Giustizia: non si ferma l’escalation di suicidi nelle carceri, due morti a Milano e a Lecce Ansa, 14 giugno 2010 Non si ferma l’escalation di suicidi nelle carceri: sabato scorso due detenuti si sono tolti la vita a Milano e a Lecce. Nel carcere milanese di Opera si è ucciso Francisco Caneo, 48 anni, ergastolano originario delle Filippine. Si è impiccato approfittando dell’uscita del compagno di cella per fruire dei passeggi. Caneo era detenuto dallo scorso dicembre dopo una condanna all’ergastolo per duplice omicidio: nel novembre 2008, Caneo aveva ucciso a coltellate una zia e una cugina, con cui viveva in un appartamento a Magenta, nel Milanese. Venne arrestato qualche ora dopo. Il detenuto, attorno alle 13.30, rimasto solo in cella in quanto il compagno era fuori per l’ora d’aria, si è impiccato con la cintura dell’accappatoio alle sbarre della finestra. Da quanto si è saputo l’uomo, che ha moglie e due figli che vivono nelle Filippine, lavorava presso uno dei laboratori della casa di reclusione e dal primo giugno era stato assunto da una società esterna. “Siamo rimasti colpiti e scossi - ha detto Giacinto Siciliano, direttore di Opera, sottolineando che l’ultimo suicidio risale al 2008 - perché non aveva dato alcun segnale che facesse pensare a un gesto del genere”. A Lecce ha deciso di impiccarsi nel pomeriggio un uomo di 55 anni di origine salentina che doveva ancora scontare circa tre anni di pena. I sindacati di polizia penitenziaria Sappe e Osapp, che hanno reso nota la notizia, rilevano che si tratta “del secondo suicidio avvenuto nel giro di qualche giorno nel carcere leccese, fatto questo che la dice lunga sull’attuale situazione vissuta all’interno del penitenziario”. Sappe e Osapp denunciano che nel carcere salentino vi è una “drammatica situazione igienico - sanitaria derivante da un sovraffollamento che a Lecce, a fronte di 660 posti disponibili, vede la presenza di quasi 1.400 detenuti”. Lecce: detenuto si suicida, è il secondo caso in pochi giorni Luigi Coluccello, 55enne di Salve, si è tolto la vita sabato pomeriggio nell’infermeria della casa circondariale di Borgo San Nicola. Insorge il Sappe: “Queste tragedie devono smuovere le coscienze”. Secondo suicidio in pochi giorni a Lecce, ed una casistica che fa rabbrividire: sono ormai una trentina i casi analoghi in Italia dall’inizio dell’anno. Sabato pomeriggio, intorno alle 15, un detenuto di 55 anni di Salve, Luigi Coluccello, si è tolto la vita impiccandosi nel reparto infermeria della casa circondariale di Lecce. La notizia del decesso è stata diffusa dal coordinamento interregionale di Puglia e Basilicata del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe). L’uomo doveva scontare ancora circa tre anni di detenzione. Ed il Sappe punta ancora una volta il dito contro le carenze nell’istituto di pena del capoluogo, spesso finito nelle cronache proprio per situazioni di allarme. Con problematiche di cui si è discusso anche nel corso dell’anniversario della polizia penitenziaria, caratterizzato da polemiche roventi. “È il secondo suicidio avvenuto nel giro di qualche giorno nel carcere leccese, il che la dice lunga sull’attuale situazione che viene vissuta all’interno del penitenziario”, commenta il segretario nazionale, Federico Pilagatti. “Il Sappe purtroppo è stato facile profeta nel prevedere una situazione che ogni giorno che passa diventa sempre più preoccupante per le cause da sempre denunciate, come la drammatica condizione igienico - sanitaria derivante da un sovraffollamento che a Lecce, a fronte di 660 posti disponibili, vede la presenza di quasi 1400 detenuti”. Fatti abbondantemente segnalati nelle cronache recenti. Ai quali si aggiunge, proprio ora, che le temperature salgono vertiginosamente, “la carenza di acqua che tante proteste sta generando tra la popolazione detenuta. Sicuramente, se a questa situazione esplosiva, si aggiungono problematiche di carattere personale che ogni detenuto porta con sé, il risultato non può che essere drammatico”. Una dramma diffuso, comunque, e che non riguarda solo Lecce. “Purtroppo lo stesso disagio viene vissuto in tutte le carceri pugliesi, con la popolazione detenuta che ha superato di quasi il 100 per cento dei posti disponibili, quasi 4mila e 400 a fronte di 2mila e 200”, aggiunge il rappresentante del sindacato, ricordando, anche, “che mentre nel 2008 i suicidi avvenuti nelle carceri pugliesi furono appena due, nel 2009 si registrarono tre decessi, e in questo primo scorcio del 2010 tale risultato è stato raggiunto con il suicidio avvenuto oggi”. Ai due di Lecce, deve infatti aggiungersi un altro episodio ad Altamura. “Stesso discorso per i tentativi di suicidio, manifestazioni di protesta varia, che stanno lievitando in maniera molto preoccupante. Purtroppo i freddi numeri non fanno giustizia del duro lavoro dei poliziotti penitenziari che nonostante la grave carenza di organici, fronteggiano con professionalità e sacrificio una situazione al collasso, anche mettendo a rischio per la propria incolumità”. Secondo Pilagatti, “l’elenco delle vittime di un disagio non più controllabile, si è fermato a questi numeri proprio grazie al lavoro oscuro della polizia penitenziaria, poiché tantissimi sono stati gli interventi che hanno fermato all’ultimo momento il tragico epilogo di un gesto di protesta, derivante dall’invivibilità delle carceri”. E, dunque, il Sappe ritiene che sia veramente giunto il momento di “smuovere le coscienze per consentire che una problematica tanto tragica quanto delicata, sia finalmente affrontata dalla politica in maniera seria e concreta, e non a chiacchiere con provvedimenti fantasma. Vedi piano carceri”. Anche se il timore di Pilagatti è che “come accaduto anche in precedenti occasioni, il tutto si risolva con qualche articolo di giornale e qualche presa di posizione del politico di turno, che promette tutto a tutti, mentre la tragedia di vite spezzate per colpa di uno Stato incapace di assicurare condizioni di vita decenti nelle carceri, rimarrà come una macchia indelebile per la nostra democrazia e per una nazione che si ritiene civile”. Da qui, la richiesta: “L’incremento di almeno 500 poliziotti penitenziari, di cui almeno cento a Lecce, altrimenti la situazione si aggraverà”. Giustizia: Ristretti Orizzonti; rispetto agli anni 60 suicidi in carcere aumentati del 300% Adnkronos, 14 giugno 2010 Negli ultimi dieci anni (2000 - 2009) i detenuti suicidi nelle carceri italiane sono stati 568, contro i 100 nel decennio 1960 - 69, con una popolazione detenuta che era circa la metà dell’attuale: in termini percentuali, la frequenza dei suicidi è quindi aumentata del 300%. Lo rileva il Centro studi di Ristretti orizzonti, in un confronto statistico tra l’Italia, i Paesi europei e gli Usa, realizzato elaborando i dati forniti dal ministero della Giustizia, dal Consiglio d’Europa e dallo U.S. Department of Justice. I motivi di questo aumento, sottolinea Ristretti orizzonti, sono diversi: 40 anni fa i detenuti erano prevalentemente criminali “professionisti”, mentre oggi buona parte della popolazione detenuta è costituita da persone provenienti dall’emarginazione sociale, spesso fragili psichicamente e privi delle risorse caratteriali necessarie per sopravvivere al carcere. In ambito europeo, prendendo in considerazione i dati del periodo 2005 - 2007, risulta una media annua di 9,4 suicidi ogni 10.000 detenuti, tra i presenti in tutte le carceri del continente. Confrontando invece i tassi di suicidio nelle popolazioni detenute dei singoli Paesi il valore mediano risulta di 7,4 suicidi l’anno ogni 10.000 persone. Negli Stati Uniti fino a 30 anni fa il tasso di suicidio tra i detenuti era simile a quello che si registra oggi in Europa. Ma dopo l’istituzione, nel 1988, di un Ufficio “ad hoc” per la prevenzione dei suicidi in carcere, con uno staff di 500 persone incaricate della formazione del personale penitenziario, in 25 anni i suicidi si sono ridotti del 70%, rimanendo poi su livelli pari a circa un terzo di quelli italiani ed europei. In Italia, nel triennio 2005 - 2007, il tasso di suicidio è stato pari a 10 casi ogni 10.000 detenuti; nel 2009 è salito a 11,2 e per l’anno in corso finora si mantiene sullo stesso livello. In alcuni Paesi, come la Francia, la Gran Bretagna e la Germania, che hanno un numero di detenuti paragonabile a quello dell’Italia, avvengono in media più suicidi rispetto a quelli che si registrano nelle nostre carceri. Tuttavia, sottolinea Ristretti Orizzonti, per un confronto efficace tra i dati dei vari Paesi bisogna prendere in considerazione anche la frequenza dei suicidi nella popolazione libera, perché ogni sistema carcerario va contestualizzato nella comunità di riferimento. Lo ha fatto l’Istituto Nazionale francese di Studi Demografici (Ined), con la ricerca “Suicide en prison: la France comparèe à ses voisins europèens”, pubblicata a dicembre 2009. L’Ined ha considerato la frequenza di suicidi tra i cittadini liberi, maschi, di età compresa tra 15 a 49 (cioè con caratteristiche simili a quelle della gran parte della popolazione detenuta) e ha calcolato lo ‘scartò esistente con la frequenza dei suicidi in carcere. L’Italia, tra i Paesi considerati, è quello in cui maggiore è lo scarto tra i suicidi nella popolazione libera e quelli che avvengono nella popolazione detenuta, con un rapporto da 1,2 a 9,9 (quindi in carcere i suicidi sono circa 9 volte più frequenti), mentre in Gran Bretagna sono 5 volte più frequenti, in Francia 3 volte più frequenti, in Germania e in Belgio 2 volte più frequenti e in Finlandia, addirittura, il tasso di suicidio è lo stesso dentro e fuori dalle carceri. Dallo ‘scartò esistente tra i suicidi dei detenuti e quelli della popolazione libera è possibile definire un criterio di ‘vivibilità di ogni sistema penitenziario. L’Italia detiene il “record” del tasso di sovraffollamento penitenziario in Europa e, allo stesso tempo, presenta lo scarto maggiore tra suicidi dentro e fuori dal carcere. Ristretti Orizzonti ritiene quindi vi sia un rapporto tra affollamento delle celle, riduzione della vivibilità e elevato livello di suicidi. L’affollamento, infatti, comporta condizioni di vita peggiori: per mancanza di spazi di movimento, di intimità, di igiene e salute, quindi è tra le possibili ragioni della scelta di uccidersi. Ma va anche detto che il 30% circa dei suicidi avviene mentre il detenuto è da solo, perché in cella di isolamento o perché i compagni sono usciti per l’ora d’aria. Dall’inizio dell’anno, nelle carceri italiane vi sono stati 23 suicidi accertati (per impiccagione) e 6 casi dubbi (morte per inalazione di gas). Nei 20 anni precedenti (1990 - 2009), i suicidi sono stati 1.027, con un caso su 3 avvenuto in