Giustizia: le carceri scoppiano e nessuno ci bada… il ministro pensa a altro, il paese è distratto di Adriano Sansa (Magistrato) Famiglia Cristiana, 24 giugno 2010 Trentadue suicidi. Cinquantuno tentativi sventati. Molte morti per cause non accertate. Contusioni, ecchimosi, fratture risalenti a “cadute” assai frequenti anche tra i giovani. Assistenza sanitaria scadente. Promiscuità, mancanza di igiene, perfino di acqua e coperte. Questo avviene nelle prigioni italiane nel 2010. Succede anche che, per la scarsità dei mezzi e soprattutto del personale, a sua volta compresso e frustrato, si facciano traduzioni di detenuti in condizioni di disagio e con uso di manette che potrebbero essere evitate. Che fa il ministro della Giustizia di fronte a questa strage e a tanta sofferenza? Corre in Parlamento a spiegare perché il suo piano di rinnovamento carcerario sia tanto in ritardo? Sollecita Governo e opposizione a una “larga intesa” per difendere l’umanità e la Costituzione? No, nulla di tutto questo. Dedica anima e corpo, per mesi, a una legge che taglia le mani alla giustizia nella persecuzione dei criminali e mutila la libertà di stampa, diffondendo, insieme al presidente del Consiglio, notizie fantasiose sul numero delle intercettazioni. E che fa il Paese? Si indigna per la ferocia del carcere che così tradisce la sua funzione, esaspera invece di rieducare, fomenta sentimenti di ribellione e di odio che peseranno anche dopo la liberazione? No, non ci fa generalmente caso, guarda e aspetta. Che altri muoiano, siano presi dalia disperazione, vengano malamente curati. Salvo però ad alzare fieramente la voce quando un uomo facoltoso o famoso - cui spetta lo stesso trattamento - sia vittima di troppa durezza. Allora si levano i commentatori di illustri giornali, seguiti dal solito dibattito. Allora si scopre che i processi sono lenti e i detenuti in attesa di giudizio troppi; che la giustizia è senza mezzi adeguati, che i codici vanno modificati e snelliti. Si constata perfino che, in un sistema che potrebbe contenere al massimo 44 mila persone, se ne trovano accatastate 68 mila. Però, si riprende subito a parlare d’altro, a fare le leggi che compiacciono chi comanda. Quanti saranno a fine anno i suicidi? Chi domani sentirà la coscienza sporca per il prossimo morto? Giustizia: il Cpt in Italia, per verificare l’esistenza di problematiche legate alla gestione delle carceri Ansa, 24 giugno 2010 Il Comitato per la prevenzione della tortura (Cpt) del Consiglio d’Europa ha condotto dal 14 al 18 giugno scorsi una visita ad hoc in Italia per verificare, anche in seguito a quanto accaduto a Stefano Cucchi nell’ottobre 2009, l’esistenza di problematiche legate alla gestione delle carceri. Lo ha reso noto lo stesso Comitato. In particolare, il Cpt, a quanto si è appreso, ha esaminato la gestione dei servizi sanitari nelle prigioni dopo il passaggio di questa competenza al Servizio sanitario nazionale; le misure che sono state prese per ridurre il numero di suicidi e gli atti di autolesionismo che avvengono dietro le sbarre; i meccanismi esistenti per indagare sulle denuncie di maltrattamento sia di persone arrestate che detenute. Nel corso della visita la delegazione ha incontrato rappresentanti del ministero degli Esteri, dell’Interno, della Salute e della Giustizia oltre a rappresentanti dei Carabinieri e della Guardia di Finanza e di organizzazioni non governative. La delegazione ha inoltre visitato le prigioni di Castrogno (Teramo) e Mammagialla (Viterbo), l’unità sanitaria penitenziaria dell’ospedale Sandro Pertini di Roma, le celle nei tribunali della capitale, oltre alle stazioni dei carabinieri dei quartieri romani di Trionfale, Monte Mario e Ponte Milvio. Giustizia: decreto su riconoscimento sentenze in Ue; i detenuti comunitari sconteranno la pena a casa? di Marina Castellaneta Il Sole 24 Ore, 24 giugno 2010 Garantire la libera circolazione delle sentenze penali nell’Unione europea e consentire l’esecuzione della pena nello Stato in cui il condannato ha maggiori legami. Ma anche un modo per svuotare le carceri italiane e favorire la direzione verso casa di una parte dei condannati stranieri detenuti in Italia: se questi sono cittadini di un paese Ue, il trasferimento nella nazione di appartenenza è obbligatorio. Sono questi gli obiettivi ai quali punta il decreto legislativo in discussione nel Consiglio dei ministri di oggi che dovrà recepire la decisione quadro 2008/909/Gai del 27 novembre 2008. L’Italia dovrebbe riuscire a rispettare il termine di recepimento del 5 dicembre 2011. Messa in cantiere già con la comunitaria 2008, l’attuazione con il decreto legislativo in discussione oggi tiene conto delle modifiche introdotte con l’articolo 55 della comunitaria 2009. Che amplia l’ambito di applicazione della decisione quadro e prevede il sistema del riconoscimento delle sentenze di altri Stati membri anche quando non sono definitive. Con la messa a punto del decreto legislativo per le sentenze penali di altri Stati Ue si applicherà un sistema di riconoscimento analogo a quello del mandato di arresto europeo, con formalità burocratiche ridotte all’osso e con sostanziali modifiche rispetto all’articolo 730 del Codice di procedura pe-nale. Lo Stato di emissione trasmetterà la sentenza o una copia autentica, con qualsiasi mezzo, direttamente alle autorità dello Stato di esecuzione, allegando il certificato annesso alla decisione quadro (modificato dalla 2009/299/Gai). L’Italia sarà tenuta a riconoscere la sentenza, anche se potrà invocare alcuni motivi di rifiuto. Si tratta dei casi in cui la legislazione interna prevede un’immunità che rende impossibile l’esecuzione della pena, se si verifica un contrasto con il principio del ne bis in idem, se la pena è irrogata nello Stato di emissione nei confronti di una persona che non può essere considerata, per l’età, penalmente responsabile in Italia. Le autorità nazionali potranno anche verificare l’applicazione del principio della doppia incriminabilità tranne per alcuni reati, analoghi a quelli già previsti nella decisione sul mandato di arresto europeo. Avvenuto il trasferimento, l’applicazione della pena è regolamentata dallo Stato di esecuzione, anche sotto il profilo della libertà anticipata, mentre il Paese di emissione mantiene una competenza esclusiva per la revisione della sentenza. Giustizia: manovra finanziaria; tagli a sanità ed enti locali ostacolano riforma della sanità penitenziaria di Dina Galano Terra, 24 giugno 2010 Un convegno a Roma fa il punto sulla riforma della sanità penitenziaria. Al problema di un’attuazione mancata, si aggiunge lo spettro dei tagli al settore pubblico. L’imperativo ora è “correggere la finanziaria”. Come reagire se verrà approvata questa manovra?” sembrano chiedersi i membri del Forum per il diritto alla salute delle persone private della libertà. Nel convegno organizzato ieri a Roma insieme all’Istituto nazionale salute, migrazioni e povertà (Inmp) ci si è trovati a fare i conti con le poche, centellinate risorse a disposizione. Che “i casi di malasanità sono sempre più frequenti in carcere”, come avverte la presidente del Forum Leda Colombini, è una verità che rischia di superare il punto di non ritorno: i tagli a sanità ed enti locali contenuti nella manovra finanziaria, sottolineano tutti i partecipanti all’assemblea, minacciano le già compromesse attività di prevenzione e cura della salute di chi è detenuto. E quando a prendere la parola è il ministro Ferruccio Fazio dal pubblico si alza un vocio di dissenso. “La manovra non tocca la sanità”, ha affermato il ministro della Salute pubblica, “il blocco dei contratti e del turnover - ha precisato - riguarda tutto il pubblico impiego mentre per i precari