Giustizia: superati i 68mila detenuti, il numero più alto dell’intera storia carceraria nazionale Il Velino, 23 giugno 2010 “Oggi, i detenuti nelle galere italiane hanno raggiunto il numero più alto dell’intera storia carceraria nazionale. Sono 68.021. Ciò mentre il piano-carceri annunciato 11 volte nel corso di 24 mesi dal ministro della Giustizia si rivela una tragica beffa. Non un metro di spazio in più per i detenuti, non un solo servizio più decoroso, non l’assunzione di un solo poliziotto penitenziario e di un solo psicologo. E ciò mentre dal primo gennaio 2010 a oggi il numero dei suicidi ha raggiunto quota 30: in carcere ci si ammazza venti volte più di quanto ci si tolga la vita fuori dal carcere”. Lo ha dichiarato Luigi Manconi, presidente di A Buon Diritto. Giustizia: la manovra economica “taglia” 7,4 milioni a mantenimento e rieducazione dei detenuti Apcom, 23 giugno 2010 Il taglio ai fondi Fas previsto in manovra, nel 2011, ammonta a quasi 900 milioni di euro. Lo si legge nella tabella sui tagli lineari ai ministeri consegnata oggi in commissione Bilancio dal sottosegretario all’Economia, Luigi Casero. Nella tabella, alla voce ministero dello Sviluppo economico, si legge che nel 2011 la riduzione della dotazione finanziaria del Fas ammonta a 897.079.644, nel 2012 di 459.723.950, nel 2013 la riduzione è di oltre 1 miliardo di euro. Nella lista dei tagli, in testa per sacrifici nel 2011, ci sono poi: le politiche economico finanziarie e di bilancio del ministero del Tesoro con 159.908.003 euro di riduzione; l’istruzione, università e ricerca scientifica con 104.245.378 euro; pesanti anche le riduzioni di stanziamenti per la cultura che deve subire un taglio di oltre 58 milioni di euro. Tra le “vittime” del capitolo “Istruzione”, ci sono per esempio 875.298 euro tolti alle spese per l’educazione stradale; 20.452 euro di meno in Puglia per i corsi scolastici di lingua a favore dei cittadini extracomunitari e un taglio di 10.410 euro in Campania per le spese per gli handicappati. Il ministero della Giustizia invece subisce una riduzione di ben 18.592.537 euro sul programma sull’amministrazione penitenziaria, di cui 7.402.666 euro da tagli alle spese di mantenimento, assistenza e rieducazione dei detenuti. Ancora: nella voce ministero del Lavoro c’è una riduzione di 2.747.261 nel 2011 delle spese per la promozione della cultura e delle azioni di prevenzione in materia di salute e sicurezza. Casse più leggere anche alla Farnesina: via 21 milioni per la cooperazione allo sviluppo, di cui 13 milioni per la cooperazione politica, la promozione della pace e la sicurezza internazionale. Saltano anche 3,5 milioni per la direzione generale per gli italiani all’estero. Giustizia: Aldo Morrone (Inmp) denuncia; patologie fisiche e psichiatriche affollano i nostri penitenziari di Dina Galano Terra, 23 giugno 2010 Patologie fisiche e psichiatriche affollano i nostri penitenziari. “Sono diventati luoghi moltiplicatori di malattie”, denuncia Aldo Morrone dell’Inmp. Strutture e personale, poi, sono del tutto inadeguati al soccorso. Sono trascorsi dodici anni e poco è stato fatto. La riforma che ha portato alla competenza del ministero della Salute la questione della sanità delle persone recluse, considerata una conquista di civiltà, è ancora lungi da essere attuata. “Volontà ostruzionistiche insieme a una gestione ancora affidata a medici di vecchio stampo ora rischiano di minarla, facendola passare per una riforma sbagliata”, avverte Lillo Di Mauro, vicepresidente del Forum per il diritto alla salute delle persone private della libertà e responsabile immigrazione e carcere dei Verdi. Invece, le ragioni che hanno condotto nel 2008 all’approvazione del decreto della Presidenza dei ministri che ha trasferito la competenza dal ministero della Giustizia a quello oggi guidato da Ferruccio Fazio, e quindi ai bilanci delle Regioni, erano orientate al rispetto dell’articolo 32 della Costituzione. “Rendere indivisibile il diritto alla salute e la dignità delle persone”, come ha esplicitato Livia Turco del Pd, senza distinzioni tra status di reclusione o libertà. Nei fatti, e non solo per ragioni economiche o di bilancio, la storia ha seguito un altro corso. “Sto seguendo la vicenda di un ragazzo che a soli 23 anni è stato colpito da infarto e ora si trova recluso in attesa di giudizio”, racconta Di Mauro. “Soffre di epatite C con transaminasi altissime e, nonostante il suo stato di salute, attendiamo invano da mesi l’autorizzazione per farlo curare in ospedale”. Accade con ordinaria normalità che il carcere sia sprovvisto del farmaco opportuno o che manchino figure professionali adeguate a garantire le cure. Troppo spesso, inoltre, patologie psicologiche o psichiatriche vengono arginate con eccessive dosi di psicofarmaci utilizzati in funzione sedante. Il carcere, spiega Aldo Morrone, medico e direttore dell’Istituto nazionale salute, migrazioni e povertà (Inmp) “diventa un luogo moltiplicatore di malattie”, in particolare di quelle trasmissibili come hiv, aids, tubercolosi, epatite virale B e C o scabbia. Parte delle cause, argomenta Morrone, è dovuta al “sovraffollamento ma anche a una limitata percezione del rischio da parte degli stessi detenuti. Per questo bisogna investire con attività di prevenzione”. Ma parlare di salute in carcere, ricorda Leda Colombini, presidente del Forum Salute, significa anche pensare ai “portatori di handicap fisici, alle donne, alle madri e figli da 0 a 3 anni che non riescono a usufruire delle prestazioni essenziali”. “è necessario che si abbia a mente che dietro alle problematiche di una riforma inattuata - ribadisce Lillo Di Mauro - si cela il volto di persone che non possono nutrire una prospettiva di cura, che faticano a ottenere la pasticca per curare una cardiopatia”. L’unica soluzione è destinarle a luoghi alternativi al carcere, “soprattutto quando si tratta di malattie infettive - aggiunge il dottor Morrone - perché si riduce il serbatoio del rischio delle infezioni all’interno”. E con l’arrivo della stagione estiva questa situazione non potrà migliorare. “Molti detenuti saranno costretti a trascorrere i periodi più caldi in celle non adeguate - ammette il medico -. Non si è svolta nemmeno un’azione di prevenzione dell’igiene pubblica dei luoghi carcerari quando molti non sono a norma per l’abitabilità e dovrebbero essere chiusi. Andranno chiusi prima o poi, se non altro perché quest’anno in alcuni di essi è esplosa la tubercolosi”. Giustizia: “perché nessun bambino varchi più la soglia di un carcere”, ieri audizione alla Camera Camera dei Deputati, 23 giugno 2010 Resoconto audizione Commistione Giustizia sul Testo unificato del relatore del 17 giugno 2010 su “disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori, C.2011 Ferranti, C.52 Bruggher e C. 1814 Bernardini. Ieri mattina il presidente della consulta penitenziaria di Roma Lillo Di Mauro in rappresentanza delle associazioni promotrici della proposta di legge “perché nessun bambino varchi più la soglia di un carcere” Consulta penitenziaria, Ass. A Roma Insieme, Comunità di Sant’Egidio, accompagnato degli avvocati Boccale e Castelli è stato audito in Commissione giustizia sul testo che la relatrice della commissione on. Samperi del PD, incaricata dalla presidente della Commissione Giulia Bongiorno, ha elaborato unificando le 3 proposte giacenti in Parlamento. Il testo presentato in Commissione Giustizia non risponde assolutamente alla proposta che le associazioni da anni hanno presentato ai parlamentari in varie occasioni pubbliche accompagnata da una petizione popolare che ha raccolto ottomila firme. La proposta unificata diverge su alcuni punti essenziali quali: la custodia attenuata è prevista in carcere per le madri accusate di reati molto gravi o in case protette (Icam) per tutte le altre mentre la proposta delle organizzazioni prevede la casa protetta per alcuni reati gravi e per tutti gli altri reati la detenzione domiciliare o in alternativa in casa famiglia gestita dagli enti locali; nella proposta unificata è stato stralciato, per non dare dispiacere alla Lega, la parte che riguardava le detenute madri straniere e che prevedeva la non automaticità dell’espulsione questo significa che i bambini in carcere ci saranno sempre considerando che il 90% delle madri detenute sono Rom o straniere il presidente di mauro ha fatto presente che comunque per la Cassazione i minori dei 18 anni non possono essere espulsi dal territorio italiano e che se hanno genitore con se non possono essere separati. È stata stralciata anche la norma che rivedeva la ex Cirielli sulla recidiva che è uno dei motivi ostativi per accedere alle misure alternative e considerando che le madri detenute sono in maggioranza Rom e che per condizionamenti culturali sono costrette a compiere reati avremo