Giustizia: 68.206 detenuti, nelle carceri di 13 regioni superato anche il limite “tollerabile” Il Velino, 28 giugno 2010 Secondo le ultime rilevazioni aggiornate a questa mattina, i detenuti presenti negli istituti penitenziari sono 68.206 con 13 Regioni “fuori legge”. La denuncia del Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) che con il segretario generale Donato Capece commenta: “I detenuti presenti sono 68.206, il record nella storia del Paese. E salgono a 13 le Regioni “fuori legge” che ospitano un numero di persone superiore al limite “tollerabile”: Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Puglia, Sicilia, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Veneto. A queste si aggiungono tutte le altre che superano comunque il limite “regolamentare” ed una carenza complessiva negli organici della Polizia Penitenziaria di oltre seimila unità. Tutto questo si concretizza in una quotidiana realtà penitenziaria nazionale fatta sempre più frequentemente di tentativi di suicidio, risse, aggressioni e atti di autolesionismo. Che cosa si aspetta ad intervenire? Quali strategie urgenti si vogliono mettere in atto per risolvere queste gravi criticità? Che cosa prevede il Piano carceri che il Comitato di sorveglianza, costituito dal ministro della Giustizia Angelino Alfano, dal ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli e dal capo del dipartimento della Protezione civile Guido Bertolaso, istituito tramite ordinanza del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi risalente al 28 marzo 2010, ha approvato il 24 giugno scorso? Quali sono i dettagli del crono-programma che si pone il preciso obiettivo di fare fronte, in tempi brevi, all’emergenza carceri, coniugando certezza della pena, processo di rieducazione del detenuto e condizioni di vivibilità nel rispetto degli standard europei?” Capece ritiene che una sola possa essere la soluzione: “Un incontro con il ministro della Giustizia Alfano, il Sappe e le altre organizzazioni sindacali di categoria per affrontare le strategie di intervento alle crescenti criticità del sistema carcere. Incontro che torno oggi a sollecitare” conclude. Giustizia: sistema carceri al “punto di non ritorno”; gli avvocati denunciano, gli agenti protestano di Dimitri Buffa L’Opinione, 28 giugno 2010 L’Unione delle Camere penali ha presentato denunce in ogni distretto di corte d’appello relative alle condizioni di vita nelle rispettive carceri. Una decisione presa a causa dell’immobilismo delle istituzioni nei confronti del problema del sovraffollamento. Oggi, i detenuti nelle galere italiane hanno raggiunto il numero più alto dell’intera storia carceraria nazionale. Sono 68.021. Ciò mentre il piano carceri annunciato 11 volte nel corso degli ultimi 24 mesi dal ministro della Giustizia si rivela una tragica beffa. Non un metro di spazio in più per i detenuti, non un solo servizio più decoroso, non l’assunzione di un solo poliziotto penitenziario e di un solo psicologo. Così dal primo gennaio 2010 a oggi il numero dei suicidi ha raggiunto quota 30 e in carcere ci si ammazza venti volte più di quanto ci si tolga la vita fuori”. Lo ha dichiarato Luigi Manconi, presidente di “A Buon Diritto” quando si è saputo dell’ennesimo record battuto in materia di invivibilità e di illegalità delle istituzioni penitenziarie. Tutto ciò spiega anche l’iniziativa praticamente senza precedenti adottata nei giorni scorsi dall’Unione delle Camere penali: presentare denunce in ogni distretto dì corte d’appello relative alle condizioni di vita nelle rispettive carceri. Questo affinché “i responsabili della tutela dei diritti dei detenuti pongano in essere tutte le iniziative idonee a garantire il rispetto del dettato costituzionale”. Finora sono state presentati esposti e denunce relative alla condizione carcerarie nelle città di Ascoli Piceno, Bari, Bologna,Catania, Catanzaro, Firenze, Frosinone, Gorizia, Imperia, Brescia, Milano San Vittore, Modena, Napoli, Novara, Padova, Parma, Piacenza, Torino, Biella, Cuneo, Fossano, Saluzzo, Ivrea, Asti, Aosta, Alba, Pisa, Pistoia, Prato , Reggio Emilia, Roma, Rebibbia femminile e Regina Coeli, Sulmona, Torino, Velletri e Vercelli. Le camere penali hanno anche messo sul loro sito internet un formulario con cui presentare questi esposti. Significative le prime righe: “preso atto della drammatica e notoria emergenza che vive in questo periodo il sistema penitenziario a causa del sovraffollamento, sì intende intervenire a tutela dei diritti dei detenuti che patiscono una non più tollerabile lesione al diritto alla salute, alla vita di relazione, alla partecipazione a programmi rieducativi secondo i canoni sanciti dall’art. 27 della Costituzione”. È il famoso piano carceri di Alfano, di cui il ministro ha menato vanto anche in un’intervista sull’ultimo numero di “Panorama”? Nonostante le periodiche citazioni, a dispetto dello sciopero della fame che i radicali italiani hanno condotto per settimane, sotto la guida della deputata Rita Bernardini (eletta nelle liste del Pd come tutti gli altri) non se ne parla più, come non si parla più del decreto che avrebbe dovuto concedere i domiciliari a chi doveva scontare l’ultimo periodo di dodici mesi di detenzione in residuo pena. Forse per pudore, è scesa una coltre di silenzio. D’altronde la sporca demagogia incrociata di Lega Nord e di Italia dei Valori ha mandato tutto in malora. Compresa la vita di chi è detenuto. E anche il sindacato degli agenti di custodia, Osapp, ha perso la fiducia nel ministro e nel suo operato, come evidenziato in un durissimo comunicato di alcuni giorni fa. “Che fossimo nella fase di non ritorno lo avevamo già dichiarato ed altrettanto, per le carceri, avevamo indicato il pericolo del lassismo istituzionale - vi si legge tra l’altro dopo la mancata realizzazione delle iniziative e dei piani straordinari a lungo promessi dal Ministro Alfano e del Capo del Dap tonta e persino oggetto di trionfali annunci da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri Berlusconi, ma l’emergenza ed i rischi legati alla condizione delle carceri nel nostro Paese, non può più essere un problema di cui si debbano preoccupare esclusivamente i poliziotti penitenziari”. Ergo? “Proprio perché inizia a scarseggiare la fiducia nei confronti di un Ministro che alle promesse sulle carceri non mantenute, sembra avere sostituito un indecoroso silenzio e in ragione del fatto che, visti lo stato di prostrazione e il degrado del personale, delle strutture e dell’utenza, non comprendiamo l’utilità dei poteri di Commissario straordinario conferitigli e come possa tuttora risultare estraneo al fallimento dell’Amministrazione l’attuale capo del Dap”. Cioè Franco Ionta. Un uomo di cui ormai tutte le sigle sindacali della polizia penitenziaria chiedono la testa. Giustizia: un “Piano” di solo cemento, costoso e inutile senza l’assunzione di nuovo personale di Dina Galano Terra, 28 giugno 2010 Via libera all’attuazione del progetto straordinario di edilizia penitenziaria: undici istituti ex novo e venti padiglioni per contenere il sovraffollamento. Ma senza personale e spazi per le attività rieducative. Quasi se ne erano perse le tracce. A distanza di circa un anno e mezzo dal primo annuncio, ecco però che il Comitato di sorveglianza, composto dal Guardasigilli Alfano, dal ministro delle Infrastrutture Matteoli e dal capo della Protezione civile Bertolaso, dà il via libera al cosiddetto “Piano carceri”. Undici nuovi istituti e venti padiglioni aggiuntivi sorgeranno, quanto meno secondo l’ambizioso programma, entro il prossimo biennio 2011-2012. Per far fronte innanzitutto all’emergenza sovraffollamento, dichiarata per decreto dallo stesso Alfano lo scorso gennaio. Si spenderanno 611 milioni di euro, gran parte previsti in un finanziamento ad hoc inserito in finanziaria, i restati prelevati dalla Cassa delle ammende. “Così finalmente servirà a qualcosa”, ironizza polemicamente Patrizio Gonnella di Antigone che da sempre critica l’utilizzo improprio di fondi che la legge invece destina alle attività in favore dei detenuti. “Questo provvedimento - avverte - non sarà nemmeno risolutivo perché la popolazione carceraria cresce al ritmo di 700 unità ogni mese: tra poco più di un anno anche i nuovi posti si saranno esauriti”. Il Piano dovrebbe, secondo le stime del ministero, portare a un ampliamento di 9.950 posti letto, di cui circa 5mila ricavati da padiglioni che saranno costruiti negli spazi di carceri già esistenti, secondo il cosiddetto “modello a croce”. Per l’architetto Cesare Burdese che da oltre trent’anni si occupa di edilizia penitenziaria, si tratta “di uno schema ottocentesco, come per altro indicato dal Piano stesso. è la tipica soluzione utilizzata quando mancano le risorse umane. Le celle si affacciano su un unico corridoio, sottoposte a un controllo visivo centralizzato che permette, con pochi agenti al centro, di sorvegliare i detenuti”. Sarà forse per questo che nella riunione del Comitato che ha autorizzato il Piano nessuno ha fatto menzione delle assunzioni, pur promesse, di nuovi agenti penitenziari. “è la solita storia delle pentole e dei coperchi - ha commentato Eugenio Sarno del sindacato di polizia penitenziaria Sappe. Si costruiscono nuove carceri, ma non si assume il personale per gestirle. E ciò connota di improvvisazione e superficialità l’azione dei responsabili politici e amministrativi”. Per le strutture che, inoltre, dovranno venire alla luce ex novo sono in molti a temere che si ripetano gli errori del “modello Aquila” di intervento straordinario. Alcune dovrebbero sorgere in città come Bolzano e Pordenone i cui istituti penitenziari sono “allo sfascio e devono essere chiusi”, nota il garante dei detenuti di Firenze Franco Corleone. Ma, almeno nelle intenzioni, non sembra che i nuovi andranno a sostituire i vecchi. “Nel sistema dell’architettura penitenziaria italiana non esiste alcuna coerenza spaziale - denuncia l’architetto Burdese. Si procede con montagne di calcestruzzo senza progettualità e senza rispetto dei regolamenti penitenziari e della Costituzione”. “Come costruire un ospedale dove i pazienti non potranno essere curati”, la priorità, sembra, è far rientrare l’allarme e tirar su costosi mattoni fuori dal regime ordinario. Giustizia: fra tagli di bilancio e indifferenza, così i detenuti vengono privati del diritto alla salute di Rocco Vazzana Left, 28 giugno 2010 Se è vero che la civiltà di un Paese si misura anche dalla condizione delle sue carceri, l’Italia è ancora ferma all’anno zero. È questa la fotografia impietosa che emerge dai lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari, presieduta dal deputato Idv Leoluca Orlando, che ha aperto un filone d’indagine specifico sullo stato delle strutture detentive italiane. Il 17 giugno sono stati ascoltati alcuni rappresentanti del Forum nazionale per il diritto alla salute delle persone private di libertà personale e del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa. Le disfunzioni del sistema carcerario italiano sono state messe a nudo e quella che è emersa è una situazione drammatica. A partire dall’ormai gravissimo problema del sovraffollamento. Il numero dei detenuti aumenta a un ritmo di 800 nuove presenze al mese, e in questi primi giorni d’estate si sfiora già quota 68mila su una capienza massima di 43mila posti. Una coabitazione coatta in ambienti ristretti che rende il disagio della detenzione ancora più insopportabile e facilita la diffusione di malattie infettive. Nei soli penitenziari laziali, secondo quanto riferito dal garante dei detenuti Angiolo Marroni, il 62 per cento dei carcerati presenta patologie che