cella d’isolamento. I tentati suicidi, in 20 anni, sono stati 14.840, con una frequenza media di 148 casi ogni 10.000 detenuti. Nello stesso periodo, gli atti di autolesionismo sono stati 98.342, con una frequenza media di 1.045 casi ogni 10.000 detenuti. Dal 1990 ad oggi, rileva ancora Ristretti Orizzonti, nelle carceri italiane si è registrato in media ogni anno: 1 suicidio ogni 924 detenuti presenti; 1 suicidio ogni 283 detenuti in regime di 41 - bis; 1 tentato suicidio ogni 70 detenuti; 1 atto di autolesionismo ogni 10 detenuti; 1 sciopero della fame ogni 11 detenuti; 1 rifiuto delle terapie mediche ogni 20 detenuti. Giustizia: 31 suicidi da inizio anno, con l’estate il clima rischia di farsi ancora più “rovente” Apcom, 14 giugno 2010 Con gli ultimi due suicidi verificatisi ieri nelle carceri di Milano Opera e Lecce, il numero dei suicidi negli istituti di pena italiani dal 1 gennaio 2010 a oggi è salito a 31. A questi, occorre sommare i 46 tentativi di suicidio non portati a termine esclusivamente per l’intervento in extremis dei poliziotti penitenziari. “Con questi numeri - commenta duramente il segretario della Uilpa penitenziari Eugenio Sarno - ci sembra che si possa parlare di strage, senza poter essere smentiti”. Secondo il sindacato è “indicativo” che i suicidi si verifichino, nella maggior parte dei casi, “in strutture dove il sindacato ha da tempo lanciato l’allarme sulle condizioni strutturali e/o per le difficoltà operative. Segno che da una parte si dispone di sensori adeguati a monitorare i segnali, dall’altra ci si ostina a non tenere in debito conto le segnalazioni che si ricevono”. È certamente il caso di Milano Opera, “praticamente in ginocchio per la grave deficienza organica della polizia penitenziaria”. Lo è ancor più per Lecce, un istituto di cui la Uil da mesi denuncia “le deficienze strutturali, operative e amministrative”. Secondo la Uilpa Penitenziari, con l’avvicinarsi della stagione estiva il clima nelle carceri si farà ancor più rovente: “Solo in questi primi giorni di giugno abbiamo registrato tre tentati suicidi sventati in extremis dalla polizia penitenziaria, nove agenti penitenziari aggrediti e feriti, con prognosi superiore ai cinque giorni, una evasione”. Senza dimenticare le innumerevoli manifestazioni di protesta registratesi a Milano San Vittore, Vicenza, Padova, Firenze Sollicciano, Novara e la rivolta di Genova Marassi. Proprio ieri a Vibo Valentia i detenuti hanno posto fine alla due giorni di protesta derivante dalla mancata erogazione dell’acqua. Giustizia: Bonino (Radicali); la “grande riforma” di Alfano farà la fine del Piano Carceri? Dire, 14 giugno 2010 “Non è la prima volta che viene annunciata la grande riforma in tema di giustizia, spero che questa volta la presentino e che non faccia la fine del piano carceri, malgrado il lungo sciopero della fame di Rita Bernardini e dei compagni radicali”. Lo dice a Radio Radicale la vicepresidente del Senato Emma Bonino. “C’è da augurarsi che gli annunci di Alfano - prosegue - non facciano la stessa fine. Noi sulla riforma in tema di giustizia abbiamo una posizione diversa dal Pd. Tra l’altro devo prendere atto che la nostra richiesta di un incontro per una giornata di lavoro e confronto con il Pd è caduta nel vuoto. Prima o poi ne trarremo le conseguenze, senza fretta ma con urgenza”. Giustizia: Casellati, suicidi non c’entrano con sovraffollamento, pensare a vita affettiva dei detenuti Asca, 14 giugno 2010 “Escludo che i suicidi in carcere possano essere collegati alla questione del sovraffollamento, non vedo questa equazione”. Lo afferma il sottosegretario alla giustizia con delega alle carceri Elisabetta Alberti Casellati in uno speciale di Rai Gr Parlamento dedicato al tema dei suicidi nei penitenziari italiani. “‘Poco si tiene conto dell’equilibrio affettivo - aggiunge il sottosegretario - io ritengo che quando uno entra in carcere debba mantenere quelli legami i con la famiglia, con le persone che possono aiutare ad affrontare situazioni personali di disagio”. Guardando all’esperienza di altri paesi, Alberti Casellati invita a valutare soluzioni già adottate in altri Paesi che riguardano la sfera sessuale dei detenuti: “‘Ci sono ad esempio - dice - delle stanze dove uno può avere rapporti sessuali con la propria moglie o la propria fidanzata, avere cioè una vita affettiva completa, per far si che non si perda la propria identità sessuale”. Quanto al piano carceri del governo, il sottosegretario rileva che in vista della realizzazione di otto nuove strutture e l’ampliamento di alcune esistenti, sono stati realizzati quest’anno 2 mila 225 posti detentivi in più. Giustizia: Favi (Pd); piano carceri solo ipotetico, Casellati non sminuisca dramma dei suicidi Adnkronos, 14 giugno 2010 “Le carceri italiane si trovano in una situazione davvero drammatica e il sottosegretario al ministero della Giustizia Casellati cita invece ipotetiche statistiche che ci porrebbero come fanalino di coda in Europa per numero di suicidi”. È quanto osserva il responsabile del Pd per le carceri Sandro Favi, per il quale Casellati “se non si accontentasse di parlare di percentuali e si occupasse delle persone in carne ed ossa, saprebbe che il problema delle carceri non si risolve sminuendo il dramma dei suicidi e dovrebbe apportare proposte risolutive ai problemi e non sminuirli”. Si chiede Favi: “Sono forse poche quasi trenta persone che si sono tolte la vita dall’inizio del 2010? Il dramma dei suicidi, dei tentativi e degli atti di autolesionismo in carcere sono sicuramente sintomi di grave malessere che oggi con i dati che abbiamo è dovuto principalmente al forte disagio dovuto al sovraffollamento. Servono interventi urgenti e non annunci di un Piano definitivo delle carceri, perché noi non abbiamo ancora visto neanche quello ipotetico”. Giustizia: Garante privacy, no immagini detenuti in manette, rispettare la dignità delle persone Agi, 14 giugno 2010 I media si astengano dal diffondere riprese e fotografie di persone in manette”. E’ il richiamo del Garante privacy ai mezzi di informazione a seguito della richiesta, rivolta ai giornalisti, dall’avvocato di Fabio De Santis perché le immagini del suo assistito, ripreso stamane in manette in occasione dell’udienza presso il Tribunale del Riesame di Firenze, non vengano mandate in onda. “Fatto salvo il diritto-dovere di informare su fatti di interesse pubblico”, il Garante della Privacy ricorda che “occorre sempre rispettare la dignità delle persone, così come previsto, oltre che dalla normativa vigente, anche dal Codice deontologico dei giornalisti, laddove stabilisce che “le persone non possono essere presentate con ferri o manette ai polsi”. Il Garante invita, dunque, tutti i media “al più rigoroso rispetto delle norme, e alla salvaguardia della dignità personale, anche per evitare all’Autorità di dover adottare i conseguenti provvedimenti in caso di mancato adempimento”. Lettere: magistrati dovrebbero scioperare per la vergogna di mandare gente in galere disumane di Adriano Sofri Il Foglio, 14 giugno 2010 Mi sono chiesto che cosa pensi dello sciopero dei magistrati. Poi mi sono chiesto perché dovrei pensarne qualcosa, dal mio lato del cannocchiale. Certo che la nostra opera buffa aveva prodotto di rado invenzioni così buffe come la protrazione delle intercettazioni di 48 ore in 48 ore - “Ancora un minuto, signor boia!”. Ma non sembra questo il loro punto. È un fatto che, sciopero o no, gli argomenti di alcuni magistrati - per esempio Giuseppe Cascini, che ho sentito in tv - sull’effetto dei tagli sulle retribuzioni dei giovani all’inizio della carriera, cui oltretutto spettano, per vocazione o per disgrazia, le sedi più sconfortate e gli impegni più faticosi, erano convincenti. Ma lo sarebbero del tutto se la protesta sì limitasse a quel punto. Questo quanto alle cose che stanno a metà fra questo mondo e l’altro. Quanto alle cose che stanno tutte nell’altro mondo, si può anche immaginare, col caldo che fa, uno sciopero dei magistrati per la vergogna di mandare gente in galere tali da violare ogni legge e ogni principio di umanità. Di mandare gente a impiccarsi, a degradarsi, a disperare e a soffocare. Uno sciopero di magistrati per Io scandalo dei detenuti: se non lo sciopero, che battano qualche pentola contro le finestre di procure e tribunali, e magari ci appendano dei lenzuoli a lutto. Lettere: quanto risparmierebbe lo Stato se avesse il coraggio di investire sulla rieducazione? Ristretti Orizzonti, 14 giugno 2010 Nuova nota ai fini della copertura finanziaria dell’emendamento dell’on. Donatella Ferranti per l’adeguamento della pianta organica del personale del comparto civile del dipartimento amministrazione penitenziaria ed in particolare per l’assunzione di nuove unità di educatori penitenziari. Un provvedimento importante come il ddl Alfano che vede quale punto centrale per la risoluzione del sovraffollamento carcerario la misura alternativa alla detenzione concessa, per i soggetti già detenuti, sulla base della relazione comportamentale dell’istituto richiede, necessariamente, un adeguamento del personale dell’area deputata al trattamento. A fronte di una popolazione detenuta pari a 67.593 unità è impensabile poter parlare di rieducazione della pena e di trattamento penitenziario. Nel carcere non si fa niente e chi non fa niente si trova in un tempo eterno , la condizione psicologica di chi non fa niente si risolve nel puro e semplice aspettare con conseguente degrado psichico e aumento dello stato di frustrazione e la frustrazione genera aggressività. (Cfr. Freud, Dollard e Miller Frustration and Aggression). Ed ancora a fronte di una popolazione di detenuti pari a 67.593 mancherebbero, secondo dati aggiornati al 31 marzo 2010, ben 603 unità di educatori. Con queste cifre non è possibile rieducare, non è possibile stimolare il cambiamento perché il cambiare implica un fare, un fare qualcosa che rende l’altro diverso da come era. Con queste cifre non sarà possibile attuare il ddl Alfano perché non sarà possibile rispondere tempestivamente alle incombenze del personale pedagogico interessato alla produzione delle relazioni comportamentali ex art. 1 comma 3. L’incremento di unità di personale pedagogico è condizione imprescindibile per la concreta applicazione di quanto previsto nel ddl Alfano. La normativa penitenziaria affida all’educatore il compito di osservare il comportamento del detenuto e redigere la relazione di sintesi cioè quella relazione di cui si servirà il magistrato di sorveglianza per la decisione finale sulla misura alternativa (Cfr art. 82 O.P.; Circ. Dap n. 2598/5051; Circ. Dap 3337/5787e Circ. Dap 2598/5051). Senza l’incremento di personale pedagogico chi redigerà