sempre bambini in carcere; nella proposta unificata per quanto riguarda il ricovero dei minori prevede che il permesso alla madre per fare visita al figlio in ospedale o accompagnarlo, se con lei detenuto, debba essere l’autorità locale di pubblica sicurezza competente per il controllo della detenzione ovvero dalla direzione della casa protetta che ne informa la prefettura - ufficio territoriale del Governo e il Tribunale di Sorveglianza e dispone opportune verifiche; mentre la proposta delle organizzazioni prevede che il permesso possa essere concesso direttamente dal direttore della casa protetta questo perché se il bambino dovesse trovarsi nella necessità di un ricovero urgente, considerando che l’interesse primario è quello di tutelare e proteggere il minore dall’affrontare da solo il ricovero e la malattia, non può essere subordinato a tempi tecnici spesso lunghi per autorizzare la madre ad uscire dal carcere; l’ultimo punto che è stato contestato del testo unificato sono la collocazione delle madri con bambini in case famiglie protette quale unica alternativa al carcere mentre la proposta delle organizzazioni prevede questa tipologia di strutture (che è bene ricordare sono gestite dai direttori degli istituti penitenziari, prevedono la presenza degli agenti di polizia penitenziaria anche se in abiti borghesi, che devono comunque sottostare alle regole penitenziarie) solo per quelle madri, pochissime, che hanno compiuto reati molto gravi legati alla mafia, al terrorismo ecc.... mentre per tutte le altre si prevede la collocazione in case famiglie gestite dagli enti locali in collaborazione coni servizi sociali del ministero della giustizia (Uepe). Delle case famiglia protette o Icam non ce n’è assolutamente bisogno considerando anche che ci sono sezioni nido come quella di Rebibbia Femminile a Roma che sono già separate dal carcere e strutturate per rendere meno traumatica la vita del bambino in carcere, ma soprattutto non si ha bisogno di una legge per poterle istituire considerando che lo si può fare legislazione vigente (vedi Icam Milano). Insomma una Proposta pasticciata di cui non abbiamo bisogno ma soprattutto non ne hanno bisogno i bimbi minori degli anni 10 per i quali è stata pensata auspichiamo che la Commissione riveda la proposta e che i parlamentari presentino emendamenti per migliorarla. La impressione che abbiamo ricevuto è che le nostre istanze sono state prese in considerazione sia dal Presidente della Commissione che dai parlamentari ma anche dal sottosegretario alla giustizia Caliendo che si è detto disponibile a valutare la possibilità di non realizzare le case protette ma utilizzare le strutture territoriali esistenti gestite dagli enti locali ed incentivare gli enti locali per realizzarne altre se necessarie. Giustizia: Livia Turco è il nuovo presidente del Forum nazionale per il diritto alla salute dei detenuti Redattore Sociale, 23 giugno 2010 La deputata del Pd succede a Leda Colombini. “La salute nelle carceri è una delle più grandi emergenze del nostro paese. Il primo obiettivo è il trasferimento reale delle risorse alle regioni”. “Per me è un onore e anche un onere, perché il Forum è una realtà molto importante che è riuscita a imporre la riforma della sanità penitenziaria che prevede il passaggio delle competenze sulla salute in carcere dal ministero della Giustizia al Sistema sanitario nazionale”. Con queste parole la deputata del Pd, Livia Turco, ha commentato l’assunzione della carica di presidente del Forum nazionale per il diritto alla salute delle persone private della libertà personale. Livia Turco, che all’epoca della approvazione della riforma della sanità penitenziaria era ministro, sostituisce alla guida del Forum Leda Colombini, “una donna che per me è come una madre” e che “con la sua determinazione e la sua tigna” è riuscita a ottenere l’approvazione della riforma. “La salute nelle carceri è una delle più grandi emergenze del nostro paese - ha detto Turco -. Il nostro primo, impegno dunque, è il trasferimento reale delle risorse e il recepimento del decreto e delle linee guida da parte delle regioni”. Secondo la neo presidente del Forum, infatti, è necessario “puntare alle linee guida che hanno accompagnato il passaggio di competenze”, perché in questo modo “si afferma il diritto della persona in carcere a essere presa in carico come tutte le altre”. Secondo Livia Turca, inoltre, “oggi prevale la logica custodialistica e della sicurezza”, mentre le “prestazioni sanitarie offerte in carcere non equivalgono a quelle offerte alle persone normali”. A rendere tutto ancora più drammatico vi è poi la questione del sovraffollamento, causato secondo la parlamentare del Pd “dalla legge Bossi-Fini sull’immigrazione e dalla Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze”, a cui può essere aggiunta la legge Cirielli. Commentando gli interventi che si sono susseguiti durante il convegno “La salute della riforma: sovraffollamento e assistenza sanitaria in carcere. A che punto siamo?”, Livia Turco ha detto: “È stata una mattinata molto bella in cui è prevalsa la positività”. “Questa mattina è emerso un messaggio molto forte - ha proseguito - che non aiuta solo la battaglia specifica per la salute delle persone detenute, ma rende più forte la battaglia per la dignità della persona e per il diritto alla salute della persona tout court. Ma questa battaglia - ha precisato - ora è davvero controcorrente”. Giustizia: Fazio; problema suicidi in carcere all’attenzione del governo; ci sta lavorando un apposito gruppo Redattore Sociale, 23 giugno 2010 Il ministro della Salute è intervenuto questa mattina al convegno sulla riforma della sanità penitenziaria. All’attenzione del governo il problema dei suicidi in carcere, “su cui sta lavorando un apposito gruppo”, e quello delle tossicodipendenze. “La manovra del governo non tocca la sanità”. Così il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, intervenuto questa mattina a Roma al convegno sulla riforma della sanità penitenziaria organizzato dal Forum nazionale per il diritto alla salute delle persone private della libertà personale. Per il ministro gli unici aspetti che riguardano la sanità sono “la razionalizzazione dei farmaci generici che in Italia sono il 10% rispetto al 40% di media europea” e il “blocco dei contratti” che coinvolge “tutto il pubblico impiego inclusa la sanità pubblica”. Per quanto riguarda, invece, il “blocco del turnover” attualmente la sanità non sembra esserne “affetta”, in quanto si parla “di dipendenti statali e non di trasferimenti alle regioni”. In ogni caso - ha aggiunto il ministro - “noi ci rendiamo conto del problema” e c’è un “certo impegno” da parte del governo per “demandare a un tavolo di monitoraggio” le eventuali problematiche che attengono al blocco del turnover. Quanto ai precari, invece, “c’è una correzione in essere della manovra che vogliamo mettere nel maxi emendamento”, riportando “al 50% il discorso dei precari della sanità”. Riguardo alla sanità penitenziaria, Fazio ha precisato che i fondi che dovevano essere trasferiti alle regioni per l’attuazione della riforma “non erano stati trasferiti al 3 marzo scorso” e “la situazione per quello che ne so io oggi è quella del 3 marzo”. Due ulteriori aspetti all’attenzione del governo sono poi quello dei “suicidi in carcere su cui sta lavorando un apposito gruppo e quello delle tossicodipendenze, su cui stiamo lavorando insieme alla presidenza del Consiglio”. Il ministro ha poi fatto un breve cenno al progetto di legge Ciccioli sulla riforma della legge 180, attualmente all’esame del Parlamento, che prevede, tra l’altro, il trattamento sanitario obbligatorio prolungato: “Il governo nella mia persona non è favorevole al tso prolungato”, ha precisato aggiungendo che si può optare invece per “una semplificazione del rinnovo”. Giustizia: Leda Colombini; migliaia di detenuti non usufruiscono delle prestazioni sanitarie necessarie Redattore Sociale, 23 giugno 2010 Dal convegno organizzato dal Forum salute e carcere una riflessione sullo stato di attuazione della riforma della sanità penitenziaria. Le regioni ancora attendono i fondi. Nelle carceri detenuti a quota 67.867. Un momento di riflessione da parte di operatori del settore, politici e membri della società civile sullo stato di attuazione della riforma della salute in carcere che, in base al Decreto del presidente del consiglio dei ministri del 1 aprile 2008, prevede il passaggio di competenze dal dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria al Servizio sanitario nazionale. È questo l’obiettivo del convegno “La salute della riforma: sovraffollamento e assistenza sanitaria in carcere. A che punto siamo?”, che si è svolto questa mattina a Roma per iniziativa del Forum nazionale per il diritto alla salute delle persone