richiedono un intervento medico: quasi il 40 per cento è affetto da epatite cronica e il 27 per cento soffre di problemi psicologici o psichiatrici. Preoccupante anche l’aumento dei casi di tubercolosi e Aids. Senza fondi, con la conseguente penuria di operatori, la condizione sanitaria delle carceri rischia di precipitare. Il passaggio di competenze dalla gestione penitenziaria al servizio sanitario nazionale, iniziato nel 2008, non ha dato i frutti sperati. Anzi, paradossalmente potrebbe aver peggiorato la situazione. “Questo avvicendamento, eticamente validissimo, non si è ancora realizzato pienamente - spiega a left Leoluca Orlando. Mancano ancorale Regioni a statuto speciale. Ma lì dove è avvenuto c’è stata una vera e propria operazione verità perché è emerso che circa l’80 per cento delle strutture destinate alla salute del detenuto non era a norma”. Il problema, però, non riguarda solo il passato. “Lo Stato non ha ancora destinato alle Regioni le somme relative alla sanità nei penitenziari -continua Orlando - con la conseguenza che i detenuti rappresentano per il Servizio sanitario una spesa in più ma senza poter disporre delle risorse che prima erano destinate all’amministrazione penitenziaria. Tutto ricade sui bilanci regionali. La verità è che le condizioni di vita dei detenuti non fanno parte dell’agenda politica di questo Paese”. E se bisogna operare un taglio, il primo capitolo di spesa a essere colpito è proprio quello delle carceri. Ricevere le cure adeguate, in queste condizioni, diventa un lusso. Il semplice spostamento di un detenuto in una struttura ordinaria comporta costi, attivazione di procedure e lungaggini burocratiche, con la conseguenza che il personale di polizia penitenziaria viene utilizzato per i servizi più disparati. È ragionevole immaginare, dunque, che in caso di emergenza il detenuto verrà trasportato nella struttura sanitaria più vicina al carcere, non in quella più appropriata. In prigione manca tutto. Mancano gli agenti ma soprattutto mancano figure chiave per sostenere il peso del soggiorno forzato in un istituto di pena: psicologi e assistenti sociali. Un’assenza ingombrante che porta con sé delle conseguenze devastanti. Dal 1990 al 2009 si sono registrati 1.027 casi di suicidio. E nei primi sei mesi del 2010 sono già 32 le persone che si sono tolte la vita in carcere. Un suicidio ogni 924 detenuti, il 20 per cento in più del dato che si riscontra tra la popolazione libera. Negli ultimi 10 anni i suicidi sono aumentati del 300 per cento. Se invece spostiamo la nostra attenzione sugli atti di autolesionismo, la percentuale aumenta vertiginosamente, riguardando un detenuto su dieci. Numeri che fanno rabbrividire, statistiche cupe che richiederebbero un intervento immediato da parte della politica. “Il problema non è solo carcerario ma anche giudiziario - precisa Orlando. Esiste un’infinità di reati che potrebbero essere tranquillamente depenalizzati. Come tutti quelli che nascono attorno al fenomeno dell’immigrazione, generati molto spesso da norme che chiedono a un clandestino di fare il triplo salto mortale per non incappare in sanzioni. Il risultato è che se sbagli uno dei salti finisci in galera. In attesa del piano carceri del governo, se mai arriverà, sarebbe possibile alleviare drasticamente le condizioni di sofferenza dei detenuti con piccoli accorgimenti amministrativi e legislativi”. La commissione si è anche soffermata sugli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), quelli che un tempo si chiamavano “manicomi criminali”. In Italia ne esistono ancora sei e ospitano circa 1.500 internati. Formalmente si tratta di strutture sanitarie, nella sostanza sono difficilmente assimilabili a ospedali, come denunciato alla Commissione d’inchiesta dal Comitato per la prevenzione della tortura, che ha riferito di “trattamenti disumani”. “Terapie” che, grazie alla legge Basaglia, credevamo ormai riposte nel cestino della vergogna e che invece sembrano sopravvivere in alcuni di questi ospedali. “Le anomalie di questi istituti sono tante - conclude il presidente Orlando -. A cominciare dal fatto che a dirigerli ci sono due direttori: uno della struttura sanitaria e uno della struttura penitenziaria. È evidente che questa doppia direzione potrebbe avere degli effetti negativi sul diritto alla salute del detenuto, perché può creare conflitti di competenza, anche da un punto di vista strettamente terapeutico”. Il lavoro della Commissione è appena cominciato. Nelle prossime settimane sotto la lente d’ingrandimento dovrebbero finire anche i Centri di identificazione ed espulsione. Un atto dovuto per aprire una finestra su un mondo in cui anche il diritto alla difesa è messo in discussione. Giustizia: il piano carceri affidato a Guido Bertolaso; la nuova “annunciazione” di Alfano www.radiocarcere.com, 28 giugno 2010 Il Comitato di sorveglianza, costituito dal ministro della Giustizia Angelino Alfano, dal ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli e dal Capo del Dipartimento della Protezione civile Guido Bertolaso, ha approvato il Piano carceri presentato dal Commissario straordinario e Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta. Il piano messo a punto da Ionta, e consegnato alla fine dello scorso aprile al ministro Alfano, prevede una spesa complessiva di 661 milioni di euro, di cui circa 500 milioni provenienti dallo stanziamento ‘ad hoc’ della finanziaria e i rimanenti dai capitoli di bilancio ordinario del Dap e dalla cassa delle Ammende. Nel dettaglio le nuove 11 carceri (ciascuna con circa 450 posti) saranno costruite a Bolzano, Pordenone, Venezia , Torino, Camerino, Nola, Bari, Sciacca, Catania, Marsala e Mistretta. Tutte costeranno 40,5 milioni di euro l’una, tranne quella di Bolzano da 25milioni di euro. Ciascuno dei 20 padiglioni potrà ospitare circa 250 detenuti. Le strutture, per un costo complessivo di 231 milioni, saranno costruite nei penitenziari già esistenti di Alessandria, Milano, Bergamo, Reggio Emilia, Ferrara, Bologna, Piacenza, Parma, Vicenza, Sulmona, Roma, Napoli, Salerno, Trani, Taranto, Lecce, Trapani, Siracusa e Caltagirone. P.S. L’ennesimo annuncio di un piano carceri che tradotto significa tanti soldi pubblici spesi, ovvero una bella torta da spartire. Non una parola sulla riforma delle pene. Silenzio sulla riforma del processo penale, per renderlo davvero ragionevolmente breve e così risolvere la questione dell’eccessivo ricorso alla custodia in carcere prima del giudizio. Nulla di tutto questo solo un annuncio sulle nuove carceri. Nuove carceri che non risolveranno nulla, ma che arricchiranno alcuni. Infatti, il Piano carceri porterebbe ad un aumento di soli 9 mila posti nelle carceri. Una goccia nel mare. I detenuti sono 68.130, a fronte di circa 42 posti. 42 posti in carcere che divenuti 51 mila col piano carceri, non sposteranno di molto il problema del sovraffollamento. Sempre 18 mila detenuti in più ci saranno. E poi, resta una piccola questione. Per costruire queste carceri ci vorranno anni, e la questione è: il Governo come pensa di fronteggiare l’emergenza sovraffollamento in attesa delle nuove carceri? Che si farà mentre i detenuti aumenteranno sempre più? Che il Piano carceri, la torta da spartire, nasconda una presa in giro e pure costosa è sempre più chiaro. Giustizia: Mauro Palma; in vari Stati si tortura in nome della democrazia, per estorcere confessioni di Marco Berti Il Messaggero, 28 giugno 2010 Presidente Palma, c’era un tempo in cui il boia torturava in nome del re, un altro in cui la Santa Inquisizione lo faceva in nome di Dio, oggi ad Abu Ghraib lo sì è fatto in nome della democrazia. Cambiano gli “sponsor”, ma nella storia dell’uomo lo strumento è sempre lo stesso. “È così. C’è sempre una grave afflizione imposta, c’è sempre una volontà di imporla e c’è sempre una finalità, vale a dire costringere l’individuo a rinnegare la propria ideologia o distruggere la sua personalità. C’è un altro elemento comune, il rapporto di inimicizia tra vittima e carnefice, nel senso che nella tortura non c’è la stessa relazione che si stabilisce con un criminale. In situazioni tipo Abu Ghraib c’è un elemento in più, vengono detenute quelle persone che sono percepite come nemiche del tuo ordine costituito”. Mauro Palma di torture se ne intende e ne parla nel giorno in cui in tutto il mondo, per volontà dell’Onu, si celebra la “Giornata internazionale per le vittime della tortura”. Palma presiede il Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura (Cpt) che ha il compito di monitorare con indagini in loco violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, là dove all’articolo 3 si legge che “nessuno può essere sottoposto a torture o a trattamenti inumani e degradanti”. La tortura è dunque un puro esercizio di volontà di annientamento della personalità? “Questa è una finalità. C’è anche la tortura finalizzata alla confessione. In Europa abbiamo diversi casi e secondo me è uscito un messaggio negativo quando, a seguito degli attentati del terrorismo internazionale, quasi tutti gli stati hanno aumentato il periodo di detenzione fra l’arresto di una persona e le sua comparizione davanti al giudice. Il messaggio è “abbiamo bisogno di più opacità per essere efficaci”, ed è in questi periodi “opachi” che si annida la tortura”. Qual è la linea che divide la tortura dai trattamenti inumani e degradanti? “Si può avere un trattamento inumano e degradante anche senza che nessun soggetto in realtà lo voglia. C’è una sentenza della Corte europea, quella che lo scorso anno ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione, secondo cui lo spazio in cella previsto per un detenuto era talmente esiguo, a causa del sovraffollamento, che quelle condizioni sono state considerate trattamento inumano e degradante. Quindi, tortura quando c’è la sofferenza e la volontà, trattamento inumano e degradante quando c’è la sofferenza senza che ci sia la volontà”. L’introduzione nei codici del reato di tortura potrebbe servire a limitare il danno? “In matematica (Palma è un matematico, ndr) si usa la formula “condizione necessaria ma non sufficiente”. L’introduzione del reato di tortura è condizione necessaria, perché in quei Paesi in cui non è previsto, come l’Italia, la torture sono perseguite come reati deboli, tipo abuso d’ufficio o lesioni”. Vedi Bolzaneto… “Certo. E a proposito di Bolzaneto lo stesso pm ha detto di non aver una figura di reato specifica. Detto questo, il reato di tortura è anche condizione non sufficiente: ci sono Paesi che prevedono questo reato ma non lo usano”. Cos’è che in Italia ostacola l’introduzione del reato di tortura? “La convinzione per cui utilizzarlo suonerebbe offensivo per le forze dell’ordine. Secondo me, chiamare le cose con il loro nome è anche una forma di rispetto per la grande maggioranza delle forze dell’ordine che lavorano correttamente”. Il Cpt può entrare nelle carceri anche senza avviso Ha accesso, anche senza avviso, a tutti i luoghi di privazione della libertà (carcere, commissariato, caserme di carabinieri e polizia, gendarmerie in Francia) centri per immigrati, per malati psichiatrici in trattamento sanitario obbligatori; può parlare in privato con chi è ristretto e ha accesso a tutti i documenti: è il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa, che opera in difesa degli oltre un milione 850 mila detenuti reclusi nelle prigioni europee. Istituito nel 1987, con un trattato europeo, ha iniziato a lavorare nel 1989. È stato riconosciuto da 47 stati (tutti gli europei, inclusa Russia, Turchia e repubbliche caucasiche) - manca solo la Bielorussia. Ne fanno parte 1 membro per ciascuno stato. Il Comitato