Rassegna stampa 13 gennaio

 

Giustizia: emergenza carceri per 1 anno e piano su 4 "pilastri"

 

Il Velino, 13 gennaio 2010

 

"Una missione che non ha precedenti nella storia della Repubblica", per "ridare dignità" ai detenuti e risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri "senza indulti o condoni". Così il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha presentato il piano delle carceri varato oggi dal Consiglio dei ministri.

Sono quattro i pilastri che lo sorreggono: dichiarazione dello stato di emergenza fino alla fine del 2010, perché "gli oltre 1.600 nuovi posti detenuti creati negli ultimi 18 mesi - ha spiegato Alfano - non sono stati sufficienti per reggere l’urto dei 700 nuovi carcerati che entrano ogni mese nelle strutture". Un piano edilizio che ha come obiettivo la creazione di altri 20 mila posti, per arrivare a una capienza complessiva attorno agli 80 mila posti. Quindi due importanti "norme di accompagnamento, che attenuino il sistema sanzionatorio - ha spiegato Alfano - per chi deve scontare un piccolissimo residuo di pena".

Con le norme di accompagnamento quanti hanno un solo anno di pena residuo potranno scontarlo ai domiciliari, mentre chi è imputato per reati sotto i tre anni potrà svolgere lavori di pubblica utilità, sospendendo il processo. Infine, il quarto pilastro del piano carceri, sarà l’assunzione di duemila nuovi agenti della Polizia Penitenziaria. Per la parte edilizia Alfano ha spiegato che la procedura di emergenza, seguirà lo stesso schema usato per la ricostruzione per le case in Abruzzo, consentendo di snellire alcuni passaggi burocratici per giungere ad edificare in un anno 47 nuovi padiglioni. "Avvieremo procedure - ha detto Alfano - per realizzare strutture a cui dar vita nel 2011 e nel 2012 con modelli organizzativi tipo quello attuato a L’Aquila".

Quest’anno, invece, "realizzeremo - ha detto il ministro - 47 nuovi padiglioni, strutture che si affiancheranno a quelle già esistenti". Per questi padiglioni, verranno utilizzate le ricorse provenienti dalla Finanziaria - 500 milioni di euro - e dal bilancio del dicastero di via Arenula - 100 milioni -, mentre per le strutture che verranno realizzate tra il 2011 e il 2012, le risorse verranno prese dal bilancio statale e da finanziamenti provenienti dai privati".

In questo modo si arriverà, entro il 2012, a 21.749 posti in più, portando la capienza delle carceri a 80mila posti.

Il terzo punto del piano riguarda, invece, le cosiddette "norme di accompagnamento" per alleggerire il peso del sovraffollamento: un ddl ad hoc di due articoli prevede - ha spiegato ancora Alfano - che i detenuti con pene residue inferiori ad un anno potranno andare ai domiciliari, e introduce la cosiddetta "messa alla prova", vale a dire la norma che un anno fa il Guardasigilli aveva portato in Cdm ma che aveva avuto un altolà da parte di Lega ed ex An. In base a questa nuova norma che ora passerà all’esame del Parlamento, alle persone imputabili per reati fino a tre anni sarà sospeso il processo e verrà concessa la possibilità di svolgere lavori di pubblica utilità per riabilitarsi. Infine il governo ha deciso di aumentare gli organici della polizia penitenziaria di 2mila nuove unità.

"Questa che ci accingiamo a compiere è una missione che non ha precedenti nella storia della Repubblica perché - ha detto Alfano, mentre al suo fianco aveva il premier Berlusconi e più in là il capo del Dap Ionta - vuole risolvere il problema del sovraffollamento carcerario non ricorrendo all’ennesima amnistia o indulto ma volendo dare dignità a chi deve, comunque, scontare una pena".

Giustizia: il Governo dichiara stato di emergenza per le carceri

di Paolo Festuccia

 

La Stampa, 13 gennaio 2010

 

L’ipotesi di partenza per il ministero di via Arenula è il "modello Abruzzo". Su quella scia il guardasigilli Angelino Alfano intende fronteggiare l’emergenza dell’affollamento nelle carceri. Con l’impegno di snellire il sistema e avviare una serie di appalti grazie al ricorso della procedura di emergenza. Tant’è che ieri il ministro della Giustizia ha annunciato alla Camera che chiederà nel consiglio dei ministri di oggi lo "stato d’emergenza, che non è il preludio di un abuso, ma uno strumento di efficienza" (ha spiegato replicando a Dario Franceschini del Pd) e proponendo nel contempo un nuovo piano di edilizia carceraria per raggiungere "un livello di capienza di 80 mila posti". Con la proclamazione dello stato di emergenza il capo del Dap (Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria), Franco Ionta potrebbe essere investito di poteri straordinari. Poteri sul modello di quelli sperimentati da Bertolaso per la Protezione civile che gli consentirebbero di avvalersi di consulenti esterni e decidere la secretazione di procedure per la costruzione delle nuove strutture, che così semplificate ricadrebbero sotto la responsabilità del presidente del Consiglio.

L’imperativo, dunque, è fare in fretta per arginare una vera e propria crisi del sistema: 64.910 (a fronte di una capienza di 44 mila) detenuti con il record di 71 suicidi nel 2009 e 173 decessi. Cifre che da tempo hanno messo in allarme decine di associazioni umanitarie ma anche i Radicali che ieri hanno manifestato davanti a Montecitorio durante il dibattito sulle mozioni in Aula con le quali si è impegnato "il governo a contenere il sovraffollamento e a rivalutare una serie di misure alternative alla detenzione".

Il documento che il ministro alla Giustizia Angelino Alfano si appresta a varare poggia su tre pilastri. "Un piano per l’edilizia - ha spiegato alla Camera - per aumentare a 80mila posti i livelli di capienza; alcune norme che attenuino il sistema sanzionatorio per chi deve scontare residui di pena (1 anno); e l’assunzione di 2mila nuovi agenti di polizia". Notizia accolta positivamente da tutte le organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria ma anche dall’Anm, che per voce del presidente, Luca Palamara afferma che "tutto ciò che apporta migliorie non può che essere accolto positivamente".

Insomma, se il ministro della Giustizia parla di "risposta organica" che si darà sul "problema carceri", spiegando che in questi "18 mesi di governo sono stati creati 1 mille 800 posti in più, in numero analogo a quelli precedenti" resta, però, ancora da capire come e dove saranno impiegate le risorse. Nel quartier generale di via Arenula c’è chi si lascia sfuggire del via libera definitivo del nuovo carcere di Savona, previsto da anni e chi spiega che le priorità riguarderanno l’ampliamento e la realizzazioni di nuovi padiglioni all’interno di strutture giù esistenti, aumentandone così la capienza. Di certo nell’ottobre dello scorso anno, il capo del Dap Ionta spiegò che per "stabilizzare il sistema sarebbero stati necessari tra i 17-18 mila posti detentivi in più" (per una previsione di costi di circa 1,5 miliardi), mentre lo stesso Alfano aveva parlato del ricorso a "finanziamenti privati come accade in tanti paesi occidentali". Il piano di allora prevedeva 24 nuovi istituti penitenziari, di cui 9 flessibili (per la prima accoglienza) da realizzare nelle grandi aree metropolitane.

