Giustizia: ma l’ergastolo non è peggio della pena di morte? di Ferdinando Camon La Stampa, 19 giugno 2010 È stato ucciso mediante fucilazione un detenuto dello Utah condannato a morte nel 1985 per duplice omicidio. L’esecuzione solleva nel pubblico americano un’ondata di soddisfazione, riassumibile nel motto: meglio tardi che mai. Tutti sentono la morte come una pena più grave dell’ergastolo. La morte è la vera pena, spietata e totale, l’ergastolo è una mezza grazia. Eppure gira in questi giorni per il mondo un film bellissimo, premio Oscar 2010 come miglior film straniero, imperniato proprio su questo problema: il protagonista vuol far condannare chi ha ucciso la sua donna, ci riesce, gli danno l’ergastolo, ma purtroppo diventa un collaboratore della polizia (siamo in Argentina, con i militari al potere), e ben presto esce, libero, protetto, armato. Che fare? Il protagonista ha una sola scappatoia: farsi giustizia da sé. E come? Ammazzandolo? Potrebbe: lo cattura, lo porta in campagna, passa un treno sferragliante, gli punta una pistola alla testa, spara. Nessuno sente niente, giustizia è fatta. Ma non va così. Lui non si accontenta di condannarlo a morte. Troppo poco. Lui vuole l’ergastolo. Non vuole ucciderlo una volta, ma ucciderlo ogni giorno. Non vederlo morire e amen, ma vederlo morire minuto per minuto, all’infinito. E questo lo dà soltanto l’ergastolo. Da quando il colpevole gli ha ucciso la compagna, lui soffre una sofferenza che non finisce mai, ed esclama: “Io soffro all’infinito, pagherei per morire in un attimo”. Perciò cattura l’assassino, lo nasconde in un casolare sperduto, lo chiude a chiave, lo guarda ogni giorno per anni e lo ascolta implorare di essere ucciso. L’ergastolo è una morte interminabile, che ti fa sognare la morte istantanea come un regalo della pietà. Il condannato dello Utah aveva ucciso un barista, poi durante il processo aveva ucciso un giudice. Particolare importante: i famigliari del giudice chiedevano l’ergastolo, i famigliari del barista chiedevano la morte. Perciò i binomi sono: cultura ed ergastolo, incultura e morte. Ottenuta la morte, i famigliari del barista hanno espresso soddisfazione. Non l’hanno visto morire, non gli è stato concesso. Questa era un’esecuzione diversa, mediante fucilazione. Nella fucilazione, coloro che sparano (in questo caso, cinque) non sanno chi di loro uccide e chi no. Così dicono i giornali. In realtà lo sanno. Perché c’è un fucile (uno su cinque) caricato a salve, senza pallottola, ma chi spara quel colpo se n’accorge, perché non essendoci il proiettile che parte il fucile non dà il contraccolpo sulla spalla. Se colui che spara è d’accordo sulla condanna a morte, gode del contraccolpo. Se non vuole uccidere, gode del colpo a salve. Ho visto il film, s’intitola “Il segreto dei suoi occhi”, e mi ha colpito una cosa: tutti gli spettatori (la sala era piena), uscendo, commentano con soddisfazione la tesi, e dunque sì, per tutti, l’ergastolo è peggio della morte, come pena. Ed è meglio come redenzione: questo condannato dello Utah viene descritto come “detenuto modello”. Dall’85 ad oggi sono passati 25 anni. Un quarto di secolo. In un quarto di secolo è morto, in carcere, l’uomo-assassino ed è nato un uomo-modello. Con l’ergastolo si poteva tenerlo ancora in carcere, a super-redimersi, visto che redento lo è già. La fucilazione non è una redenzione più completa. È soltanto un altro omicidio. E dunque anche io, al quesito iniziale, rispondo: sì, rispetto alla morte l’ergastolo appare una pena più crudele. Giustizia: Alfano; “no” amnistie e indulti, accelerare lavori per adeguamento degli istituti di pena Panorama, 19 giugno 2010 Martedì 15 giugno intorno alle 10 del mattino, prima di imbarcarsi all’aeroporto di Ciampino sull’Airbus A-319 del 31° stormo dell’Aeronautica militare che l’avrebbe portato a New York, Angelino Alfano ha fatto i compiti. Con la solita diligenza. E con quel piglio da secchione che, complice l’espressione da primo della classe che siede al primo banco, si porta dietro. Esaurite le firme su una pila di carte da siglare, s’è avviato contento verso la scaletta dell’aereo. “Oggi la giornata è iniziata bene: la polizia ha arrestato un camorrista di peso in Campania (Nicola Schiavone jr, ndr) e io, nel mio piccolo, ho prorogato un bel po’ di 41 bis (il carcere duro per i boss, ndr). Direi che possiamo andare”. Alfano, con il ministro dell’Interno Roberto Maroni e con il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, va in America per celebrare Giovanni Falcone e, giovedì 17 giugno, ha potuto aggiungere un altro tassello alla carriera di enfant prodige essendo il primo ministro della Giustizia della storia chiamato a intervenire all’assemblea delle Nazioni Unite Per parlare del giudice eroe “Già, il mio eroe...”