Rassegna stampa 15 febbraio

 

Giustizia: famigliari di detenuti morti chiedono risposte chiare

 

Ristretti Orizzonti, 15 febbraio 2010

 

"Quando lo Stato sbaglia…", domani una conferenza stampa con i famigliari di alcuni detenuti morti "di carcere", organizzata dall’Associazione Il Detenuto Ignoto e dalla Redazione di Ristretti Orizzonti.

Troppi morti nelle carceri italiane: 1.579 solo negli ultimi 10 anni. Oltre 500 suicidi, altrettanti casi sui quali la magistratura ha aperto un’inchiesta. Ma quando lo Stato sbaglia, quando non riesce a garantire la vita a persone detenute, dovrebbe almeno dare delle risposte chiare e oneste ai loro famigliari.

Le Associazioni ed alcuni Parlamentari denunciano da tempo il dramma delle troppe morti in carcere, ma adesso anche i famigliari dei detenuti hanno trovato il coraggio di darsi voce e domani, alle ore 11.00, tengono una conferenza stampa in Sala Stampa del Senato.

Finora erano stati "esclusi", erano gli "ultimi" anche loro, ma hanno cominciato a farsi sentire, anche grazie anche a una informazione giornalistica finalmente attenta, che ce li ha mostrati come sono, cioè "persone perbene", persone "come noi".

In tanti si sono fatti avanti per chiedere allo Stato risposte "chiare e oneste" sulla morte dei loro cari e saranno presenti alla conferenza stampa: Rudra Bianzino, Clara Blanco, Adriano Boccaletti, David Boccaletti, Rita Calore, Maria Ciuffi, Mario Comuzzi, Ilaria Cucchi, Antonietta Di Sarro, Francesca Dragutinovic, Patrizia Favero, Rosa Federici, Ida Frapporti, Martina La Penna, Angela Lescai, Bruno Martini, Giorgio Naccari, Anna Petrillo, Roberto Poli, Cristiano Scardella, Ezio Sobrero, Fabio Tittarelli, Laura Traviotto.

I figli, fratelli, padri, di queste persone sono entrati in carcere, da vivi e sani, e ne sono usciti morti: cos’è successo mentre erano sotto la "custodia" dello Stato? hanno subito violenze? hanno avuto una malattia e non sono stati curati? Domande che loro da anni pongono, ma che non hanno avuto risposta o, più spesso, hanno avuto "risposte" che non hanno chiarito quasi nulla.

La garanzia del diritto alla vita per chi è privato della libertà passa anche attraverso le risposte che le istituzioni del nostro Paese vorranno dare a questi cittadini. Infatti, quella che noi poniamo è una questione di cittadinanza, di rispetto dei diritti civili, più ancora che un richiamo alla trasparenza delle carceri, e di quello che avviene al loro interno, che pure è importante, in un momento in cui le condizioni di vita delle persone detenute sono davvero sempre meno rispettose di un altro diritto, quello a non subire trattamenti disumani o degradanti.

Ma non solo, per i parenti dei detenuti morti in condizioni non chiarite è una questione "d’onore", è la possibilità di dare una morte rispettabile ai propri cari. Per "morte rispettabile" intendiamo il poter rispondere in futuro in modo chiaro e univoco sulle cause e sulle modalità di quella morte.

È come se un parente chiedesse alle istituzioni "Cosa risponderò ai miei figli quando mi domanderanno come è morto quel nostro famigliare in carcere?" e non avesse mai una risposta, e fosse costretto a spiegare che una istituzione che non tutela il diritto alla vita e alla salute dei propri cittadini in carcere è un’istituzione che non tutela i diritti di tutti noi! Che non risponde perché non è capace di prendersi le proprie responsabilità, che non sa di avere una responsabilità.

Eppure le istituzioni della giustizia, proprio perché dovrebbero seguire le persone condannate in un loro percorso di assunzione di responsabilità rispetto al reato, e alle vittime di quel reato, dovrebbero anche, per prime e con coraggio, rispondere in modo responsabile a tutti i cittadini, e primi fra tutti a quei famigliari che hanno perso un loro caro, morto "di carcere".