Giustizia: le carceri invivibili... persino Alfano se n’è reso conto

di Silvia D’Onghia

 

Il Fatto Quotidiano, 13 gennaio 2010

 

Alla fine se n’è accorto persino il ministro della Giustizia, Angelino Alfano: la situazione delle carceri richiede provvedimenti di emergenza. Tanto che oggi il Guardasigilli porterà in Consiglio dei ministri il suo "piano", "confidando" che i colleghi comprendano la gravità del momento.

Un piano, per la verità più volte annunciato, che dovrebbe vertere su tre punti: un incremento dell’edilizia penitenziaria che porti la capienza a 80 mila posti (dagli attuali 43 mila disponibili); riforme di accompagnamento, che "atterranno il sistema sanzionatorio e riguarderanno coloro che devono scontare un piccolo residuo di pena" (possibile ricorso a misure alternative come gli arresti domiciliari); un aumento di organico di "oltre duemila unità" nella polizia penitenziaria. "Dobbiamo immaginare - ha annunciato Alfano - una strada diversa rispetto a quella percorsa in questi 60 anni di storia repubblicana che ha sempre fatto i conti con l’emergenza nelle carceri, con il sovraffollamento individuando sempre la stessa risposta: provvedimenti di amnistia e indulto".

Tanto per rispondere ai Radicali che, per bocca di Rita Bernardini, continuano a chiedere un’amnistia come base per risolvere il problema della giustizia. Bernardini ha però ieri incassato un risultato importante: la Camera ha approvato 12 dei 20 punti della mozione, presentata assieme ad altri 92 deputati, che impegna il governo ad un’ampia riforma del sistema carcerario.

Via libera, per esempio, alla riduzione dei tempi di custodia cautelare per i reati meno gravi, ad una reale protezione del detenuto, al rafforzamento delle misure alternative, all’attuazione del principio di territorialità della pena, all’adeguamento degli organici del personale penitenziario. "Sappiamo che quando si strappa un contratto, poi bisogna lottare per farlo attuare - commenta la deputata radicale - dobbiamo fare la stessa cosa con quanto abbiamo strappato oggi. Quanto al piano carceri, il governo continua a non rispondere su questioni fondamentali. Il personale è già carente con l’attuale numero dei detenuti, figuriamoci per un numero superiore. Inoltre, girando per le carceri, ho visto io stessa interi reparti nuovissimi chiusi per mancanza di personale penitenziario.

Poi non capiamo perché si devono costruire nuovi istituti se si pensa a misure alternative". Oltre tutto i duemila agenti in più annunciati da Alfano, che si è guardato bene dallo specificare i tempi di questi ingressi, sono già meno di quanti ne occorrerebbero oggi. "Siamo sotto di 6.000 persone - commenta il segretario generale del sindacato Sappe, Donato Capece - speriamo che il Consiglio dei ministri licenzi un provvedimento che vada ben oltre il numero annunciato dal Guardasigilli, di cui comunque apprezziamo la volontà". Giudizio cautamente positivo dalla Uilpa Penitenziari:

"È un impegno politico concreto che va nella direzione che avevamo chiesto - afferma il segretario generale, Eugenio Sarno - ora ci aspettiamo dì poter scrivere insieme, come lo stesso ministro aveva annunciato tempo fa, il piano carceri". L’annuncio della costruzione di nuovi istituti però non convince molti, a cominciare dall’ex segretario del Pd Dario Franceschini, che in aula ha chiesto al governo di "non abusare dello strumento d’ordinanza al posto dei normali provvedimenti legislativi".

Più duro ancora Patrizio Gonnella, presidente di Antigone: "Se l’emergenza significa secretare le gare d’appalto, affidandole al capo del Dap come commissario straordinario, non seguire le regole pubbliche, ma andare in trattativa privata, allora è meglio non fare il piano carceri. Il ministro ha poi sparato numeri a caso: se è bravissimo, entro un anno con le risorse a disposizione riesce al massimo ad avere 5 mila posti in più". Un solo elemento positivo: la presa di coscienza". Che speriamo non diventi uno spot elettorale.

Giustizia: riduzione di custodia cautelare per i reati meno gravi

 

Dire, 13 dicembre 2009

 

Sì alla "riduzione dei tempi di custodia cautelare", perlomeno per i reati meno gravi. La Camera ha votato a favore di alcune parti della mozione dei radicali (prima firmataria Rita Bernardini) sull’emergenza carceri. La mozione impegna il governo, per evitare l’affollamento delle carceri, ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte ad attuare, "con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento", una riforma "radicale in materia di custodia cautelare preventiva, di tutela dei diritti dei detenuti, di esecuzione della pena e, più in generale, di trattamenti sanzionatori e rieducativi" che preveda, tra l’altro, "la riduzione dei tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi".

Dalla Camera è arrivato anche il sì ai punti della mozione che impegnano il governo ad assicurare al detenuto "un’adeguata tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell’amministrazione penitenziaria lesivi dei suoi diritti". Dovranno poi essere rafforzati sia gli strumenti alternativi al carcere previsti dalla cosiddetta legge Gozzini, sia le sanzioni penali alternative alla detenzione intramuraria, a partire dall’estensione dell’istituto della messa alla prova, previsto dall’ordinamento minorile, anche al procedimento penale ordinario. L’applicazione della detenzione domiciliare dovrebbe poi diventare lo "strumento centrale nell’esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità, anche attraverso l’attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti", come il cosiddetto braccialetto elettronico.

Per quanto riguarda gli immigrati, è prevista, nella mozione, "l’istituzione di centri di accoglienza per le pene alternative degli extra-comunitari, quale strumento per favorirne l’integrazione ed il reinserimento sociale e quindi ridurre il rischio di recidiva". Per i tossicodipendenti si parla, invece, di istituti a custodia attenuata realizzabili "anche ricorrendo a forme di convenzioni e intese con il settore privato e del volontariato che già si occupa dei soggetti in trattamento".

Il governo dovrà poi dare "piena attuazione" al principio della territorialità della pena previsto dall’ordinamento penitenziario "in modo da poter esercitare al meglio tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue tra quest’ultimo, i propri familiari e i servizi territoriali della regione di residenza". Il governo dovrà anche migliorare il servizio sanitario penitenziario, dando seguito alla riforma della medicina penitenziaria già avviata nel 2008, e favorire il reinserimento al lavoro dei detenuti.

Giustizia: i "cimiteri dei vivi"... le patrie galere di Filippo Turati

di Paolo Pillitteri

 

L’Opinione, 13 gennaio 2010

 

Approda in Senato il tanto discusso "processo breve". Strano paese il nostro, dove ci si indigna per una simile proposta individuandovi un interesse politico per il Cav che, pure, non è nascosto, ma che rimane un dato comunque secondario per la sostanza della questione: la durata impressionante dei processi.

Che ha come corollario l’ingiustizia di una giustizia all’italiana che anticipa con la carcerazione preventiva la conclusione del processo neppure avviato e, poi, a condanna comminata, gestisce un sistema carcerario che fa paura, indegno di un paese civile. Ogni riforma della giustizia dovrebbe iniziare dalla fine, cioè dalla carceri, perché esse costituiscono non solo l’indizio ma la prova schiacciante della crisi generale di un settore per il quale la richiesta di un processo breve e/o giusto dovrebbe essere condivisa in modo bipartisan proprio per le conseguenze positive che ne deriverebbero.