. Alfano riflette ad alta voce: “In maggio ho compiuto due anni da ministro. Ho vissuto l’evento alle Nazioni Unite in maniera molto particolare quasi intimo. L’idea della Convenzione di Palermo firmata nel 2000, cioè di un atto di giustizia legato alla lotta alla criminalità organizzata che porta il nome di questa città, di un magistrato nato e morto in questa città per mano di mafia, rappresenta nel suo anniversario la ragione profonda anche dell’impegno di quella che fu la gioventù antimafia della mia generazione, che forse è la prima a cogliere i frutti della lotta alla mafia”. Quali frutti, in concreto? Cito fatti. Nella lotta alla mafia siamo già ai risultati concreti dopo solo due anni di lavoro. Non siamo ai progetti, ai proclami, non siamo alle dichiarazioni d’intenti. Lo ripeto: siamo ai risultati. E sono i risultati di una strategia, sempre sostenuta dal presidente Berlusconi, che viene indicata come modello a livello internazionale Lo scorso anno presiedemmo il G8 giustizia in cui venne adottato nella risoluzione finale il nostro impianto legislativo come linea guida per il contrasto alla criminalità organizzata nel mondo. Rispedisce al mittente le lezioni di antimafia, quindi? La nostra antimafia è reale non è fatta di chiacchiere. E glielo dimostro. Prorogo i 41 bis, ne applico di nuovi e in alcuni casi ho riapplicato, assumendone la responsabilità, il 41 bis a mafiosi cui i tribunali di sorveglianza li avevano revocati e ho continuato a vivere sotto scorta nella città dove abitano i loro parenti, i cugini, i fratelli, gli affiliati. Mi hanno più volte minacciato, ma non mi hanno mai spaventato. Sono fiero di aver posto la mia firma sotto quei provvedimenti. Credo in quel che faccio e ci metto la faccia. Ha ancora un attimo di pazienza? Certo, perché? Vorrei ripetere ancora una volta che la mia generazione è stata segnata dagli assassinii dei servitori dello Stato, uccisi tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Novanta. Con lo spirito e il sentimento di chi appartiene a una generazione che porta quelle cicatrici, ho proposto e sostenuto norme antimafia delle quali si sentiva urgenza e necessità, tanto che sono state immediatamente applicate. E adesso è in arrivo il primo codice antimafia che regolerà tutti i provvedimenti sulla criminalità organizzata, mettendo fine a interpretazioni improvvisate In due anni sono stati sequestrati dalle forze dell’ordine patrimoni criminali per 11 miliardi di euro. Sui latitanti la caccia è senza tregua e ogni giorno il ministro Maroni riformula la classifica dei latitanti più pericolosi, perché i componenti della top 30 o della top 100 vengono arrestati. E allora voglio dire chiaramente un concetto ai custodi dell’ortodossia antimafia: non dividiamoci. Le parole sono importanti e sono molto, ma non sono tutto, anzi. Chi governa è chiamato ai fatti: è al tempo stesso il rischio e la sfida del potere. Se i fatti non arrivano, ti diranno che hai solo parlato: noi abbiamo il privilegio, invece, di potere usare le nostre parole per raccontare i fatti e le leggi dell’antimafia. Del resto c’è stato un tempo in cui si negava l’esistenza della mafia e anche i legami con la politica: lì le parole erano importanti perché servivano ad affermare un fatto e cioè l’esistenza della mafia. Oggi è bene usare le parole dell’antimafia per dare speranza e dire con Falcone, che come tutti i fatti umani anche la mafia ha avuto un inizio e avrà una fine Può dunque assicurare che con la nuova legge sulle intercettazioni non cambia niente nelle indagini antimafia? Certamente: per mafia e terrorismo resta tutto com’è. E i reati cosiddetti satelliti o spia, cioè quelli da cui si può avviare indagine per poi arrivare alla mafia - potenzialmente tutti - potranno essere intercettati anch’essi perché non un solo reato è stato sottratto al catalogo di quelli per i quali è possibile intercettare Anzi ne abbiamo aggiunto uno rispetto a quelli attualmente ammessi all’intercettazione e cioè lo stalking. Davvero pensa che l’autorizzazione alla proroga di 72 ore in 72 ore non sia farraginosa, con il rischio di complicare inutilmente il lavoro degli inquirenti? Intanto cominciamo a specificare che la proroga serve quando si supera il tetto dei 75 giorni di ascolto che potranno essere utilizzati dai magistrati anche non consecutivamente nell’ambito di diciotto mesi di indagini. E comunque la proroga potrà essere fatta per mail, potrà essere rinnovata di volta in volta proprio per acquisire la prova regina. Questa norma nasce proprio perché ci avevano detto: cosa accade se la prova regina rischia di materializzarsi il 76° giorno? La colpisce sapere che Carlo Federico Grosso, già vicepresidente del Csm in quota sinistra, ha bollato come “eversivo” il suo disegno di legge? In materia di giustizia vi è un fronte molto ampio a difesa dello status quo, la riforma della giustizia sarà una grande sfida tra chi vuole lasciare le cose così come stanno - e stanno messe male - e chi vuol cambiare. Nell’ambito del primo schieramento c’è anche la categoria di chi dice di volere cambiare e poi si oppone a qualsiasi ipotesi di innovazione È un modo per non apparire retroguardia culturale e invece esserlo sul piano reale. Vi è stata da parte del Pd una pervicacia conservatrice. Offro due argomenti a sostegno della mia tesi. Il primo è davanti agli occhi di tutti: non gliene va mai bene una e sfida anche le leggi della