Saranno presenti alla conferenza stampa, per sostenere le richieste dei famigliari dei detenuti: Emma Bonino, Vice Presidente del Senato; Rita Bernardini, Deputata, membro della Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati; Ignazio Marino, Presidente della Commissione d’inchiesta parlamentare sul caso Cucchi; Donatella Poretti, Senatrice e segretaria della Commissione Igiene e Sanità al Senato; Irene Testa, Segretaria dell’Associazione radicale "Il Detenuto Ignoto"; Alessandro Gerardi, avvocato di "Radicali Italiani"; Ornella Favero, Direttore di "Ristretti Orizzonti"; Laura Baccaro, Criminologa, co-autore del libro "In carcere, del suicidio e altre fughe".

I giornalisti che vogliano partecipare sono pregati di accreditarsi presso l’Ufficio stampa del Senato, telefonando al numero 06.67062698, oppure mandando un fax al numero 06.67062947 o una mail a uff.stampa@senato.it.

Giustizia: anche le carceri per i minori ora rischiano il collasso

di Diego Motta

 

Avvenire, 15 febbraio 2010

 

La capienza è di oltre 400 posti, i detenuti superano quota 500 Gli immigrati sono 209. "Ora crescono anche gli italiani". Sono 17.814 i ragazzi "sotto osservazione" contro i 13.066 di quattro anni fa. Ma quelli in prigione sono meno del 10 per cento dei soggetti presi in carico dagli uffici di servizio sociale.

La crescita esponenziale di ragazzi stranieri negli istituti penali per i minorenni rischia di provocare anche nel sistema della giustizia minorile un cortocircuito analogo a quello che sta avvenendo, ormai da diversi mesi, nelle principali carceri italiane. La denuncia arriva dalle principali associazioni impegnate nella tutela dei diritti dei detenuti e fa il paio con una serie di fatti di cronaca che, nelle ultime settimane, hanno rilanciato l’emergenza anche nel sistema penitenziario minorile: la violenza ai danni di un detenuto diciottenne e gli arresti nel carcere di Nisida, a Napoli, la chiusura ancora oscura del carcere minorile di Lecce dopo le inchieste per presunti maltrattamenti nei confronti dei ragazzi e, alcuni mesi fa, il caso di un suicidio nella struttura di Firenze, fatto che non accadeva dal 2003. "Se avessimo una dotazione di polizia penitenziaria e di operatori più ampia, potremmo avere una vigilanza più efficace, soprattutto nei casi critici" ha detto qualche giorno fa il capo Dipartimento per la giustizia minorile, Bruno Brattoli, che ha ricordato che gli Ipm, gli istituti penali per i minorenni, attivi in Italia sono 16 e che l’obiettivo dei prossimi mesi è "aprirne uno a Pontremoli, oltre a ristrutturare quello dell’Aquila".

 

Le risorse e il personale

 

"La capienza effettiva delle strutture chiamate ad accogliere gli autori di reato è di circa 400 posti - spiega Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - ma ormai la presenza media, in un anno come il 2009, si è attestata intorno alle 500 unità".

Il 3 novembre scorso, secondo l’aggiornamento fornito da Ristretti Orizzonti, erano per la precisione 527 i minori negli istituti: 318 italiani e 209 stranieri. "L’eccesso di presenze di stranieri si spiega con la difficoltà nel collocare al di fuori del carcere, in spazi come le comunità, i minori irregolari, tanto è vero che il 50% degli stranieri è ancora dentro in attesa del processo" aggiunge Gonnella. Il sovraffollamento non è ancora ai livelli di guardia (discorso che invece vale per il sistema penitenziario degli adulti) ma è un termometro sempre più sensibile della tensione crescente, a cui vanno aggiunte altre lacune tipiche del sistema della giustizia minorile: si va dalla scarsità cronica di risorse alla necessità di svolgere sempre più e sempre meglio quel fondamentale intervento di recupero del processo educativo interrotto o deviato.

