Giustizia: Comitato Nazionale di Bioetica; suicidi in carcere, occorre un piano di prevenzione Ristretti Orizzonti, 30 giugno 2010 Nella seduta del 25 giugno 2010 il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) ha approvato il parere dal titolo “Il suicidio in carcere Orientamenti bioetici”, nato da un gruppo di lavoro coordinato dalla prof. Grazia Zuffa. Il Cnb raccomanda alle autorità competenti di predisporre un piano d’azione nazionale per la prevenzione dei suicidi in carcere, secondo le linee indicate dagli organismi europei. Il suicidio in carcere: orientamenti bioetici Il Cnb ritiene che l’alto tasso di suicidi della popolazione carceraria, di gran lunga superiore a quello della popolazione generale, sia un problema di considerevole rilevanza etica e sociale, aggravato dalle presenti condizioni di marcato sovraffollamento degli istituti e di elevato ricorso alla incarcerazione. La recrudescenza di questo tragico fenomeno nel corso del 2009 e nei primi mesi del 2010 rende ancora più urgente richiamare su di esso l’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica. Anche se l’atto di togliersi la vita contiene una irriducibile componente di responsabilità individuale, la responsabilità collettiva è chiamata in causa per rimuovere tutte quelle situazioni legate alla detenzione che, al di là del disagio insopprimibile della perdita della libertà, possano favorire o far precipitare la decisione di togliersi la vita. Il richiamo alla responsabilità sociale è rafforzato dalla considerazione della particolare vulnerabilità bio-psico-sociale della popolazione carceraria rispetto a quella generale (i detenuti sono più giovani, più affetti da malattie, più poveri, meno integrati socialmente e culturalmente). Ne deriva il preciso dovere morale a “garantire un ambiente carcerario che rispetti le persone e lasci aperta una prospettiva di speranza e un orizzonte di sviluppo della soggettività in un percorso di reintegrazione sociale”; ma prima ancora a riconsiderare criticamente le politiche penali che siano di per sé causa di sovraffollamento, poiché così facendo si pongono direttamente in contrasto col principio di umanità delle pene. Il Comitato si è chiesto se il carcere, per come è oggi, rispetti il principio secondo cui la detenzione possa sospendere unicamente il diritto alla libertà, senza annullare gli altri diritti fondamentali (come quello alla salute, alla risocializzazione e a scontare una pena che non mortifichi la dignità umana): rilevando che in molti casi esiste una contraddizione fra l’esercizio di questi diritti e una pratica di detenzione che costringe le persone alla regressione, all’assenza di scopo, in certi casi perfino a subire violenza. Il Cnb raccomanda alle autorità competenti di predisporre un piano d’azione nazionale per la prevenzione dei suicidi in carcere, secondo le linee indicate dagli organismi europei. Il piano dovrebbe prevedere indirizzi: - per lo sviluppo di un sistema delle pene più aderente ai principi costituzionali (nuove normative per l’introduzione di pene principali non detentive e l’applicazione piena delle norme già esistenti che permettono alternative al carcere, come quelle per i tossicodipendenti); - per una maggiore trasparenza delle regole interne al carcere e per una maggiore personalizzazione del trattamento, contrastando le pratiche “deresponsabilizzanti” e “infantilizzanti” che riducono all’impotenza e umiliano le persone detenute; - per una prevenzione specifica non tanto rivolta alla selezione dei soggetti a rischio suicidiario, quanto alla tempestiva individuazione e intervento sulle situazioni a rischio in grado di travalicare la “soglia di resistenza” delle persone (quali l’impatto psicologico dell’arresto, il trauma dell’incarcerazione etc.) - per lo sviluppo del monitoraggio e della ricerca intorno al fenomeno e per la formazione specifica degli operatori a partire dall’esame dei singoli casi di suicidio. Interrogazione di Rita Bernardi al Ministro della Giustizia e al Ministro della Salute Per sapere, premesso che il Comitato Nazionale di Bioetica si è recentemente occupato della problematica dei suicidi in carcere con un parere di cui si trova traccia in un comunicato stampa pubblicato sul sito Internet ufficiale del Governo e di cui si riporta integralmente il testo: “Nella seduta del 25 giugno 2010 il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) ha approvato il parere dal titolo “Il suicidio in carcere Orientamenti bioetici”, nato da un gruppo di lavoro coordinato dalla prof. Grazia Zuffa. Il Cnb ritiene che l’alto tasso di suicidi della popolazione carceraria, di gran lunga superiore a quello della popolazione generale, sia un problema di considerevole rilevanza etica e sociale, aggravato dalle presenti condizioni di marcato sovraffollamento degli istituti e di elevato ricorso alla incarcerazione. La recrudescenza di questo tragico fenomeno nel corso del 2009 e nei primi mesi del 2010 rende ancora più urgente richiamare su di esso l’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica. Anche se l’atto di togliersi la vita contiene una irriducibile componente di responsabilità individuale, la responsabilità collettiva è chiamata in causa per rimuovere tutte quelle situazioni legate alla detenzione che, al di là del disagio insopprimibile della perdita della libertà, possano favorire o far precipitare la decisione di togliersi la vita. Il richiamo alla responsabilità sociale è rafforzato dalla considerazione della particolare vulnerabilità bio-psico-sociale della popolazione carceraria rispetto a quella generale (i detenuti sono più giovani, più affetti da malattie, più poveri, meno integrati socialmente e culturalmente). Ne deriva il preciso dovere morale a “garantire un ambiente carcerario che rispetti le persone e lasci aperta una prospettiva di speranza e un orizzonte di sviluppo della soggettività in un percorso di reintegrazione sociale”; ma prima ancora a riconsiderare criticamente le politiche penali che siano di per sé causa di sovraffollamento, poiché così facendo si pongono direttamente in contrasto col principio di umanità delle pene. Il Comitato si è chiesto se il carcere, per come è oggi, rispetti il principio secondo cui la detenzione possa sospendere unicamente il diritto alla libertà, senza annullare gli altri diritti fondamentali (come quello alla salute, alla risocializzazione e a scontare una pena che non mortifichi la dignità umana): rilevando che in molti casi esiste una contraddizione fra l’esercizio di questi diritti e una pratica di detenzione che costringe le persone alla regressione, all’assenza di scopo, in certi casi perfino a subire violenza. Il Cnb raccomanda alle autorità competenti di predisporre un piano d’azione nazionale per la prevenzione dei suicidi in carcere, secondo le linee indicate dagli organismi europei. Il piano dovrebbe prevedere indirizzi - per lo sviluppo di un sistema delle pene più aderente ai principi costituzionali (nuove normative per l’introduzione di pene principali non detentive e l’applicazione piena delle norme già esistenti che permettono alternative al carcere, come quelle per i tossicodipendenti); - per una maggiore trasparenza delle regole interne al carcere e per una maggiore personalizzazione del trattamento, contrastando le pratiche “deresponsabilizzanti” e “infantilizzanti” che riducono all’impotenza e umiliano le persone detenute; - per una prevenzione specifica non tanto rivolta alla selezione dei soggetti a rischio suicidiario, quanto alla tempestiva individuazione e intervento sulle situazioni a rischio in grado di travalicare la “soglia di resistenza” delle persone (quali l’impatto psicologico dell’arresto, il trauma dell’incarcerazione etc.) - per lo sviluppo del monitoraggio e della ricerca intorno al fenomeno e per la formazione specifica degli operatori a partire dall’esame dei singoli casi di suicidio.”; scopo istituzionale del Comitato Nazionale di Bioetica è quello di svolgere “sia funzioni di consulenza presso il Governo, il Parlamento e le altre istituzioni, sia funzioni di informazione nei confronti dell’opinione pubblica sui problemi etici emergenti con il progredire delle ricerche e con le nuove applicazioni tecnologiche nell’ambito