Giustizia: Napolitano “auspica” l’impegno di Governo e Parlamento sulle criticità delle carceri Apcom, 17 giugno 2010 “Il Parlamento e il Governo stanno operando per il superamento delle molteplici criticità penitenziarie e forte è l’auspicio che il loro impegno conduca presto a risultati tali da rendere meno oneroso il quotidiano svolgimento dei compiti istituzionali della Polizia Penitenziaria”. È quanto scrive in una nota diretta al sindacato autonomo polizia penitenziaria il segretariato generale della Presidenza della Repubblica Donato Marra, al quale il segretario del Sappe Donato Capece si era rivolto per rappresentare la grave situazione penitenziaria. “Il Presidente Napolitano - prosegue la nota del Quirinale - segue con grande e continuativa attenzione le questioni carcerarie, attualmente rese ancora più complesse dal fenomeno del sovraffollamento. Anche nel messaggio inviato in occasione della Festa del Corpo, ha espresso gratitudine e apprezzamento per gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria, che, con dedizione e competenza, fronteggiano le situazioni di disagio, sofferenza e grave rischio che la realtà della detenzione comporta”. Capece ha espresso “vivo apprezzamento per i contenuti della nota del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che conferma la sua autorevole attenzione e sensibilità verso i gravi problemi penitenziari del Paese”. “Auspichiamo ora che si prenda finalmente atto del momento di estrema gravità del sistema carcerario, che i nostri 37mila colleghi e le loro famiglie sono costretti a vivere, sopportare, subire - continua Capece -, anche per le indifferenze mostrate fino ad oggi da tutto l’arco parlamentare. Governo e Parlamento raccolgano l’invito del Capo dello Stato, al quale rinnoviamo i nostri sentimenti di gratitudine, ed individuino con urgenza soluzioni politiche e amministrative concrete per evitare il tracollo del sistema penitenziario italiano”. Giustizia: ddl Alfano su detenzione domiciliare; Commissione Bilancio chiede parere al Governo Camera dei Deputati, 17 giugno 2010 Commissione Bilancio e Tesoro della Camera - Seduta del 16 giugno 2010. Disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno. Nuovo testo C. 3291-bis. (Riesame e rinvio - Richiesta di relazione tecnica ai sensi dell’articolo 17, comma 5, della legge 31 dicembre 2009, n. 196). La Commissione inizia il riesame del provvedimento in oggetto. Giancarlo Giorgetti, presidente, ricorda che il provvedimento, recante disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno, è già stato esaminato dalla Commissione bilancio nella seduta del 27 maggio 2010. Rileva quindi che, in quella occasione, la Commissione ha espresso un parere favorevole formulando alcune condizioni ai sensi dell’articolo 81, quarto comma della Costituzione. In particolare ricorda che due condizioni sono volte, rispettivamente, alla soppressione dell’articolo 2-quater, il quale autorizza i Ministeri dell’interno e della difesa ad effettuare assunzioni di personale, e l’articolo 2-sexies, che esclude tutti gli uffici di cui si compone il Ministero della giustizia e il personale della carriera dirigenziale penitenziaria dalle misure di riduzione degli organici previste dai commi da 8-bis a 8-quater dell’articolo 2, del decreto-legge n. 194 del 2009. Fa presente che, in data 10 giugno 2010, il Presidente della Commissione giustizia ha inviato una lettera alla Commissione, con la quale si chiede la revisione del parere precedentemente espresso con riferimento agli articoli 2-quater e 2-sexies. Comunica che nella lettera, si evidenzia, in particolare, l’opportunità, con riferimento all’articolo 2-quater, di richiedere la predisposizione di una relazione tecnica per avere una stima puntuale degli oneri con riferimento alle assunzioni di personale ivi previste e, con riferimento all’articolo 2-sexies, di verificare più approfonditamente con il Ministero dell’economia e delle finanze se dalla suddetta deroga possano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche in considerazione del fatto che alla norma originariamente non erano stati ascritti, in via prudenziale, effetti di risparmio. Rileva che, conclusivamente, la Presidente della Commissione giustizia invita la Commissione a riconsiderare il parere espresso, anche, eventualmente, acquisendo un’apposita relazione tecnica. Ritiene, in ogni caso, che il provvedimento, oltre a porre i problemi di quantificazione degli oneri evidenziati dalla Commissione giustizia, evidenzi anche la necessità di individuare un’idonea copertura finanziaria. Su tali aspetti, ritiene opportuno acquisire l’avviso del Governo. Il viceministro Giuseppe Vegas dichiarando di non avere obiezioni in merito alla richiesta di relazione tecnica avanzata dalla II Commissione, rileva tuttavia che nel provvedimento vi è una contraddizione allorché, da un lato s’intende ridurre la popolazione carceraria, mentre dall’altro si mira da aumentare il personale. Ritiene che dalla relazione tecnica non potranno comunque derivare elementi significativamente nuovi rispetto a quanto già espresso dalla Commissione. Massimo Vannucci (Pd) ritiene che vi sia stata un’eccessiva fretta nel licenziare il provvedimento e sottolinea che l’obiettivo è quello consentire, ricorrendo determinate condizioni, la possibilità di scontare la pena a casa anziché in carcere. Osserva come ciò non possa di per se determinare ulteriori costi a carico dello Stato ma, al contrario, non potrebbe che determinare una riduzione delle spese. In ogni caso, ritiene necessario trovare una soluzione positiva. Ricorda che la parte più controversa sotto il profilo finanziario, quella relativa all’aumento dell’organico della polizia penitenziaria, è stata comunque stralciata, mentre con riferimento alle disposizioni relative ad altri corpi di polizia, la proposta si muove nell’ambito degli stanziamenti di bilancio già effettuati attraverso la legge finanziaria. Esprime pertanto la piena disponibilità del proprio gruppo a riconsiderare il parere sul provvedimento alla luce di quanto potrà emergere dalla relazione tecnica. Osserva che, solo dopo la predisposizione della medesima, la Commissione potrà essere in grado di individuare le disposizioni da cambiare. Ricorda tuttavia che, mentre si predispone un piano carceri, con carceri galleggianti, si dovrebbe considerare che vi sono strutture non pienamente utilizzate, come il carcere di Barcaglione nelle Marche, che ospita detenuti solo per il 10 per cento della sua capienza, e che a Rieti vi è un altro istituto penitenziario ancora da inaugurare. Ritiene che la ragione di ciò sia, in definitiva, la carenza di personale e che dal provvedimento in esame potrebbero giungere delle valide risposte in tal senso. Gioacchino Alfano (Pdl), pur condividendo la richiesta di relazione tecnica, nonché quella di una revisione del parere formulate dalla II Commissione, sottolinea come tale procedura non debba costituire un precedente che incoraggi richieste sistematiche di riesame dei pareri della Commissione. Chiede quindi di procedere con la dovuta cautela. Giuseppe Francesco Maria Marinello (Pdl) ricorda che, secondo gli ultimi dati disponibili, i detenuti in carcere in Italia sono oltre 67 mila, a fronte di una capienza complessiva delle carceri italiane di circa 45 mila posti, quindi 22 mila in più del numero massimo. Fa presente inoltre che il costo giornaliero di un detenuto, con riferimento esclusivamente alla sorveglianza ed alla sussistenza del medesimo, ammonta a circa 330 euro al giorno, cui occorre aggiungere le spese sanitarie, nonché quelle relative alla formazione e alla manutenzione straordinaria degli edifici. Sottolinea che talvolta taluni giudizi della Ragioneria generale dello Stato appaiono di difficile comprensione allorché vi sia una conoscenza specifica delle questioni e della situazione reale. In proposito, richiede preventivamente, ove s’intendesse sostenere che, dallo scontare la pena agli arresti domiciliari piuttosto che in carcere non derivino risparmi, che vengano forniti i relativi dati, tenendo conto del richiamato costo per detenuto in carcere. Giancarlo Giorgetti, presidente, alla luce del dibattito svolto propone di chiedere al Governo la predisposizione di una relazione tecnica entro 15 giorni. La Commissione delibera, ai sensi dell’articolo 17, comma 5, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, di richiedere al Governo di predisporre una relazione tecnica nel termine indicato dal Presidente. Giustizia: appello della Caritas ambrosiana a Alfano; per le carceri intervenire prima dell’estate Redattore Sociale, 17 giugno 2010 L’appello al ministro della Giustizia: “Il sistema carcerario sta diventando solo un luogo di afflizione, un posto ingiusto e insensato. Il sovraffollamento rende la vita impossibile a tutti”. Ecco il testo integrale dell’appello. Dall’inizio dell’anno 32 detenuti si sono tolti la vita e 96 agenti penitenziari sono stati aggrediti e feriti. Questi due semplici numeri raccontano la situazione drammatica delle carceri, effetto di una popolazione carceraria che nella storia dell’Italia repubblicana non è mai stata così numerosa: 67mila presenza