statistica... Poiché il governo ha fatto molte proposte, e qualcuna di buon senso ci sarà pure stata, non si capisce perché loro dicano “no”, dicano sempre e solo “no”. L’altro argomento è quello che si fonda sui precedenti: sono stati al governo dal 1996 al 2001 e dal 2006 al 2008, cioè sette anni. Nessuno ha memoria di rilevanti riforme della giustizia. Se davvero avessero voluto, avendo delle idee riformatrici, avrebbero potuto applicarle. E invece siamo all’afasia del riformismo di sinistra, alla stroncatura delle voci dissenzienti in materia di giustizia e all’appiattimento evidente: basta confrontare i rispettivi comunicati stampa tema per tema tra sinistra italiana e Associazione nazionale magistrati. Se si vuole conoscere la posizione della sinistra, basta leggere i documenti della giunta esecutiva centrale dell’Anni. Non è necessario sforzarsi e almanaccare troppo per sapere quali siano le posizioni della sinistra. Eversivo, dicevamo prima. In realtà è uno degli aggettivi meno crudi usati nei confronti suoi e del ddl che porta il suo nome. Che effetto le fa? È come se vi fosse uno slittamento del linguaggio, degli aggettivi e dei toni sempre verso le iperboli. Non si condivide il ddl? Si dice che è incostituzionale. Non si vuole entrare nel merito di una proposta? Si evoca l’irragionevolezza sostenendo le impugnative verso la Corte costituzionale. Si propone una maggiore autonomia investigativa delle forze di polizia giudiziaria rispetto al pm, come è stato per 40 anni prima dell’entrata in vigore del nuovo Codice di procedura penale? Siamo al sovvertimento della democrazia. A proposito di iperboli, alla Camera, il Pd ha minacciato: “Sarà un Vietnam”. Lei vuole fare Rambo? Ma lasciamo perdere Rambo, Zorro e gli altri. Già in prima lettura alla Camera questo ddl è passato nelle votazioni a scrutinio segreto, tra cui quella sulla pregiudiziale di costituzionalità e il voto finale, con una maggioranza superiore a quella che sostiene il governo in Parlamento. Non è stata una passeggiata, ovvio, ma alla fine abbiamo raccolto consensi anche nel campo dell’opposizione Abbiamo sempre difeso le nostre idee a petto in fuori e con trasparenza perché siamo convinti che se si crede in qualcosa bisogna difenderla. E lo faremo anche questa volta. Perché in Italia si verificano abusi della privacy che non hanno eguali in altre parti del mondo. Bene: noi difendiamo la libertà e la segretezza delle comunicazioni personali che come dice la nostra Costituzione all’articolo 15, sono inviolabili. Difendiamo il primato del Parlamento e delle sue leggi rispetto a interpretazioni che ne snaturano e tradiscono la ratio. La legge vigente sulle intercettazioni è un’ottima legge perché dice che si possono fare quando sono assolutamente indispensabili alla prosecuzione delle indagini... Mi perdoni: ma se c’è un’ottima legge, che bisogno c’era di cambiarla? Per un motivo semplice: l’ottima legge purtroppo è stata violata troppe volte. Altro che intercettazioni assolutamente indispensabili: le “intercettazioni a strascico” sono diventate la regola, i costi sono andati alle stelle senza alcun controllo e le rivelazioni del segreto istruttorio sono sempre più condite dall’impunità di chi quel segreto ha violato. Qualcuno ricorda un’indagine andata a buon fine per la rivelazione di un segreto istruttorio? Eppure la violazione del segreto è un danno alle indagini, se non un sabotaggio. Quando accade tutto questo assistiamo allo straordinario fenomeno dell’evanescenza. Eh? L’evanescenza delle tante anime belle, dei professionisti degli appelli su giornali e in tv, degli indignati in servizio permanente effettivo: spariscono d’incanto... puff... E le vittime della violazione del segreto restano sole con il loro dramma individuale di persone svergognate in pubblico senza neanche un’indagine a loro carico. Eppure il presidente della Camera, Gianfranco Fini, dice che non c’è fretta... Questa è una legge che si trova in Parlamento da due anni: finora non abbiamo avuto fretta. E infatti siamo in ritardo nell’attuazione di un punto scritto chiaro e tondo nel programma. Vietnam a parte, giudica pregiudiziale la posizione del Pd? Ragioniamo. Ci sono in ballo tre principi costituzionali e tre valori: c’è il diritto-dovere dei pm di promuovere l’azione penale (articolo 112), quello di manifestazione del pensiero e cioè della libertà di stampa (art. 21) e quello della privacy (art. 15). Il Pd si occupa dei primi due perché si preoccupa di due lobby molto potenti: giornalisti e magistrati. Noi ci occupiamo di tutti i cittadini che tengono alla loro riservatezza e conferiamo al loro diritto la stessa dignità rispetto agli altri due. Non ci sono diritti costituzionali di serie B. A volere dirla tutta, quello alla privacy è un diritto inviolabile. Attenzione: l’espressione “inviolabile” si trova in Costituzione solo tre volte, e cioè per la tutela della libertà personale, del domicilio e della privacy. C’è un avverbio, dimenticato da tutti, citato nell’articolo 111 della Costituzione: è l’avverbio “riservatamente” e riguarda il giusto processo. I cittadini hanno