delle scienze della vita e della cura della salute.”; il 29 giugno scorso nel carcere di Giarre (Catania) si è tolto la vita un detenuto di 37 anni impiccandosi alle sbarre della finestra del bagno della cella. È il 32mo suicidio verificatosi nei penitenziari italiani dall’inizio dell’anno; il 12 gennaio 2010 la Camera dei Deputati ha parzialmente approvato, su espresso parere favorevole del Governo, la mozione sulle carceri presentata dalla prima firmataria del presente atto e sottoscritta da 93 deputati appartenenti a quasi tutte le forze politiche presenti in Parlamento; la citata mozione contiene pressoché tutte le principali raccomandazioni con le quali il Comitato Nazionale di Bioetica ha sollecitato le autorità competenti a predisporre un piano d’azione nazionale per la prevenzione dei suicidi in carcere:- se non ritenga di intervenire urgentemente dando seguito alle raccomandazioni provenienti dal Comitato Nazionale di Bioetica e ai contenuti della mozione sulle carceri approvata dalla Camera dei Deputati il 12 gennaio scorso, ciò anche attraverso auspicati provvedimenti d’urgenza stante il fatto che il crescente sovraffollamento degli istituti di pena, unitamente all’arrivo della stagione estiva, rischia di rendere la situazione all’interno degli istituti di pena ancora più drammatica. Rita Bernardini Deputata Gruppo Radicali/PD Giustizia: il “modello L’Aquila” per 11 nuove carceri, milioni di euro nelle mani di Bertolaso di Chiara Paolin Il Fatto Quotidiano, 30 giugno 2010 Come battesimo, un’intercettazione che ha già tatto storia. Fabio De Santis, provveditore alle Opere pubbliche in Toscana e soggetto attuatore del G8 alla Maddalena: “Gira la voce che sarà affidata alla Protezione civile la gestione del piano edilizio per la costruzione di nuove carceri ... senti, reggiamo duro..., cioè ... questa voce gira... hai capito Lì ci vuole una ribellione feroce”. Maria Pia Pallavicini, dirigente al ministero delle Infrastrutture, risponde: “Assolutamente... ma dove l’hai sentita ‘sta cosa? Certo però, sai, bisogna essere spalleggiati dal ministro ..., da soggetti che caldeggiano questo. Perché io posso fare tutto quello che è in mio potere, ma è molto limitato”. Correva l’ottobre 2009, la cricca Balducci lavorava alla grande mentre la concorrenza interna (leggi De Santis) cercava un modo per addentare Tosso del Piano carceri. Anzi, la polpa: undici nuovi penitenziari e venti padiglioni da costruire in gran fretta. “Seguiremo il modello de L’Aquila” disse subito Guido Bertolaso, che tramite apposita ordinanza (3861/10) lo scorso marzo ha organizzato al meglio la pratica individuando la figura di un Commissario delegato sotto il cappello di un Comitato di sorveglianza di cui fanno parte, oltre al ministro della giustizia Angelino Alfano, lo stesso Bertolaso e Altero Matteoli, responsabile delle Infrastrutture. Certo i due sono entrambi indagati per gli appalti gestiti dalla Protezione civile, ma saranno proprio loro a dover garantire il corretto andamento delle gare, da tenersi con procedura straordinaria e riservata. Recita infatti l’ordinanza: “Il Commissario delegato può avvalersi del Dipartimento della Protezione civile per la progettazione, la scelta del contraente, la direzione dei lavori e la vigilanza degli interventi”. Il Commissario prescelto è Franco Ionta, capo del Dipartimento Penitenziario: a sua disposizione ci sono 611 milioni di euro. Lui veramente aveva presentato un conto ben più salato per mettere finalmente in ordine uno dei settori più malandati della pubblica amministrazione: 1,6 miliardi. Ma s’è dovuto accontentare. Una vera prova del fuoco in un contesto a dir poco esplosivo. Per i 68mila detenuti oggi in Italia ci sono a disposizione solo 44mila posti, e le nuove strutture ne garantiranno altri 9mila: già così i conti non tornano. Ieri il principale sindacato di polizia penitenziaria, il Sappe, ha reagito all’annuncio della fase ormai operativa del piano denunciando lo stato di illegalità in cui versano ormai tutte le Regioni italiane: “I detenuti presenti sono esattamente 68.026, il record nella storia del Paese - sottolinea Donato Capece, segretario generale - e vogliamo essere ricevuti dal ministro Alfano per capire esattamente cosa stia succedendo”. Eugenio Sarno, rappresentante Uil, snocciola invece tutti i dati dell’emergenza: “Dalle piante organiche mancano 5mila poliziotti, 58 dirigenti, 609 educatori, 530 assistenti sociali, 337 contabili, 109 collaboratori e 328 tecnici. Addirittura abbiamo 45 istituti penitenziari (sul totale di 230) senza un direttore titolare. Sentiamo vaghe promesse di inserire 2mila nuovi addetti, ma mentre ci si avvia a costruire cattedrali nel deserto non c’è nemmeno un euro sicuro a disposizione degli operatori. Com’è possibile?”. Aggiunge il segretario del sindacato agenti di custodia Osapp, Leo Beneduci: “Per la media mensile di 600-700 nuovi ingressi in carcere, nel 2011/2012 di detenuti ce ne dovrebbero essere almeno 12mila in più. Per far funzionare 20 nuovi padiglioni detentivi occorrono almeno 800 agenti, più altri 2.200 per la funzionalità iniziale di undici istituti. Quindi almeno 3mila agenti che non ci sono e non ci saranno”. Dove sta il trucco? Semplice. I nuovi padiglioni seguiranno lo schema cosiddetto “a croce”. Secondo l’architetto Cesare Burdese, che da oltre trenta anni si occupa di edilizia penitenziaria, si tratta “di uno schema ottocentesco, come denuncia lo stesso Piano carceri. Si tratta della tipica soluzione utilizzata quando mancano le risorse umane: le celle si affacciano su un unico corridoio, sottoposte a un controllo visivo centralizzato che permette, con pochi agenti al centro, di sorvegliare i detenuti”. Ai quali comunque non resterà molto da fare se non restare buoni in cella visto che parte dei 611 milioni verranno sottratti alla Cassa Ammende, cioè al fondo per le attività di formazione e recupero dei carcerati. Per loro, per i 57 che hanno tentato di suicidarsi quest’anno, per i 32 che ci sono riusciti (ieri un ragazzo di 37 anni a Giarre, vicino Catania), per i 23 agenti che hanno fatto la stessa scelta negli ultimi tre anni (con un’incidenza del 180 per cento in più rispetto agli altri corpi di polizia), il Piano carceri non ha altro da aggiungere. Giustizia: sequestrare ai detenuti dei documenti processuali è violazione del diritto alla difesa Alto Adige, 30 giugno 2010 Palese violazione dei diritti di difesa e di autodifesa di ogni cittadino. La Camera penale di Bolzano, sotto la presidenza dell’avvocato Beniamino Migliucci, ha deciso di proclamare una settimana di astensione dalle udienze e da ogni altra attività giudiziaria (nei limiti del codice di autoregolamentazione) dal 7 al 14 luglio prossimi. È la prima volta che gli avvocati decidono di incrociare le braccia e di protestare platealmente richiamando l’attenzione dell’opinione pubblica su un provvedimento deciso da un magistrato bolzanino. Al centro del caso c’è il decreto di perquisizione firmato dal sostituto procuratore Axel Bisignano una decina di giorni fa. Con il provvedimento si disponeva la perquisizione personale e della cella nel carcere di via Dante in cui è detenuto Stefano Grando, il direttore del servizio inquilinato dell’Ipes, indagato per corruzione. Cosa cercava il magistrato? Un foglio con degli appunti scritti a mano dallo stesso Grando che il magistrato aveva notato in occasione dell’udienza di garanzia svolta davanti al giudice Silvia Monaco. Si legge testualmente nel decreto di perquisizione firmato dal sostituto procuratore Bisignano: “...Sempre durante l’interrogatorio di garanzia l’indagato si avvaleva di appunti da lui redatti contenenti, con tutta evidenza, circostanze utili alla ricostruzione dei fatti e, in particolare, elementi utili in relazione al coinvolgimento di terze persone nel fenomeno di diffusa corruttela emerso...”