stiamo tentando di contenere il taglio al 50 per cento”. Cresce il disappunto in sala e non è più contenibile. “La riduzione del 50 per cento dei dipendenti con contratti precari trasferiti dal 2008 al ministero della Salute - ha risposto Rossetti della Cgil - significa licenziare circa 2.500 tra medici, infermieri, personale di assistenza. Ed è già prevista in manovra”. Complessivamente, dei 550mila lavoratori (medici esclusi) impiegati nella sanità pubblica, si perderanno tra le 100 e le 150mila unità nel prossimo triennio ( fonte il Sole 24 ore). Difficile credere che non si abbiano ripercussioni nell’ambito penitenziario la cui situazione di emergenza deriva non soltanto dalla carenza di personale, ma dalla sostanziale inattuazione della riforma che, nel 2008, ha trasferito le competenze in materia di sanità penitenziaria dal ministero della Giustizia a quello della Salute. Le Regioni e le aziende hanno anticipato quelle risorse che per “crisi di liquidità” non sono state trasferite. Oltre a “correggere la manovra”, la deputata del Pd Livia Turco, che ieri ha ricevuto la nomina a presidente del Forum, ha indicato precisi obiettivi: “Spingere per l’approvazione dei livelli di assistenza aggiuntivi per le persone detenute, coinvolgere direttamente Regioni e Comuni nei processi decisionali e, in via d’urgenza, prevenire il sovraffollamento cambiando quelle leggi, come la Fini-Giovanardi sulle droghe e il testo sull’immigrazione, che hanno riempito le carceri delle categorie più svantaggiate”. Se “qualcosa si può fare”, alcune Regioni poi sono rimaste più indietro di altre. Quelle a statuto speciale, ha ricordato il professor Di Bianchi, in rappresentanza della Conferenza delle Regioni, “hanno recepito il decreto del 2008 con un anno di ritardo, perciò sono ancora gestite dal ministero della Giustizia”. E, proprio alla Sicilia, il ministro Fazio ha inviato una lettera per intimare l’adeguamento. Ma mancano gli interlocutori e i partecipanti al forum - spesso semplici operatori, psicologi e assistenti sociali - sanno bene che fin troppo è lasciato alla buona volontà dei singoli”. Giustizia: cittadino argentino denuncia i Carabinieri di Lecco; mi hanno preso a calci e torturato di Caterina Pasolini La Repubblica, 24 giugno 2010 “Vengo dall’Argentina dove la mia generazione è stata massacrata. Qui pensavo di vivere in un paese civile. Invece mi sono ritrovato ammanettato, preso a calci e pugni in testa dai carabinieri, trascinato sull’asfalto, torturato e sbattuto contro i muri della caserma senza poter vedere un medico. Insultato, con i militari che mi puntavano la pistola addosso. E ancora non so perché”. Isidro Luciano Diaz ha 41 anni, dei quali 23 vissuti in Italia dove, nel lecchese, gestisce l’allevamento di cavalli “Dal Gaucho”. Da quando il 5 aprile dell’anno scorso è stato fermato dai carabinieri vicino a Voghera, è stato operato agli occhi 6 volte per distacco della retina e ha i timpani perforati. Ferite “compatibili” col suo racconto da incubo, scrive il medico legale nella relazione che riporta alla memoria le vicende di Federico Aldrovandi, di Giuseppe Uva, Stefano Cucchi. Di giovani morti dopo essere stati malmenati da uomini in divisa, entrati vivi in caserma o in carcere e mai usciti, tragedie di cui si è occupato lo stesso studio legale, Anselmo di Ferrara, che ora difende Diaz. “Una storia assurda. Qualunque sia l’imputazione uno deve avere tutte le garanzie, pena la rinuncia dello Stato ad essere uno stato di diritto, perché la legittimità giuridica e morale dello stato è affidata alla capacità di garantire l’incolumità delle persone affidategli”, dice sociologo Luigi Manconi che con il suo lavoro come sottosegretario alla Giustizia e poi come presidente dell’associazione A Buon diritto ha avuto una parte importante nel far emergere tutte queste vicende. Una storia inquietante, quella raccontata da Diaz, che rischia di finire nel nulla perché la sua denuncia contro i carabinieri è a pochi passi dall’archiviazione nonostante agli atti ci sia il riconoscimento fotografico da parte dell’argentino dei militari che l’hanno aggredito. Il giudice dovrà decidere in questi giorni. Diaz, infatti, condannato a un anno poi commutato in due di libertà controllata per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni (8 giorni di prognosi ai militari), solo dopo aver patteggiato la pena ha presentato la denuncia per percosse, allegando le immagini del suo volto stravolto dalle botte, della schiena martoriata. Ma andiamo con ordine. Il 5 aprile di ritorno da una gara di monta di vitelli mentre è alla guida della sua Mercedes, un suv nero, Diaz viene fermato dai carabinieri sulla Torino-Piacenza. Al termine di un lungo inseguimento a folle velocità, scrivono i militari. Senza motivo, ribatte l’argentino. “Vedo che hanno le pistole in pugno, ho in macchina il coltello che mi serve per i cavalli glielo mostro per consegnarglielo. Mi sono addosso, mi ammanettano e poi calci e pugni in testa, mi trascinano sull’asfalto”. Portato in caserma continua il pestaggio, “mi trattavano come un pallone, buttandomi contro il muro. Mi dicevano: devi morire. Provo a chiamare un amico, mi strappano il cellulare. Alla fine ho firmato qualsiasi carta anche perché non mi chiamavano un medico”. Giustizia: negata la libertà condizionale a Renato Vallanzasca, istanza dichiarata “inammissibile” Apcom, 24 giugno 2010 I giudici del tribunale di sorveglianza di Milano hanno dichiarato inammissibile l’istanza presentata da Renato Vallanzasca, l’ex capo della “mala” milanese, che ha chiesto di essere ammesso alla liberazione condizionale, ossia di scontare la pena fuori dal carcere, in libertà vigilata. “C’è stato un intoppo burocratico che ha bloccato tutto” ha spiegato il legale di Vallanzasca, l’avvocato Alessandro Bonalume, aggiungendo che i giudici hanno decretato l’inammissibilità dell’istanza per “un vizio procedurale, una cosa che mancava e di cui non c’eravamo accorti”. Vallanzasca, condannato a 4 ergastoli e a 260 anni di carcere, detenuto da circa 40 anni inframmezzati da alcune evasioni, era presente all’udienza ed è uscito dall’aula visibilmente adirato. “Ripresenteremo la nostra istanza - ha chiarito l’avvocato - perché possiamo farlo e siamo convinti che nel merito siamo nel giusto, perché Vallanzasca è la dimostrazione che la detenzione funziona e un cambiamento c’è stato”. In brevissimo tempo, ha concluso il legale, “faremo una nuova istanza e così verrà fissata una nuova udienza”. Lettere: viviamo in tre persone in uno spazio di 7 mq e usufruiamo di 3 ore “d’aria” al giorno di Stefano Anastasia Terra, 24 giugno 2010 “L’ottanta per cento di noi è imputato …, e viviamo stipati in tre persone in uno spazio di 7 metri quadrati (tre persone, non una!), e usufruiamo di 3 ore “d’aria” al giorno, dentro una vasca di cemento e acciaio …. Precisiamo: nei 7 metri quadrati c’è il posto occupato da tre brande, dal water, dagli armadietti, dal lavandino, da un minitavolino con relativi sgabelli e dagli oggetti personali - pertanto lo spazio calpestabile si riduce a meno di 2 metri quadrati per tre persone, per 24 ore di fila. Questa non è una formula chimica, è la nostra vita che se ne va”. Così scrivono i detenuti del carcere di Vicenza al loro magistrato di sorveglianza, al Comune e al Vescovo della città, alla stessa direzione dell’Istituto dove sono ristretti. Sperano in qualche intervento istituzionale. A modo loro, credono nel principio di legalità: quello secondo cui, essendo accusati - più spesso che condannati - di aver commesso un reato, sono costretti in carcere; quello secondo cui spetta loro un trattamento umano e dignitoso, che non aggiunga nulla alla già penosa condizione della privazione