cioè il diritto di essere informati “riservatamente” delle accuse che li riguardano. L’articolo 111 è dolosamente calpestato, ogni giorno, anche da chi dovrebbe tutelare quel diritto. Dopo le minacce ricevute dal senatore Maurizio Gasparri in seguito all’approvazione del disegno di legge, lei ha paventato il pericolo di un ritorno a periodi bui della Repubblica. Non ha esagerato? No e le dico perché. Quando l’avversario politico viene additato come il Male, nella mente fragile di un pazzo o di un invasato può insinuarsi la tentazione che eliminando fisicamente il Male si affermi il Bene. Ogni estate esplode il problema carceri. La sensazione è che, in Italia, ci sia poca pietà per chi attende - spesso da innocente - un processo e molta misericordia quando la pena diventa definitiva tra benefici, sconti e indulti... Sono d’accordo. E sono convinto che bisogna capovolgere la situazione per assicurare la certezza della pena dopo la condanna mentre la custodia cautelare, che arriva prima del processo e quando il reato è da dimostrare, non deve diventare una sorta di pena preventiva. Nelle nostre carceri, oggi, la presenza di detenuti in attesa di giudizio è del 44 per cento; e il 22 per cento è in attesa del giudizio di primo grado. Il tutto, lo dico con chiarezza, avviene in una grave condizione di sovraffollamento, caratterizzato dalla presenza di 24 mila stranieri: basta fare una semplice operazione matematica per capire che le nostre carceri sarebbero sufficienti se ospitassero solo la “popolazione” carceraria italiana. Anche a questo serviranno le nuove carceri in arrivo: non è possibile immaginare la funzione rieducativa della pena o affermare che i trattamenti detentivi non possono essere contrari al senso di umanità senza intervenire sulla condizione di vita effettiva negli istituti. Per questo abbiamo ribadito più volte il nostro “no” ad amnistie e indulti, e imboccato la strada dell’accelerazione dei lavori in corso per l’adeguamento degli istituti di pena. Giustizia: Commissione Senato; tagli della manovra economica mettono a rischio carceri e tribunali Apcom, 19 giugno 2010 La manovra economica mette a “rischio” lo standard qualitativo dell’amministrazione della Giustizia. Lo si legge nel parere espresso dalla commissione Giustizia del Senato. Il parere è di “nulla osta” con due osservazioni, ma la premessa esprime tutta la “preoccupazione” sui tagli previsti in manovra per il comparto. La Commissione, esprime “preoccupazione per la prevista riduzione di 140 milioni di euro nel triennio degli stanziamenti della Missione 6 - giustizia, riduzione che si va ad aggiungere al taglio di oltre 327 milioni di euro operato nella precedente finanziaria e alle riduzioni degli anni precedenti, e che rischia di determinare un significativo decremento dello standard qualitativo dell’amministrazione della giustizia, in quanto alla predetta Missione sono ricondotti quattro programmi cruciali quali quello dell’amministrazione penitenziaria, quello della giustizia civile e penale, quello della giustizia minorile e dell’edilizia giudiziaria, penitenziaria e minorile”. Giustizia: Pedica (Idv); Alfano irresponsabile, promette assunzioni senza avere copertura finanziaria Il Velino, 19 giugno 2010 “Alfano sta tenendo nei confronti della polizia penitenziaria un comportamento assolutamente irresponsabile: alla festa della polizia ha promesso duemila assunzioni e si è sconfessato il giorno dopo, così come sul ddl cosiddetto “svuota carceri” ha dovuto cancellare la norma sull’incremento di 3mila unità perché senza copertura finanziaria”. Lo afferma il senatore Stefano Pedica, segretario regionale dell’Italia dei valori Lazio, che la scorsa settimana ha effettuato un giro delle carceri del Lazio e nei prossimi giorni presenterà un dossier ad Alfano. “Come è possibile ingannare così gli agenti di polizia penitenziaria? Ma Alfano lo sa che, dato il grave sotto organico, ogni agente deve controllare di media 70 carcerati e non gli vengono nemmeno pagati gli straordinari a cui sono costretti per garantire la sicurezza? È scandaloso il disinteresse del ministro proprio oggi che le camere penali hanno denunciato le violazioni dei diritti dei detenuti e il Sappe ha annuncia che gli incontri familiari potranno saltare d’estate per l’emergenza affollamento. Se, come diceva Tolqueville, il grado di civiltà di un Paese si misura dalle condizioni delle sue carceri, l’Italia, con il suo Ministro, è davvero un paese incivile”. Giustizia: avvocati denunciano sovraffollamento nelle carceri, perché i magistrati restano in silenzio? di Riccardo Arena www.radiocarcere.com, 19 giugno 2010 Roma, 18 giugno - Quali sono le condizioni di salute dei quasi 70 mila detenuti italiani? Gli spazi previsti per legge sono garantiti? Hanno acqua per lavarsi, luce a sufficienza, coperte, spazi per incontrare i parenti, occasioni per lavorare? Quanto dura veramente l’ora d’aria? È per ottenere risposte a queste domande che oggi in tutta Italia le Camere penali territoriali depositano alle varie procure della Repubblica e alla magistratura di sorveglianza una