. Nessuna ricerca di un eventuale corpo di reato, dunque, ma di uno scritto, in forma di appunti, che l’indagato avrebbe realizzato durante i primi giorni di detenzione, a proprio uso difensivo o destinato ad essere consegnato al proprio avvocato difensore. Il problema, in punta di diritto, è emerso proprio su questo aspetto: l’iniziativa del pubblico ministero è considerata dalla Camera penale illegittima in quanto il sequestro di documenti e scritti difensivi - ricordano gli avvocati penalisti - “è vietato dall’ordinamento e costituisce gravissima violazione del diritto costituzionale”. A dar man forte alla posizione della Camera penale bolzanina c’è anche un pronunciamento (del 19 giugno 1998) della Corte Costituzionale in cui già si precisava che il sequestro di appunti redatti dall’indagato per la propria difesa è da considerarsi “contrario alle regole del processo e diretta- mente lesivo di principi costituzionali”. Le argomentazioni sviluppate dalla Corte costituzionale (per un fatto del tutto analogo a quello emerso a Bolzano) sembrano inequivocabili. Disporre una perquisizione al fine di sequestrare appunti di un indagato (nel nostro caso anche detenuto) “si risolve in una palese diretta violazione dei diritti inviolabili della persona - scrive la Corte Costituzionale - prima ancora del diritto all’autodifesa”. In altre parole la perquisizione quanto il sequestro disposti nei confronti di un indagato sono da considerarsi illegittimi quando non riguardano né il corpo di reato né cose pertinenti al reato. Il pronunciamento della Corte Costituzionale fornisce anche una serie di indicazioni giuridiche con riferimento alle norme costituzionali (in particolare l’articolo 24 della Costituzione che stabilisce che “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”) e del codice di procedura penale con riferimento agli articoli 188 (“non possono essere utilizzati metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti”) e 103, sesto comma, che chiarisce che “sono vietati il sequestro e ogni forma di controllo della corrispondenza tra l’imputato ed il proprio difensore...salvo che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpi di reato”. Nel caso in questione però è lo stesso decreto del PM a chiarire che l’oggetto della perquisizione era uno scritto redatto in carcere dall’indagato. Giustizia: cinque anni di processi e rinvii per un furto di un cappuccio che vale 10 centesimi La Stampa, 30 giugno 2010 Per il furto di un cappuccio d’auto (il cappuccio a vite che chiude la valvola del pneumatico, del valore di non più di 10 centesimi) un imprenditore edile di 70 anni di Cagliari, è in attesa di una sentenza da cinque anni. Nell’udienza preliminare sia il difensore sia il pm avevano chiesto l’archiviazione per “il furto semplice”, non essendovi né la denuncia del derubato né la rilevanza economica, ma il Gup ha deciso diversamente perché l’autovettura “era un bene esposto in una pubblica sede” ed ha proseguito d’ufficio. “In questi anni - ha spiegato l’avvocato Francesco Viola, che difende l’imprenditore - sono cambiati giudici e gli slittamenti hanno portato i tempi sino al prossimo novembre quando vi dovrebbe esser la sentenza”. Tempi eccessivi per un processo di minima entità, ha aggiunto l’avvocato sottolineando come nel caso del penale le spese siano a carico dell’imputato che si deve difendere. Il fatto era avvenuto il 30 settembre di cinque anni fa davanti ad una banca di Cagliari. L’autista di una delle auto dell’azienda edile (di cui l’imprenditore è proprietario) pare per un parcheggio conteso e per far dispetto quindi all’altro automobilista, aveva rubato un cappuccio della ruota e si era allontanato. Il proprietario della vettura aveva deciso di lasciar perdere ma un’impiegata della banca, che dalla finestra aveva visto tutto, era riuscita a prendere il numero di targa e ne aveva informato prima l’automobilista derubato (che aveva confermato di voler concludere lì la vicenda) e quindi i carabinieri. Ricevuta la segnalazione dalla polizia giudiziaria il Gip aveva emesso un decreto penale con una pena pecuniaria contro il proprietario del- l’impresa, a cui era intestata l’auto, il quale aveva deciso di opporsi dichiarandosi innocente. Poi nell’udienza preliminare, sia perché non era stato accertato chi fosse alla guida, sia per la mancanza di denuncia della parte lesa che per la misera entità del bene, lo stesso pm aveva chiesto l’archiviazione. Ma il giudice aveva ritenuto si trattasse di “furto aggravato” avvenuto in una pubblica via e così ha agito d’ufficio e si è instaurato un procedimento che fra istanze, bolli, udienze, rinvìi e cambi di giudice si è protratto per vari anni. In aula lo stesso derubato ha detto di non aver presentato denuncia, di non sapere chi gli abbia sottratto il tappino e, insomma, che non gliene importava nulla, ma di star solo perdendo tempo. La sentenza tra quattro mesi. Lettere: il pianeta carcere merita di essere ascoltato e aiutato di Manolo Panicucci e Massimiliano Casalini Il Tirreno, 30 giugno 2010 Il primo gesto della presidenza di Enrico Rossi è stato quello molto bello e importantissimo di portare nuovi materassi nelle carceri toscane sempre più congestionate e in difficoltà. Noi, in rappresentanza delle nostre forze politiche, Sel e Pd, crediamo che il pianeta carcere debba tornare ad essere inserito urgentemente nell’agenda politica delle nostre istituzioni: Comuni, Province, Regione. Alla luce di una non chiara ed efficace politica di sostegno alle carceri in termini di uomini e risorse da parte del Governo, si riaffaccia con forza la necessità di capire ciò che sta succedendo e possibilmente dare delle risposte tese ad alleviare la condizione di sofferenza di detenuti ed agenti: è per questi motivi che nei giorni scorsi abbiamo incontrato personalmente le direttrici e il personale, disponibilissimi, dei due carceri della nostra Provincia: quello di Volterra e quello di Pisa, che abbiamo anche visitato. Due realtà molto diverse tra loro sia sul piano formale che su quello della risposta trattamentale, uniti in questo momento da un elemento: la carenza di personale che rischia di vanificare in entrambe risultati raggiunti, progetti riabilitativi consolidati, approcci di civiltà oramai validati, anche e soprattutto con l’aiuto delle associazioni di volontariato, senza le quali saremmo probabilmente in una condizione ancora peggiore sul piano della dignità e dei diritti umani. Intendiamo capire, approfondire, confrontarci con tutte le forze politiche. Auspichiamo, quindi, una discussione seria, approfondita, responsabile pur con le differenze che senz’altro emergeranno con una unica finalità: raccogliere e provare ad ascoltare il “grido di dolore” che dal quel mondo, fatto di persone detenute e degli operatori, degli agenti e dei dirigenti del carcere stesso, proviene, anche nella nostra Provin Massimiliano Casalini è presidente IV commissione e capogruppo Sel Provincia di Pisa Manolo Panicucci Panicucci è capogruppo Pd Provincia di Pisa Lettere: la Provincia di Milano vuole chiudete l’Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti Ristretti Orizzonti, 30 giugno 2010 L’Ufficio del “Garante dei diritti delle persone limitate nella libertà personale” della Provincia di Milano, sebbene mai dotato di adeguate risorse, ha rappresentato in questi anni uno dei punti di riferimento per i gravi problemi dell’esecuzione penale carceraria nei tre Istituti penitenziari milanesi per adulti (San Vittore, Opera, Bollate) nei quali si concentra oltre il 40% dei detenuti di tutta la Lombardia. Stante il superamento perfino della capienza cosiddetta tollerabile, il sovraffollamento (giunto ormai, a livello regionale, al 164% dei posti regolamentari) accentua anche in modo giuridicamente intollerabile i profili di illegalità delle carceri nelle quali risultano sempre più compressi i diritti, pregiudicate le condizioni di vita, offesa la dignità stessa delle persone detenute, mentre vengono nel contempo mortificati la professionalità di tutti indistintamente gli operatori penitenziari e il contributo di umanità e competenza del volontariato e del terzo settore. In un contesto carcerario profondamente segnato da tanta difficoltà, si ha ragione di temere che lo stesso Ufficio del Garante dei diritti delle persone limitate nella libertà personale, ormai di fatto svuotato, sia destinato a chiusura. Il Regolamento istitutivo della figura del Garante stabilisce che questi rimane in carica nei limiti del mandato del Presidente della Provincia ed opera in prorogatio sino alla nomina del nuovo Garante. Il 30 giugno 2010 giunge a scadenza