circa, oltre una volta e mezza il numero degli ospiti consentiti dalle norme. Il sovraffollamento rende la vita impossibile a tutti: ai detenuti, ai poliziotti, agli operatori sociali. La conseguenza è che il sistema carcerario sta diventando solo un luogo di afflizione, un posto ingiusto e insensato, che viene sempre più meno agli scopi di rieducazione e reinserimento sociale previsti dalla Costituzione. Con l’avvicinarsi del caldo estivo, la situazione diventerà esplosiva. Le proteste dei detenuti che in questi giorni stanno montando negli istituti della Lombardia e del resto d’Italia sono segnali inequivocabili. Persino il mondo del volontariato carcerario, una presenza preziosa che ha sempre garantito la propria collaborazione, è arrivato al punto di annunciare, attraverso l’organismo che lo rappresenta la Conferenza Nazionale del Volontariato e della Giustizia, l’autosospensione dal servizio. Purtroppo il governo, nonostante i continui annunci, sta ancora discutendo sulle misure da adottare. Pur non condividendo completamente i provvedimenti previsti nel decreto Alfano, peraltro ancoro imbrigliato nella burocrazia legislativa e nei veti incrociati dei partiti, si auspica che sia adottato al più presto. La vera riforma, significativa e risolutiva, sarebbe quella di prevedere un nuovo sistema sanzionatorio, basato sulla giustizia ripartiva. È noto che coloro che hanno usufruito di pene alternative alla detenzione hanno un tasso di recidiva del 5%, mentre chi ha scontato tutta la pena torna a delinquere 2 volte su tre (66%). Questi dati dovrebbero portarci a concludere che il carcere non può essere la sola soluzione. Ne va dei diritti dei detenuti e della sicurezza dei cittadini. La Chiesa ambrosiana è da sempre vicina al mondo del carcere. Sono 500 i volontari che offrono assistenza ai detenuti e ai loro familiari attraverso visite periodiche e l’affiancamento degli operatori sociali nelle sette case circondariali e di reclusione presenti nella diocesi. Un aiuto prezioso senza il quale non sarebbe possibile svolgere molte attività rieducative. In particolare Caritas Ambrosiana gestisce a Milano uno sportello di ascolto e orientamento per problemi legati alla casa, al lavoro a questioni giudiziarie. Nel 2009 lo sportello ha seguito 192 persone. Inoltre l’ente ecclesiale è in grado, attraverso l’attività delle cooperative e associazioni del progetto “Un tetto per tutti”, di mettere a disposizione 27 posti letto a Milano per le persone che escono dal carcere e non hanno un alloggio. Fondamentale, infine, è l’azione di sensibilizzazione attraverso percorsi di formazione nelle scuole e l’annuale visita dei detenuti con i cappellani delle carceri. Un’iniziativa realizzata in collaborazione con la Pastorale giovanile che in 9 anni ha coinvolto circa 1.500 ragazzi. Giustizia: detenuti “in attesa di suicidio”, tragedie senza fine di cui non importa niente a nessuno di Cesare Fiumi Sette - Corriere della Sera, 17 giugno 2010 Ventinove detenuti si sono tolti la vita, nel 2010, nelle carceri italiane. E non è finita: 45 i tentativi sventati e 96 gli agenti aggrediti o feriti. Da Pierpaolo che ha inalato gas ad Alessandro che s e impiccato: una teoria di disperazioni in una realtà quasi al collasso. Forse, quando leggerete questa storia, il numero non sarà più lo stesso. E qualcun altro avrà detto basta, dopo aver legato, uno all’altro, i lacci delle scarpe o due asciugamani; oppure dopo aver annusato il conte nuto di una bomboletta, in modo che il gas lo congedi dal mondo senza farlo soffrire. Il primo, il numero 1, si chiamava Pierpaolo e aveva 39 anni. Se n’è andato sabato 2 gennaio, dal carcere di Altamura, dove c’erano 90 detenuti anziché i 52 previsti: per suicidarsi ha scelto la bomboletta. Il numero 29, invece, ha detto addio alla vita il 6 giugno scorso. Si chiamava Alessandro, aveva 34 anni ed era dentro per rapina. Aveva ancora un anno e mezzo da scontare nel carcere di Fuorni, ma ha deciso di anticipare, impiccandosi con un lenzuolo. Sono loro l’alfa e l’omega (provvisoria) dei detenuti che si son tolti, nel 2010, la vita. In media con la cifra tragicamente record dell’anno passato: 72. Storie che la cronaca contabilizza al numeratore della statistica, per descrivere lo sfascio penitenziario italiano, un vulcano pronto a eruttare il disagio in maniera clamorosa. Ma, innanzitutto, storie di uomini che - macchiatisi di colpa, a giudizio della legge - non dovevano contemplare comunque quel finale e che, se resta un dito di pietà, fanno star male. Come quella di Giuseppe, il numero 13 di questa lista disgraziata. Aveva 35 anni, era dentro al Due Palazzi di Padova e ha scelto il lenzuolo appeso alle sbarre. Urlava ogni notte dalla sua cella di isolamento, ha raccontato un altro detenuto. C’era chi lo malediceva e chi non se ne curava, finché la notte del 9 marzo, Giuseppe ha taciuto per sempre. O come quella del numero 8, X.Y., detenuto tunisino, 27 anni, arrestato per spaccio a Brescia, anche lui morto impiccato. Frequentava i corsi organizzati in prigione e “apparentemente non sembrava depresso”, ma poi, quando leggi le cifre di quel carcere - capienza: 206 detenuti, presenti 510 - qualcosa ti spieghi. E le cifre comunicate da Franco Ionta, capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, stanno lì a confermare: in Italia, al 14 maggio, c’erano 67.593 detenuti a fronte di 44.218 posti. Ben oltre il limite di tollerabilità, raccontano queste storie, che però sfiorano appena la pubblica opinione. “Se erano in carcere, un motivo ci doveva essere”, risponde sempre più spesso l’italiano medio, sufficientemente incattivito per non curarsi di difendere il diritto, anche di un carcerato, a scontare, nei modi previsti, la pena, visto che quella di morte non è contemplata dalla Costituzione e neppure da un’elementare dimestichezza con i diritti umani. “Se erano in carcere, un motivo ci doveva essere”? Sicuro, ma non si capisce perché questo dovrebbe essere un buon motivo per morirci, lì dentro. Che la catastrofe carceraria italiana non sta solo nei 29 detenuti suicidatisi fin qui, ma anche nei 45 tentativi sventati e nei 96 agenti penitenziari aggrediti e feriti (più sei tra medici e infermieri). Perché, in condizione a volte animalesca, vivono i detenuti ma pure gli operatori, in un accatastarsi di disperazione e depressione che, alla faccia di Beccaria e della nostra Costituzione, evidenzia il persistente lato afflittivo della pena, finendo spesso per mettere in mora quello rieducativo. Va bene che se il Paese non gode di grande salute, non si capisce perché le carceri dovrebbero stare meglio di lui, ma è la ferocia del “tanto era dentro”, davanti a questa spoon river della detenzione, a sconcertare. Non è solo questione di disinteresse, di teste voltate dall’altra parte, ma di un compiacimento che questo Paese, fino a un po’ di tempo fa, non conosceva. Ma a forza di vellicare il lato peggiore, si finisce per infettare l’intero perimetro, elevando a sua misura una recinzione forcaiola, dentro la quale: a chi muore, gli sta bene. Fatto salvo che in galera non finisca troppo a lungo - o addirittura suicida - qualche bianco colletto, che allora “le inaccettabili condizioni di vita” tornano a farsi sentire, accompagnate da “giusta indignazione”. Ma non è il caso di queste povere storie, che i 29 numeri estratti fin qui dalla disperazione erano tutta gente da reato, grave o gravissimo che fosse, con a fianco il solo avvocato difensore, e neanche tanto. Tragedie - perché è quello che sono - che nessuno si fila. Perché, come dicono certi commenti: con l’attuale sovraffollamento carcerario non è il caso di stare troppo a sottilizzare. Giustizia: la serva è ladra, la padrona è cleptomane… di Marco Travaglio Fatto Quotidiano, 17 giugno 2010 C’è qualcosa di peggio dello spettacolo dell’ex provveditore alle Opere pubbliche della Toscana Fabio De Santis tradotto in manette con altri quattro detenuti al Tribunale del Riesame? Sì, c’è. Sono i commenti dei cosiddetti “garantisti”, che tradiscono un orribile razzismo sociale, perlopiù inconscio: quello che porta lorsignori a scandalizzarsi e a gridare, col pilota automatico, alla “gogna mediatica” solo quando vedono in manette un ricco, un potente, un politico, un imprenditore, insomma un “galantuomo”. Quindi, un intoccabile per definizione perché - diceva Trilussa - “la serva è ladra, la padrona è cleptomane”. A queste scene gli americani sono abituati: nessuno due anni fa si scandalizzò quando l’Fbi fece irruzione nel tempio del capitalismo mondiale, Wall Street, e ne uscì con alcune decine di top manager arrestati per lo scandalo dei mutui subprime che aveva messo in ginocchio l’economia nazionale e internazionale: incolonnati in fila indiana, i polsi legati da laccetti in acciaio, quei signori impomatati nei loro doppipetti pregiati percorsero un lungo tratto di strada prima di essere tradotti dove meritavano di stare: in galera. Un paese scioccato alla vista dei manager delle banche e della finanziarie fallite che uscivano dai loro sontuosi uffici con gli scatoloni pieni di effetti personali, si riscattò con quell’altra scena che testimoniava una capacità di reazione e di riscatto, ma