della libertà. Non sappiamo se i detenuti di Vicenza hanno avuto già una risposta dalle autorità interpellate. Certo non le avranno dal Parlamento, ormai aggrovigliato su stesso, a discutere di una proposta di legge inutile, che - forse - potrebbe dare più speditamente la detenzione domiciliare a qualche centinaia di persone. Si parla di una platea di potenziali beneficiari ridotta ormai a circa 2000 persone, su una eccedenza di presenze che è circa quindici volte tanto. Ciliegina senza torta, muove i primi passi la nuova legge sulle detenute madri: qualche ulteriore agevolazione normativa per mamme e bambini, ma senza il becco d’un quattrino per mettere su le case-famiglia che l’Amministrazione penitenziaria e i tartassati enti locali dovrebbero allestire per loro. Ancora una volta ha vinto la Lega, che ha fatto della incarcerazione di massa la chiave del suo successo elettorale nel nord impaurito e incattivito. La patata bollente resta nelle mani del Ministro della Giustizia, incapace di farsi valere nella compagine governativa e responsabile politicamente del prossimo collasso delle carceri italiane. Finisce così, per chi una volta ci ha creduto, il mito del partito liberale di massa: se alle prime prove (il decreto Biondi, chi se lo ricorda?) ne liberavano cento per salvarne uno, ora gli basta salvarne uno (magari facendolo ministro e garantendogli il “legittimo impedimento” dal processo) e che gli altri restino in galera! P.S.: scrivono anche altro i detenuti di Vicenza, riservatamente; ma sono fatti che spetterà alla Procura della Repubblica accertare. Lazio: Peduzzi (Federazione della Sinistra); il carcere di Regina Coeli è al collasso Asca, 24 giugno 2010 “Il carcere di Regina Coeli è al collasso, la situazione è ormai al limite sia in termini di sovraffollamento, sia per quanto riguarda la carenza d’organico.” È quanto afferma il capogruppo della Federazione della Sinistra alla Regione Lazio, Ivano Peduzzi, al termine del sopralluogo effettuato stamane nell’ambito della campagna “Le carceri sono fuori legge”, promossa dalle associazioni Antigone e A Buon Diritto e dal settimanale Carta. “A fronte di una capienza regolamentare di 640 unità, questa mattina a Regina Celi erano presenti 1.073 di detenuti: ben 73 persone in più rispetto ai dati forniti ieri dal Garante dei detenuti e aggiornati solo al 15 giugno scorso”, ha detto Peduzzi all’uscita dal carcere. “Un ritmo di crescita a dir poco preoccupante - ha continuato - che non sembra rallentare e che lancia allarmi inquietanti per quel che riguarda le condizioni di vita dei reclusi, stipati in celle da quattro o addirittura sei posti letto, invece dei due, al massimo tre previsti”. “La carenza d’organico, poi, - ha aggiunto Peduzzi - rende tutto più difficile: mancano infatti le guardie carcerarie preposte al controllo, i mediatori culturali e gli assistenti sociali”. “Per una settimana - ha concluso il consigliere - la Federazione della Sinistra visiterà almeno altre dieci carceri in tutta Italia, per raccogliere dati e dare il via a una vera e propria vertenza nei confronti delle istituzioni affinché siano rispettati i diritti delle persone detenute”. Al “nido” penitenziario di Rebibbia 12 persone in 30 metri quadrati Luigi Nieri, capogruppo di Sinistra Ecologia Libertà in Consiglio regionale, insieme al Presidente dell’Associazione Antigone Patrizio Gonnella si è recato in visita al carcere di Rebibbia femminile nell’ambito di una campagna promossa dalle associazioni Antigone e A buon diritto e dalla rivista Carta per la legalità nelle carceri. “Ad oggi sono 391 le detenute recluse nel carcere femminile di Rebibbia a fronte di una capienza regolamentare di 281 posti. Un tasso di affollamento di circa il 140% - racconta Luigi Nieri - Il grave sovraffollamento rende inaccettabili le condizioni di vita anche in questo istituto, fino a ieri immune a questo problema. Nella nostra visita abbiamo incontrato molti operatori consapevoli della situazione di drammatico sovraffollamento che sta colpendo l’istituto”. “Nei camerotti, ossia il reparto delle detenute in attesa di giudizio, abbiamo trovato sino a 6 persone in una stanza di 15-20 metri quadri, bagno compreso - prosegue Nieri. Si tratta di spazi ben al di sotto degli standard minimi previsti dalle leggi interne e internazionali. Ricordiamo che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che al di sotto di 3 metri quadri per detenuto si tratta di tortura. Le condizioni si fanno ancora più drammatiche nel reparto nido che ospita 19 mamme, di cui una incinta, con altrettanti bimbi. Qui abbiamo visto 12 persone, mamme e bambini, costrette a convivere giorno e notte in un camerone di meno di 30 metri quadri”. “Ho aderito con convinzione a questa iniziativa e invito tutti i consiglieri e i parlamentari a fare altrettanto. Dobbiamo essere dalla parte della legge e non di chi la viola. In questo caso a violarla è lo Stato - conclude Nieri”. Marche: domani una delegazione di Consiglieri regionali visiterà l’istituto penitenziario di Fermo Adnkronos, 24 giugno 2010 Una delegazione di consiglieri regionali delle Marche e parlamentari visiterà venerdì l’istituto penitenziario di Fermo. L’iniziativa è promossa dall’ufficio del Garante regionale dei diritti dei detenuti, Samuele Animali, e fa parte di una serie di attività che coinvolgono tutti gli istituti marchigiani, con visite, assemblee, occasioni di dibattito e iniziative di supporto al ruolo istituzionale dell’amministrazione penitenziaria. Hanno confermato la loro partecipazione, si legge in una nota, Remigio Ceroni (Pdl), Luca Marconi, assessore regionale ai Servizi sociali, i consiglieri regionali Rosalba Ortenzi (Pd), Massimo Binci (Sinistra, ecologia, libertà), Maura Malaspina (Udc), Graziella Cariaci (Pdl) e rappresentanti del Gruppo consiliare regionale dei Verdi. “Gli ingressi negli istituti penitenziari da parte dei rappresentanti eletti nelle Assemblee legislative - si legge in una nota - costituiscono uno strumento fondamentale non tanto e non solo per assicurare una forma di controllo ispettivo sulle condizioni delle persone ristrette, ma anche per garantire l’essenziale collegamento tra carcere e società civile. Solo se i luoghi di detenzione sono considerati parti integranti della nostra società possono adempiere al ruolo loro assegnato dalla Costituzione e svolgere efficacemente la loro funzione sociale”. La situazione dell’istituto di Fermo è particolarmente delicata anche per mancanze strutturali che riguardano l’ubicazione del carcere, la mancanza di spazi, la vetustà dell’edificio, la dotazione di personale. Una situazione che rischia di peggiorare se saranno confermati i tagli al Fondo aree sottoutilizzate che, per il mondo carcerario, potrebbe voler dire 7,4 milioni di euro in meno per il mantenimento, l’assistenza e la rieducazione dei detenuti. Bolzano: ergastolano semilibero si suicida impiccandosi in un bosco, temeva di dover tornare in carcere Alto Adige, 24 giugno 2010 Ai carabinieri aveva detto: “Non tornerò mai più in cella”. E così è stato. Thomas Göller si è ucciso nei boschi sopra Barbiano evitando così di essere nuovamente arrestato e sottratto al regime di semilibertà che godeva dal 2008 e dal quale però di recente aveva spesso “sgarrato”, tanto da spingere i magistrati a chiedere il suo nuovo arresto. Sarebbe tornato dietro le sbarre, dove aveva già passato 14 anni dal 1994 al 2008. Ma da oltre una settimana non dava notizie di sé. In paese la notizia del ritrovamento del rapinatore, condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’ex fidanzata Monika Mor avvenuto nel 1994, è arrivata già nella serata di lunedì. Ma senza particolare clamore: “Göller è stato in paese da bambino e