denuncia-esposto a tutela dei diritti dei detenuti, compromessi dalle conseguenze del dramma del sovraffollamento. “Circa 68 mila detenuti - ricorda il responsabile dell’Osservatorio Carcere Ucpi Roberto D’Errico - vivono in condizioni di estremo disagio nelle carceri italiane, a fronte di una capienza tollerabile di 44mila. Un tale affollamento mette in discussione la tutela della salute, il diritto alla vita di relazione, la possibilità di partecipare a programmi rieducativi. Il contesto di promiscuità in cui vivono i detenuti compromette l’equilibrio psico-fisico, la dignità di ciascuno in violazione dei principi costituzionali e delle norme dell’ordinamento penitenziario della legislazione speciale in materia di salute. Il crescente numero di morti e di suicidi in carcere, tra i più significativi in Europa, fotografa i segnali del crescente disagio nei penitenziari della Repubblica”. Con la denuncia-esposto rivolta alle competenti autorità, l’Ucpi intende “richiamare l’attenzione dei soggetti istituzionali responsabili della tutela dei diritti dei detenuti affinché pongano in essere tutte le iniziative idonee a garantire il rispetto del dettato normativo”. E, pertanto, “si impegna a proseguire la battaglia contro il sovraffollamento, sollecitando iniziative politiche e istituzionali capaci di formulare proposte concrete sul tema”. (fonte Agi) P.S. Una buona notizia, della serie meglio tardi che mai, con la speranza che anche l’Associazione Nazionali Magistrati voglia impegnarsi, non solo sul taglio agli stipendi dei magistrati o sulle intercettazioni, ma anche per combattere l’illegalità presente nelle carceri italiane. Illegalità che contamina, nella loro esecuzione, i provvedimenti restrittivi emessi dalla stessa magistratura. Lettere: c’è un garante e c’è un sindaco a Livorno di Franco Corleone Il Manifesto, 19 giugno 2010 Quando si realizza una buona idea, c’è sempre chi alza il dito per ammonire e rovinare la festa. È accaduto anche in occasione della decisione del sindaco di Livorno di rendere operativa l’istituzione della figura del Garante dei detenuti, deliberata dal Consiglio comunale, con la nomina di Marco Solimano, esponente dell’Arci impegnato da anni sui temi dell’esclusione sociale, delle droghe e dell’emarginazione. Il carcere di Livorno è un istituto difficile, che ha conosciuto episodi duri e che richiede un impegno straordinario proprio in questa stagione caratterizzata dai problemi che nascono dal sovraffollamento per riportarlo al rispetto delle regole della riforma penitenziaria. Scelta migliore il sindaco Cosimi non avrebbe potuto immaginare. La protesta dei garantisti a senso unico appare quasi un riflesso condizionato e non costituisce un problema. Suscita invece perplessità il fatto che su un quotidiano progressista, nelle pagine locali, si sia dato largo spazio a una stucchevole polemica sugli incarichi pubblici che sarebbero riservati ai protagonisti della tragica stagione della lotta armata. Ma è una contraddizione grave, per chi è impegnato nella difesa dei principi fondamentali della Costituzione, dimenticare che l’articolo 27 è un pilastro di una concezione della giustizia fondata sui valori dell’umanità e sul rifiuto della vendetta. Il monito per la messa al bando dei trattamenti inumani e degradanti, e l’affermazione delle pene finalizzate al reinserimento sociale del condannato, si richiama al diritto laico di Cesare Beccaria. Pensare che per certi reati il marchio dell’infamia non può mai essere rimosso rende l’omaggio alla Costituzione, se non strumentale, almeno formale e ipocrita. Questo rifiuto alla piena cittadinanza di chi non solo ha pagato per i propri errori ma, con la dissociazione, ha riconosciuto il valore dei principi della sacralità della vita e del ripudio della violenza, costituisce un tradimento della vittoria della democrazia. Al sindaco Cosimi, che ha confermato la sua decisione, esprimo incondizionata solidarietà. Milano: la Camera Penale presenta esposto a Procura; a San Vittore celle strapiene e vita disumana E-Polis, 19 giugno 2010 Tre esposti per provocare. Tre denunce per non far dimenticare. Tre richieste di attenzione per il popolo dei detenuti, costretti nella libertà, nel tempo per giustizia e nello spazio per ingiustizia. E così la Camera pe-nale di Milano e quelle di tutta Italia hanno pensato alla necessità di accendere una luce sul sovraffollamento delle carceri con la conseguente lesioni di diritti inviolabili come la salute. Prigioni come San Vittore che dovrebbe ospitare poco meno di 900 esseri umani e invece ne conchiude quasi il doppio. “L’iniziativa vuole provocare un effettivo accertamento della situazione di sofferenza determinata dal sovraffollamento in molte carceri italiane”. Vinicio Nardo, presidente dalla Camera penale ambrosiana, parla non solo da avvocato, ma anche da uomo di giustizia. “Abbiamo ritenuto di procedere con pubblici esposti nella speranza, nella convinzione e nell’intento di evitare che la nostra denuncia venga archiviata da chi può incidere sulla situazione del problema di cui l’ennesima doglianza il giorno dopo nemmeno