la relazione prevista al comma 3 dell’art. 1 del ddl Alfano? Ovviamente si creerà una reazione a catena che porterà ad una implosione del ddl Alfano e ad un’esplosione del pianeta carcere. Senza relazione comportamentale il magistrato di sorveglianza non avrà nulla su cui poter decidere e si vedrà costretto a rigettare l’istanza. Il ddl Alfano deve fare i conti con la realtà non solo con la finanziaria, e la realtà è questa: la figura dell’educatore è fondamentale per programmare ed iniziare un piano trattamentale, per il reinserimento del detenuto. Ci sono detenuti che da anni non hanno mai avuto la possibilità di avere un colloquio con gli educatori. Alcuni detenuti pur essendo nei termini per usufruire di misure alternative, si vedono rigettare le richieste per la mancanza della sintesi carceraria sul comportamento del detenuto. Se si vuole utilizzare il ddl Alfano come panacea del sovraffollamento carcerario si deve avere il coraggio di mantenere gli artt. 2 quater e 2 sexies. L’articolo aggiuntivo Schirru - Ferranti che esclude il Dap dalla riduzione della pianta organica e dal blocco delle assunzioni costituisce una vera e propria presa di coscienza dell’assunto secondo il quale non può esserci alcun miglioramento delle condizioni di detenzione senza l’investimento in risorse umane. A distanza di quasi un anno dalla condanna Cedu per trattamento inumano e degradante la situazione delle carceri italiani in barba alla condanna per violazione dell’art. 3 della convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo è peggiorata, dopo dieci anni dall’entrata in vigore del nuovo regolamento penitenziario che guardava verso condizioni più dignitose di detenzione si sente parlare di carceri in rivolta, agenti penitenziari in sciopero della fame, aggressioni, battitura e lenzuola a fuoco. L’emergenza carceri è ormai cronica in Italia: sovraffollamento dei detenuti, condizioni di vita non idonee, attività lavorative di formazione e di recupero educativo che non possono essere svolte per mancanza di personale e di spazi. Qualcuno canterebbe: “lo Stato che fa? Si costerna, si indigna si impegna poi getta la spugna con gran dignità”. Il ddl Alfano corre il rischio di rimanere senza braccia per l’eliminazione di quegli articoli che rappresentano il collegamento norma - realtà perché manca la copertura finanziaria e allora facciamo due conti e vediamo se quadra il bilancio : quanto costa un detenuto allo Stato? Ogni detenuto costa allo stato, giornalmente 112 euro. Le persone in carcere sono circa 70 mila, pertanto lo stato spende in media 8,5 milioni di euro al giorno. In un analisi di costi e benefici una riduzione della popolazione carceraria porterebbe, matematicamente, ad un risparmio di spesa pubblica . Inoltre un programma di trattamento individualizzato che si conclude con l’espiazione della pena in misura alternativa previene la recidiva. Infatti l’ultima ricerca sul rapporto misure alternative e recidiva presentato al convegno del 19 marzo 2010 a Roma evidenzia che solo il 14,6% delle persone che scontano la parte conclusiva della condanna in misura alternativa commette un nuovo reato contro il 67% di chi espia tutta la pena in carcere. Ancora da studi effettuati emerge che il 75% dei detenuti che non hanno potuto avere un percorso riabilitativo o rieducativo torna a delinquere , la percentuale di recidiva si abbassa al 35% per chi ha potuto seguire un percorso formativo - riabilitativo”. Quanto risparmierebbe lo stato nel medio e lungo termine se avesse il coraggio di investire sulla rieducazione? Riteniamo che l’emendamento presentato dall’On. Donatella Ferranti e Schirru sia una vera proposta “bipartisan” che deve, necessariamente,trovare accoglimento così come è stato approvato in Commissione Giustizia. Riteniamo altresì che il governo, dopo aver provveduto all’adeguamento della pianta organica anche in relazione alla popolazione detenuta (quasi 70mila detenuti) debba predisporre un piano straordinario di assunzioni di educatori penitenziari da attingersi dalla vigente graduatoria del concorso pubblico per esami a 397 posti nel profilo professionale di educatore, area c, posizione economica c1, indetto con pdg 21 novembre 2003. Una scelta in tal senso rappresenterebbe la chiave di volta per un chiaro e ben preciso impegno di responsabilità affinché la drammatica situazione che affligge il pianeta carcere possa finalmente essere risolta. Per tali ragioni auspichiamo che tutta la Commissione Bilancio della Camera e il Sottosegretario Alberto Giorgetti facciano una seria e proficua riflessione riconoscendo l’importanza ai fini dell’attuazione del ddl in esame dell’emendamento Schirru 2.060. Avv. Anna Fasulo Comitato vincitori e idonei concorso educatori penitenziari Lettere: tremila stupri l’anno nelle carceri italiane? non abbiamo nulla da invidiare ad Abu Graib Il Centro, 14 giugno 2010 Oltre tremila stupri l’anno avvengono dentro le carceri in Italia, questi dati sconvolgenti sono stati evidenziati dall’associazione che si occupa di diritti umani “Every One”, dati frutto di una indagine meticolosa e difficile, perché su questo argomento regna l’omertà più assoluta di tutte le componenti della comunità carceraria: dai detenuti, alle guardie carcerarie, ai medici. Naturalmente ci sono anche le eccezioni. Un altro dato che impressiona è che dentro le carceri avviene il 40% di stupri che avvengono annualmente in Italia e che molti di essi sono concausa di suicidi e convolgono prevalentemente i detenuti più giovani. Questo degli stupri evidenzia ancora di più la drammaticità della vita dentro i nostri penitenziari, tempo fa paragonai le nostre carceri a quella del famoso film “Fuga di mezzanotte” e tutto rafforza questa tesi. In particolare dentro alcuni grandi penitenziari o per non andare lontano, anche qui in Abruzzo dentro una delle sezioni della casa lavoro del carcere di Sulmona (non fatta vedere ad hoc quando ci sono le visite parlamentari o di rappresentanza), lì c’è il più duro degli inferni. Luoghi che non hanno nulla da invidiare ad Abu Graib, il famoso carcere iracheno o alle carceri afghane. Questa è la triste verità. Nelle carceri italiane oramai non prevale più il reinserimento, la formazione, ma tutto nel degrado del sovraffollamento diventa violenza, un così alto numero di stupri deve far riflettere. L’Alta Corte dei diritti umani ha già condannato l’Italia diverse volte, ma non cambia nulla. Il governo è immobile dentro i suoi contrasti e questa pagina scandalosa della vita dentro le nostre carceri deve farci vergognare. Io non condivido la cultura della “sicurezza”, intesa come repressione anche di comportamenti che non dovrebbero essere reato, come l’uso di droghe leggere o l’immigrazione clandestina, ma anche chi ha quella cultura deve rispettare la dignità umana per chi sta in carcere, e questo non avviene. O ci sarà una ribellione morale ed etica forte che indurrà le istituzioni a cambiare rotta, o tutto precipiterà ancora di più in quel mondo dimenticato che ha il triste primato in Europa per i suicidi e anche per gli stupri. Giulio Petrilli Responsabile dipartimento diritti e garanzie Pd L’Aquila Sardegna: formaggio, miele e maialetti con il marchio di qualità delle Colonie penali agricole La Nuova Sardegna, 14 giugno 2010 Le sue mani pigiano dentro il recipiente il formaggio fresco. “Questo è un semicotto che dovrà poi stagionare da sei mesi a un anno”, spiega Giuseppe Cappai, 58 anni, di Furtei, 4 anni e 4 mesi di reclusione. “Ero stato accusato di spaccio di droga”, spiega Cappai mentre è passato a controllare il grande recipiente della ricotta: “Come dice il nome, “ri-cotta”, questa viene cotta due volte”. E quella che viene prodotta nella Casa di reclusione di Isili è particolarmente buona, come testimoniano tutti coloro che l’hanno assaggiata. Nello stesso caseificio c’è Nicola Planu, 45 anni, condannato a quattro anni per rapina a mano armata all’ufficio postale di Decimoputzu. Tra non molto sarà fuori. Intanto ha imparato un mestiere. Due ore dopo, nella sala riunioni della Casa: “Il carcere più è aperto, più è sicuro e chi lavora, quando esce, non delinque - afferma Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - e qui lavorano oltre il 91 per cento dei detenuti”. Poco prima, durante la presentazione del progetto di integrazione sociale Colonia, che si sta attuando nelle tre Case di Isili, Is Arenas e Mamone, il provveditore delle carceri della Sardegna Francesco Massidda aveva precisato l’aspetto innovativo dell’intervento. Colonia. Con due milioni e 900mila euro finanziati dalla Cassa delle Ammende (l’ente finanziario delle carceri, presieduto da Ionta) è partito il piano di recupero con “metodologie innovative mai utilizzate nei penitenziari italiani”, denominato Colonia (acronimo di Convertire organizzare lavoro ottimale negli istituti aperti). Centosette detenuti nel novembre del 2009 sono stati avviati alla formazione in collaborazione con l’Enaip e il supporto di nove specialisti. E così si è arrivati alla produzione di 322 quintali di pecorino, ma anche di miele, mirto, polline, conserve, piante officinali. E di 800 maialetti. Gale ghiotto. Complessivamente vi sono 23 ettari di terra coltivata e a Isili l’orto è di sette. L’amministrazione carceraria ha già preso contatto con la grande distribuzione per la commercializzazione dei prodotti. E questa “è una vera sfida per i detenuti stessi che attraverso la formazione sono riusciti a qualificarsi e ad appropriarsi dell’idea che la vendita del prodotto all’esterno rappresenti una “scommessa” per un tangibile riscatto sociale”, recita l’opuscolo del Dipartimento dell’amministrazione carceraria, titolato Gale ghiotto di Sardegna. Slogan “a più significati” a cui segue la dicitura “Vale la Pena”, un modo per riscattare il tempo passato a scontare il reato. La speranza. “Nella presentazione di Massidda, mi ha colpito “l’evasione” di un detenuto dalla Casa di Isili - afferma Ionta - poi rientrato la sera in un’altra delle tre Case: insomma si è trattato di un auto trasferimento. Un’ulteriore dimostrazione dell’efficacia di queste strutture”. Imparare un lavoro e rendere reale l’obiettivo del reinserimento dei detenuti nella società. “Una volta in carcere - continua Ionta - si entrava ladri e si usciva rapinatori. L’esempio di queste Case mostra che è possibile un’evoluzione positiva”. I problemi. A Isili il 63 per cento proviene da altre nazioni (ventinove), prevalentemente dall’Africa. Abederrahim Ibrahimi è nato 52 anni fa in Marocco, dove si è diplomato in elettromeccanica. Ora è in Italia da 24 anni ed ha due figli. “Prima di essere arrestato per ricettazione - spiega - ho sempre avuto un regolare permesso di soggiorno, ma ora con la Bossi - Fini, una volta uscito e nonostante abbia scontato la pena, sarò espulso: avrò cinque giorni di tempo per andarmene. Altrimenti sarò riarrestato. Allora che potrò fare?”