Giustizia: Casellati; il “piano carceri” definitivo dovrebbe essere varato entro ottobre… mi auguro Adnkronos, 11 giugno 2010 La situazione del carcere di Pordenone “dovrebbe definirsi, mi auguro il più presto possibile”, nel contesto del piano nazionale delle strutture penitenziarie che dovrebbe essere varato entro ottobre. Lo ha detto il sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati, ai giornalisti, a margine della visita al carcere di Trieste, commentando il futuro del carcere di Pordenone, il cui ammodernamento è stato auspicato di recente anche dal presidente del Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo. “Il piano definitivo delle carceri, che prevede anche la costruzione di un nuovo istituto a Pordenone dovrebbe essere varato, mi auguro entro ottobre”. Il sottosegretario ha riferito che sulla situazione specifica di Pordenone, “ci siamo intrattenuti più volte con il sindaco e il prefetto, per arrivare a una definizione”. A causa della vetustà del carcere di Pordenone, mesi fa il sindaco Fabio Bolzonello ne aveva addirittura minacciato la chiusura. Le navi carcere? dobbiamo ancora studiare il rapporto costi-benefici "So che il direttore Sbriglia sarebbe favorevole alle carceri galleggianti lanciando più volte questa idea. Io potrei dire che forse sarebbero efficaci ma dobbiamo ancora studiare il rapporto costi-benefici". Lo ha detto a Trieste, a margine di una visita del carcere con il direttore Enrico Sbriglia, il sottosegretario alla Giustizia, senatrice Elisabetta Alberti Casellati. "Quando uno ha un'idea e' bene fare un attento bilanciamento del risultato finale anche per quanto riguarda il problema della sicurezza, della videosorveglianza, l'impiego della Polizia penitenziaria. Quindi valuto le carceri galleggianti un'idea molto suggestiva ma aspetto dati più concreti. Ora il 21 giugno farò un viaggio a New York e forse là potrò rendermi conto di come in America hanno risolto quersti problemi". Numero di suicidi più basso d’Europa, il sovraffollamento non c’entra "Da un punto di vista statistico noi abbiamo il minor numero percentuale di suicidi, rispetto la popolazone carceraria, d'Europa". Lo ha affermato il sottosegretario alla Giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati, rispondendo a una domanda dei giornalisti sul rapporto suicidi/sovraffollamento, a margine di una visita al cercere di Trieste. "Facendo il paragone con la Francia, che ha un sovraffollamento simile al nostro, siamo piu' bassi. Credo - ha riferito Casellati - che abbiamo una media dell'11%. Su questo, al di là della solidarietà e della preoccupazione che comporta sempre un atto estremo - ha ribadito - come può essere il suicidio, le percentuali farebbero porre il nostro paese come fanalino di coda in Europa". Al contraro di altri, ha aggiunto la senatrice, "io non riesco a legarte il suicido al sovraffollamento". Quindi Casellati ha citato l'atto estremo della brigatista Diana Blefari Melazzi che si e' tolta la vita pur essendo in una cella da sola. "Nella regione Friuli Venezia Giulia il tasso di suicidi è bassissimo, quasi nullo", ha affermato il presidente del Tribunale di sorveglianza del Friuli Venezia Giulia, Nunzio Sarpietro, che ha aggiunto: "Il suicidio si combatte con l'ascolto". In particolare, ha quindi ricordato il direttore del carcere di Trieste, Enrico Sbriglia nella struttura che dirige ci sono stati "tre suicidi in 20 anni, tra il 1993 e il 2002. Di questi tre detenuti, due - ha concluso Sbriglia - erano in stanza singola". Il direttore ha sottolineato che "se si ascoltano le persone, il rischio cade a picco". Per la carenza di personale cercheremo di provvedere Gli operatori carcerari che anche a Trieste si sentono sotto organico “hanno ragione”. Lo ha detto il sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati, rispondendo alle domande dei giornalisti a margine della visita al carcere di Trieste. “Purtroppo viviamo una contingenza economica - ha aggiunto il sottosegretario - che non è soltanto nazionale, ma è internazionale, e cercheremo di provvedere al meglio, tenendo conto di quelle che sono le giuste esigenze”. A Trieste sovraffollamento mitigato da attività detenuti Il sottosegretario alla Giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati, oggi a Trieste per una serie di incontri, ha avuto “un’ottima impressione” dalla visita al carcere di Trieste, il Coroneo. “Anche qui - ha detto ai giornalisti a margine della visita - si vive la condizione, che è nazionale, del sovraffollamento, per il quale noi abbiamo dichiarato del resto lo stato di emergenza, ma viene temperato da tutte le attività, e qui sono molteplici, che vanno dalla falegnameria, alla pasticceria e alla tappezzeria, che permettono ai detenuti di stare fuori dalle celle un lungo tempo e di impegnarsi anche psicologicamente e di avere soprattutto una prospettiva di vita quando saranno usciti”. Giustizia: il ddl sulla detenzione domiciliare ritorna alla Commissione Bilancio