poi da ragazzo - racconta il sindaco Alfons Klammsteiner - ma ormai non era considerato “uno del paese”: viveva a Bolzano, lavorava lì... E poi sono passati così tanti anni da quei tragici fatti. Qui vive ancora sua madre, non so dire se sia passato a salutarla prima di morire”. Il procuratore capo, Guido Rispoli, lo conosceva bene. Fu a lui che Göller durante la detenzione aveva scritto una lunga lettera con il suo memoriale cercando di guadagnare motivi di merito rivelando i particolari di una quindicina di rapine compiute diversi anni prima e che erano rimaste impunite. Già in quelle lettere, ha commentato ieri Rispoli, “Göller aveva rivelato una certa instabilità psichica. Era convinto di essere controllato in carcere giorno e notte tramite una microspia che riteneva gli fosse stata inserita nel dente”. Nel 2008 viene ammesso alla semilibertà. Doveva andare a dormire in un appartamento per detenuti in via di recupero e reinserimento in viale Venezia. Ultimamente però aveva sgarrato più volte ed era stato scoperto dai carabinieri. Il 17 giugno avrebbe dovuto far ritorno in carcere (era stato condannato all’ergastolo) per revoca del beneficio. “Qualche giorno prima - prosegue Rispoli - ai carabinieri aveva detto: non tornerò mai più in cella”. Probabilmente stava già meditando di farla finita. “Per lui l’impatto con la libertà dev’essere stato molto duro - prosegue Rispoli -. Recentemente era stato anche licenziato dal posto di lavoro che aveva trovato”. Il peso del suo passato è stato troppo elevato e, a quanto pare, in Alto Adige non aveva più nessuno di cui fidarsi. Nell’ambiente sudtirolese della sua zona nessuno voleva avere rapporti con lui: era sempre considerato l’assassino della convivente e l’isolamento è aumentato dopo la decisione di far condannare tutti i vecchi amici delle rapine. “Forse avrebbe dovuto trovare il coraggio di ricominciare una nuova vita lontano dall’Alto Adige, anche se qui si sentiva a casa...”. Per altro Rispoli - che lo aveva incontrato un mese fa nel bar di fronte alla caserma dei carabinieri “e mi sembrò di gradire l’incontro” - segnala come “preoccupante il fatto che disponesse di un’arma: per fortuna che non l’ha rivolta verso altri”. Chi in questi anni aveva pubblicamente criticato la concessione della semilibertà a Göller è Helmut Mor, il padre della ragazza uccisa. Lui non ha mai perdonato, si era rivolto a tutte le autorità “e ora che si è tolto la vita - dice - posso vivere serenamente. Con quell’uomo sempre in giro da queste parti avevo perso la pace. L’uomo che ha ucciso mia figlia, non poteva essere perdonato”. Gorizia: la Camera penale presenza un esposto-denuncia; la situazione del carcere è drammatica Messaggero Veneto, 24 giugno 2010 La Camera penale di Gorizia, presieduta dall’avvocato Riccardo Cattarini, ha inoltrato un esposto alla Procura per invocare un’indagine indirizzata a valutare le condizioni generali in cui versa la casa circondariale di via Barzellini, verificando “non solo se siano stati commessi reati, ma soprattutto se siano in atto situazioni di pericolo per l’utenza e il personale, che potrebbero dare atto a responsabilità anche colposa in caso di evento di danno”. Nel testo del documento si evidenzia “la drammatica situazione che vive il sistema penitenziario anche locale”, spiegando che l’intervento intende tutelare “i diritti dei detenuti, che sembrano subire una persistente lesione al diritto alla salute, alla sicurezza, all’incolumità e alla partecipazione ai programmi rieducativi secondo i canoni previsti dalla Costituzione”. La perdurante situazione di sovraffollamento finisce con il “minare e compromettere inesorabilmente le condizioni fisiche e psicofisiche dei detenuti, costretti a condividere spazi angusti, in un contesto che priva ciascuno della propria dignità, in violazione della legislazione speciale in materia di salute, igiene e distribuzione di alimenti”, si legge nel testo firmato dal presidente della Camera penale, che pone seri dubbi anche sulla sicurezza degli ambienti e degli impianti tecnologici: “Qualora venissero accertate le mancate corrispondenze alle normative vigenti, sembra indispensabile porsi il problema della legittimità della permanenza nella sede del personale di Polizia penitenziaria e dei detenuti”. Nel documento si chiede la verifica urgente dell’adeguatezza delle strutture sanitarie interne al carcere, della condizione di salute dei singoli detenuti, dello stato degli arredi (letti e materassi in particolare) e delle condizioni igieniche delle cucine e delle attrezzature. Altre richieste d’indagine riguardano il riscaldamento, l’impianto d’illuminazione (con riferimenti all’ingresso di luce naturale e alle luci d’emergenza), la possibilità di lavaggio degli indumenti, le modalità di svolgimento dell’ora d’aria e la qualità del cibo offerto dall’istituto penitenziario. Proprio l’altra sera, nel corso delle interrogazioni in consiglio comunale, l’esponente del Forum Andrea Bellavite aveva sollevato la questione delle condizioni in cui versano i detenuti ospitati dal carcere goriziano, invitando il sindaco Romoli a effettuare un sopralluogo nella casa circondariale. “È da verificare il trattamento sanitario dei detenuti, che non sono seguiti dall’Azienda sanitaria locale - ha detto Bellavite -. Sussiste un percorso tortuoso, con un unico medico a disposizione di tutti gli ospiti del carcere”. Immediata, in aula, la replica di Romoli: “L’ho visitato ai tempi in cui ero deputato e francamente ho ancora i brividi - ha ammesso il primo cittadino -. La struttura di via Barzellini non può e non dev’essere chiusa, perché rinunciarvi significherebbe perdere il tribunale. Il carcere va adeguato e ristrutturato”. Bologna: alla Dozza chiuso il “Polo d’accoglienza”, serviva per prevenire contagio di malattie infettive Dire, 24 giugno 2010 Al carcere bolognese della Dozza non c’è più il cosiddetto Polo d’accoglienza, cioè i locali nei quali venivano collocati per circa una settimana i “nuovi giunti” in modo da effettuare gli accertamenti sanitari ed evitare il diffondersi di “malattie infettive e diffusive particolarmente trasmissibili in ambienti coatti (tbc, scabbia, pediculosi)”. Una situazione già denunciata nelle scorse settimane dal Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, e confermata dall’ispezione che l’Ausl ha effettuato lo scorso 14 maggio. Gli esiti dell’ispezione li rende noti oggi la stessa Bruno, con una nota. “A fronte della capienza ricettiva della struttura di 483 persone risultano esserne presenti, alla data dell’ispezione, 1.143 - riferisce il Garante - di cui 1.067 uomini e 76 donne”. Se gli ispettori dell’Ausl hanno rilevato il “miglioramento delle condizioni igieniche generali dei cortili e delle aree esterne”, continua la nota, “permangono tuttavia importanti carenze strutturali”. In particolare si registra “la permanenza del disagio dei detenuti causato dal sovraffollamento, fenomeno che acquisito il carattere della stabilità - sottolinea Bruno - con una presenza di persone pressoché tripla rispetto alla capienza prevista, con celle di 10 metri quadrati di superficie, previste per un occupante, che vengono utilizzate da due o tre ospiti”. Questo, ribadisce il Garante, provoca un “sensibile peggioramento delle condizioni di vita e di privacy dei reclusi, unito all’insorgere di evidenti problematiche di carattere igienico derivanti dal deposito nel bagno degli alimenti del sopravvitto”, cioè quelli supplementari, che “vengono cotti con fornelli portatili a gas su superfici assai limitate e non adatte a tali preparazioni”. Venendo all’eliminazione “di fatto” del Polo di accoglienza, Bruno spiega che dall’ispezione risulta come i locali ad esso dedicati “non