. Tanti sono gli extracomunitari che nella casa di Isili si trovano in questa situazione. Adil Ovrdane, nigeriano di 27 anni, è stato preso a Milano per spaccio, ora lavora col legno del bosco: “Sono arrivato in Italia tredici anni fa. E questa è oggi la mia terra dove ho due figli, di quattro anni e un anno. Spero che almeno questo mi aiuti a non essere espulso, una volta uscito”. Ancona: “ovulo” di droga gli scoppia in pancia, muore un detenuto tunisino; altri due salvati Il Resto del Carlino, 14 giugno 2010 Due detenuti del carcere di Montacuto sono stati soccorsi nelle loro celle dopo che erano stati trovati privi di sensi a terra, forse avevano messo in atto un gesto volontario. Non è chiaro se i due abbiano cercato di togliersi la vita ingerendo diverse sostanze, soprattutto psicofarmaci, certamente prima che le loro condizioni diventassero gravi sono stati trattati dall’intervento dei sanitari del 118. Ciò che colpisce è il fatto che i due episodi - a metà tra tentativi di suicidio e gesti autolesionistici dimostrativi - siano accaduti nel giro di un paio di ore l’uno dall’altro. Non è da escludere che ci sia un disegno ben preciso dietro quanto è accaduto in cella tra le 22,30 e l’1 di notte, una serie di proteste magari per la difficoltà delle condizioni di vita all’interno di uno degli istituti di pena più sovraffollati d’Italia: il numero dei detenuti oscilla tra 370 e 390 quando la capienza allargata è di meno di 250. Nel primo caso, segnalato ai sanitari del 118 verso le 22,30 un giovane straniero aveva ingerito un elevato numero di psicofarmaci e quando ha perso i sensi i suoi compagni di cella si sono accorti dell’accaduto e hanno subito dato l’allarme. L’uomo è stato trasferito al pronto soccorso di Torrette dove, sorvegliato a vista, è stato curato prima di essere rinchiuso di nuovo in cella. Dinamica strana per il secondo caso, il detenuto era a terra privo di sensi e il medico interno del carcere ha appurato che fosse in arresto cardiaco. Sul posto è intervenuta l’auto medica che ha trasferito il paziente in ospedale dove le sue condizioni sono migliorate. L’11 maggio scorso un detenuto tunisino di 42 anni era stato soccorso in cella e gli esami avevano chiarito che aveva degli ovuli di droga in pancia, uno dei quali era scoppiato. Qualche giorno più tardi il tunisino è morto. Vibo Valentia: Uil; manca anche l’acqua corrente, detenuti protestano con battitura della sbarre Apcom, 14 giugno 2010 Detenuti in protesta nel carcere di Vibo Valentia per la mancanza di acqua corrente. Lo annuncia Gennarino De Fazio, della direzione nazionale della Uilpa Penitenziari. In pratica, per un problema connesso all`approvvigionamento idrico della rete pubblica, il carcere vibonese è rimasto letteralmente a secco dalle 9 di ieri mattina a tuttora. Niente acqua nelle celle, niente acqua nei bagni, a secco le cucine, così pure gli uffici e gli ambienti riservati al personale. In una struttura destinata ad ospitare all`incirca 260 reclusi e che alle 21 di ieri ne conteneva 432 “è sin troppo facile immaginare e comprendere quali possono essere i disagi per la popolazione detenuta e per lo stesso personale penitenziario e soprattutto i rischi per la salute e la sicurezza pubblica - spiega De Fazio - Esasperati dalla situazione, che peraltro a Vibo è ricorrente durante i mesi caldi, i detenuti dal primo pomeriggio di ieri hanno inscenato una protesta con la violenta battitura delle inferriate delle celle al grido “acqua, acqua” che è andata avanti, in fasi alterne, sino a tarda sera”. Sappe: finita la protesta dei detenuti, ma restano problemi È terminata la protesta dei detenuti del carcere di Vibo Valentia dove da ieri manca l’acqua. Gli agenti della polizia penitenziaria e dei vertici dell’istituto sono infatti riusciti a convincere i detenuti a rinunciare ad azioni eclatanti. Il segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante, ha evidenziato che “i tecnici sono già al lavoro per ripristinare il funzionamento degli impianti dell’acqua. Comunque, è dall’inizio dell’anno che il Sappe sta denunciando la grave situazione delle carceri calabresi e di quelle delle altre regioni italiane, molte delle quali sono fuorilegge, a causa dell’eccessivo sovraffollamento, ma nessuno sembra darci ascolto. In Calabria i detenuti sono aumentati di 1.000 unità nell’ultimo periodo, anche a causa degli sfollamenti fatti dal Nord Italia, mentre gli agenti della polizia penitenziaria continuano a diminuire a causa dei pensionamenti, spesso anticipati per le patologie contratte in servizio”. “In Calabria - sostiene ancora Durante - bisogna intervenire immediatamente, incrementando l’organico della polizia penitenziaria e aumentando la sicurezza all’interno e all’esterno delle carceri, soprattutto in considerazione del fatto che ci troviamo in un territorio ad alta densità mafiosa. Chiediamo alla politica - sostiene ancora il segretario generale aggiunto del Sappe - di intervenire in maniera decisa e risolutiva sulla questione carceri, attraverso la realizzazione del Piano Straordinario per l’edilizia penitenziaria, che consentirebbe, in breve tempo, anche l’apertura del carcere di Arghillà, a Reggio Calabria”. Padova: carceri padovane al collasso, la Cisl-Fns diserta la Festa della Polizia Penitenziaria Padova News, 14 giugno 2010 “Non c’è proprio nulla da festeggiare. Anche perché l’organizzazione dell’evento ha finito per aggravare ulteriormente le pesanti condizioni di lavoro all’interno della Casa circondariale e della Casa di reclusione di Padova. È giusto che le autorità invitate lo sappiano”. Con queste parole Giuseppe Terracciano, segretario regionale della Fns, la Federazione dei Lavoratori della Sicurezza della Cisl, annuncia la clamorosa protesta. La Fns non prenderà parte alla Festa del corpo di polizia penitenziaria in programma domani (12 giugno) al carcere Due Palazzi. Dell’iniziativa è stato informato anche il Prefetto Ennio Mario Sodano. “Nella casa circondariale - spiega Terracciano - abbiamo attualmente 260 detenuti mentre alla Casa di Reclusione abbiamo toccato quota 750, ovvero rispettivamente il triplo e il doppio rispetto alle capienze massime consentite. Sempre più spesso gli agenti sono costretti a rimanere in servizio anche per 12 - 16 ore continuate, soprattutto nelle fasce orarie pomeridiane e notturne, per far fronte al sempre più frequente trasferimento di detenuti in ospedale per patologie di ogni tipo. Non ha senso partecipare ad una cerimonia che tutto può essere tranne che una festa per gli agenti penitenziari, sempre in prima linea nel garantire, con risorse ed organici largamente insufficienti, servizi delicati in situazioni difficili, con turni di servizio penalizzanti sia a livello personale che familiare. Gli agenti sono infatti esposti a rischi di malattie in sezioni detentive sovraffollate”. “Le nostre ripetute denunce di disagi e disfunzioni nelle due carceri padovane - prosegue il segretario regionale della Fns - non hanno trovato alcun riscontro né a livello locale né in ambito nazionale. Non si adottano provvedimenti di nessun tipo. In compenso assistiamo a continui proclami. Come quello lanciato nelle settimane passate dal sottosegretario Elisabetta Alberti Casellati. Secondo l’esponente del governo ad ottobre verrà consegnata la vecchia struttura del Due Palazzi attualmente in fase di ristrutturazione. Sarebbe stato più opportuno che il sottosegretario andasse a verificare personalmente lo stato di attuazione dei lavori che non saranno completati prima del 2011 - 2012. Ed è ancora più grave - conclude Terracciano - che si intenda far funzionare la struttura con il personale di polizia penitenziaria attualmente in servizio. Un organico che non riesce più nemmeno a fronteggiare le emergenze quotidiane”. Venezia: troppi detenuti, il carcere è ancora “sotto controllo” grazie alla Polizia penitenziaria Nuova Venezia, 14 giugno 2010 Nelle loro facce “la fatica e la stanchezza” si vede - a dirlo è il direttore di Santa Maria Maggiore Irene Iannucci - ma vanno avanti egualmente e, nonostante carenze e sacrifici, almeno per ora le carceri non scoppiano. Sono donne e uomini della Polizia penitenziaria che ieri, al teatro la Fenice, hanno festeggiato il 183esimo anniversario del corpo. A Venezia da poco meno di un mese, tra l’altro, è stata aperta una nuova sezione con venti posti in più e ora i detenuti sono 334. I detenuti, dunque, crescono di numero (sono più del doppio di quello che Santa Maria Maggiore potrebbe sopportare), ma gli agenti di custodia no: adesso a fare servizio interno sono poco più di 120, ne mancano oltre quaranta, così “invece che aumentare l’organico aumentano le nostre ore di straordinario” commenta un agente, sottovoce. Il primo a intervenire è stato il comandate della Polizia penitenziaria veneziana Ezio Giacalone e ha sfoderato i numeri del 2009: nel carcere maschile sono entrati 1346 detenuti e ne sono usciti 1364, ora sono presenti 334 reclusi di cui 198 stranieri provenienti da 34 paesi diversi. Gli agenti hanno sventato ben 12 tentativi di suicidio, per uno giovane marocchino non ci sono riusciti. Hanno compiuto 2400 traduzioni e le imbarcazioni della Polizia penitenziaria hanno trasportato ben quaranta mila persone. A completare il quadro ci ha pensato il direttore Iannucci, che ha puntato il dito sull’enorme turnover: “Il 50 per cento dei detenuti di Santa Maria Maggiore nel 2009 sono stati scarcerati dopo tre giorni”. Circostanza che assieme al “sovraffollamento cronico crea una situazione di grave drammaticità”. Non è un caso, quindi, che due mesi fa il procuratore della Repubblica Vittorio Borraccetti abbia inviato una circolare alle forze dell’ordine ricordando l’articolo del codice che obbliga al rito direttissimo senza passare per il carcere per chi viene arrestato in flagranza di reato. In questo modo il turnover diminuirebbe enormemente a Santa Maria Maggiore. Prima degli interventi della dirigenza veneziana sono stati letti quelli del ministro della Giustizia Angelino Alfano e del direttore del Dap Franco Ionta i quali, per quanto riguarda il sovraffollamento indicato anche da loro come un’emergenza, propongono la costruzione di nuove carceri anche grazie ai finanziamenti della Comunità europea e il trasferimento degli stranieri nelle carceri dei loro paesi. Ma sono proposte per il futuro e che non riguardano il presente, così “sono gli agenti della Polizia penitenziaria a tamponare ogni nuova emergenza, nonostante carenze di organico e disagi” ha aggiunto