della Camera Camera dei Deputati, 11 giugno 2010 Commissione Giustizia della Camera. Relazione della seduta di ieri, giovedì 10 giugno 2010, nella parte riguardante il ddl C. 3291-bis “Disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno”. La Commissione prosegue l’esame del provvedimento, rinviato il 9 giugno 2010. Giulia Bongiorno, presidente, ricorda che nel corso della riunione di martedì scorso dell’ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, si era stabilito che entro la seduta odierna i gruppi avrebbero rappresentato le proprie posizioni in merito al prosieguo dell’esame del provvedimento per verificare se, a seguito del parere della Commissione bilancio, sussistano ancora le condizioni per il trasferimento in legislativa dell’esame. Nella seduta di ieri si è già espressa su tal punto l’onorevole Ferranti, rappresentando l’opportunità di valutare se richiedere alla Commissione bilancio di rivedere il parere espresso sul testo risultante dagli emendamenti approvati, evidenziando una serie di questioni che, a suo parere, potrebbero indurre la Commissione bilancio a rivedere le condizioni espresse in merito agli articoli 2-quater e 2-sexies del testo. La richiesta di riesame è stata motivata anche dalla circostanza che il mantenimento di tali articoli rappresenterebbe per il gruppo del Partito democratico una condizione imprescindibile per l’assenso al trasferimento in sede legislativa. Chiede, pertanto, agli altri rappresentanti di gruppo quali siano le loro intenzioni in merito sia alla richiesta dell’onorevole Ferranti che alla possibilità di un trasferimento in sede legislativa dell’esame. Ritiene inoltre opportuno ricordare che, comunque, ancora non è pervenuto l’assenso da parte del Governo, pur avendo più volte ribadito il sottosegretario Caliendo che il Ministro della giustizia è favorevole al trasferimento in sede legislativa Enrico Costa (Pdl), a nome del proprio gruppo, valuta con favore la proposta dell’onorevole Ferranti, sottolineando peraltro la necessità che l’esame del provvedimento, indipendentemente dalla sede, legislativa o referente, si concluda in tempi rapidi. Ritiene pertanto che l’eventuale riesame del parere da parte della Commissione bilancio debba essere effettuato in tempi contenuti. Rita Bernardini (Pd) ricorda di avere sempre sottolineato la propria contrarietà al provvedimento, così come si presenta all’esito dello stralcio delle disposizioni sulla messa alla prova e dell’approvazione degli emendamenti. A suo parere, infatti, il testo che risulta dall’esame sin qui condotto appare molto poco efficace e sostanzialmente inidoneo a risolvere il grave problema delle carceri italiane. In ogni caso, valuta con favore la proposta dell’onorevole Ferranti ed auspica che il riesame del parere da parte della Commissione bilancio possa costituire l’occasione per chiarire se le risorse finanziarie per l’assunzione di nuovi agenti, come a lei risulta, fossero state già previste nella legge finanziaria. Roberto Rao (Udc) condivide le preoccupazioni dell’onorevole Ferranti e la sua proposta di richiedere il riesame del parere alla Commissione bilancio. Sottolinea d’altra parte come anche per il gruppo dell’UdC il mantenimento di quelle norme che la Commissione bilancio chiede di sopprimere costituisca il presupposto per il consenso al trasferimento dell’esame alla sede legislativa. Per quanto consideri il provvedimento in esame non risolutivo, ma una sorta di “tampone” in attesa dell’attuazione del “Piano carceri”, auspica che una sua rapida approvazione prima dell’estate possa comunque migliorare la situazione delle carceri italiane. Rileva, infine, come sugli aspetti relativi alla copertura finanziaria del provvedimento non si registri una posizione unanime dei ministeri della giustizia, dell’interno e dell’economia ed auspica che il Governo possa superare rapidamente questa situazione di incertezza. Fulvio Follegot (Lnp) dichiara di condividere la proposta di richiedere il riesame del parere alla Commissione bilancio. Antonio Di Pietro (Idv) ritiene necessario che il Governo si assuma le proprie responsabilità in ordine alla copertura finanziaria dei provvedimenti che egli stesso vara e condivide l’opportunità di richiedere il riesame del parere alla Commissione bilancio. Giulia Bongiorno, presidente, rileva come dagli interventi svolti emerga una unanime condivisione della richiesta dell’onorevole Ferranti. Ricorda quindi di essersi riservata di approfondire la fondatezza di una eventuale richiesta di riesame del parere della Commissione bilancio e precisa di essere pervenuta alla conclusione che sussistano i margini per procedere a tale richiesta, anche se ciò non significa assolutamente che sussistano anche i presupposti perché la Commissione bilancio esprima un diverso parere. Considerata la drammaticità della situazione che si vive in questi momenti nelle carceri italiane, ritiene che sia necessario approvare quanto prima il provvedimento in esame, senza