sono più sufficienti a garantire la permanenza dei nuovi arrivi, condividendo gli ambienti coloro che sono in attesa di screening e coloro che sono già stati sottoposti ad accertamenti”. Questo nonostante “gli operatori dell’Ausl, congiuntamente alla Direzione della casa circondariale - spiega la nota - abbiano individuato un ulteriore locale che ha favorito il contenimento della problematica”. Inoltre, anche la sezione infermeria “risulta essere colpita dal sovraffollamento tanto da essere ormai utilizzata come ambiente di reclusione - sottolinea Bruno - nel quale convivono detenuti che non hanno necessità di tipo sanitario”. L’ispezione, di conseguenza, ha rilevato la presenza di “materassi sfoderati appoggiati direttamente a terra”. Da qui la “notevole difficoltà per il personale sanitario dell’Ausl, che gestisce le funzioni sanitarie- continua la nota- ad erogare ai detenuti, allocati nella suddetta sezione, le prestazioni più specifiche di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione”. Il Garante ricorda di aver “da tempo ha evidenziato con preoccupazione le criticità segnalate dalla visita ispettiva dell’Ausl e, a fronte della oggettiva difficoltà della situazione - scrive Bruno - nonostante gli sforzi profusi dall’attuale Direzione, ritiene urgenti” diversi interventi: misure di “deflazione carceraria”, utilizzo “puntuale” delle misure alternative alla detenzione e “riduzione del ricorso alla custodia cautelare in carcere”. Non solo. Bruno, infatti, auspica “l’adozione di politiche di contingentamento degli ingressi” alla Dozza per contenere le presenze. Brescia: il carcere è sempre più in difficoltà; previsti al massimo 298 detenuti, ma ce ne sono 550 Brescia Oggi, 24 giugno 2010 Le porte della casa circondariale di Canton Mombello si sono aperte ieri per ospitare una seduta della Commissione Servizi alla persona e sanità (a cui si è aggregata anche la presidente del consiglio Simona Bordonali), che con la sua visita ha voluto accostarsi in modo diretto ai problemi che affliggono il carcere cittadino. Due ore di confronto con la direttrice di Canton Mombello, Maria Gabriella Lusi, il garante dei detenuti Mario Fappani (presenti anche educatori e rappresentanti degli agenti) prima di avviarsi alla visita vera e propria all’interno della struttura. Nel carcere, fra i più critici d’Italia, che accoglie 550 presenze (il 70 per cento stranieri), un numero di ospiti che va ben oltre i 206 posti ordinari previsti, estendibili fino a 298, il personale sta facendo più del possibile per innalzare il livello di vivibilità interna. Compito non facile se si considera che i 250 agenti in organico sono molto inferiori al necessario, perché ne mancano 134 per raggiungere il numero ottimale. “La politica non può tacere di fronte a queste criticità, continuo a rinnovare l’invito a parlamentari e consiglieri regionali perché visitino Canton Mombello - dice Fappani -. Il carcere è abitato da persone, e l’obiettivo della pena non dev’essere l’afflizione, ma la rieducazione”. “Dopo la visita effettuata qualche tempo fa a Verziano, il passaggio a Canton Mombello era necessario per completare la nostra conoscenza: abbiamo trovato nella direttrice e nel personale preparazione e impegno per rendere l’ambiente più accettabile, e fra i consiglieri si è creato da subito un clima condiviso, che servirà a tracciare un percorso bi-partisan”, spiega il presidente della Commissione Servizi alla persona e sanità, Giovanni Aliprandi. L’impegno del Comune, che pure non ha una competenza diretta sulla materia, sarà quello di valorizzare le iniziative all’interno del carcere, “piccoli passi che hanno un alto significato come interessamento della comunità: è già in atto un progetto per dotare le celle di piccoli frigo, stiamo pensando anche a modalità per far arrivare i giornali a Canton Mombello e per coinvolgere le imprese con commesse dirette ai laboratori di lavoro interni al carcere”, dice ancora il presidente. La direttrice Lusi si è impegnata a far avere alla Commissione un elenco di priorità che il Comune potrebbe sostenere per favorire la vivibilità del carcere, mentre a settembre ci sarà un nuovo incontro con i consiglieri per fare il punto della situazione. “Per primi come opposizione avevamo sollevato il problema sollecitando una visita un anno e mezzo fa - sottolinea Valter Muchetti del Pd -. Da parte nostra c’è la massima disponibilità a collaborare, crediamo che un Paese civile non possa permettersi di mantenere un carcere in queste condizioni, pur apprezzando la buona volontà del personale che cerca come può di rimediare alle carenze: siamo convinti che nelle pieghe del bilancio il Comune possa trovare delle risorse per Canton Mombello”. Anche Massimo Tacconi, consigliere della Lega e presidente della Commissione Commercio, ribadisce l’allineamento di intenti fra maggioranza e opposizione, evidenziando da un lato “il degrado strutturale spaventoso del carcere”, dall’altro “la grande efficienza e la voglia di mettersi in gioco del personale”. “Vorremmo far capire al mondo produttivo l’importanza del lavoro per chi è detenuto, e far conoscere gli sgravi fiscali disponibili se si collabora con le cooperative che operano in carcere”. Se ne parlerà lunedì in una seduta congiunta fra Servizi alla persona e Commercio. Avellino: cinque bambini in carcere senza colpa, 16 ore al giorno in cella con le mamme detenute di Elio Scribani La Repubblica, 24 giugno 2010 Anna, vestitino bianco e calzini rosa, è una bambina bellissima. Ha occhi tristi, però. I suoi primi nove mesi di vita li ha trascorsi quasi tutti in galera. Sua mamma, Luisana, 25 anni, etnia rom, madre di altri quattro figli, è stata arrestata quando la piccola aveva solo un mese. E da allora scontano insieme la pena. Una sola differenza: Luisana è colpevole, Anna è innocente. Come lei sono innocenti anche Elisabetta, che di mesi ne ha 15, Armando, due anni finiti a maggio, Ferdinando, che due anni non li ha ancora compiuti, e Barbara, che a luglio festeggerà il terzo compleanno. Angeli in un inferno. Sono i bambini prigionieri del carcere di Bellizzi Irpino, provincia di Avellino, l’ unico istituto in Campania dotato di un asilo nido e in grado di accogliere i figli delle detenute. Cinque bambini dietro le sbarre. A dirlo sembra già una follia, ma diventa uno strazio insopportabile vedere le loro piccole mani aggrapparsi ai ferri e i loro occhi cercare spazi tra le sbarre della galera. Non conoscono il mare. Non sanno che cosa sia correre su un vero prato. E non hanno mai giocato con un gattino o un cagnolino che non fossero di peluche. Luisana conferma. “Anna non ha mai visto il mare - dice - e non conosce un gattino o un cagnolino. È uscita dal carcere con la nonna una volta sola per una settimana, poi basta”. Che cosa le manca? Nulla di materiale, certo. Le manca la libertà. E le manca la famiglia. Luisana racconta. “Quando vengono a trovarla il padre e il fratellino - dice - Anna è contentissima, ma sta male quando se ne vanno. E, se saltano un colloquio, allora diventa timida con loro e quasi non li riconosce più”. Tempi moderni. È uno stereotipo ormai superato l’ immagine di Sofia Loren contrabbandiera napoletana che entra in carcere con i due figli più piccoli attaccati alla gonna. Era “Ieri, oggi e domani” di Vittorio De Sica. Un vecchio film, appunto. I bambini ospiti delle nostre carceri sono ormai quasi tutti figli di stranieri, e quasi sempre di etnia rom, ultimi fra gli ultimi nella nuova scala sociale della solitudine e dell’ emarginazione. È un dramma che si rinnova. Ed è un dramma dimenticato. In Italia sono complessivamente 59 (dato al 7 giugno) i bambini prigionieri distribuiti in 24 case di reclusione da Venezia a