il direttore Iannucci. Ha concluso il suo intervento con un auspicio: perché “si approfondisca il confronto con Comune, Provincia e Regione perché il carcere non sia considerato come un mero contenitore delle diverse sacche di marginalità, ma parte integrante del territorio cittadino”. Da inizio anno già otto tentativi di suicidio “L’altra notte - era venerdì - un detenuto ha tentato il suicidio. Gli agenti penitenziari l’hanno trovato appeso. Solo il loro tempestivo intervento gli ha salvato la vita. Questa volta siamo arrivati in tempo. Nel 2010 è l’ottavo episodio. Le celle non sono come quelle americane, sono chiuse e dotate di bagno laterale”. Nel giorno della festa della polizia penitenziaria, celebrata alla Fenice, parla il comandante del carcere maschile di Santa Maria Maggiore, Ezio Giacalone. Subito aggiunge: “Anche se l’allerta e la vigilanza sono massime siamo a contatto con uomini disperati. I gesti sono imprevedibili. Si tolgono la vita perché si sentono abbandonati dalla famiglia e dalla società”. Nel tratteggiare la grave problematica del lavoro la direttrice Irene Iannucci evidenzia che purtroppo “c’è stata anche la riduzione dei fondi destinati al pagamento delle mercedi dei detenuti, eppure il lavoro rappresenta una risorsa insostituibile, specie in una realtà caratterizzata dall’attuale pesante condizione di sovraffollamento e anche in un’ottica di reinserimento sociale dei detenuti”. Nel penitenziario la cooperativa sociale Rio Terà dei Pensieri offre opportunità di lavoro con laboratori di pelletteria, serigrafia e assemblaggio. Quest’anno, accanto alle attività laboratoriali, ne è stata avviata una particolare. Quella del taglio del vetro. Il sovraffollamento, si sa, è bestiale e il lavoro scarseggia. Solo 14 detenuti per ora lavorano. Tra le prossime iniziative è prevista la pulitura di uno spazio verde. Un volontario riferisce: “L’area di circa 150 mq si presenta in disordine con erbacce e accumulo di materiale”. Comune e Caritas la trasformeranno in un piccolo parco. Alessandria: appello del sindaco al ministro Alfano; carceri della città eccessivamente affollate www.giornal.it, 14 giugno 2010 Il sovraffollamento delle carceri italiane è un problema che, in questi ultimi anni, sta raggiungendo livelli preoccupanti e allarmanti. Anche Alessandria, purtroppo, non è riuscita ad intraprendere progetti efficaci e risolutori, con il risultato che, all’interno dei carceri di piazza Don Soria e di San Michele, le condizioni di vita sono ai limiti della sopportabilità. Vittime di questa piaga non sono solo i detenuti, “ma anche gli agenti della Polizia Penitenziaria”, come hanno dichiarato i Consiglieri comunali Bocchio e Sciaudone, da tempo intenti nell’intraprende una crociata contro il sovraffollamento. La situazione appare davvero critica. Basti pensare che, già nel 1998, quella dell’abbondanza di detenuti era una questione che già cominciava a farsi pressante nelle menti dei politici di allora. Enrico D’Ambola, del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, ha spiegato che “all’interno del Don Soria, gli agenti previsti sarebbero 159; in realtà sono solo 114 e, al tempo stesso, i detenuti si trovano a convivere in cinque o sei all’interno di celle di non più 18 mq”. Insomma, pochi poliziotti e molti, moltissimi carcerati. È chiaro che, in un quadro del genere, il pericolo di un’aggressione o di un’evasione sia sempre dietro l’angolo, soprattutto quando un detenuto deve essere trasferito al Pronto Soccorso dell’ospedale. In proposito l’Assessore alle Politiche Sanitarie, Gabrio Sacco, ha assicurato “il ripristino del reparto detentivo”. In questo modo verrà evitata la convivenza “forzata” con gli altri pazienti e non sarà più necessario piantonare di continuo i detenuti nelle camere. Un intervento da parte dell’Amministrazione Comunale, per tentare di risolvere o ridurre il problema, non appare solo urgente, ma anche indispensabile. “Ci deve essere maggiore sensibilità a riguardo. È necessario intervenire perché la mancanza di personale sta diventando cronica”. Bocchio e Sciaudone lodano l’eccezionale lavoro del personale penitenziario ora presente: grazie alla loro competenza e responsabilità si è riusciti a rattoppare le doppie falle del sovraffollamento e della mancanza di agenti. Si tratta, però, solo di una soluzione momentanea e alquanto effimera. “C’è un’insicurezza generale, mancano i supporti tecnici e i materiali adatti”, hanno sostenuto i due Consiglieri, per i quali il dato più sconcertante rimane il rapporto tra agenti e detenuti che è di circa 1/40. L’appello a dirimere la complicata faccenda è stato accolto dal Sindaco Piercarlo Fabbio che ha deciso di comunicare la questione direttamente al Ministro della Giustizia, Angelino Alfano. “Abbiamo chiesto al Ministro Alfano di occuparsi personalmente del problema, confidando anche nell’aiuto dei Parlamentari piemontesi per risolvere in fretta il tutto”. C’è bisogno al più presto di una svolta: non si può più scherzare o perdersi in inutili vicissitudini burocratiche. Il problema è ormai all’apice: confidare in un intervento dall’alto appare una delle migliori carte da giocare. Trieste: nel carcere del Coroneo 240 detenuti di 35 nazionalità, anche nove detenuti per cella Il Piccolo, 14 giugno 2010 Il profumo di biscotti al burro appena sfornati nel laboratorio di pasticceria e l’odore di fumo che impregna le pareti delle celle. Li puoi sentire entrambi varcando la soglia del Coroneo, ieri eccezionalmente accessibile a giornalisti e fotografi in occasione della visita del sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati. Presenze estranee, catapultate per qualche ora in un mondo fatto di letti a castello - anche nove per cella - sormontati da poster di Roberto Baggio e Avril Lavigne, bagni microscopici con rubinetti che perdono, televisori perennemente accesi e mensole costruite con i pacchetti di Diana rosse. Perché in carcere, ti spiegano subito gli agenti della polizia penitenziaria, fuma il 99% degli ospiti e l’unica “stanza smoke free” presente nell’intera struttura basta e avanza. Del resto oltre ad accendersi una sigaretta dopo l’altra, in cella i detenuti non possono fare molto altro. C’è chi legge qualche libro (“soprattutto romanzi d’avventura - racconta il responsabile della biblioteca interna - anche se di recente sono state prese in prestito anche raccolta di poesia”). chi ingaggia infinite partite a carte, chi prepara il caffè sul fornelletto da campo in dotazione. Per il resto gli ospiti - circa 240, tra cui una trentina di donne, a fronte di una capienza massima di 155 - passano il tempo ad aspettare. Aspettano di poter scendere in cortile per la pausa d’aria, o che la guardia carceraria apra le sbarre del locale docce e consenta loro di lavarsi (nessuna cella ha il box interno e i magri bilanci non consentono di ricavarli ndr ). E, in qualche caso, aspettano che si faccia buio per poter mandare ai detenuti dell’altro sesso messaggi affettuosi, a volte appallottolati e “sparati” oltre le inferriate con cerbottane artigianali, senza esser visti da agenti e telecamere. Pare incredibile, infatti, ma anche in un contesto difficile come un penitenziario possono sbocciare amicizie affettuose che sfociano, a volte, persino in promesse di matrimonio. Naturale, quindi, che il tanto tempo a disposizione, allora, si usi per allenare l’ingegno: “se ne inventano di tutti i colori - ammette il direttore del Coroneo Enrico Sbriglia, uno che di storie simili in vent’anni di servizio ne ha viste nascere a decine. A complicare le relazioni a distanza, oltre alla presenza delle grate, ci pensa poi la disposizione degli alloggi: le donne nei piani più alti, gli uomini in basso. Le detenute, più ciarliere rispetto agli ospiti maschi incontrati e più pronte a lamentare le criticare della vita carceraria, “arredano” gli alloggi da quattro letti con barattoli di crema Nivea, pile di frutta e stendini carichi di biancheria bagnata sistemati all’ingresso. Come gli uomini, però, non hanno ventilatori o pale elettriche attaccate al soffitto. Una mancanza che si fa sentire, perché dietro alle sbarre il caldo sa essere davvero insopportabile e toglie quasi il respiro nel sottotetto, dove sono stati ricavati anche un ambulatorio ginecologico e una postazione dentistica. Due realtà, queste, che si inseriscono nel lungo e prezioso elenco di servizi, attività e spazi di formazione a misura di detenuto. Nei seminterrati ci sono i laboratori di tappezzeria, ceramica e falegnameria, ricavati negli spazi un tempo utilizzati per ospitare camorristi e terroristi. A fianco si trovano i nuovi laboratori per la pasticceria e la panificazione, dove è tutto un via vai di bignè, teglie di pizza e strudel alle olive. Al primo piano invece esistono le aule didattiche e la scuola carceraria. Una scuola vera e propria, dove si sostengono esami e si organizzano corsi, come quello di cittadinanza attiva seguito ieri da una trentina di ospiti, in gran parte non italiani. I detenuti stranieri, del resto, rappresentano il 60% della popolazione carceraria e appartengono a ben 35 nazionalità diverse. Ma non si pensi che “gestire” in una casa circondariale un nord africano sia necessariamente più complesso che trattare con un detenuto di San Giacomo. “Anzi - spiazza Sbriglia - volete sapere quali sono i miei detenuti “preferiti”? I turchi, perché hanno un rigore, un ordine e una pulizia esemplare”. Nove letti e niente spazio “Scusa, siete qui per l’indulto? Lo vogliono fare di nuovo?”. La domanda, speranzosa, arriva da un detenuto straniero di appena diciotto anni, incuriosito dall’insolita folla radunata davanti alla sua cella: uno spazio di pochi metri quadrati dove, proprio per mancanza di spazio, uno dei nove letti è stato piazzato in mezzo alla stanza. Non fai nemmeno in tempo a rispondergli, però, che dall’altro lato del corridoio senti arrivare già un’altra richiesta: “Ma allora questo bagno lo riparate o no? È possibile che ci si metta un anno per aggiustare una normale perdita?”. E a poco servono le spiegazioni del direttore Sbriglia che, ricordando la grave mancanza di fondi, ribadisce l’impegno dell’amministrazione a procedere il più rapidamente possibile. Lui, il detenuto combattivo, non molla e chiede ancora attenzioni. Le stesse rivendicate dal giovane compagno di cella, stanco di dover fare a pugni con la burocrazia. “Ho fatto domanda per essere trasferito in carcere nel mio paese, la Moldavia. Quanto ci vuole per avere la risposta?”