Giustizia: il mini-piano-carceri di Alfano, Matteoli e Bertolaso; 9-10mila posti in più entro il 2012 Ansa, 25 giugno 2010 Prevede la costruzione di nuovi 11 penitenziari e di 20 padiglioni per ampliare strutture già esistenti il piano carceri messo a punto dal Commissario straordinario e capo del Dap, Franco Ionta, varato oggi dal Comitato di sorveglianza composto dal ministro della Giustizia Angelino Alfano, dal ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli e dal Capo del Dipartimento della Protezione civile Guido Bertolaso. I posti realizzati saranno in totale 9-10mila e saranno portati a termine tra il 2011 e il 2012. “Questo piano è uno degli elementi fondamentali per fronteggiare la situazione e per stabilizzare il sistema”, ha detto all’Ansa Franco Ionta. Ad oggi nelle sovraffollate carceri italiane sono presenti 68.130 detenuti, ben oltre la capienza regolamentare (44.218 posti) ma anche al di là del limite di tollerabilità (66.905). Il piano messo a punto da Ionta, e consegnato alla fine dello scorso aprile al ministro Alfano, prevede una spesa complessiva di 661 milioni di euro, di cui circa 500 milioni provenienti dallo stanziamento “ad hoc” della finanziaria e i rimanenti dai capitoli di bilancio ordinario del Dap e dalla cassa delle Ammende. Nel dettaglio le nuove 11 carceri (ciascuna con circa 450 posti) saranno costruite a Bolzano, Pordenone, Venezia, Torino, Camerino, Nola, Bari, Sciacca, Catania, Marsala e Mistretta. Tutte costeranno 40,5 milioni di euro l’una, tranne quella di Bolzano da 25milioni di euro. Ciascuno dei 20 padiglioni potrà ospitare circa 250 detenuti. Le strutture, per un costo complessivo di 231 milioni, saranno costruite nei penitenziari già esistenti di Alessandria, Milano, Bergamo, Reggio Emilia, Ferrara, Bologna, Piacenza, Parma, Vicenza, Sulmona, Roma, Napoli, Salerno, Trani, Taranto, Lecce, Trapani, Siracusa e Caltagirone. Nei prossimi giorni il Comitato di sorveglianza dovrà definire i dettagli del piano, anche in relazione a quelle che saranno le modalità di secretazione, se parziale o totale, degli appalti. La fase esecutiva del piano sarà direttamente gestita da Ionta. Giustizia: con le carceri in questa condizione disastrosa non ce più illusionismo che tenga di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 25 giugno 2010 Piccolo bilancio di quattro annunci. La legge che deve stanziare 10 milioni per le famiglie dei morti e dei feriti della strage alla stazione di Viareggio non è ancora approvata a un anno dal disastro. La normativa anticorruzione, sbandierata in febbraio a fronte degli scandali dilaganti, dopo 5 mesi è desaparecida nei meandri di un iter parlamentare certo non folgorante come quello del lodo Alfano. La norma per fare scontare ai domiciliari l’ultimo anno di pena dei detenuti è bloccata alla Camera perché mancano i soldi per le promesse 3.000 assunzioni di agenti. La sostituzione dei vetusti registri informatici di Procure e Tribunali, data per imminente nel novembre 2008, dopo un anno e mezzo non c’è ancora in uffici che lavorano su traballanti aggiornamenti di programmi informatici del 1988 a rischio collasso. Questi quattro esempi dimostrano che la politica dell’annuncio, per quanto praticata fino alla nausea, può funzionare come legittimo marketing politico, tanto più se come oggi pare avere la fortuna di potersi giovare di amnesie collettive e nessuna verifica alle aperture di credito. Ha però bisogno di non incrociare mai la resa dei conti con la realtà, deve cioè sempre potere differire l’impatto sui cittadini dei costi impliciti in quegli annunci appesi acrobaticamente ad altri annunci. Ma di tutti i casi appena evocati, ce n’è uno che ormai poco si presta agli illusionismi: il carcere. L’annuncio ministeriale del piano-carceri (ieri approvato da Alfano, Matteoli e Bertolaso, che però hanno “aggiornato al 9 luglio la definizione nei dettagli del cronoprogramma”) è ormai un genere letterario a sé, tanto che c’è chi, come Luigi Manconi, ne colleziona la contabilità ed è arrivato a quota 11 annunci. Ma con 68.000 detenuti stipati in 43.800 posti (record italiano di sempre e tasso di sovraffollamento superiore a tutti i Paesi d’Europa, Russia compresa), 32 detenuti uccisisi dall’inizio dell’anno e altri 51 salvati dai poliziotti (tasso di suicidi quasi 9 volte superiore che fuori), 109 agenti penitenziari feriti con prognosi oltre i 5 giorni in aggressioni, 6 evasioni riuscite e 7 sventate, non è Cassandra ma sono i numeri ad avvertire che, almeno in carcere, la giustizia degli annunci non passerà l’estate. Giustizia: 68mila detenuti, l’inizio della fine per sistema penitenziario, ma al “palazzo” non interessa www.radiocarcere.com, 25 giugno 2010 Mentre l’on. Di Pietro e i suoi dell’Idv hanno passato la notte alla Camera dei Deputati per fare ostruzionismo sul ddl in merito alle “Fondazioni liriche”. Mentre il Governo e il Pd, sembrano concorrere, insieme ai mass media, nel ripeterci ossessivamente la questione delle intercettazioni, ma nulla dicono sul processo penale e sulla sua morte prematura. Mentre accade tutto questo, il Paese continua la sua agonia verso una morte certa. Tra gli agonizzanti ci sono, oltre che disoccupati, pensionati e malati, anche le 68.021 persone detenute, ammucchiate in celle vecchie e sporche. Celle che a mala pena ne potrebbero contenere 42 mila. 68.021 persone trattate peggio degli animali. Il Governo e i parlamentari hanno avuto tutto il tempo di arginare anche questa emergenza. No lo hanno fatto. Tranne i Radicali, tutti: Pd, Idv, Pdl e Lega, hanno concorso ad affossare il ddl Alfano contro il sovraffollamento. Un ddl che sarebbe almeno servito a superare la calda estate nelle carceri. In altre parole si sarebbero evitati feriti o peggio, tra polizia penitenziaria e detenuti a seguito delle rivolte che ci saranno. Uno scenario sconcertante, che lascia indifferente il Governo che ogni tanto si limita a ripetere il tormentone sul piano carceri. Un tormentone datato: 24 mesi. Quando ad agosto il cielo diventerà nero per le galere messe a fuoco. Quando sentirete di poliziotti feriti, di violenze, di sommosse nelle carceri, non stupitevi. Era tutto prevedibile e forse previsto. La causa? Era da tempo ben chiara: l’abbandono da parte della politica di un’istituzione dello Stato. Giustizia: Casellati; in Usa carceri bene organizzate, Sing Sing modello estremamente positivo Italpress, 25 giugno 2010 “Sono stata positivamente colpita dagli aspetti della organizzazione, della riabilitazione e della formazione che caratterizzano il sistema carcerario statunitense”. Queste le parole del sottosegretario Elisabetta Casellati a margine di una visita nelle carceri statunitensi. “La peculiare struttura a raggiera del Centro di Detenzione Federale di New York consente una socializzazione dei detenuti in attesa di giudizio che, attraverso il sistema delle celle aperte, confluiscono in uno spazio comune. Questo dimostra un’elevata attenzione verso l’aspetto psicosociale della persona”. Per ciò che concerne il penitenziario statale di Sing Sing e dunque i condannati definitivi la senatrice aggiunge: “è un modello estremamente positivo, basato sull’istruzione e sulla formazione professionale obbligatoria. Sono inoltre consentiti incontri quotidiani con la famiglia dalle ore 8.30 alle ore 14.30. È apprezzabile il sistema di incentivi che lo Stato di New York offre alle imprese che assumono gli ex detenuti. Ritengo in definitiva che il sistema carcerario statunitense - conclude il sottosegretario - possa offrire ottimi spunti per il nostro piano carceri”. Giustizia: Osapp; il sistema è allo sfascio, Alfano e Ionta isolano la polizia penitenziaria Ansa, 25 giugno 2010 “Il sistema carceri è allo sfascio, siamo stanchi del ministro Alfano e del capo del Dap Ionta che isolano la polizia penitenziaria. È meglio andarsene che morire”. Lo dice il segretario del sindacato di polizia Osapp, Leo Beneduci. “Anche se all’apparenza i rapporti apparirebbero più che cordiali - spiega il sindacalista - Alfano si comporta come se Ionta fosse il proprio alter ego politico in ambito penitenziario e per questo di carcere e di polizia penitenziaria non si occupa più da tempo. Inutile sottolineare che Ionta è risultato, in questi due anni, del tutto privo di esperienza e di conoscenze sul campo e che l’amministrazione penitenziaria centrale è oramai nella confusione più competa, e questo significa, oltre a quello che quotidianamente accade nelle carceri ad esempio in termini di aggressioni e suicidi, assoluta assenza di idee e di progetti, tranne quelli meramente edilizi”. Beneduci critica inoltre “l’abitudine dei membri dell’attuale Governo incontrare soltanto i sindacati consenzienti e serventi e ribadisce l’intenzione dell’Osapp di farsi promotore in sede politica e parlamentare e presso l’opinione pubblica “di ogni iniziativa intesa a favorire il passaggio della polizia penitenziaria, prima che ne sia decretato il completo collasso, dal ministero della Giustizia al ministero dell’Interno”. Piano improvvisato e senza prevedere agenti “Non sappiamo chi e come possa definirsi soddisfatto del piano-carceri”. Così il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, commenta l’approvazione del piano Ionta da parte del Comitato interministeriale di verifica presieduto dal Ministro