mantiene la propria vigilanza su tutte le aree europee, da quelle di più sedimentata democrazia a quelle che escono da conflitti recenti e dove i rischi sono anche maggiori. Stabilisce un rapporto riservato che invia ai governi con i quali apre un dialogo riservato. Sulla base delle visite fatte nei vari Stati manda ai governi dei rapporti, finora ne ha pubblicati quasi 270. Se una governo non rispetta le sue raccomandazioni o dà informazioni false il Comitato può rompere la riservatezza e fare un “public statement”. Gli ultimi rapporti pubblicati sull’Italia hanno riguardato la visita della fine del 2008 (di panoramica generale su carcere e luoghi di polizia) e quella del 2009 sui respingimenti in mare. Nei suoi 21 anni di attività ha avuto 5 presidenti e ben 2 sono stati italiani: Antonio Cassese negli anni Novanta e Mauro Palma dal 2007) Radicali: la tortura sia reato in Italia In Italia la tortura non è reato, nonostante siano passati ventuno anni da quando Roma ha ratificato la convenzione Onu che la vieta. Un vuoto legislativo che ci vede agli ultimi posti in Europa. Il Parlamento italiano non è riuscito ancora a tradurre in legge la ratifica, per questo, molti abusi o violenze rimangono impunite o ignote. Lo ricorda Irene Testa Segretario dell’associazione Radicale “Il Detenuto Ignoto”. “In questa legislatura - si sottolinea - esistono proposte e disegni di legge presentate alla Camera e al Senato per l’introduzione del reato di tortura. Il Parlamento si impegni per approvarle al più presto”. Giustizia: Favi (Pd); il piano carceri del governo ispirato agli Usa? il loro sistema è al collasso! Ristretti Orizzonti, 28 giugno 2010 “La sottosegretaria alla Giustizia Elisabetta Alberti Casellati vorrebbe trarre spunti dall’organizzazione del sistema penitenziario statunitense per il Piano Carceri del Governo. Eppure, da settimane, avevano annunciato che il Piano era pronto! Evidentemente, la lunga gestazione durata oltre 20 mesi, non convince ancora il Governo, se devono mandare la sottosegretaria Casellati a prendere idee dall’organizzazione del carcere di Sing Sing”. Lo afferma Sandro Favi, responsabile nazionale Carceri del Pd. “Vorremmo dare un anche noi un modesto suggerimento: i maggiori analisti dei sistemi carcerari comparati (fra cui l’Oxford Analytica) denunciano che quello statunitense, con un tasso di carcerazione di 751 unità per 100mila abitanti è prossimo al collasso; mentre in Europa si affrontano già seri problemi con tassi che variano dalle 90 unità di Francia e Germania alle 150 unità di Spagna e Regno Unito. In Italia - prosegue l’esponente democratico - siamo già a 115 ed il Ministro Alfano non sa come verrà superata l’estate, nelle condizioni drammatiche in cui vivono i 68.000 ristretti e con i problemi immani che gestiscono i 40.000 operatori. Una gita al sole del Portogallo per qualche sottosegretario potrebbe essere illuminante: lì hanno rimesso in equilibrio il sistema penitenziario con un piano di sviluppo delle misure alternative al carcere. Poi anche un blitz in Germania per capire che noi abbiamo troppi imputati in custodia cautelare, il doppio dei severi tedeschi. Una sfida - conclude Favi - che i campioni del garantismo dovrebbero accettare, piuttosto che mirare a spuntare gli strumenti di indagine della magistratura e quelli operativi delle forze di polizia”. Giustizia: Osapp; piano carceri è fallimentare senza riforma sistema penale e penitenziario Il Velino, 28 giugno 2010 “Siamo anche noi favorevoli, come sindacato e non da oggi, a esportare dagli Usa un modello di carcere, quale quello di Sing Sing, in cui l’istruzione e il lavoro siano obbligatori per tutti i detenuti, in cui siano ampliati gli spazi e le ore per gli incontri con le famiglie, in cui siano previsti incentivi per le imprese che assumono ex detenuti e con le mitragliatrici sui muri di cinta da utilizzare nei tentativi di evasione o di rivolta, come in Italia non sarà mai consentito”. Lo dichiara il segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma Polizia Penitenziaria) Leo Beneduci, riguardo alle affermazione del sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati, in visita ad alcune carceri statunitensi. “A parte le facili battute, quello che ci riesce difficile far comprendere - prosegue il segretario dell’Osapp - è che il modello di carcere italiano che non è possibile paragonarlo, purtroppo, a quello di altre nazioni, in quanto determinato dalle influenze e dalle scelte che proprio la politica ha prodotto nel nostro Paese negli ultimi 30 anni. In Italia, peraltro, il sistema penale e i tempi della giustizia non sono andati di pari passo con i progressi del sistema penitenziario ed è questa la principale causa del sovraffollamento e degli attuali disagi in carcere, senza contare che a contatto con i detenuti, soprattutto a far tempo dal 1990, non ci sono semplici “custodi”, ma veri e propri agenti e ufficiali di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza. Del resto, se quella che si chiamava “legge Smuraglia” e che concedeva crediti di imposta alle imprese per l’assunzione di detenuti non c’è più, se la recente manovra finanziaria ha ridotto di un ulteriore dieci per cento le già precarie risorse economiche per il lavoro in carcere e se persino la proposta, di cui al ddl Alfano, di introdurre nel nostro sistema penale la cosiddetta probation, di consolidata tradizione anglosassone, ha incontrato così tante resistenze, il sottosegretario alla Giustizia Casellati dovrebbe ricondurre le proposte sostanziali indicate in primo luogo al governo di cui è parte integrante, ottenendo in ciò il nostro favore e il nostro incondizionato appoggio. Purtroppo - conclude Beneduci -, rispetto al piano-carceri approvato ieri dal Comitato interministeriale di verifica presieduto dal ministro Alfano, siamo pressoché certi che sarà proprio l’avere individuato soltanto ulteriori e assai onerosi luoghi di contenzione, senza personale da adibire alle esigenze rieducative e senza le riforme sostanziali che da tempo chiediamo, a decretarne il fallimento”. Friuli Venezia Giulia: Menis (Pd); l’emergenza carceri non si risolve con nuove strutture Asca, 28 giugno 2010 Il consigliere regionale del Friuli Venezia Giulia Paolo Menis (Pd), in una nota, evidenzia che pochi giorni fa è stato approvato il nuovo piano carceri che prevede la costruzione di 11 nuove strutture, inclusa quella di Pordenone, la cui ultimazione è prevista tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012. “Una soluzione al sovraffollamento”, nelle parole del super commissario nazionale delegato alla gestione dell’emergenze, Franco Ionta che non convince però il consigliere. Menis ricorda di essere da tempo in prima linea su questo argomento e di conoscerlo particolarmente bene avendo da poco concluso un lungo percorso di approfondimento visitando negli ultimi mesi tutte e cinque le strutture detentive regionali. “Un’occasione unica - afferma Menis - per rendersi conto che in realtà il problema del sovraffollamento carcerario, come viene impropriamente chiamato, è molto più complesso. A mancare sono le strutture certo, ma non solo, il problema vero è come mai abbiamo così tanti detenuti e cosa possiamo fare per risolvere la situazione in maniera permanente”. “Basterebbe - suggerisce Menis - assumere 700-1.000 unità del Corpo di Polizia Penitenziaria per attivare un circolo virtuoso che punti sui progetti di recupero, un obiettivo possibile e proficuo sia sul piano sociale che su quello economico. Con i 500 milioni di euro del piano carceri si potrebbero 10 mila progetti tutorati, che - conclude il consigliere - sono una condizione di sicurezza dal momento che il tasso di recidiva di chi sconta la pena con una misura alternativa è del 30% contro il 68% di chi sconta l’intera pena in carcere”. Puglia: Osapp; con il piano carceri 1.500 detenuti in più nelle carceri della Regione Asca, 28 giugno 2010 Le preoccupazione dell’Osapp sull’idea dei vertici politici e del dipartimento di ampliare la popolazione detenuta nella Regione Puglia si concretizza con il varo del c.d. “piano Carceri”, la cui previsione sarebbero, a breve, di realizzare ben tre nuovi edifici all’interno delle già esistenti Carceri sovraffollate come Lecce 1.400 detenuti; Taranto con circa 650 detenuti e Trani con circa 280/300 detenuti poi da settembre con l’apertura dell’ex reparto Giudiziario vedrà ulteriori 180/250 detenuti provenienti dalla 2 Sezione di Bari, in ristrutturazione, e con la costruzione del nuovo plesso, l’incremento di ulteriori 250 detenuti. Intanto anche la Città di Bari finalmente vedrà realizzato il nuovo e moderno penitenziario con 450 posti letto detentivi, ultramoderno e automatizzato del costo iniziale pari a 40,5 milioni di euro. Su quello di Bari, tra le undici strutture nazionali di nuova costruzione prevale sempre la linea Fincantieri la cui realizzazione sarebbe di “Carceri Galleggianti” ipotesi dai restanti Paesi Europei scartata o sostituita per difetti di gestione e sanitari o, in alternativa si ipotizza la costruzione nelle adiacenze della “Cittadella della Giustizia”. Se questo, come già varato dal Comitato Interministeriale di verifica avrà luogo, ma non dubitiamo alcuno ritardo, spaventosamente saliremmo a quota 1.500 detenuti in più rispetto alle 4.400 attuali con un trend spaventoso di sovrappopolazione reclusa. L’Osapp preoccupata perché già carenti come Polizia Penitenziaria di circa 300 unità a causa di quiescenza nel biennio,su una forza di circa 2.800/2.900 agenti, e la realizzazione di queste strutture invocherebbe un surplus di polizia pari a 350 unità rispetto alle attuali. Se già oggi, i Turni sono tutti obbligati su tre quadranti lavorativi,privi di ogni più elementare diritto come il riposo, a rischio congedo ordinario,orario che vanno ben oltre le nove e dodici ore di servizio, missioni e straordinari non pagati in alcuni casi da circa otto mesi, mezzi obsoleti per Ntp e bloccati, come nel caso di Turi anche le udienza per mancanza di uomini e gasolio,come risponderà il Governo Ministro Alfano e Capo Dap Ionta a tutto questo continuando in controtendenza a mantenere uomini e mezzi presso scorte a magistrati, politici, funzionari, presso Uepe, Tribunali e Procure. Non bastano le continue aggressioni ai poliziotti, i tentativi di evasione, le sommosse ed i suicidi nelle carceri italiane e pugliesi. Lunedì 28 giugno nelle sedi periferiche come Trani si festeggerà il 193° annuale del Corpo, Osapp non ha partecipato a Roma alla presenza del Presidente della Repubblica, non ha partecipato a Lecce a quella Regionale con Ministro Fitto, non intende, per le stesse ragioni e per coerenza di dissenso partecipare a quelle locali,come nella Città di Trani e Bari. Emilia Romagna: Sappe; nelle carceri 4 tentati suicidi in 10 giorni… è un Vietnam Dire, 28 giugno 2010 La notte scorsa un detenuto italiano di circa trent’anni ha tentato di togliersi la vita nel carcere di Piacenza e soltanto “grazie al pronto intervento degli agenti, e alla fondamentale collaborazione dei detenuti, un’altra vita è stata salvata nel ‘Vietnam’ delle carceri italiane”. Nella sola Emilia-Romagna “è già il quarto detenuto salvato in dieci giorni”, dopo due casi a Parma e uno a Bologna. Così il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, denuncia l’escalation di tentati suicidi nei penitenziari della regione. Il caso di Piacenza “è avvenuto verso l’una di notte”, riferisce il Sappe in una nota: “Gli agenti avevano appena effettuato il consueto giro di controllo quando sono stati attirati dalle grida che provenivano da una cella. Si sono recati immediatamente sul posto ed