. Ma ad approfittare della presenza della delegazione guidata dal sottosegretario Casellati è anche qualche detenuta. Come la donna sulla cinquantina che in carcere dovrà scontare altri otto anni. “Sto scrivendo proprio adesso la lettera di trasferimento - fa sapere al direttore del penitenziario. Non è possibile continuare a restare in una struttura dove c’è un via vai continuo di persone. Voglio andare via dal circondariale e ottenere una situazione un po’ più tranquilla, che mi consenta magari anche di riprendere a studiare”. Al Coroneo, in effetti, il turnover è elevatissimo: nell’ultimo anno sono stati accolti complessivamente 1.200 ospiti, moltissimi dei quali finiti in cella per reati legati alla droga. Come il quarantenne impegnato nel laboratorio di pasticceria, che spiega di “essere finito dentro per un incidente di percorso: diciamo che ho giocato con la farina”. Quanto al dopo pena, molti confidano di poter sfruttare quanto imparato nei laboratori interni per trovare lavoro all’esterno. Una conquista raggiunta attualmente da una ventina di detenuti, già occupati fuori dal carcere in virtù dell’articolo 21, di cui otto impiegati in Comune e cinque in AcegasAps. Pordenone: dalla Casellati ancora promesse, ma il nuovo carcere rimane nel libro dei sogni Messaggero Veneto, 14 giugno 2010 La promessa c’è, il problema è che non si va oltre. Il carcere di Pordenone rischia di restare nel libro dei sogni, quantomeno nel breve periodo. Poco male, penserà qualcuno, basta che l’assicurazione di Roma sui soldi per la nuova struttura ci siano. Non così la pensano, ovviamente, quanti sono costretti, giorno dopo giorno, alla permanenza in una struttura inadeguata, dai detenuti agli agenti di custodia. Ma tant’è. Ieri l’ennesima assicurazione sul fatto che il nuovo carcere si farà è giunta dal sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati, in visita a Trieste. La stessa ha ricordato che interventi edilizi migliorativi per il carcere di Pordenone sono espressamente previsti nel piano carceri del governo. Al termine di una visita all’istituto penitenziario del capoluogo giuliano (peccato non sia venuta a vedere le condizioni del nostro, ndr), la Alberti Casellati ha spiegato che gli interventi a Pordenone garantiranno l’aumento della capienza di circa 100 posti, ma non ha voluto fornire tempi relativi all’approvazione del piano. E proprio questo ha suscitato l’amareggiata replica del sindaco di Pordenone Sergio Bolzonello, che ha evidenziato: “Prendo atto che il governo non ha mantenuto nulla di quanto promesso in tema di carceri. Ancora una volta non ci sono tempi certi e vorrei sapere come la pensano in proposito i parlamentari pordenonesi, il cui silenzio è assordante”. A Pordenone i detenuti lo scorso 7 giugno erano su una capienza prevista di 53. La soglia di tolleranza è di 68. Al Coroneo di Trieste ci sono invece 230 persone invece delle previste 150. Commento della Alberti Casellati: “Sovraffollamento accettabile” grazie alle attività di lavoro promosse all’esterno delle celle. Ricordiamo che sul carcere di Pordenone pende un’ordinanza di sgombero ventilata dal sindaco, a seguito di un’ispezione dell’Ass 6, qualora le condizioni lo dovessero richiedere. Il problema è: dove verrebbero messi, nel caso, i detenuti? Modena: Cgil e Uil denunciano mancanza degli impianti di allarme e di videosorveglianza La Gazzetta di Modena, 14 giugno 2010 I sindacati Fp-Cgil e Uil-Pa di Modena scendono in campo denunciando ancora una volta situazioni limite. “Da tempo i responsabili dei lavoratori per la sicurezza (Rls) hanno cercato di sensibilizzare il direttore del carcere affinché fossero rispettate le normative con particolare riferimento ai reparti detentivi. Nonostante i reiterati inviti rivolti al direttore Madonna, nel corso degli anni non si è riscontrata la necessaria attenzione. Gli Rls avevano segnalato la necessità di dotare di allarme personale gli operatori dei reparti detentivi, ripristinare il sistema di videosorveglianza e il sistema di rilevazione dei fumi che è importante in caso d’incendio, sostituire i fornelli a gas presenti nelle celle per scongiurare pericolo d’incendio, visto che ci sono stati episodi di ustioni”. “Chiedevano inoltre di eliminare tutti gli strumenti che possono indurre i detenuti a episodi di autolesionismo dei detenuti, di dotare di arredi idonei le guardiole degli agenti, adeguare le porte di accesso per intervenire in modo tempestivo nei reparti detentivi. In mancanza di risposte su tutto ciò, è stato richiesto un intervento da parte di un nucleo ispettivo del Provveditorato regionale. L’ispezione, avendo riscontrato le mancanze denunciate, ha attivato tutte le procedure previste per legge che prevedono, tra l’altro, anche l’intervento della magistratura ordinaria”. Foggia: da oltre sette giorni gli agenti si astengono dal ritiro del vitto dalla mensa di servizio Agi, 14 giugno 2010 Da oltre sette giorni gli agenti della polizia penitenziaria del carcere di Foggia si astengono dal ritiro del vitto dalla mensa obbligatorio di servizio. Gli agenti protestano per le condizioni in cui versa da tempo il carcere di Foggia e per sollecitare le istituzioni sui problemi della polizia penitenziaria che ha un personale insufficiente rispetto al numero dei detenuti. Siamo al collasso, dicono le organizzazione sindacali della polizia penitenziaria di Foggia e nessuno ha voglia di ascoltare il nostro grido di aiuto. Una protesta decisa anche per il crescente carico di lavoro che quotidianamente viene richiesto non solo in termini di lavoro straordinario ma anche in termini di quantità di detenuti da gestire. Nel carcere di Foggia, concepito per poter ospitare circa 350/400 detenuti quest’oggi ne gestisce quasi 700 ed in alcuni periodi si è sfiorato la soglia degli 850. Un carcere, quello di Foggia, denominato dalle organizzazioni sindacali come un vero e proprio carnaio, dove i detenuti sono stipati gli uni sugli altri. Una situazione, lamentano ancora i rappresentanti della polizia penitenziaria che non è assolutamente possibile garantire, al personale in servizio a Foggia, le tante agogniate ferie estive, i riposi settimanali ed i restanti diritti riconosciutigli dalla legge. E per far conoscere alla cittadinanza il loro disagio il 15 giugno prossimo gli agenti penitenziari hanno organizzato un sit - in di protesta davanti al carcere di Foggia. Torino: Osapp; sequestrati coltello, cellulare e droga; siamo pochi, non garantiamo più sicurezza Apcom, 14 giugno 2010 Due giorni fa sono stati trovati un coltello e un telefono cellulare nella casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino. Ieri invece sono state sequestrate sostanze stupefacenti addosso a un detenuto “porta-vitto”. Lo denuncia l’Osapp di Piemonte e Valle d’Aosta, per cui questi “sono solo gli ennesimi episodi che dovrebbero destare molto più di semplici preoccupazioni di circostanza”. “La polizia penitenziaria non è più in grado di garantire la sicurezza - dichiara Gerardo Romano, segretario del sindacato - uno solo di noi in sezione controlla 70/100 detenuti, che arrivano a 150 nei turni notturni e festivi, e se un detenuto dovesse evadere, gli unici che rischiano sono i poliziotti penitenziari”. “Come poliziotti penitenziari - spiega Romano - riusciamo ancora per poco a garantire lo svolgimento delle attività ludiche dei detenuti quali teatro, attività sportive, corsi scolastici e professionali, etc., che sembrano essere le uniche cose davvero importanti per agli alti vertici dell’amministrazione penitenziaria che non le condizioni del personale o la sicurezza delle strutture”. Udine: appuntamento finale del Corso organizzato dall’Acat per “curare” i detenuti alcolisti Messaggero Veneto, 14 giugno 2010 Proprio l’alcol può essere la causa di reati più o meno gravi. Circa una quindicina di persone detenute nel carcere di via Spalato ha avuto problemi legati alla dipendenza da alcol, ma sono riuscite adesso a venirne fuori grazie a un corso organizzato dall’Acat (Associazione club alcolisti in trattamento). Si tratta di incontri settimanali, a cura del Dipartimento delle dipendenze dell’Azienda sanitaria Medio Friuli, che ogni anno si concludono con un appuntamento finale per fare il punto della situazione. Venerdì in via Spalato si sono così incontrati detenuti in trattamento e una ventina di persone che fanno parte del club alcolisti. “È stato un momento di condivisione - ha detto il presidente Acat, Franco Boschian - tra chi è fuori e chi è dentro per dimostrare che le catene possono esserci in entrambi i luoghi, tra pregiudizi, convenzioni sociali, pubblicità, condizionamenti. Il nostro pensiero non è così libero come si pensa e a volte non ci rendiamo conto che il carcere è in entrambi i posti”. Da qui l’idea di unire i due mondi e di coinvolgere anche il Comune di Udine, rappresentato dal sindaco Furio Honsell, l’Azienda sanitaria con il direttore del Dipartimento, Francesco Piani, e il direttore generale Giorgio Ros. “Molte persone detenute hanno avuto seri problemi con l’alcol che in alcuni casi è stato anche la causa scatenante del reato - ha spiegato Boschian. Ora dopo il trattamento e lo sconto della pena, la loro preoccupazione è quella di non riuscire a trovare un lavoro”. Per questo sono state invitate le istituzioni e il Comune, sottoponendo le difficoltà e le perplessità più forti. “Il corso sta dando i suoi frutti - ha commentato il direttore della Casa circondariale di via Spalato, Francesco Macrì - perché i detenuti partecipano molto attivamente agli incontri, che si tengono una volta la settimana, dal 2006. Ogni anno facciamo questa riunione finale per far vedere i risultati ottenuti. E pensiamo naturalmente di continuare in futuro”. Alla fine sono stati premiati gli operatori che da anni seguono i detenuti, Doriana Grillo, Luigi Leita e Carlo Disnan. Lodi: l’ex direttore; niente azioni di facciata, i detenuti sono persone da recuperare davvero Il Giorno, 14 giugno 2010 “Un detenuto, imputato, condannato o internato, è prima di tutto un uomo. È dovere di chi lo tiene in detenzione occuparsi e preoccuparsi del suo stato di salute, fisica e mentale, e favorire un percorso di recupero sociale, sempre molto problematico, senza indulgere ad operazioni di sola facciata”. Sono queste le parole di Luigi Morsello, 72 anni, direttore di sette carceri, tra cui la casa circondariale di Lodi dal 1997 al 2005, mandato in missione in altri 22 istituti durante la sua carriera. Morsello ha pubblicato, in aprile, un libro dal titolo “La mia vita dentro - Le memorie di un direttore di carceri” per sensibilizzare e trasmettere la propria quarantennale esperienza alle giovani generazioni perché, come spiega, “la storia passa anche, e forse in alcuni casi soprattutto, attraverso le prigioni”. La Casa Circondariale di Lodi è stata per lei l’ultima sede di lavoro. Come è arrivato in città? “Quando ero ad Alessandria, Lodi era