Alfano. ‘Per far funzionare 20 nuovi padiglioni detentivi occorrono, almeno 800 agenti in più e 2.200 agenti in più per la funzionalità iniziale di 11 istituti, come indicati nel piano, e quindi, almeno 3.000 agenti che non ci sono e non ci saranno - aggiunge Beneduci in una nota - tenuto conto che nell’attuale triennio, la legge finanziaria ne prevede solo 1.850 e, sempre entro il 2012, ne andranno via almeno 2.600. Ma le perplessità non si esauriscono qui - prosegue l’Osapp - visto che, per la media mensile al momento assai bassa di 600/700 nuovi ingressi in carcere, nel 2011/2012 di detenuti ce ne dovrebbero essere almeno 12.000 in più degli attuali 68.500 e i 9.000 posti previsti dallo stesso piano serviranno solo per l’emergenza”. Infine il sindacato si chiede il perché di così tante te infrastrutture in Sicilia, quando il sovraffollamento e l’esubero di detenuti extracomunitari renderebbe indispensabili tali costruzioni al Centro e al Nord, a meno che non si vogliano concentrare, con grave rischio per la sicurezza, determinate tipologie di ristretti. L’impressione iniziale, ma speriamo di sbagliarci, è che si tratti di un piano incerto e del tutto improvvisato - conclude Beneduci - che tranne i vantaggi per le imprese di costruzioni e, ci auguriamo, per le maestranze che ci lavorano, porterà più svantaggi per l’utenza e per il personale che benefici, soprattutto in assenza di tutte le altre misure e riforme di cui il carcere abbisogna in Italia, e considerato l’attuale grave degrado dell’istituzione penitenziaria”. Giustizia: Uil; il piano carceri è ancora un’incognita, senza assunzione di agenti sarà inutile Comunicato stampa, 25 giugno 2010 “Abbiamo appreso dalle agenzie di stampa, ed esclusivamente tramite esse, il via libera che il comitato interministeriale ha dato al c.d. piano carceri. Rilevando criticamente come alcuna comunicazione sia stata fornita ai rappresentanti del personale, non possiamo non sottolineare come la mancata previsione di una seppur minima implementazione degli organici di polizia penitenziaria rischia di rendere vano ed inutile qualsiasi piano di edilizia penitenziaria straordinaria. A meno che il vero intento non sia tanto rendere fruibili le nuove strutture quanto costruire nuove carceri a prescindere” Così il Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, commenta il semaforo verde di Alfano, Matteoli e Bertolaso al piano carceri che prevederebbe la costruzione di nuovi 11 istituti e la realizzazione di 20 padiglioni in carceri già attive “Pur volendo sorvolare sull’opportunità di secretare le procedure di appalto, non possiamo non manifestare tutte le nostre perplessità e dubbi sui tempi previsti per la realizzazione dei nuovi edifici. Anche in mancanza delle varianti in corso d’opera, i due anni paventati sembrano più un auspicio che una ragionevole certezza. In ogni caso resta interamente sul tappeto la necessità di un piano di manutenzione straordinaria per i vecchi penitenziari, in gran parte degradati e fatiscenti.. Il rischio vero è che nel mentre si costruiscono nuove carceri quelle vecchie crollino” La Uil Pa Penitenziari non perde l’occasione per sottolineare come alcune strutture nuove non possano essere rese pienamente funzionali per la mancanza di personale. “È la solita storia delle pentole e dei coperchi. Si costruiscono nuove carceri, ma non si assume il personale per gestirle. Ciò connota di improvvisazione e superficialità l’azione dei responsabili politici ed amministrativi. Nell’ultimo decennio si è dato corso all’apertura di molti penitenziari (tra i quali Milano Bollate, Bergamo, Santa Maria Capua Vetere, Ancona, Laurena di Borrello, Sant’Angelo dei Lombardi, Altamura) e diversi padiglioni (tra i quali Genova, Lanciano, Lecce) per un totale di circa 3.000 nuovi posti detentivi senza l’assunzione di una, una sola, sola unità di polizia penitenziaria. Ora la storia pare ripetersi. A Rieti il nuovo istituto funziona al 25% per mancanza di personale. A Trento il nuovo istituto rischia di non aprire per lo stesso motivo. Ad Avellino tra qualche settimana sarà disponibile un nuovo padiglione di circa 200 posti ma è mistero sul personale che dovrà attivarlo. A meno che non si vogliano costruire cattedrali nel deserto è bene che si proceda a nuove assunzioni. D’altro canto - ricorda Sarno - in Finanziaria erano previste 1.700 per il recupero del turn-over e il Ministro Alfano ha ripetutamente annunciato assunzioni straordinarie per altre 2000 unità. L’orizzonte, purtroppo, continua ad essere una linea retta. Nessuna unità, infatti, si profila nell’immediato, al netto dei proclami e degli annunci. E per gestire i nuovi edifici e i nuovi padiglioni, con circa 10mila nuovi posti detentivi, occorreranno non meno di 5000 unità, senza tener conto delle centinaia di unità che nel frattempo si saranno pensionate” Cautamente positivo, invece, il giudizio sull’individuazione territoriale delle aree dove sorgeranno le nuove carceri e i nuovi padiglioni. “Avevamo auspicato che tra gli obiettivi del piano carceri ci fosse anche quello di abbattere l’eccessiva movimentazione di detenuti. A scorrere l’elenco delle aree individuate qualcosa, in tal senso, si muove. Il Triveneto, la Puglia, la Sicilia, l’Emilia e il Piemonte - conclude il Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari - godranno in maggior misura di questo piano straordinario di edilizia penitenziaria. Qualcosa (molto) di più si sarebbe dovuto fare per la Campania e la Lombardia che sono le due macro aree “produttrici di detenzione”. Un solo padiglione a Milano ed un penitenziario di soli 450 posti nel napoletano (Nola) non risolvono granché rispetto ai reali bisogni”. Giustizia: misure alternative “a tempo”; disco rosso a nuove assunzioni per polizia penitenziaria di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 25 giugno 2010 Niente assunzione di nuovo personale di polizia penitenziaria ma introduzione di una nuova misura alternativa a tempo determinato. Questi sono i punti salienti del disegno di legge 3291-bis recante il titolo “Disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a un anno” approvato dalla commissione Giustizia della Camera dei deputati e ora all’esame dell’Assemblea di Montecitorio. Le possibilità che produca effetti prima della fine dell’estate sono a questo punto ancor più ridotte. Il cuore del disegno di legge riguarda l’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive o residui pena non superiori a dodici mesi. All’articolo 1 della proposta si fa riferimento a una futura riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione, senza indicarne le direttrici. Adesso si prevede che la pena detentiva non superiore a 12 mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, sia eseguita, ma non oltre il 31 dicembre 2013, presso l’abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza. Non è questa una novità nel panorama legislativo penitenziario, in quanto anche il cosiddetto indultino del 2002 era una misura a termine di efficacia. Nella proposta si fa espresso riferimento a coloro che non potranno usufruire del provvedimento: i soggetti condannati per taluno dei delitti indicati dall’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario; i delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai sensi degli articoli 102, 105 e 108 del codice penale; i detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare salvo che sia stato accolto il reclamo previsto dalla legge. Sono altresì esclusi i condannati per i quali vi sia la concreta possibilità che si diano alla fuga, ovvero sussistono specifiche e motivate ragioni per ritenere che possano commettere altri delitti, ovvero quando non sussista l’idoneità e l’effettività del domicilio anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato. Ecco che viene recuperata la discrezionalità di decisione della magistratura nella concessione. Se il condannato è nello stato di libertà, sarà il pubblico ministero a sospendere l’esecuzione dell’ordine di. carcerazione e a trasmettere gli atti senza ritardo al magistrato di sorveglianza affinché disponga che la pena venga eseguita presso il domicilio. La richiesta dovrà essere sempre corredata da un verbale di accertamento della idoneità del domicilio nel caso di tossicodipendenti che intendano sottoporsi a un programma di recupero e che dovranno andare in comunità pubblica o privata accreditata. Nel caso di condannati in stato di detenzione, spetterà alla direzione dell’istituto penitenziario trasmettere al magistrato di sorveglianza una relazione sulla condotta tenuta durante la detenzione. Il magistrato di sorveglianza dovrà decidere con ordinanza in camera di consiglio senza la presenza delle parti. Non vi sono termini perentori per la sua decisione. Vengono aumentate le pene per il reato di evasione. Non più da sei mesi a un anno ma da uno a tre anni nel caso di evasione semplice. Aumenta sino a cinque anni il massimo edittale nel caso di evasione realizzata con violenza e minaccia. Viene inoltre prevista una nuova circostanza aggravante. All’articolo 61 del codice penale si introduce il numero 11-quater che prevede aumenti di pena per chi commette un delitto non colposo durante il periodo in cui era ammesso a una misura alternativa alla detenzione in carcere. A seguito dei plurimi pareri sfavorevoli