Intanto, su un sistema carcerario che vede aumentare il numero dei suicidi insieme al sovraffollamento tanto più disumano quanto più è prodotto da un’ingiustizia suppletiva giacché oltre la metà del "pianeta carceri" è rappresentata sia da tossicodipendenti che da detenuti in attesa di giudizio (idem). Ha fatto dunque bene l’onorevole Fabrizio Cicchitto a riprendere il tema del processo breve impostandolo sulla drammatica problematica carceraria - su cui si battono da sempre, praticamente soli, i radicali italiani - forse avendo nella memoria l’eco di un memorabile intervento parlamentare di Filippo Turati, dedicato per l’appunto alle carceri da lui definite: il cimitero dei vivi.

Così diceva il leader riformista alla camera dei deputati, e rivolto al Presidente del Consiglio, Giolitti: "Io dissi una volta in questa Camera che, per diventare ministro dell’Interno, mi pareva una condizione indispensabile quella di aver passati alcuni anni in galera. Ed allora, siccome in quest’aula si amano le barzellette, mi fu risposto che io ponevo la mia candidatura a quel posto (Turati era stato in carcere quasi due anni in seguito alla repressione milanese di Bava Beccaris)

No. Non si trattava di questo. Io ponevo semplicemente davanti alla Camera un problema che impegna l’onore di un Paese che voglia essere civile...Le attuali carceri rappresentano l’esplicazione della vendetta sociale nella forma forse più atroce che si abbia mai avuta: noi crediamo di aver abolita la tortura , e invece, i nostri reclusori sono essi stessi un sistema di tortura...Ebbene, tutto questo converrebbe riformare ab imis fundamentis.

È un dovere sacro per qualunque Governo di avere, in queste condizioni, un programma carcerario, di schiudere le porte e le finestre su tutto questo putridume. Voi osservavate ieri, onorevole Giolitti, che neppure i socialisti hanno il rimedio per tutti i mali che denunziano. È vero, se intendete che non abbiamo in tasca ricette miracolose.

Ma le grandi direttive delle riforme ben le possiamo indicare a voi spetta di seguirle. E comunque non è scritto nel libro del destino che le nostre carceri debbano essere dei luoghi di tortura e dei semenzai di criminalità. Qui basterebbe fortemente volere". Parole sante. Parole. attuali. Correva l’anno 1904.

Giustizia: Berlusconi; no amnistie, soluzione durerà nel tempo

 

9colonne, 13 gennaio 2010

 

"Uno Stato civile toglie la libertà a chi commette un reato e viene giudicato colpevole da un tribunale, ma non può togliere la dignità e attentare alla salute dei detenuti che si trovano nelle carceri" così Berlusconi ha parlato in conferenza stampa del piano carceri varato dal Consiglio dei ministri, aggiungendo che per questo piano sarà usato "il sistema dei tre turni che ci ha consentito in Abruzzo di mettere sotto un tetto quanti avevano perso una casa".

Il presidente del Consiglio ha sottolineato come nelle carceri hanno dormito ieri 64.670 detenuti, sostenendo che si tratta di "una situazione non più tollerabile. Se in passato - aggiunge - si sono fatti condoni e amnistie, noi vogliamo creare una situazione che duri nel tempo". In questo quadro si interverrà anche con "l’assegnazione dei domiciliari a chi deve scontare un ultimo periodo di pena e quindi non ha alcun interesse a fuggire".

Questi i numeri: nel corso dello stato d’emergenza che durerà fino al 31 dicembre del 2010 - ha spiegato sempre in conferenza stampa il ministro della Giustizia Angelino Alfano "saranno costruiti 47 nuovi padiglioni nelle vecchie strutture sul modello dell’Aquila" mentre, nel corso del 2011 e del 2012, "saranno realizzate strutture flessibili e tradizionali su modello dell’Aquila": in totale, 21.749 posti in più.

Responsabile di questa "missione", come l’ha definita Alfano, sarà il capo del Dap, Franco Ionta. "Con 600 milioni di euro - spiega il Guardasigilli - costruiremo i 47 nuovi padiglioni. 500 milioni arrivano dalla legge Finanziaria mentre 100 milioni arrivano dal bilancio del ministero della Giustizia". Il Consiglio dei ministri ha varato anche un ddl che introduce la possibilità dei domiciliari per chi deve scontare un anno di pena residua e la messa alla prova delle persone imputabili per reati fino a tre anni, che potranno, spiega Alfano, "svolgere lavori di pubblica utilità sospendendo il processo".

Giustizia: Pd; governo poco credibile, aspettiamo vedere piano

 

Asca, 13 gennaio 2010

 

"Sulle carceri il governo è poco credibile, ma aspettiamo comunque di vedere cosa uscirà fuori dal consiglio dei ministri di domani". Lo dichiara il responsabile giustizia del Pd, Andrea Orlando, che fa presente come siano "passati quasi due anni da quando il ministro della Giustizia ha annunciato per la prima volta l’imminente presentazione del piano di edilizia carceraria. Nel frattempo, il grado di sovraffollamento degli istituti - prosegue Orlando - è divenuto insostenibile e prefigura una situazione di vera e propria emergenza umanitaria. Siamo ampiamente oltre la soglia massima di tolleranza in palese contraddizione con i diritti costituzionalmente garantiti. Se domani il Governo, che ha a disposizione una quantità insufficiente di risorse, si limitasse ad approvare un piano per cui la prima struttura utilizzabile sarà realizzata nel 2012, beh... saremmo davanti ad un vero e proprio collasso del sistema".

 

Di Giovan Paolo: servono risorse umane e finanziarie

 

"In Italia esistono carceri terminate, o quasi, che non vengono utilizzate e sui quali abbiamo interrogato il governo nel mese di dicembre. Ma ancora non abbiamo ricevuto alcuna risposta". Così sostiene il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, segretario della commissione Affari Europei. "Servono risorse umane e finanziarie perché - aggiunge il senatore Pd - le carceri italiane sono pensate per 56 mila detenuti e non per gli attuali 6.000 di cui la maggior parte è in attesa di giudizio e costretta a vivere in condizioni a volte disumane. L’impegno del Pd su questo fronte non è solo per i detenuti ma anche per i servitori dello Stato che - conclude -, con grande impegno e professionalità, continuano a rendere un servizio alla comunità e ai cittadini per la rieducazione nonostante la mancanza di risorse".

Giustizia: Idv; stato emergenza? solo una scusa per fare affari

 

"Il Governo ha prosciugato i fondi per la giustizia nel settore penitenziario, compreso il capitolo triennale relativi ai fondi per l’edilizia penitenziaria lasciata dal precedente governo e utilizzati per finanziare il regalo Alitalia". Lo dichiara in una nota Federico Palomba, capogruppo Idv in Commissione giustizia alla Camera.

"Non conosciamo il piano carceri, vedremo nello specifico le carte ma non vorremmo che la dichiarazione dello stato di emergenza, sia una scusa per buttarla in economia domestica. Lo stato di emergenza, infatti, potrebbe essere utilizzato per violare le norme sulla concorrenza e sugli appalti, una specie di supercommissariamento Bertolaso, affari insomma, come al solito".

"Non vediamo un piano di ampio respiro, non vediamo strumenti normativi su pene alternative. Non vediamo la volontà di ripristinare le unità di polizia penitenziaria mancanti, 5 mila unità in meno, 3 mila sottratta ai compiti di istituto. I problemi della giustizia e del sovraffollamento delle carceri si risolve con in fondi, non con le chiacchiere" conclude Palomba.