"Il sistema penitenziario è pensato su misura per gli adulti - osserva Gonnella - e di fatto drena continuamente risorse al sistema minorile". Quando venne istituita, nel luglio del 1975, la legge 354 sull’ordinamento penitenziario, il parere unanime degli addetti ai lavori fu che si trattava di una normativa avanzata per l’epoca, soprattutto per ciò che riguardava le misure alternative alla detenzione. "Il punto è che siamo rimasti fermi ad allora, mentre adesso servirebbe una normativa ad hoc per la giustizia minorile, in cui si punti chiaramente sull’aspetto educativo e pedagogico" rilancia Gonnella.

 

Perché è difficile uscire

 

I minori presenti negli istituti di pena minorile sono comunque solo la minima parte, meno del 10%, dei soggetti presi in carico dagli uffici di servizio sociale per i minorenni sul territorio nazionale: secondo il sito www.reteold.it, dai 13.066 ragazzi ( 9.970 italiani e 3.096 stranieri) del 2006 si è passati a un totale di 17.814 soggetti nel 2008 (14.397 italiani e 3.417 stranieri).

"Le tendenze più recenti - osserva Francesco Morelli di Ristretti Orizzonti - fotografano peraltro una ripresa nelle presenze dei minori italiani rispetto agli stranieri negli istituti penali". Proprio la difficoltà a fare rete col territorio, dove le famiglie italiane rappresentano pur sempre un interlocutore decisivo per il collocamento dei minori fuori dagli istituti, è uno dei capitoli più spinosi. È innegabilmente più facile per un ragazzo o una ragazza nati da genitori italiani uscire dal carcere minorile rispetto a un coetaneo straniero. "Uno degli ultimi casi - racconta Gonnella - è quello delle ragazzine rom, in gran parte provenienti dall’Est Europa, rinchiuse negli istituti per aver commesso piccoli ma reiterati reati contro il patrimonio: per loro è più difficile avere accesso a misure alternative".

 

Nisida, c’è una luce oltre le sbarre

 

All’apertura dell’anno giudiziario, lo scorso 30 gennaio, il presidente della Corte di Appello di Napoli, Antonio Bonaiuto, registrò con preoccupazione l’aumento della criminalità minorile, nel distretto napoletano come in tutta la Campania: nel 2009 sono state 6mila le denunce, civili e penali, nei confronti di minori. Allarmante anche il numero di reati efferati di cui sono protagonisti i ragazzi: spaccio internazionale di stupefacenti, omicidio, rapina a mano armata. "Sono dati che evidenziano come l’offerta della malavita rimanga alta, con la capacità che le è caratteristica di coinvolgere nei suoi traffici e nei suoi affari anche i più piccoli", commenta Samuele Ciambriello, presidente dell’associazione La Mansarda, la prima, dal marzo del 1989, ad occuparsi di minori già inseriti nel circuito della giustizia.

"Questa situazione - aggiunge - porta come conseguenza seria anche un sovraffollamento delle carceri dedicate ai minori con il rischio di episodi di grave violenza come quello avvenuto nell’istituto di Nisida".

Ciambriello si riferisce ad un terribile fatto accaduto tre mesi fa, ma noto solo da qualche settimana, che ha avuto come protagonisti alcuni maggiorenni, detenuti a Nisida, che per diverso tempo hanno costretto un ragazzo, ospitato nella loro stessa cella, a subire soprusi, abusi e violenze. Subito dopo, quando i responsabili del tremendo episodio erano già stati allontanati, il direttore dell’istituto penitenziario, Gianluca Guida, sottolineò i due problemi cruciali della detenzione minorile: il sovraffollamento e la circostanza che in un carcere per minori convivano veri adolescenti e "giovani adulti". Lo prevede la legge, che consente ai ragazzi di rimanere nel carcere minorile fino ai 21 anni.