private della libertà personale. Nel corso del convegno, dunque, è stata fatta luce sui principali problemi relativi al passaggio di competenze, primo tra tutti il forte ritardo nel trasferimento dei fondi 2008 e la mancata consegna dei fondi 2009 che sono già passati dal ministero della Giustizia a quello dell’Economia, ma non sono stati ancora consegnati alle regioni. E questo benché la cifra complessiva fosse stata stimata su 44mila detenuti e non sui quasi 68mila odierni. “Migliaia di detenuti sieropositivi, tossico e alcol dipendenti, malati di aids, di tubercolosi, di epatiti, di disturbi mentali, portatori di handicap fisici, uomini e donne, madri di figli da 0 a 3 anni non riescono a usufruire delle prestazioni necessarie per cause strutturali, quali il sovraffollamento, le condizioni igieniche, ma anche l’organizzazione del sistema sanitario penitenziario, che fa acqua da tutte le parti”, ha detto la presidente uscente del Forum, Leda Colombini. La salute dei detenuti, infatti, è gravemente compromessa dal problema sovraffollamento: al 14 giugno 2010, infatti, la popolazione detenuta ha raggiunto quota 67.867, di cui 24.865 cittadini stranieri. “Il senso del convegno è quello di non appiattire la riforma su difficoltà economiche e politiche”, ha spiegato il segretario nazionale del Forum, Fabio Gui. Il senso più profondo della riforma, infatti, è quello di promuovere un “cambiamento di tipo culturale”, ha proseguito Gui, precisando che il trasferimento delle competenze sulla medicina penitenziaria al Sistema sanitario nazionale vuole produrre anche “una discontinuità rispetto al passato”, in quanto “si incentra sulla presa in carico della persona”. “Il Forum - ha concluso - chiede un salto di qualità alle istituzioni e alle regioni”. Un salto di qualità che vuol dire, in primo luogo, “creare nelle diverse regioni un sistema omogeneo per quanto riguarda le prestazioni e i livelli essenziali di assistenza”. Giustizia: Sonia Alfano (Idv); non condivido il pensieri di Cimadoro su suicidio dei detenuti Il Velino, 23 giugno 2010 “Non condivido il gesto di solidarietà di Cimadoro nei confronti del leghista Buonanno e anzi lo invito, come ha già fatto il capogruppo di Italia dei valori alla Camera, Massimo Donadi, a riflettere su quanto detto”. Lo dice Sonia Alfano, europarlamentare dell’Italia dei valori. Gabriele Cimadoro (Idv) oggi in aula a Montecitorio ha espresso solidarietà a Buonanno (Lnp) che l’altro ieri, alla notizia del suicidio di un detenuto al 41-bis, ha sostenuto che “se altri pedofili e mafiosi facessero la stessa cosa non sarebbe affatto male”. “Io, che ho visto mio padre morire sotto i colpi della mafia - sottolinea Sonia Alfano - potrei utilizzare parole sprezzanti e riversare tutta la rabbia accumulata, invece da mesi ho avviato un giro dei reparti 41-bis e incontrato esponenti mafiosi dello spessore di Riina, Provenzano e molti altri - prosegue - anche coinvolti nella mia storia personale, per parlare con loro e verificare lo stato delle carceri. Sarebbe opportuno piuttosto soffermarsi sul significato di “stato di diritto” e sulla necessità di garantire la certezza della pena. Il partito si è sempre schierato a difesa dei diritti umani e della Costituzione e certi valori non possono essere negati; per fortuna nei codici del nostro Paese non è prevista la pena di morte - conclude - per cui certi giudizi e criteri di crudeltà non mi appartengono e ne prendo le distanze”. Giustizia: Ferrara; denunciarono di essere stati picchiati dai carabinieri, condannati per “resistenza” www.innocentievasioni.net, 23 giugno 2010 Condannati per resistenza a pubblico ufficiale a pene di 12 e 10 mesi, con una provvisionale di 3.000 euro a testa alle sette parti civili, i carabinieri in servizio a Ferrara. Per il giudice Silvia Marini furono i quattro ragazzi originari di Rovigo a reagire ai militari, a causar loro lesioni, nella vicenda avvenuta il 24 febbraio delle “botte in caserma”, il fatto diventato un caso nazionale grazie a un video sulle violenze. Il giudice ha emesso il verdetto (il pm Barbara Cavallo aveva chiesto pene inferiori, 10 e otto mesi in abbreviato) a conclusione del processo che vedeva imputati i quattro ventenni, due ecuadoriani, un albanese, un nigeriano, tutti della provincia di Rovigo che dopo l’arresto in centro città, furono protagonisti di un parapiglia all’interno della caserma, in cui rimasero feriti i carabinieri parte civile al processo. I ragazzi, dopo l’arresto e i colloqui con l’avvocato d’ufficio, dissero di essere stati picchiati e da questo è partita l’inchiesta d’ufficio dello stesso pm Cavallo. Conclusa la vicenda per l’accusa di resistenza fuori e dentro la caserma, resta aperto il troncone che vede indagato un carabiniere, ripreso in un filmato che ha fatto il giro di Internet e dei Tg, per l’uso improprio di un Tonfa, manganello di servizio. L’avvocato Alberto Bova che assiste i sette carabinieri come parte civile e come difensore nella tranche parallela ha voluto precisare: “La sentenza è giusta, secondo ciò che ci aspettavamo e cioè che venisse ridata dignità a questi militari che per 1.200 euro al mese rischiano la vita tutti i giorni. La sentenza a mio parere, in automatico condizionerà anche il procedimento parallelo, in quanto i ragazzi erano accusati di resistenza fuori e dentro la caserma: se il giudice avesse valutato la legittima difesa sarebbe venuto meno il reato e non li avrebbe condannati. A seguito di questa condanna, credo che l’archiviazione sia scontata, anche alla luce delle conclusioni della requisitoria. Ora sono curioso di sapere se televisioni e giornali nazionali che hanno dato enfasi alla notizia, con un linciaggio mediatico con forzature senza precedenti, daranno pubblica notizia e se lo stesso ex senatore Luigi Manconi (che diffuse il video, ndr) darà lo stesso risalto sul sito che pubblicò lo pseudo-video d’accusa, alla condanna di questi giovani”. Barbara Simoni, legale dei quattro ragazzi, attende di leggere le motivazioni per il ricorso, e attende anche l’esito dell’altra inchiesta. Soprattutto, dice di continuare ad avere dubbi sull’operato dei carabinieri: “Noi abbiamo discusso il processo puntando sul riconoscimento della causa di non punibilità per l’arbitrarietà delle azioni dei militari, perché a mio avviso restano molte le incongruenze. Evidentemente il giudice ha ritenuto i ragazzi non credibili. Vorrei chiarire che a parte l’episodio su cui si indaga ancora (per un solo carabiniere), gli stessi ragazzi hanno sempre riferito che le botte ricevute non sono state quelle filmate, ma quelle subite in punti diversi, nascosti alle telecamere, vicino alle celle di sicurezza e ad esempio ai bagni”. Circostanza confermata dallo stesso pm che ha raccolto testimonianze e prove “prima che scoppiasse la polemica”, ha tenuto a precisare, sottolineando che la procura si è mossa subito senza indugi per verificare la vicenda. Lo stesso pm ha spiegato che dalle indagini svolte e sulla base di dati oggettivi, quali anche le consulenze medico legali che hanno escluso lesioni compatibili con eventuali colpi di Tonfa o altro, i ragazzi non sono stati ritenuti credibili. L’altro fascicolo, ha aggiunto, lo chiuderà entro poche settimane, assieme ad un terza tranche di inchiesta (per oltraggio e danneggiamenti) a carico degli stessi quattro ragazzi. Giustizia: Grazia, l’ennesima madre che non crede alla versione ufficiale sulla morte del figlio in carcere di Checchino Antonini Liberazione, 23 giugno 2010 Grazia La Venia è l’ennesima madre che non crede alla versione ufficiale di un’amministrazione penitenziaria. L’ennesima a battersi contro un’archiviazione annunciata. Suo figlio si chiamava Carmelo Castro ed era incensurato. È morto il 28 marzo nella cella numero 9 del carcere catanese. Era lì da quattro giorni, da quand’era stato fermato per una rapina nella tabaccheria del suo paese, Biancavilla. Aveva 19 anni. Secondo la versione ufficiale “la morte è avvenuta per asfissia da impiccamento”: avrebbe attaccato il lenzuolo allo spigolo della branda. Nulla pi di questo per il pm che ha proposto l’archiviazione. Ma sua madre chiede che si accerti ciò è avvenuto prima che Carmelo entrasse in carcere anche perché, una volta dentro, per suo figlio,sottoposto al regime di massima sorveglianza, sarebbe stato difficile impiccarsi. La foto segnaletica diffusa dopo il fermo fa sorgere parecchi dubbi: “Forse lo hanno ripulito ma si vede comunque un livido sopra l’occhio sinistro e il labbro gonfio, oltre all’orecchino strappato”. I carabinieri lo hanno trattenuto in caserma un intero pomeriggio e lei da sotto lo sentiva piangere e gridare. Potrebbe esserci del sangue sulle scarpe e il giubbotto che indossava. Anche l’avvocato della famiglia segnala “molte incongruenze nella ricostruzione dei fatti”: ad esempio