 

Donadi emergenza esiste, ma piano è una bufala

 

"L’emergenza carceri esiste, ma il piano del governo è una bufala". Lo afferma il capogruppo Idv alla Camera Massimo Donadi, che aggiunge: "Il piano è un indulto mascherato perché sono 20 mila i detenuti che devono scontare ancora un anno di pena. Torneranno in libertà e sarà difficile controllarli, con evidenti conseguenze per la sicurezza dei cittadini. Il governo, inoltre, deve spiegarci perché annuncia la costruzione di nuove carceri quando sono decine quelle già esistenti ed inutilizzate. Anche l’assunzione di duemila nuove unità è poco credibile perché questo governo ha tagliato molto i fondi destinati al comparto sicurezza. Ancora una volta - conclude il capogruppo Idv - Berlusconi si conferma maestro solo nella politica degli annunci".

Giustizia: Bernardini; svuotare le carceri con misure alternative

 

La Stampa, 13 gennaio 2010

 

Rita Bernardini occorre costruire più carceri?

"Occorrono nuovi carceri soprattutto per sostituire e abbattere quelli più vecchi e fatiscenti. Ma occorre soprattutto aprire e far funzionare alcuni reparti mai utilizzati che io stessa ho vistato, per esempio a Matera o di Barcellona Pozzo di Gotto, nuovi ma chiusi per mancanza di personale".

 

Che cosa la preoccupa di più del nuovo piano di edilizia penitenziaria?

"Le procedure di appalto. Non vorrei che ci ritrovassimo a fare i conti con un altro scandalo delle "carceri d’oro" dopo quello degli anni Ottanta. Dunque: gare di appalto quanto mai trasparenti".

 

Ottantamila posti saranno sufficienti?

"No, sono troppi. Lo so che c’è il sovraffollamento, ma a questo fenomeno dobbiamo rispondere non con la moltiplicazione delle celle, ma con misure alternative alla detenzione. Esempi? Gli arresti domiciliari dove possibile. L’estensione della "messa in prova" con affido ai servizi sociali per alcuni tipi di reato. Inoltre il 25% dei detenuti è costituito da tossicodipendenti che hanno commesso reati a motivo della loro condizione: per queste persone va previsto l’affido a comunità terapeutiche e non al carcere".

 

Voi proponete anche una revisione della custodia cautelare. In cosa consiste?

"Sostanzialmente nella riduzione dei tempi di custodia. Il 50% dei detenuti è in attesa di processo e di questi, dati alla mano, il 30% viene poi dichiarato innocente. Questo è uno spreco di risorse e di posti, per non dire degli aspetti umani di un simile trattamento".

 

La parola amnistia si può pronunciare?

"Da parte nostra sì, ma l’aula di Montecitorio ha respinto nettamente questa ipotesi. E pensare che una amnistia di fatto c’è: ogni anno 200 mila reati passano in prescrizione. Ma nessuno se ne spaventa".

Giustizia: Manconi; lugubre miraggio di 80mila posti-detenuto

di Luigi Manconi

 

Il Manifesto, 13 gennaio 2010

 

Quella annunciata ieri dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, sulle carceri è né più né meno che una utopia negativa e un lugubre miraggio o, più semplicemente, una balla colossale, in cui è difficile discernere ciò che rimanda a una spensierata irresponsabilità e ciò che rivela una torpida insipienza.

Nel corso del dibattito alla Camera sull’emergenza carceri, tenacemente voluto dal deputato radicale Rita Bemardini, il ministro ha pronunciato frasi temerarie: in particolare, ha affermato che il "piano carceri" - annunciato un anno e mezzo fa, sempre differito e che oggi verrà approvato dal Consigli dei ministri - porterà l’attuale capienza (43mila) fino a 80mila posti-letto. In tutta evidenza, si tratta di un’affermazione priva, assolutamente priva, di qualunque fondamento di realtà. Mero esercizio di una fantasia esuberante.

La conferma viene dalla vicenda esemplare, ma non unica, del carcere di Gela: progettato nel 1959 (avete letto bene, nel 1959), finanziato nel 1978, completato nel 2007 quando l’istituto viene inaugurato dall’allora ministro Clemente Mastella. L’apertura, nella più ottimistica delle valutazioni, è prevista per il luglio del 2010. Non si tratta di una anomalia così rara: uno studio attendibile ha indicato in dodici anni il tempo medio per la realizzazione di un carcere. E seppure si dichiarasse lo "stato di emergenza" - che non sta né in cielo né in terra e tanto meno nel nostro ordinamento, se non in caso di catastrofi naturali - i tempi si ridurrebbero della metà, nella migliore delle ipotesi.

E, dunque, anche il fantasmagorico aumento dei posti letto, si rivelerebbe insufficiente rispetto a una popolazione detenuta che, nel frattempo, sarebbe cresciuta di altre 50-60 mila unità. Insomma, non siamo di fronte a un realistico progetto di politica criminale: piuttosto, assistiamo stupefatti a un esercizio di alta acrobazia aritmetico-ideologica, che sarebbe perfino mirabile se non fosse giocata sui corpi reclusi, sulle loro sofferenze, su quelle tante morti le cui cause sono "da accertare" (mai così tante come nel 2009) e sui quei suicidi (mai così tanti come nel 2009).

Eppure, le soluzioni alternative - concretissime e razionalissime - ci sono, eccome. La Costituzione parla di "pene" e non di "pena detentiva" o di "carcere": perché condannarsi a condannare sempre e comunque al carcere, anche quando esso non è necessario e, anzi, può essere dannoso? Perché non incentivare il passaggio, nel modo più ampio possibile, dalla cella chiusa alle misure alternative, dal momento che la recidiva dei detenuti è tre volte e mezzo superiore a quella di chi sconta la pena fuori dalla galera?

Come hanno fatto notare i giudici federali al governatore della California, Arnold Schwarzenegger, che ha problemi di sovraffollamento simili ai nostri, ne verrebbero ingenti risparmi di spesa da reinvestire non solo in programmi di sostegno ai condannati in misura alternativa, ma anche alle necessità finanziarie dell’intero sistema di giustizia. Ma, in Italia, Schwarzenegger è solo di Terminator.

Giustizia: Segio; si buttano i soldi, occorrono pene alternative

 

Il Mattino, 13 gennaio 2010

 

"È la direzione di marcia che va invertita. Non si può perseverare negli errori": Sergio Segio boccia il governo. Il carcere lo conosce bene: ex terrorista di Prima Linea, scontata la pena a 22 anni, di detenuti si occupa a tempo pieno collaborando con Cgil, Don Ciotti e Sergio Cusani. Spiega: "Negli ultimi trent’anni in edilizia penitenziaria sono stati spesi oltre tre miliardi e mezzo di euro. Una cifra spropositata, buttata al vento per ritrovarsi in situazioni di cronica emergenza e sovraffollamento".

 

C’è voluto Napolitano per far affrontare il problema?

"Mi ha colpito che abbia citato la realtà del carcere nel suo discorso, non è usuale. È segno della sensibilità umana e istituzionale della persona ma anche della gravità della situazione: non sono più assicurabili dignità umana nelle celle e dignità professionale per gli operatori. Siamo a grave rischio di esplosione perché c’è un limite alla legge fisica, alla compenetrabilità dei corpi. Lo dice l’esperienza, un’esperienza tanto più grave in quanto colpevolmente trascurata da tantissimo tempo".