della commissione Bilancio sono stati soppressi gli articoli che prevedevano aumenti di organico del Corpo di polizia penitenziaria, nonostante fossero stati annunciati e previsti nel Piano carceri. Si offre invece la opportunità al ministero della Giustizia di abbreviare i corsi di formazione iniziale degli agenti del Corpo di polizia penitenziaria. Giustizia: parte la campagna sui diritti dei reclusi “Carceri fuori legge”, suicidi e posti in piedi di Giorgio Ferri Liberazione, 25 giugno 2010 “Le carceri sono fuori legge”. La Federazione della Sinistra aderisce alla campagna promossa dalle associazioni Antigone e A Buon Diritto e dal settimanale Carta , “per dare il via a una vera e propria vertenza nei confronti delle istituzioni affinché siano rispettati i diritti delle persone detenute”. È quanto affermano in una nota congiunta Ivano Peduzzi, capogruppo Fds regione Lazio e Giovanni Russo Spena, responsabile giustizia Prc, che oggi, alle ore 10, visiteranno l’istituto penitenziario di Regina Coeli insieme a Stefano Galieni, responsabile nazionale immigrazione Prc. “Per una settimana - aggiunge Peduzzi - visiteremo almeno dieci carceri in tutta Italia, raccoglieremo dati e denunceremo i casi di abbandono, di sovraffollamento e di mancato rispetto dei diritti umani. Abbiamo deciso di cominciare il sopralluogo dall’istituto penitenziario di Regina Coeli, dove il giovane Stefano Cucchi ha trascorso gli ultimi giorni di vita prima di morire di carcere, di fame e di botte nella struttura penitenziaria dell’ospedale Pertini di Roma”. La situazione nelle carceri del Lazio è esplosiva, lo sottolinea in una nota proprio il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, commentando gli ultimi dati forniti dal Dap, aggiornati al 20 giugno. I detenuti reclusi sono 6.254, di cui 5.795 uomini e 459 donne. Oltre 1600 in più rispetto alla capienza regolamentare prevista nei 14 istituti della regione. I detenuti continuano ad aumentare mese dopo mese, rispetto allo scorso febbraio sono aumentati di 372 unità. Un contesto che incrementa, come spiega allarmato Emilio Lupo, segretario nazionale di Psichiatria democratica, “l’elenco dei suicidi in carcere: da nord a sud sono già 31 dall’inizio dell’anno (gli ultimi due si sono verificati a Milano e Lecce)”. Fenomeno che trova origine - prosegue Lupo - “tanto da aspetti istituzionali quanto dalle gravi condizioni psicologiche sofferte dalle persone incarcerate, rese ulteriormente fragili dalle condizione di restrizione, dal sovraffollamento, dalla mancanza di programmi di reinserimento reale e, non ultima, dalla progressiva riduzione delle misure alternative alla detenzione verificatasi in questi anni”. Psichiatria democratica ritiene, inoltre, che le misure alternative alla detenzione vadano estese a quanti più detenuti possibile non solo per riconnotare la pena nelle sue valenze rieducative, come prevede la Costituzione, ma anche per responsabilizzare e dare speranza al detenuto: ridare speranza è il più potente antidoto al rischio di suicidio. Non la pensa così il leghista Gianluca Buonanno, parlamentare piemontese e membro dell’antimafia. Noto per aver disseminato le strade con sagome di poliziotti in cartone e avere proibito l’uso del burka e del burkini nel paesino dove è sindaco, nel corso di una conferenza stampa convocata per illustrare la proposta di togliere la pensione ai condannati per terrorismo e criminalità organizzata (così come ai loro familiari), ai cronisti ha commentato così il suicidio di Antonio Gaetano Di Marco, ex 41 bis che il 16 giugno si è tolto la vita nel carcere di Catania: “Certo che se altri pedofili e mafiosi facessero la stessa cosa non sarebbe affatto male. Anzi...”. Giustizia: l’Associazione “A Buon diritto” e le vittime del cattivo diritto del carcere preventivo di Cristina Giudici Il Foglio, 25 giugno 2010 Roma. L’indagine giudiziaria su Fastweb e Telecom Sparkle, che ha coinvolto 80 persone e ha portato fra gli altri in carcere l’ex ad di Fastweb Silvio Scaglia, ora agli arresti domiciliari, è lo spunto sullo sfondo. Ciò che preme a Luigi Manconi e alla sua associazione A Buon Diritto è alzare la voce su uno dei principali nodi (scorsoi) del sistema giudiziario italiano. E cioè l’uso della custodia cautelare. Se ne parla dagli anni 90, ma nessuno è ancora riuscito a intervenire non solo per limitarne l’uso, ma anche per impedire che la detenzione cautelare sia usata come uno strumento punitivo e di pressione nelle mani degli investigatori. La conferenza stampa che indetta ieri da Manconi a Montecitorio, presenti i soliti, indomiti paladini dei diritti dei detenuti (Rita Bernardini dei Radicali e Stefano Anastasia dell’associazione Antigone), si intitolava: “Perché sono ancora dentro?”. E si riferiva a tre degli indagati, Stefano Mazzitelli, Massimo Gomito e Antonio Catanzaro, i tre manager di Telecom Sparkle arrestati il 23 febbraio e ancora in carcere: “Dopo 123 giorni cautelari”, ha sottolineato più volte Manconi. Forse il sottotitolo avrebbe potuto essere: “The same old story”. La solita vecchia storia della custodia cautelare che prevede la detenzione degli indagati prima del processo per evitare l’inquinamento delle prove, per un pericolo di fuga o di reiterazione del reato, o per la pericolosità sociale. Eppure uno dei tre indagati ancora in carcere, Massimo Gomito, si è costituito, fa notare l’avvocato Fabrizio Merluzzi, mentre Stefano Mazzitelli è gravemente malato, fa notare il suo medico, il professor Ennio Ramundo. Indipendentemente dall’indagine giudiziaria, i casi che Manconi si è preso a cuore fanno riemergere uno squilibrio del sistema giudiziario: l’uso vessativo della custodia. In questo caso persino più grave perché il gip, rifiutando la scarcerazione dei dirigenti Telecom indagati per associazione a delinquere a fini dell’evasione fiscale (e lo stesso atteggiamento aveva tenuto con quelli di Fastweb) ha dato questa motivazione: “Non hanno offerto elementi utili alle indagini”. Praticamente un’ammissione del proprio intento, visto che nessuna legge o articolo del codice lo prevede, ma che esprime una consuetudine, l’uso distorto che si fa spesso della custodia. E viene anche un po’ di stanchezza a scriverne, perché se ne parla da tanto, troppo tempo. E stupisce quasi che Manconi, mentre ascolta la testimonianza di una moglie, di un parente, di un medico, ancora creda nell’esigenza di dare alla giustizia italiana un assetto più garantista. Visto che, come ricorda Rita Bernardini, oggi in galera il 50 per cento dei detenuti è in custodia cautelare, e di essi il 30 per cento viene poi assolto. E forse, visto che ormai siamo tutti diventati economisti, bisognerebbe parlare del coefficiente di sofferenza, la soglia fisiologica oltre la quale non si può andare, quando i cittadini finiscono in carcere. Manconi ha insistito molto sul caso di Mazzitelli, finito nell’inchiesta perché ritenuto responsabile dì un sistema di evasione di 330 milioni di euro che non sono ancora stati trovati, perché è molto malato. “Ha perso 30 chili, l’uso di due dita della mano destra, ha una parestesia al piede destro che gli impedisce di camminare”, ha spiegato il suo medico. Senza che si riesca a ottenere (altra cara battaglia per i garantisti) l’incompatibilità con il carcere. Nel frattempo il suo medico gli consiglia di stare a letto, e cioè in branda - inutile dirlo, cinque per cella - e aspettare che il gip applichi l’uso della custodia cautelare con extrema ratio, sorella della presunzione di innocenza. Giustizia: viaggio nell’Ipm “Beccaria”: disciplina, lavoro e fantasia per recuperare i nuovi ribelli di Elena Lisa La Stampa, 25 giugno 2010 La prima cosa che farò, fuori di qui, è una mangiata con i miei genitori. Poi cercherò un lavoro. Per trovarmi una ragazza c’è tempo. In una cosa soprattutto m’impegnerò: starò alla larga da certi amici. Perché ce ne sono di buoni e cattivi. Con i primi ti diverti e basta. Con gli altri, ridi e scherzi e poi finisci dentro”. Giuseppe, 19 anni, è un detenuto dell’istituto di pena minorile Beccaria, a Milano. È la quinta volta che ci entra, è un recidivo. Come lui lo sono molti dei 62 detenuti. Il carcere è un “limbo” in cui anche i più difficili si sentono pronti a cambiare vita, ma poi, una volta fuori, ciclicamente restano imbrigliati nelle maglie della criminalità. Giuseppe è qui da sette mesi per un cumulo di pene per furto. Parla con accento napoletano, ma è nato e cresciuto alla periferia di Milano. Ha il berretto calato sulla fronte, la pelle olivastra, occhi neri, profondi, rotondi come bottoni, sopracciglia curate, perfette, che sembrano disegnate. Un piercing illumina quella destra. Ha la maglietta sporca di tintura bianca. Anche le mani, fino all’avambraccio, e i pantaloni. Ha appena finito di lavorare nel laboratorio di falegnameria, sta rientrando in cella per il pranzo. Accanto a Giuseppe, Matteo: occhi azzurro pastello, tatuaggi e muscoli in mostra, sporco di tintura come lui. Detenuto come lui. Italiano come lui. Criminali italiani, appunto, la “nuova” faccia degli istituti di pena minorili: il maggior numero di reclusi, oggi, sono ragazzi nati e cresciuti nel nostro Paese. Al Beccaria, per esempio, ce ne sono 26. Gli stranieri sono 22. Diverso il discorso per le ragazze: 13, una sola è italiana. Le altre sono quasi tutte slave, dentro