legata a noi dal punto vista contabile. Nell’inferno delle carceri alessandrine (brigatisti, pentiti e dissociati e pericolosi detenuti comuni) pensavo a Lodi come una piccola sede tranquilla, serena e sognavo un giorno di esservi assegnato. Accadeva tra il 1981 e il 1983. Ho dovuto aspettare fino al 1997 perché il mio desiderio fosse esaudito”. Come le è parso, a primo impatto, il carcere di Lodi? “L’avevo già visitato qualche volta e mi era piaciuto da subito”. Che cosa l’ha impressionata in positivo? “Era tranquillo con una capienza di 80 posti che, al momento del mio pensionamento nel 2005, in condizioni di sovraffollamento ospitava al massimo 110 detenuti. Viste le condizioni in cui versano le carceri oggi, la definirei decisamente una buona situazione”. E in negativo? “Quando sono arrivato a Lodi ero a conoscenza dei lati positivi, ma non sapevo dell’esistenza di una sezione protetta per detenuti responsabili di reati sessuali e di pedofilia. Confesso che ero molto prevenuto nei confronti degli autori di questi ignobili reati, ma è evidente che pur sempre di esseri umani si trattava. A capirli sempre di più sono stato aiutato da due valenti psicologi, tutt’ora in servizio a Lodi: Pierluigi Morini e Marika Romanini. Mi sono stati utilissimi perché, anche se gradualmente, ho superato i miei pregiudizi fino al punto che, anni dopo, agli inizi degli anni 2000, ne ammisi due al lavoro esterno”. Ha avuto coraggio... “Sì, almeno così pare. Però è andata bene. I due esperimenti sono andati a buon fine e i due detenuti a fine pena furono scarcerati (avvenne dopo il mio pensionamento) e uno di essi vive ancora a Lodi. Bisogna avere coraggio, ma questo sentimento deve essere razionale”. Nella sua carriera, quali detenuti sono rimasti più impressi nella sua memoria? “Le mie preferenze sono sempre andate ai detenuti anonimi, che erano quelli che avevano maggior bisogno di aiuto. Ma ho anche incontrato detenuti “noti”, tra i quali ricordo Gianni Guido, uno dei tre protagonisti della strage del Circeo, Ermanno Buzzi, imputato per la strage di piazza della Loggia a Brescia e Marco Donat-Cattin, brigatista di Prima Linea”. Quali sono oggi le principali problematiche legate all’universo carcerario? “Sicuramente il sovraffollamento, seguito da una crescita esponenziale della violenza, meglio dell’uso illegittimo della forza, in particolare nelle sezioni detentive esterne al carcere (camere di sicurezza, celle degli uffici giudiziari, reparti detentivi di ospedali civili). Oggi ciò che le persone erano nella vita libera non ha alcuna rilevanza sul come devono essere detenuti dopo l’arresto: è questa coscienza che sembra essere smarrita”. Roma: minori “messi alla prova” realizzano un giardino romano nel cuore dell’Eur Redattore Sociale, 14 giugno 2010 Il progetto è della cooperativa sociale Cecilia che da quindici anni porta laboratori di storia e archeologia nelle carceri. Di Mauro: “In dieci anni abbiamo coinvolto circa 100 ragazzi sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria”. Arbusti e fiori in uso nel periodo dell’Antica Roma, ma anche affreschi, statue e oscilla, cioè oggetti decorativi in marmo o in terracotta appesi ai colonnati dei giardini. In altre parole, un antico giardino romano in stile pompeiano nel cuore dell’Eur che, a partire da oggi, sarà possibile visitare presso il Museo della Civiltà romana di Piazza Giovanni Agnelli 10. Il progetto dell’hortus conclusus è nato nel 2000 ed è stato realizzato dalla cooperativa sociale Cecilia, in collaborazione con la Sovrintendenza ai Beni culturali e all’Assessorato alle Politiche culturali e della comunicazione del comune di Roma. Ma i veri protagonisti sono i minori sottoposti a provvedimento dell’autorità giudiziaria affidati al centro diurno “La Bulla”, i quali, grazi al progetto, hanno avuto modo di portare avanti un percorso di recupero e reinserimento sociale attraverso la cultura e la formazione professionale. “Da quindici anni portiamo laboratori di storia e di archeologia nelle carceri - spiega Lillo Di Mauro, responsabile dell’area giustizia della cooperativa sociale Cecilia e ideatore del progetto -. Partendo da questo percorso, abbiamo proposto alla Sovrintendenza di ricostruire un antico giardino romano. Il che avrebbe permesso ai ragazzi ‘messi alla prova’ non solo di fare un lavoro di pubblica utilità, ma anche di usufruire di diversi tipi di formazione”. Nel corso di dieci anni circa 100 hanno così potuto usufruire di “formazione rispetto alla botanica e al giardinaggio, imparando al tempo stesso a fare copie delle statue, degli oscilla e degli affreschi sulle pareti”. Col tempo il giardino si è trasformato in un “laboratorio permanente”, dove i giovani sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria possono formarsi, svolgere attività di pubblica utilità e fare attività di manutenzione dell’area. Tra i progetti futuri della cooperativa sociale Cecilia anche la ricostruzione dell’antico ambiente floristico nel periodo pleistocenico intorno al “Museo pleistocenico” della Valle dell’Aniene. Il progetto è realizzato in collaborazione con la Sovrintendenza ai Beni culturali e all’Università La Sapienza di Roma. Palermo: “Formazione & Futuro”; 10 detenute del Pagliarelli diventano maestre cioccolataie Italpress, 14 giugno 2010 Un tempo donne sfortunate e incappate nelle maglie della malavita prima e della giustizia dopo, oggi aspiranti cioccolataie e pasticciere, per imparare un nuovo mestiere e dare un nuovo senso alla loro vita quando usciranno dal carcere. È l’opportunità offerta a 10 donne detenute della casa circondariale Pagliarelli, a Palermo, entrate a fare parte del corso Formazione & Futuro per “Esperto in tecniche di produzione di cioccolatini” ed “Esperto in tecniche di pasticceria siciliana”, finanziato dall’assessorato dell’Istruzione e della Formazione professione della Regione Siciliana, all’interno del Prof (Piano Regionale dell’Offerta Formativa) 2010, regolato dal Fas (Formazione ambiti speciali) linea 1. In cinquecento ore di lezione le allieve impareranno tutte le tecniche legate al mondo della produzione e lavorazione della cioccolata. Tra le unità didattiche approfondite: produzione e storia del cioccolato, nozioni di base e tecniche del temperaggio del cioccolato, tipologia di cioccolatini prodotti, elementi di organizzazione e management della produzione e distribuzione del prodotto dolciario. Il progetto, regolato dalla In.Form.House - struttura formativa accreditata presso la Regione Siciliana - è pensato per creare quelle condizioni affinché il carcere diventi per le persone in stato detentivo un luogo di recupero sociale. Alla fine del corso seguirà una verifica finale, il rilascio di un attestato di competenza professionale legalmente riconosciuto e una borsa formativa individuale da 350 euro. La lezione del 16 giugno, la prima di “pratica” in cui le allieve entreranno in contatto con gli ingredienti per i dolci, prevede anche il rito della consegna delle divise da parte della In.Form.House. “L’obiettivo di questa iniziativa professionale - dice il direttore della In.Form.House Nicola Gambino - è creare attività formativa e allo stesso tempo sviluppare una catena di produzione di prodotti all’interno del carcere. Un’area dell’istituto è stata trasformata in un vero e proprio laboratorio dove viene insegnato come lavorare il cioccolato e i dolci siciliani, ma anche come commercializzare il prodotto. In. Form. House così amplia i suoi obiettivi nell’ambito sociale, dedicandosi a soggetti che hanno il diritto di possedere nuove carte per credere in qualcosa nella vita”. “Abbiamo aderito con piacere - dice Nicola Sposito, responsabile dell’area pedagogica del Pagliarelli - alla richiesta dell’ente proponente. L’attività ci pare confacente con le esigenze di qualificazione professionale e perché non comporta particolari difficoltà di sicurezza. Il detenuto quando si sente utile è più soddisfatto e diventa più gentile. Questo progetto rientra all’interno di un progetto imprenditoriale del carcere, che si svilupperà nei prossimi giorni”. Pescara: protocollo tra Cri e Direzione, per le attività di volontariato all’interno del carcere Asca, 14 giugno 2010 Conferenza stampa venerdì alla presenza del Commissario del Comitato provinciale della Croce Rossa Italiana di Pescara, Avv. Fabio Nieddu, e del Direttore della Casa Circondariale, Franco Pettinelli, per illustrare il protocollo di intesa tra CRI e Direzione per le attività di volontariato all’interno del carcere. “67.744 sono i detenuti attualmente presenti nei carceri italiani - dice una nota di Muny Citron - dinanzi ad una capienza regolamentare pari a 45.000 ed una tollerabile pari a 65.000 unità. Questi i drammatici dati forniti dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ed riportati oggi nel Comitato Provinciale di Pescara della Croce Rossa Italiana per illustrare le motivazioni che hanno spinto il Commissario, Avv. Fabio Nieddu, (che è anche il Garante per i Diritti dei Detenuti del Comune di Pescara), a sottoscrivere un protocollo d’intesa. I dati dimostrano la difficile condizione di vita nella quale sono costretti i detenuti all’interno dei vari istituti di pena dinanzi all’indifferenza della politica e delle istituzioni. Il carcere di Pescara risente chiaramente delle difficoltà legate alle criticità del sistema penitenziario che - ad avviso del Garante e Commissario CRI Avv. Nieddu - sono legate indissolubilmente alla mancata riforma di alcune fattispecie di reato (soprattutto quelle legate all’immigrazione e agli stupefacenti), nonché sul piano processuale all’introduzione della legge Cirielli sulla recidiva nonché al “pacchetto sicurezza” che ha limitato l’accesso alle misure alternative anche per reati minori. L’assurdo al quale si perviene è che una persona condannata per corruzione a tre anni può formulare richiesta per l’affidamento ai servizi sociali mentre chi viene condannato ad 1 mese di reclusione per furto essendo recidivo si vede costretto a scontare tale pena in carcere! Alcuni numeri: 29 suicidi in carcere dal 1° gennaio 2010, 96 agenti di polizia penitenziaria aggrediti e feriti nel medesimo periodo; 4 evasioni 5 tentate. Anche il carcere di Pescara, sebbene in proporzione ridotta, si vede costretto ad accogliere in celle per 4 persone ben 6 (7 o 8 nei periodi di maggiore affollamento). In queste condizioni tutte le attività finalizzate alla rieducazione del detenuto diventano di difficile attuazione. È per questo che la Croce Rossa di Pescara ha deciso di abbracciare questa nuova realtà mettendo a disposizione 15 volontari della provincia che la Direzione del carcere ha, già da questa mattina, iniziato a formare per operare