appena entrati nella cella hanno constatato che tre detenuti stavano sollevando il loro compagno di cella che si era impiccato con un rudimentale cappio fatto con le lenzuola”. La realizzazione del “Piano Carceri”, sottolinea il Sappe, “consentirebbe di ricavare 1.250 posti detentivi in regione, con la costruzione di nuovi padiglioni a Piacenza, Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia. Inoltre, con l’ultimazione del nuovo carcere di Forlì, ormai in costruzione da anni, si otterrebbero altri 450 posti. A questi si potrebbero aggiungere i 300 posti dell’ospedale psichiatrico di Reggio Emilia, qualora lo stesso fosse dismesso, secondo il programma della convenzione siglata tra Amministrazione penitenziaria e Regione Emilia-Romagna, e convertito in casa circondariale. Così si otterrebbero complessivamente 2.000 posti detentivi che consentirebbero di eliminare il sovraffollamento in regione”. Per il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, comunque, “è del tutto evidente che bisognerà incrementare anche l’organico della polizia penitenziaria, carente di 6.500 unità a livello nazionale e 650 in Emilia-Romagna”. Basti pensare che nel carcere di Piacenza, teatro dell’ultimo tentato suicidio, “ci sono circa 430 detenuti, a fronte di una capienza di circa 200 posti, e mancano più di 50 agenti”. Domani alle 10.30 una delegazione del Sappe, insieme al consigliere regionale Galeazzo Bignami, visiterà il carcere di Bologna e alle 11.30, nello stesso istituto, terrà una conferenza stampa. Agrigento: marocchino 22enne si suicida nella “camera di sicurezza” della questura Ansa, 28 giugno 2010 Un marocchino di 22 anni, Y.A., si è tolto la vita la notte scorsa all’interno di una camera di sicurezza della questura di Agrigento. L’uomo era stato arrestato ieri dai poliziotti del commissariato di Montechiaro che erano intervenuti per sedare una rissa. Secondo la ricostruzione dei poliziotti il marocchino era andato in escandescenza e probabilmente aveva anche fatto uso di sostanze stupefacenti. Subito dopo l’arresto era stato rinchiuso in una camera di sicurezza della questura in vista dell’udienza di convalida del suo fermo in programma stamattina. Ma l’uomo, eludendo la sorveglianza, la notte scorsa si è impiccato utilizzando probabilmente una cintura. A questa tragica decisione potrebbe essere stato spinto forse anche dal timore di essere rimpatriato. Sul posto si è recato il magistrato di turno della Procura di Agrigento che sta cercando di ricostruire quanto accaduto. Cagliari: il carcere di Buoncammino scoppia; 524 i detenuti, c’è anche un’anziana di 77 anni Agi, 28 giugno 2010 C’è anche una donna di 77 anni, malata, in cella per un reato commesso una ventina di anni fa fra i 524 detenuti del carcere di Buoncammino, a Cagliari, tornato sovraffollato dopo l’effimero effetto “svuotamento” dell’indulto. Lo segnala la consigliera regionale dei Rosso Mori, Claudia Zuncheddu, che stamane ha compiuto una visita nella casa circondariale e tenuto all’uscita una conferenza stampa assieme a rappresentanti dell’associazione 5 Novembre per i diritti civili. La metà dei detenuti ha problemi di droga, 115 sono in attesa di giudizio, una quarantina è in regime di alta sicurezza, mentre la sezione femminile ospita 26 donne, fra le quali l’anziana malata. “È una cosa indecente”, denuncia Zuncheddu. “Questa donna è anche malata e il suo caso va affrontato”. Zuncheddu ha anche manifestato preoccupazione per la prospettiva dell’arrivo in Sardegna dalla penisola di circa 400 detenuti in regime di 41 bis. “Si continua a considerare la Sardegna terra di punizione”, protesta l’esponente dei Rosso Mori. “Temo che finiranno per portare qui tutti i 600 detenuti sottoposti al carcere duro”. La situazione a Buoncammino - ricordano i volontari dell’associazione - è aggravata dalla carenza di personale di sorveglianza (gli agenti di polizia penitenziaria sono 200 su un organico previsto di 267) e da inadeguate condizioni igienico-sanitarie. Torino: “Carceri infernali”, accusano i penalisti; chiesta alla Procura un’indagine sulla vivibilità di Raphael Zanotti La Stampa, 28 giugno 2010 Caro avvocato, Piazza Lanza è un magazzino per uomini che contiene quasi il doppio della popolazione massima consentita. La mia cella misura 18 metri quadri, siamo in dieci”. Comincia così la lettera di un detenuto al suo legale torinese dopo il trasferimento, avvenuto qualche giorno addietro, dal carcere di Torino a quello di Catania. La lettera, che descrive le condizioni disumane in cui è finito il prigioniero, hanno spinto la Camera Penale “Vittorio Chiusano” del Piemonte Occidentale e Valle d’Aosta a presentare un esposto alla procura della Repubblica di Torino perché apra un’indagine sulle carceri del suo territorio di competenza. “La casa circondariale Lorusso e Cutugno ha una capienza regolamentare di 1.092 persone e invece ne ospita 1.549 - scrive il presidente, l’avvocato Luigi Chiapperò - Tali dati comportano condizioni igieniche che minano e compromettono la salute e l’equilibrio psicofisico dei detenuti costretti a condividere spazi angusti in un contesto di promiscuità che priva ciascuno della propria dignità”. Nel suo esposto, i penalisti chiedono alla magistratura di verificare eventuali omissioni, false attestazioni, violazioni di legge commesse dalle autorità competenti. Chiedono che s’indaghi sui controlli dell’Asl, sulle relazioni, sugli interventi che ne sono seguiti. “Caro avvocato - continua il detenuto finito a Catania - a Piazza Lanza manca l’acqua più volte al giorno. Solo chi ha disponibilità di denaro sopravvive in questo inferno combattendo con detergenti, disinfettanti e pulizie continue che rasentano l’ossessività”. Sono loro i fortunati. Gli altri, che non hanno denaro, combattono con altro: “Si convive con topi di fogna che fuoriescono da ogni possibile apertura, scarafaggi di ogni genere, insetti e sudiciume di ogni sorta”. All’inferno della cella non c’è scampo, nemmeno durante l’ora d’aria. Perché questa è diventata qualcosa di molto lontano da quello che dovrebbe essere. “Nel cortile “piccolo” (7 metri per 7 circa) - spiega il detenuto - lo spazio è del tutto insufficiente ad accoglierci: siamo, quando va bene, 50 persone. Impossibile camminare, respirare. Stessa situazione nel secondo cortile, quello “grande”. Nell’esposto della Camera Penale si chiede di verificare il rispetto degli spazi minimi previsti dalla legge. Si chiede che vengano rispettati i diritti minimi. Continua il detenuto: “Non abbiamo nemmeno il sollievo del contatto con i familiari. I nostri parenti sono costretti ad aspettare il turno fuori per interminabili ore sotto il sole bruciante; quando hanno la fortuna di entrare sono costretti in sale anch’esse sovraffollate in cui manca l’aria condizionata in quanto l’impianto non funziona”. Mancano medicinali, manca la possibilità di essere curati. E anche in questo caso il presidente Chiapperò chiede ai magistrati di intervenire: “Esiste un solo medico di guardia per una popolazione di circa 600-700 detenuti che interviene solo in casi gravi. Il medico “al piano” (per cento detenuti) c’è solo una volta alla settimana. Ottenere le medicine è difficilissimo”. Non ci sono programmi rieducativi, sportivi, lavorativi. “Caro avvocato - conclude il detenuto - è solo di ieri la notizia della morte qui, a Piazza Lanza, di un detenuto; in questo inferno i più deboli non ce la fanno e decidono di farla finita”. Palermo: l’Ucciardone è una polveriera; dal primo luglio detenuti in “sciopero della spesa” La Repubblica, 28 giugno 2010 Centocinque detenuti in sciopero nella nona sezione del carcere Ucciardone per il sovraffollamento delle celle, il caro viveri e la mancanza di igiene e pulizia. Dal primo luglio i detenuti si rifiuteranno di acquistare prodotti dal modello 72, l’elenco fornito in tutte le celle per le compere fuori dal vitto. “La nostra dignità è calpestata - scrivono in una lettera aperta a Repubblica i carcerati che hanno sottoscritto una petizione - e anche i nostri familiari sono costretti a umiliazioni quando vengono a trovarci”. “È tutto vero quello che denunciano i carcerati - dice Salvo Fleres, garante per i diritti dei detenuti - e tutto abbondantemente segnalato alla commissione europea sui trattamenti umani degradanti. Il piano carceri è stato finalmente varato e in Sicilia tre penitenziari, a Catania, Sciacca e Mistretta, verranno ristrutturati. All’Ucciardone ci sono due sezioni vuote e disponibili per ampliare la capienza della struttura”. Secondo quanto sostengono i detenuti, il mercoledì, giorno di colloqui, i parenti sono costretti in un’angusta sala d’attesa e il più delle volte rimangono in strada “sotto il sole o la pioggia” prima di avere accesso al penitenziario. Un muro, poi, dividerebbe i familiari dai detenuti durante gli incontri. “Non c’è privacy, perché siamo costretti a dover alzare la voce per riuscire a farci sentire”, scrivono i detenuti. Trai dieci punti elencati dai reclusi dell’Ucciardone c’è anche quello che riguarda le condizioni igienico-sanitarie. “Non abbiamo mai visto effettuare una disinfestazione e sta per arrivare il grande caldo. Viviamo in più di tre nelle celle, le finestre hanno delle grate installate che impediscono l’entrata della luce. Molti di noi soffrono di problemi di vista”, si legge nella lettera di protesta. L’ora d’aria? Un altro momento di supplizio, secondo i detenuti che spiegano: “Passeggiamo all’interno di una gabbia per leoni. C’è una rete che sovrasta lo spazio all’aperto e poi le quattro ore previste spesso non vengono concesse”. Poi ci sono gli acquisti limitati e a prezzi definiti esagerati con il modello 72. “Non possiamo acquistare più di due casse d’acqua a testa, anche se tra noi c’è chi non ha problemi economici. I più poveri sono costretti a doversi accontentare di un vitto ministeriale insufficiente”, denunciano i reclusi. La nona sezione dell’Ucciardone era stata concepita per accogliere i detenuti al 41 bis. Da sei mesi, però, nel penitenziario di via Albanese non ci sono più detenuti di massima sicurezza. Il Sinappe, il sindacato degli agenti, interviene sulla vicenda addebitando proprio alla costruzione la colpa dei disagi dei detenuti. Dice Dario Quattrocchi, segretario regionale: “Dovrebbero essere destinati maggiori spazi ai detenuti. Per quanto riguarda i prezzi del modello 72, bisognerebbe fare un’indagine di mercato”. Quattrocchi ammette anche che “i detenuti, ma anche il personale, vivono in un ambiente poco salubre”, ma sulla rete di protezione installata nelle aree all’aperto, Quattrocchi fa notare che “spesso i parenti dei detenuti lanciano patate ripiene di droga e la polizia penitenziaria ogni mattina deve effettuare un’ispezione”. La Uilpa punta l’indice sulla mancanza di personale. Gioacchino Veneziano, segretario regionale: “Mancano 188 uomini alla polizia penitenziaria. Questo è un problema di cui dovrebbe occuparsi il governo. Mancano anche educatori e assistenti sociali”. Salerno: da due giorni i detenuti rifiutano il vitto e protestano con la “battitura” La Città di Salerno, 28 giugno 2010 Da due giorni rifiutano il vitto giornaliero e protestano con la “battitura” di stoviglie contro il sovraffollamento e le pessime condizioni della struttura carceraria di Fuorni, chiedendo un immediato incontro con la direzione e i giudici del tribunale di Sorveglianza di Salerno. I detenuti della casa circondariale della zona di Fuorni, in una lettera, denunciano la difficile situazione in cui da tempo versano, a causa dell’ormai inadeguatezza della struttura. “Abbiamo chiesto un incontro urgente con il direttore - dicono i carcerati - per