A Nisida - l’istituto di pena si trova su di un isolotto che una strada collega al promontorio di Posillipo - attualmente ci sono 63 detenuti, maschi e femmine, contro una capienza di 48. Aperto al territorio, l’istituto è tra i più avanzati in Italia, con laboratori di formazione e attività culturali, oltre alla possibilità di frequentare la scuola. La conferma da Sandro Forlani, direttore del dipartimento di Giustizia minorile di Campania e Molise, che osserva come Nisida sia una "struttura modello, esemplare per la modernità dei percorsi di rieducazione, nota soprattutto per le iniziative positive che promuove continuamente". Però in un carcere minorile arrivano anche ragazzi che hanno conosciuto la realtà del penitenziario per gli adulti. Se questi infatti commettono un reato oltre i 18 anni sono rinchiusi nel carcere di Poggioreale, se nel frattempo l’ordinanza per un reato commesso da minori diventa poi esecutiva sono portati a Nisida.

In Campania sono due gli istituti per minori, oltre Nisida c’è Airola, nel beneventano. Anche in quest’ultimo istituto, solo maschile, si registra in maniera marginale un sovraffollamento: 35 detenuti contro una capienza di 30. Nei tre centri di prima accoglienza della regione - Napoli, Nisida, Salerno - sono ospitati 235 minori. Quattro le comunità che seguono 55 minori. "Occorre un forte progetto educativo di reinserimento", spiega Samuele Ciambriello che racconta di quattro ragazzi, detenuti nel carcere di Airola, inseriti in attività esterne: lavoro e scuola. Uno di loro frequenta l’Università. "Guardo con attenzione a questa esperienza di integrazione graduale nel mondo del lavoro e della scuola" continua Ciambriello, che insiste: "Ci vuole la scuola, ci vogliono i servizi, quelli che hanno i bambini e i ragazzi di altre città" e quindi ripete come uno slogan: "Per evitare tante denunce, meno penale e più investimenti sociali. Cioè più prevenzione, meno carcere. Io direi di educare prima gli adulti e a questo punto liberare i minori. Perché - conclude - una società che giudica un minore e dopo averlo giudicato lo mette in carcere è una società malata, che sta giudicando se stessa e la propria malattia".

Giustizia: Fimmg-Amapi; chiudere accordo di medici carcerari

 

Ansa, 15 febbraio 2010

 

"È necessaria la salvaguardia dei medici penitenziari". Lo afferma il sindacato dei medici di base Fimmg-Amapi, invitando ad una chiusura rapida dell’accordo nazionale di lavoro relativo al biennio 2008-2009.

"I medici penitenziari aderenti alla Fimmg-Amapi - afferma Pasquale Paolillo, coordinatore Nazionale Settore Fimmg-Amapi a margine di un incontro con il segretario della Fimmg Giacomo Milillo - auspicano una sollecita conclusione della trattativa sindacale per il rinnovo dell’Accordo nazionale relativo al biennio 2008-2009, all’interno del quale si è inserito uno specifico capitolo dedicato alla medicina penitenziaria, che tenga conto della peculiarità dell’erogazione assistenziale nelle strutture penitenziarie".

La Fimmg-Amapi ritiene infatti ‘urgente e necessario salvaguardare gli aspetti professionali e quelli normativi ed economici del personale medico attualmente operante, con particolare riferimento alla tutela dei livelli occupazionali, dei diritti previdenziali, nel rispetto delle deroghe previste in tema di limitazioni ed incompatibilità per i medici attualmente occupati".

"Vorremo inoltre - sottolinea Paolillo - maggiore omogeneità di trattamento nelle varie Regioni d’Italia ed il rispetto della legge 740 che non prevede incompatibilità e tetti d’orario. In alcune realtà invece ai medici penitenziari viene posto il tetto delle 48 ore settimanali e limiti del numero delle scelte. Come sindacato è una situazione che non possiamo accettare e chiediamo a tutte le Regioni - conclude il sindacalista - il pieno rispetto della legge".