 

Cosa manca tra un grido d’allarme e l’altro sull’emergenza?

"Il progetto: una cultura della pena e della pena alternativa. Nonostante giuristi e politici ripetano che il carcere deve essere l’extrema ratio, continua ad essere la scorciatoia per qualsiasi problematica sociale. È sovraffollato di figure marginali: tossicodipendenti, immigrati, condannati per reati di basso profilo e bassa pericolosità".

 

Arriva un piano di edilizia carceraria per 80mila posti e il sindacato dice che ne servono il triplo. Si è sempre in ritardo rispetto alla realtà?

"È un circolo vizioso. L’esperienza dice che, quanti più posti in carcere si allestiscono, tanto più saranno rapidamente riempiti e quindi deficitari, perché c’è una politica giudiziaria penale che contiene i numeri per quelli che sono i posti disponibili. Quindi non è la risposta giusta, ed è oltretutto la più costosa".

 

Quale è, allora, la strada giusta?

"Smettere di considerare i reclusi scorie non riciclabili e il carcere una pattumiera sociale, un sostituto a basso costo delle politiche sociali. Anche perché a basso costo non è. Un detenuto in cella, in queste condizioni!, costa circa duecento euro al giorno: un tossicodipendente in comunità terapeutica, dove non viene solo accatastato ma aiutato, costa un terzo. E smettere di considerare direttori, agenti e operatori dei netturbini, mortificando il loro lavoro, per consentirgli di usare, come dice la Costituzione, il tempo della pena per il reinserimento. Vuol dire investire in prevenzione, formazione, reinserimento lavorativo con incentivi ad imprese e terzo settore, misure alternative. Sono quattro pilastri. Il ministro ne propone tre, ma così un edificio è sghembo e pericolante".

 

Alfano annuncia anche fondi per assumere nuovi agenti.

"Anche questa non è la risposta giusta. Se fondi ci sono, dovrebbero andare a migliorare il trattamento degli agenti esistenti che sono più che sufficienti ma mal distribuiti. E, quel che mi preoccupa ancor di più, si parla solo di nuovi agenti e non di educatori e assistenti sociali, le figure professionali cronicamente carenti nei penitenziari".

Giustizie: Rigoldi; solo "pene sociali" possono svuotare le celle

di Don Gino Rigoldi (Presidente di Comunità Nuova)

 

Corriere della Sera, 13 gennaio 2010

 

Lo stato d’emergenza delle carceri e l’iniziativa del ministro Alfano (nuovi penitenziari e più agenti) seguono la denuncia del cardinale di Milano Tettamanzi sull’intollerabile situazione di affollamento nel carcere di San Vittore. Qui il Comune ha destinato finanziamenti e dato priorità alla costruzione di un nuovo carcere in periferia: è una buona scelta, ma non è certo la soluzione dei problemi del sovraffollamento attuale, anche perché il piano, a essere ottimisti, vedrà attuazione tra non meno di 510 anni. Ci sono altre soluzioni possibili e conosciute al problema del sovraffollamento,

Mercoledì, nella sezione "comuni" di un carcere di massima sicurezza, ho incontrato un uomo di circa trentacinque anni il quale stava scontando una pena di due anni e alcuni mesi perché in maniera recidiva (non so se due o tre volte) aveva rubato la sua spesa di uova, mozzarelle e busta di prosciutto in un supermercato.

Al carcere minorile Beccaria ho visto restare in carcere per più di tre mesi un ragazzo rom per furto di un paio di scarpe e due fratelli italiani essere carcerati per circa sei mesi perché, quattro anni prima, all’età di poco più di 14 anni, avevano tentato il furto di una bicicletta. Va da sé che dopo i sei mesi i due ragazzi avevano perso il lavoro, vissuto la loro povertà in maniera molto depressiva e alla fine avevano imparato mille modi per far soldi. Questi due non sono episodi isolati: potrei citare centinaia di casi simili, come ripete spesso il provveditore lombardo delle carceri Pagano.

La soluzione alternativa, attuale, che da subito potrà ridurre il numero di detenuti si chiama "possibilità di comminare pene sociali, di risarcimento e di servizio alla comunità". In sintesi: i reati gravi come gli stupri, le rapine, lo spaccio, gli omicidi continuano con il regime attuale di pena, mentre i furtarelli di primo reato, i piccoli tentati furti e tutti i reati minori potrebbero essere puniti con pena di utilità sociale. Per fare un esempio il ladruncolo del supermercato potrebbe essere "condannato" a pulire per due o tre mesi il piazzale del supermercato; i Comuni potrebbero stilare un elenco di luoghi bisognosi di pulizia o di interventi di ripristino e chi commette piccoli reati "condannato" a lavorare per la comunità in un tempo proporzionato al reato.

In Parlamento esiste già una legge che prevede le pene sociali alternative alla carcerazione, misura simile alla "messa alla prova" prevista per i minori ai quali, se rispettano alcune regole che decide il tribunale, alla fine del tempo previsto si cancella il reato. Ci sono molti professionisti del legale e del sociale che potrebbero affiancare i giudici togati in qualità di giudici onorari per definire il tipo di compito risarcitorio da prescrivere.

Il Privato sociale e i numerosi volontari carcerari potranno essere una grande forza di appoggio, alcune fondazioni e aziende private sono disponibili a finanziare una sperimentazione di questo genere, a partire per esempio da Milano e da Roma.

Mi rendo conto che una scelta del genere, per essere in linea con la Costituzione e le leggi italiane, ha bisogno di approfondimenti in varie direzioni ma non ho dubbio che, se c’è la volontà, è possibile fare anche in Italia quello che già succede con buoni frutti in diverse altre nazioni.

Una volta esclusa la possibilità di amnistia 0 di indulto, verificati i tempi pluriennali prima che un qualunque "piano carceri" possa portare risposta, si può da subito operare perché il carcere infine diventi un luogo di riabilitazione come recita la Costituzione e sia destinato solo ai veri delinquenti e non - come oggi - soprattutto e quasi esclusivamente a persone cariche di molte povertà.

Giustizia: Sdr; il nuovo piano del governo esclude la Sardegna

 

Agi, 13 gennaio 2009

 

"Il nuovo piano carceri del ministro Angelino Alfano, che ha senz’altro il merito di aver riconosciuto, anche se tardivamente, lo stato di emergenza, non può escludere la Sardegna". Lo afferma la presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme sottolineando che "ben vengano 2.000 nuovi agenti di polizia penitenziaria ma sono davvero pochi se si pensa che solo a Buoncammino ne mancano 80 e molti stanno per andare in pensione o hanno problemi familiari e/o di salute".

Caligaris rimarca i problemi più gravi degli istituti di pena sardi. "Basti pensare", ricorda, "ai gravissimi ritardi accumulatisi nella costruzione delle nuove strutture di Sassari, Oristano e Cagliari, all’assenza di un istituto per donne detenute e alla totale mancanza di iniziative per garantire istituti idonei ad accogliere i differenti gradi dei carcerati malati di mente, sieropositivi, tossicodipendenti, disabili, anziani. Un serio progetto deve guardare alla realtà di tutto il Paese nel rispetto delle norme previste dall’ordinamento penitenziario".