indugiare ulteriormente. Tuttavia, considerato che anche qualora si dovesse concludere oggi l’esame in sede referente ed avviare già dalla prossima settimana l’esame in Assemblea, tale esame, trattandosi di un provvedimento non contingentabile, si concluderebbe comunque nel calendario di luglio. Ciò significa che vi sono ancora i margini temporali per cercare di creare tutte le condizioni che potrebbero consentire il trasferimento del provvedimento in sede legislativa. Per questa ragione condivide la valutazione circa l’opportunità di chiedere il riesame del parere da parte della Commissione bilancio. Avverte quindi che, in attesa di tale parere, informerà il Presidente della Camera dell’andamento dell’iter in Commissione, chiedendogli sin da ora di iscrivere il provvedimento nel calendario di giugno, anche qualora il nuovo parere della Commissione bilancio fosse negativo, in vista di un eventuale trasferimento dell’esame in sede legislativa. Giustizia: lo scandalo dei bimbi in carcere; per “case famiglia protette” non serve nuova legge di Lillo di Mauro Terra, 11 giugno 2010 Attualmente nelle sezioni nido della carceri italiane sono detenute 54 donne con 56 bambini da 0 a 3 anni di età, nonostante una legge riconosca l’incompatibilità della detenzione per le donne madri con figli sino a 10 anni. La popolazione detenuta femminile è infatti composta da una prevalenza di donne immigrate, donne tossicodipendenti e, in misura crescente, donne nomadi, ossia coloro che incorrono nella recidiva, uno dei motivi ostativi per l’ottenimento dei benefici previsti dalla legge. L’esigenza di dare soluzione a questo problema ha spinto l’associazione “A Roma insieme”, la Consulta penitenziaria del Comune di Roma e la Comunità di Sant’Egidio, sostenute da molte altre realtà del volontariato e della cooperazione sociale, a cercare risposte legislative adeguate per spostare la pena fuori dal carcere per le madri e dare una risposta definitiva alla drammatica situazione che a tutt’oggi vede la permanenza di bambini in carcere. In questo senso le associazioni hanno elaborato una proposta di legge che prevede delle modifiche alle leggi Bossi-Fini sull’immigrazione, alla Fini-Giovanardi sulle droghe, alla ex Cirielli sulla recidiva e la riformulazione dell’articolo 275, comma 4, del Codice di procedura penale (ricorso alla custodia cautelare) per rimuovere quegli ostacoli che non permettono alle donne-madri di scontare la pena con i propri figli fino al 10 anno di età fuori dal carcere. Attualmente, recependo molte indicazioni di tale proposta, nelle commissioni Giustizia in Parlamento sono state presentate cinque proposte di legge, in particolare tre da parlamentari di opposizione alla Camera dei Deputati e due da senatori di maggioranza in Senato. Lo scorso 27 maggio la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati si è riunita e la Presidente Giulia Bongiorno ha dato mandato alla relatrice, onorevole Marilena Samperi (Pd) di unificare le diverse proposte in un unico testo da presentare in Commissione. Le associazioni promotrici della proposta di legge hanno chiesto di essere ascoltate dalla relatrice per esprimere perplessità in particolare per quanto riguarda le case famiglia in quanto tutte le proposte dei parlamentari prevedono di far scontare la pena in case famiglia protette (Icam) gestite dal Ministero della Giustizia (per le quali, tra l’altro, non è necessaria alcuna legge considerando che possono esser istituite a legislazione vigente), quindi con le stesse regole e disposizioni del carcere non risolvendo di fatto il problema. Mentre le associazioni da sempre sostengono che le donne devono scontare il periodo di pena in case famiglia gestite dagli enti locali, perché convinte per esperienza che solo così si possono realizzare effettivi percorsi di reinserimento sociale e di recupero della maternità. Per le donne madri il carcere rappresenta una parentesi particolarmente drammatica poiché la detenzione impedisce che il rapporto madre-figlio si svolga in condizioni compatibili con le esigenze di crescita del bambino e con il proprio diritto a poter svolgere il ruolo di madre. La possibilità consentita dall’articolo 11 della Legge 354/75 di riforma penitenziaria che prevede la permanenza del bambino fino a tre anni accanto alla madre in carcere, è una prospettiva alla quale le donne quando possono, cioè quando hanno all’esterno del carcere una qualche rete famigliare e sociale di riferimento a cui affidare il figlio, si sottraggono volentieri. Il carcere per i propri figli è l’ultima delle soluzioni che una madre ricerca ed è quella che vive con più ansia e paura poiché significa esporre il bambino a qualcosa di cui non solo non conosce esattamente le dinamiche ma della cui realtà percepisce l’assoluta precarietà e mancanza di diritti sia come persona che come madre. A questa soluzione sono costrette le donne nomadi, le quali per storia e cultura raramente si staccano dai propri figli con i