la proroga per l’attuale Garante Giorgio Bertazzini, eppure il Consiglio Provinciale, insediato ormai da un anno, non ha provveduto ancora a emanare il nuovo bando, presupposto necessario per l’elezione del Garante da parte del Consiglio stesso. Chiediamo pertanto al Presidente del Consiglio Provinciale ed ai Consiglieri tutti di esplicitare con la necessaria chiarezza quali siano le scelte relative a tale Ufficio: le ambiguità, quando non l’inerzia e l’indifferenza per le tematiche che hanno sollecitato l’attivazione dell’ufficio stesso, sono un inaccettabile arretramento per la cultura civile e l’impegno solidaristico nel nostro territorio. Osservatorio Carcere e Territorio di Milano Domani 30 giugno si chiude a Milano l’ufficio del Garante dei detenuti della Provincia di Milano. I detenuti perdono così un prezioso aiuto per la difesa dei loro diritti. Non siamo indifferenti a questa perdita, avendo sperimentato quanto è stato utile il lavoro del garante Giorgio Bertazzini e di tutto il suo staff per la tutela dei diritti dei detenuti. Sappiamo che i molti detenuti che non avranno più nessun garante hanno pochi mezzi per esprimersi in proposito e per questo ci facciamo interpreti del loro disagio. Invitiamo tutti i volontari e le associazioni che hanno a cuore i diritti dei detenuti ad esprimersi sull’importanza della figura del Garante. I volontari del gruppo Calamandrana Lettere: dal Garante dei detenuti della Sicilia 24 interrogazioni ad Alfano, tutte senza risposta Ristretti Orizzonti, 30 giugno 2010 “Sono ventiquattro le interrogazioni parlamentari che ho inoltrato al Ministro della Giustizia tutte in attesa di risposta”. Lo dice il garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e per il loro reinserimento sociale senatore Salvo Fleres. “Attraverso gli atti ispettivi - aggiunge - ho sollevato le diverse problematiche che investono il mondo penitenziario e che oggi stanno sfociando in quell’emergenza di cui tutti parliamo ma che nei fatti nessuno risolve. Medicina penitenziaria, prezzi al sopravvitto, carenza di psicologi, di educatori, di Polizia penitenziaria, risultati di ispezioni e richieste di ispezioni presso le strutture penitenziarie siciliane, sovraffollamento, ipotesi di maltrattamenti a detenuti presso il carcere Pagliarelli, modalità di effettuazione di talune traduzioni, questi sono alcuni degli argomenti trattati nelle interrogazioni a mia firma”. “In diverse strutture penitenziarie - prsegue - i detenuti si stanno apprestando a compiere delle proteste pacifiche ad oltranza, come all’Ucciardone di Palermo cui già fanno eco i detenuti di Piazza Lanza a Catania. Per quanto di mia competenza, intensificherò la presenza del personale dell’ufficio del Garante presso le strutture più a rischio ma invito il Governo ad intervenire ponendo in essere tutte le iniziative necessarie ad arginare il problema, accanto a quelle già in corso, tenendo conto che la Sicilia è la seconda Regione d’Italia in quanto a numero di detenuti, nonché l’unica Regione a non aver ancora recepito il Dpcm 1.4.2008?. In conclusione del suo intervento il Sen. Fleres ha sollecitato il Presidente del Senato ad intervenire presso il Ministero per accelerare la risposta alle interrogazioni ed ha auspicato l’avvio di un confronto mirante ad elaborare un piano di pene alternative al carcere per i condannati per reati non violenti o comunque di minor allarme sociale. Trieste: dalla Provincia 450 € al mese di borsa lavoro a ogni detenuto in progetto di reinserimento Adnkronos, 30 giugno 2010 La Provincia di Trieste ha siglato una Convenzione con la locale Casa circondariale per consentire ai detenuti di usufruire di borse lavoro e progetti di orientamento e formazione all’etica del lavoro a fini riabilitativi. A ogni detenuto viene corrisposta una borsa lavoro di 450 euro mensili. Il primo progetto sarà avviato nei mesi estivi e riguarda la pulizia e la manutenzione ordinaria delle strade provinciali e del patrimonio provinciale. Il progetto della durata di sei mesi prevede la partecipazione di quattro detenuti e di un operatore provinciale in qualità di tutore. In linea generale, la Convenzione fissa a un periodo non superiore ai dodici mesi tutti i progetti formativi. Nel caso in cui si concluda l’espiazione della pena e/o venga concessa la misura alternativa, il detenuto interessato può chiedere di proseguire nello svolgimento del progetto fino alla scadenza prevista. In questo caso, la Provincia di Trieste si atterrà, per i pagamenti, a quanto previsto dagli operatori penitenziari nel relativo programma di trattamento. Nel caso in cui la Provincia, a propria insindacabile discrezione, non accolga la richiesta, il progetto formativo dovrà ritenersi automaticamente concluso senza ulteriori oneri di qualsiasi natura in capo alla Provincia medesima. Spetta alla Direzione della Casa Circondariale individuare i detenuti da avviare ai progetti, su autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria, e stabilire le prescrizioni a cui il carcerato deve attenersi. L’attività formativa si sviluppa su venticinque ore settimanali articolate, di norma, su cinque giorni lavorativi per cinque ore al giorno. Eventuali ore eccedenti prestate per fronteggiare eventi straordinari e imprevedibili e per calamità naturali non saranno retribuite ma potranno essere recuperate entro la scadenza del progetto. “L’idea di fondo è quella di ricostruire quel canale di comunicazione con l’esterno, con il mondo produttivo e l’ambiente sociale che al detenuto viene a mancare e che può rappresentare un primo passo verso la restituzione alla normalità con benefici sia economici che in termini di sicurezza per l’intera società”, ha spiegato la Presidente Maria Teresa Bassa Poropat durante una conferenza stampa alla quale ha partecipato anche il direttore del carcere triestino Enrico Sbriglia. “Compatibilmente con le nostre esigenze organizzative e nei limiti delle disponibilità finanziarie di bilancio - ha aggiunto Bassa Poropat - ci impegniamo ad accogliere persone detenute nell’istituto penitenziario triestino, ammesse alle misure alternative e al lavoro all’esterno, presso le strutture operative provinciali, per l’avvio di progetti orientamento e di formazione all’etica del lavoro”. Ferrara: carcere sovraffollato, dopo i sindacati degli agenti intervene anche il sindaco www.estense.com, 30 giugno 2010 L’ultima puntata relativa alla situazione carceri in Italia, e in particolare in Emilia Romagna non ha purtroppo aggiunto nulla di nuovo alla precaria condizione in cui si trovano da troppo tempo gli istituti penitenziari italiani, poche eccezioni escluse. “Alle ore 17 di ieri - recita il comunicato firmato da Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil P.A. Penitenziari - erano presenti in Emilia Romagna 4.508 detenuti (4.345 uomini e 163 donne) a fronte di una ricettività massima consentita pari a 2.393 (2.273 uomini e 120 donne), per un indice di sovraffollamento pari all’ 88%, il più alto in Italia. Certamente la situazione della Dozza di Bologna e la più complessa, e per certi versi anche la più pericolosa del panorama penitenziario regionale. L’incredibile sovraffollamento (154 detenuti rispetto ad una capienza massima di 502) e la gravissima deficienza organica del personale di polizia ed amministrativo fanno della Dozza una vera emergenza nazionale”. Altro problema nel problema i numeri inerenti il personale occupato nei vari penitenziari, tasto sui cui Sarno non ha certo sorvolato: “Confermando che l’emergenza più acuta sul fronte delle vacanze organiche in polizia penitenziaria e` a Bologna (-164), non possiamo ignorare nemmeno situazioni davvero molto gravi come Parma (-131), Ferrara (- 55 ) Piacenza (-50) e Modena (-52). Rispetto agli organici prefissati mancano 5 dirigenti, 24 educatori, 33 assistenti sociali, 25 contabili, 113 collaboratori e 17 tecnici. Di questo passo la completa paralisi e` uno scenario possibile e concreto”. Significativi alcuni passaggi dell’intervento del Segretario Generale della Uil P.A. Penitenziari che vanno di pari passo alla gravità delle cifre registrate: “È del tutto evidente che questo incredibile sovrappopolamento impedisce di agire nel senso indicato dalla Carta Costituzionale