"Qualunque intervento - aggiunge l’ex consigliere regionale - deve essere pensato in chiave rieducativa. Non bastano insomma i posti-letto. È invece indispensabile pensare a incrementare il numero degli educatori e degli psicologi che devono poter lavorare a tempo pieno in collaborazione con assistenti sociali da dedicare a questo servizio soprattutto nei grandi centri. Il detenuto che ha terminato di scontare la pena deve essere seguito nel reintegro in società almeno per un anno, in modo che il suo ritorno in famiglia sia meno problematico e possa avere un lavoro che lo renda autonomo.

Occorre creare una rete in grado di attivare un sistema di recupero con cooperative sociali e case famiglia. Un progetto che non voglia essere soltanto un palliativo deve pensare di incrementare i laboratori interni alle Case Circondariali e offrire corsi professionali. Il lavoro è l’unico strumento per dare dignità alle persone che per ragioni diverse hanno commesso gravi errori. Queste premesse possono inoltre creare il presupposto per facilitare l’accesso alle pene alternative e attivare quei meccanismi che rendono il carcere un parcheggio a tempo determinato e non un luogo di sofferenza. È infine necessario sburocratizzare il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in modo che i detenuti scontino la detenzione vicino alle famiglie".

Giustizia: Palamara (Anm); parere favorevole al piano carceri

 

Dire, 13 gennaio 2010

 

"Tutto quello che porta un miglioramento del sistema non può che trovare il nostro parere favorevole". Il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara commenta così, a CNRmedia, il piano annunciato dal ministro della Giustizia Angelino Alfano per le carceri italiane, che prevede la richiesta dello stato di emergenza. "Quello del sovraffollamento nei penitenziari- aggiunge- è un problema quanto mai presente. Sono misure per cercare di creare un rimedio a una situazione che rischia di essere pesante". Secco no, invece, al disegno di legge sul processo breve: "Prima di porre dei paletti alla durata dei processi servono altre riforme urgenti, come la revisione delle circoscrizioni giudiziarie; e poi bisogna dotare la macchina giudiziaria di risorse materiali e umane. Così come è oggi, il sistema giudiziario non può fare fronte a processi della durata di due o tre anni; e soprattutto dovremmo interrompere anche processi pendenti, perché sono già decorsi due anni".

Giustizia: Desi Bruno; ampliare istituti non risolve il problema

 

Dire, 13 gennaio 2010

 

"Costruire nuove carceri non risolve il problema, ma è positivo l’impegno sulle misure alternative". Così Desi Bruno, garante dei detenuti a Bologna e coordinatrice nazionale dei garanti territoriali, commenta il piano carceri approvato oggi dal Consiglio dei ministri. "A fronte del disastro di numeri e di morti nelle carceri italiane - spiega Bruno - l’intervento del governo era doveroso, ma sarebbe stato meglio puntare di più sulle misure alternative".

Aumentare il numero di agenti penitenziari e ampliare gli istituti ("Vedremo come saranno") può andare bene per affrontare l’emergenza, ma non per risolvere il problema. Piuttosto che spendere per costruire nuove carceri, prosegue Desi Bruno, "sarebbe stato meglio investire le risorse sull’aspetto sanitario, ad esempio per i tossicodipendenti che oggi rappresentano il 30% dei detenuti e non dovrebbero stare in carcere".

Bruno giudica invece "aberrante" l’idea del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, di applicare all’emergenza carcere il "modello L’Aquila", ovvero spostare i detenuti in eccesso in strutture temporanee. "Mi preoccupa molto, perché significa considerare i detenuti solo come persone da rinchiudere in una scatola, dimenticando del tutto le attività di recupero". La garante si dice però "molto d’accordo sulla detenzione domiciliare per chi è a fine pena, ma questa possibilità in teoria è già prevista: se quello del governo è un impegno ad applicarla, ben venga".

Giustizia: Cgil; l'aumento di 1.800 agenti penitenziari non basta

 

Il Velino, 13 gennaio 2010

 

"Abbiamo appreso dagli organi di stampa che è stato varato stamani dal Consiglio dei ministri il piano carceri, e che sarà prevista la dichiarazione dello stato d’emergenza fino al mese di dicembre 2010. Registriamo l’ennesimo annuncio del ministro e del governo sul tema auspicando che abbia maggior fortuna dei precedenti; ciò non ci esime dal confutare, però, alcune affermazioni attribuite al Guardasigilli che stridono, a nostro giudizio, con la realtà che ben conoscono gli operatori e gli addetti ai lavori".

A dirlo è Francesco Quinti, responsabile nazionale Fp-Cgil comparto Sicurezza, che continua: "I tempi necessari all’ampliamento e alla edificazione degli istituti penitenziari indicati nel piano carceri, allo stato non consentono di attribuire alla scelta compiuta immediata capacità risolutiva. Ben venga, quindi - ha aggiunto -, lo diciamo da tempo, l’introduzione nell’ordinamento di norme che consentono di ridurre il sovraffollamento, ma va parimenti garantito il pieno accesso e l’ampliamento delle misure alternative alla detenzione, e risolto il problema della tossicodipendenza in carcere, la cui soluzione deve essere affidata alle comunità.

L’assunzione dei 1.800 (non duemila) nuovi agenti, seppure benvenuta, a condizioni date altro non è - ha concluso Quinti - che una sorta di rimedio apparente, poiché non basterà a colmare la grave carenza di organico già sofferta dalla Polizia penitenziaria".

 

Cocer Marina: amministrazione assuma precari marinai

 

Il Cocer della Marina Militare con una nota chiede "al ministro della Difesa per il tramite del suo Capo di stato Maggiore di intervenire urgentemente presso il ministro della Giustizia affinché lo stesso, nell’aumentare il personale necessario a fronteggiare l’emergenza carceri (peraltro da tempo evidenziata dai sindacati di categoria), provveda a far assumere nell’Amministrazione della Giustizia i giovani ufficiali e militari di truppa che hanno servito con fedeltà e dedizione le istituzioni, anche in teatri operativi esteri, e che per i tagli al professionale militare operanti nelle varie finanziarie sono stati licenziati anche su due piedi, dopo 7, 8 e 9 anni di servizio". "L’assunzione di precari marinai - prosegue la nota - licenziati senza demerito, oltre a costituire un doveroso riconoscimento verso chi ha dato molto allo Stato, costituirebbe un indubbio vantaggio anche per l’Amministrazione Carceraria che si troverebbe così a disporre di uomini già ben addestrati e di fatto pronti all’impiego".

Giustizia: il Dap... e l’uso improprio del butano del "fornelletto"

 

www.innocentievasioni.net, 13 gennaio 2010

 

Non si sa ancora se Pierpaolo Ciullo, il detenuto che ha inaugurato per il 2010 l’orribile contabilità delle morti in carcere, si sia suicidato oppure se la sua fine sia dovuta ad un incidente o a un overdose di butano.

Probabilmente neanche l’autopsia, disposta dalla procura su richiesta dei familiari, lo chiarirà: le inchieste per morti da inalazione di gas sono spesso destinate all’archiviazione. Lo sniffo della "piccola neve", così viene definito il butano in gergo carcerario, è una pratica ancora frequente tra i tossicodipendenti e non sempre è facile stabilire se la persona volesse evadere per un po’ di tempo o andarsene via per sempre.