quali vivono quasi in simbiosi e in un continuo rapporta di fisicità e dalle donne straniere che non possono contare su nessun appoggio esterno e non hanno alcun riferimento famigliare, sociale e culturale su cui poter fare affidamento. Va, inoltre, considerato che mentre per le donne nomadi il carcere è quasi sempre una breve parentesi, essendo condannate a brevi pene, come per le donne italiane tossicodipendenti per le quali per altro il periodo di pena si aggiunge ad un distacco quasi sempre già avvenuto con il proprio bambino, portando alle estreme conseguenze una situazione già difficile ancor prima della detenzione, nel caso delle donne straniere, invece, il carcere modifica la loro condizione di madri. Queste, quasi sempre condannate a pene medio-lunghe per reati relativi allo spaccio e al traffico internazionale di stupefacenti, raramente con un coinvolgimento personale nell’uso della droga, pur volendo ed essendo in grado di occuparsi dei propri figli sono costrette a farlo in un contesto inadeguato alla loro crescita psico-fisica e con la disperazione di sapere che al compimento del terzo anno di età il bambino verrà loro tolto per essere dato in affidamento ad altra famiglia. Ma occorre soprattutto considerare il disagio vissuto dal bambino in carcere, occorre considerare i diversi significati che in carcere hanno lo spazio e il tempo per i bambini per valutare quale disagio ne consegue. Di fatti il carcere anche nelle situazioni- migliori dove sono state realizzate delle sezioni nido è comunque di per sé, per le finalità che deve raggiungere e per le modalità ed organizzazione che ne derivano, un luogo incompatibile con le esigenze di socializzazione e di sviluppo psico-fisico del bambino. I bambini in carcere soffrono di disturbi legati al sovraffollamento, alla mancanza di spazio emotivamente utile che incide non solo sulla loro crescita complessiva, tanto da limitarne lo sviluppo attinente alla sfera emotiva (relazioni interpersonali, affettività) e cognitiva (stimoli efficaci, ambiente ricco), ma provoca anche irrequietezza, facilità al pianto, difficoltà di sonno, inappetenza, apatia.. Il sovraffollamento, il contatto forzato tra etnie e culture diverse, le regole del carcere creano situazioni di stress e tensioni che si ripercuotono inevitabilmente nel rapporto madre e figlio. In conclusione, la condizione della detenzione delegittima di fatto il ruolo di madre e la sua identità sociale la cui conseguenza è un disorientamento del bambino proprio nei suoi primissimi anni di vita rischiando di comprometterne sia il suo rapporto con la madre che il suo sviluppo complessivo. Giustizia: Consulta Sicurezza; il tempo delle promesse è finito, ora servono i fatti Ansa, 11 giugno 2010 “Il tempo delle promesse è finito, ora servono i fatti”: lo hanno ribadito i membri della Consulta sicurezza - l’organismo sindacale composto da Sap (Polizia), Sappe (Polizia penitenziaria) e Sapaf (Corpo forestale dello Stato) - ai capigruppo del Pdl al Senato e alla Camera Maurizio Gasparri e Fabrizio Cicchitto, nel corso di un incontro che si è tenuto ieri sera, chiedendo al governo di intervenire per limitare i danni provocati dalla manovra finanziaria sul comparto sicurezza. Ai parlamentari, i segretari Nicola Tanzi, Giovanni Durante e Marco Moroni hanno ricordato il “mancato rispetto degli impegni presi da questo governo” e hanno presentato un elenco di richieste, da tradurre in emendamenti alla manovra. Innanzitutto, hanno spiegato, va cancellato il congelamento degli avanzamenti economici legati alle progressioni di carriera che, sottolineano, “unitamente alla norma blocca contratti, determinano un ulteriore impoverimento del personale di polizia, i cui stipendi sono fermi al 2007”. Va inoltre rivisto il nuovo sistema di calcolo delle liquidazioni, che assieme al mancato avvio della previdenza complementare rischia secondo i sindacati di impoverire “i pensionati prossimi e futuri”. I tagli, ha sostenuto ancora la Consulta Sicurezza, andrebbero ad incidere sulle missioni all’estero e sul riordino delle carriere. “Abbiamo ben presente che il momento è particolare e che i sacrifici devono essere comuni - sottolineano i segretari - ma non possiamo non sottolineare le forti penalizzazioni contenute nella manovra per le forze di polizia. Penalizzazioni che, qualora dovessero rimanere tali, determineranno il nostro profondo dissenso anche in maniera eclatante”. Sicilia: Pd; accelerare approvazione norme trasferimento delle funzioni sanitarie per le carceri Asca, 11 giugno 2010 Torna ancora a far discutere il problema degli istituti penitenziari, questa volta relativamente alle situazioni igienico-sanitarie presenti. Il deputato del Partito Democratico, Bruno Marziano, ha infatti presentato un’istanza volta ad impegnare il governo regionale a predisporre e sottoporre alla commissione paritetica Stato-Regione-Ministero degli affari regionali, il testo contenente le norme di attuazione per il trasferimento