il fatto che, per il trasporto del ragazzo in ospedale, venne utilizzata una normale auto di servizio. Il medico del carcere riferisce di aver praticato le manovre di rianimazione cardiorespiratoria poi le interrompe ma non ritenne di dover disporre il trasporto con un’ambulanza adeguata a continuare le manovre rianimatorie. Il suicidio sarebbe avvenuto alle 12.30 ma Carmelo aveva nello stomaco il pranzo non digerito. Tutte domande che attendono una risposta e che ricordano vicende come quelle che hanno registrato la morte di Niki Aprile Gatti - anche il suo fu un suicidio strano dopo essersi dichiarato disponibile a collaborare. Di Giuseppe Uva - l’analogia consiste nelle urla sentite mentre era in custodia dei carabinieri - e di Stefano Cucchi, passato anche lui dalle mani dell’Arma a quelle del carcere prima di finire “seppellito” in un repartino penitenziario. Così pure la mamma di Marcello Lonzi e i figli di Aldo Bianzino stanno mettendocela tutta perché non cali il sipario sulla morte dei loro cari. E che dire di Manuel Eliantonio e Stefano Frapporti: l primo ucciso dal carcere a Marassi, dicono che si sia ammazzato col gas di una bomboletta ma sua madre Maria non riesce a capire come faccia il gas a spezzare le ossa. Frapporti, invece, si sarebbe “suicidato” dopo due ore dall’arresto. Uno stranissimo arresto. Molti di loro saranno a Perugia venerdì e sabato (per il programma vedi www.veritaperaldo.noblogs.org ), nella due giorni promossa dal Comitato Verità e giustizia per Aldo Bianzino su autoritarismo, proibizionismo, carcere e sicurezza. Appuntamenti di questo tipo stanno producendo un ragionamento collettivo che prova a ribaltare l’ossessione sicuritaria di cui Perugia è laboratorio avanzato. Giustizia: Sappe, nuova aggressione ad agente, nell’attuale emergenza servono provvedimenti punitivi Ansa, 23 giugno 2010 “Dopo le proteste nelle scorse notti dei detenuti del carcere di Genova Marassi, che hanno dato vita ad una serie di rumorose proteste battendo oggetti sulle inferriate delle celle, e il tentativo di rivolta messo in atto ad inizio mese da 7 detenuti tunisini, con 4 agenti di polizia penitenziaria feriti ed un principio di incendio fortunatamente scongiurato, ancora un grave episodio di violenta nel penitenziario della Valbisagno”. La denuncia è di Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. Questa mattina c’è stata ancora un’aggressione ad un poliziotto penitenziario a Marassi, l’ennesima. Alle 11 circa - racconta il sindacalista - un detenuto tunisino detenuto al secondo piano della Seconda sezione, ha proditoriamente sferrato dallo spioncino della cella un violento pugno all’agente di Polizia Penitenziaria in servizio presso quel reparto: l’agente è riuscito in parte ad evitare il colpo, rimanendo comunque ferito al labbro superiore. Al collega va naturalmente la nostra vicinanza e solidarietà, ma ci domandiamo quante aggressioni ancora dovrà subire il nostro personale perché si decida di intervenire concretamente sulle criticità di Marassi?”. Martinelli aggiunge che “questa ennesima aggressione ci preoccupa”. Il leader sindacale spiega che la “carenza di personale di Polizia Penitenziaria (oltre 160 agenti in meno negli organici!) , il pesante sovraffollamento (quasi 800 detenuti presenti a Marassi, circa il 60% gli stranieri rispetto ai 450 posti letto regolamentari), con le conseguenti ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate oltre ogni limite, sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi”. Spesso, come a Genova Marassi, fa notare Martinelli, il personale di polizia penitenziaria “è stato ed è lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Le tensioni in carcere crescono in maniera rapida e preoccupante: bisogna intervenire tempestivamente per garantire adeguata sicurezza agli agenti e alle strutture!’. “Sgomenta constatare la frequente periodicità con cui avvengono queste aggressioni -conclude Martinelli- credo allora che servano provvedimenti veramente punitivi per i detenuti che in carcere aggrediscono gli agenti o provocano risse: penso ad esempio a un efficace isolamento giudiziario o anche, in analogia a quanto avviene ad esempio in America, che i detenuti più aggressivi possano essere eventualmente contenuti anche nelle sezioni detentive con manette e catene. In una situazione di emergenza, come è quella attuale, servono provvedimenti straordinari”. Giustizia: Osapp; vietare la vendita di alcol ai detenuti, per arginare aggressioni Adnkronos, 23 giugno 2010 Vietare o ridurre l’uso di alcol tra i detenuti: lo chiede il sindacato di polizia penitenziaria Osapp dopo l’aggressione di due agenti nel penitenziario dell’Ucciardone. “Stiamo chiedendo all’Amministrazione penitenziaria centrale di sospendere l’erogazione ai reclusi di bevande alcoliche o, almeno, di limitarla dagli attuali 500 cc. a 250 cc. al giorno”, spiega in una nota il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci. Molto spesso il vino è oggetto di scambi e di favori tra detenuti, come accade all’Ucciardone; inoltre, se si tiene conto degli astemi ‘in una cella di 10 detenuti sono 5 litri di vino al giorno che possono essere richiesti e conservati per essere successivamente consumati, o in occasione di qualche evento o, ad esempio, durante la visione di una partita di calcio della nazionale, sottolinea Beneduci. Tra l’altro, il vino è vietato per tutti coloro che seguono terapie farmacologiche con psicofarmaci o ansiolitici - aggiunge il sindacalista - anche i tossicodipendenti ma, come sempre accade in carcere, chi comanda preferisce chiudere un occhio e a farne le spese sono gli agenti delle sezioni. Siamo sicuri che questo fenomeno, troppo diffuso, come per le bombolette e i fornellini a gas, sia una tra le concause di quelli che vengono spesso erroneamente ritenuti suicidi. L’Osapp conclude che l’attuale Dap farà orecchie da mercante anche sul vino ai detenuti e sugli accentuati rischi dei poliziotti penitenziari. Anche questo è uno dei motivi per cui - conclude Beneduci - chiediamo l’avvicendamento del Capo dell’amministrazione Franco Ionta. L’Osapp fa notare che ciò “determina condizioni di vita invivibili, ed è chiaro come il personale di polizia penitenziaria, quando entra nelle celle per i controlli di rito, si trovi davanti a persone alticce o del tutto ubriache”. Lazio: il Garante; 6.254 detenuti, +1600 rispetto alla capienza; timori per l’arrivo dell’estate Il Velino, 23 giugno 2010 Sono 6.254 i detenuti reclusi nelle carceri del Lazio, oltre 1.600 in più rispetto alla capienza regolamentare dei 14 istituti della regione. Lo rende noto il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni commentando i dati, riferiti al 20 giugno, del Dap. Il dato rilevante è che i reclusi nelle carceri della regione continuano a salire in maniera inarrestabile: al 20 giugno erano 6254, 25 in più rispetto al 24 maggio, 116 in più rispetto ai 6.138 del 21 aprile. Rispetto a marzo sono aumentati di 172 unità, rispetto a febbraio di 372 unità. Al 20 giugno i detenuti erano 5795 uomini e 459 donne: il 24 maggio erano 6.229 (5784 uomini e 445 donne): il 21 aprile 6.138 (5.704 uomini e 434 donne): l’11 marzo 6.082 (5648 uomini e 434 donne), a febbraio 5.882 (5.470 uomini e 412 donne). Il dato rilevante è quello del sovraffollamento, con una presenza di 1646 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare. Dal punto di vista numerico le situazioni più critiche si registrano a Latina (dove i detenuti dovrebbero essere 86 e sono invece 176), Viterbo (671 contro i 433 previsti), a Rebibbia N.C. (quasi 500 detenuti in più) e Regina Coeli (+ 339). In controtendenza il caso di Rieti, dove il nuovo carcere da 306 posti ospita solo 97 reclusi in due sole sezioni aperte: tutti gli altri spazi sono chiusi per carenza di risorse economiche e di agenti di polizia penitenziaria. In tutta Italia i detenuti sono 67.516, di cui 2.942 donne. Il Lazio è la quarta regione d’Italia come presenza di reclusi dopo Lombardia (9.070), Sicilia (8.227) e Campania (7.865). “Due dati saltano agli occhi in maniera impressionante - ha detto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - da un lato il fatto che, da febbraio ad oggi, i detenuti nel Lazio sono aumentati di 372 unità; dall’altro il sovraffollamento, testimoniato dagli oltre 1.600 reclusi in più rispetto al dovuto. Numeri che preoccupano anche perché continua a non registrarsi alcun miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri. Il timore è che, con l’imminente arrivo dell’estate, le condizioni peggiorino ulteriormente e che il pianeta carcere non sia in grado di reggere questa perenne emergenza”. Lazio: la Federazione della sinistra aderisce alla campagna “Le carceri sono fuori legge” Dire, 23 giugno 2010 “La Federazione della sinistra aderisce alla campagna “Le carceri sono fuori legge”, promossa dalle associazioni Antigone e a Buon diritto e dal settimanale Carta, per dare il via a una vera e propria vertenza nei confronti delle istituzioni affinché siano rispettati i diritti delle persone detenute”. È quanto affermano in una nota congiunta Ivano Peduzzi, capogruppo Fds Regione Lazio e Giovanni Russo Spena, responsabile giustizia Prc, che giovedì, alle ore 10, visiteranno l’istituto penitenziario di Regina Coeli insieme a Stefano Galieni, responsabile nazionale immigrazione Prc. “Dopo la sentenza della Corte europea dei Diritti umani, che ha condannato l’Italia per aver detenuto persone in meno di tre metri quadri e per aver violato in questo modo l’articolo 3 della Convenzione europea, aprendo all’ipotesi di tortura, pensiamo sia necessario avviare una mobilitazione a livello nazionale per contrastare ogni forma di violenza di Stato nelle istituzioni”, ha detto Giovanni Russo Spena. “Per una settimana - aggiunge Peduzzi- visiteremo almeno dieci carceri in tutta Italia, raccoglieremo dati e denunceremo i casi di abbandono, di sovraffollamento e di mancato rispetto dei diritti umani. Abbiamo deciso di cominciare il sopralluogo giovedì, 24 giugno, alle ore 10.00, proprio da Regina Coeli, dove il giovane Stefano Cucchi ha trascorso gli ultimi giorni di vita prima di morire di carcere, di fame e di botte nella struttura penitenziaria dell’ospedale Pertini di Roma”. Puglia: l’On. Poli Bortone scrive all’assessore regionale alla sanità chiedendo interventi per il carcere 9Colonne, 23 giugno 2010 La senatrice Adriana Poli Bortone, in qualità di componente della Commissione d’inchiesta del Senato sul Ssn, ha scritto una lettera all’assessore regionale alla sanità della Puglia Tommaso Fiore, chiedendo che la Regione, alla luce anche dei recenti episodi avvenuti nel carcere di Lecce, dove alcuni detenuti si sono tolti la vita, renda noti “quali passi sono stati fatti, in virtù del dettato del Dpcm del 2008, con particolare riferimento ai rapporti di lavoro, alle risorse finanziarie, alle attrezzature e ai beni strumentali di cui debbono essere dotati gli istituti penitenziari della regione”. “L’ultimo episodio del suicidio avvenuto a Lecce - afferma la presidente nazionale di Io Sud -, è sintomatico di una situazione difficile che deve essere affrontata con l’ausilio della sanità penitenziaria”. Rovereto (Tn): detenuti scrivono; siamo 100 in un carcere con 40 posti, condizioni di invivibilità Il Trentino, 23 giugno 2010 Il carcere di Rovereto è ormai troppo piccolo. Un problema già sollevato dalla direttrice della struttura, che ha trovato conferma nelle parole dei detenuti. “Desideriamo - fanno sapere tramite una lettera - che arrivino nelle vostre case le nostre voci, di uomini e donne che sanno di essere colpevoli di azioni scorrette, che pensano alle vittime dei propri errori, ma pur sempre di persone che chiedono di essere considerate tali. Il carcere di Rovereto è stato predisposto per una capienza massima di 30 o 40 persone. Oggi, la presenza di più di 100 detenuti rende impossibile ogni programma di rieducazione, lasciando il posto ad ansie e tensioni che generano solo durezza e chiusure. Una situazione che sta diventando sempre più disumana e invivibile risiede nel sovraffollamento del carcere, dovuto a due cause principali. La prima è l’iter burocratico che necessita di tempi interminabili per la chiusura della sintesi (la valutazione comportamentale del detenuto) indispensabile per ottenere qualsiasi beneficio previsto dal Codice Penale. La seconda è un Tribunale di Sorveglianza tra i più rigidi e fiscali d’Italia, che rigetta la maggior parte delle istanze richiedenti benefici e misure alternative, come gli arresti domiciliari, i permessi premio, la semilibertà e così via. Tutto questo ha determinato una situazione d’emergenza, come la convivenza di quattro persone in celle da 9 metri quadrati, (con due letti a castello, un tavolino, un gabinetto con lavandino e due o tre sgabelli) otto docce per soddisfare i bisogni di più di 100 persone, ritardi nelle visite mediche, mentre quelle specialistiche sono scarse o quasi nulle. E ancora, ridottissime opportunità lavorative nel carcere, l’ora d’aria invivibile, in quanto lo spazio disponibile è un cortile di modeste dimensioni per i maschi, una gabbia di ferro spesso inutilizzata a causa della scarsità del personale. Scarsità del personale, sia maschile che femminile, è ancor più grave in quanto impedisce tutte le attività inframurarie”. Roma: il Governatore regionale Polverini visita l’Istituto penale minorile di Casal del Marmo Adnkronos, 23 giugno 2010 Ha pranzato con le ragazze, visitato i laboratori, inaugurato il campo di calcetto e assistito alla prima partita dei giovani detenuti dell’istituto penale per minorenni di Casal del Marmo a Roma. Una giornata “particolare” per il governatore della Regione Lazio, Renata Polverini, che ha trascorso la mattinata tra i 47 detenuti della struttura, 38 ragazzi e 9 ragazze. “È un istituto modello - ha sottolineato Polverini - dove si interviene su situazioni difficili per aiutare questi ragazzi a ricominciare e per offrire loro una vita diversa. Ho promesso alla direzione che tornerò in un giorno qualsiasi, senza preavviso, per vedere una giornata “normale”. Questi ragazzi mi hanno commosso - ha aggiunto - mi hanno offerto tanti doni: siamo arrivati con poco e andiamo via con tanto. Hanno voluto regalarmi una borsa e tanti altri oggetti che loro stessi realizzano nei laboratori, fino alle verdure che coltivano nell’orto. Questi giorni vanno sostenuti”. Durante la visita in carcere Polverini è stata accompagnata tra gli altri dalla direttrice Laura Grifoni e dall’assessore regionale alla Sicurezza Pino Cangemi che ha sottolineato l’importanza della visita. “Questa giunta si spenderà molto per le politiche legate agli istituti penitenziari e nasceranno di sicuro delle iniziative importanti”. Nel corso della visita il governatore della Regione Lazio ha affrontato con la direttrice il problema legato al riconoscimento professionale di alcuni laboratori, alcuni già esistenti come ad esempio quello di falegnameria e altri a cui si sta lavorando come quello di pasticceria e di edilizia per i ragazzi. “Mi è stata esposta - ha spiegato Polverini - la necessità di poter trovare uno strumento che consenta ai ragazzi di avere un riconoscimento formativo proprio quando escono dall’istituto”. “Per ora - ha continuato il governatore - non posso dare una risposta immediata ma metto tutto il mio impegno in questo senso: possiamo lavorare insieme e con la direzione del carcere ci rivedremo. Sono convinta che troveremo la soluzione per riconoscere queste professionalità anche all’esterno”. Le ragazze detenute nella struttura di Casal del Marmo hanno ricevuto in dono degli mp3 mentre i ragazzi in collaborazione con la Federazione gioco calcio hanno ricevuto i palloni e le maglie della nazionale. Monza: un detenuto ha tentato di evadere dal tribunale, feriti 3 agenti di polizia penitenziaria Il Velino, 23 giugno 2010 “Ieri pomeriggio un detenuto di origini milanesi, imputato di oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale e ristretto nel carcere di Monza, ha tentato di evadere dal tribunale di Desio dove era stato accompagnato per l’udienza a suo carico per i reati ascrittigli”. Lo dichiara Domenico Benemia, segretario regionale della Uil Pa Penitenziari della Lombardia. “Appena giunto davanti al giudice, gli agenti di scorta hanno provveduto, come da legge, a togliere le manette all’imputato. A quel punto il detenuto si è divincolato e ha tentato la fuga. L’immediata reazione degli agenti di polizia penitenziaria è servita a bloccare il tentativo di evasione. Nel sottolineare come gli agenti abbiano fermato il fuggitivo senza ricorrere all’uso delle armi, intendiamo far giungere ai tre colleghi i nostri sentimenti di stima e vicinanza. Il detenuto - continua Benemia - già sabato scorso si era reso protagonista di un’aggressione in danno di un poliziotto penitenziario a Monza. Fortunatamente in tale circostanza il collega non aveva subito conseguenze di sorta. Nella colluttazione scaturita per impedire l’evasione, due agenti penitenziari hanno riportato alcune ferite mentre per la terza unità si è resa necessario il ricovero in ospedale per un trauma contusivo al cranio con ematoma. Anche in Lombardia il sovraffollamento ha originato diversi eventi critici e la carenza d’organico non aiuta a gestire le emergenze. In Lombardia gli istituti penitenziari potrebbero ospitare non più di 5.148 detenuti; invece ve ne sono ristretti quasi novemila per un sovrappopolamento pari quasi al 75 per cento. Dall’inizio dell’anno nelle carceri lombarde si sono registrati tre suicidi e sei tentati suicidi sventati dalla polizia penitenziaria. Gli