Nei giorni scorsi è stata chiesta l’archiviazione anche del caso di Manuel Eliantonio, morto a 22 anni, nel luglio 2008, nel carcere di Marassi. Il PM aveva aperto un fascicolo contro ignoti per istigazione al suicidio ma secondo gli inquirenti il giovane aveva aspirato butano nel tentativo di stordirsi in assenza di droga. Bombole e fornelletti creano questi ed altri problemi, come incendi e fughe di gas, ma non possono essere eliminati perché, come le sigarette e il televisore, sono oggetti preziosi per la tranquillità delle sezioni detentive: permettono di cucinare il cibo acquistato, di riscaldare quello servito (ad orari impossibili) dall’istituto, di farsi il caffè.

Da qui vari tentativi dell’amministrazione di limitare i danni economici che potrebbero derivare da un loro "uso improprio",considerato che oltre agli incidenti per così dire domestici, anche i suicidi iniziano a costare cari, quantomeno in termini di risarcimento di natura civilistica. È ormai assodato che il suicidio di per sé non sia idoneo ad escludere qualsiasi ipotesi di responsabilità della Pubblica amministrazione, rientrante in quelle posizioni di garanzia che impongono determinati comportamenti, proprio al fine di evitare che eventuali omissioni possano provocare tragici eventi, come dimostra anche la recente condanna del Ministero della Pubblica istruzione da parte Tribunale di Catanzaro al risarcimento dei danni subiti dai familiari di una ragazza suicidatasi a scuola.

Ma anche l’esistenza di una responsabilità dell’amministrazione penitenziaria in ipotesi di suicidio di detenuti ha già trovato almeno due importanti conferme : la condanna del Ministero della giustizia, confermata nei giorni scorsi dalla Corte d’Appello di Bologna, al risarcimento di 100.000 euro per "danni morali ed esistenziali" alla madre di Georges Alain. Laid impiccatosi nel 1997 alla Dozza e la condanna a risarcire140 .000 euro i familiari di Miguel Bosco un giovane rom che sette anni fa si tolse la vita in carcere proprio con una bomboletta di gas (il Ministero fa fatto ricorso alla Corte d’Appello, non ha però sospeso la sentenza di primo grado).

L’amministrazione penitenziaria ha pensato di tornare sulla spinosa e annosa questione dei fornelletti - il cui uso potrebbe peraltro essere ridotto dalla creazione di cucine per un massimo di 200 detenuti, previste dal regolamento e mai realizzate - lo scorso settembre con una nota della Direzione generale beni e servizi indirizzata ai Provveditorati che invita le direzioni degli istituti penitenziari a far sottoscrivere al detenuto " al momento dell’acquisto del fornelletto o/e della bomboletta" di un documento " in cui questi si dichiari consapevole della pericolosità dell’uso improprio di questi dispositivi". E tra gli usi impropri è previsto anche "l inalare il gas contenuto nella bomboletta".

Tale dichiarazione dovrebbe " costituire uno strumento idoneo a ridurre o addirittura ad eliminare la responsabilità dell’Amministrazione " nel caso di contenziosi per risarcimento dei danni avviati dai detenuti" A parte le perplessità sotto il profilo giuridico derivanti dall’efficacia di una dichiarazione sull’esonero di responsabilità merita qualche riflessione il tipo di risposta ancora una volta burocratica ad un problema drammatico e complesso. Dall’altra sembra che l’Amministrazione spesso ignori contenuti ed estensione delle proprie responsabilità.

Eppure per ricordarselo basterebbe leggere le motivazioni delle sentenza firmata da Andrea Manlio Borrelli che in primo grado condannava il Ministero della giustizia al risarcimento per la morte di Miguel Bosco "Deve ritenersi che, in uno Stato di diritto, quanto maggiore è il potere attribuito all’istituzione di comprimere la libertà personale dell’individuo affidatogli, tanto maggiore è l’obbligo dell’istituzione di prendersi cura quantomeno del corpo della persona soggetta al potere stesso"

Empoli: Vladimir Luxuria; ottima idea carcere per transgender 

 

www.cnrmedia.com, 13 gennaio 2010

 

"Le trans solitamente sono tenute divise dagli altri detenuti, in una sezione speciale e scontano una pena doppia in quanto trans".

Potrebbe essere aperta anche ai transgender la prigione di Pozzale, in provincia di Firenze, che ha ospitato fino ad oggi solo due detenute, controllate da 22 agenti. Una sproporzione non accettabile in un contesto di sovraffollamento degli istituti di pena diventato nel nostro Paese una grande emergenza, in cima alla lista governativa delle cose da risolvere in tempi brevi.

"Io ho visitato molte carceri italiane quando sono stata parlamentare, per vedere e verificare le condizioni in cui si trovano i detenuti e in particolare le detenute transgender - racconta a CNRmedia.com Vladimir Luxuria, primo transgender ad essere eletto in Parlamento - A parte il carcere di Belluno, diretto da una donna, e forse non è una coincidenza, dove le persone trans sono trattate con tutto rispetto, ho registrato nella maggior parte delle carceri italiane il fatto che una trans non deve solo, e giustamente, scontare la pena per il reato commesso, ma in realtà deve scontare una doppia punizione, in quanto trans. Faccio un esempio: a Rebibbia riscontrai che i detenuti avevano diritto di due ore d’aria al giorno, per le trans, due ore la settimana.

A loro non era poi concesso l’accesso alle biblioteche e a qualsiasi attività creatività. Tutto questo per tenere le trans il più possibile divise dagli altri detenuti, dato che le trans erano tenute in un braccio speciale della sezione maschile". Inserirle quindi in una struttura femminile è sicuramente un’ottima idea: "La costituzione di un carcere apposito per detenute transgender a Pozzale è un fatto positivo sia perché gli agenti penitenziari possono essere formati per rapportarsi con loro, usando il femminile, per esempio, evitando così reazioni violente, dando loro la possibilità di continuare la cura ormonale che di solito viene interrotta contro la loro volontà, e facendole partecipare a tutte quelle attività che vengono loro negate di cui usufruiscono gli altri detenuti".

Verona: Forestan (Garante); lavoro è primo sogno dei detenuti

 

L’Arena, 13 gennaio 2010

 

La "Garante dei diritti delle persone private della libertà" nominata dal Consiglio comunale ha trascorso una giornata tra le celle. Margherita Forestan ha visitato l’istituto di pena di Montorio. "Tra le emergenze il sovraffollamento e le difficoltà di reinserimento".

"Desideravo essere presente al funerale di Giacomo Attolini, ma non potevo lasciare il carcere senza finire di incontrare i detenuti. Farò visita alla famiglia". Parla con estrema semplicità e con tono pacato Margherita Forestan, garante dei diritti delle persone private della libertà personale. Ieri è stata la sua prima visita nella casa circondariale di Montorio, da quando è stata nominata a dicembre dal Consiglio comunale. E la visita è coincisa con i funerali del pizzaiolo, suicidatosi in carcere mentre era detenuto in attesa di giudizio.

Una tragedia che testimonia ancora una volta la drammaticità della situazione in carcere. A cominciare dallo spazio: per 860 detenuti ci sono 226 celle: una media di quattro in una stanza di 10 metri quadri.

A Montorio dovrebbero essere reclusi al massimo 500 persone. Poi la normativa ha consentito fino a 800. L’indulto del 2006 aveva fatto decisamente spazio, ma per poco. Nel 2006 in Italia c’erano 46mila detenuti, ora sono 65mila. E Montorio riflette il dramma di tutte le carceri nazionali. Eppure ai detenuti incontrati ieri dalla garante non manca il sorriso. Ne è stupita Forestan che ha varcato il cancello della casa circondariale poco dopo le 10 ed è uscita alle 17. Prima il colloquio con il neo direttore Antonio Fullone, e poi con il comandante della polizia penitenziaria Paolo Presti e la visita alle sezioni per incontrare a gruppi i reclusi.