all’art. 27. Il personale deve limitarsi, quando può, alla sola attività di vigilanza e controllo, che negli ultimi anni è divenuta anche una attività di salvataggio delle vite umane”. E ancora: “Occorre premettere che le dotazioni organiche della polizia penitenziaria presentano un carenza spaventosa, pari a circa 5mila unità. Con questi numeri temo che il piano carceri, qualora fosse una certezza, si ridurrebbe alla costruzione di cattedrali nel deserto. Già oggi per garantire la funzionalità delle strutture attive il personale non può godere delle ferie ed è costretto a turni allucinanti, anche di dodici ore. Ne si può dimenticare come anche gli altri profili professionali del personale amministrativo presentino gravi carenze. Ad oggi rispetto alla piante organiche previste mancano 371 educatori, 535 assistenti sociali, 305 contabili, 1032 collaboratori d’istituto e 325 tecnici”. La classifica nazionale degli indici di sovraffollamento , su base regionale, rispetto alla capacità ricettiva vede appunto in testa l’ Emilia Romagna con l’88%, seguita da: Puglia (77%), Veneto (75%), Calabria (65%), Friuli (61%), Lombardia ( 60%) , Sicilia (58%), Basilicata e Trentino (54%), Liguria (53%), Piemonte (50%), Umbria (49%), Campania (48%), Marche (43%), Lazio e Toscana (36%), Abruzzo (35%), Molise (19%), Sardegna (17%). Si diceva di Ferrara, che non fa certo eccezione alla regola. Non più tardi di sei mesi fa, era il mese di dicembre, le croniche condizioni di carenza di personale al carcere dell’Arginone sfociarono dopo numerosi appelli in un corteo pubblico. “L’attuale organico effettivo presente è di 166 unità - conteneva il volantino distribuito per l’occasione, quello previsto dal decreto ministeriale del 2002 è di 232 unità; a fronte di una capienza regolamentare di 256 detenuti, tollerabile di 466 ma effettivi 532 e siamo arrivati a 555? si leggeva sul volantino ufficiale distribuito durante la manifestazione svoltasi dal carcere sino al Municipio - di fine ottobre delle Guardie Penitenziarie”. Il sindaco Tagliani nel frattempo si era impegnato a scrivere al Ministro della Giustizia. La situazione non era mutata nemmeno a metà gennaio 2010. Erano in tutto 526 persone rinchiuse in uno spazio che ne dovrebbe contenere 466: la situazione di sovraffollamento carcerario dell’Arginone di Ferrara finì sul tavolo del consiglio provinciale. A relazionare sullo stato di cose della casa circondariale Federica Berti, garante dei diritti delle persone private e delle libertà personali, che svolge il proprio servizio nelle carceri di Ferrara dal 2008. La Berti ricordò le attuali dimensioni della popolazione carceraria di Ferrara, col dato degli allora 526 detenuti rispetto alla tollerabilità della struttura valutata in 466 unità. Critica ovviamente risultò anche la situazione del personale in servizio: 165 le guardie carcerarie impiegate, con uno scarto di 67 agenti rispetto ad un organico stabilito in 232 unità. Siracusa: “Ludoteca Ambientale”, mare e natura nel gioco per alleggerire l’attesa dei colloqui www.siracusanews.it, 30 giugno 2010 La Casa Circondariale di Cavadonna ed il Consorzio Plemmirio insieme per un progetto di Ludoteca Ambientale. Lunedì prossimo, 5 luglio 2010, alle ore 10.30, presso la Casa Circondariale di Cavadonna, è previsto il taglio del nastro inaugurale della struttura, la prima esistente in provincia di Siracusa. Si tratta di un’azione di sviluppo di nuovi Percorsi di Educazione Ambientale su progetti di sostegno in favore delle famiglie dei detenuti, organizzata dal Consorzio Plemmirio, ente gestore dell’Area Marina Protetta siracusana, che prevede la realizzazione di una Ludoteca Ambientale in due distinte location: la prima, nell’area di accoglienza esterna, e la seconda nella sala interna. I siti, adeguatamente attrezzati, serviranno a rendere più leggera e veloce l’attesa dei bambini all’incontro con i familiari detenuti, associandola a giochi, laboratori ed iniziative finalizzate alla conoscenza dei principi basilari della corretta gestione delle risorse ambientali e del rapporto con il mare e la natura in genere. L’azione rientra in un programma più ampio di iniziative fondate sul protocollo d’Intesa tra il Ministero della Giustizia e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, teso a favorire il processo di inclusione sociale e l’adozione di modelli di vita socialmente accettabili per un percorso di reinserimento alla vita sociale dei reclusi. Livorno: detenuto si suicidò in cella di isolamento, processo a un agente che non gli tolse i vestiti Il Tirreno, 30 giugno 2010 Ilia Dautillari aveva 22 anni quando si tolse la vita nel carcere delle Sughere. Era il settembre di tre anni fa e ci aveva già provato: poche ore prima, lo avevano trasferito dalla cella dove si trovava alla cosiddetta “cella liscia”, proprio per evitare il peggio. Ma questo giovane albanese fu trovato morto, impiccato alle sbarre con una felpa. Una felpa che per l’accusa lui non doveva avere. L’ordine era stato chiaro: nella cella liscia sarebbe dovuto essere nudo. Lui e le pantofole. Proprio perché poco prima aveva tentato il suicidio utilizzando la cintura dell’accappatoio ed era stato salvato dai compagni di cella e dal personale di servizio. Per questa morte in carcere è sotto processo un agente di polizia penitenziaria di 35 anni, Giuseppe Paradiso, che ieri è comparso in aula davanti al giudice Sandra Lombardi e al pubblico ministero Massimo Mannucci. L’accusa è quella di omessa vigilanza, contestata dalla Procura attraverso l’omicidio colposo: al centro della vicenda c’è la presenza della felpa con la quale il giovane detenuto si è tolto la vita. Ieri sono stati ascoltati i primi testimoni, in un’udienza caratterizzata dalla presenza di alcuni colleghi dell’imputato, che seduti in fondo all’aula del tribunale hanno voluto così testimoniare la propria solidarietà a Paradiso, la cui difesa è curata dall’avvocato Luciano Picchi. A ricostruire la storia, soprattutto la vicenda umana di Ilia Dautillari, è stato il capitano dei carabinieri Luigi Perri, che la notte del suicidio andò in carcere ed effettuò i primi rilievi. Trovò il cadavere sul letto, dopo che i sanitari del penitenziario avevano provato a rianimarlo in tutti i modi. Dautillari era giunto da poco tempo alle Sughere dal carcere di Prato. Non era contento di questa sua nuova destinazione e lo aveva detto spesso, nei colloqui che aveva sostenuto con psicologi e psichiatri. Il capitano dei carabinieri ha spiegato che la sua fragilità psicologica era chiara a tutti. E infatti il giovane albanese non era stato lasciato solo dalle strutture di sostegno presenti dentro il carcere. Pochi giorni prima del suicidio, fra l’altro, aveva saputo della morte della madre, che si era spenta in Albania, ed era riuscito a parlare per telefono con la sorella che si trovava a Tirana. Prima della notte in cui è morto, Dautillari aveva tentato il suicidio un’altra volta. Nel processo si è costituito parte civile il fratello del detenuto suicida. Salerno: detenuto ingoia lametta per protesta contro affollamento del reparto tossicodipendenti Asca, 30 giugno 2010 A 28 anni l’altro giorno ha ingoiato una lametta. Voleva uccidersi, nel carcere di Fuorni, a Salerno. Ora è ricoverato nella sezione detenuti dell’ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona. E spiega il tentativo di suicidio così: “Non ce la facevo più a stare nel reparto dei tossicodipendenti, lì non si vive, eravamo in troppi. Volevo essere trasferito. Non lo hanno fatto e ho tentato di ammazzarmi”. A Fuorni, giorni fa, i detenuti hanno fatto lo sciopero della fame per denunciare le condizioni difficili di vita. Antonio, di Taranto, che ha tentato il suicidio, deve trascorrere altri cinque anni in carcere. Accanto c’è Massimo, 55 anni. Viene da Poggioreale dove ha tentato di tagliarsi con una lametta, e poi ha ingoiato due bulloni. Perché è depresso. Oggi, le loro storie, le hanno raccontate al consigliere regionale del Pd, Corrado Gabriele, che ha visitato la casa circondariale salernitana e anche la sezione detenuti dell’ospedale. Una visita, quella di Gabriele, iniziata nel reparto donne. Trentatré quelle ospitate. In qualche cella sono in otto, e non hanno neanche il bidè. A settembre, ha