agenti penitenziari aggrediti e feriti sono 16 (su un totale nazionale pari a 112). A questo quadro di assoluta criticità va aggiunta la grave deficienza organica del personale di polizia penitenziaria e delle figure preposte alle aree pedagogiche. Il contingente di polizia penitenziaria dovrebbe essere pari a 5.323 unità, ma ve ne sono in servizio poco più 4.130. In queste condizioni il sistema si blocca. Ecco perché può capitare, com’è capitato ad Opera, che saltino processi o, come succede ogni giorno, si debbano effettuare traduzioni con scorte sottodimensionate rispetto ai parametri previsti. Non parliamo poi delle dotazioni logistiche - conclude Benemia. In Lombardia per il servizio traduzioni il parco macchine è inadeguato numericamente e molti mezzi sono vecchi e obsoleti. Ma a Roma continuano a sfilare berline nuove, fiammanti e costosissime”. Messina: sovrintendente polizia penitenziaria aggredito all’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto Adnkronos, 23 giugno 2010 Aggressione ai danni di un sovrintendente di polizia penitenziaria all’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina). L’incidente è avvenuto stamattina e a darne notizia è il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci: “Un internato ha aggredito con pugni e calci un sovrintende capo di polizia penitenziaria, tentando poi la fuga e per sedare lo scalmanato e riportare la situazione alla normalità ci sono voluti 30 minuti e l’impiego di altri 2 due poliziotti penitenziari”. “Il sovrintendente aggredito ha riportato la frattura di due costole e una prognosi di 20 giorni salvo complicazioni - afferma Beneduci - ma l’episodio la dice più lunga di quello che può sembrare tenuto conto che, benché si tratti di un ospedale psichiatrico, atti di consimile violenza non sono affatto comuni e dimostrano qual è il clima attuale”. “Barcellona Pozzo di Gotto - aggiunge il sindacalista - era stata fino a ieri estranea ai gravissimi problemi del sistema penitenziario italiano, essenzialmente legati al sovraffollamento e alla carenza di personale e di risorse economiche per i relativi servizi all’utenza, tant’è che si era immaginato di ristrutturarne una parte da adibire a sezione femminile o a custodia attenuata”. Napoli: gita in costiera per quattordici ospiti dell’Opg di Secondigliano Il Mattino, 23 giugno 2010 Per Ciro “è bello il mare d’inverno”. E, in fondo, ieri era quasi una giornata invernale, nonostante il calendario segnasse 21 giugno. Per lui e i suoi tredici amici ricoverati dell’Ospedale psichiatrico giudiziario, la gita a Meta di Sorrento, non è stata l’occasione per il primo - e forse unico bagno dell’estate - ma “una bellissima giornata”. Accompagnati dal direttore dell’ospedale Stefano Martone e dal portavoce della comunità Antonio Mattone, Ciro e i suoi compagni hanno vissuto una festa all’insegna della solidarietà. Regista indiscusso Salvatore Tuccillo che ha saputo mediare i rapporti tra i gitanti, i ristoratori locali e il lido “La Conca” di Meta di Sorrento dove i detenuti hanno passeggiato e avuto a disposizione la struttura balneare. “Un’iniziativa - commenta il direttore Martone - che ben si sposa con lo spirito e l’animo dell’Opg, anche alla luce della recente riforma che punta alla riabilitazione di ogni internato”. È la prima volta, sostiene il direttore, che una organizzazione di volontariato promuove l’uscita degli internati. “Il tutto si inserisce - spiega il direttore - in un percorso di riabilitazione personale”. Attualmente l’Opg di Napoli che si trova nella struttura di Secondigliano ospita 120 detenuti. “L’attenzione della Comunità di Sant’Egidio per i detenuti è costante - spiega Antonio Mattone - e si basa su atteggiamenti di ascolto, di continuità e di amicizia. Rispondere alle loro richieste vuol dire attivare interventi di solidarietà concreta. In un periodo di grande sofferenza per i detenuti per il grande caldo e il sovraffollamento, la Comunità di Sant’Egidio vuole essere vicina ai detenuti della Campania regalando momenti di svago”. Perciò per la comitiva dell’Opg, dopo la passeggiata al mare, il programma ha previsto il trasferimento al ristorante “La Grillerie del Casale” del centro storico metese per il pranzo offerto da quattro ristoratori sotto un pergolato di agrumi. “Sembra un ristorante francese”, dice Mario, uno dei detenuti. La sorpresa sta nelle posate, nella tavolata, nell’accoglienza. Il sapore della solidarietà ha preso il gusto del totano e patate preparato dallo chef Giulio Galano del ristorante “La Conca”, quello dello spaghettone di Gragnano con zucchine preparato dalla patron della “Grillerie” Tiziana Mastellone, quello dell’orata al cartoccio con verdurine di stagione preparata dallo chef Ciro Palomba della “Tavernetta di Re Carlo” gestita da Carlo Sassi e quella della delizia al limone di Sorrento preparata dagli chef del ristorante “Tico Tico” della marina di Meta. Al termine del pranzo c’è Antonio che regala una sigaretta ai proprietari: per i detenuti è un segno forte. “Per chi ha difficoltà a procurarsi le sigarette, regalarle è il gesto di un’amicizia e di vero apprezzamento”, spiega Mattone. Il programma per l’estate, nel mese di luglio, prevede altri due eventi: nel carcere di Poggioreale una festa con gelato e un piccolo concerto con la cantante Monica Sarnelli voce della sigla della fiction “Un posto al sole” e la partecipazione dell’attore Mario Porfito e, ancora, nel carcere femminile di Pozzuoli l’esibizione di Valentina Stella. Napoli: dietro le sbarre di Poggioreale, la musica regala due ore d’aria ai detenuti di Pier Paolo Segneri www.ffwebmagazine.it, 23 giugno 2010 Per chi ha vissuto l’evento in prima persona, non ci sono dubbi: è stato un concerto unico e coinvolgente, sembrava di assistere - dal vivo - al gran finale del cult-movie The Blues Brothers del regista John Landis. Insomma, l’occasione è divenuta una sorta di Jailhouse rock, proprio come suggerisce il titolo della celebre canzone resa famosa da Elvis Presley e suonata al termine del film dalla scapestrata e indimenticabile coppia formata da John Belushi e Dan Aykroyd, i due protagonisti della pellicola di Landis che, inesorabilmente, si ritrovano in carcere con tutta la band a esibirsi per i loro nuovi colleghi: i detenuti. Ma stavolta la storia è diversa ed è stata la musica italiana ad essere protagonista, a entrare in un carcere per alleviare almeno un po’ le difficili condizioni di vita di una parte della comunità penitenziaria di Poggioreale, che ha avuto così l’opportunità di poter assistere all’evento. Nei giorni scorsi, infatti, nella rinomata e famigerata Casa Circondariale di Napoli, si è esibito per due ore di fila il cantante Dennis Fantina, vincitore nel 2002 della prima edizione del programma televisivo Saranno Famosi. Considerato il momento critico che le carceri italiane stanno attraversando, causato anche e non solo dal già prevedibile collasso del sistema penitenziario e dovuto al sovraffollamento, possiamo affermare che si è trattato di un momento di serenità niente affatto scontato. Il concerto in questione rientra nel progetto “Musica in carcere” promosso dall’Agenzia di Spettacolo umbra “Lorenzo Paolucci”. L’obiettivo di questa iniziativa, che farà tappa anche in altre carceri italiane, è quello di regalare ai detenuti un momento di svago, che certo non ha la pretesa di risolvere il drammatico scenario nazionale in cui si trovano attualmente le nostre strutture carcerarie e in cui svolgono un lavoro spesso encomiabile gli agenti di custodia, i direttori, il personale e l’intera comunità penitenziaria. Eppure, l’iniziativa intende contribuire, in modo del tutto gratuito, a donare attimi di gioia attraverso il suono, il ritmo, la melodia, le parole e la voce della musica italiana. Una piccola cosa. Una goccia nel mare. Ma può servire a sensibilizzare anche l’opinione pubblica. A detta dell’ufficio stampa che ha organizzato l’appuntamento, l’iniziativa ha avuto un grande successo, malgrado le mille difficoltà che un tale evento inevitabilmente porta con sé sia sul piano delle pratiche burocratiche e dei permessi, sia sul piano organizzativo e logistico, sia sul piano prettamente umano e sociale. Il concerto si è svolto nella Chiesa di Poggioreale che, per l’occasione, è stata adibita, come nel film con John Belushi, a “sala concerto”. Con tanto di palco, amplificazione e scenografia, luci comprese. Dopo circa un’ora sono arrivati, scortati e in fila indiana, i 250 detenuti, per lo più tra i 20 e i 30 anni, che hanno potuto assistere all’esibizione del cantante. Vestiti di tutto punto per l’occasione, si scorgevano inizialmente sui loro volti una certa diffidenza verso l’iniziativa che, però, quanto meno, permetteva loro di stare fuori cella per circa 2 ore in compagnia di un cantante e di una musica