soprattutto di fare pulizia anche ai piani più alti del potere. Quelli dove chi delinque fa più danni di un criminale da strada. Questa è la “tolleranza zero” all’americana. Poi c’è quella all’italiana, una cosa ignobile, che perseguita il drogato, l’immigrato clandestino e il taroccatore di cd (le nostre carceri pullulano di queste temibilissime categorie delinquenziali), ma salta su col ditino alzato ogni qualvolta in manette finisce un colletto bianco che, da solo, fa più danni di centinaia di drogati, immigrati e taroccatori di cd. Nessuno naturalmente vuole sostenere che quella di De Santis (e degli altri quattro: due presunti spacciatori, un presunto ladro, un presunto rapinatore) in manette sia una bella scena. La custodia cautelare prevede che, se necessario per evitare fughe, nuovi reati o probabilissimi inquinamenti delle prove, l’indagato venga privato della libertà prima del giudizio; non che venga pure esibito in manette. E infatti dal 1999 la legge vieta di fotografare o videoriprendere persone ammanettate: se il Tg2, con la scusa paracula di “denunciare lo scandalo” (ma quale?), non avesse trasmesso la scena, vi avrebbero assistito i 3-4 passanti che transitavano dinanzi al Tribunale di Firenze. Non sarebbe cambiato molto, intendiamoci: tutti sanno che De Santis è stato arrestato quattro mesi fa, vederlo o saperlo in manette ha aggiunto granché. E comunque, nella traduzione di detenuti ammanettati in tribunale, non c’è alcuno “scandalo”: è la prassi che si ripete ogni mattina in ogni tribunale per migliaia di detenuti, senza che saltino su il Garante, il Battista, il Mèchato, il Foglio e altri garantisti a targhe alterne (chissà dov’erano due anni fa quando tre rumeni, poi risultati innocenti, furono sbattuti in tv e in prima pagina mentre la polizia di Roma li prendeva per i capelli e li ficcava in una volante e il questore li dipingeva come i mostri dello stupro alla Caffarella). Se i detenuti da trasportare sono più d’uno, le manette sono obbligatorie per legge: come spiega il direttore del carcere, “per le carenze di personale le traduzioni sono sempre collettive”, dunque in vinculis. Non per sete di “gogna”, ma per evitare che qualcuno fugga o si faccia del male. Questa prassi non piace? I parlamentari, così solerti quando devono farsi gli affari propri, impongano per decreto la traduzione dei detenuti in assoluta scioltezza e libertà. Si potrebbe perfino mandarli soli dal carcere in tribunale, in autobus o in taxi, con la raccomandazione di rientrare in cella entro e non oltre le 20. Altrimenti, a letto senza cena. Giustizia: Orlando (Commissione errori sanitari); la salute dei detenuti torni nell’agenda politica Il Velino, 17 giugno 2010 La Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario ha audito oggi il presidente e il vicepresidente del Forum nazionale per il diritto alla salute delle persone private di libertà personale Leda Colombini e Lillo Di Mauro; Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio; e il vicesindaco di Montelupo Fiorentino, con delega all’Ospedale psichiatrico gudiziario, Giacomo Tizzanini. Tra le problematiche trattate nell’ambito del tema della salute dei detenuti, il sovraffollamento delle strutture penitenziarie, il personale mancante e la mancata attuazione della riforma del sistema carcerario. A proposito di quest’ultima è stata evidenziata la necessità di completare il trasferimento della tutela della salute dall’Amministrazione penitenziaria alle Regioni a statuto speciale ed è stata inoltre sottolineato il mancato trasferimento, nelle regioni a statuto ordinario, di risorse destinate ai detenuti. “Dall’audizione - ha commentato il presidente della Commissione Leoluca Orlando - emerge preoccupazione per la scomparsa del tema della salute nelle carceri dall’agenda della politica e la necessità di riportare l’attenzione sull’argomento. I dati sono preoccupanti: basti pensare che il 40 per cento dei detenuti del Lazio è affetto da epatite cronica, il 27 per cento soffre di problemi psichici o psichiatrici. Le difficoltà economiche delle Regioni e i tagli previsti nelle ultime manovre contribuiscono ad aggravare la situazione. È emersa inoltre - ha aggiunto Orlando - la necessità di utilizzare al meglio il personale esistente, in particolare di incrementare con urgenza non solo le unità di polizia penitenziaria ma anche psicologici ed educatori, al fine di garantire una diversa qualità della vita con evidente influenza anche sul versante della salute”. Giustizia: Colombini (Forum salute); pochi fondi, che non tengono conto del sovraffollamento Ansa, 17 giugno 2010 Tra le problematiche sottolineate dal Presidente del Forum Leda Colombini, la questione delle risorse economiche destinate agli istituti penitenziari. “I fondi - ha spiegato - sono pochi, sottostimati e non tengono conto del sovraffollamento: sono 67.400 i detenuti contro i 43.000 di pochi anni fa, il numero è aumentato quasi di un terzo ma i soldi sempre gli stessi e oltretutto non transitano. L’aggravio dei costi per le Regioni è insopportabile e la manovra può avere conseguenze gravissime. Il sistema rasenta il collasso e rischia di precipitare”. Il problema della salute in carcere, è stato notato durante l’audizione, assume la natura di problema strutturale, evidenziato sporadicamente dal clamore suscitato da singoli gravissimi episodi, senza che però a questo corrisponda un’adeguata risposta strutturale per i tanti aspetti drammatici, dai suicidi alle malattie infettive. Secondo Colombini sarebbe dunque necessario “dare priorità alla riforma delle carceri e dotare il Parlamento di uno strumento che funzioni da regia per l’applicazione della riforma, in cui venga messa in pratica una reale collaborazione tra i due ministeri interessati, Giustizia e Sanità, le Regioni e coloro che operano quotidianamente negli istituti penitenziari”. Ad aumentare il disagio la carenza del personale carcerario, non solo poliziotti, psicologi ed educatori, ma perfino direttori, secondo Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio, che ha sottolineato come il numero dei detenuti continui ad aumentare di giorno in giorno arrivando. “Ieri hanno toccato quota 67.877 e il 47% di loro non ha avuto sentenza definitiva di condanna”. Quanto al personale, ha notato Marroni, oltre ai 2.000 agenti aggiuntivi previsti nel Piano Carceri, potrebbero venir meglio sfruttati i 1300 poliziotti del Dap attualmente impiegati in attività amministrativa, tra cui i 700 impiegati nel servizio bar. Attenzione è stata rivolta inoltre agli Ospedali psichiatrici giudiziari, finiti nel mirino del Comitato per la prevenzione della tortura (Cpt) del Consiglio d’Europa che, in un rapporto diffuso ad aprile, aveva definito “inimmaginabile” la realtà trovata ad Aversa, nell’ospedale psichiatrico giudiziario Filippo Saporito. “Questa tipologia di strutture hanno prevalente dovere sanitario”, ha notato il vicesindaco di Montelupo Fiorentino con delega del locale Opg, Giacomo Tizzanini, sottolineando come “il metro di paragone dunque non può essere il carcere ma l’ospedale. La realtà dei fatti invece è drammatica”. Giustizia: Palma; l’Italia è il secondo paese europeo per numero di suicidi dei detenuti www.radiocarcere.com, 17 giugno 2010 “Quello che ha detto a Trieste il sottosegretario alla Giustizia, Alberti Casellati, secondo cui nelle carceri italiane ci sono meno suicidi che il quelle degli altri paesi europei, non corrisponde al vero” - lo ha detto ieri Mauro Palma, Presidente del Comitato di prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa, durante la trasmissione Radio Carcere, in onda su Radio Radicale. “Secondo i dati in nostro possesso” - ha precisato Palma - nel 2009 il paese dove ci sono stati più suicidi è stata la Francia, con 19 suicidi ogni 10 mila detenuti, seguita dall’Italia, con 12 suicidi ogni 10 mila detenuti, dalla Gran Bretagna con 11 suicidi e dalla Germania con 10 suicidi ogni 10 mila detenuti. In Spagna c’è la situazione migliore” - ha sottolineato Palma - lì infatti nel 2009 ci sono stati solo 7 suicidi ogni 10 mila detenuti, e ciò grazie ad uno specifico programma attuato dal Governo spagnolo. In conclusione” - ha detto Palma - “ciò che ha affermato l’on. Casellati non corrisponde alla realtà rilevata dai dati in nostro possesso.” Giustizia: Cimadoro (Idv): solidarietà a Buonanno, maggioranza dei cittadini la pensa come lui Apcom, 17 giugno 2010 Imbarazzo dell’Idv per l’intervento del deputato dipietrista Gabriele Cimadoro che oggi in Aula a Montecitorio ha espresso “solidarietà” al leghista Gianluca Buonanno che l’altro ieri, alla notizia del suicidio di un detenuto al 41-bis, ha osservato che “se altri pedofili e mafiosi facessero la stessa cosa non sarebbe affatto male”. Prendendo la parola davanti all’Assemblea, Cimadoro ha detto: “Voglio esprimere solidarietà al collega Buonanno anche perché credo che le sue opinioni siano condivise dalla maggioranza dei cittadini”. Quindi ha criticato il deputato del Pd Roberto Giachetti che ieri in Aula aveva stigmatizzato l’intervento del leghista: “Credo - ha detto l’esponente Idv - abbia in senso demagogico affrontato il problema”. La replica di Giachetti non si è