spiegato al consigliere il direttore del carcere Alfredo Stendardo, il reparto sarà ristrutturato. Ma intanto in alcune celle la muffa ricopre ogni angolo. Nel reparto alta sicurezza, stessa storia, anche in qui in alcuni casi in otto in una cella. Come nel reparto dei detenuti comuni dove a dire come stanno le cose ci pensa Vincenzo, 50 anni di Napoli. Racconta che lui è dentro perché ha rubato 100 euro da un bancone di un negozio. “Mi hanno accusato di rapina impropria, sto qui da sei si in attesa di giudizio - dice al consigliere Gabriele - Aiutateci, ma non a uscire, a vivere umanamente. Qui non c’è dignità, vivere qui è disumano. Cosa ci serve? Aria. Vogliamo lavorare, fare sport, laboratori. Vogliamo vivere, almeno un po’. Ci sono tre docce per 70 detenuti, e due spesso non funzionano. Abbiamo sbagliato ma continuiamo ad essere uomini. Almeno così ci illudiamo”. Bologna: Sappe; mancano 200 agenti, così impossibili le iniziative di recupero Dire, 30 giugno 2010 Un plotone di appena 370 agenti (sui 570 previsti) per fronteggiare un esercito di 1.152 detenuti (oltre il doppio della capienza massima di 483 posti). Non solo: il 67% dei reclusi sono extracomunitari e ben 297 i tossicodipendenti. Soprattutto: rinchiusi nel carcere della Dozza a Bologna sono “soltanto” 515 i detenuti condannati in via definitiva; gli altri 637 sono ancora in attesa di giudizio. Mentre alle istituzioni locali la questione del sovraffollamento pare “non interessare”. E al Sappe (il sindacato autonomo di polizia penitenziaria) i conti proprio non tornano. È lunghissimo il carnet de doleance stilato da Giovanni Battista Durante, segretario aggiunto del Sappe, oggi in visita al carcere bolognese assieme a Galeazzo Bignami, consigliere regionale e vice coordinatore cittadino del Pdl. Durante trova due filoni politici su cui muoversi per arginare una situazione davvero esplosiva. Primo: “Stipulare accordi bilaterali con i paesi di provenienza dei detenuti stranieri- spiega- in modo che scontino le pene nei paesi d’origine”. Secondo: “Avviare, come permettono le leggi, i tossicodipendenti a programmi di recupero. Ma su questo - lamenta - enti locali e associazioni devono fare molto di più”. Il trend della Dozza parla chiaro: la popolazione carceraria continua ad aumentare (1.087 ingressi nei primi sei mesi del 2010, contro i 1.369 di tutto il 2009), ma restano dentro solo i condannati a pene medio-lunghe (737 gli scarcerati ad oggi, contro gli 860 del 2009). “I dati - dice chiaro e tondo Durante - testimoniano l’inutilità del carcere per che vi resta per brevi periodi. In questi casi la pena non costituisce un deterrente, ma solo un inutile aggravio di lavoro per gli operatori e soprattutto per la polizia penitenziaria”. Ad appesantire il lavoro della Polizia penitenziaria alla Dozza ci sono anche i 16.000 colloqui registrati nel 2009 tra detenuti e parenti, o le circa 900 telefonate mensili da gestire. Tutto con soli 370 agenti disponibili. Oltre tutto, osserva Durante, “ci sarebbero 110 uomini in forza alla Dozza ma distaccati in altri istituti. E non sempre, come prescrive la legge, per gravi motivi famigliari”. Durante arriva poi alle mancanze delle istituzioni. “I detenuti iscritti nelle liste di lavoro sono 557, mentre quelli che lavorano sono solo 111, quindi circa il 10% del totale” dei reclusi. In pratica è “quasi impossibile avviare seri programmi di recupero sociale”. Sul lavoro, ma anche sull’avviamento nelle comunità di recupero dei detenuti tossicodipendenti, “enti locali e associazioni - insiste il segretario del Sappe - devono fare molto di più”. Dentro o intorno alla Dozza c’è poi tutta una serie di spazi e strutture “disponibili ma completamente abbandonate che invece- afferma Durante- consentirebbero di rendere un po’ più vivibile il carcere”. C’è un’area esterna di 35.000 metri quadrati: in origine doveva essere un centro sportivo per gli agenti della Penitenziaria. Oggi “è ridotta dall’abbandono a un dormitorio, come abbiamo appurato nel sopralluogo di questa mattina”. Idem per la palestra interna: “Ora anche quegli impianti sono in preda al degrado”. Nel frattempo, però, l’amministrazione penitenziaria spende “250 euro al giorno per ogni detenuto e 450.000 euro all’anno- calcola il segretario- per l’affitto del provveditorato e per l’Ufficio d’esecuzione penale esterna”. Ma tutto questo, conclude Durante, “sembra non interessare a nessuno”. Reggio Emilia: l’allarme sulla situazione alla Casa Circondariale, difficili anche le condizioni dell’Opg Resto del Carlino, 30 giugno 2010 “Settanta detenuti in più nelle celle e mancano 52 agenti. A rischio la sicurezza”. Il Sindacato autonomo di polizia Penitenziaria fa presente alle Autorità “l’attuale stato emergenziale degli istituti penitenziari - Casa Circondariale e Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio”. La popolazione detenuta alla Casa Circondariale, fanno sapere dal Sappe, ha raggiunto limiti esponenziali di criticità. Circa 350 detenuti, fino a tre per ogni camera e 75 per ciascun reparto detentivo. “Questa ubicazione non è regolamentare e pericolosissima per l’incolumità personale del detenuto sistemato nella terza branda perché potrebbe cadere e procurarsi serie lesioni anche letali — spiegano dal Sappe. Inoltre il sovraffollamento rende difficile l’attuazione delle attività intramurali e difficoltosa la garanzia dei livelli minimi standard di sicurezza se si considera che all’interno di ciascun reparto detentivo opera solo un agente di polizia Penitenziaria per otto ore consecutive”. Il Sappe chiede per la Casa circondariale uno sfollamento di almeno 70 detenuti e segnala una carenza di 52 agenti, “assolutamente necessari per fronteggiare l’emergenza penitenziaria e per continuare a garantire l’ordine, disciplina e sicurezza”. La popolazione ristretta all’Opg conta circa 288 soggetti effettivamente presenti e circa 30 in licenze che potrebbero essere revocate in qualsiasi momento. Anche in questo caso, fa sapere il Sappe, ci sono fino a tre persone in ogni camera “cosa che non dovrebbe accadere proprio per le precarie condizioni psicofisiche che riguarda la maggior parte di loro”. Per l’Opg si chiede uno sfollamento di almeno 50 internati e si segnala una carenza di 47 unità di polizia Penitenziaria. Lecce: il carcere di Borgo San Nicola nel caos, il centrosinistra chiede un Garante dei detenuti Corriere del Mezzogiorno, 30 giugno 2010 Due suicidi in un mese, 1-400 detenuti rinchiusi in un carcere che dovrebbe contenerne 600, gli agenti di polizia penitenziaria stressati: Borgo San Nicola da supercarcere modello si è ormai trasformato in un vero e proprio incubo. Negli ultimi tempi consiglieri regionali e parlamentari in visita al carcere hanno lanciato l’allarme. Ma la situazione non è mai cambiata. Ora c’è una proposta che potrebbe in qualche modo rivoluzionare i rapporti tra i detenuti e le istruzioni. Il portavoce del centrosinistra al Comune di Lecce, Antonio Rotundo, ha lanciato l’idea del Garante dei detenuti, una figura già istituita in 15 Comuni, 14 Province e 5 Regioni italiane. Spiega Rotundo: “La situazione del carcere di Lecce è letteralmente esplosiva come ha drammaticamente evidenziato il suicidio di un detenuto avvenuto qualche giorno fa. L’allarme lanciato da più parti, compreso il sindacato degli agenti penitenziari, deve essere immediatamente raccolto dalle Istituzioni perché segnala una situazione giunta ormai al collasso, con un tasso di sovraffollamento insostenibile di un carcere progettato per 600 persone che ne contiene circa 1400, dove sono messi in discussione i diritti più elementari e la dignità stessa della persona umana”. Per l’ex deputato salentino, dunque, “davanti a questa situazione credo che il Consiglio Comunale di Lecce possa e debba fare per intero la sua parte. Da un lato facendo appello agli altri livelli istituzionali Governo, Regione, Provincia, Asl affinché ognuno per la propria competenza assuma le dovute iniziative, constatato che siamo ormai in piena estate e senza risposte la situazione rischia di aggravarsi ulteriormente. Dall’altro lato procedendo come Consiglio Comunale all’istituzione del Garante dei detenuti, organismo già sperimentato in altre città che ha il compito di attivarsi