di cui, probabilmente, non sapevano molto. Perciò, qualsiasi genere musicale sarebbe stato per loro una novità. E l’atteggiamento iniziale, infatti, è apparso soprattutto quello di curiosità. Nell’aria, all’inizio, si respirava un po’ di tensione tra gli organizzatori, cantante compreso. Dennis Fantina, a sorpresa, ha scelto di entrare in scena dall’ingresso della Chiesa, quindi alle spalle del pubblico. All’improvviso. Senza alcun preavviso. In quel momento, è partito qualche battito di mani, è partito pure qualche fischio e qualche sberleffo ha suggellato l’istante. L’artista, per rompere il ghiaccio, ha cantato subito due brani, di seguito, senza interrompersi. Poi si è fermato e, rivolgendosi direttamente a loro, con cuore in mano e disarmato di qualsivoglia forma pubblicitaria, ha detto con un po’ di timidezza e sincerità: “È la prima volta che canto in un carcere. Ed è - credo - la prima volta che sento un’emozione così forte nel cantare, e ciò mi coglie impreparato. Permetterete, dunque, qualche gaffe. L’unica cosa che davvero spero è di riuscire, con la mia musica, a donare a ciascuno di voi due ore di sano svago o anche soltanto di semplice allegria”. A quel punto, è esploso un applauso scrosciante, questa volta vero, forte e, forse, del tutto inaspettato. L’artista, a quel punto, si è come caricato per l’incoraggiamento ricevuto e si è lasciato andare, oltre che al canto, anche a un simpatico show durante il quale, non senza una iniziale fatica, ha cercato di coinvolgere tutti i presenti. Ha invitato tutti a cantare con lui, a emozionarsi con lui e anche a urlare con lui. Il Direttore del carcere, Cosimo Giordano, nel sentire dal suo ufficio questo insieme di voci forti e decise, si è precipitato a vedere cosa stesse accadendo e, a quel punto, con gioia, si è fermato anche lui a seguire l’intero concerto. Cantavano tutti! Ma il più è avvenuto quando Dennis Fantina ha cominciato a cantare la più nota canzone di Massimo Ranieri: Perdere l’amore. Erano tutti completamente assorti a dare voce alla loro voce: “Perdereee l’amoreee… quando si fa seraaa....”. Insieme, in piedi urlavano l’amore. Droghe: il Dipartimento per le politiche antidroga ed i compiti sottratti alle Regioni di Mario German De Luca (Coordinamento Nazionale Nuove Droghe) Il Manifesto, 23 giugno 2010 Esisteva, un tempo, il Fondo nazionale lotta alla droga. Istituito dal Testo unico 309 del ‘90, è stato gestito interamente dai governi fino all’emanazione della legge 45 del ‘99 che ne ha disposto il trasferimento alle Regioni per il 75% ed ha riservato allo Stato il 25%. Con l’approvazione della legge 328/2000 e, subito dopo, con la modifica del Titolo V della Costituzione italiana, la quota del 75% destinata alle Regioni è confluita nel Fondo nazionale politiche sociali che la legge finanziaria del 2002 ha attribuito alle Regioni “senza vincolo di destinazione”. Da quel momento le Regioni si sono regolate, più o meno saggiamente, per la destinazione delle risorse dedicate alla droga all’interno del Fondo regionale politiche sociali. Il restante 25% è stato a volte sacrificato, a volte saccheggiato, a volte stornato dalla destinazione prevista e mai abolita. Quest’anno il Dipartimento per le politiche antidroga ha reperito oltre 26 milioni di euro con i quali ha elaborato un “Piano dei Progetti 2010”. Una prima questione è l’apparente distanza tra il complesso dei progetti previsti ed i compiti istituzionali del Dipartimento. Nel testo si legge che il Dipartimento ha “realizzato interventi a tutto campo” e, dall’esame delle schede dei 49 progetti, l’affermazione appare vera. Tuttavia il Decreto istitutivo del nuovo Dipartimento, dell’ottobre 2009, dice che esso deve “promuovere, indirizzare e coordinare l’azione di Governo” ... “nonché promuovere e realizzare attività di collaborazione con le pubbliche amministrazioni competenti nello specifico settore, le associazioni, le comunità terapeutiche, i centri di accoglienza”. Quindi le attività, secondo il nostro ordinamento, sono compito dei soggetti specificatamente indicati, ed il Dipartimento ha il compito di coordinare e collaborare. Ora, la funzione di una quota nazionale di risorse dovrebbe essere quella di favorire interventi nel campo della prevenzione, della cura, della riabilitazione e del reinserimento dei tossicodipendenti, svolti dai soggetti deputati. La funzione di collaborazione del Dipartimento si sostanzia, sempre secondo il Decreto istitutivo, nel provvedere “alla raccolta della documentazione sulle tossicodipendenze, alla definizione e all’aggiornamento delle metodologie per la rilevazione, l’elaborazione, la valutazione ed il trasferimento all’esterno delle informazioni sulle tossicodipendenze”; “cura, inoltre, la definizione ed il monitoraggio del Piano di azione definendo e concretando forme di coordinamento e strategie di intervento con le regioni, le province autonome e le organizzazione del privato sociale accreditato”. Cercando di semplificare: il Dipartimento non attiva (non dovrebbe attivare) interventi, ma collabora e coordina le attività con i soggetti elencati nel Decreto, le Regioni in testa. Al contrario, nella presentazione del Piano, il Capo del Dipartimento, Giovanni Serpelloni scrive che si è voluto interrompere la consuetudine per cui la gestione tecnica e finanziaria era totalmente delegata alle Regioni poiché i progetti erano troppo localizzati, poco valutabili e privi di coordinamento. Non mi addentro sulla legittimità delle scelte di cui dovrebbero dolersi le Regioni; sottolineo soltanto che la volontà di non delegare alle Regioni non può significare la loro esclusione quasi totale, come avviene nel Piano Progetti 2010 (ad eccezione della Regione Sardegna che ha la titolarità del progetto di reinserimento sociale); magari utilizzando la scorciatoia del coinvolgimento diretto delle Aziende Sanitarie ed ingaggiando altri soggetti come le organizzazioni internazionali, Università e centri di ricerca, le Ferrovie dello Stato, ecc. Lo spazio limitato di questa rubrica non consente di entrare nel merito dei 49 progetti, sui quali sarà opportuno che si esprima l’intera policy community. Una sola annotazione: a parte che dovrebbe essere il Ministero della salute a promuovere studi e ricerche (secondo l’articolo 2 Dpr 309/90), la presenza di molti progetti di ricerca (in gran parte nell’ambito delle neuroscienze) non centrati, come prescritto dal decreto istitutivo del Dipartimento, nel campo dell’incidentalità correlate all’uso di droga e alcol, sottrae risorse ai compiti prioritari del Dipartimento. Droghe: Corleone; le ricerche sulle droghe illegali in Italia al servizio del pensiero unico del potere Ansa, 23 giugno 2010 “Carlo Giovanardi, il piccolo zar antidroga, ha capito che la retorica sulla devastazione morale prodotta dai consumi di sostanze stupefacenti aveva stufato e così ha pensato bene di annunciare trionfalmente che i consumatori in un anno sono diminuiti di un milione! Le ricerche sulle droghe illegali in Italia sono quasi sempre al servizio del pensiero unico del potere, i sondaggi poi con tutta evidenza hanno un tasso di errore assai alto per la paura che l’illegalità produce”. Lo afferma Franco Corleone, segretario di Forum Droghe. “Con la diffusione di test di ogni tipo - continua - a partire da quelli ai lavoratori con il rischio di licenziamento, chi si azzarderebbe a confessare il “vizio” o la “malattia” come giudica Giovanardi stili di vita e comportamenti che non capisce? In compenso, Giovanardi capisce bene le ragioni del lambrusco e quindi può essere soddisfatto della sostituzione del consumo della canapa con quello dell’alcol”. “Dai dati comunicati nella conferenza stampa pare scomparso il problema del numero immenso di tossicodipendenti e di consumatori o piccoli spacciatori in carcere. Le carceri esplodono e la linea dell’ottimismo cancella una tragedia quotidiana: è un altro volto del cinismo dopo quello manifestato contro Stefano Cucchi. L’ultima nota di colore è il commento di Berlusconi di elogio all’opera del Governo per il danno provocato alla mafia. È mancato solo un pensiero di solidarietà a don Gelmini, protettore dei deboli” conclude Corleone. Libia: Amnesty; torture, detenzioni abusive, sparizioni di dissidenti, migranti incarcerati e giustiziati La Stampa, 23 giugno 2010 Un rapporto di Amnesty International appena uscito e dedicato alla situazione dei diritti umani in Libia permette di capire meglio la situazione di uno dei “partner” prediletti dell’Italia, assai coccolato per il suo ruolo nella lotta all’immigrazione clandestina e per molteplici alleanze economiche. Malgrado il colonnello Gheddafi nelle sue visite italiane ostenti liberalità il rapporto, intitolato ‘La Libia di domani: quale speranza per i diritti umani?’, denuncia abitudini assai poco liberali come