fatta attendere. Il democratico ha puntato il dito anche contro il vicepresidente di turno dell’Assemblea Rocco Buttiglione che “non ha di meglio da dire che ringraziare Cimadoro per l’intervento, complimenti”. Ma Buttiglione ha immediatamente chiarito: “La stragrande maggioranza dell’Aula che appartiene a una nazione che ha avuto un ruolo di primo piano nell’abolizione della pena di morte concorde nel rispettare fino in fondo il diritto alla vita anche di quella dei detenuti che possono aver commesso i delitti più terribili ma che sono esseri umani con una dignità che va rispettata e una possibilità di redenzione”. Il gruppo dell’Idv ha preso le distanze dall’intervento di Cimadoro: “Anche chi si macchia dei reati più gravi ed efferati, più orribili sul piano della coscienza umana - ha detto il capogruppo Massimo Donadi - merita rispetto e dignità e una sanzione dallo Stato sì seria, grave e duratura ma anche la possibilità di scontarla in condizioni di umana dignità e in un percorso come prevede la Costituzioni che porti al reinserimento del reo. Esprimo il massimo dissenso rispetto alle opinioni di Cimadoro, non rispecchiano le posizioni dell’Idv, anzi il suo intervento crea imbarazzo e credo che, se queste sono le sue opinioni, forse farebbe bene a fare una riflessione sulla compatibilità di questi punti di vista con la linea del partito”. Alfano (Idv): non condivido pensiero Cimadoro su suicidio detenuti “Non condivido il gesto di solidarietà di Cimadoro nei confronti del leghista Buonanno e anzi lo invito, come ha già fatto il capogruppo di Italia dei Valori alla Camera Massimo Donadi, a riflettere su quanto detto”. Lo dice Sonia Alfano, europarlamentare dell’Italia dei Valori. Gabriele Cimadoro (IdV) oggi in aula a Montecitorio ha espresso solidarietà a Buonanno (LNP) che l’altro ieri, alla notizia del suicidio di un detenuto al 41-bis, ha sostenuto che “se altri pedofili e mafiosi facessero la stessa cosa non sarebbe affatto male”. “Io, che ho visto mio padre morire sotto i colpi della mafia - sottolinea Sonia Alfano - potrei utilizzare parole sprezzanti e riversare tutta la rabbia accumulata, invece da mesi ho avviato un giro dei reparti 41-bis e incontrato esponenti mafiosi dello spessore di Riina, Provenzano e molti altri - prosegue - anche coinvolti nella mia storia personale, per parlare con loro e verificare lo stato delle carceri. Sarebbe opportuno piuttosto soffermarsi sul significato di “stato di diritto” e sulla necessità di garantire la certezza della pena. Il partito si è sempre schierato a difesa dei diritti umani e della Costituzione e certi valori non possono essere negati; per fortuna nei codici del nostro Paese non è prevista la pena di morte - conclude - per cui certi giudizi e criteri di crudeltà non mi appartengono e ne prendo le distanze”. Giustizia: Osapp; i detenuti sono più di 68.000, Alfano e Ionta devono essere sostituiti Il Velino, 17 giugno 2010 “Malgrado il recente incremento di circa 1.000 posti nella capienza delle carceri italiane, anche nella settimana appena trascorsa la popolazione detenuta è aumentata di 150 unità, mentre la presenza complessiva di ristretti negli istituti di pena ha superato le 68.400 presenze effettive, pari a oltre il 6,4 per cento in più della capienza cosiddetta regolamentare, mentre ben 11 su 20 sono le regioni italiane che hanno superato qualsiasi precedente limite”. A riportare il dato è Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, che aggiunge: “Tra tali regioni in maggiore esubero spiccano il Veneto (+13,7 per cento pari a 397 detenuti), l’Emilia-Romagna (+12,5 per cento pari a 501 detenuti), la Puglia (11,3 per cento pari a 455 detenuti), la Liguria (+11 per cento pari a 176 detenuti) e persino il Trentino Alto Adige (+30 per cento pari a 92 detenuti). Il dato - spiega - è ancora più significativo se lo si mette in relazione alle oltre 1.000 unità di polizia penitenziaria che hanno lasciato il servizio tra gennaio 2009 e maggio 2010”. Quello che per Beneduci è inconcepibile “è riscontrare la sostanziale acquiescenza politica e amministrativa nei confronti di un sistema penitenziario, qual è quello italiano, che per 44.577 posti effettivi alloggia quasi 24mila detenuti in più, di cui il 50 per cento in attesa di giudizio definitivo, oltre il 30 per cento, con punte persino del 70 per cento in alcune carceri del Centro-Nord, di origine extracomunitaria e per etnie spesso incompatibili tra loro, e circa un terzo per reati legati al consumo e spaccio di stupefacenti”. Impressionante, continua Beneduci, “è l’aumento, che comincia ad essere impressionante, di detenuti appartenenti alle criminalità organizzate (definiti As) e sottoposti al particolare regine dell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario. Dopo avere atteso per due anni segnali o iniziative di una qualche concretezza, e dopo averne rispettosamente ascoltato, per altrettanto tempo, gli intenti e le promesse continuamente disattesi a cui fanno, spesso, da corollario le argomentazioni di ardua interpretazione della sottosegretaria Casellati - indica ancora il sindacalista - non ci è più possibile evitare di contestare aspramente, fino ad auspicarne il possibile avvicendamento, il ministro Alfano e il capo del Dap Ionta. Nel contempo - conclude Beneduci - non possiamo non domandarci di chi siano le effettive responsabilità, almeno morali, di quello che sta accadendo nelle carceri italiane e di quello che ulteriormente accadrà, ponendoci il possibile obiettivo finale, come poliziotti penitenziari, di vedere riconosciute le nostre professionalità e di vedere difesa la nostra dignità di tutori dell’ordine e della legalità, in un dicastero diverso da quello della Giustizia”. Giustizia: Uil; da inizio anno sventati 51 suicidi, in carceri degrado, inciviltà, disumanità, illegalità 9Colonne, 17 giugno 2010 “Ieri pomeriggio un detenuto recluso nell’istituto penitenziario di Parma ha tentato di impiccarsi ed è stato salvato in extremis dagli agenti penitenziari. È il 51.mo tentativo di suicidio sventato dalla polizia penitenziaria dal 1 gennaio 2010 ad oggi”. Lo afferma Eugenio Sarno, segretario generale della UIL Pa Penitenziari, che aggiunge: “Nel solo mese di giugno sono ben otto i suicidi sventati dai poliziotti penitenziari. Il 4 Giugno a San Remo; il 9 a Brescia; l’ 11 a Venezia; il 12 a Parma; il 13 ad Avellino; il 14 ben due tentati suicidi sventati al Buoncammino di Cagliari; ieri ancora a Parma. È del tutto evidente, quindi, come alla luce di questi dati il grave fenomeno delle auto soppressioni in carcere assuma contorni ancora più preoccupanti” mentre “con il superamento delle 68mila presenze, a fronte di una disponibilità massima di 43mila, le condizioni detentive si connotano sempre più per degrado, inciviltà, disumanità, illegalità”. E aggiunge: “È palese che senza questi provvidenziali, quanto tempestivi, interventi del personale di polizia penitenziaria la funesta conta delle auto soppressioni in cella del 2010 (oggi a quota 32) avrebbe, ahinoi, ben altri numeri. Dobbiamo, purtroppo, rilevare come i mass-media, salvo sporadiche eccezioni, tendano a sottovalutare la portata del dramma umanitario e sanitario che si vive all’interno delle nostre prigioni. Così come in genere si ignora il determinante contributo che i poliziotti penitenziari forniscono nel salvataggio di vite umane all’interno delle carceri”. Giustizia: caso Cucchi; la procura di Roma chiede rinvio a giudizio per 13 persone Ansa, 17 giugno 2010 La procura di Roma insiste: della vicenda di Stefano Cucchi, il geometra di 31 anni arrestato il 16 ottobre scorso dai carabinieri per spaccio di stupefacenti e deceduto sei giorni dopo all'ospedale Sandro Pertini (reparto detenuti), devono essere ritenuti responsabili, a vario titolo, gli agenti della polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici, i medici Aldo Fierro, Silvia Di Carlo, Flaminia Bruno, Stefania Corbi, Luigi PreiteDe Marchis e Rosita Caponetti, gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe e il dirigente del Prap Claudio Marchiandi. I pm Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy, che hanno firmato oggi la richiesta di rinvio a giudizio assieme al procuratore Giovanni Ferrara, hanno lasciato invariato quanto ipotizzato nell'avviso di fine indagine e cioè che Cucchi fu picchiato brutalmente dagli agenti mentre si trovava nelle celle di sicurezza del tribunale di Roma in attesa del processo per direttissima all'indomani del suo arresto, e che poi non fu curato in modo sufficientemente adeguato mentre era ricoverato in ospedale. I magistrati sono convinti che il ragazzo sia stato abbandonato a se stesso tanto che il suo decesso fu certificato falsamente come morte naturale. Pd: Accertare la verità dei fatti, vicenda sia monito civile e umano “La richiesta di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica di Roma per i presunti responsabili del pestaggio, del favoreggiamento, delle false attestazioni e certificazioni e della omissione delle cure che hanno portato alla morte di Stefano Cucchi, riassume un quadro delle responsabilità e delle inefficienze dei controlli istituzionali, che anche la Commissione parlamentare