per furti e rapine commesse enne volte. La porta per entrare in carcere è piccola, automatica, di vetro antisfondamento che permette di vederne lo scheletro fatto di spesse sbarre d’acciaio. Sta aperta pochi secondi. Il tempo di farti entrare, poi, sbatte e si chiude. Un po’ come San Tommaso provi a spingerla, per vedere se si riapre, ma niente da fare. Dall’altra parte, un agente di polizia guarda e muove il dito: “No, questa porta resta chiusa” dice. Così, spalle all’acciaio, prosegui. È giugno la giornata è limpida e la struttura più che un istituto di detenzione sembra una scuola. Ti accorgi che libri e quaderni contano fino a un certo punto, non appena percorri un corridoio stretto che ti porta all’interno e ti mostra, inesorabile, l’altra faccia, quella nascosta e vera del carcere: a sinistra la sezione maschile, a destra quella femminile. Il sole, nel corridoio non entra più, i muri sono alti. Stai per entrare nel cuore del Beccaria, alzi lo sguardo e vedi le finestre, le sbarre. E alle sbarre calze e biancheria appesa. Dall’ala dei ragazzi qualcuno sta aggrappato all’inferriata, la stringe, si agita, si sbraccia, fa cenni. Scopri presto che chi sta lì, rinchiuso, è di poche pretese. Non appena ti giri e lo guardi, muove la mano: “Ciao!”, urla. Poi scompare. È mezzogiorno, l’ora in cui le guardie pranzano, ma solo dopo aver chiuso in cella i detenuti. Staranno lì per un’ora, poi toccherà ai reclusi mangiare. I ragazzi sono già in cella, le ragazze sono ancora fuori. Sono sedute all’esterno della loro sezione: la prima che vedi, è poco più che una bambina, ha 16 anni, indossa una tuta rosa e sta cullando la figlia: “Tra poco compirà un anno, io uscirò prima. Andrò in una comunità, non posso più stare con la mia famiglia, non voglio che succeda a lei cos’è accaduto a me”. Per mangiare bisogna salire al piano di sopra, dove, in una stanza, c’è un tavolo lungo e una tovaglia di plastica a fiori. La ragazzina slava entra nella cella con la figlia, la mette a dormire in un passeggino, accanto al suo letto su cui sono appoggiati dei peluche. Da sola chiude la porta di ferro e aspetta che l’agente di sorveglianza la serri con il chiavistello. Dalla fessura guarda fuori con gli occhi che sorridono: “Il compleanno di mia figlia lo voglio fare qui, tornerò apposta per festeggiare con le poliziotte e le mie amiche del carcere”. Che sempre amiche non sono. A volte si azzuffano, litigano, gli scontri scattano all’improvviso quando si sfaldano gruppetti, alleanze che durano il tempo di un giorno. Come gli amori che nascono dalle finestre. Reclusi e recluse possono trascorrere tempo insieme, per studiare, lavorare e nei momenti di aggregazione. Nel minorile anche il maschilismo è piuttosto precoce, così psichiatri ed educatori tentano di avvicinarli per insegnare ad avere rapporti alla pari e far capire cosa significhi rispettare l’altro sesso. E le cotte esplodono così, con uno sguardo, una parola, una risata. Alcune durano fino alla serenata cantata dalle sbarre. Il giorno dopo, capita, che la cotta sia già passata. Non per Adrian, un ragazzo romeno che sta spesso con Antonio e Christian, alto, tatuaggi e rosario al collo, al Beccaria per aver ucciso un connazionale. Lui, della sua cotta non fa mistero: “Appena uscirò andrò a vivere con la mia ragazza che sta qua, in carcere, e sarà bellissimo”. Ci riuscirai? E se il rimorso per ciò che hai fatto, crescendo, dovesse tormentarti? “Quello già ce l’ho, ci penso ogni sera prima di dormire. Cerco di mandare via il pensiero, perché so che ho sbagliato, ma so che quell’errore non lo ripeterò”. Nelle prime ore del pomeriggio tutti i detenuti sono impegnati in varie attività. Sul corridoio, dove si affacciano le aule, escono ed entrano professori che insegnano matematica e grammatica. L’insegnante di “pasticceria” ha appena sfornato i croissant preparati dai ragazzi. Finito il pranzo e divisi in gruppi, vengono scortati nei laboratori. Gli estranei, ora, non possono più restare. Il percorso verso l’uscita è lo stesso di prima. La porta che si apre e si chiude rapida, il poliziotto di guardia che saluta e le parole di Matteo nelle orecchie, coinvolto in un tentato omicidio per spaccio: “Tornassi indietro non mi troverei nella stessa situazione. Anche la sera in cui stavo col mio gruppo sentivo che sarebbe stato meglio non esserci. Ma le cose vanno così, ti trovi nel posto sbagliato al momento sbagliato, e in un attimo la tua vita non è più la stessa”. Aumentano i detenuti italiani: 39% nel 2009 Inversione di tendenza negli ultimi 3 anni nella composizione degli ingressi al Centro di prima accoglienza della Lombardia, la struttura adiacente al carcere “Beccaria” di Milano che ospita i minori in stato di fermo o arresto in attesa dell’udienza di convalida per un massimo di 4 giorni. Nel 2009, infatti, il 39% dei 324 minori accolti presso il Cpa di Milano era costituito da giovani italiani. Un dato sensibilmente in aumento se si considera che fino al 2006 la percentuale di minori italiani accolti presso questa struttura era inferiore al 20%. È quanto emerge dai dati comunicati questo pomeriggio dalla direttrice del Centro, Flavia Croce, in occasione della firma a Palazzo Isimbardi di un protocollo per l’attivazione di un progetto socio-educativo di sostegno ai giovani in carcere. Inversione di tendenza confermata anche per quanto riguarda gli ingressi al “Beccaria”. Dei 258 i minori entrati nel 2009 nell’Istituto penale per minorenni, infatti, 132 erano italiani (il 33%) e il resto con cittadinanza straniera (nel 2006 gli italiani erano circa il 20%). Tra i reati più diffusi quelli contro il patrimonio (furti e rapine), seguiti dai reati collegati allo spaccio di sostanze stupefacenti. Pochi, invece, i casi di reati contro la persona, che sono tuttavia in aumento. Quanto ai minori segnalati, anche a seguito di denunce a piede libero, presso gli Uffici di Servizio sociale a Milano e Brescia nel 2009 sono stati 2180, di cui 1334 italiani (il 61%). Infine, ha comunicato Croce, 316 sono stati i ragazzi affidati a comunità nel 2009, il 55% italiani. In linea i dati della Procura: nel 2008 la percentuale di ragazzi italiani denunciati alla Procura dei minorenni è stata il 58% del totale. Giustizia: Verini (Pd); sulla morte di Aldo Bianzino sconcertante silenzio di Alfano Agi, 25 giugno 2010 Walter Verini, deputato del Pd, ha inviato una lettera aperta al ministro della Giustizia Angelino Alfano per tornare a chiedere chiarimenti sulla morte in carcere del detenuto Aldo Bianzino. “Lo scorso 12 gennaio le scrissi una lettera sul caso di Aldo Bianzino, detenuto morto nel carcere di Perugia nella notte tra il 13 ed il 14 ottobre 2007, in circostanze ancora non chiarite”, ha ricordato nel testo diffuso in un comunicato, “ho deciso di scriverle nuovamente, perché ritengo un fatto molto grave che - a distanza di quasi sei mesi - lei non abbia trovato tempo e modo di rispondere”. “Trovo sconcertante, Signor Ministro, il fatto che lei non abbia fornito risposta di nessun genere a questa richiesta”, ha aggiunto ricordando “le inquietudini dei famigliari” di Bianzino, “Non credo ci siano motivazioni plausibili per questo suo lungo silenzio. Per questo le chiedo ancora di voler esaminare la richiesta che torno a ribadirle e di volere cortesemente fornire una sua risposta”. Giustizia: caso Cucchi; udienza preliminare fissata per il 15 luglio, sotto accusa 13 persone Apcom, 25 giugno 2010 È stata fissata per il 15 luglio l’udienza preliminare per la valutazione delle richieste di rinvio a giudizio fatte dalla Procura di Roma per la morte di Stefano Cucchi avvenuta il 22 ottobre scorso, 6 giorni dopo l’arresto. I pm Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy hanno firmato gli atti nei confronti di 6 medici e 3 infermieri dell’ospedale Sandro Pertini, in cui il giovane fu ricoverato alcuni giorni, e di 3 agenti di polizia penitenziaria. L’elenco degli imputati è completato dal direttore dell’ufficio detenuti e del trattamento del Prap, il provveditorato regionale amministrazione penitenziaria. Al funzionario è contestato il reato di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale e abuso d’ufficio. Le accuse contestate, per i sanitari sono quelle di favoreggiamento, abbandono di incapace, abuso d’ufficio e falsità ideologica. Per gli agenti, invece, i reati sono lesioni e abuso di autorità. Sarà il gup Rosalba Liso a tenere l’udienza. Modena: arriva il nuovo Giudice di Sorveglianza; lettere di denuncia dalle Case di Lavoro Gazzetta di Modena, 25 giugno 2010 Svolta sul caso del Giudice di Sorveglianza a Modena. Il presidente del Tribunale di Sorveglianza distrettuale di Bologna, giudice Francesco Maisto, ha dichiarato alla “Gazzetta” che la vacanza della carica è agli ultimi giorni. Il giudice in arrivo, dottor Roberto Giovanni Mazza, si presenterà martedì prossimo alla sede bolognese per il giuramento e la messa in possesso del suo posto a Modena. “Questo significa - spiega il presidente Maisto - che dovrebbe iniziare a lavorare da subito”. Il 30 giugno, infatti, è prevista la giornata di udienza tanto attesa dai detenuti e dagli internati modenesi: la data saltata il 16 giugno ha creato forte preoccupazione e anche rimostranze alla Casa di Lavoro di Saliceta San Giuliano e non solo. “Speriamo che il giudice Mazza possa