Giustizia: domani audizione per indagine su salute di detenuti

 

Asca, 15 febbraio 2010

 

La Commissione di inchiesta sugli errori sanitari e i disavanzi sanitari regionali audirà domani Guido Vincenzo Ditta, Dirigente medico del ministero della Salute, nell’ambito dell’inchiesta sulla sanità carceraria avviata in dicembre dalla Commissione e seguita in particolare dai deputati Doris Lo Moro e Melania De Nichilo Rizzoli.

"Nel corso dell’Audizione della settimana scorsa del Direttore del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria - ha detto il Presidente Leoluca Orlando - sono stati sollevati sia il problema delle Regioni a Statuto speciale - che non hanno ancora trasferito la gestione della salute nei penitenziari dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale; sia quello dell’assistenza sanitaria dei detenuti e dell’errore sanitario in carcere, con particolare riferimento alle problematiche dei suicidi, della salute mentale, delle tossicodipendenze, dell’incidenza di patologie sanitarie rispetto alla popolazione normale".

"Con l’Audizione di domani - ha concluso il Presidente - prosegue l’indagine della Commissione sulla tutela del diritto alla salute dei carcerati; diritto che ci interessa particolarmente, vista la condizione di maggiore vulnerabilità e sofferenza di questa parte della popolazione". L’Audizione si svolgerà domani alle ore 20 presso Palazzo San Macuto, Via del Seminario 76, Roma.

Bologna: a rischio la figura del Garante dei diritti dei detenuti

 

Dire, 15 febbraio 2010

 

Tra i rischi che la città di Bologna corre andando incontro a un lungo periodo di commissariamento, c’è anche quello di rimanere senza la figura del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale.

Il (secondo) mandato dell’avvocato Desi Bruno, nominata dal Comune, scade il 16 luglio e se le elezioni non si faranno prima, dopo quella data Bologna (e dunque il carcere della Dozza da tempo gravato da molteplici criticità) potrebbe rimanere senza Garante. Il problema a Palazzo d’Accursio è emerso questa mattina, in occasione dell’ultima commissione (congiunta tra Comune e Provincia) sul tema carcere: Bruno ha spiegato che non accetterebbe una nomina del commissario e così, per evitare di rischiare un ‘vuotò, oggi pomeriggio in Consiglio comunale verrà presentato un documento in cui si chiede di votare la proroga del mandato dell’attuale Garante fino alle prossime elezioni. L’idea viene proposta da Daniele Carella (Pdl) ed è subito accolta e rilanciata anche dal capogruppo Pd, Sergio lo Giudice, che lancia anche un piano B: Palazzo Malvezzi avvii un percorso per creare un Garante provinciale. Così, se anche in Comune si verificasse un problema, Bologna non rimarrebbe senza.

Oltre alla richiesta di approvare una proroga del mandato del Garante, il lungo percorso fatto in commissione sul tema del carcere porterà in Consiglio anche un documento in cui si mette nero su bianco la situazione critica della Dozza (ma una parte è dedicata anche al carcere minorile del Pratello) e relativi suggerimenti e propositi per far fronte alle necessità più urgenti. "L’idea è di consegnare il nostro lavoro nelle mani del commissario, questo documento potrà essere un punto di partenza", spiega la presidente della commissione Politiche sociali del Comune, Teresa Marzocchi (Pd).

Nel documento trovano posto tutte le criticità emerse nel corso delle sedute di commissione, di cui Bruno si è più volte fatta portavoce. Il sovraffollamento, innanzitutto (quasi 1.200 ospiti contro la capienza di tolleranza di 480); la presenza di stranieri (il 64% e di 52 nazionalità diverse) e di tossicodipendenti (30%); l’eccessivo turnover (ogni anno entrano ed escono 3.500 persone, il 30% dei quali si ferma in media quattro giorni); la scarsa concessione di misure alternative; il reparto di Alta sicurezza femminile ("un luogo che non dovrebbe esistere" per Bruno) di cui la Garante ha chiesto più volte la chiusura; l’infermeria insufficiente e inidonea; la struttura vecchia e degradata, che avrebbe bisogno di una manutenzione che non c’è.