presieduta da Ignazio Marino aveva individuato e messo a disposizione dell`autorità giudiziaria”. Lo affermano Sandro Favi, responsabile nazionale Carceri del Pd, e di Emanuele Fiano, responsabile nazionale Forum Sicurezza del Pd. “Attendiamo - proseguono gli esponenti democratici - che il giudice dell`udienza preliminare si pronunci celermente su tale ipotesi accusatoria, affinché nel processo si accerti quella verità dei fatti che troppi, in questi mesi, hanno tentato di annebbiare nei distinguo dei ruoli svolti nella vicenda, nell`indeterminatezza delle funzioni e delle responsabilità esercitate, nella difesa da ipotetiche generalizzazioni e strumentalizzazioni a cui nessuno si è prestato. In quel processo ci auguriamo si possa rendere giustizia per una morte ingiusta e crudele e che chi viene accusato si possa difendere nel merito dei propri comportamenti”. “Il caso Cucchi - concludono Favi e Fiano - deve diventare un monito civile e umano per il pieno rispetto della dignità e della integrità fisica e psichica di tutte quelle persone che si trovino sotto la custodia dello Stato”. Giustizia: detenuto vuole donare un rene; caso va all’esame del Centro nazionale trapianti Ansa, 17 giugno 2010 Un detenuto di una casa circondariale piemontese ha chiesto di poter diventare un “donatore samaritano”, cioè senza un legame di parentela o di affetto, offrendo un rene. Il caso è già all’attenzione del centro nazionale trapianti, così come stabilito dal Css che, al’unanimità, aveva deciso che per i primi 10 casi la donazione samaritana “deve rientrare in un programma nazionale la cui gestione è affidata al Centro Nazionale Trapianti che riferirà annualmente al Css”. E al Centro nazionale trapianti è in corso una riunione che ha all’ordine del giorno anche questo argomento. Al momento dell’ok del Css alla donazione samaritana erano tre i casi specifici di persone che avevano espresso la volontà di donare il proprio rene “per spirito di liberalità e gratuità in mancanza del ricevente identificato”, due in Lombardia e uno in Piemonte. Poi, si era aggiunto un altro caso in Piemonte, quello di una donna di 50 anni, sposata e con figli, che aveva contattato l’ospedale Molinette di Torino per rendere nota la propria disponibilità a donare un organo, preferibilmente un rene. L’altro donatore samaritano del Piemonte è una ragazza piemontese di 35 anni il cui iter “blindato”, riservatissimo, di esami medici e psicologici per verificare se goda di ottima salute, anche dal punto di vista psicologico, è già partito. Costa (Cnt): donazione deve essere libera, fino a che punto lo è? Affronteremo la nuova questione con calma alla luce anche della linea d’azione già individuata per gli altri donatori samaritani. In ogni caso per una situazione come questa serve grande cautela, la donazione deve essere una libera scelta, e bisogna domandarsi fino a che punto lo è quando si sta scontando una pena: il direttore del Centro Nazionale Trapianti, Alessandro Nanni Costa, conferma che la prima offerta di donazione di un rene in modo samaritano da parte di un carcerato è all’esame dell’organismo che non esclude di dover interpellare altri esperti del Comitato Nazionale di Bioetica sulla delicata questione. L’offerta del donatore - ha spiegato Nanni Costa - dovrà essere valutata da un centro di donatori da vivente che deve fare due valutazioni fisiche e psichiche. Se non verrà scartato dai primi esami una seconda commissione nazionale si occuperà di approfondire nuovamente il caso. Al momento, su una decina di persone che si sono offerte, solo una persona ha superato il primo livello di esami, ma nessuno fino a questo momento ha ottenuto il sì dalla seconda commissione, quindi nessun rene è ora disponibile da un donatore samaritano. “In ogni caso - ha aggiunto Nanni Costa - la macchina è pronta. Il caso delle carceri rappresenta un nuovo volto della questione ed un problema bioetico”. Per questo il Centro Nazionale Trapianti valuterà se inviare al Comitato Nazionale di Bioetica il caso. “Le questioni etiche - ha concluso Nanni Costa - possono essere anche uniche e non dipendere dalla numerosità delle persone coinvolte, come nel caso del detenuto. Al momento non c’è stata una corsa alle donazioni di questo tipo ma ora si pone una situazione che porta ad un nuovo problema etico al quale dobbiamo dare una risposta. Quel rene è comunque una risorsa potenzialmente disponibile”. Offerta detenuto samaritano non sarebbe accettabile: forse malato Non sarebbe accettabile la richiesta del 58enne detenuto nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino che si è offerto di fare una donazione samaritana, perché l’uomo, italiano e originario del sud, avrebbe problemi di salute. Il detenuto, che ha espresso la volontà di aderire alla procedura resa possibile in Italia dopo il via libera espresso il 25 maggio scorso dal consiglio superiore di sanità, ha inviato circa 15 giorni fa una lettera al proprio direttore sanitario, Remo Urani. Il suo intento, aveva scritto, era quello di donare un rene “a un amico”. Il direttore, a quanto si apprende, aveva avviato così le procedure di rito, inviando la lettera a Roma, inoltrando la richiesta al Centro nazionale trapianti. Giustizia: il carcere sempre più “discarica sociale” di Franco Corleone www.pluraliweb.it, 17 giugno 2010 Ci si avvia a un’estate calda, almeno in carcere. In Italia in agosto si raggiungerà la quota record dei 70.000 detenuti e in Toscana a fine aprile erano presenti già 4.382 persone rispetto a una capienza regolamentare di 3.180. Il sovraffollamento pesa molto sulle condizioni di vita quotidiana; incide sull’esercizio dei diritti minimi ma essenziali. Si soffre per la coabitazione forzata, per i servizi igienici, per l’alimentazione, per i colloqui con gli avvocati e con la famiglia, per il lavoro, lo studio e le attività trattamentali. Il Governo e l’Amministrazione Penitenziaria hanno una sola idea, quella di costruire nuove carceri; il ministro Alfano ha fatto riferimento a quota ottantamila come obiettivo del programma di edilizia. Già oggi il carcere è pieno di tossicodipendenti, di immigrati, di poveri e di emarginati per cui la definizione comunemente usata è quella di discarica sociale. Di fronte a una detenzione per il cinquanta per cento dei casi dovuta alla legge sulle droghe, si dovrebbe avere il coraggio di mettere in discussione la scelta proibizionista e punitiva. Invece chi ha la responsabilità di decidere della libertà dei cittadini preferisce agire come gli struzzi. Detenzione sociale, detenzione etnica, detenzione generazionale di soggetti deboli che subiscono violenza e tortura e rispondono nel silenzio, con il suicidio e l’autolesionismo. In Toscana l’anno scorsi si sono verificati 2.318 eventi che l’amministrazione penitenziaria definisce critici e che io preferisco chiamare tragici: 8 suicidi, 155 tentati suicidi, 974 atti di autolesionismo, 480 scioperi della fame. Come garante dei diritti dei detenuti, ho iniziato a diffondere tra i reclusi di Sollicciano un modello di reclamo da consegnare al magistrato di sorveglianza, per chiedere il rispetto delle norme dell’ordinamento penitenziario e del regolamento di attuazione del 2000 rimasto inapplicato. Si tratta di uno strumento di rivendicazione pacifico che intende anche evitare che la rabbia prenda strade di protesta violenta e incontrollata. Sto insistendo da mesi perché la Regione Toscana attui un progetto pilota per l’uscita dal carcere di un numero significativo di tossicodipendenti. La scelta delle misure alternative per tutti i detenuti, ma in particolare per i tossicodipendenti, avrebbe il risultato di far diminuire la recidiva e di offrire una chance di vita diversa. La sorte del carcere di Empoli è ancora un mistero: ho denunciato la chiusura per oltre un anno di quell’istituto e ho anche fatto uno sciopero della fame per protestare contro la decisione del ministro Alfano di bloccare l’esperimento di un luogo specifico per le detenute transessuali. È un simbolo della confusione mentale e dell’arroganza del potere. C’è molto da fare per evitare l’Apocalisse. Lettere: a Poggioreale troppe ingiustizie… Nuova Società, 17 giugno 2010 Nel carcere di Poggioreale ci sono cose ben più gravi di quelle di solito raccontate. Pressioni psicologiche, maltrattamenti fisici e morali, violazioni dei diritti minimi che anche un detenuto dovrebbe avere. Il giorno 11, poco dopo il colloquio, durante l’attesa per tornare nelle nostre celle ci hanno chiuso in una camera di sicurezza, circa 40 detenuti in uno spazio di circa 10/12 mq. Un detenuto (malato di cuore come registrato nelle cartelle cliniche del carcere) non riesce a respirare e si sente male! Chiama la guardia, la chiamiamo anche noi! Dopo averlo chiamato a squarciagola arriva, infuriato e infastidito... Gli facciamo presente che è grave, che quel nostro compagno è malato di cuore... Ci risponde “certo come tutti quelli che stanno qui. Alla fine quel detenuto per la disperazione con tutta la forza che ha sbatte la testa contro la cella... Si spacca la fronte e il viso. Poco dopo viene portato in infermeria. È giusto? È giusto che nei colloqui, se uno prova ad abbracciare un familiare, le guardie battono le loro chiavi sul vetro fino a fare piangere i bambini? È giusto che la scorsa settimana dei detenuti sono stati puniti solo perché si sono lamentati per avere fatto 50 minuti di colloquio invece di un’ora? Controllate le cartelle cliniche dei detenuti e guardate quanti di questi vengono medicati con fratture, ematomi, lesioni... Sempre la stessa risposta: “Dottore è caduto!”