intervenire subito - spiega il presidente Maisto - ma bisogna capire che è il suo primo giorno in quella veste: proviene da un collegio giudicante”. Da Bologna precisano inoltre che l’ufficio di Modena non è mai rimasto “scoperto” da quando se ne è andato il giudice Angelo Martinelli: “Abbiamo supplito - spiega il presidente Maisto - estendendo la funzione al collega di Reggio. In pratica, si divideva tra le due province. Bologna non poteva: abbiamo solo 2 giudici sui 5 previsti e si sarebbe fermata l’attività”. Dopo l’appello di Saliceta San Giuliano, anche dall’altra casa di lavoro modenese - quella più grande dell’ex Forte Urbano di Castelfranco - tre internati hanno inviato una lettera per denunciare apertamente quanto succede. Un documento davvero insolito. Spiegano Vincenzo Iannone, Franco Antonio e Gennaro Clemente: “L’internato è colui che, essendo stato in passato in carcere e avendo già scontato la pena prevista, può essere dichiarato socialmente pericoloso, delinquente abituale o professionale, quindi essere sottoposto a una misura di sicurezza purtroppo detentiva. Noi internati subiamo lo stesso trattamento dei detenuti. Ma mentre per i detenuti c’è un fine pena certo, noi siamo nelle mani del Magistrato di Sorveglianza che deve decidere se ci sono le condizioni per farci ritornare alla nostra vita. Contrariamente alla legge che prevede il reinserimento, trascorriamo molto tempo rinchiusi nella nostra sezione. Non per tutti c’è la possibilità di lavorare e la scarsità di interventi educativi non giustifica l’esistenza di una reclusione in assenza di reato”. I tre internati non hanno nulla da ridire verso la direzione di Castelfranco. “Il vero problema - spiegano - consiste nei rapporti tra noi ed il Magistrato di Sorveglianza che ha sospeso, da oltre un anno, la concessione di licenze per molti di noi che pur ne avevano i requisiti. Un popolo civile, come quello italiano, non può e non deve ignorare i nostri problemi, primo fra i quali il permesso di una licenza, capace di mantenere, migliorare o ristabilire i rapporti affettivi con le proprie famiglie oltre che mantenere contiguità col mondo del lavoro”. Firenze: il sindaco di Montelupo; all’Opg gli internati diminuiranno da 160 a 60 Ansa, 25 giugno 2010 Meno detenuti a Montelupo, “Da 160 passeranno a 60”. Ad annunciare la novità il sindaco della cittadina che ospita l’Opg, Rossana Mori. Gli ospiti della struttura arrivano da Toscana, Liguria, Sardegna e Umbria. Saranno ridotti a 60, gli ospiti dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. Lo ha annunciato il sindaco della cittadina che ospita il più grande Opg d’Italia, Rossana Mori. Attualmente i detenuti sono 160, e provengono dalla Toscana ma anche dalla Liguria, dalla Sardegna e dall’Umbria. “Le altre Regioni - ha detto Mori - stanno lavorando per individuare strutture idonee ad accogliere le persone che hanno necessità di cura e magari di essere reinserite nel tessuto sociale”. Per quanto riguarda la situazione della Sicilia, ha detto la prima cittadina, che è stata recentemente ascoltata dalla commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari, “il ministro Fazio ci ha assicurato di aver già contattato il governatore affinché firmi in tempi brevi l’accordo”. Savona: non ci sono soldi per un nuovo carcere, sì al restyling del Sant’Agostino Savona News, 25 giugno 2010 Nuovo carcere di Savona addio, previsti investimenti per un restyling dell’attuale struttura penitenziaria savonese: questo in sintesi il messaggio lanciato questa mattina dal direttore del carcere savonese di Sant’Agostino Nicolò Mangraviti. “Dalle ultime informazioni in mio possesso sembra che le risorse per la realizzazione del nuovo carcere previsto in località Passeggi non ci siano - ha evidenziato il direttore Mangraviti -. I piani dell’amministrazione penitenziaria, di concerto con il ministero competente per le opere pubbliche, prevede un finanziamento per ammodernare e ristrutturare sotto il profilo edilizio e urbanistico l’attuale struttura, con l’obiettivo di migliorare le attuali condizioni di detenzione”. Tra i progetti previsti nell’area del carcere savonese anche una nuova area verde all’esterno nella quale i detenuti potranno svolgere il tradizionale colloquio con i parenti. “Certamente la zona interessata dai lavori presenta alcune problematiche legate alla sua morfologia, essendo un’area collinare, per questo al momento sono presenti ancora alcuni intoppi burocratici che impediscono una programmazione dei lavori nel breve periodo”. Savona: “Detenuti al lavoro”, quarto anni di un progetto al servizio della comunità www.savonanews.it, 25 giugno 2010 Dopo l’esperienza positiva del 2006, 2008 e 2009, si realizza anche quest’anno il progetto “Detenuti al lavoro”, l’iniziativa promossa dall’Assessorato ai Quartieri del Comune di Savona in collaborazione con la Casa Circondariale di Savona ed Ata e con il contributo della Fondazione A. De Mari Cassa di Risparmio di Savona. Il progetto è nato con l’intento di favorire il percorso di rieducazione, integrazione e recupero dei soggetti che stanno scontando una pena in carcere attraverso lo svolgimento di attività di pubblica utilità, volte a fornire supporto nel processo di conservazione e valorizzazione del territorio. I detenuti raggiungeranno i luoghi prescelti per svolgere, dalle 6 alle 9 del mattino, dal martedì al sabato, la pulizia delle spiagge cittadine: il pezzo di litorale interessato è quello della zona dello Scaletto, dove il Comune di Savona sta approntando una spiaggia fruibile per le persone disabili. L’attività dei detenuti prescelti che saranno due, prenderà il via il 1 Luglio e terminerà il 31 Agosto, è svolta sotto il coordinamento di Ata, che opera attraverso gli operatori della Coop La Bitta. “È la quarta volta per questo progetto al quale tengo molto che serve a dare ai detenuti la possibilità di lavorare fuori dalla Casa Circondariale cittadina. L’iniziativa ha molti aspetti positivi sia per l’Amministrazione Comunale, che dimostra ancora una volta la propria volontà di lavorare al servizio di tutti i cittadini, anche quelli più deboli, sia per L’Amministrazione Carceraria, che cerca di recuperare i suoi detenuti. Aspetti positivi anche per la Fondazione Carisa, che utilizza i propri fondi per una buona causa e per la città di Savona, oggi sempre più votata al turismo, che ha la possibilità di avvalersi di ulteriori operatori impegnati nella pulizia delle spiagge. É importante ricordare che i detenuti, due italiani i quali godranno di un parziale reinserimento, di una retribuzione, godranno di una copertura assicurativa e saranno a contatto di nuovo con una realtà al di fuori del carcere a contatto con le persone. I detenuti si sono sempre comportati al meglio dimostrando serietà e correttezza” ha dichiarato l’Assessore ai Quartieri Francesco Lirosi. “Apprezzo molto l’interesse espresso dal Comune di Savona per queste tematiche ed è grazie alla Legge 75 che è stato possibile il reinserimento della popolazione detenuta nel tessuto sociale che è servita ad avvicinare le persone a vedere il carcere e i suoi detenuti come persone che possono riscattarsi. Spesso il carcere viene vissuto dal resto della città come un luogo che si vuole tenere distante; deve essere invece aperto al territorio, specialmente tenuto conto delle difficoltà della struttura e degli esigui spazi interni dedicati all’attività di recupero, ha sottolineato il Direttore della Casa Circondariale di Savona, Nicolò Mangraviti. È stato molto bello vedere questa grande collaborazione tra l’Amministrazione comunale e quella penitenziaria e la partecipazione delle istituzione pubbliche e delle singole persone che hanno dimostrato il loro interessamento al progetto come sindaco, assessori, la polizia penitenziaria e i volontari. Questo progetto è importante anche perché aiuta i cittadini a vedere i detenuti come soggetti che possono svolgere servizi di pubblica utilità sociale. Il progetto è stato realizzato grazie al contributo finanziario della Fondazione A. De Mari Cassa di Risparmio di Savona e dell’Assessorato comunale ai Quartieri, che ha fornito ai detenuti una retribuzione e la necessaria copertura assicurativa e previdenziale. Il Presidente della Fondazione Carisa Roberto Romani ha concluso dicendo: “La Fondazione è contenta di sostenere anche quest’anno il progetto, per diversi motivi, non solo perché risponde al nostro obiettivo di attenzione e sostegno verso le fasce più deboli della popolazione e a sostenerle ma anche perché l’iniziativa fa parte di un percorso di recupero e reinserimento sociale dei detenuti. Il nostro sostegno è poi un atto che sentiamo giusto ed in conformità con la nostra natura di fondazione bancaria che, come sappiamo, ha le sue basi nel patrimonio dato dalla collettività del territorio e quindi ad essa la Fondazione restituisce, nel concreto, risorse, facendolo tra l’altro in un periodo di grandi difficoltà finanziarie per gli Enti locali. La pena fine a se stessa senza un recupero non ha alcun senso perché la pena deve andare di pari passo con la rieducazione e noi è questo che cerchiamo di sostenere e che continueremo a sostenere anche nei prossimi anni”. La Casa Circondariale di Savona attualmente ospita 89 detenuti che si sono responsabili per la maggior parte di reati verso il