il ricorso alle frustate per punire le adultere, la detenzione a tempo indeterminato e le violenze nei confronti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati così come i casi irrisolti di sparizioni forzate di dissidenti. Tutto questo nella totale impunità interna e nella assordante indifferenza degli “amici”. In particolare, Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International, appunta l’attenzione sull’Agenzia per la sicurezza interna (Asi), che pare avere “poteri incontrastati di arrestare, imprigionare e interrogare persone sospettate di essere dissidenti o di svolgere attività legate al terrorismo. Queste persone possono essere trattenute senza contatti con l’esterno per lunghi periodi di tempo, torturate e private dell’assistenza legale”. Ricorda un po’ Guantamano, e non è un confronto edificante e nemmeno una scusa. Centinaia di persone in Libia restano in prigione anche dopo la fine della pena o dopo essere state assolte da un giudice. Amnesty cita il caso di Mahmut Hamed Matar, in prigione dal 1990. Dopo 12 anni di carcere in attesa di giudizio, è stato condannato all’ergastolo al termine di un processo gravemente irregolare, in cui sono state utilizzate come prove dichiarazioni rese sotto tortura. Suo fratello, Jaballah Hamed Matar, un dissidente, è stato vittima di sparizione forzata nel 1990 al Cairo, Egitto. Le autorità libiche non hanno fatto nulla per indagare sulla sua scomparsa. Nel corso della sua visita alla prigione di Jdeida, nel maggio 2009, Amnesty International ha incontrato sei donne condannate per “zina” (relazione sessuale tra un uomo e una donna al di fuori di un matrimonio legale). Quattro erano state condannate a periodi di carcere tra tre e quattro anni, le altre due a 100 frustate. Altre 32 donne erano in attesa del processo per la medesima imputazione. Mouna è stata arrestata nel dicembre 2008 dopo aver partorito. La direzione ospedaliera del Centro medico di Tripoli avrebbe informato la polizia che c’era stato un parto al di fuori del matrimonio. Mouna è stata arrestata mentre era ancora ricoverata, sottoposta a un breve processo e condannata a 100 frustate. Naturalmente il grande alibi è la mitica guerra al terrore. All’indomani degli attacchi dell’11 settembre 2001 negli Usa, le autorità libiche hanno fatto ricorso a questo argomento per giustificare la detenzione arbitraria di centinaia di persone considerate voci critiche o una minaccia alla sicurezza nazionale. E gli Usa hanno volentieri rinviato in Libia alcuni cittadini libici, precedentemente detenuti a Guantánamo o in carceri segrete. Tra questi, Ibn Al Sheikh Al Libi, che si sarebbe poi suicidato nel 2009 nella prigione di Abu Salim. Nessun particolare delle indagini condotte sulla sua morte è stato reso noto, qui la privacy funziona a meraviglia. I cittadini libici sospettati di attività legate al terrorismo rimandati nel paese continuano a rischiare la detenzione senza contatti con l’esterno, la tortura e processi gravemente irregolari. Amnesty International, prosegue il rapporto, ha riscontrato un modesto aumento della flessibilità delle autorità libiche nei confronti di coloro che le criticano. Dalla fine del giugno 2008, hanno permesso lo svolgimento delle proteste da parte delle famiglie dei prigionieri uccisi nel 1996 ad Abu Salim, il carcere in cui si ritiene che fino 1200 detenuti siano stati vittime di esecuzioni extragiudiziali. Gli attivisti per i diritti umani, tuttavia, subiscono ancora persecuzioni e arresti mentre le autorità continuano a non rispondere alla loro richiesta di verità e giustizia. Negli ultimi due anni, la Libia ha rilasciato una quindicina di prigionieri di coscienza ma non li ha risarciti per le violazioni subite nè ha riformato le draconiane norme che limitano severamente i diritti alla libertà d’espressione e di associazione. E in quanto ai migranti, rifugiati e richiedenti asilo, in maggior parte provenienti dall’Africa e in cerca di salvezza in Italia e in altri paesi dell’Unione europea che volentieri li consegnano all’amico Gheddafi, ebbe in Libia trovano ad aspettarli arresti, detenzioni a tempo indeterminato e violenze. Il Paese infatti non ha firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sullo status di rifugiato dl 1951 e ha le mani libere. Per eliminare l’ultimo possibile testimone all’inizio di giugno le autorità libiche hanno comunicato all’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati che doveva lasciare il Paese. La pena di morte continua a essere usata in modo massiccio, in particolar modo nei confronti dei cittadini stranieri, e può essere applicata per un’ampia gamma di reati, comprese attività che corrispondono al pacifico esercizio dei diritti alla libertà d’espressione e d’associazione. Il direttore generale della polizia giudiziaria ha informato Amnesty International che, nel maggio 2009, i prigionieri nei bracci della morte erano 506, circa la metà dei quali cittadini stranieri. “I partner internazionali della Libia non possono ignorare l’agghiacciante situazione dei diritti umani in nome dei loro interessi nazionali - dice Hassiba Hadj Sahraoui. Come membro della comunità internazionale, la Libia ha la responsabilità di rispettare gli obblighi in materia di diritti umani e occuparsi delle violazioni anziché nasconderle. La contraddizione di un Paese che contemporaneamente fa parte del Consiglio Onu dei diritti umani e rifiuta le visite dei suoi esperti indipendenti sui diritti umani, è stridente. Il rapporto diffuso oggi e aggiornato fino a metà maggio 2010, è basato in parte su una visita di Amnesty International in Libia, la prima in cinque anni, durata una settimana nel maggio 2009. La visita era stata preceduta da lunghi negoziati con le autorità di Tripoli. Amnesty International aveva chiesto di visitare non solo la capitale ma anche le città del Sud-est e dell’Est del paese. Alla fine, l’itinerario è stato limitato a Tripoli e a una breve visita a Misratah. La visita è stata facilitata dalla Fondazione internazionale Gheddafi per la beneficienza e lo sviluppo, un organismo diretto da Saif al-Islam al-Gheddafi (figlio del leader libico, il colonnello Mùammar al-Gheddafi) che ha agevolato l’accesso di Amnesty International in alcuni centri di detenzione e collaborato ad assicurare il rilascio di alcuni detenuti. I delegati di Amnesty International hanno discusso con alti funzionari governativi le preoccupazioni di lunga data per le violazioni dei diritti umani, hanno incontrato esponenti delle istituzioni della società civile e ottenuto di visitare alcuni prigionieri detenuti per motivi di sicurezza o in quanto migranti irregolari. Le autorità competenti per la sicurezza hanno impedito ai delegati di Amnesty International di recarsi a Bengasi, come invece previsto, per incontrare i familiari di vittime di sparizioni forzate e hanno negato loro di visitare svariati prigionieri. Nell’aprile 2010, Amnesty International ha inviato le sue conclusioni alle autorità libiche dicendosi disponibile a integrarle con eventuali osservazioni da parte loro, ma non ha ricevuto alcuna risposta. Canada: la “tolleranza zero” con la criminalità costa 2 miliardi di dollari in 5 anni Ansa, 23 giugno 2010 La politica dei conservatori “tolleranza zero” con la criminalità costerà un bel po’ di soldi ai contribuenti. Lo ha detto ieri Kevin Page, funzionario per il budget parlamentare, che durante una conferenza stampa ha fornito numeri e fatto conti. Solo per il Truth in Sentencing Act, ha detto Page, il governo spenderà 1.8 miliardi di dollari che, distribuiti in cinque anni, graveranno sul bilancio per 363 milioni annui. “Sono tanti soldi in un periodo in cui si continua a produrre deficit”, ha commentato Page. Secondo il suo rapporto, aumenterà anche il tempo medio che un detenuto trascorrerà in prigione, che passerà da 563 a 700 giorni, facendo salire anche il numero dei prigionieri, che, da quota 13.304 arriverà a 17.000. L’aumento, precisa Page, richiederà la costruzione di 4.000 nuove celle. E questo, come ha tenuto a precisare, solo per quanto riguarda il livello federale. L’impatto sul sistema giudiziario delle Province, infatti, sarà addirittura duplicato. Paraguay: popolazione compra televisori ai detenuti, perché possano vedere mondiali Sudafrica Ansa, 23 giugno 2010 Il Direttore del carcere paraguayano di Asuncion, Julio Azevedo, ha reso noto nei giorni scorsi che i duemila detenuti del carcere potranno vedere le partite dei mondiali di calcio grazie alla generosità della popolazione della capitale. I cittadini di Asuncion, infatti, hanno partecipato ad una sottoscrizione pubblica con offerte di danaro o regalando direttamente televisori, al fine di permettere ai detenuti di vedere i mondiali sudafricani. Ovviamente la notizia ha provocato l’entusiasmo dei duemila reclusi.