. Chiedete ai detenuti quanti torti subiscono a Poggioreale... Qui dentro non possiamo rivolgerci né tantomeno lamentarci con nessuno... Non possiamo nemmeno fare denunce! Il giorno 5 un detenuto scese per denunciare un aggressione subita dalle guardie (nonostante lo avevamo sconsigliato, sapendo quanto sono vigliacchi), poco dopo abbiamo sentito delle urla che ci hanno fatto venire i brividi. Ad oggi non sappiamo ancora cosa è successo. E quando sono venuti a prendere le sue cose in cella e abbiamo chiesto notizie in merito, la guardia ci ha risposto: “Fate gli avvocati?”. Sto scrivendo questa lettera, perché dicono che lo so fare meglio di altri. Scrivo a nome di circa 650 detenuti. Purtroppo non possiamo comunicare tra un padiglione e l’altro, ma lo stato di disagio qui è altissimo e tutti si sono accorti, o meglio si stanno accorgendo, che anche se si è educati e rispettosi, se si osservano le regole, tutti stanno alla mercé delle guardie e dei loro stati d’animo! Un esempio: un detenuto di 69 anni chiede: “Ispettore permette una domanda?”, E l’ispettore risponde: “No, io non permetto e ora vado”. Può sembrare assurdo, ma credeteci è così: è uno scandalo, è uno schifo, è una vergogna! Sì, è vero, non sono tutti uguali, ma a esagerare è il 20% che si salva. Basterebbe diritti e doveri e qui il 90% dei problemi sparirebbero. Ma non va così. C’è un clima di terrore in tutto quello che si fa, se per esempio sbagliano la spesa, devi avere timore di chiamare un appuntato, perché se lo fai alzare dalla sedia per una cavolata come questa, facile che si metta a strillare non puoi fare niente tranne soffocare la tua rabbia e mangiare l’ennesimo sospiro. Sicuramente anche gli agenti lavorano con molta difficoltà, ma noi che stiamo già chiusi 22 ore su 24, oltre a questo, dobbiamo essere trattati come vermi, è veramente troppo! La stessa Costituzione dice che il trattamento delle persone internate o comunque sottoposte a restrizioni di libertà non può essere contrario al senso di umanità! Ma quale umanità, venite a vedere con i vostri occhi e chiedete a coloro che sono stati detenuti qui a Poggioreale! Chi sta qui e subisce un tale trattamento, quando esce (se prima non si uccide) è un animale, una belva, un cane rabbioso, ed è normale, per ciò che ha subito. Come si può avere fiducia nello Stato se qui è proprio lo Stato a fare cose inverosimili? Noi non possiamo fare altro che stare in silenzio, ma per quanto ancora? Dobbiamo autolesionarci? O magari dobbiamo morire come mosche prima che qualcuno si accorga che il problema più grande non è il sovraffollamento, ma i soprusi che subiamo ogni giorno, e che sicuramente molti subiscono in tante carceri d’Italia? È giusto che chi ha sbagliato debba pagare, ma comunque ha dei diritti. Per favore fate sì che chi è rinchiuso qui possa cambiare e ritrovare fiducia nello Stato, nelle persone. Fate sì che queste persone non abusino del loro potere e della loro autorità. Ci scusiamo per non avere messo i nostri nomi, perché questo significherebbe dover subire chissà quale tortura o quale dispetto da questi tutori dello Stato! Prima di lasciarvi vi informo di un altro grave episodio che si è verificato tempo fa. Un ragazzo giovane, molto giovane ha chiesto di essere portato in infermeria e per quasi due ore ha pregato il capoposto. Per favore, per cortesia e alla fine è salito l’ispettore che ha iniziato a fare il pazzo dicendo “lei non deve chiamare, quando è possibile la chiamiamo noi!”. Dopo dieci minuti il ragazzo si era tagliato le vene! Poco dopo veniva portato in infermeria... Questa è giustizia? Questa è democrazia? Costretti a straziare i nostri corpi per farci ascoltare o magari per non subire aggressioni. I detenuti di Poggioreale Padiglioni Salerno, Avellino, Napoli, Milano, Livorno Modena: manca il Magistrato di Sorveglianza, i detenuti devono restare in carcere “per forza” Adnkronos, 17 giugno 2010 Il trasferimento del Magistrato di sorveglianza di Modena, avvenuto lo scorso 10 giugno, sta provocando la reclusione forzata di molti detenuti e internati negli istituti modenesi. La denuncia arriva Manuela Ghizzoni, parlamentare del Pd che in un’interrogazione al ministro della Giustizia Angelino Alfano chiede di “verificare urgentemente la situazione presso il competente Tribunale di Sorveglianza di Bologna” e provvedere al più presto alla nomina del nuovo magistrato. Il Magistrato di Sorveglianza di Modena è competente a decidere per i detenuti nella Casa Circondariale Sant’Anna (oltre 550 persone), per gli internati sottoposti a misura di sicurezza nella Casa di Lavoro di Saliceta San Giuliano e nella Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia (Modena) che ospita anche detenuti in custodia attenuata. “Il trasferimento del magistrato - spiega la parlamentare del Pd - ha impedito lo svolgimento dell’udienza del 16 giugno che è stata rinviata sine die”. “E nemmeno per le udienze del 30 giugno e 14 luglio prossimi vi è la certezza di una trattazione. Siamo di fronte - dichiara Ghizzoni - a una grave lesione della libertà personale, in particolare di coloro che si trovano a tutt’oggi internati in Casa di Lavoro e di quanti si trovano in una situazione di detenzione o internamento senza titolo, con termini scaduti. A questo si aggiunge, non meno grave, la manifesta incapacità del ministero di far coincidere la nomina del nuovo magistrato con il trasferimento del suo predecessore, peraltro annunciato da oltre un mese. Questo non è governo del fare, ma del fare male”. “Il sovraffollamento e la forzata reclusione per la mancata discussione delle udienze - conclude la parlamentare democratica - potrebbe essere “causa di tensioni all’interno degli Istituti se non verrà al più presto fornita la certezza della nomina in via definitiva del Magistrato competente”. Bari: Antigone; oggi primo passo perché il Comune possa avere un Garante dei detenuti Ristretti Orizzonti, 17 giugno 2010 Dichiarazione di Patrizio Gonnella (presidente di Antigone). Oggi 17 giugno 2010 tra gli ordini del giorno del Consiglio comunale di Bari la proposta di delibera per l’istituzione dell’Ufficio del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, avanzata dal Consigliere Carlo Paolini eletto nella lista “Emiliano per Bari”. “Quella di domani, per il Comune di Bari, sarà una giornata importante per la tutela dei diritti umani: sarà il primo passo affinché anche il capoluogo pugliese possa avere un suo organismo di tutela dei diritti delle persone private della libertà, come già accade in tanti altri Comuni, Province e Regioni d’Italia: come nei comuni di Firenze, Bologna, Torino e Pisa o nelle Province di Milano e Ferrara o nel Lazio, nella Sicilia e nelle Marche” - dichiara Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone. “Speriamo”, prosegue, “che domani il Consiglio voti per l’istituzione di una tale figura di garanzia anche in virtù del fatto che la situazione di sovraffollamento delle carceri pugliesi è a livelli assai elevati: il carcere di Bari, in particolare, in base ai dati ufficiali del Dap, risulta tra i più sovraffollati d’Italia, con le sue attuali 589 presenze a fronte di una capienza regolamentare di 289 detenuti. Situazione che sottolinea ancora di più la necessità dell’istituzione di uno strumento di controllo e monitoraggio. L’istituzione della figura del Garante, inoltre, avvicinerebbe il carcere al territorio d’appartenenza anche in considerazione della collocazione semicentrale dell’Istituto nella città di Bari”. Genova: panetteria “Marassi”; centoquaranta chili al giorno finiscono sulle tavole dei genovesi di Stefano Origone La Repubblica, 17 giugno 2010 Centoquaranta chili di pane e duecento di focaccia destinati ogni giorno a finire sui tavoli dei genovesi e delle mense scolastiche. L’esperimento del panificio dentro al carcere di Marassi compie quattro anni e va avanti con una nuova iniziativa per “formare i detenuti nel loro reinserimento nel mondo del lavoro”, sottolinea soddisfatto il direttore Salvatore Mazzeo. “L’obiettivo è quello di inserire in questo progetto più detenuti possibile. Ora sono in quattro, ma vogliamo salire ad almeno dieci panettieri”. Nel laboratorio si lavora di notte, dalle 24 alle 7, per produrre rosette, papere, tartarughe e libretti artigianali, ma presto i carcerati-panettieri sforneranno anche pane senza glutine, con farine integrali lavorate con la macina di pietra come si faceva una volta. Un prodotto che ha l’obiettivo di proporre una cultura alimentare più sana. “Questa iniziativa è molto importante sotto il profilo trattamentale continua il direttore - per acquisire professionalità spendibili all’esterno e non rischiare di ritornare nel circuito criminale”. Il progetto del “Pane Etico”, quindi, va oltre. “Non ci fermeremo qui interviene