patrimonio (spaccio, rapine etc.). Il 50% dei detenuti presenti sono stranieri di origine africana/magrebina e le difficoltà culturali rendono la situazione carceraria ancora più complicata, ma progetti di rieducazione come questi che danno una speranza possono aiutare i detenuti e vedere un futuro diverso e migliore per loro. Avellino: Uil; tra qualche settimana disponibile nuovo padiglione di 200 posti, ma non c’è personale Asca, 25 giugno 2010 “Ad Avellino tra qualche settimana sarà disponibile un nuovo padiglione di circa 200 posti ma è mistero sul personale che dovrà attivarlo”. È la nuova denuncia di Sarno della Uil Penitenziari, che aggiunge: “Si costruiscono nuove carceri, ma non si assume il personale per gestirle. Ciò connota di improvvisazione e superficialità l’azione dei responsabili politici ed amministrativi”. Per il segretario generale “a meno che non si vogliano costruire cattedrali nel deserto è bene che si proceda a nuove assunzioni. D’altro canto - ricorda - in Finanziaria erano previste 1.700 per il recupero del turn-over e il Ministro Alfano ha ripetutamente annunciato assunzioni straordinarie per altre 2.000 unità. L’orizzonte, purtroppo, continua ad essere una linea retta. Nessuna unità, infatti, si profila nell’immediato, al netto dei proclami e degli annunci. E per gestire i nuovi edifici e i nuovi padiglioni, con circa 10mila nuovi posti detentivi, occorreranno non meno di 5.000 unità, senza tener conto delle centinaia di unità che nel frattempo si saranno pensionate”. Cautamente positivo, invece, il giudizio sull’individuazione territoriale delle aree dove sorgeranno le nuove carceri e i nuovi padiglioni. “Avevamo auspicato che tra gli obiettivi del piano carceri ci fosse anche quello di abbattere l’eccessiva movimentazione di detenuti. A scorrere l’elenco delle aree individuate qualcosa, in tal senso, si muove. Il Triveneto, la Puglia, la Sicilia, l’Emilia e il Piemonte - conclude il Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari - godranno in maggior misura di questo piano straordinario di edilizia penitenziaria. Qualcosa (molto) di più si sarebbe dovuto fare per la Campania e la Lombardia che sono le due macro aree “produttrici di detenzione”. Un solo padiglione a Milano ed un penitenziario di soli 450 posti nel napoletano (Nola) non risolvono granché rispetto ai reali bisogni”. Agrigento: al carcere Petrusa iniziano i lavori per ospitare 400 detenuti in più La Sicilia, 25 giugno 2010 Il carcere di contrada Petrusa sarà riclassificato, diventerà di primo livello nazionale, con docce in cella e capace di ospitare un migliaio di detenuti. Entro la prossima settimana cominceranno i lavori di costruzione del tanto atteso nuovo padiglione. Sorgerà dove adesso si trova il campo sportivo, e prevede la realizzazione di spazi capaci di accogliere complessivamente circa 400 detenuti. In questo modo, la capienza complessiva, considerando gli spazi angusti attualmente disponibili, ad Agrigento potranno essere detenuti tra le 900 e le 1.000 persone, costrette nei vari regimi di sicurezza e sorveglianza, dai reati comuni al carcere duro. Grazie a questo notevole aumento di capacità recettiva il Petrusa verrà promosso a casa circondariale di primo livello. Foggia: progetto “Vale la pena”, per alleviare le difficoltà dei detenuti stranieri di Enza Gagliardi www.luceraweb.it, 25 giugno 2010 Si può alleviare la permanenza in carcere dei detenuti stranieri? Quali sono le loro difficoltà? Come favorire il loro reinserimento sociale e lavorativo? Da queste e altre domande partì nel 2009 in due carceri della Capitanata, quello di Foggia e quello di Lucera, un progetto unico nel suo genere dal titolo “Vale la pena”. Un’iniziativa sperimentale, promossa dalla Cooperativa sociale Arcobaleno di Foggia, e finanziata dal ministero dell’Interno e cofinanziata dall’Unione Europea nell’ambito del Fondo Europeo per l’integrazione di Cittadini di Paesi Terzi, con il coinvolgimento dell’Assessorato alle Politiche Sociali della Provincia di Foggia, dell’Assessorato all’Immigrazione del Comune di Foggia, dell’Associazione “Comunità sulla strada di Emmaus”, del Consorzio Aranea, della Cooperativa Emmaus, di Cgil Smile Puglia e dell’Uepe (Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna) di Foggia, con l’intervento di organismi facenti parte del Consiglio territoriale per l’Immigrazione della Prefettura di Foggia. Al centro di tutto c’è stata la figura del mediatore culturale, che sebbene prevista dal regolamento carcerario, di fatto la sua presenza è pressoché carente nelle strutture detentive, ma che si è confermata nell’esperienza foggiana e lucerina la chiave per aprire quella porta simbolica che impedisce una permanenza in carcere almeno accettabile per i detenuti stranieri. La scarsa o nulla conoscenza dell’italiano e del reato per il quale si sta scontando la pena, quindi delle norme giuridiche italiane e di quelle carcerarie, unita alla lontananza dai familiari, poiché a volte si tratta di detenuti trasferiti da sovraffollati carceri del Nord Italia, sono alcuni dei problemi che il mediatore culturale affronta con il carcerato. Affronta, sì, perché nonostante il progetto abbia avuto breve durata con l’ascolto di circa 130 detenuti stranieri in 350 colloqui, i risultati positivi hanno convinto gli operatori a proseguire la loro attività in entrambi gli istituti di detenzione, continuando a coordinarsi con il personale in loco: amministrazione carceraria, polizia penitenziaria, assistenti sociali, educatori, ecc. Ed è proprio la grande collaborazione tra i vari soggetti coinvolti un elemento fondamentale del successo dello sportello informativo e di mediazione, di cui si è tornato a parlare non solo perché tuttora in corso il lunedì nel Capoluogo e il mercoledì a Lucera, anche se sotto forma di volontariato, ma anche per la valutazione a cui viene sottoposto il progetto in questi giorni da parte della Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità), che ha ritenuto interessante approfondire la conoscenza di una iniziativa tanto particolare quanto utile a risolvere concretamente una serie di problemi che per un carcerato straniero possono diventare insormontabili e di conseguenza rendere la vita in cella ancora più amara. “Vale la pena” prevedeva, oltre all’apertura degli sportelli informativi per facilitare la comunicazione tra culture diverse, anche la realizzazione di percorsi di formazione on the job, coinvolgendo 22 detenuti stranieri (11 a Foggia, 9 a Lucera e altri due che beneficiavano di misure di pena alternativa), con laboratori di animazione interculturali e professionalizzanti. Frutto del progetto è anche il primo Vademecum in dieci lingue “Vivere in carcere. Guida per detenuti stranieri”. Tutti i soggetti principali coinvolti nell’iniziativa hanno evidenziato la rispondenza perfetta del nome dell’iniziativa con gli importanti risultati ottenuti, ciascuno per il proprio settore di intervento e poi in generale, a cominciare dal direttore del carcere di Lucera, Davide Di Florio, che ha sottolineato l’apertura verso l’esterno della struttura da lui diretta. “Grazie anche alle borse lavoro, abbiamo dimostrato agli stessi detenuti - ha detto Di Florio - che, nonostante i problemi che ci sono nel nostro Paese, anche in Italia per loro c’è una speranza di futuro, e per questo, se loro ce la mettono tutta, alla fine ne vale davvero la pena”. Il progetto, dunque, è stato anzitutto un’esperienza che ha cambiato in qualche modo l’orizzonte di diversi detenuti stranieri, tra cui molti i nordafricani e quelli provenienti dall’Europa dell’Est, ma che ha toccato anche gli stessi operatori, e coloro che con i carcerati convivono ogni giorno: gli agenti di polizia penitenziaria. Riuscire a superare l’ostacolo della lingua è stato per loro un estremo vantaggio per interagire coi i detenuti stranieri. “Per noi sono tutti uguali - ha sottolineato Giuseppe Di Terlizzi, comandante della polizia penitenziaria di Lucera - infatti quando arrivano non facciamo distinzioni nemmeno nell’assegnazione della cella”. “Questo modo di operare, ovviamente con le dovute attenzioni - ha aggiunto Di Florio - fa sì che il primo livello di integrazione avvenga proprio in cella”. Tuttavia, non è sufficiente. “Uno strumento come lo sportello di mediazione - ha spiegato il direttore - ha fatto da vero ponte linguistico e culturale tra noi e i detenuti e quindi tra essi stessi”. Altrettanto convinti della bontà del progetto sono gli altri soggetti coinvolti, tra cui gli operatori di Smile (Sistemi e Metodologie Innovativi per il Lavoro e l’Educazione) Puglia, che hanno tenuto a rimarcare il coinvolgimento umano durante la fase di formazione dei detenuti. “Nel nostro lavoro operiamo con le realtà più diverse - ha raccontato Antonio De Maso, direttore della sede foggiana dell’associazione - ma questa volta l’esperienza ci ha colpiti in modo particolare, proprio perché di fronte a soggetti la cui vita è cambiata in modo così radicale. Siamo riusciti a instaurare con i carcerati un rapporto umano e loro ci hanno ricompensati con l’acquisita consapevolezza di aver usufruito di un servizio diverso e utile”. Sì, perché l’esperienza lavorativa non soltanto ha comportato per i detenuti il conseguimento di una seppur limitata ma importante retribuzione, fondamentale per supportare