Sassari. Venti a Roma Rebibbia, nove a Milano San Vittore, 7 a Venezia Giudecca. Il dieci per cento del totale, però, si concentra in Campania, appunto nell’ istituto di Bellizzi Irpino, dove confluiscono i bambini dei campi rom disseminati sul nostro territorio. Un solo paese, una sola legge, un solo regolamento penitenziario. Nord e Sud, però, non sono la stessa cosa nemmeno in questo caso. I nove bambini di Milano San Vittore vivono, infatti, fuori del carcere con le loro mamme in una struttura protetta che nemmeno assomiglia a una prigione. Né sbarre né celle né divise. E si sentono a casa. Un progetto pilota, dicono. Nel Mezzogiorno, niente da fare. Solo chiavistelli e porte blindate. Un’ ingiustizia nell’ ingiustizia. Cristina Mallardo, la direttrice del carcere di Bellizzi Irpino, donna di grande sensibilità umana, smonta con un’ amara esperienza i luoghi comuni della presunta solidarietà meridionale. “Abbiamo provato anche noi - dice - a cercare alternative attraverso una convenzione con gli asili esterni, ma le famiglie del nostro territorio hanno rifiutato i bambini del carcere”. Un fallimento, dunque. E nemmeno l’ unico. “Abbiamo anche provato - aggiunge la direttrice - a chiedere l’ aiuto degli enti istituzionali, ma non abbiamo avuto riscontri”. Dentro, dunque. Orari di un carcere, sia pure mitigati dall’ affetto e dall’ impegno del personale. I bambini trascorrono 8 ore e mezza nell’ asilo nido e più di 15 in cella con la mamma. Ogni giorno. Che cosa può provocare il ritmo ossessivo del carcere nella mente e nel cuore di individui così piccoli e fragili? Nell’ attesa che qualcuno dei nostri parlamentari si preoccupi di cambiare le leggi e il destino di questi bambini, uomini e donne di Bellizzi Irpino si fanno in quattro per migliorare la vita dei loro ospiti innocenti. Pochi mezzi, tanta buona volontà. L’asilo nido del carcere non ha nulla da invidiare a una accogliente struttura privata. Due ambienti, uno esterno e uno interno, attrezzati con tutto quello che serve: culle, passeggini, seggioloni, pannolini, giochi di ogni tipo, piscina e casetta degli indiani su un finto prato verde. Le pareti sono completamente disegnate a mano. Una festa di immagini e di colori che fa bene al cuore. Nulla di burocratico, intendiamoci. Un atto d’ amore, piuttosto. È stata Michela, una delle sette puericultrici del nido, che, con l’ aiuto di agenti di polizia penitenziaria, tutti divenuti genitori e nonni adottivi, ha trasformato un brutto stanzone in un luogo di sogno ed è perfino riuscita a mascherare con peluche, tendine e cartoni animati adesivi l’ orrore delle sbarre alle finestre. Ma che effetto produce la presenza dei bambini sul comportamento delle detenute? Antonio Sgambati, comandante della polizia penitenziaria di Bellizzi Irpino, non ha dubbi. “È un effetto positivo - dice - perché le mamme si sentono più tranquille nel vedere i loro figli trattati bene e si comportano a loro volta meglio. Non ci sono problemi di gestione”. Entriamo in una cella. Liliana, 29 anni, altri sei figli a casa, origini serbe, è la mamma di Barbara. Vivono insieme in una stanzetta con bagno. Letto e culla affiancati. Il seggiolone accanto alla porta. Giocattoli dappertutto, ma anche foto e santini attaccati ai muri. Liliana deve scontare una pena lunghissima. Uscirà nel 2022. Eppure pensa al futuro. “Ho sbagliato - dice - ma per i miei figli ho tanti bei progetti, non devono vivere come me”. Barbara, intanto, vive a Bellizzi Irpino da due anni. Gli unici affetti che ha li ha trovati in carcere: gli altri quattro bambini, gli agenti, le detenute, gli impiegati e i dirigenti. Tra poco, però, li dovrà lasciare. A luglio, infatti, Barbara compirà tre anni e non potrà più restare in istituto. Il distacco sarà forse peggiore della detenzione. E la bambina lo vivrà con una pericolosa sensazione di abbandono. Addio alla mamma. Addio a tutti. È la legge. Dove andrà? “Barbara andrà con il padre - spiega Liliana - perché mia suocera è morta e mia madre non vive in Italia”. La bambina abiterà in un container di Secondigliano. E dovrà aspettare di avere compiuto 15 anni per rivedere la mamma libera. E se un bambino carcerato una famiglia proprio non ce l’ ha? È già successo. Ecco una storia. Lei si chiamava Jennifer, nigeriana, era entrata in carcere a sei mesi. Allegra e gioviale, in due anni e mezzo la piccola era diventata la mascotte di Bellizzi Irpino. E, quando, al terzo compleanno, venne il momento di lasciare il carcere, si scoprì che fuori non c’ era nessuno che potesse o volesse occuparsi di lei. Nessuno? Rita D’ Ippolito, oggi sovrintendente della polizia penitenziaria e responsabile del nido di Bellizzi Irpino, si fece avanti senza un attimo di esitazione. “La prendo io”, disse. Solidarietà, amore, passione, istinto materno. Rita era sposata e aveva due figlie grandi. Chiese e ottenne il permesso del giudice. Affidamento provvisorio. E Jennifer entrò in casa sua subito dopo aver spento le candeline in carcere. Ci rimase due anni, mentre la mamma della bambina restava in galera. Furono anni di serenità. Poi la mamma di Jennifer fu scarcerata. Riprese con sé la figlioletta e partirono insieme per l’ Africa. Un giorno di gioia e di dolore. “Quando ci salutammo - racconta Rita D’ Ippolito - mi sentivo come a un funerale. Volevo che Jennifer restasse con me per darle un avvenire. Ogni tanto ci sentiamo al telefono. Le auguro tanta felicità”. Rovereto (Tn): Sappe; manifestazione anarchici davanti al carcere, sintomatica di crescente tensione Ansa, 24 giugno 2010 “La manifestazione di gruppi anarchici davanti al carcere di Rovereto è sintomatica della crescente tensione nel sistema carcere del Paese. Nonostante non si siano registrati incidenti riteniamo sia il caso di tenere alta l’attenzione, intensificando le misure di sicurezza, al fine di garantire l’incolumità di quanti operano all’interno del carcere, ma anche dei cittadini”. Lo afferma Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) sulla manifestazione che ha visto protagonisti “un centinaio di persone per lo più appartenenti a gruppi anarchici”. “La manifestazione è iniziata con musica assordante e slogan contro il governo e l’Amministrazione Penitenziaria, il sovraffollamento e la sanità penitenziaria - afferma Capece -: questo ha determinato la reazione rumorosa della popolazione detenuta, che ha sbattuto per circa venti minuti piatti, pentole e quant’altro contro i cancelli e i blindati delle camere detentive. All¨esterno, alcuni manifestanti hanno imbrattato con bombolette spray di vernice il muro di cinta e poi hanno lanciato numerosi petardi all’interno del campo sportivo e del cortile passeggi detenuti. Alla vista del personale di Polizia Penitenziaria in servizio, per altro esiguo, le persone che lanciavano i petardi sono fuggite e alle ore 20,30 circa finalmente tornava la calma”. Il Sappe sottolinea come “le manifestazioni di intolleranza verso l’Istituzione penitenziaria sono purtroppo sempre più frequenti ed il crescente sovraffollamento non aiuta certo a rasserenare gli animi. A Rovereto al 31 maggio scorso avevamo un centinaio di detenuti presenti (il 60% circa dei quali stranieri) a fronte dei 51 posti letto regolamentari Chi paga nell’immediato e in prima persona lo scotto di questa criticità, con condizioni di lavoro particolarmente stressanti e pericolose, sono soprattutto gli Agenti di Polizia Penitenziaria che in carcere lavorano nella prima linea delle sezioni detentive 24 ore su 24 e che a Rovereto registrano ben 25 agenti in meno in organico”. Capece ricorda la polizia penitenziaria ha tra i propri compiti anche quello di garantire “oltre a quella interna, anche la sicurezza esterna delle strutture carcerarie con una