delle funzioni sanitarie, delle risorse finanziarie, dei rapporti di lavoro, delle attrezzature, arredi e beni strumentali al servizio sanitario della Regione. Dopo che la legge 244 del 2007 ha disciplinato il trasferimento alle Regioni delle funzioni sanitarie relativamente agli istituti penitenziari, la Sicilia e le regioni a statuto speciale, attendono ancora l’approvazione del testo da parte della commissione paritetica Stato-Regione, necessaria ai fini dell’applicabilità della legge stessa. “È necessario affrontare la questione che ha aspetti di grande delicatezza e numeri recenti che dimostrano come non sia più rinviabile - ha commentato Bruno Marziano -. Nell’attesa del trasferimento, continuano a svolgere le funzioni il Dipartimento regionale dell’Amministrazione Penitenziaria e il Dipartimento della Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia”. E il problema del sovraffollamento delle carceri, le pessime condizioni igienico-sanitarie in cui versano e lo scarso numero di agenti di polizia penitenziaria impiegati, non fa altro che complicare ulteriormente la questione. “All’inosservanza degli standard europei circa la dimensione e gli spazi delle celle - ha continuato Marziano - si registrano deficienze delle condizioni igienico-sanitarie, nell’illuminazione, nel decoro nonché la carenza dei presidi sanitari, infermerie, centri clinici, numero di medici che aggravano le patologie più frequenti ed infine l’insufficienza degli spazi destinati alla socialità e all’attività di studio e di lavoro dei detenuti”. Il tutto nonostante la Sicilia possegga già una struttura e un garante regionale dei diritti dei detenuti, cosa che a livello nazionale si tenta ancora d’istituire. Sardegna: le colonie penali agricole di Is Arenas, Isili e Mamone passano al biologico Redattore Sociale, 11 giugno 2010 Progetto "Colonia" (Convertire organizzazioni di lavoro ottimale negli istituti aperti) finanziato dal ministero della Giustizia: coinvolge le colonie penali agricole di Is Arenas, Isili e Mamone. In tutto 6.200 ettari e 800 detenuti. Domani la presentazione. Le colonie penali agricole di Is Arenas, Isili, Mamone passano al biologico. Nell'arco di tre anni tutti i prodotti realizzati all'interno dei penitenziari sardi (formaggio, miele, mirto, polline, conserve e piante officinali) avranno una marcia in più grazie al progetto "Colonia" (Convertire organizzazioni di lavoro ottimale negli istituti aperti) promosso dal ministero della Giustizia e finanziato dalla Cassa delle Ammende. La convenzione tra il Provveditorato Regionale e Aiab (Associazione italiana agricoltura biologica) prevede infatti la al bio le produzioni agro-zootecniche delle colonie agricole sarde che dispongono di un patrimonio di 6.200 ettari tra boschi, pascoli, terreni coltivabili e spiagge in territori incontaminati. Le colonie agricole entreranno nel sistema di certificazione del biologico, grazie anche un processo di assistenza e formazione continuate garantite da Aiab con un corso, all'interno di ciascuna colonia penale, di 36 ore destinato al personale operativo e ai quadri dirigenti di ciascuna colonia. L'obiettivo del progetto è quello di favorire il reinserimento sociale e lavorativo degli 800 detenuti presenti nelle colonie agricole di Isili, Mamone e Is Arena. Il progetto verrà presentato ufficialmente domani, sabato 12 giugno, presso la casa di reclusione di Isili. Brescia: ex detenuto-poeta, riarrestato, tenta il suicidio tagliandosi le vene Brescia Oggi, 11 giugno 2010 Carmelo Gallico era finito a Canton Mombello l’altro giorno per una maxi inchiesta. Ieri il gesto disperato. Un taglio alla carotide e alle vene dei polsi: salvato dagli agenti della Polizia penitenziaria È grave all’ospedale Civile, ma dovrebbe farcela. L’altro giorno l’arresto nell’ambito di una indagine della Divisione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che ha portato a 52 arresti, ieri alle 11 la decisione di farla finita: un taglio al collo all’altezza della carotide e - informa una nota della Cgil - segni profondi alle vene dei polsi. Carmelo Gallico, 47 anni di origini calabresi, a Brescia da qualche anno dove ha conseguito la laurea triennale in giurisprudenza e dove collabora attivamente con l’associazione Carcere e territorio, è ora ricoverato in gravi condizioni all’ospedale di Brescia, dove il personale sanitario del carcere, dopo le prime cure per tamponare l’emorragia, ha chiesto di trasferirlo. Non è in pericolo di vita, ma le sue condizioni sono gravi. Carmelo Gallico, che ha lasciato la Calabria da anni, cercando di ricostruirsi una vita a Brescia, dove ha trovato ospitalità e tante persone disposte ad aiutarlo in questo percorso di affrancamento da un passato fatto anche di carcere di massima sicurezza a Fossombrone, è finito coinvolto in una indagine che - dicono gli inquirenti - ha cercato di far chiarezza nei rapporti fra le famiglie Gallico, Morgante, Sgrò, Sciglitano e Bruzzise-Parrello contrapposte in una