le famiglie lontane, ma li ha calati in un contesto di “regolarità” che spesso era loro sconosciuto. “Anche l’arrivo dell’assegno mensile - ha ricordato Di Florio - era vissuto in carcere quasi come un evento. E quando una volta uno si smarrì e non giunse in carcere, tutti ci mobilitammo per rintracciarlo”. Ma ciò che si è toccato con mano è il clima più disteso che ha pervaso l’ambiente. A dirlo è sia il personale che Domenico Mascolo, il giudice di sorveglianza. “Il superamento dei tanti ostacoli comunicativi, i momenti formativi e lavorativi, l’ampliamento delle prospettive per un futuro all’esterno hanno permesso ai detenuti stranieri di acquisire maggiore serenità”. Con effetti positivi su tutti. Il dato statistico parla di un netto abbassamento del numero degli atteggiamenti autolesionistici, che comunque si registrano in moltissime carceri italiane e che a volte sfociano in scioccanti suicidi, fattore che ha inciso positivamente sull’operato di tutti. “Quelli che sono stati creati grazie a questo progetto - ha aggiunto il magistrato - sono i presupposti per un reinserimento sociale, ma proprio qui vanno evidenziate le criticità, perché il territorio foggiano non è aperto all’accoglienza di queste persone e, soprattutto, manca il supporto delle istituzioni esterne alla struttura carceraria”. È lo stesso giudice a spiegare che mentre nel Nord Italia sia le istituzioni che il contesto socio-lavorativo sono più disponibili alla collaborazione e all’accoglienza, qui “ci si scontra con l’aridità quasi totale del territorio”. “L’esterno - ha spiegato Maria Arnau, assistente sociale responsabile del progetto per l’Uepe - non ha molto interesse a creare rapporti con l’ambiente carcerario. Spesso - ha rivelato - le aziende, pur potendo contare su fondi messi a disposizione, non sono disponibili ad assumere detenuti che godono di misure di pena alternativa o che aderiscono a progetti di questo tipo. Il rischio reale è che questi detenuti stranieri, una volta scontata la pena, non avendo la possibilità di crearsi qui una residenza, ed essendo in maggior parte destinatari di provvedimenti di espulsione, poi tornino a delinquere, non trovando altra via di sopravvivenza nella clandestinità”. La verità è anche che le aziende sarebbero costrette a mettere in regola la situazione lavorativa del nuovo assunto, altro ostacolo in una zona a forte incidenza di lavoro nero, specie per i lavoratori stranieri. Insomma, nonostante gli sforzi e gli ottimi risultati dei progetti, il vero punto critico è il “dopo carcere”. Un problema che riguarda anche i detenuti di nazionalità italiana. “Quello che manca è un servizio di accompagnamento per il dopo - ha sottolineato Di Florio - il che ci rammarica profondamente”. Fatto sta che quello intrapreso nelle due case circondariali è stato un percorso virtuoso di ascolto, di incontro, di integrazione socio-lavorativa che ha lasciato il segno. “C’è poca sensibilità verso la mediazione culturale - ha concluso Domenico La Marca, presidente della cooperativa Arcobaleno e coordinatore del progetto - e per questo ce la possiamo permettere soltanto nei progetti ed è un’esperienza che non può essere lasciata alla volontarietà. Le relazioni umane che si creano non possono finire con la scadenza di una iniziativa, tuttavia i nostri operatori non possono sopperire da soli a una mancanza del sistema”. Pavia: protesta degli agenti, con sciopero della mensa e presidio fuori dal carcere Provincia Pavese, 25 giugno 2010 Stato di agitazione sindacale per gli agenti di polizia penitenziaria in servizio al carcere di Torre del Gallo. Gli agenti protestano per la carenza di organico e per le condizioni di lavoro cui sono costretti in una struttura sovraffollata di detenuti nella quale è stato perfino necessario aggiungere una terza branda in celle di 7 metri quadrati. L’altro giorno allo “sciopero della mensa” ha aderito il 98 per cento degli agenti: “È un numero elevatissimo - spiega Massimiliano Preti della Cgil - e si deve considerare che è l’unica forma di sciopero che gli agenti possono utilizzare”. Ieri mattina gli agenti hanno organizzato un presidio davanti al carcere mentre i delegati sindacali incontravano il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria. “L’incontro è stato positivo perché il provveditore ha annunciato un incontro a Roma a fine mese - spiega Preti -. In ogni caso, lo stato di agitazione non sarà revocato”. (s. ro.) Milano: al parco di Monza ad Agrate Brianza nuove gelaterie gestite dai detenuti di Opera Apcom, 25 giugno 2010 Una nuova gelateria nel Parco di Monza e un’altra ad Agrate Brianza. Il progetto “Aiscrim, prigionieri del gusto”, che vede direttamente coinvolti i detenuti del carcere di Opera (Milano), aumenta la rete dei suoi punti vendita. Il negozio all’interno del Parco di Monza sarà presentato alle 12 domani nel Comune del capoluogo brianzolo dall’Assessore alle politiche sociali Pierfranco Maffè insieme con il direttore del carcere di Opera Giacinto Siciliano e il suo collega del penitenziario di Monza, Massimo Parisi. “Aiscrim”, nata per iniziativa di Jobinside srl (azienda costituita nel 2005 per iniziativa di un gruppo di persone che operano nell`ambiente carcerario), assume direttamente i detenuti formandoli per circa un anno con mastri gelatai direttamente all`interno del carcere di Opera. All`interno della struttura è stato infatti allestito un vero e proprio laboratorio attrezzato con macchinari nuovi utilizzati da una quindicina di detenuti del reparto “Alta sicurezza”. I reclusi sono tutti regolarmente assunti e ricevono un regolare stipendio. Il progetto prevede anche un percorso di inserimento nei punti vendita direttamente o indirettamente gestiti dall’azienda. Il gelato e le torte gelato, sono prodotto con l`utilizzo di latte fresco pastorizzato proveniente da allevamenti italiani selezionati e di frutta fresca (no Ogm) direttamente dai coltivatori, e in coerenza con gli standard nutrizionali. Milano: detenuto truffava familiari di altri reclusi, spacciandosi per dipendente del ministero Adnkronos, 25 giugno 2010 Un detenuto nel carcere milanese di San Vittore, un keniano di 43 anni, truffava i familiari dei detenuti, spacciandosi per un dipendente del ministero a caccia di mazzette per facilitarne l’iter della scarcerazione. E ci riusciva grazie anche ad un telefono cellulare che era riuscito a farsi portare in carcere e con l’aiuto di una complice che provvedeva a ritirare i soldi. Oggi l’uomo, che nel frattempo è stato trasferito a Noto (Siracusa), è stato arrestato per millantato credito ed è stato indagato a piede libero anche per truffa nell’ambito di un’inchiesta coordinata dal pm Luigi Luzi mentre l’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata firmata dal gip Andrea Salemme. L’interrogatorio di garanzia sarà eseguito per rogatoria in Sicilia nei prossimi giorni. L’indagine della sezione di polizia giudiziaria è nata sulla base della denuncia di una donna che ha rischiato di essere truffata. Alla fine di agosto, infatti, la donna ha dichiarato di essere stata contattata telefonicamente da un presunto dipendente del ministero della Giustizia che, mostrando di conoscere bene la situazione del marito detenuto a San Vittore, le aveva chiesto 600 euro per farlo liberare. All’inizio lei aveva accettato, ma quando ha incontrato la complice del keniano per lo scambio dei soldi, si è insospettita perché la donna, che si era spacciata per un ufficiale giudiziario, si è rifiutata di mostrarle il tesserino di riconoscimento. Ha così mandato a monte l’affare e poi si è rivolta alla Procura. È partita così l’inchiesta che, come prima tappa, ha identificato le persone contattate nello stesso periodo dallo stesso numero di telefono. Gli inquirenti sono risaliti così ad una decina di persone che hanno raccontato tutte la stessa storia: di avere parenti in carcere e di essere state contattate da un uomo che a volte si presentava come un dipendente del tribunale, a volte del ministero della Giustizia, e che prometteva scarcerazioni facili in cambio di mazzette che variavano tra i 300 e i 600 euro. Qualcuno è anche caduto nella trappola, ma qualcun altro ha risposto sdegnato, essendo in realtà non un familiare del detenuto, ma la sua vittima. Per identificare il truffatore, gli investigatori si sono quindi concentrati sulla complice e l’hanno rintracciata: la donna, 50 anni, moglie di un pregiudicato e incensurata, ha confessato, indicando il nome del keniano, George. Alla fine gli inquirenti hanno ricostruito come il detenuto, che girava piuttosto liberamente nel carcere essendo il responsabile della biblioteca, riusciva a reperire i dati che gli servivano. dati che l’uomo avrebbe rubato dal quaderno in cui un prete di San Vittore prendeva appunti dei suoi incontri con i reclusi. L’inchiesta è stata coordinata dal pm Luigi Luzi mentre l’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata firmata dal gip Andrea Salemme. L’interrogatorio di garanzia sarà eseguito per rogatoria in Sicilia nei prossimi giorni. Padova: i detenuti-pasticceri premiati dall’accademia italiana della cucina Redattore Sociale, 25 giugno 2010 Domani sera nel corso della “Conviviale dell’equinozio d’estate” sarà consegnato ai reclusi del Due Palazzi di Padova il premio “Dino Villani 2010” per la Noce del Santo. Continuano