si ricorda”. Quindi la denuncia arriverà sui tavoli del Procuratore capo, del presidente del Tribunale di Sorveglianza e del sindaco. Alla Procura perché “sia apprezzabile dal punto di vita penale; un pm ha il potere e il dovere di intervenire con efficacia per esempio davanti a una situazione di omissione”. Al Tribunale di Sorveglianza perché “l’esposto così concepito è destinato all’organo giudiziario che è deputato a entrare nelle carceri a regolamentare la vita dei detenuti. A Letizia Moratti perché “è responsabile delle condizioni di vivibilità della comunità e quindi anche di quella carceraria che ne fa parte anche se si tende a nascondere”. Quella del sindacato degli avvocati è una “un’iniziativa benemerita” dice interpellato da E Polis Luigi Pagano, provveditore alle carceri lombarde ed ex direttore di San Vittore: “Il carcere non dovrebbe essere trattato come una emergenza. È un pezzo della città irrinunciabile che fa parte della catena della sicurezza sociale vuoi come controllo vuoi come recupero dei detenuti. Ci dovrebbe essere attenzione costante a tutti i livelli sempre perché San Vittore è una realtà complessa di cui ci si accorge in via accidentale per casi eccezionali. Ci sono molti rimedi e molte strade percorribili una è quella del recupero delle belle anime perché la dignità e il recupero sono principi ispiratori della Costituzione e anche di noi amministratori”. Secondo Pagano “molti hanno dato e aiutato San Vittore, in altri casi no. È mancata una vigilanza attiva da parte della società ed è necessario un cambiamento culturale: molte norme sono tornate indietro, l’opinione pubblica deve sapere che per un detenuto che non rientra altri cento lo fanno. Bisogna dare a questi chance di reinserimento, di recupero. Questo non è buonismo”. Soprattutto se si pensa che la popolazione di San Vittore, che necessita di visite mediche, accoglienza e servizi, ogni sei mesi cambia. Palermo: il carcere non ha soldi, detenuti disposti ad auto-tassarsi per ristrutturare cortile e bagni Comunicato stampa, 19 giugno 2010 Fleres, Garante dei diritti dei detenuti: “In assenza di fondi forniti dell’Amministrazione penitenziaria, i detenuti della sezione 7 dell’Ucciardone, sono disposti a tassarsi di 10 euro ciascuno per la realizzazione di una copertura e la ristrutturazione del bagno dei passeggi”. Questo è quanto hanno dichiarato i detenuti nel corso di un colloquio durante il quale hanno anche consegnato una lettera riguardante le condizioni di vita all’interno dell’Ucciardone con riferimento alla loro sezione. “La lettera, ha proseguito il Sen. Fleres, è stata già trasmessa al Ministro della Giustizia poiché molti dei quesiti posti dai detenuti sono rivolti proprio al Ministro. Sovraffollamento, carenze igieniche, carenza di personale (medico, dell’area trattamentale di Polizia Penitenziaria), ridimensionamento delle forniture ed aumento dei prezzi al soppravvitto, queste sono alcune delle problematiche contenute nella lettera firmata dall’intera sezione 7 dell’Ucciardone. I detenuti chiedono espressamente che fine abbia fatto il piano carceri e, soprattutto, che fine fanno i soldi che dovrebbero essere destinati all’Amministrazione penitenziaria? In presenza di una spiegazione plausibile i ristretti sono disposti a tassarsi per la realizzazione di una copertura e per la ristrutturazione del bagno dei passeggi. Se non arriveranno le risposte e soprattutto se non si provvederà con interventi concreti, i detenuti inizieranno uno sciopero pacifico ad oltranza, infine, invitano il Ministro Alfano a visitare personalmente l’Ucciardone per constatare la realtà. A parte le azioni di protesta, condivido i contenuti della lettera e, accanto alla richiesta formulata dai ristretti, aggiungo anche il mio invito al Ministro Alfano ad effettuare una visita presso l’Ucciardone per verificare le condizioni di vita all’interno della struttura e gli sforzi che la Direzione ed il Corpo di Polizia Penitenziaria compiono giornalmente per garantire un minimo di vivibilità pur in assenza di adeguati fondi e di personale”. Il Garante Sen. Dott. Salvo Fleres Ancona: corso formazione per detenuti, diventeranno “conduttori di caldaie e di impianti termici” Adnkronos, 19 giugno 2010 Inizierà lunedì prossimo il corso di formazione per conduttori di caldaie e di impianti termici, rivolto ai detenuti del carcere di Montacuto di Ancona. Il corso, proposto dalla Confederazione nazionale artigianato di Ancona e realizzato in collaborazione con Formart, l’Ente di formazione della Cna regionale, è finanziato dal programma di interventi in materia penitenziaria, previsto dall’Ambito territoriale sociale XI di Ancona e si avvale di uno stanziamento della Regione Marche. La durata complessiva del corso, si legge in una nota, è di 75 ore di lezioni teorico-pratiche con lo scopo di far acquisire ai detenuti le conoscenze e le competenze nell’ambito della riparazione e della manutenzione di impianti termici nelle abitazioni e nei luoghi pubblici. Conoscenze e competenze che, una volta acquisite, possono far accedere gli allievi all’esame per ottenere