essere attivi in un processo di miglioramento delle attuali condizioni. Ogni cella da 22 metri quadri ospita otto detenuti, con evidenti problemi di igiene. L’attesa per una visita medica specialistica è tra i quattro e sei mesi, mentre il dentista è inesistente”. Ma problemi riguardano anche l’alimentazione. Oggi il carcere spende 3,70 per colazione, pranzo e cena, secondo il prezzo pattuito dall’ultima gara di appalto e denunciato dai Radicali. “Il vitto è completamente insufficiente. Il pranzo è un piatto di pasta e poi un cucchiaio di tonno e patate scaldate. A cena c’è pastina e un uovo sodo o due fette di sottilette. I prezzi per chi vuole comprare qualcosa extra sono tre volte superiori a quelli di mercato. Soprattutto in questo periodo estivo, visto anche il sovraffollamento e gli eventi problemi di igiene, chiediamo sia garantita la possibilità di una doccia al giorno”. Inoltre è stata chiesta la riattivazione di alcuni spazi sociali di aggregazione una volta presenti e da tempo abbandonati. Nuoro: Badu e Carros in ristrutturazione; chiuse 2 sezioni e detenuti al minimo storico La Nuova Sardegna, 28 giugno 2010 Il cantiere Badu ‘e Carros è in piena attività. Chiusa da oltre un anno la Seconda sezione, per gli interventi di adeguamento agli standard di sicurezza e civiltà - servizi e acqua calda nelle celle -, da qualche settimana si sono poste le premesse per un nuovo padiglione che ospiterà un’ottantina di reclusi. La conseguenza è che, annullato in men che non si dica l’effetto indulto sul sovraffollamento degli istituti, il penitenziario nuorese è attualmente ai minimi storici, in quanto a presenza di detenuti. Sono circa 140: questo perché anche parte della Terza sezione è stata svuotata perché i lavori di ristrutturazione hanno interessato anche i passeggi e si è reso quindi necessario l’allontanamento di parte dei reclusi. Fermo restando che, una volta conclusa la sistemazione della seconda sezione si perderanno degli spazi (si passerà da 150 a circa 120 detenuti), e acclarato che non si comprende che tipologia di reclusi andrà a popolare il nuovo padiglione, una volta finite le opere Badu ‘e Carros arriverà a ospitare oltre 400 persone. I numeri attuali dicono che la capienza regolamentare è di 274 detenuti, quella tollerabile (accezione più che elastica del termine che invece indicherebbe un preoccupante sovraffollamento) è di 351, ecco moltiplicata la popolazione carceraria che, nell’attesa, gode di un insperato momento di quasi grazia. Visto che al penitenziario sono stati di recente assegnati cinque nuovi educatori: e al di là dell’immediato trasferimento di una educatrice a Cagliari, resta da sottolineare che, con la coordinatrice Silvana Arru, il settore trattamentale dell’istituto è forse nella situazione migliore degli ultimi decenni. Un “nuovo corso” coinciso con l’arrivo in pianta stabile, due anni fa, del direttore Patrizia Incollu. Più educatori significa, per i detenuti, l’avvio di una serie di iniziative che allargano le sbarre e danno un senso alla pena da scontare. Oltre alle consulenze per la magistratura di sorveglianza, compito degli educatori, si sono moltiplicati per tutti i detenuti i colloqui e la possibilità di accedere a laboratori, corsi, attività. “Quel che chiedono i reclusi è la possibilità di studiare, svolgere attività fisica ma sopratutto avere corsi di formazione”, sottolinea Silvana Arru. Riutilizzabile da tempo il campo da calcio e arredate le palestre con alcuni attrezzi, da due mesi è stata riattivata la convenzione con una cooperativa che si occupa del servizio del prestito dei libri dalla biblioteca, per tre volte la settimana. Mentre quest’anno otto detenuti si presenteranno come privatisti all’esame per il conseguimento del diploma di Ragioneria. Le prove si svolgeranno a luglio. Altri 23 sono stati promossi alla quinta Liceo scientifico: daranno l’esame di maturità il prossimo anno. E se i corsi scolastici sono resi possibili grazie all’impegno di insegnanti volontari, la formazione professionale è una delle valvole di sfogo per chi vuole pensare a ciò che sarà la vita dopo la fine della pena. Per ora ce ne sono due: erbe officinali e scrittura. Ma i corsi di giardinaggio hanno sempre tantissime adesioni, e hanno trasformato negli anni gli spazi interni in un vero giardino, anche se ora i lavori di ampliamento stanno rosicchiando fette di aree sulle quali esercitarsi. A lavori finiti, bisognerà riuscire a coniugare sicurezza e attività, per evitare che un carcere ad aumentata capienza non veda compromesse quelle fette di qualità e vivibilità che l’attuale direzione sta cercando di garantire. Con la consapevolezza che il detenuto impegnato, che ha davanti a sé una prospettiva, è la miglior garanzia di sicurezza per l’istituto. Trieste: maxirissa tra detenuti; il direttore “anche i conigli, stretti in gabbia, diventano leoni” Il Piccolo, 28 giugno 2010 Uno sguardo truce incrociato dagli occhi sbagliati. Una battuta più pesante del solito, figlia della voglia di vendicare magari qualche vecchio screzio, e figlia anche di nervi già costretti a resistere, chissà da quanto, a fior di pelle. Poi i primi spintoni. E infine il senso d’appartenenza etnico che genera il peggio di sé, sfociando in insulti, calci e pugni tra un gruppetto di ucraini e un altro di nordafricani. È così che è nata, con ogni probabilità, la rissa che venerdì pomeriggio ha coinvolto nei cortili del Coroneo una decina di detenuti. Nessuno di loro, a quanto è dato sapere, ha riportato gravi ferite nella maxi-collutazione, anche grazie al pronto intervento delle guardie penitenziarie in servizio in quel momento dentro il carcere triestino, rimaste tutte illese. La pressione è salita quand’erano grosso modo le 16, mentre gli ospiti della casa circondariale stavano beneficiando ai cosiddetti “passeggi” nell’ora d’aria. Ora d’aria che, da pochi giorni, era stata prolungata dai 120 minuti di prassi a una finestra più ampia, tra le 13.30 e le 17, proprio per consentire ai detenuti di stemperare il più possibile tensioni e frustrazioni ora che in cella fa sempre più caldo. I bollenti spiriti, però, per alcuni sono rimasti tali. Dalle battute agli spintoni, come detto, i protagonisti della rissa sono passati alle mani, e ai piedi, finché sono stati fermati dai poliziotti che, a quanto si racconta, hanno usato soltanto le parole per raffreddare gli animi. “La situazione è stata riportata a livelli di guardia - è il commento amaro, dal fronte sindacale, del coordinatore della Uil penitenziari, Alessandro Penna - in virtù della professionalità del personale del circondariale, della sua conoscenza delle persone che si sono rese responsabili del fatto in questione. Il problema non sono tanto i detenuti in sé, quanto il sovraffollamento delle celle e la carenza del personale stesso. Ogni agente ormai deve coprire due, tre posti di servizio, è chiaro che la sicurezza può risentirne. Questo mentre, a quanto ci risulta, degli allievi che hanno partecipato all’ultimo corso nazionale di polizia penitenziaria nessuno sarà assegnato a Trieste”. Oggi, al Coroneo, i detenuti fra braccio maschile e femminile sono 240, a fronte di una capienza teorica di 155, ricorda il direttore Enrico Sbriglia, che non interviene nel merito della rissa: “Non mi sento di rappresentare cose non ancora note all’Autorità giudiziaria. Posso dire, ad ogni modo, che una presenza multietnica (si contano 35 etnie, ndr ) non giova alla tranquillità dell’istituto”. La pianta organica degli agenti è di 139, ma gli effettivi sono un centinaio, “per una carenza di 30 unità”, lamenta Penna. “Ogni spostamento di un detenuto per un processo o una visita medica - fa presente Sbriglia - necessita di tre agenti, anche questo incide sugli effettivi. Ho la fortuna di poter disporre di personale, quand’anche giovane, maturo professionalmente. Capace cioè di governare l’ansia propria e quella dei detenuti, di fare quasi da polizia psicologica. Lavorando con numeri modestissimi, riescono sempre a non perdere la calma”. Le risse tra più di due detenuti, dall’inizio dell’anno, sono state quattro. Molte di più le scaramucce a quattr’occhi. “I conigli stretti in gabbia diventano leoni”, chiosa Sbriglia. Padova: “Una cella in piazza”, per mostrare ai cittadini le condizioni di vita dei detenuti Adnkronos, 28 giugno 2010 È in programma oggi fino alle 18, in piazza della Frutta a Padova, “Una cella in piazza: perché i cittadini possano vedere con i propri occhi come si vive oggi in carcere”. L’iniziativa è promossa dalla Conferenza del Volontariato della Giustizia, che si mobilita per chiedere alla politica e agli enti locali “una nuova e diversa attenzione ai problemi delle carceri”. In una cella di 7 mq ci sono 3 uomini, 3 brande, 6 armadietti, 3 sgabelli e 1 tavolino mobile. Il “bagno cucina” annesso misura 4 mq e contiene water, lavandino, piano-cottura e armadietto per gli alimentari. Questo - rilevano i promotori - è lo spazio in cui vivono, per 20 o anche 22 ore al giorno, per 365 giorni l’anno, gli oltre 68.000 detenuti rinchiusi nelle carceri italiane. Uno spazio che è stato fedelmente ricostruito dai detenuti e dai volontari della Conferenza regionale del Volontariato Giustizia del Veneto e potrà essere visitato, fotografato e filmato. Volontari e detenuti, con il supporto di volantini illustrativi, mostreranno ai cittadini le condizioni di vita dei detenuti nelle carceri e il ruolo del volontariato penitenziario. Laganà: sovraffollamento carceri rende impossibile rieducare i detenuti Il volontariato in Italia conta oltre 200 associazioni, con 8.500 adesioni, ed è presente in quasi tutte le carceri, dove svolge circa 20.000 ore settimanali di prestazioni gratuite, fornendo una serie di servizi. “La cifra della detenzione ha superato quota 68.000 presenze - ha affermato la presidente della Conferenza nazionale Volontariato Giustizia, Elisabetta Laganà - Numeri giganteschi impossibili ormai da contenere, se si considera che ad ogni numero corrisponde una persona”. “Questo carcere è ridotto a contenitore di tutti i disagi sociali, dai tossicodipendenti, agli immigrati, ai malati fisici e psichici. Il sovraffollamento crea grossi problemi di gestione degli istituti di pena - ha aggiunto Laganà - rendendo pressoché invivibile il carcere non solo per i detenuti, ma anche per gli stessi operatori penitenziari”. In questa situazione “è quasi impossibile assolvere alla funzione assegnata dalla Costituzione: la rieducazione dei detenuti. Questo carcere peggiora la condizione di marginalità ed esclusione delle persone che vi entrano”. “Inoltre - ha proseguito Laganà - la costruzione di nuovi padiglioni negli istituti esistenti significherà sottrarre luoghi alle attività trattamentali, già ridotte al minimo, diminuendo gli spazi destinati alle relazioni esterne (incontri con le famiglie, ecc) già fortemente ridotti, con un aggravio per la salute mentale della persona detenuta e l’allentamento della sua rete affettiva esterna. Non va dimenticato - ha proseguito - infatti il drammatico record dello scorso anno di detenuti suicidi nelle carceri italiane: e dall’inizio di quest’anno sono stati registrati già 32 suicidi”. “Di questa situazione - ha ribadito Laganà - va sicuramente imputata la responsabilità alla legislazione in materia di droghe, di recidiva e di immigrazione, alle nuove leggi orientate alla logica della tolleranza zero, ma anche alla mancata applicazione di quelle in vigore (regolamento penitenziario del 2000, leggi Smuraglia, Gozzini, sulle detenute madri, difficoltà del passaggio dalla sanità penitenziaria al Ssn)”. “Se le proposte sulla messa alla prova e sulla detenzione