attenta vigilanza ma con carenze di organico così evidenti (a livello nazionale mancano 6mila agenti) sono palese ed evidenti le nostre difficoltà”. Per questo propone chiarisce “di impiegare i militari per i servizi di vigilanza esterna degli istituti penitenziari”. Livorno: in corso procedure necessarie per l’istituzione e la nomina del Garante dei detenuti Il Tirreno, 24 giugno 2010 L’amministrazione comunale va avanti con le procedure necessarie per l’istituzione e la nomina del Garante delle persone private della libertà personale. La giunta comunale ha dato il via libera alla proposta di Regolamento, nel quale vengono definiti i requisiti e le modalità per la nomina di questa figura ed i profili operativi inerenti la sua attività nel Comune di Livorno. La proposta viene ora inviata al Consiglio comunale che, dopo il passaggio nella competente commissione consiliare, sarà chiamato ad approvare il Regolamento. Secondo la bozza di Regolamento sarà il sindaco a nominare il garante, scegliendolo fra persone d’indiscusso prestigio e di notoria fama nel campo delle scienze giuridiche, dei diritti umani, ovvero delle attività sociali negli Istituti di Prevenzione e Pena e nei Centri di Servizio Sociale. Il Garante rimarrà in carica per 5 anni e comunque non oltre il mandato del sindaco. Vasto (Ch): protesta agenti, contestano la gestione del personale da parte della direzione Agi, 24 giugno 2010 Protestano, a Vasto (Chieti), gli agenti della Polizia Penitenziaria in servizio al carcere di località Torre Sinello. In una nota sei sigle sindacali (Osapp, Uil, Cisl Fns, Sinappe, Ugl e Cnpp) contestano la gestione del personale da parte della direzione. “Ci ha reso noto - si legge in un documento congiunto - che alle condizioni attuali, se da un lato sarà garantito il congedo estivo, dall’altro, quando l’agente non sarà in ferie, non potrà fruire dei previsti riposi settimanali”. Nelle loro critiche, le sigle di categoria puntano il dito anche sul Provveditorato regionale che “da mesi, con le sue direttive, contribuisce a questo stato di cose”. Chieti: borsa lavoro dell’Università a un detenuto, per un tirocinio formativo di sei mesi Il Centro, 24 giugno 2010 Borsa lavoro dell’Università D’Annunzio di Chieti-Pescara per un tirocinio formativo di sei mesi a un detenuto del carcere chietino. Quest’ultimo lavorerà tutti i giorni nella redazione della rivista edita dall’associazione onlus “Voci di Dentro”, a Chieti. “Se l’università ha il compito di costruire il futuro del paese e dei giovani attraverso formazione e ricerca”, ha detto il direttore generale dell’ateneo Marco Napoleone, “l’università ha anche la possibilità di ricostruire il futuro di qualcuno che aveva spezzato il suo ritmo di vita”. L’iniziativa è stata presentata ieri mattina nell’aula multimediale del rettorato dell’università dalla direttrice della Casa Circondariale di Chieti Giuseppina Ruggero, dal presidente di “Voci di Dentro” Francesco Lo Piccolo. Nel corso della conferenza stampa sì anche ricordato che l’associazione ha una quarantina di soci, che sono attivi presso la sede di Chieti due corsi, uno di giornalismo e un secondo di cinese, e che a settembre prossimo partirà un corso di musica. L’associazione “Voci di Dentro” e la rivista sono sostenute da contributi dell’Arpa, della Fondazione Carichieti, della Camera di Commercio, della Caritas, della Walter Tosto. Roma: detenuto in isolamento chiede al Magistrato di Sorveglianza per poter vedere partite di calcio Ansa, 24 giugno 2010 Dev’essere dura vedere una partita dell’Italia in una cella da soli, senza nessuno con cui esultare o da abbracciare in caso di goal. O, peggio ancora, sarebbe non vederla per niente. Questo deve aver pensato Bruno C. 54 anni, originario di Trapani, attualmente detenuto in regime di isolamento nel carcere romano di Regina Coeli e in attesa di giudizio con l’accusa di omicidio, quando ha deciso di presentare un’istanza al Magistrato di Sorveglianza di Roma per ottenere la revoca parziale dell’isolamento per il tempo strettamente necessario a seguire, con gli altri detenuti, le partite dell’Italia ai Mondiali 2010. Nell’atto, patrocinato dagli avvocati Anna Orecchioni e Giacinto Canzona difensori dell’uomo, si legge di come la sanzione penale oltre ad avere una funzione deterrente e punitiva riveste anche una importante funzione rieducativa. “Il sano spirito di appartenenza nazionale che si manifesta in ognuno in occasione di eventi sportivi di particolare rilevanza, come i Mondiali di calcio - si legge nella richiesta al Tribunale di Sorveglianza di Roma - rappresenta anche, e forse soprattutto per i soggetti che in passato hanno violato l’ordinamento giuridico e che quindi soggiacciono alla sanzione penale più dura, il carcere, un collagene importante per ristabilire un legame morale ed etico con il tessuto sociale del proprio paese di appartenenza”. In sostanza, sembra voler intendere il detenuto, nella sua richiesta, “la possibile socializzazione con gli altri detenuti, inoltre, in un momento di aggregazione sociale e nazionale che si manifesta nel condividere la propria fede e passione sportiva con altri compagni, non rischia di ledere in alcun modo le ragioni di sicurezza sottese al regime carcerario particolarmente restrittivo”. Bologna: appello dell’Associazione “Gruppo Elettrogeno”, perché l’esperienza in carcere possa continuare La Repubblica, 24 giugno 2010 Concerto per gruppo misto di musicisti e attori detenuti e non detenuti dal titolo Spoon River live: è lo spettacolo tenuto ieri alla Casa Circondariale della Dozza. L’Associazione Gruppo Elettrogeno che lo presenta ha lanciato in concomitanza un appello pubblico perché il suo impegno artistico alla Dozza sta per finire essendo scaduta la convenzione con il Comune e quello di ieri rischia di essere l’ultimo spettacolo. Ecco alcune parti dell’appello: Dal 2006 la nostra associazione Gruppo Elettrogeno realizza annualmente il Progetto Parole Comuni, laboratori di musica, teatro e video nella Casa Circondariale di Bologna, rivolto alle persone in stato di detenzione della Sezione Penale Maschile e della Sezione Femminile e, dal 2008, della Sezione Giudiziaria. Tutto ciò in collaborazione con l’Amministrazione della Casa Circondariale di Bologna e in convenzione, fino al 31 gennaio 2009, con il Comune di Bologna. In questi anni ci siamo concessi di sperare: tante idee sono fiorite e le molte di esse già realizzate ci hanno portato a lavorare su una progettualità che si è estesa al prossimo triennio di attività, ma... Ma accade che in ragione di fondi pubblici sempre più scarsi e di complessi passaggi di competenze tra istituzioni da ormai più di un anno la convenzione con il Comune di Bologna è stata interrotta e non più rinnovata. Dopo la fine della convenzione abbiamo deciso di continuare il nostro lavoro dentro al carcere a titolo gratuito, come segno di resistenza, nell’attesa di sbloccare la situazione. Ma ora la nostra ostinazione sta per condurci al capolinea: sebbene da un anno resistiamo in queste condizioni ci rendiamo conto di essere agli sgoccioli, quando mancano i fondi minimi, non diciamo per poter rendere remunerato il tempo che si investe e dare un senso professionale alla propria azione, ma nemmeno per pagare un service o quant’altro possa rendere possibile uno spettacolo dentro al carcere, dal materiale tecnico necessario fino alle semplici fotocopie. Allora ci si rende conto che, esaurite le ultime risorse, “vivere alla giornata” senza un minimo spazio economico di progetto, significherà non poter più offrire a chi vive la detenzione uno spazio di emancipazione dai ristretti orizzonti della routine carceraria... Stiamo chiedendo a numerosi artisti e realtà attive