i successi e i riconoscimenti per i pasticceri del laboratorio attivo nel carcere Due Palazzi di Padova. Domani sera, nel corso della “Conviviale dell’equinozio d’estate”, l’Accademia italiana della cucina consegnerà ai detenuti il premio “Dino Villani 2010” per la Noce del Santo, il dolce che ormai si è affermato come la specialità antoniana per eccellenza. La serata sarà ospitata nella cornice del chiostro del Generale della Basilica del Santo e vedrà la partecipazione di una decina di detenuti che potranno uscire dal carcere in permesso. Il premio è riservato ai titolari delle aziende artigianali o piccolo-industriali che si distinguono nella valorizzazione dei prodotti alimentari italiani con alti livelli di qualità. Sui tavoli per i circa cento invitati saranno a disposizione, per la presentazione ufficiale, i nuovi “Dolci di Antonio” che si affiancano alla Noce del Santo. I detenuti, infatti, hanno voluto omaggiare il santo di Padova con la produzione di alcuni dolci che riprendono ricette e ingredienti risalenti al 1200, epoca in cui visse sant’Antonio. Le lunghe sperimentazioni sugli ingredienti dell’epoca sono alla base delle ricette, che evocano sapori antichi e raffinati. “La santa alleanza tra detenuti e basilica del Santo, quindi, continua - commenta Nicola Boscoletto, presidente della cooperativa Giotto che ha dato vita al laboratorio di pasticceria -. E d’altra parte è cominciata tanto tempo fa, con il Santo stesso che in vita mostrò tutta la sua attenzione nei confronti dei carcerati, ottenendo anche dal comune di Padova di modificare in loro favore lo statuto dall’epoca. Un rapporto che non si è mai interrotto e che anzi due anni fa si è rinvigorito con il pellegrinaggio delle reliquie cella per cella nelle carceri cittadine. È poi continuato anche quest’anno con due messe nella Casa di Reclusione e nella Casa Circondariale, animate dai frati della Basilica del Santo, cui hanno partecipato centinaia di detenuti”. Durante la serata sarà anche presentato in prima assoluta “Present Continuous”, il cortometraggio che racconta l’ostensione del corpo di sant’Antonio, evento che a metà febbraio 2010 ha portato in una settimana 200 mila pellegrini a Padova e in particolare nella serata di lunedì 15 trecento persone del mondo del carcere insieme a 20 detenuti, usciti in permesso per l’occasione. Immigrazione: respingendo gli asilanti l’Italia rischia di violare la Convenzione di Ginevra Famiglia Cristiana, 25 giugno 2010 Nessuno ne parla più. La questione dell’immigrazione nel nostro Paese sembra sparita dall’orizzonte politico dopo gli accordi tra Berlusconi e Gheddafi, che hanno bloccato gli sbarchi. Ma la pressione di chi lascia la propria terra a causa di repressione, guerra e violazione dei diritti umani è ancora molto forte. In Libia, secondo dati della Caritas, sono 450 mila le persone che attendono di partire. È nuove rotte dei trafficanti di uomini si stanno sperimentando, non più attraverso il Mediterraneo, ma da Est, lungo l’antica via dei Balcani. Così, i centri degli immigrati in Friuli scoppiano, mentre in Sicilia sono vuoti e gli operatori della solidarietà senza occupazione. Eppure il Paese sembra contento. La politica di contrasto funziona, nessuno agita più lo spettro delle “carrette del mare” e degli sbarchi. Ma accade che gli irregolari in Italia siano in aumento. Lo dice una recente ricerca dell’Università Cattolica di Milano: 126 mila in più all’inizio dell’anno. Si arriva con visto turistico a Malpensa o a Fiumicino e si rimane in attesa della prossima sanatoria. Manca una politica dei flussi, che sia più semplice e conveniente allo straniero ma anche all’imprenditore italiano, che di quella manodopera ha bisogno. In realtà, i provvedimenti finora presi, paradossalmente, più che contrastarla, hanno alimentato l’immigrazione irregolare. E oggi che gli sbarchi sono finiti e gli immigrati sono detenuti nelle prigioni di Gheddafi, sembra che il problema sia stato risolto. Con buona pace della tranquillità e sicurezza della gente. Net Mediterraneo è stato costruito l’ultimo “muro galleggiante”, a impedire il diritto d’asilo a chi ne ha diritto. L’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, nel convegno delle Caritas d’Europa sull’immigrazione dimenticata, la settimana scorsa a Trapani, s’è interrogato su quante persone hanno diritto all’asilo politico tra quelle rinchiuse nelle prigioni del Colonnello libico, che non ha firmato la Convenzione di Ginevra. E col quale ci siamo legati con un forte abbraccio sui respingimenti, che mette a rischio la nostra legalità. L’immigrato irregolare e in nero è un “fastidio” che si può scacciare come una mosca, ma fa comodo a tutti. Solo un terzo è, ufficialmente, disoccupato; solo pochi, disperati, delinquono. Un sindaco leghista di un paese del Nordest si è rivolto alla Caritas per risolvere in modo “amichevole” il problema della sua badante clandestina e in nero. Paradossi della tolleranza zero. A Trapani, monsignor Mogavero di Mazara del Vallo ha invocato un “progetto pastorale organico” sui temi dell’immigrazione, che non sia lasciato alla buona volontà dei singoli. Il “Vangelo dell’accoglienza” è stimolo alla politica e alle istituzioni perché non facciano diventare “fantasmi senza diritti” uomini, donne e bambini, solo perché immigrati. Droghe: sempre meno persone si bucano, nell’Unione europea la riduzione del danno funziona Redattore Sociale, 25 giugno 2010 Sebbene la quantità sia ancora molto elevata (tra 750 mila e un milione), l’Agenzia europea per le dipendenze rileva una costante diminuzione. Uso di droga per via endovenosa stabile o in calo nella maggior parte dei paesi Europei: a rivelarlo uno studio specifico dell’Agenzia europea sulle dipendenze Emcdda. Principale ragione di questo trend positivo il fatto che pratiche come il trattamento sostitutivo con oppiacei e i programmi di scambio delle siringhe, volti a ridurre il danno legato all’iniezione, adesso raggiungono molti di coloro che ne hanno bisogno. Si stima che in Europa vi siano tra 750 mila e un milione di persone che si bucano, con una media di 2,5 persone ogni mille abitanti tra i 14 e i 65 anni. Ma il numero di questi consumatori varia molto da paese a paese, passando da meno di uno a più di 15 ogni mille abitanti. Il consumo di droga per via endovenosa è per lo più legato al consumo di oppiacei. In media, il 45% di coloro che iniziano una terapia per il consumo di oppiacei come sostanza primaria riferiscono di iniettarsela, percentuale che scende all’8% per la cocaina. Nei paesi in cui i consumatori di anfetamine costituiscono il gruppo più ampio di consumatori di droga (Finlandia, Svezia, Repubblica Ceca, Slovacchia), a iniettarsela è una percentuale compresa fra il 41% e l’83%. Entrando più nel dettaglio, emerge che un terzo (33%) dei consumatori di droga che hanno iniziato una terapia (dati 2007) indica la via endovenosa come il metodo di somministrazione abituale della propria droga principale. La percentuale di consumatori che si inietta la droga principale, varia da meno del 2% nei Paesi Bassi al 93% in Lituania, con l’Italia che registra un dato poco superiore al 20% (mentre oltre il 40% degli italiani entrati in terapia ha smesso di bucarsi). Dentro alla carceri risulta invece che l’iniezione di stupefacenti riguarda una popolazione compresa tra l’1% e il 31% a seconda dei paesi, mentre fra il 6% e il 38% dei detenuti riferisce di non essersi mai iniettato droghe. Per quanto riguarda invece la diffusione di malattie infettive, risulta che negli Stati membri dell’UE, le percentuali riferite di casi diagnosticati di recente d’infezione da HIV fra i consumatori di droga per via parenterale, sono per lo più stabili e si attestano su livelli bassi, se non in calo. Situazione diversa nei vicini dell’Unione europea, dove l’aumento di casi di Hiv attribuiti all’uso di droga per via endovenosa indica alti livelli di trasmissione in corso. Infine, per quanto riguarda i consumatori che seguono trattamenti sostitutivi all’iniezione, si calcola (dati 2007) che il loro numero sia stato di circa 650.000, vale a dire circa il 40% del numero totale stimato di consumatori problematici di oppiacei, con un aumento di più di tre volte rispetto al 1995. Francia: detenuto cannibale condannato ad altri 30 anni per uccisione compagno di cella Adnkronos, 25 giugno 2010 È stato condannato ad altri 30 anni il detenuto cannibale Nicolas Cocaign, al termine del processo in Assise di Seine-Maritime, in Francia, per aver ucciso il suo compagno di cella Thierry Baudry nel carcere di Rouen, nel gennaio del 2007, e di averne mangiato un pezzetto di polmone. La difesa, chiedendone il ricovero psichiatrico, aveva puntato sull’incapacità di intendere e volere dell’uomo che ha ammesso di aver aperto il torace della sua vittima con una lama di rasoio per prendere quello che riteneva fosse il cuore, ma in realtà era il polmone. “Ha ucciso perché folle, completamente folle”, ha detto l’avvocato difensore di Cocaign, Fabien Picchiottino, rivolgendosi alla madre della vittima che era presente in aula e che, nella stessa prigione di Rouen, ha perso un altro figlio, morto suicida nel 1998. Ma Elisabeth Pelsez, la pubblica accusa che aveva chiesto l’ergastolo, ha ribattuto: “Un uomo che sprofonda nell’orrore non è necessariamente ammalato”.