domiciliare del Ministro Alfano diventeranno legge, i risultati deflattivi saranno comunque inferiori alle aspettative promesse. Sarebbe quindi necessario costituire immediatamente un Piano sociale straordinario per le carceri - ha ammonito Laganà - di sostegno al reinserimento sociale per coloro che escono o che potrebbero uscire dal carcere, attraverso la formazione, il sostegno lavorativo, l’attivazione del terzo settore e dell’associazionismo. “Rivolgiamo quindi a tutto il volontariato - ha concluso - un appello per una mobilitazione che realizzi strategie e forme di pacifica manifestazione fino all’auto-sospensione dal servizio, da porre in atto per sensibilizzare l’opinione pubblica e sollecitare il governo e le istituzioni preposte a trovare le adeguate soluzioni entro l’estate”. Foggia: sindacati agenti dal Prefetto per la carenza di personale alla Casa Circondariale Il Levante, 28 giugno 2010 A parere delle organizzazioni sindacali, “oggi ci troviamo di fronte ad un vero e proprio squilibrio, perché Foggia è diventato il secondo penitenziario della Puglia per presenza di detenuti, dopo quello di Lecce”. “Eccellenza, è nostro dovere informarla che se la Casa Circondariale di Foggia è ancor oggi un luogo sicuro è solo grazie allo spirito di sacrificio e abnegazione del personale di Polizia Penitenziaria”. È quanto evidenziato nella lettera consegnata al Prefetto di Foggia, Antonio Nunziante, dalle segreterie delle organizzazioni sindacali Sappe, Osapp, Fns Cisl, Uil Penitenziari, Sinappe, Fp Cgil, Ugl, Cnpp. I rappresentanti sindacali, ricevuti in Prefettura a Foggia nella mattinata del 24 giugno 2010, hanno segnalato la carenza di personale esistente nell’istituto di pena foggiano. Secondo le sigle sindacali di categoria, “la pianta organica è inadeguata ai tempi, legata ad un decreto ministeriale del 2001, che prevedeva una forza di 311 unità, a fronte di una presenza di detenuti di circa 400 unità; organico già all’epoca considerato insufficiente. Al riguardo, basti considerare che nella stessa Regione, istituti penitenziari della stessa grandezza di quello di Foggia, prevedevano per Bari 394 unità, per Taranto 357 e per Trani 325”. A parere delle organizzazioni sindacali, “oggi ci troviamo di fronte ad un vero e proprio squilibrio, perché Foggia è diventato il secondo penitenziario della Puglia per presenza di detenuti, dopo quello di Lecce, ed il quinto per previsione di organico di Polizia Penitenziaria”. I sindacati di Polizia Penitenziaria lamentano, quindi, turni massacranti e difficoltà nell’assicurare il servizio scorta, in un penitenziario nel quale sono detenuti elementi di notevole spessore criminale. Pertanto, Sappe, Osapp, Fns Cisl, Uil Penitenziari, Sinappe, Fp Cgil, Ugl, Cnpp, apprezzando disponibilità e sensibilità alla problematica manifestate dal Prefetto Nunziante, hanno chiesto al responsabile della Prefettura di Foggia di intercedere presso le autorità politiche e amministrative (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria) affinché si prenda atto della situazione e, nell’immediato, si provveda a revocare i distacchi regionali, per passare, successivamente, ad una rivisitazione delle piante organiche. Macerata: con il piano carceri nuovo istituto a Camerino; 450 posti e 40 milioni di euro di costo Asca, 28 giugno 2010 Già annunciata dal ministero della Giustizia, la notizia della realizzazione di un nuovo istituto di pena nella città ducale è stata confermata in queste ore dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Gianni Letta, con una telefonata al sindaco, Dario Conti. “Mi ha sorpreso sentire Letta il quale mi ha confermato l’inserimento del nuovo carcere, unico per tutto il centro Italia, nel piano deciso dal Governo. C’è grandissima soddisfazione anche perché in un primo tempo il nome di Camerino era stato lasciato fuori dall’elenco delle strutture nel cosiddetto piano Ionta, elaborato dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Invece ufficialmente siamo rientrati nell’elenco ed abbiamo ottenuto i necessari finanziamenti, che non sono cosa di poco conto”. Anche l’arcivescovo di Camerino - San Severino, monsignor Francesco Giovanni Brugnaro, incontratosi tempo fa col sottosegretario Letta, aveva parlato dei problemi della città, accennando anche al carcere. Ma il merito dell’inserimento del nuovo istituto nell’elenco degli undici nuovi penitenziari sparsi lungo tutta la penisola si deve soprattutto al sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, cui a più riprese si sono appellati il vice sindaco di Camerino, Gianluca Pasqui, ed il senatore marchigiano del Pdl, Salvatore Piscitelli. Durante la campagna elettorale per le regionali Pasqui chiuse uno degli ultimi dei suoi comizi pubblici in città presentando proprio l’amico sottosegretario che si era voluto recare in visita al vecchio carcere ed aveva così immediatamente compreso la grave situazione di una struttura oramai vecchia e fatiscente. “Essere nel nuovo piano carceri - spiega ora il senatore azzurro, Salvatore Piscitelli - significa essere tutelati e garantiti anche per il futuro. E questo, per l’entroterra maceratese, è molto ma molto importante in un periodo in cui a livello regionale tutti sembrano depredare questa zona delle sue storiche istituzioni”. A spiegare nel dettaglio in che cosa consisteranno le opere è il vice sindaco Gianluca Pasqui, che si è come detto speso, e molto, perché la pratica relativa proprio al nuovo carcere procedesse spedita in ministero: “La struttura sarà completamente nuova, non ci sarà un allargamento o una sistemazione di quella esistente. Sarà realizzata in un’ampia zona di ben 17 ettari fra le località di Caselle e Morro, dopo l’ospedale. Il nuovo istituto sarà in grado di ospitare 450 detenuti, avrà un costo complessivo di 40 milioni e 500 mila euro e sarà realizzato entro il 2012, data prevista per l’ultimazione dei lavori. Trattandosi di un progetto di somma urgenza - conclude Pasqui - l’iter che porterà alla sua realizzazione sarà molto più rapido rispetto alle normali attese. Siamo fiduciosi del fatto che l’impegno preso dal Governo verrà ora rispettato”. Trapani: via libera a costruzione del nuovo carcere di Marsala, 40 milioni e posti per 250 detenuti La Sicilia, 28 giugno 2010 “Finalmente ci siamo. Ed è un importante risultato che la città attende da oltre 30 anni. Fin dall’inizio del mio mandato mi sono interessato di questa vicenda e sono soddisfatto adesso per l’esito di quanto abbiamo seguito finora. Sarà una struttura degna di tale nome che porterà lavoro e maggiore dignità, come un istituto di pena deve fare”. A parlare è il sindaco di Marsala Renzo Carini, riguardo alle nuove carceri che sorgeranno in contrada Scacciaiazzo, così come è stato deciso dal Comitato di Sorveglianza, composto dai ministri della Giustizia Angelino Alfano, da quello delle Infrastrutture Altero Matteoli e dal capo dipartimento della Protezione Civile, Guido Bertolaso, che riunitosi a Roma ha esitato favorevolmente il piano Carceri per una spesa complessiva di circa 661 milioni di euro. Fra gli interventi volti a potenziare gli istituti di pena in Sicilia, oltre a quelli di Catania e Mistretta, rientra anche la costruzione del nuovo carcere della città, che costerà circa 40 milioni di euro e sarà in grado di ospitare fino a 250 detenuti. Il nuovo carcere sorgerà su una zona di circa 100 mila metri quadrati già individuata nell’attuale piano comprensoriale e avrà uguale collocazione anche nel nuovo piano regolatore generale. Toccherà adesso a Franco Ionta, capo del Dipartimento Amministrazione penitenziaria, attuare tutte le procedure per la realizzazione dell’opera. Il sindaco Carini, intanto, vuole dare un riferimento anche per altre due importantissime strutture cittadine di cui il territorio è in attesa: il nuovo Tribunale e il nuovo cimitero. “Per il cimitero di contrada Cutusio abbiamo appaltato i lavori che ammontano a circa 300 mila euro - dice Renzo Carini - per rendere funzionali i servizi che erano stati vandalizzati nel corso di questi ultimi dieci anni. La seconda fase prevede la realizzazione dei loculi dal momento che quello di Via Itria, com’è noto non può contenere ampliamenti di alcun genere. Per il Tribunale, invece, ci sono i lavoro in corso e nel piano triennale abbiamo chiesto un altro milione di euro per l’adeguamento della struttura, ottenendo anche l’impegno del ministero di aver finanziato questo importo che non era previsto originariamente”. “Sappiamo che questa nostra richiesta verrà evasa - conclude Carini - e quindi anche per il nuovo palazzo di Giustizia le notizie sono confortanti”. Monza: detenuto tenta il suicidio impiccandosi, è ricoverato in ospedale in gravi condizioni Apcom, 28 giugno 2010 È ancora ricoverato in ospedale il detenuto che ieri ha tentato di suicidarsi nel carcere monzese di Sanquirico. L’uomo, ricoverato nell’infermeria del carcere, ha provato ad impiccarsi ma è stato salvato dall’agente di sorveglianza. È il quinto tentativo di suicidio sventato in quattro giorni dopo quelli di Lecce, Bologna, Enna e Piacenza da parte degli agenti penitenziari. È il 57esimo suicidio sventato dagli agenti penitenziari dall’inizio del 2010. Dalla stessa data, spiega Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari, sono stati 32 i suicidi in cella e 113 gli agenti penitenziari feriti con prognosi superiore ai cinque giorni. Enna: Sappe; detenuto tenta il suicidio per due volte, salvato dalla polizia penitenziaria Ansa, 28 giugno 2010 “La notizia che ad Enna un nostro bravo e valoroso collega della Polizia Penitenziaria ha salvato la vita ad un detenuto la vita che, in un primo momento ha provato a suicidarsi tramite impiccamento con la cintura dei pantaloni che fortunatamente si è rotta e successivamente tagliandosi profondamente le vene in più parti delle braccia provocandosi una copiosa emorragia, sono la dimostrazione dei drammi umani che quotidianamente si compiono nei sovraffollati penitenziari italiani. Con un sovraffollamento di oltre 68mila detenuti presenti in carceri costruite per ospitarne a mala pena 43mila, accadono purtroppo questi episodi. E se la situazione non si aggrava ulteriormente è grazie alle donne e agli uomini del Corpo che, in media, sventano ogni mese 10 tentativi di suicidio (molte centinaia ogni anno) di detenuti nei penitenziari italiani.” È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. “I dati parlano chiaro. Lo scorso anno 2009, in cui nelle carceri italiane ci furono 58 suicidi di detenuti e 100 decessi per cause naturali di detenuti, ci sono stati anche 5.941 atti di autolesionismo nelle carceri italiane che non hanno avuto gravi conseguenze solamente grazie al tempestivo intervento ed alla professionalità delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria. Così come nei 944 tentativi di suicidio di altrettanti reclusi. Dati che dovrebbero far riflettere seriamente quella ampia parte di classe politica che sembra fregarsene del carcere, di chi in esso lavora e di chi vi è detenuto. L’intero Corpo di Polizia Penitenziaria è allo stremo, ma oggi servono iniziative concrete sia da parte dell’Esecutivo che della sovrana attività Parlamentare sulle criticità penitenziarie.” Bologna: Sappe; un extracomunitario detenuto per droga ha tentato di togliersi la vita Ansa, 28 giugno 2010 Un extracomunitario detenuto per droga ha tentato di togliersi la vita questa mattina nel carcere di Bologna. Lo ha reso noto il sindacato autonomo della polizia penitenziaria Sappe. Dopo essersi stretto intorno al collo un cappio fatto con le lenzuola - ha spiegato il segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante - si è lanciato in avanti per farla finita, ma proprio in quel momento gli agenti della penitenziaria, che si erano accorti di quanto stava avvenendo, sono entrati in cella e lo hanno salvato. Il detenuto è stato portato in ospedale per un controllo e ha fatto poi ritorno in cella: “Grazie al pronto intervento della polizia penitenziaria non ha subito danni. Nel carcere bolognese - ricorda il sindacato - i detenuti sono 1150, il 60% circa sono extracomunitari e altrettanti in attesa di giudizio. I tossicodipendenti sono circa 290. Mancano 200 agenti di polizia penitenziaria”. Martedì mattina una delegazione del Sappe visiterà il carcere della Dozza, insieme al consigliere regionale Galeazzo Bignami (Pdl), poi incontrerà il personale in servizio. Pordenone: premiato il volontario che aiuta i carcerati, ospita anche un detenuto agli arresti Messaggero Veneto, 28 giugno 2010 Da 11 anni è volontario nella casa circondariale di Pordenone e, dell’aiuto ai detenuti anche fuori dal carcere, ha fatto una missione, tanto da arrivare a offrire ospitalità in casa sua a un detenuto agli arresti domiciliari, nonché primo soccorso a chi ha terminato di scontare la pena ma non ha niente e nessuno ad aspettarlo oltre le sbarre. Giacomo Miniutti, classe 1952, originario di Tramonti e di una vallata di cui ha raccontato la storia in diversi libri, proprio per il suo impegno nel sociale ha ricevuto il premio San Quirino 2010. Un riconoscimento che riceve con gioia, ma che lo porta anche a riflettere sul valore del premio, “sulla necessità di creare una continuità e una presa di coscienza. Nessuno purtroppo vuole sentir parlare dei detenuti, né quando sono in carcere, né tanto meno quando escono dalla struttura. Ed è proprio quello il momento in cui ci sarebbe più bisogno di una risposta della collettività”. Se il mondo del volontariato in generale è in crisi, quello che si rivolge ai detenuti e che quindi richiede uno spirito di servizio capace di liberarsi da ogni giudizio personale, è ancora più in difficoltà perché il ricambio non c’è. “Per quel che mi riguarda l’appuntamento con i detenuti, il sabato mattina, fa ormai parte della mia quotidianità. Ma come volontari siamo sempre meno. Non ci sono persone nuove che si avvicinano a questo mondo, nessuno che sia disponibile a dare un sostegno a queste persone anche dopo la pena ovvero nel momento per loro più delicato” dice Miniutti. Un mondo che, però, non è così lontano dalla vita di tutti. “Dall’essere carcerato - dice lo scrittore - nessuno può sentirsi salvo; oggi entrarci è quasi cosa ordinaria, più difficoltoso diventa poi l’uscirne. Stando alle percentuali, una su mille persone o, se togliamo gli stranieri, una su duemila è in prigione. Nessuna comunità, anche se piccola, può dirsi immacolata. Neanche quella in cui vivo, che ringrazio per avermi premiato”. Ma nessuno vuole sentire il carcere come parte del proprio mondo. “Si sente dire “Chiudiamoli e poi gettiamo via la chiave”. Sono modo di dire - evidenzia Miniutti - che alla fine diventano normalità. Pericolosa normalità, capace di fuorviare il pensiero personale. Il Nazareno ha detto che “Quando fate questo a uno di voi, lo fate a me”. Se questo è vero, allora, perché mai una popolazione che dice di avere radici cristiane e cattoliche può pensare di rinchiudere il suo Cristo in una cella e poi buttare la chiave nelle ortiche?”. Bologna: codici penali e civili donati alle biblioteche della Casa Circondariale Comunicato stampa, 28 giugno 2010 Giovedì 1 luglio p.v., alle ore 14,30, presso la Sala Cinema della Dozza si svolgerà la premiazione dei detenuti che hanno partecipato alla manifestazione di scrittura “Parole in libertà”, organizzata dall’associazione Ausilio Cultura, ed in occasione di tale evento l’Ufficio del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna consegnerà alla Direzione della locale Casa Circondariale un cospicuo numero di codici oggetto di donazione da parte delle Case Editrici Giuffrè e La Tribuna. Questo il contributo prezioso della Casa Editrice Giuffrè: 8 codici penali, 8 codici civili, 9 codici di procedura penale, 9 codici di procedura civile, tutti annotati con la giurisprudenza, con 9 addenda di aggiornamento; a cui si aggiunge quello della Casa Editrice La Tribuna: 4 codici penali e 4 codici di procedura penale. I codici verranno collocati nelle 9 biblioteche della Casa Circondariale della Dozza nella disponibilità dei detenuti che vogliono consultare i testi e rappresentano la risposta alla sollecitazione dell’Ufficio del Garante di fornire alle persone ristrette strumenti utili di consultazione, come richiesto dai detenuti. In questa sede vanno rinnovati i ringraziamenti alle Case Editrici Giuffrè e La Tribuna per aver mostrato sensibilità e vicinanza alle necessità delle persone detenute, contribuendo ad un sicuro arricchimento degli strumenti che potranno scegliere di utilizzare nel loro percorso di crescita personale. Avv. Desi Bruno Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Reggio Emilia: il nuovo “Effatà” giornale dell’Opg; il numero zero consultabile anche on-line Redattore Sociale, 28 giugno 2010 Dopo una lunga sosta torna in versione completamente rinnovata il periodico che dà voce agli internati dell’ospedale psichiatrico. Nel numero zero, consultabile anche on-line, i disegni e le testimonianze dei detenuti-pazienti. Un giornale per raccontare la vita dentro l’Opg. È l’obiettivo di “Nuovo Effatà”, l’organo di informazione nato all’interno dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia per dare voce alle persone internate. Il giornale si propone di creare un ponte tra l’interno e l’esterno della struttura, di fare conoscere a chi sta fuori cosa succede dentro. Promosso dalle associazioni Effatà e Rabbunì, che lavorano all’interno dell’Opg, “Nuovo Effatà” riprende le fila di un discorso nato negli anni novanta, quando don Daniele Simonazzi (presidente dell’associazione Effatà) lanciò il progetto originario del giornale. Dopo un periodo di silenzio, ora Effatà torna dentro l’Opg. Il giornale si presenta in una versione completamente rinnovata e con un numero zero consultabile anche on-line (http://effataopgre.wordpress.com/). “Oggi la redazione è tutta nuova - spiega la redattrice Sara Brazzali nel numero zero - e la caratteristica principale del giornale vuole essere quella di dare voce a chi è recluso, di abbattere i muri per dare la possibilità agli internati di esprimere liberamente e senza censura i loro pensieri”. Un progetto, dunque, che punta a dare ascolto e sostegno a chi solitamente non lo ha, punta a smuovere le comuni coscienze di fronte a una realtà poco esplorata ma fatta di persone con voglia di raccontare, di costruire legami e di sentirsi parte di un’unica società. Via libera così alle poesie, ai disegni, e alle libere riflessioni degli internati, che mostrano un quadro personale e spontaneo del loro vivere in Opg. Ne emerge il disagio di vivere in una struttura psichiatrica che ha anche tutti i difetti di un carcere, e la necessità di un cambiamento. “Tutti gli scriventi - si legge negli “appunti iniziali” di Gabriele Novelli - sperano che si interessino i servizi sociali per avviarli al più presto presso qualche altra struttura dove finire di scontare la propria pena vicino alla propria famiglia. È inutile credere che i farmaci risolvano tutto. In realtà il sentirsi vivi passa anche attraverso questo giornalino. Non vogliamo più avere il marchio dell’Opg su di noi”. Rimini: niente messa per i detenuti omosessuali, non possono pregare insieme ai trans www.notiziegay.it, 28 giugno 2010 Trasferito nel carcere di Rimini, per poter far fronte alla fittissima scaletta di impegni, Fabio Tonelli è soddisfatto della sua nuova collocazione. Scrive di essersi dichiarato omosessuale e come tale di aver potuto usufruire di una cella singola. Nessun problema di sovraffollamento dunque, ma Tonelli ha un cruccio. Quello di non poter partecipare alla Messa. In una lettera, indirizzata alla Voce di Romagna, spiega che non può partecipare alla funzione “in quanto il personale non intende scortarmi nella chiesa interna al carcere”. Le cose non stanno esattamente così. Dal carcere fanno sapere che effettivamente il detenuto non può prendere parte alla messa perché le funzioni celebrate alla domenica dal parroco sono articolate in tre momenti: uno per i detenuti della sezione Andromeda (dove si trovano i prigionieri con problemi di droga), uno per i detenuti per altri reati e il terzo per i transessuali. Poiché per ragioni di sicurezza personale un detenuto che si dichiara omosessuale non può frequentare gli stessi spazi dei detenuti eterosessuali e neppure transessuali, ecco spiegata la ragione per cui non può partecipare alla funzione religiosa. Ci vorrebbe un cappellano soltanto a disposizione di Tonelli. E questa pretesa sembra francamente troppo in tempi in cui si continua a parlare della penuria di poliziotti e personale nelle strutture carcerarie. Nonostante le incompatibilità ambientali, Tonelli spiega di essersi visto recapitare una notte in cella, un detenuto eterosessuale affetto da strani disturbi. “L’uomo dopo essersi mangiato la cipolla del mio orologio, si è denudato completamente continuando a delirare”. Dal carcere confermano la circostanza del detenuto denudato ma non quello della cipolla divorata. Roma: il primo luglio a Rebibbia si inaugura il murale, 100 metri quadrati di decorazione Irispress, 28 giugno 2010 Giovedì 1 luglio, a Roma, nella sezione G12 Alta sicurezza della Casa Circondariale del Nuovo Complesso di Rebibbia, si terrà l’inaugurazione di “Rebibbia On the Wall”: un intervento d’arte murale voluto, ideato e realizzato dai detenuti del circolo “La Rondine”, affiliato all’Uisp e costituitosi all’interno del carcere romano. Il progetto, nato per riqualificare e migliorare la vivibilità della zona dei passeggi della sezione G12, si è avvalso della supervisione artistica dei creativi dell’associazione Walls e di Rubiklab Studio, esperti in interventi di decorazione pubblica e wall design. L’inaugurazione del murale, 100 metri quadrati di superficie decorata, avrà luogo alle ore 15 all’interno del carcere romano. Saranno presenti all’evento Carmelo Cantone, Direttore dell”istituto; Angiolo Marroni, Garante dei Diritti dei detenuti della Regione Lazio; Filippo Fossati, presidente dell’Uisp-Unione Italiana Sport per tutti; il presidente del Circolo La Rondine; Simone Pallotta, il curatore di Walls; Matteo Milaneschi, ideatore della composizione. Gli intervenuti riceveranno in anteprima nazionale la tessera Uisp della prossima stagione che riproduce l’immagine del murale. L’Uisp, la più grande associazione nazionale di sport per tutti del nostro paese, ha infatti deciso di adottare questa opera, unica nel suo genere, stampandola sul milione e duecentomila tessere associative della stagione sportiva 2010-2011. La decorazione è un’opera astratta in 19 colori che risponde all’esigenza di produrre un effetto emozionale sempre nuovo. L’uso del colore come elemento predominante del murale rende la superficie uno spazio dove l’occhio può scorrere indisturbato scegliendo di volta in volta dove fermarsi a seconda dello stato d’animo. Il risultato è una composizione ibrida di colori, forme e piccoli particolari figurativi, dal forte impatto scenografico che coinvolge lo spettatore senza stancarlo nel lungo periodo. Il progetto “Rebibbia On the Wall”, realizzato con il contributo e la collaborazione organizzativa dell’Ufficio del Garante dei Diritti dei detenuti della Regione Lazio, della Casa Circondariale del Nuovo complesso di Rebibbia e dell’Uisp Roma, rientra