nella provincia di Bologna e non solo una testimonianza di solidarietà tramite la sottoscrizione di questo documento. Vi ringraziamo fin da ora! Seguono le firme di decine di artisti e gruppi culturali a sostegno dell’appello. Droghe: consumi in calo? ma l’entusiasmo è comunque fuori luogo, i servizi sono in ginocchio www.unimondo.org, 24 giugno 2010 Il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca) giudica “sorprendenti” i dati contenuti nella Relazione annuale al Parlamento 2010 sull’uso di sostanze stupefacenti e sulle tossicodipendenze, presentati ieri dal Governo. “I dati della Relazione annuale - ha dichiarato Lucio Babolin, presidente del Cnca, lasciano esterrefatti noi come la gran parte degli operatori del settore. Non ci risulta una decrescita dei consumi così rilevante e in tempi così rapidi. È chiaro, tuttavia, che se anche questa discesa ci fosse stata, non sarebbe certo merito del Governo. Solo in queste settimane sono stati assegnati dal Dipartimento Nazionale per le Politiche Antidroga i finanziamenti per i progetti di intervento nel campo delle tossicodipendenze, a due anni dall’insediamento. Il merito sarebbe piuttosto delle migliaia di operatori, pubblici e del privato sociale che da anni si impegnano con competenza e passione per aiutare le persone tossicodipendenti”. “Non vorremmo poi - continua Babolin - che questi dati, presentati in modo trionfalistico, venissero usati come alibi per continuare a non investire nel sistema dei servizi, che resta invece in ginocchio: l’Intesa Stato/Regioni è ancora inattuata, i Dipartimenti per le dipendenze non sono stati istituiti in molte parti del paese, le rette per le comunità restano bassissime e i soldi arrivano con ritardi insostenibili, i servizi pubblici soffrono forti carenze d’organico. E i tagli previsti in Finanziaria potrebbero aggravare ulteriormente la situazione. Altro che “non c’è problema”. Per questo ci preoccupano - conclude Babolin - le dichiarazioni rilasciate in merito dal Presidente del Consiglio che, dopo essersi rallegrato per i dati della Relazione, ha affermato che allora si possono liberare risorse da investire altrove. È questo che dobbiamo aspettarci? Ancora meno fondi di oggi?”. Una critica, quella sui dati forniti dal Governo, condivisa anche da altri operatori. Secondo Leopoldo Grosso del Gruppo Abele “nei centri le richieste di aiuto sono in aumento” e anche Fausto D’Egidio, segretario nazionale di Federserd e direttore del Sert di Pescara, afferma di “non aver constatato diminuzioni delle richieste di cura. Noi abbiamo circa 650 persone in carico e siamo sommersi dalle richieste”. Per Achille Saletti, leader di Saman che gestisce una decina di comunità, i dati “non quadrano”: “Le crisi di solito fanno aumentare i consumi”. Rosa Ana de Santis su “Altrenotizie” si chiede se i numeri forniti dal Sottosegretario Giovanardi non siano “drogati”. “Dal 2008 al 2009, il numero dei consumatori di droghe è sceso drasticamente, del 25,7%. Da 4 milioni del 2008 ai 2.924.500 del 2009”. “Le cause di questo calo, il cui calcolo matematico sembra quanto meno azzardato, - riporta la giornalista - starebbero nella politica di prevenzione, nella diffusione dei drug test ai lavoratori (non ai parlamentari per carità), e nella crisi economica generale. Ma è proprio questo picco verso il basso che non sembra corrispondere ai dati reali, all’esperienza e alle testimonianze delle comunità e dei Sert. Non a caso si è levata da più parti la richiesta di conoscere il metodo d’indagine e di rilevamento statistico con i quali il rapporto è stato confezionato”. Secondo la “Relazione annuale al Parlamento sull’uso di sostanze stupefacenti e sullo stato delle tossicodipendenze in Italia” del Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri presentata ieri dal Sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi, e dal Capo dipartimento Giovanni Serpelloni, le indagini mostrerebbero “un calo generalizzato dei consumi con la sola “resistenza” degli stimolanti nella popolazione studentesca, dove si è registrato un aumento della prevalenza passando dal 2,8% del 2008 al 3,1% del 2009”. Secondo il Sottosegretario Giovanardi “i motivi dell’inversione di tendenza nei consumi sono molteplici. Hanno contribuito tutte le azioni di prevenzione messe in atto sia a livello centrale che regionale, oltre alle nuove regole per il controllo, dai drug test per i lavoratori a rischio e per avere la patente ai test su strada e sicuramente la crisi economica, che ha ridotto gli acquisti di droga soprattutto per quei consumatori occasionali dello “sballo del fine settimana”. Un nuovo preoccupante fenomeno si sta affacciando: “Negli ultimi anni - rileva il documento, si sta registrando uno spostamento sempre più marcato dell’offerta e della commercializzazione di sostanze illecite via Internet. Ci sono farmacie online che vendono farmaci e sostanze di ogni genere senza richiedere alcuna prescrizione medica, e online drugstore dove è possibile acquistare facilmente sostanze vietate. Accanto a questo, poi, si sono sviluppati blog, forum, chatroom, social network dedicati alla discussione sulle varie droghe. Gli utenti si scambiano così informazioni, consigli e “istruzioni per l’uso” molto rapidamente”. Germania: Governo pensa a introdurre sistemi di sorveglianza elettronica per i criminali pericolosi Ansa, 24 giugno 2010 Il governo tedesco si prepara a varare una riforma della custodia cautelare che avrà come elemento principale l’introduzione di sistemi di sorveglianza elettronica per i criminali pericolosi. Secondo quanto ha annunciato oggi la ministra della Giustizia tedesca, Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, il nuovo sistema si è reso necessario in seguito alla bocciatura della custodia cautelare illimitata da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo lo scorso maggio. Secondo una legge tedesca del 1998, infatti, un giudice può decidere di prolungare a tempo indefinito la detenzione preventiva. Tuttavia, la Corte ha stabilito che questa pratica viola i diritti umani dei detenuti. Oggi, ha spiegato il portavoce del governo, è stato presentato al Consiglio dei ministri un documento con i punti principali dell’attesa riforma, che prevede l’uso di cavigliere elettroniche. Secondo la Leutheusser-Schnarrenberger, in seguito alla decisione di Strasburgo, “tra 70 e 80 persone” dovranno essere rimesse in libertà e con la prevista riforma questi detenuti verrebbero sorvegliati elettronicamente. India: italiano in carcere con l’accusa di omicidio, la famiglia scrive al Presidente Napolitano Ansa, 24 giugno 2010 Ha deciso di rivolgersi al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano affinché l’azione dell’ambasciata italiana diventi più incisiva Euro Bruno, il padre di Tomaso, il cameriere di Albenga da febbraio in carcere in India con l’amica Elisabetta Boncompagni, accusati di aver ucciso un loro compagno di viaggio. “Sono assolutamente convinto che mio figlio è innocente e per questo motivo chiediamo che lo Stato assista la nostra famiglia in questa battaglia giudiziaria” ha spiegato Euro Bruno. Il processo ai due ragazzi italiani nel frattempo previsto nei giorni scorsi è stato aggiornato al 29 giugno perché il giudice era in ferie. La notizia dell’ennesimo rinvio dà ora maggior forza alla mobilitazione degli amici di Tomaso. Si confermano i due appuntamenti che Carlo Geddo e gli altri amici e coetanei del giovane detenuto a Varanasi hanno stabilito per due manifestazioni, la prima ad Albenga, mercoledì, e la seconda ad Alassio, sabato 10 luglio. Scopo delle iniziative è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica locale e di sostenere anche finanziariamente la famiglia di Tomaso.