Pietro Civello, amministratore della cooperativa Italforno che mette a disposizione gli impianti e ha assunto i quattro detenuti che lavorano nel panificio di Marassi perché sono allo studio altri due progetti. Passeremo dal pane al pesce e alla cioccolata. I detenuti puliranno il pesce che andrà alla grande distribuzione e apriremo un laboratorio per lavorare cacao di alta qualità”. Il direttore Salvatore Mazzeo addenta un pezzo di focaccia. “Qui abbiamo “sfornato”, è proprio il caso di dirlo, dei veri maestri!” I panetti preparati dai detenuti di Marassi si possono trovare tutti i giorni sugli scaffali della Coop. “È un grande successo sottolinea Luigi Pestarino della Coop Liguria e ora con il pane senza glutine affrontiamo una nuova sfida. Sarà un prodotto speciale, unico”. “Ma soprattutto diverso, buono aggiunge la nutrizionista e biologa Lucia Vignolo, un toccasana per chi soffre di intolleranze alimentari”. Genova: Sappe; nel carcere di Pontedecimo cappella religiosa trasformata in magazzino Adnkronos, 17 giugno 2010 Per gli agenti di polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Genova Pontedecimo è vietato fare attività sportiva, mangiare ma anche pregare. E il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe scrive al Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta e al Cardinale Arcivescovo di Genova (e presidente della Conferenza Episcopale Italiana) Angelo Bagnasco, chiedendo un “urgente intervento”. Donato Capece, segretario generale del Sappe spiega: ‘Siamo stati informati di una discrezionale quanto opinabile decisione assunta dalla Direzione della Casa Circondariale di Genova Pontedecimo di limitare notevolmente alcuni degli spazi dell’Istituto destinati al benessere del Personale (uso del campo di calcio ed area ristoro)’. “Quello che amareggia particolarmente è il fatto che si sia deciso di chiudere unilateralmente - fa notare - anche la Cappella religiosa, nell’area villa Direzione, punto di riferimento spirituale del personale del carcere che spesso vi si è recato per momenti di raccoglimento e in cui si sono celebrate in più occasioni appuntamenti religiosi, destinandola a magazzino di ferrame e materiale vario”. Cagliari: dopo oltre un anno in carcere un bimbo nigeriano lascia Buoncammino con la mamma Agi, 17 giugno 2010 Dopo oltre un anno un bimbo nigeriano che ora ha 22 mesi ha potuto lasciare il carcere cagliaritano di Buoncammino assieme alla madre. La detenuta - fa sapere Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo diritti riforme, ha ottenuto gli arresti domiciliari in una struttura gestita dall’associazione “Donne al traguardo”. “Ancora una volta ci si dive affidare al buon senso di un magistrato e alla disponibilità delle associazioni di volontariato per vedere garantito un diritto, quello di un bimbo di crescere in un ambiente adeguato alla sua età“, sottolinea Caligaris, rimarcando il ruolo di suor Angela Nicoli, che da alcuni mesi l’accompagnava ogni giorno all’asilo, di padre Massimiliano Sira, cappellano del carcere, e della presidente dell’associazione, Silvana Migoni. “Resta irrisolto il problema delle detenute madri con bambini sotto i tre anni. In questo caso c’è anche il problema del ricongiungimento della donna detenuta con un’altra figlia minore ora in affidamento a Olbia. L’auspicio”, conclude Caligaris, “è che si trovi il modo per far incontrare questa famiglia in modo che i bambini possano conoscersi, in quanto fratelli, e mantenere uno stretto legame”. Alessandria: detenuto si butta dal secondo piano del Tribunale; ricoverato in ospedale Apcom, 17 giugno 2010 Questa mattina intorno alle 12 un detenuto di nazionalità marocchina del carcere torinese Lorusso e Cutugno, che si trovava per un’udienza al Tribunale di Alessandria, si è buttato dal secondo piano del palazzo mentre il giudice era chiuso in Camera di consiglio. L’uomo, che ora si trova in prognosi riservata all’ospedale di Alessandria, in quel momento era senza manette, ma sorvegliato. Con un gesto improvviso è corso alla finestra-balcone e si è gettato. È fuori pericolo di vita il detenuto del carcere torinese Lorusso e Cutugno che questa mattina si è buttato dal secondo piano del Tribunale di Alessandria, dove si trovava per un’udienza, mentre il giudice era chiuso in Camera di consiglio. L’uomo, Mohamed Salhi, 35 anni di nazionalità marocchina, è stato ricoverato all’ospedale di Alessandria, dove sta per essere sottoposto a un intervento chirurgico. Ha riportato fratture ai piedi e a un braccio. Era sotto sorveglianza quando si trovava a palazzo, ma senza manette. Sappe: polizia penitenziaria sventa fuga ad Alessandria “È solo grazie alla professionalità, alle capacità e all’attenzione del personale di Polizia penitenziaria del nucleo traduzioni del carcere Lorusso Cotugno di Torino che è stato sventato oggi un clamoroso tentativo di evasione da parte di un detenuto marocchino dal tribunale di Alessandria. Il detenuto, 20 anni e ristretto per spaccio di stupefacenti, ha tentato di fuggire lanciandosi con un balzo felino dalla finestra dell’aula del tribunale. Bravissimi i colleghi di Torino, che lavorano sotto organico e in condizioni difficili. Questo grave episodio conferma ancora una volta le gravi criticità del sistema carcere”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo Polizia penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri in relazione a quanto avvenuto oggi al tribunale di Alessandria. “La situazione delle carceri in Italia è drammatica - prosegue Capece - a causa del sovraffollamento dovuto a una costante crescita dei detenuti che dall’inizio del 2009 sono aumentati di oltre diecimila unità, mentre il personale di Polizia penitenziaria continua a diminuire di circa mille unità all’anno, tant’è che allo stato attuale mancano oltre seimila agenti rispetto alle piante organiche previste dal decreto ministeriale del 2001. Oggi nelle carceri italiane ci sono circa 68mila detenuti, dei quali oltre 25mila sono stranieri, soprattutto extracomunitari come il detenuto che ha tentato la fuga dal tribunale di Alessandria. Nella casa circondariale di Torino ci sono più di 1.550 detenuti presenti a fronte dei circa mille posti letto regolamentari e quasi il 60 per cento sono extracomunitari. Mancano in organico più di 300 appartenenti ai vari ruoli della Polizia penitenziaria (agenti, assistenti, sovrintendenti e ispettori). Questi emblematici dati fanno comprendere anche ai non addetti ai lavori come i livelli di sicurezza dei nostri penitenziari siano assai limitati e in quali drammatiche condizioni lavorino i nostri agenti. Anche quando trasportano e traducono i detenuti presso le aule di giustizia, come ad Alessandria, in condizioni estremamente difficili. Rivolgiamo allora un grande plauso ai colleghi di Torino - conclude il segretario generale del Sappe - che hanno impedito il verificarsi di una evasione dal tribunale di Alessandria e che magistrati, avvocati e altri visitatori si trovassero in condizioni di pericolo”. Milano: 42 giorni a San Vittore, ma era innocente; dopo 5 anni risarcito con 10mila euro La Provincia Pavese, 17 giugno 2010 L’argomento è di attualità, anche se i fatti risalgono a qualche tempo fa. Un giovane di Casteggio, incastrato da intercettazioni telefoniche interpretate dagli inquirenti in modo piuttosto “libero”, si è fatto 42 giorni di carcere a San Vittore. Ma non era vero nulla: tanto che è stato prosciolto prima ancora di arrivare al processo. Ora lo Stato ha ammesso la sua colpa ed è arrivato il risarcimento tanto atteso: poco meno di 10 mila euro. Lui si chiama Giuseppe Giunta, abita a Casteggio e oggi ha 27 anni. “All’epoca dei fatti, però, ne avevo solo 22 - racconta Giuseppe - Ero molto giovane, pieno di entusiasmo per la vita. Quel mese e mezzo di ingiusta reclusione in un inferno come il carcere milanese, senza alcuna colpa, mi hanno segnato. La polizia è venuta a prendermi in casa, alle 4 del mattino, come se fossi un delinquente. Ma io per alcuni giorni non ho neppure capito perché mi avevano chiuso in prigione. Ci sono rimasto dal 4 maggio 2005 al 14 giugno 2005”. Di cosa la accusavano? “Spaccio di stupefacenti: e tutto per alcune intercettazioni telefoniche interpretate male. Io sono originario della provincia di Caltanissetta, e naturalmente avevo in Sicilia degli amici: andavo giù per le vacanze. Si vede che qualcuno di questi amici era intercettato per un’indagine di droga, e ci sono finito in mezzo anche io. Ma ho subito dimostrato che non c’entravo nulla: mi hanno prosciolto prima di arrivare al processo. Io non ho mai utilizzato droga, né l’ho spacciata”. L’avvocato Assennato di Caltanissetta aveva chiesto 50 mila euro per la “ingiusta detenzione subita in un contesto carcerario particolarmente afflittivo, che aveva causato a Giunta un rilevante nocumento e la lesione della sua immagine sociale”. La Corte di appello nissena ha ridotto invece la cifra dell’indennizzo, condannando il Ministero delle finanze a pagare la somma di 9.432,80 euro, pari a 235,82 euro al giorno. Nella sentenza, la corte ha ricostruito la vicenda. Giunta era stato arrestato il 4 maggio 2005 in esecuzione di un ordine del Gip di Caltanissetta emesso