sanguinosa faida tra gli anni 80 e 90. Alle persone finite sotto indagine sono contestati, a vario titolo, i reati di associazione mafiosa, omicidio ed estorsione. Le cosche, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, grazie ad alcune imprese collegate agli affiliati sarebbero anche riuscite ad ottenere alcuni lavori di ammodernamento dell’autostrada A3. Saranno i giudici a dire l’ultima parola sulle accuse, intanto il gesto di Carmelo Gallico ha riaperto il dibattito sulle condizioni di vita e di sicurezza a Canton Mombello. “Ancora una volta - spiegano Donatella Cagno della Funzione Pubblica Cgil e Calogero Lo Presti, coordinatore regionale della Polizia penitenziaria - a fronte di un organico ridotto e del sovraffollamento, la polizia penitenziaria è riuscita a strappare alla morte una vita umana”. Ma purtroppo, è la conclusione, “non è sempre così”. E i tanti suicidi sono lì a dimostrarlo. Di “ennesimo campanello d’allarme sulle grave situazione in cui versa la casa circondariale”, parla il garante Mario Fappani. Il quale avverte anche che con il caldo estivo le condizioni già penose vanno aggravandosi. Roma: 12mila euro di debiti; a rischio di chiusura “Papillon”, la biblioteca dei detenuti La Repubblica, 11 giugno 2010 Cinquemila volumi hanno trovato casa, quattro anni fa, oltre il Raccordo anulare, fuori dai soliti circuiti della cultura capitolina. L’idea di portare il sapere in periferia era stata di alcuni detenuti ed ex carcerati dell’associazione Papillon-Rebibbia. Ma ora il sogno potrebbe infrangersi. Rischia di chiudere alla fine di luglio, infatti, la “loro” biblioteca, la “Giulio Salierno” nata nel 2006 in via Raoul Chiodelli, a Ponte di Nona. Dodicimila euro di debiti gravano su questa struttura. Debiti che si sono accumulati negli anni quelli della biblioteca di Ponte di Nona: 7 mila euro per i canoni di locazione e gli altri 5 mila per utenze non pagate. Pochi soldi, forse, per qualcuno, ma non per questo gruppo di ex carcerati e detenuti che ha cercato “di reggere” finché ha potuto come racconta il responsabile dell’associazione Papillon-Rebibbia, Vittorio Antonini. E che ora chiede a Gianni Alemanno un suo intervento “per evitarne la chiusura. Ai primi di marzo abbiamo lanciato un primo appello al sindaco ma non abbiamo avuto risposte - dice Antonini - ci dispiace, perché ha visitato più volte questa zona della città, dicendo che sarebbero state date opportunità a chi opera sul territorio in contesti disagiati”. Nel frattempo uno spiraglio l’ha aperto la Provincia. Ieri, difatti, “l’assessore alle Politiche sociali, Claudio Cecchini ci ha assicurato che in settimana saranno stanziati 15 mila euro per l’attività della biblioteca affinché vada avanti altri tre o quattro mesi”, aggiunge Antonini. Ma l’associazione Papillon-Rebibbia spera anche in un intervento anche del Campidoglio: “Si potrebbe studiare un inserimento nel circuito delle biblioteche comunali, anche perché fuori dal grande raccordo anulare oltre a noi ce ne solo cinque”, rimarca il presidente dell’associazione facendo, poi, anche una precisazione: “Abbiamo preferito continuarea pagare gli stipendi dei lavoratori e rimandare le altre spese, ma ora non possiamo più andare avanti siamo a corto di liquidità”, dice ricordando che “negli anni abbiamo ricevuto solo un finanziamento dalla giunta provinciale guidata da Gasbarra”. Roma: una delegazione parlamentari sudamericani visita il carcere di Rebibbia Il Velino, 11 giugno 2010 Una delegazione di parlamentari sudamericani ha visitato, accompagnata dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, il carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso. Scopo della visita incontrare i detenuti latinoamericani e ascoltare dalle loro parole e da quelle del Garante e delle altre autorità i problemi che quotidianamente si vivono in carcere. Della delegazione facevano parte Mirtha Palacios (Senatrice, presidente della Commissione diritti umani del Parlasur), i senatori paraguayani Vera Zacarias, Carlos Villalba, Nelson Alderete e Amanda Nunez, il ministro Samuel Lugo (segretario esecutivo della “Secretaria de Desarollo” per i rimpatriati e i rifugiati del Paraguay), Ines Martinez (Direttrice dei diritti umani della Cancelleria del Paraguay) e il console Sonia Biederman, dell’Ambasciata del Paraguay a Roma. In gruppo anche la presidente dell’associazione “Sudamerica Unida” Janeth Rijo Ferreira e quella dell’associazione “Brasiliani nel mondo” Luana Dini. Nel corso della visita i delegati hanno incontrato diversi detenuti sudamericani, fra cui anche quelli reclusi nella sezione trans, e incontrato le autorità carcerarie. Fra le problematiche messe in evidenza, i rapporti fra gli stranieri e le autorità diplomatiche dei Paesi di origine. “Abbiamo accettato di buon grado la richiesta dei parlamentari sudamericani di visitare la realtà carceraria italiana per verificare di persona come vivono e quali problemi hanno i loro connazionali - ha detto Marroni - . Spero che questa esperienza possa servire, come ci hanno assicurato i componenti della delegazione, ad avviare meccanismi che permettano alle autorità diplomatiche di facilitare i rapporti con i loro concittadini latinoamericani, ferme restando quelle che sono le decisioni della giustizia italiana”. Piacenza: ieri sera il convegno “Carcere: reinserimento sociale o annullamento dell’individuo” Piacenza Sera, 11 giugno 2010 Delitto e castigo ieri sera allo Spazio 4 durante il dibattito “Carcere: reinserimento sociale o annullamento dell’individuo” promosso dall’Associazione culturale Kilausa, tema della serata all’interno di un ciclo più ampio di discussioni dal titolo “Avere vent’anni”. Ospiti della serata: l’esperto di tematiche carcerarie Brunello Bonocore e il rappresentante della cooperativa Futura (attiva nel reinserimento degli ex-detenuti) Piero Bertolazzi, con un passato di militanza nei gruppi della lotta armata. Il dibattito, durato oltre due ore, ha preso in esame la preoccupante situazione delle carceri italiane, inidonee a contenere tutti i reclusi, la vita in prigione e il reinserimento post-pena. Ed è proprio sul reinserimento che gli ospiti hanno espresso tutte le loro perplessità. Un reinserimento infatti che sembra essere per la maggior parte degli ex detenuti una chimera, perché come dice Bertolazzi “nessuno ti da un lavoro se sei stato dentro”. In questa difficoltà oggettiva, secondo gli ospiti, risiede la maggior ingiustizia della detenzione, ovvero non solo il carcere non è uno strumento sociale riabilitativo (“è un tritacarne, un posto in cui la gente viene massacrata”, secondo Bertolazzi) ma è un marchio indelebile sulla pelle dell’ex-detenuto che cerca un impiego. I presenti hanno ricordato anche la triste condizione del nostro carcere cittadino, ovvero una struttura capace di “accogliere” al massimo 198 persone ma che in realtà ne annovera oltre 400 e in cui i nuovi reati di clandestinità non potranno che aggravare la situazione. Uno stato di cose che inevitabilmente si ripercuote sulla vita dei carcerati (già 29 i suicidi dall’inizio dell’anno nelle prigioni statali) e che obbliga le istituzioni a ripensare le strutture detentive. Il ciclo di incontri dedicato alle tematiche del carcere e delle ingiustizie ad esso collegato prosegue giovedì 24 giugno con il dibattito “Morire di controllo sociale: devianza ed usi incongrui delle polizie”. A discuterne Checchino Antonini di Liberazione e Lino Aldrovandi, padre di Federico ucciso durante un controllo della polizia nel 2005 a Ferrara. Torino: all’asta per beneficenza 45 sedie trasformate in oggetti di design delle detenute La Repubblica, 11 giugno 2010 Alle 20.30 saranno tutte disposte nel Foyer del Teatro Regio, come attori a teatro, già calate nei loro costumi, pronte ad andare in scena nell’asta che le vede protagoniste. Sono le quarantacinque sedie della mostra ArteSeduta, dismesse dal cineteatro dell’ex carcere “Le Nuove” di Torino e trasformate in oggetti di design dalla creatività delle detenute che hanno partecipato al Laboratorio della Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno”. Ognuna è tornata a nuova vita, prima restaurata e poi interpretata con materiali di recupero, tecniche diverse e colori dalle donne ospiti della Casa Circondariale. Il risultato è una collezione variopinta, fresca, che parla della vita e della possibilità di ricominciare in ogni momento. ArteSeduta, promossa dall’associazione culturale La Casa di Pinocchio, prima è stata una mostra esposta in spazi pubblici e negozi, ora è un’asta il cui ricavato andrà a favore delle sue autrici in carcere. Battitori e padrini d’asta saranno l’autore televisivo Cesare Vodani, il regista Davide Ferrario, la giornalista Rosita Ferrato e Bruno Gambarotta. Ogni sedia è un piccolo desiderio, una speranza, per ricordare valori come la libertà e il diritto di esistenza sociale dei detenuti. Immigrazione: Consulta; sì al reato di permanenza illegale, no all’aggravante di clandestinità Il Sole 24 Ore, 11 giugno 2010 La Corte costituzionale affonda l’aggravante di clandestinità. La camera di consiglio conclusasi ieri mattina avrebbe infatti, secondo le prime indiscrezioni, dichiarato l’illegittimità dell’aumento di pena fino a un terzo, istituito nell’ambito del primo pacchetto sicurezza del 2008, se a compiere il reato è stato un immigrato presente illegalmente in Italia. La stessa Consulta avrebbe però fornito un sostanziale giudizio di legittimità sul reato di clandestinità, punito con ammenda di 5mila a 10mila euro, introdotto dal secondo pacchetto sicurezza del luglio 2009. Le motivazioni saranno note solo tra qualche tempo, ma, facendo riferimento alle argomentazioni sostenute dalle ordinanze di rinvio alla Corte, è possibile ritenere che nel giudizio di illegittimità sull’aggravante abbia pesato, tra l’altro, il fatto che l’incremento della sanzione non sarebbe stato collegato alla maggiore gravità del reato e neppure alla maggiore pericolosità