Quali sono i bisogni primari dei detenuti? "Chiedono tutti di lavorare", racconta, "non vogliono rimanere chiusi in una cella, non vogliono stare fermi in branda. Il lavoro è indubbiamente per loro una medicina". Forestan è stata informata dal direttore circa il progetto pedagogico sanitario che verrà messo in atto a breve: servirà ad evidenziare il trauma della carcerazione e di conseguenza ad adottare tutte le misure contro il disagio. Del resto il carcere è il carcere e come fa notare la garante "è purtroppo l’unico sistema in atto per ogni genere di reato". Una critica? "No, una constatazione che è evidente", spiega raccontando come il suo giro abbia toccato tutti i settori, dal reparto maschile dove sono recluse persone in attesa di giudizio o che stanno finendo di scontare la pena. L’isolamento con chi è già stato giudicato e chi non lo è ancora.

E poi il reparto femminile. "Difficile organizzare per tutti la giornata", fa notare, "la direzione ha intenzione di fare sì che tutti possano accedere ai servizi, ma non basta. Voglio bussare a tutte le porte della città".

Forestan non lo dice apertamente ed è reticente quando le si chiede se intende coinvolgere gli industriali veronesi affinché nelle loro aziende impieghino detenuti. Il periodo di detenzione qui è breve, al massimo si trascorrono tre anni. "Il tempo sufficiente per potere davvero fare opera di reintegrazione sociale", assicura. C’è poi l’aspetto sanitario: dal 2008 le competenze della sanità penitenziaria sono passate a quella pubblica. E qui Forestan è già pronta a mettere i puntini sulle "i". "Servirà che la Ulss se ne faccia totalmente carico", dice.

Il sovraffollamento diventa un problema in più da affrontare e che riguarda tutti: reclusi e polizia penitenziaria. Da anni infatti la lamentela più forte tocca le docce e l’acqua calda. C’è poi il problema dell’umidità. Forestan ha già esaminato anche questo. "Chiaro che le docce sono state fatte per un certo numero di reclusi, ora invece con il sovraffollamento vengono utilizzate più del dovuto. La direzione ha già avviato una serie di lavori di ristrutturazione. Devo anche dire che le condizioni igieniche e di pulizia sono buone. Di sicuro c’è che se mancano i fondi, il problema si risolve con ritardo e la situazione si acuisce. Vorrei che venisse rimessa in funzione la palestra, attualmente è inagibile".

Trieste: una convenzione con Acegas-Aps per lavoro a detenuti

 

Agi, 13 gennaio 2010

 

Sottoscritta a Trieste una convenzione tra il direttore del carcere Enrico Sbriglia e i vertici della multiutility Acegas-Aps che consentirà di inserire con borse lavoro un numero variabile di detenuti (inizialmente di sei unità) da impegnare in progetti di orientamento e di formazione presso la Divisione ambiente dell’Area territoriale di Trieste.

In questo modo - secondo Sbriglia - si contribuirà a "fare sicurezza, perché è evidente che con l’ammissione al lavoro le persone detenute vedono il concretizzarsi di una chance che li sottrae dalle spire della criminalità e possono mostrare le loro reali intenzioni di reinserimento". Attraverso le misure alternative alla detenzione ed il lavoro all’esterno, i detenuti continueranno ad essere sottoposti alla legge penitenziaria, dovranno assumere atteggiamenti responsabili e saranno sottoposti ai controlli che la direzione - attraverso la Polizia Penitenziaria e la magistratura - riterrà di disporre.

"Ma nel contempo - sostiene Sbriglia - non saranno costretti all’ozio forzato, che annichilisce e abbruttisce quanti, privati della libertà personale, vivono la carcerazione contando i giorni e alimentandosi esclusivamente alla subcultura criminale". Così, dopo il Comune di Trieste, che da anni e con successo, sperimenta l’utilizzazione delle persone detenute per la manutenzione di aree verdi o di strutture civiche, anche una delle più grandi aziende multiutility del Friuli Venezia Giulia, offre il proprio contributo per concorrere a realizzare un modello sociale che cerca di rendere utili quanti abbiano violato la legge. Entro la primavera inoltre verrà inaugurato nel carcere di Trieste il più grande laboratorio penitenziario di panetteria e pasticceria, finanziato dalla "Cassa delle ammende" del Ministero della Giustizia.

Lanciano: protesta agenti, Sindaco chiede intervento Prefetto

 

Agi, 13 gennaio 2010

 

Finisce sul tavolo del prefetto di Chieti Vincenzo Greco la protesta degli agenti del carcere di Lanciano (Chieti), in stato di agitazione dal 28 settembre scorso a causa della carenza di personale che si registra da tempo nella struttura. Ad interessare il prefetto sarà il sindaco di Lanciano Filippo Paolini, che questa mattina ha incontrato in municipio una delegazione di agenti, in rappresentanza di tutte le sigle sindacali della categoria.

"Mi impegno - ha sottolineato il primo cittadino - anche a scrivere nuovamente al ministro della giustizia Alfano per chiedere un suo intervento. La sicurezza all’interno del nostro carcere, dove ci sono anche detenuti per reati di mafia, è fondamentale anche per garantire la sicurezza della nostra città". Ad oggi a Lanciano sono in servizio 164 agenti, a fronte di una popolazione carceraria di 300 detenuti, a cui nei prossimi mesi se ne potrebbero aggiungere altre decine, se dovesse concretizzarsi il progetto per l’apertura di 2 nuove sezioni. Nelle scorse settimane, all’interno del penitenziario, si sono registrati anche momenti di tensione: la vigilia di Natale un recluso ha tentato di suicidarsi incendiando il materasso della sua cella, mentre a San Silvestro un altro detenuto ha tentato di strangolare un agente.

 

Manca personale, agenti si autoconsegnano

 

Dopo tre mesi di agitazione, con sciopero della mensa e sit-in, la notte scorsa 60 agenti di polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Lanciano, agenti a tutte le sigle sindacali, si sono autoconsegnati e restano in caserma, per protestare contro la perdurante mancanza di personale, che riduce la sicurezza nell’istituto penitenziario. Questa mattina hanno chiesto un incontro urgente al sindaco, Filippo Paolini, che li ha ricevuti in Municipio. Hanno quindi rappresentato la necessità che il Ministero colmi il deficit di personale, 164 agenti per una popolazione carceraria di 300 detenuti ‘che presto salirà a 400’. Gli agenti hanno ricordato al primo cittadino le recenti tensioni con i detenuti, che ha portato ad alcune aggressioni.

Paolini si è impegnato a scrivere di nuovo al ministro competente e a chiedere un incontro al prefetto di Chieti per discutere della situazione. ‘Se le strutture carcerarie non sono sicure dentro - ha detto Paolini - si creano problemi di sicurezza anche all’esterno. Nel 2001, in un’audizione alla Commissione Giustizia del Senato, il nostro carcere di massima sicurezza risultava essere un gioiello. Bisogna riportare alle giuste proporzioni il numero degli agenti con quello dei detenuti - ha concluso il sindaco -, specie se questi aumenteranno ancora".

 

 

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