il patentino di abilitazione alla conduzione di impianti termici di potenza superiore alle 200mila Kcal. Scopo della Cna, con questo progetto formativo, è di perseguire l’obiettivo di recuperare socialmente la persona detenuta in quanto l’esperienza formativa teorico-pratica gli consente di utilizzare capacità produttive che altrimenti andrebbero totalmente inutilizzate, di prospettare una dimensione di autonomia economica, auto realizzazione e valorizzazione delle proprie capacità favorendo lo sviluppo e l’affermazione della dignità sociale della persona, di prevenire, limitandole, situazioni di abbandono, disagio, depressione e devianza. “La nostra proposta progettuale - dice Gianluca Teodoro, presidente Cna di Ancona - intende fornire agli allievi una concreta opportunità di migliorare il proprio bagaglio culturale e di nozioni tecniche mettendoli nella condizione di migliorare, di conseguenza, la propria situazione una volta usciti dalla struttura carceraria. Infatti, il corso intende fornire una formazione specifica su una materia piuttosto richiesta nel mercato del lavoro attuale, in un ambito in cui si richiede sempre maggiore attenzione alle manutenzioni ed ai controlli di qualità degli impianti. Quali docenti esperti, si intende proporre anche imprenditori artigiani che ben conoscono le richieste del mercato, dove operano con una propria impresa e numerosi collaboratori”. La relazione che si verrebbe ad instaurare tra docenti ed allievi potrebbe, in seguito, dice Teodoro, “offrire spunto per future collaborazioni, qualora gli allievi intendano cercare una occupazione in questo ambito lavorativo, una volta usciti dalla struttura carceraria. Questo progetto formativo potrebbe costituire la base per offrire in seguito alcune borse lavoro agli allievi più meritevoli, che abbiano superato l’esame per il patentino o abbiano intenzione di farlo”. Lucia Trenta, segretaria Cna Ancona, sottolinea che “il percorso di formazione proposto dalla Cna parte dal presupposto che il lavoro sia fondamentale come mezzo di risocializzazione, oltre che come fonte di sostegno lecito e che, quindi, rappresenti il punto di partenza più forte per un detenuto o ex-detenuto, il quale, laddove dovesse fallire nella ricerca di una occupazione dignitosa e adeguatamente retribuita, potrebbe venire a trovarsi nella condizione di commettere nuovi reati. Dunque, la cultura al lavoro è una leva fondamentale per la riabilitazione di persone detenute e riteniamo che vada sostenuta con iniziative a diversi livelli. In primo luogo, fornendo ai detenuti informazioni utili circa il mercato del lavoro ed i possibili sbocchi professionali più idonei, in secondo luogo coinvolgendoli nella riprogettazione della propria esistenza nel corso della detenzione, in vista del dopo, in un’ottica della legalità. In questo percorso andranno inseriti via via tutti gli operatori che possono accompagnare la persona nelle varie tappe”. Lucca: il carcere di S. Giorgio è una polveriera; 218 detenuti su una capienza massima di 120 persone Il Tirreno, 19 giugno 2010 Peggiora la situazione del carcere denunciata in primavera dai sindacati degli agenti penitenziari. L’istituto ospita 218 carcerati mentre la capienza massima è di 120 persone; gli agenti sono 78 mentre l’organico ne richiederebbe 130. Queste cifre fanno sì che la gestione dell’istituto sia continuamente “in emergenza” e che molti dei servizi interni dedicati ai detenuti non possano essere garantiti. Il carcere, ad esempio, possiede una biblioteca ed una piccola palestra che spesso non possono essere utilizzate perché gli agenti non sono in numero sufficiente per assicurare la sorveglianza necessaria. Il tutto a discapito del clima tra i detenuti. È questo il quadro che il direttore del S. Giorgio, Francesco Ruello, ha presentato alla delegazione della Provincia guidata dal presidente, Stefano Baccelli, e composta dagli assessori Gabriella Pedreschi e Mario Regoli. Presente anche il vice commissario della polizia penitenziaria Rosa Ciraci. “Viviamo su una polveriera che può esplodere da un momento all’altro - dice Ruello - ma allo stesso tempo dentro il carcere di San Giorgio c’è un buon clima lavorativo. “È un peccato rischiare quotidianamente di comprometterlo a causa del sovraffollamento, cui fa riscontro una assoluta carenza di personale”. Problemi che aggravano anche il lavoro degli agenti sottoposti a turni più lunghi e più frequenti con conseguente accumulo di stress e stanchezza, che si traduce in richieste di permessi e ferie che appesantiscono ulteriormente l’organizzazione. Il problema del sovraffollamento potrebbe essere ovviato con la riapertura di un’ala dell’edificio che richiede però importanti interventi di ristrutturazione su cui non arrivano risposte dal ministero. “Sembra quasi che la linea scelta dal ministero sia di chiudere in carcere anche i problemi degli agenti e di coloro che in carcere lavorano - commenta Baccelli -. Mi sembra di capire che l’ipotesi di una soluzione che passi semplicemente dalla costruzione di nuove carceri più capienti sia una falsa soluzione, anche perché