dell’autore, come per recidivi e latitanti, quanto piuttosto allo status del colpevole (il fatto di trovarsi illegalmente in Italia). Sulla legittimità del reato di clandestinità, d’altra parte, ambienti della Consulta fanno notare come sarà determinante la lettura delle motivazioni. Dalla Corte, infatti, potrebbero arrivare indicazioni per una valutazione caso per caso da parte del giudice di pace sulla giustificazione delle ragioni per il trattenimento illegale sul territorio italiano. Naturalmente le anticipazioni che sono arrivate su due delle norme chiave della recente normativa sui clandestini hanno dato motivo a entrambi gli schieramenti politici per cantare vittoria. Così il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano ha spiegato che “se verranno confermate le notizie relative alle decisioni della Corte costituzionale in materia di clandestinità, saranno fugate tutte le critiche, spesso pretestuose, che hanno accompagnato l’approvazione e l’applicazione del reato di ingresso clandestino”. Mantovano ha poi sottolineato come il reato di clandestinità è un “illecito la cui previsione era necessaria per rendere effettivo il meccanismo delle espulsioni, e quindi per far rispettare le regole riguardanti le modalità di ingresso degli stranieri in Italia. In tale ottica la probabile censura all’aggravante della clandestinità sarebbe ininfluente sul corretto funzionamento del medesimo meccanismo”. Per Anna Finocchiaro, capogruppo Pd al Senato, “la decisione della Corte costituzionale che boccerebbe l’aggravante di clandestinità con riguardo al primo pacchetto sicurezza è una buona notizia che dimostra che le stupide forzature ideologiche portano a decisioni sbagliate e dannose che ci descrivono un governo schiavo della propaganda leghista. Era evidente che la norma fosse in modo grossolano anticostituzionale e questo dimostra che il governo non sa produrre leggi efficienti, in grado di governare un fenomeno complesso come quello dell’immigrazione, ma vive di propaganda e di bugie”. Immigrazione: lettera dal Cie di Ponte Galeria; ecco come viviamo e il perché della rivolta Agi, 11 giugno 2010 “Qui dentro ci danno da mangiare il cibo scaduto, le celle dove dormiamo hanno materassi vecchi e quindi scegliamo di dormire per terra, tanti tra di noi hanno la scabbia e la doccia e i bagni non funzionano”. È l’apertura di un comunicato scritto da un gruppo di ospiti del Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Ponte Galeria (Roma) e diffuso da Radio Onda Rossa. Nel comunicato si denunciano pestaggi e si dà una versione della rivolta del 3 giugno scorso. “Quando chiediamo di andare in infermeria perché stiamo male, l’Auxilium (la cooperativa subentrata alla Croce Rossa nella gestione del centro n.d.r.) ci costringe ad aspettare e se insistiamo una banda di 8-9 poliziotti ci chiude in una stanza con le manette, s’infilano i guanti per non lasciare traccia e ci picchiano forte. Per fare la barba devi fare una domandina. Non possiamo avere la lametta. Ci chiamano ospiti ma siamo detenuti. Quello che ci domandiamo è perché dopo il carcere dobbiamo andare in questi centri e dopo che abbiamo scontato una pena dobbiamo stare sei mesi in questi posti senza capire il perché”. La sera del 3 giugno, secondo il comunicato, è cominciata così, a causa di uno sciopero della fame: Ci hanno detto “se non mangi non prendi terapie” ma qui ci sono persone con malattie gravi come il diabete e se non mangiano e si curano muoiono. Uno di noi è andato a parlare con loro e l’hanno portato dentro una stanza davanti l’infermeria dove non ci sono telecamere e l’hanno picchiato. Così la gente ha iniziato ad urlare di lasciarlo stare. In quel momento sono entrati quasi 50 poliziotti con il loro materiale e con un oggetto elettrico che quando tocca la gente, la gente cade per terra. Le guardie si sono tutte spostate sopra il tetto vicino la caserma dei carabinieri qui dentro, dove sta il campo da calcio. Dalla parte sinistra sono entrati altri 50 poliziotti. Quando abbiamo visto poliziotti, militari, carabinieri, polizia, finanza e squadra mobile ufficio stranieri (che sono i più infami) sui tetti, uno di noi ha cercato di capire perché stavano picchiando il ragazzo nella stanza. “Vattene via sporco...” un poliziotto ha risposto così. In quel momento siamo saliti tutti sopra le sbarre e qualcuno ha bruciato un materasso e quindi i poliziotti si sono spaventati e sono andati fuori le mura per prendere qualcuno che scappava. Da quella notte non ci hanno fatto mangiare né prendere medicine per due giorni. Abbiamo preso un rubinetto vecchio e abbiamo spaccato la porta per uscire e quando la polizia ha visto che la porta era aperta hanno preso caschi e manganelli e hanno picchiato il più giovane, un egiziano. L’hanno fatto cadere per terra e ci hanno picchiati tutti, hanno rotto la gamba di un algerino, hanno lanciato lacrimogeni e hanno detto che noi abbiamo fatto quel fumo per non far vedere niente alle telecamere”.