Un altro problema che la futura amministrazione (e prima di questa il commissario) dovrà affrontare, è la presenza di detenute madri, che comporta talvolta l’ingresso alla Dozza di bambini piccoli. "È intollerabile", dice Bruno, invitando gli enti locali a individuare una struttura alternativa che se ne occupi. Amelia Frascaroli (Pd) ricorda che lo fa già una struttura nel quartiere San Donato.

"Occorre formalizzare la sua funzione, se è possibile con una convenzione, e darne comunicazione a tutti gli uffici giudiziari così che evitino di mandare le madri in carcere", dice Bruno. Il tema, però, su cui più insiste il Garante (definendolo "un grido di dolore") è il lavoro: alla Dozza non ce n’è, se non per il 10% dei detenuti (121) e la riduzione di fondi e borse lavoro aggrava sempre più la situazione. "È necessario coinvolgere il mondo imprenditoriale e la Regione deve fare la maggior parte" , esorta Bruno. Una nota positiva c’è: il progetto di estendere la fruizione delle eccedenze agricole alla Dozza. "È ottimo ma va reso concreto", sottolinea la Garante.

Cagliari: Sdr; attivare subito reparto ospedaliero per detenuti

 

Agi, 15 febbraio 2010

 

"Se esiste una ragione plausibile che impedisce il rispetto di un diritto, sancito da una legge, venga resa pubblica altrimenti è davvero assurdo che il reparto allestito con i soldi dei contribuenti e destinato ai cittadini detenuti gravemente ammalati non venga attivato. Si tratta di un doppio spreco di pubbliche finanze". Lo afferma l’ex consigliera regionale socialista Maria Grazia Caligaris, presidente di "Socialismo Diritti Riforme", intervenendo ancora una volta sulla "mancata attivazione del reparto protetto di Is Mirrionis".

"È evidente che soprattutto in un periodo come questo in cui è sovraffollato anche il centro clinico di Buoncammino per la presenza di reclusi con pesanti patologie, il reparto destinato ai detenuti sarebbe di notevole supporto", sottolinea Caligaris. "Permetterebbe di alleviare anche l’oneroso lavoro degli agenti di polizia penitenziaria evitando singoli piantonamenti. Non si comprende invece perché nonostante siano stati spesi i soldi per realizzarlo non venga reso disponibile - si chiede Caligaris - il reparto protetto di Is Mirrionis.

Ormai da 17 anni si attende che nel capoluogo di Regione venga aperto un reparto protetto per garantire il diritto alla salute dei cittadini in stato di detenzione senza dover ricorrere al massiccio impiego di agenti di polizia penitenziaria.

L’attuazione della norma permetterebbe di risolvere tanti problemi anche perché il centro clinico di Buoncammino, che dispone di 30 posti letto, è costantemente in condizioni di soprannumero essendo ormai diventato un presidio sanitario territoriale".

"Occorre inoltre ricordare - ha concluso l’esponente socialista - che esiste un protocollo d’intesa tra Stato e Regione con una serie di impegni tesi a rendere anche le carceri sarde luoghi in cui la detenzione ha una finalità rieducativa. La maggior parte però sono ancora disattesi a partire dalla territorializzazione della pena che garantirebbe ai detenuti il rispetto del diritto all’affettività e vicinanza ai familiari".

Terni: Bernardini (Ri) in visita ispettiva alla Casa Circondariale

 

Ansa, 15 febbraio 2010

 

Una visita ispettiva al carcere di Terni è stata compiuta sabato pomeriggio dall’on. Rita Bernardini, Radicali, in sciopero della fame da quasi due settimane per l’attuazione della mozione sulla carceri approvata dalla Camera. La parlamentare è stata accompagnata da Francesco Pullia, della direzione nazionale del partito, e da Francesco Dell’Aira, direttore della struttura.