resterebbe da sciogliere la questione dell’insufficienza di personale. “Il carcere per le sue dimensioni e la sua collocazione si presterebbe ad essere sostituito da uno nuovo, ma i cancelli automatici e le videocamere a circuito chiuso non possono sostituire il lavoro degli uomini e delle donne”. Funziona tuttavia il servizio infermeria, attivo 24 ore su 24 grazie ad un accordo con la Asl 2 che ha messo a disposizione un medico e un infermiere. Convenzioni specifiche inoltre sono state stipulate con una serie di specialisti. I tossicodipendenti tra i carcerati risultano 48, tra le altre patologia si nota la frequenza dei casi di epatite B e C. I detenuti in questo momento sono per oltre due terzi extracomunitari. Le buone relazioni tra carcerati e agenti consente di andare avanti nonostante i problemi. Nei prossimi giorni verrà firmata una convenzione tra la Provincia e l’ufficio esecuzione penale esterna (Uepe) di Pisa e Lucca che permetterà di realizzare progetti finalizzati al sostegno e al recupero socio-lavorativo di persone “in situazione di svantaggio sociale”, sottoposte a misure alternative al carcere. In collaborazione con le aziende del territorio, saranno avviati stage formativi che costituiscono un’opportunità concreta di inserimento nel mondo di lavoro per coloro che, dopo essere stati condannati, hanno intrapreso un percorso di riabilitazione. Treviso: due detenuti indagati dalla procura dopo manifestazione protesta contro il sovraffollamento La Tribuna di Treviso, 19 giugno 2010 La manifestazione di protesta per il sovraffollamento delle carceri andata in scena a Santa Bona l’11 dicembre scorso, era arrivata anche negli uffici della Procura. Che ha iscritto nel registro degli indagati due detenuti, considerati dagli inquirenti quelli che avrebbero dato inizio alle azioni più violente: i carcerati avrebbero dovuto infatti far sentire la loro protesta e la loro rabbia, così come stava accadendo in altre carceri italiane, sbattendo le pentole contro le sbarre delle celle. Ma poco dopo le 11, nella sezione giudiziaria, i detenuti cominciarono anche a dare alle fiamme giornali e stracci lanciandoli nei corridoi. Immediata la procedura di massimo allarme da parte della direzione; stato di allerta che costrinse a richiamare in servizio anche gli agenti della polizia penitenziaria a riposo. I momenti di tensione vennero segnalati al ministero di Grazia e Giustizia dal direttore della struttura Francesco Massimo; dell’accaduto venne informata anche la magistratura trevigiana che ha aperto un fascicolo iscrivendo nel registro degli indagati due detenuti. Una protesta, quella dello scorso dicembre, che diede però i suoi frutti: nel gennaio scorso, infatti, 40 detenuti sono stati trasferiti. Ravenna: Sappe; maxirissa tra detenuti magrebini e romeni Ansa, 19 giugno 2010 La polizia penitenziaria del carcere di Ravenna ha dovuto sedare una maxirissa scoppiata tra 20 detenuti stranieri, romeni e magrebini. Lo scrive in una nota il segretario aggiunto del sindacato Sappe, Giovanni Durante, collocando l’episodio nel clima di tensione all’interno delle strutture come quella di Ravenna che “in Emilia-Romagna ha il primato del sovraffollamento”. Nonostante sia una struttura medio piccola, in percentuale registra - spiega Durante - il maggior sovraffollamento nella Regione, pari al 240% della capienza prevista che è di 59 detenuti. Attualmente i reclusi sono 142, di cui 95 stranieri, per una percentuale del 66,90%, molto più alta della media regionale che è del 52,56%. È del tutto evidente che l’eccessivo sovraffollamento non consente di separare i detenuti che continuano a vivere in una condizione di eccessiva promiscuità’. Iran: 7 detenuti politici chiedono inchiesta parlamentare su “irregolarità” negli arresti e nei processi Ansa, 19 giugno 2010 Sette tra i più noti dirigenti riformisti iraniani incarcerati dopo le elezioni che lo scorso anno videro la riconferma alla presidenza di Mahmud Ahmadinejad, si sono rivolti al Parlamento per chiedere di effettuare un’inchiesta su quelle che definiscono “le diffuse irregolarità” negli arresti e nei processi contro i prigionieri politici negli ultimi 12 mesi. Lo riferisce oggi il sito dei deputati riformisti Parlemannews. I firmatari sono quasi tutti ex membri dei governi dell’ex presidente Mohammad Khatami, schierato con l’opposizione. Tra di loro, gli ex ministri dell’Interno, Mostafa Tajzadeh, e degli Esteri, Mohsen Aminzadeh, e l’ex portavoce dell’esecutivo, Abdollah Ramezanzadeh. In una lettera inviata al comitato di presidenza dell’assemblea, i detenuti chiedono che un’inchiesta parlamentare su “come le leggi sono state osservate negli arresti e nei processi che sono stati tenuti” dopo la contestata rielezione di Ahmadinejad. In seguito alle proteste seguite alle elezioni del 12 giugno 2009, migliaia di persone sono state arrestate. Secondo l’opposizione, diverse centinaia sono ancora in carcere. Almeno 80 arrestati sono stati condannati a pene fino a 15 anni di reclusione e 12 alla pena di morte. Due di questi, entrambi ventenni, sono stati impiccati il 28 gennaio scorso.