per il rispetto della dignità e dei diritti sociali delle persone costrette in carcere, per migliorare la loro condizione di vita e di inserimento sociale”. Rotundo conclude: “Nei prossimi giorni formalizzeremo una proposta in tal senso convinti che si potrà pervenire ad un vasto accordo tra i Gruppi Consiliari presenti in Consiglio Comunale su un tema così delicato e importante”. In Italia, dunque, il Garante dei detenuti è stato istituito a Bergamo, Bologna, Brescia, Ferrara, Firenze, Nuoro, Pisa, Pescara, Reggio Calabria, Roma, Rovigo, San Severo, Sulmona, Sassari, Torino e Verona. Quattro le Province (Ferrara, Lodi, Milano, Roma ed Enna), 5 le Regioni (Campania, Lazio, Lombardia, Toscana e Umbria). Ragusa: per il carcere di Modica il trasferimento è improcrastinabile Giornale di Ragusa, 30 giugno 2010 Il Comitato di Sorveglianza costituito dal Ministro della Giustizia, dal Ministro delle Infrastrutture e dal Capo Dipartimento della Protezione Civile, nei giorni scorsi ha approvato il cosiddetto Piano carceri che prevede, tra l’altro, la costruzione di undici nuove carceri, tra cui quattro in Sicilia, e precisamente a Catania, Marsala, Sciacca e Mistretta. La notizia da la stura al capogruppo consiliare di Sinistra Ecologia e Libertà, Vito D’Antona, per porre l’accento sulla questione carcere a Modica. D’Antona interviene ponendo un interrogativo: “ci sono ostacoli sulla procedura per la realizzazione di una nuova struttura penitenziaria da parte del Ministero della Giustizia, che consentirebbe di disporre di un moderno e civile istituto di pena, nonché di liberare il complesso architettonico di Santa Maria del Gesù e renderlo così fruibile al pubblico?” D’Antona rileva che “ alcuni anni fa un nuovo carcere a Modica era previsto all’interno di una lista contenuta in atti ufficiali del Ministero, tanto che il Comune di Modica, al fine di accelerarne la procedura, mise a disposizione dello Stato un terreno di sua proprietà in contrada Catanzarello. Appare, dunque, sempre più urgente la realizzazione di un nuovo istituto penitenziario. È oramai improcrastinabile il trasferimento del carcere dall’attuale ubicazione ad altra sede - aggiunge D’Antona - nella considerazione della importanza storica ed architettonica che riveste il complesso di Santa Maria del Gesù, anche a seguito degli interventi effettuati dalla Soprintendenza ai Beni Culturali di Ragusa che hanno consentito di recuperare sia la chiesa che il chiostro. La città, e in particolare per lo sviluppo economico e turistico di Modica Alta, l’apertura e la fruizione dell’antico complesso architettonico di Santa Maria del Gesù, tra i pochissimi esempi esistenti di architettura religiosa siciliana risalente al XV secolo, potrebbe rappresentare un impulso decisivo e la tappa di un percorso ideale di valorizzazione che coinvolga anche il vecchio cimitero, recentemente recuperato, le sue splendide chiese, oltre i suoi significativi palazzi. È necessario ed urgente impegnarsi per verificare lo stato della procedura per la realizzazione del nuovo carcere ed effettuare tutte quelle iniziative verso il Governo nazionale, finalizzate al trasferimento in una nuova struttura dell’attuale istituto penitenziario”. Milano: nel carcere di Opera un detenuto aggredisce due agenti penitenziari Agi, 30 giugno 2010 Un detenuto, italiano e prossimo alla scarcerazione, ha aggredito due agenti penitenziari nella Casa di reclusione Opera di Milano. Secondo Gian Luigi Madonia, coordinatore regionale aggiunto della Uil, uno degli agenti, un sovrintendente, avrebbe riportato la frattura al naso, mentre l’altro solo di tre giorni di prognosi. “Oltre all’entità dei danni fisici provocati, quello che genera preoccupazione è la dinamica dell’episodio”, ha commentato Madonia, “Il detenuto ha chiesto di poter conferire con l’ispettore di turno e, giunto nell’ufficio dove si sarebbe svolta l’udienza, si è scagliato contro i suoi accompagnatori, colpendoli ripetutamente”. “È la seconda volta che un soggetto recluso premedita la volontà di aggredire il personale di vigilanza, con una scusa qualsiasi o con un gesto finto per ricavare attenzione o per essere avvicinato”, ha ricordato. All’inizio di maggio, infatti, sempre a Opera, un detenuto aveva attirato un agente nella sua cella, fingendo di impiccarsi. E, quando questi era intervenuto, il detenuto lo aveva aggredito. Infine, dalla Uil fanno sapere che è stato dimesso dall’ospedale di Monza il detenuto romeno, ricoverato in seguito a un tentativo di suicidio (per impiccagione). Venezia: un convegno sul lavoro ai detenuti; dalle aziende ancora troppi pregiudizi Redattore Sociale, 30 giugno 2010 La cooperativa veneziana Rio Terà dei pensieri punta alla creazione di una rete territoriale e punta sul lavoro come arma alla recidiva. D’Errico: “Aziende restie ad abbandonare i pregiudizi e spesso la crisi è solo una scusante”. Promuovere opportunità di lavoro all’interno e all’esterno del carcere significa abbattere la recidiva e trasformare il costo della detenzione in risorsa: è questa la filosofia di “Rio Terà dei pensieri”, cooperativa sociale attiva da 16 anni negli istituti di pena veneziani. Consapevole che per continuare in questa direzione è indispensabile la creazione di una rete di attori pubblici e privati, la cooperativa ha deciso di assumersene l’onere. L’obiettivo è di garantire occupazione e stabilità a 20 detenuti che beneficiano di misure alternative o che sono uscite dal carcere. L’idea, già in fase di attuazione, è stata presentata nel corso del convegno “Lavorare vale la pena” che si è svolto ieri mattina a Mestre. La creazione di una rete territoriale ha lo scopo di aumentare le opportunità di occupazione e ridurre le discriminazioni nel mercato del lavoro. In questa sfida la cooperativa è accompagnata da tre partner operativi (società cooperativa Isfid, Quest Lab e Soggetto Venezia srl) e alcuni partner di rete, come il comune di Venezia, il ministero della Giustizia, Legaccop Veneto, Caritas e altre realtà locali. Tutti insieme per abbattere il muro che separa gli ex reclusi da un lavoro stabile, un muro fatto di solidi pregiudizi. “Spesso le aziende non si rendono disponibili facendosi scudo della crisi - riflette il presidente di Rio Terà, Giampietro D’Errico -, ma il più delle volte è una scusa dietro cui si nascondono i pregiudizi. Solo alcune piccole aziende ci hanno aperto le loro porte, rassicurate dal fatto che noi garantiamo tutoraggio e accompagnamento. Anche le associazioni di categoria non ci danno troppe attenzioni”. Proprio da questi ostacoli è nata l’idea di una rete che riunisca tutti i soggetti impegnati nell’inserimento, per dare un segnale forte di credibilità e compattezza. “Ogni giorno - conclude D’Errico - ci troviamo di fronte a grattacieli di difficoltà. Se passasse il messaggio che un detenuto che produce cessa di essere un peso per diventare una risorsa, forse il nostro compito sarebbe più facile”. Il convegno mestrino ha offerto l’opportunità di presentare e condividere anche altre esperienze di inserimento: in questa sede il Dap ha riferito del progetto “Sigillo”, un marchio di qualità registrato lo scorso ottobre e apposto su una linea di moda realizzata in carcere. Augusta Roscioli, dell’Ufficio Osservazione e Trattamento - Dap del ministero della Giustizia, ha spiegato che è stato siglato un protocollo d’intesa con 4 cooperative: “Alla base c’è la convinzione che i prodotti realizzati dalle esperienze di formazione come i laboratori di sartoria o l’apicoltura non possono restare avulsi dalle logiche del mercato, ma devono diventare commerciabili ed essere valorizzati. Per questo abbiamo voluto creare un marchio e speriamo che l’esperienza venga replicata in altri settori e possa coinvolgere un numero maggiore di cooperative”. Busto Arsizio: con l’aiuto del volontariato il carcere resterà “aperto” anche durante l’estate www.varesenews.it, 30 giugno 2010 Quando tutti vanno in vacanza, per loro iniziano i due mesi più lunghi dell’anno. Per le persone detenute in un carcere generalmente l’estate è il periodo più difficile: la scuola finisce, gli educatori vanno in ferie, gli agenti diminuiscono e anche i volontari staccano per un po’ di tempo. Questo si traduce in più ore da passare