fra le attività culturali, sportive e ricreative che l’associazione “La Rondine”, promuove in favore della popolazione detenuta. Tra queste si segnalano: tornei di calcio, partite di pallavolo, attività in palestra, corsi di formazione di informatica e grafica e importanti spettacoli teatrali. Libri: “Rubare ai ricchi non è peccato”, di Vincenzo Pipino Nuova Venezia, 28 giugno 2010 “Rubare ai ricchi non è peccato”, così si intitola il libro che il ladro veneziano Vincenzo Pipino ha scritto e che, stando ai librai lagunari, sta vendendo. A dargli l’idea di scriverlo è stato Toni Negri, il professore padovano che ora abita a Venezia, e che ieri con lui ha presentato il volume alla libreria Mondadori. “Sono noto come cattivo maestro - ha attaccato il professore che così per un decennio è stato indicato dai giornali perché accusato di aver cresciuto una generazioni di terroristi - e adesso lo sono diventato anche per Pipino. Io sono rimasto affascinato dal personaggio. Più che dal ladro, dal veneziano”. I due sono diventati amici nel carcere di Rebibbia nel 1997-98: per Pipino uno dei numerosi soggiorni in gattabuia (ha passato 26 anni in cella e non solo in Italia, ma pure in Svizzera, in Germania, in Francia), per Negri a causa della condanna per l’indagine del “7 aprile”. E ieri, Pipino ha raccontato alcuni dei sui furti d’arte a Venezia, oltre a ribadire che lui e i suoi amici ladri non hanno mai usato violenza nella loro carriera criminale: “Anzi, se ci accorgevamo che in casa c’era il derubato prendevamo più paura di lui e scappavamo”. Ha spiegato come e perché si è infilato a palazzo Ducale per commettere l’unico furto riuscito nella storia all’interno del palazzo dei dogi. “Avevo saputo che Felice Maniero voleva compiere una rapina al museo di Cà Rezzonico per portare via opere d’arte da restituire in cambio di favori da parte delle autorità, chissà cosa sarebbe successo” ha affermato. “Allora - ha proseguito - mi sono proposto e ho detto che avrei fatto io il colpo, ma a palazzo Ducale e che poi avrei consegnato il quadro a Maniero. Così, una sera mi sono fatto chiudere dentro, mi sono nascosto in una delle celle delle Prigioni e poi sono uscito con il quadro”. Pipino, poi, ha raccontato di quello che nei lunghi anni di carcere ha imparato, studiando codici e leggi e aiutando molti detenuti: “Ormai, le carceri sono diventate delle discariche sociali, la situazione è disperata, oltre alla liberà i detenuti hanno perso la dignità, i suicidi aumentano”. Negri poi ha spiegato perché gli è piaciuto il personaggio e pure il libro: “Sono rimasto affascinato dalla persona, dai suoi racconti sul cielo e i copi di Venezia, dalla sua saggezza nel guardarsi, una sapienza storica. Mi piace il suo racconto quando spiega che i ricchi non meritano lo splendore della città: nei palazzi ci sono quadri con la polvere, pochi li guardano e sembra che le stesse opere desiderino andarsene”. A fine presentazione tutti ai Cacciatori della Giudecca, cena offerta. Stati Uniti: la chiusura del carcere di Guantanamo non è più una priorità Apcom, 28 giugno 2010 Il carcere di Guantanamo ha perso parecchi posti nell’agenda dell’Amministrazione Obama, occupata da altre questioni prioritarie: la chiusura entro la fine del mandato, come promesso dalla Casa Bianca, appare quindi al momento improbabile. Come riporta il quotidiano statunitense The Washington Post, l’Amministrazione aveva già ammesso l’anno scorso di non poter rispettare la scadenza originale del gennaio 2010, annunciando però l’intenzione di trasferire i detenuti in un carcere federale dell’Illinois: un progetto che ha trovato però non pochi ostacoli in Congresso e sul quale la Casa Bianca - notano i critici - non starebbe esercitando alcuna particolare pressione. Proprio il Congresso sarebbe invece, secondo l’Amministrazione, il principale responsabile dello stallo attuale; i sondaggi tuttavia rivelano che dopo il mancato attentato del primo maggio scorso a Times Square la maggioranza degli statunitensi ha cambiato opinione e vorrebbe che il carcere rimanesse operativo. La proposta di acquistare e modificare appropriatamente il Thomson Correctional Center, un carcere di massima sicurezza dell’Illinois in virtuale disuso, si è arenata perché l’Agenzia federale per le carceri non dispone dei 150 milioni di dollari necessari né il Congresso ha finora dato il suo benestare a uno stanziamento straordinario per il Dipartimento competente, quello della Difesa. La copertura necessaria slitterà così probabilmente alla finanziaria per il 2011; in alternativa l’Amministrazione avrebbe pensato ad invocare una legge - poco nota e ancor meno utilizzata - che permette al Presidente, in caso di emergenza nazionale, di riallocare i fondi già stanziati per altri progetti militari, ma temendo la reazione del Congresso avrebbe deciso di soprassedere. Oltre al costo dell’impianto in sé per rendere agibile il nuovo carcere occorrerebbero numerosi lavori quali una nuova recinzione, torri di guardia, telecamere ed altri sistemi di sicurezza, oper una durata minima di circa otto mesi: lavori che non possono essere avviati prima dell’acquisto della prigione da parte delle autorità federali. Canada: creato un “carcere speciale” ad hoc per gli arrestati dopo le proteste contro il G20 La Stampa, 28 giugno 2010 Mazze da baseball contro gli agenti a cavallo, caschi neri per resistere ai manganelli e tute protettive per sfuggire al gas non letale. La battaglia sulla Eastern Avenue, nello Studio District alle spalle del Lake Shore Boulevard, inizia quando centinaia di dimostranti marciano sul “G20 detention center”, il carcere creato dalla polizia di Toronto per i manifestanti arrestati nella notte di scontri fra sabato e domenica. Ritmano il grido “Peaceful protest” (Protesta pacifica), ma molti di loro hanno caschi e tute nere, suonano trombe assordanti, sventolano bandiere rosse e innalzano cartelli con la scritta “morte al capitalismo” avanzando diritti contro gli agenti in tenuta antisommossa. Vi sono scontri, botte, interviene la polizia a cavallo, i dimostranti usano le mazze e per respingerli la polizia fa arrivare i “Muzzle Blasts”, due spara-gas non letali. La tattica della polizia è puntare i singoli black bloc, definiti “anarchici”, arrestarli e portarli via mentre i dimostranti si muovono a gruppi compatti, tentando di avanzare verso il “G20 Jail”, la prigione del G20 divenuta il simbolo della “repressione capitalista”, come la definisce Nathalie Desrosiers, dell’Associazione canadese delle libertà civili. Se lo scontro avviene negli isolati attorno alla prigione al 629 di Eastern Avenue è perché si tratta di una struttura fatta apposta per il vertice - poco lontano dalla zona rossa dove si svolgono i lavori dei Venti - che si è rivelata troppo angusta e fa temere il peggio: la polizia immaginava di dover gestire al massimo 100 arresti ma le retate nella notte e all’alba di domenica li hanno portati a oltre 600. Si tratta degli autori dei gravi disordini di sabato, i più gravi mai avvenuti a Toronto con danni per centinaia di milioni di dollari. Sono tutti dentro il “G20 Jail”. Il tam tam sulle precarie condizioni di detenzione si è diffuso rapidamente con le radio locali come con messaggi via Facebook e Twitter, portando centinaia di dimostrati a raggrupparsi. Il confronto fra opposti schieramenti è fatto di momenti di violenza e di sfida: le molotov puntano a far arretrare degli agenti mentre alcuni ragazzi si baciano apposta di fronte alla polizia per sbeffeggiarla. Dal resto della città arrivano notizie di nuovi scontri e arresti. È il portavoce della polizia Tim Burrows a far sapere che gli agenti hanno fatto irruzione nel campus cittadino per prelevare 70 black bloc collegati a quelli che hanno dato alle fiamme cinque auto di polizia, devastando con le mazze da baseball le vetrine di decine di isolati attorno a Queen Street, il Village di Toronto. “Avevano un arsenale di armi da strada, asce, mazze e bulloni” aggiunge il portavoce. Il premier Stephen Harper è fuori di sé: “Il Canada non ha mai assistito a una cosa simile, sono manipoli di banditi esprimono una violenza brutale”. La polizia ammette di essere stata presa di sorpresa. “C’è molta gente che ha deciso di seguire i più violenti, non siamo sicuri che si tratti di veri leader ma in molti casi sono canadesi, gente del posto” dice il capo degli agenti Bill Blair, secondo cui i blac bloc avevano una strategia, volevano attirarci lontano dal luogo del summit per consentire al grosso dei manifestanti di sfondare le reti protettive”. Se il piano è fallito è perché la contromossa è stata rafforzare il già imponente dispiegamento di 19 mila agenti facendone arrivare in gran fretta da Huntsville - dove si è concluso sabato il G8 - altre centinaia con una corsa via terra di 225 km. Il confronto sulla Eastern Avenue è continuato fino a notte inoltrata e da oggi le autorità devono decidere cosa fare dei detenuti. Nuova Zelanda: il governo annuncia il divieto di fumo in tutte le carceri Adnkronos, 28 giugno 2010 Sì all’ora d’aria, ma solo d’aria pulita. Potrebbe essere questo lo slogan della nuova iniziativa promossa dal ministro neozelandese per la gestione carceraria, Judith Collins, che ha annunciato che dal primo luglio del 2011 entrerà in vigore il divieto di fumo in tutte le carceri del Paese per garantire il diritto alla salute del personale carcerario e dei detenuti. “L’alto livello di fumo nelle nostre prigioni rappresenta un serio rischio per la salute dello staff e dei detenuti”, ha dichiarato il ministro, spiegando che i circa 3.500 impiegati nelle carceri del Paese rappresentano l’unica categoria non tutelata dal fumo passivo sul posto di lavoro. Secondo le statistiche, in Nuova Zelanda sono fumatori circa 5.700 detenuti, pari a due terzi del totale. L’attuazione del provvedimento, ha spiegato il ministro, sarà preceduta da una campagna preparatoria di 12 mesi nei quali i carcerati seguiranno corsi per smettere di fumare e riceveranno cerotti alla nicotina. Diverse critiche si sono però già levate nei confronti del provvedimento, come quelle dell’ex funzionario del ministero della Giustizia Kim Workman, secondo cui il divieto rischia di provocare “violenza e scompiglio nelle carceri”. Un allarme simile è stato lanciato dal presidente dell’Associazione Penitenziari Beven Hanlon, secondo cui “le persone in astinenza da nicotina possono essere imprevedibili, ansiose e aggressive”. Tra i critici c’è anche chi legge l’iniziativa in chiave politica, come Celia Lashlie, ex direttore di un carcere femminile, che vede nel provvedimento solo un tentativo del governo di strizzare l’occhio ai conservatori, che chiedono più durezza con i criminali, in vista delle elezioni del prossimo anno. Tanzania: in diminuzione i casi di hiv nelle carceri; l’8% tra i detenuti e il 4% tra gli agenti Agi, 28 giugno 2010 Il tasso di contagi da Hiv tra le forze di polizia e gli agenti di custodia delle carceri della Tanzania è passato dal 4,7 per cento del 2007 al 4 del 2010, mentre il tasso dei contagi tra i detenuti è sceso dal 19 per cento del 2009 all’attuale 8,4. I dati sono stati resi noti dal ministro dell’Interno Lawrence Masha nel corso dell’esposizione in Parlamento del bilancio del suo dicastero per il 2010-2011. Secondo il ministro, un declino dei contagi si è registrato anche, dal 2007 al 2010, tra i familiari degli agenti di custodia, che è passato dal 3 al 4,1 per cento. Masha ha attribuito la diminuzione dei contagi “all’aumento dell’intensità delle campagne anti-Aids lanciate nel Paese e alla maggiore consapevolezza del pericolo della sindrome da parte della popolazione”.