il 27 aprile 2005. L’accusa, poi risultata infondata, era quella di avere detenuto sostanze stupefacenti (hashish) in concorso con altre persone a Barrafranca (Cl) tra l’agosto e il novembre 2003. Giunta era stato sottoposto a perquisizione personale e domiciliare, e poi portato a San Vittore. Scarcerato il 14 giugno 2005, era stato poi prosciolto dallo stesso Gip il 22 giugno 2006. Decisivo il fatto che Giunta fosse incensurato. “I 42 giorni a San Vittore - ha spiegato Giunta ai giudici - mi hanno lasciato una pesante eredità di spiacevoli ricordi. L’esperienza carceraria, fatta di regole scritte e non, di angherie e di soprusi, mi ha letteralmente trasformato, rendendomi insicuro, timoroso e con tendenze depressive. Sono state danneggiate la mia immagine e quella dei miei familiari”. Roma: domani sul palco dell’ex Snia cinque band terranno un concerto per Stefano Cucchi Dire, 17 giugno 2010 Domani cinque band sul palco dell’ex Snia a Roma (via Prenestina 173) all’insegna della solidarietà a tempo di musica, dal funk di Ponte Sisto al punk di Pamplona. E in ricordo, ma non solo, di Stefano Cucchi. Inizio alle 22, prevista la partecipazione della sorella, Ilaria. Con questo concerto di “Territori solidali”, spiega una nota, si chiude una prima fase della “campagna durata cinque mesi in ricordo di Stefano e in sostegno alla famiglia Cucchi”. “Un bilancio più che positivo - dicono ancora nel comunicato - perché oltre al sostegno economico raggiunto (domani la sottoscrizione per assistere al concerto costa 5 euro, ndr), la campagna ha dato modo di tenere alta l’attenzione e far crescere la consapevolezza su quanto quel che è stato per Stefano può succedere ad ognuno di noi e non per mano di poche mele marce ma a causa di un sistema repressivo e penale che miete ogni giorno le sue vittime”. “Dopo aver coinvolto migliaia di persone con un concerto con i migliori interpreti della canzone romana e non solo - aggiunge la nota - la presentazione di film e libri, un pranzo sociale, incontri pubblici ed il primo Memorial di boxe dedicato a Stefano, si ripartirà ad ottobre- conclude- con una nuova progettualità sociale e politica rivolta al territorio, per continuare ad affermare che “Non si può morire cosi”. Libri: “Carcere e diritti sociali”; dall’esperienza di Altro Diritto un’indagine sui diritti dei detenuti www.volontariatoggi.info, 17 giugno 2010 Il volume “Carcere e diritti sociali” di Giuseppe Caputo, pubblicato da Cesvot in “Briciole” (n. 24, aprile 2010, pp. 223) nasce dall’esperienza di formazione, ricerca e lavoro volontario maturata nelle carceri toscane dall’associazione L’Altro Diritto, centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità. Al centro del libro un tema di grande attualità ma troppo spesso lasciato in ombra: gli effetti della carcerazione sui diritti dei detenuti, in particolare sui diritti sociali, sul diritto al lavoro e alla salute. Quando entriamo in carcere - scrive Giuseppe Caputo - scopriamo che “la gran parte delle norme che dovrebbero garantire i diritti dei detenuti, quelli sociali in particolar modo, sono pure affermazioni di principio”. Quello dei diritti dei detenuti è, infatti, un tema sul quale c’è non solo poca consapevolezza ma anche pochi studi. Come scrive nella prefazione Emilio Santoro, docente presso il Dipartimento di Teoria e Storia del Diritto dell’Università di Firenze e fondatore dell’associazione L’Altro Diritto, “questa carenza di analisi è sorprendente e preoccupante considerando gli impressionanti numeri della popolazione penitenziaria”. In Italia sono 67.444 le persone detenute (in Toscana 4.459), 25mila in più rispetto ai posti letto regolamentari. Nel 1999 erano 29mila. Dal 1990 al 2009, nonostante i reati siano aumentati appena del 13%, la popolazione detenuta è aumentata di oltre il 100%, perché? Come spiega Giuseppe Caputo, la risposta sta nella carcerazione preventiva: i detenuti non definitivi sono la metà del totale. Il libro si sofferma in particolare sul lavoro penitenziario e sui diritti sociali che ne dovrebbero scaturire. Solo ¼ dei detenuti ha accesso al lavoro penitenziario, ma si tratta di lavori saltuari e fortemente dequalificati, che non possono in alcun modo contribuire al trattamento risocializzante. Le retribuzioni per il lavoro penitenziario sono inferiori del 15% rispetto ai minimi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro del 1993. Con la misera retribuzione (3 euro l’ora) quei pochi detenuti che riescono a lavorare possono a mala pena sopperire ai bisogni alimentari, ma di fatto non accedono ai diritti previdenziali che spettano a tutti i lavoratori: “il periodo trascorso in carcere è per loro un tempo inutile”, scrive Caputo. Chiude il volume un capitolo dedicato ai detenuti stranieri. Gli stranieri sono iper rappresentati in carcere: rappresentano il 6,5% del totale dei residenti in Italia ma il 37% dei detenuti. Dal 1990 la presenza dei detenuti stranieri in Italia è più che quadruplicata. Una delle ragioni, secondo l’autore, è che agli stranieri si applica molto più facilmente che agli italiani la custodia preventiva in carcere: nonostante gli stranieri siano in media il 20% dei condannati, essi sono quasi il 40% dei detenuti. Immigrazione: Garante detenuti Lazio; la situazione nel Cie di Ponte Galeria è ingovernabile Asca, 17 giugno 2010 Atti sempre più frequenti di autolesionismo, tensione altissima fra gruppi etnici, sempre più difficile garantire l’assistenza quotidiana. È questa la fotografia della situazione - che sta diventando di giorno in giorno sempre più critica - nel Centro di Identificazione ed Espulsione (Cie) di Ponte Galeria. Lo denuncia il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. “La mancata ristrutturazione del Centro - ha detto Marroni - l’affollamento reso ancor più grave dal caldo, i ritardi nell’effettuazione delle visite mediche all’esterno e i lunghi tempi di permanenza per l’identificazione degli stranieri, sono fra le cause di una situazione che già ora è difficilmente governabile e che rischia di esplodere irrimediabilmente”. Attualmente nella struttura sono ospitate circa 270 persone, 140 delle quali donne. È accaduto che un gruppo di algerini ha impedito, nei giorni scorsi, con minacce, la distribuzione dei pasti creando forti tensioni tra i “ trattenuti” delle altre nazionalità (nigeriani, romeni e albanesi). A complicare la situazione anche i casi di autolesionismo (con ferite prevalentemente auto inflitte con lamette) compiuti per stanchezza, paura di tornare nei Paesi di origine o per ottenere le cure richieste nei tempi previsti. Ieri, un ospite con diverse ferite, era riverso su un materasso posto in una stanza interna al centro, con le mani legate per impedirgli di infliggersi altre ferite; un altro ospite, con una ferita a una coscia suturata con 14 punti, si è arrampicato sul tetto di una delle baracche unendosi alla protesta di un altro extracomunitario. In questa situazione, è palese il timore degli operatori e dei volontari di accedere nell’area della struttura dove sono rinchiusi gli ospiti; la stessa barberia, dove è ovviamente consuetudine usare lamette, è stata spostata all’esterno di tale area. Il Garante ha riferito che, per verificare i danni causati alle strutture dalle proteste dei giorni scorsi, è stato necessario far accompagnare due funzionari della Prefettura da una scorta di 15 agenti di polizia. La questione che provoca maggiore tensione è il tempo di permanenza degli ospiti nel C.I.E. Se nei mesi scorsi, questi era Centro di Permanenza Temporanea, in cui il tempo trattenimento era massimo di 2 mesi, dopo il Pacchetto Sicurezza, varato dal Governo, ha cambiato funzione ed il tempo si è dilatato fino ai 6 mesi previsti dalla legge. Inoltre, sempre dopo l’approvazione del Pacchetto, le forze dell’ordine trasferiscono automaticamente gli stranieri scarcerati al Cie. “I tempi - ha detto il Garante - sono legati principalmente alla difficoltà di identificazione degli ospiti. Diversi Consolati non collaborano, altri lo fanno con ritardo ed anche questo provoca ulteriori disagi e difficoltà a chi è impegnato a gestire il Centro e più in generale a tutte le componenti che lì vi operano. L’unico Consolato che spesso è presente nel Cie è quello della Nigeria”. Francia: 51 i detenuti morti suicidi nel 2010, nel 2009 i detenuti suicidi erano stati 115 Apcom, 17 giugno 2010 È la Francia il paese dell’Europa occidentale con il più alto tasso di suicidi in carcere. Secondo quanto ha riferito oggi il direttore dell’Amministrazione penitenziaria francese (Ap), Jean-Amedee Lathoud, durante un’audizione parlamentare, nel paese transalpino dall’inizio del 2010 si sono suicidati 51 detenuti. In totale nelle prigioni francesi ci sono 61.656 detenuti, e la Francia è stata in passato regolarmente condannata dalla Corte europea. “Nel 2010, 51 detenuti si sono suicidati”, ha dichiarato Lathoud, ricordando che nel 2009 nello stesso periodo i suicidi erano stati 57. In totale nel 2009 i suicidi sono stati 115; l’anno precedente erano stati 109. In Italia dall’inizio dell’anno i suicidi tra i detenuti sono stati finora 32. L’ultimo si è registrato ieri nel carcere catanese di Bicocca.