dire-Redattore Sociale appena uscito dal Cie. Nove persone sono state portate in tribunale, cinque sono fuggite e una di queste è stata ripresa, quindi fuori ne restano quattro. oggi il problema da affrontare è come conciliare ospitalità e sicurezza in questo posto, che non deve essere considerato un carcere”. Nessuna conferma, invece, per quanto riguarda i gravi pestaggi subiti dai rivoltosi. Più o meno la stessa versione è stata confermata da fonti della Questura di Roma, che alla Dire-Redattore Sociale hanno riferito: “Un clima di confusione nel Cie c’è da almeno venti giorni e si ricrea soprattutto nei momenti del pasti e delle terapie”. Secondo la Questura, sarebbero quattordici le persone che ieri hanno tentato la fuga, di cui dieci sono stati ripresi e portati in Tribunale, dove saranno processati per direttissima. “Ci sono due feriti tra i Carabinieri e due tra gli stranieri, ma si tratta di pochi giorni di prognosi”. Peduzzi e Galieni (Sel): situazione esplosiva “Ci è giunta notizia dell’ennesima, preoccupante rivolta, scoppiata ieri notte nel Cie di Ponte Galeria, che ha provocato l’intervento delle forze dell’ordine per reprimere il tentativo di fuga di una decina di immigrati e quello dei vigili del fuoco per spegnere diversi focolai. Secondo le notizie pervenute, confermate dal Garante dei detenuti che abbiamo subito attivato, quattro persone sono riuscite a fuggire mentre altre 9 sono state riprese e si trovano ora in Tribunale”. È quanto dichiarano in una nota i consiglieri del Lazio Ivano Peduzzi (capogruppo della Federazione della Sinistra alla Regione Lazio), e Stefano Galieni (responsabile immigrazione dell’Arci nazionale). “A quanto ci risulta la tensione è ancora alta e la protesta potrebbe riprendere da un momento all’altro - continuano i consiglieri - Quanto accaduto è l’ennesima dimostrazione che la situazione all’interno del Cie è ormai esplosiva e che le condizioni di vita dei migranti reclusi, disposti a tutto pur di lasciare il Centro, sono disumane”. “Per questo motivo, - spiegano i due - intendiamo rientrare al più presto nel Cie di Ponte Galeria, questa volta accompagnati dalla delegazione di avvocati e giornalisti a cui è stato impedito l’accesso durante il sopralluogo della settimana scorsa. Ci domandiamo - concludono Peduzzi e Galieni - quanto ancora dovremo aspettare e quante drammatiche rivolte dovranno ancora esplodere prima che questa struttura venga soppressa definitivamente”. Stati Uniti: per ragioni di bilancio la “tolleranza zero” va in soffitta, eppure i reati sono in calo di Massimo Gaggi Corriere della Sera, 4 giugno 2010 Secondo alcuni bisogna ringraziare i videogiochi: funzionano da passatempo per i disoccupati, ipnotizzano e tengono a casa i ragazzi sbandati delle periferie più degradate che altrimenti starebbero sempre in giro e, magari, finirebbero per commettere reati. Altri sostengono che un merito lo hanno i film infarciti di crimini feroci: anziché istigare e creare assuefazione alla violenza, come temono gli psicologi, appagherebbero con la loro rappresentazione virtuale gli istinti più aggressivi di molti ragazzi. E c’è anche chi ipotizza che negli Usa l’enorme flusso di immigrati, anziché contribuire alla diffusione del crimine - come avviene in mezza Europa, Italia compresa - funzioni da rete di contenimento. Da anni negli Stati Uniti i reati violenti sono in calo, ma nessuno si aspettava che il fenomeno continuasse a manifestarsi anche in piena recessione: fin qui l’equazione più povertà e disagio sociale uguale più reati si era dimostrata fondata. Ora scopriamo, invece, che anche nel cupo 2009 tutti i principali tipi di crimine hanno registrato nuove, sensibili contrazioni: dalle rapine diminuite dell’8,1% al meno 7,2% degli omicidi. Numeri che fanno discutere: ad esempio l’Arizona, che si è data una legge durissima contro l’immigrazione clandestina anche perché la gente aveva la sensazione di un aumento della criminalità e lo attribuiva alla proliferazione della comunità ispanica, scopre di essere lo Stato nel quale il calo dei reati è più sensibile: a Phoenix gli omicidi sono diminuiti addirittura del 27%. E se in passato gran parte del merito veniva attribuito alla “tolleranza zero” di Rudy Giuliani, esportata da New York nel resto del Paese (pene più severe, più poliziotti, pattugliamento capillare), ora le crisi di bilancio costringono le città a tagliare poliziotti e pompieri. Certo, sono migliorati i metodi d’indagine: “operation impact” (più pattuglie in strada e visite periodiche ai nuclei familiari “critici”) funziona. Ma c’è anche altro. Le ipotesi sono diverse e spesso fanno discutere. Una decina d’anni fa un paio di economisti che collegarono il calo dei crimini all’aumento degli aborti tra le ragazze-madri nere fecero infuriare tanto i progressisti (che li accusarono di razzismo) quanto i conservatori (indignati nel vedere l’aborto presentato come uno strumento per la soluzione di problemi sociali). Oggi fa discutere (ma in modo assai più pacato) la tesi di sociologi ed economisti che, incrociando i numeri dell’Fbi con quelli delle mappe demografiche, sfidano la percezione comune di un elevato afflusso di immigrati in una regione come causa di un aumento dei tassi di criminalità. La realtà, dicono, è opposta perché ogni etnia, costruendo nelle città la sua “enclave”, crea una struttura sociale abbastanza omogenea e perché l’America riesce a selezionare, più dell’Europa, la forza-lavoro che viene dall’estero.