all’interno della struttura. Il Direttore del carcere - Dott. Franco Pettinelli - ha sottolineato l’importanza di tale iniziativa che è nel senso del rispetto della dignità umana del detenuto e testimonia la particolare attenzione alla persona che la Croce Rossa pescarese dimostra di avere. I volontari della Croce Rossa di Pescara svolgeranno attività di supporto agli educatori e proporranno progetti per il reinserimento sociale dei detenuti oltre che di crescita culturale, professionale e artistica all’interno del carcere stesso. Un progetto ambizioso che vuole riportare sensibilità sociale verso i detenuti persone che hanno certamente commesso degli errori ma che rimangono persone umane con una intangibile dignità personale che non può essere annullata e calpestata come ulteriore “pena accessoria”. Dal 1° luglio i volontari saranno operativi nel carcere di Pescara. Questa ennesima iniziativa nel sociale testimonia la grande attenzione del Comitato Provinciale non soltanto alle attività di emergenza sanitaria ma anche alle realtà di disagio sociale che, purtroppo, sono sempre più dilaganti. Comitato Provinciale di Pescara della Croce Rossa Italiana Bolzano: terminato il corso per gli operatori che interagiscono con il carcere e il post - carcere Alto Adige, 14 giugno 2010 Si è recentemente tenuto nell’aula magna dell’Upad il convegno finale del progetto, finanziato dal Fondo sociale europeo, “Sviluppo di competenze e formazione per gli operatori che interagiscono con il carcere e il post - carcere”. Ha fatto gli onori di casa, per l’Upad, Enrico Valentinelli, ricordando l’impegno pluriennale dell’agenzia formativa in un ambito delicato come quello del settore della detenzione, per offrire in particolare strumenti utili al reinserimento positivo nella società. L’introduzione del responsabile dei progetti del Fse dell’Upad, Rocco Maurizio Moretti, ha sottolineato il nuovo stile di utilizzo razionale delle risorse economiche a disposizione e l’attenzione verso progetti di concreta utilità a favore degli utenti. Le relazioni di Franca Berti e Claudio Fabbrici hanno quindi fornito informazioni sugli obiettivi specifici del corso e sono seguite le testimonianze di Gisberto Cornia, responsabile dell’Ufficio garante dei detenuti del Comune di Bologna, e di Rossana Giove, direttrice del Servizio penale delle carceri dell’Azienda sanitaria di Milano, indicando iniziative che potrebbero essere realizzate anche sul nostro territorio. Prima della consegna degli attestati di frequenza ai corsisti presenti, l’assessore provinciale Roberto Bizzo ha garantito che le risorse a disposizione per la costruzione del nuovo carcere non verranno utilizzate solo per le opere edilizie ma anche per offrire servizi che diano migliori opportunità a coloro che devono essere attivamente reinseriti nella società. Firenze: il teatro in carcere, una ventata di libertà; da Sollicciano “Art and culture in prison” Toscana Notizie, 14 giugno 2010 É uno strumento per uscire dalle barriere, oggettive e soggettive, per dare sfogo al proprio talento, per scoprirlo. Un modo per veicolare la socializzazione, per favorire l’incontro tra paesi e culture diverse, spesso presenti nei luoghi di detenzione. Il teatro può costituire la chiave espressiva per ritrovare sé stessi, per crescere individualmente, là dove manca la libertà. Questo è un messaggio importante anche per chi lo riceve all’esterno, per consentire un avvicinamento, un legame, altrimenti impossibili da creare”. L’assessore alla cultura Cristina Scaletti ha partecipato oggi alla sessione pomeridiana della seconda giornata di “Art and culture in prison”, nel Giardino degli Incontri di Sollicciano. “Art and culture in prison” offre una serie di iniziative, in programma fino a domani, con lo scopo di dar voce alle varie esperienze artistiche e culturali realizzate nei luoghi di detenzione. Il progetto, finanziato dalla UE e coordinato dalla Fondazione Michelucci, vede il coinvolgimento, oltre che della Regione, del Manchester College e del Prison Arts Foundation (Regno Unito), della Berliner Literarische Aktion (Germania) e del Dipartimento di Giustizia del Governo Autonomo della Catalogna (Spagna). La Toscana è l’unica Regione in Italia in cui esiste, e trova pieno supporto istituzionale, un progetto per coordinare in rete le attività artistico - culturali sviluppate all’interno dei vari istituti penitenziari. “Teatro in carcere”, il nome del progetto, ha preso il via nel 1999 ed attualmente raggruppa le esperienze realizzate nei carceri di Arezzo, Empoli, Firenze, Livorno, Massa, Massa Marittima, Pisa, Pistoia, Prato, San Gimignano, Siena, Volterra e Porto Azzurro. Il carcere quindi non soltanto come luogo di pena e sofferenza ma come strumento di effettivo reinserimento sociale. L’espressione culturale è elemento per far emergere il talento, per favorire l’arricchimento personale, per valorizzare le proprie competenze, in vista del momento in cui verrà abbandonata la misura restrittiva e ci si troverà di nuovo a confronto con la realtà di tutti i giorni. A questo proposito merita anche ricordare la serie di protocolli, siglati ad inizio 2010 con il Ministero di Giustizia, che ridefiniscono in maniera complessiva una serie di aspetti legati all’universo carcerario. Tra i quali anche quelli legati alla cultura. Il coordinamento, nato nel 1999, è il punto di incontro tra esperienze ed istituzione, il “luogo” in cui, in questi anni, sono state individuare esigenze, problemi, opportunità di realtà artistiche spesso uniche, come ad esempio quella della Compagnia della Fortezza nel carcere di Volterra. Sudan: evasi da prigione di Karthoum 4 condannati a morte per l’omicidio di un americano Ansa, 14 giugno 2010 Quattro uomini condannati a morte in Sudan per l’omicidio di un funzionario americano della cooperazione e del suo autista sono evasi dalla prigione a Karthoum. Lo ha reso noto un portavoce della polizia. I quattro, considerati estremisti islamici, sono usciti ieri sera dal carcere di Kober dalle fogne e sono fuggiti su un’auto. Nella prima mattinata di oggi hanno avuto uno scontro a fuoco con la polizia a un posto di blocco nel sobborgo di Omdurman. Secondo una fonte della polizia, l’autista dell’auto è stato arrestato, ma i quattro evasi sono riusciti a fuggire a piedi. I detenuti fuggiti erano stati condannati a morte per impiccagione per l’omicidio di un funzionario dell’Agenzia Usa per lo sviluppo internazionale (Usaid), John Granville, e del suo autista sudanese, Abdelrahman Abbas Rahama, uccisi a colpi di arma da fuoco in un agguato il 1/o gennaio 2008. Cuba: detenuto politico scarcerato per motivi di salute, altri 6 trasferiti in carceri vicini a famiglie Adnkronos, 14 giugno 2010 Un detenuto politico cubano oggi sarà scarcerato per motivi di salute. È stato l’arcivescovato dell’Avana ad annunciare la decisione delle autorità cubane, frutto di una mediazione tra la chiesa cattolica e il governo del presidente Raul Castro. Una mediazione che ha portato anche al trasferimento di altri sei detenuti in prigioni più vicine alle loro famiglie. Secondo quanto ha reso noto il portavoce dell’arcivescovato, Orlando Marquez, Ariel Sigler, dissidente condannato a 20 anni di prigione che è paraplegico e si trova al momento ricoverato in un ospedale della capitale, sarà liberato con una “autorizzazione extragiudiziaria”, misura che altre volte il regime cubano ha usato per scarcerare detenuti malati. Tra i detenuti che saranno trasferiti vi è anche Hector Maceda, marito di Laura Pollan, la leader delle “Damas de Blanco”, il gruppo di donne che si batte per la scarcerazione dei detenuti politici. Gli altri cinque sono Juan Adolfo Fernandez, Omar Moises Ruiz, Efren Fernàndez, Jesus Mustafà e Juan Carlos Herrera. Marquez ha inoltre reso noto che la decisione della scarcerazione e dei trasferimenti è stata comunicata la notte scorsa all’arcivescovo Jaime Ortega dalle autorità cubane che la scorsa settimana avevano disposto il trasferimento di altri sei detenuti, sempre per avvicinarli alle loro famiglie. Tutti i sette detenuti interessati dal provvedimento appartengono al gruppo dei 75 dissidenti arrestati nel 2003 e condannati a pene fino 28 anni di prigione con l’accusa di essere “mercenari” al servizio degli Stati Uniti. Messico: nelle carceri ci sono 220mila detenuti, molti per il peggiore dei “crimini”, la povertà Fides, 14 giugno 2010 Inizia oggi nella città messicana di Acapulco, presso la Nuova Cattedrale di Cristo Rey, l’Incontro nazionale di Pastorale Penitenziaria. Secondo le notizie inviate all’Agenzia Fides dall’Arcidiocesi di Mexico (Città del Messico) all’evento, che si concluderà il 18 giugno, partecipano centinaia di cattolici che si dedicano alla missione di portare il Vangelo ed il calore umano a chi vive la dura esperienza della prigione. La nota informa negli ultimi dieci anni oltre un milione di messicani sono passati attraverso l’esperienza del carcere, con i traumi che essa porta con sé e che segnano per tutta la vita. Attualmente a livello nazionale ci sono circa 220.000 prigionieri e a Città del Messico la cifra è di oltre 40 mila. Preoccupa il fatto che le politiche pubbliche dimentichino i Centri di riabilitazione sociale (Ceresos) e le prigioni. Per il governo del Distretto Federale è certo più facile promuovere politiche legate a questioni minori e marginali, che danno maggiore popolarità, evitando i problemi reali e profondi, come quello delle carceri, con il loro alto grado di corruzione e sovraffollamento. Sembra che il fallimento del sistema carcerario sta generando maggiore delinquenza e, quindi, un aumento delle attività della criminalità. La nota dell’Arcidiocesi cita il parere del dottor Alfonso Quiroz Quarona, famoso specialista penitenziario messicano, che ha detto: “In carcere ci sono persone che non dovrebbero esserci e persone che non devono uscire. Purtroppo non succede così, perché abbiamo gravi carenze nell’amministrazione della giustizia. Ogni giorno vediamo fabbricare colpevoli, e nelle carceri troviamo molte vittime innocenti del peggiore dei ‘crimini’: la povertà”. L’Arcidiocesi propone di ascoltare gli specialisti e ciò che essi propongono: per esempio, per i reati minori, pene alternative al carcere da scontare attraverso lavori per la comunità e non in prigione; istituire i “tribunali della droga”, perché molti delitti sono commessi in situazione di dipendenza, non intenzionalmente, e la condanna dell’imputato dovrebbe scontarsi in centro di disintossicazione. Ma soprattutto urge promuovere l’occupazione e le opportunità educative, altrimenti, come un giovane prigioniero ha detto, “a Città del Messico è più facile ottenere una pistola che una borsa di studio”.