in cella senza avere nulla da fare. Le conseguenza, oltre che personali, possono anche essere collettive: con il caldo e l’inattività è più facile che nascano tensioni e disordini. Per questo nella Casa Circondariale di Busto Arsizio per quest’anno è stata decisa una mezza rivoluzione. Il “piano socialità”, ovvero l’area in cui ci sono le aule, il teatro, la palestra e i laboratori sarà aperto per tutto luglio e la prima e l”ultima settimana di agosto. L’area educativa ha chiesto infatti e ottenuto la piena collaborazione dei volontari per organizzare diverse attività. Fra queste in programma ci sono corsi di recupero per chi in inverno frequenta la scuola, corsi di alfabetizzazione di italiano, gruppi di lettura dei quotidiani, cineforum, ceramica. Continuerà anche l”attività del laboratorio di cioccolateria che continua a gonfie vele la sua attività. Cuba: il dissidente Fariñas è grave, in carcere rifiuta il cibo da 125 giorni La Repubblica, 30 giugno 2010 È in carcere, chiede libertà per i detenuti politici. Altri quattro oppositori sono in sciopero della fame contro il regime castrista. Si stanno aggravando, nonostante l’alimentazione forzata, le condizioni dell’oppositore cubano, Guillermo Fariñas, in sciopero della fame da oltre quattro mesi. Fariñas presenta un quadro clinico “critico”, ha detto ieri uno dei medici che lo assiste dall’inizio del digiuno, per una nuova infezione da stafilococco, una epatite e un coagulo di sangue nella giugulare sinistra, all’altezza del collo. La mamma di Fariñas, Alicia Hernandez, ha aggiunto che il figlio “ha la febbre, problemi alle articolazioni” e uno stato generale che si va rapidamente deteriorando. Guillermo Fariñas, un giornalista indipendente e psicologo di 48 anni, ha iniziato il suo sciopero della fame il 24 febbraio dopo la morte del prigioniero politico Orlando Zapata per ottenere dal governo di Raul Castro la liberazione degli oppositori incarcerati. Dall’11 marzo Fariñas si trova in unità di terapia intensiva dell’ospedale di Santa Clara, nel centro dell’isola, dove viene sottoposto ad alimentazione forzata per via endovenosa. I medici hanno spiegato che il dissidente è in stato cosciente e che nelle prossime ore verrà sottoposto ad un test per verificare l’entità del coagulo e il rischio che possa avere una trombosi. Nelle ultime settimana la Chiesa cattolica ha avviato una trattativa con il regime a favore dei prigionieri politici nel corso della quale il cardinale Ortega, che ha incontrato personalmente Raul Castro, ha ottenuto la liberazione di un detenuto e il trasferimento di altri dodici in carceri più prossime alla residenza dello loro famiglie. È una rivendicazione storica delle associazioni per i diritti umani proprio perché di solito i “politici” vengono rinchiusi in carceri lontane dalla loro residenza abituale. Una situazione che rende spesso impossibile ricevere visite dei familiari. Spostarsi a Cuba per un cittadino comune è una odissea visto che un autobus all’interno dell’isola - quando c’è - può tardare giorni a percorrere distanze relativamente brevi. Alcuni detenuti, soprattutto quelli ammalati, sono stati trasferiti ma la trattativa Chiesa-regime non è appoggiata da tutti i dissidenti. Molti, tra cui lo stesso Fariñas, sostengono che la mossa di Castro di accettare alcune richieste sia in realtà un tentativo di dividere il movimento d’opposizione e l’associazione delle “Damas en blanco”, le donne che hanno padri o fratelli detenuti per ragioni politiche. Nei giorni scorsi Fariñas s’è rifiutato d’interrompere lo sciopero della fame aggiungendo che lo farà solo se i prigionieri verranno liberati e non semplicemente spostati. Secondo fonti della dissidenza ci sono altri quattro oppositori in sciopero della fame sull’isola. Uno di loro ha rilasciato una intervista nella quale sostiene che è “pronto ad arrivare alla morte per continuare la lotta di Fariñas” se questi morirà. Dal 1995 Fariñas ha già fatto più di venti scioperi della fame, il più lungo durò oltre sei mesi (sempre per il ricovero e l’alimentazione forzata): in quell’occasione chiedeva di poter avere accesso senza restrizioni ad Internet. Stati Uniti: il carcere di Guantanamo è difficile da chiudere… ora se n’è accorto anche Obama Il Foglio, 30 giugno 2010 La chiusura del carcere speciale di Guantanamo sta scivolando sempre più in basso nell’agenda di Obama. tanto che il New York Times, sempre molto in linea con l’Amministrazione, sostiene sia “improbabile che il presidente Obama mantenga la sua promessa di chiuderlo entro la fine del suo mandato, nel 2013”. Dalla fanfara del primo giorno di servizio, quello in cui Obama aveva firmato l’ordine esecutivo per la chiusura di Guantanamo entro un anno, sono passati sedici mesi in cui il presidente ha rimandato, ha fatto nuovi propositi, ha licenziato il consigliere della Casa Bianca a cui aveva affidato il caso, per poi essere costretto ad ammettere che - come qui si sospettava - lo spazio politico e strategico per la chiusura di Guantanamo non c’è. Il dibattito sul supercarcere istituito da Bush non è fatto di dettagli tecnici. Quando Obama ha firmato per la chiusura, voleva ribaltare l’intera narrazione della giustizia del dopo undici settembre e rovesciare l’idea che ci fosse uno spazio esterno alla giustizia ordinaria dove trattare i più straordinari dei detenuti: i terroristi. Allo stesso modo, la rinuncia obamiana è l’ammissione implicita che il carcere speciale di Bush è il modo più efficace per trattare la minaccia del terrorismo; Obama non ha una vera alternativa a portata di mano, perché un’alternativa radicale non esiste. La testa dell’avvocato della Casa Bianca, Greg Craig, è rotolata proprio nello sforzo titanico di creare una mistica obamiana dei diritti civili uguale e opposta a quella di Bush. Craig è stato incaricato da Obama di occuparsi del dossier di Guantanamo quattro giorni dopo che le urne l’avevano eletto presidente, Per Obama si trattava della cosa più importante, la sintesi di una visione del mondo, e per questo non c’era tempo da perdere. Ma Craig è crollato sotto i colpi della realtà. L’Amministrazione ha provato diverse vie per chiudere il carcere, e tutti i fallimenti sono stati coperti con problemi tecnici e varie versioni del “ci stiamo lavorando”. Il principio a parole è intatto, ma Craig nei fatti è stato licenziato. Al suo posto è arrivato Bob Bauer, che da subito ha fatto capire che la virtù massima nella gestione del dossier è la cautela. Non tutti alla Casa Bianca concordano con l’idea che la chiusura di Guantanamo sia cosa buona e giusta. Da subito il capo dello staff di Obama, Rahm Emanuel, si è detto d’accordo sull’inversione ideale del bushismo, ma non proprio certo che la chiusura del carcere senza se e senza ma fosse l’alternativa giusta. Per mesi si è parlato della struttura dismessa di Thompson, a 150 miglia da Chicago, come alternativa a Guantanamo, ma il progetto si è arenato, perché trasferire i prigionieri sul suolo americano vorrebbe dire prendersi il rischio enorme di sottoporli alla giustizia-ordinaria, con la certezza - confermata dai dati - che la maggior parte degli eventuali rilasciati tornerebbe alle sue occupazioni jihadiste con zelo rinnovato. Anche il dipartimento di Giustizia si è fatto più cauto e il ministro Eric Holder ha smesso di tuonare contro il carcere speciale, che peraltro è tornato a essere apprezzato dall’opinione pubblica (i sondaggi dicono che il 60 per cento degli americani non vuole la chiusura di Guantanamo) dopo l’attentato del Natale scorso, il massacro di Fort Hood e il Suv carico di esplosivo trovato a Times Square. L’Amministrazione sta rinunciando anche a processare la mente dell’11 settembre, Khalid Sheikh Mohammed, a New York in autunno (un altro annuncio improvvido), mentre le funzionalità della prigione segreta nella base americana di Bagram, in Afghanistan, sono state potenziate. L’unica strada percorsa dall’Amministrazione è il trasferimento di prigionieri in paesi terzi: 33 sono stati accettati dagli alleati e nella lista dei papabili ne rimangono soltanto 22. Per tutti gli altri Obama prende tempo, e alla Casa Bianca fermenta l’idea che nell’interesse della sicurezza nazionale Guantanamo sia il migliore dei carceri possibili.