L’on. Bernardini - è detto in una nota dei Radicali - si è incontrata con numerosi detenuti, compresi quelli sottoposti al 41bis, nonché con il personale del carcere. "Nonostante l’istituto ternano non presenti allarmanti precarietà come quelle lamentate nella quasi totalità del territorio nazionale e anzi sotto diversi aspetti possa considerarsi un carcere modello - hanno sostenuto i Radicali -, sono state denunciate e riscontrate diverse disfunzioni relative in particolare alla carenza di organico del personale addetto alla sorveglianza (ben 50 unità in meno rispetto alla dotazione di competenza) e ai mancati finanziamenti per la formazione professionale dei detenuti. L’assenza di fondi utili ad attuare compiutamente programmi di reinserimento procura evidenti disagi sia tra gli operatori che nella popolazione carceraria composta prevalentemente, a Terni come altrove, da extracomunitari".

Firenze: tra Provincia e Ipm accordo su educazione ambientale

 

Asca, 15 febbraio 2010

 

Educazione ambientale e alla sostenibilità all’interno dell’Ipm "Gozzini" di Firenze. È il senso di un accordo raggiunto (la firma arriverà domani) tra la Provincia di Firenze e la direzione della struttura penitenziaria. L’accordo, di durata biennale, prevede la realizzazione di un’esperienza di educazione ambientale e alla sostenibilità nell’ambito dei programmi formativi e didattici per i detenuti.

I laboratori che saranno attivati alla "Gozzini" cercheranno di spiegare ai ragazzi i principi del risparmio energetico, del riciclaggio di materiali, delle energie alternative, ma anche le norme basilari per la manutenzione del paesaggio. La Provincia di Firenze - si legge in una nota - intende investire a tutto tondo con molte realtà locali per la diffusione delle attività "verdi" e conferma il suo impegno di natura didattico-educativa nei confronti della "Mario Gozzini" garantendo il regolare e gratuito svolgimento del servizio presso la casa Circondariale.

Cuneo: Rifondazione visita il carcere; 6 detenuti nelle celle di 3

 

Comunicato stampa, 15 febbraio 2010

 

"Anche il carcere di Cuneo presenta un sovraffollamento, comune ormai a tutte le strutture; grave anche l’insufficiente numeri degli agenti di polizia penitenziaria, proprio di tutte le carceri del centro- nord. Così il consigliere regionale di Rifondazione comunista, Sergio Dalmasso, commenta la visita al Casa Circondariale di Cuneo, effettuata sabato 13 febbraio.

La presenza di sei detenuti (anziché tre) in celle di diciotto metri quadri - continua il consigliere - e la carenza di attività ricreative, sportive e scolastiche pesano negativamente sulle condizioni di vita dei carcerati e sul lavoro degli stessi agenti.

È grave che il governo faccia proclami e poi tagli i fondi e i mezzi, a cominciare dai finanziamenti per la scuola che oggi vive solamente grazie ai volontari. Occorrono interventi - conclude Dalmasso - sulla questione sanitaria, oggi di competenza dell’Asl, sul lavoro esterno e le misure alternative, per incrementare i corsi di formazione professionale (edili), perché gli educatori abbiano colloqui continui con i carcerati, soprattutto con chi non ha contatti con la famiglia. I detenuti islamici chiedono con insistenza uno spazio per praticare il proprio culto religioso". "Il carcere non può essere una realtà esterna alla città - sostiene il consigliere comunale Fabio Panero che ha partecipato alla visita. Il consiglio comunale, ma soprattutto tutta la cittadinanza devono rendersi conto di questo problema e dei drammi umani e sociali che nasconde. Come prima iniziativa, prolunghiamo sino al carcere la linea di autobus, almeno nei giorni di colloquio dei familiari.

Il problema - concludono Dalmasso e Panero - diventerà maggiore con l’apertura di una nuova sezione del carcere che porterà a 500 il numero dei detenuti. Questo richiederà più personale, più impegno per le strutture sanitarie, più attività di insegnamento e di mediazione culturale. Insomma, Cuneo ha un carcere. Non nascondiamo la testa nella sabbia".

 

Sergio Dalmasso - consigliere regionale Rifondazione Comunista

Fabio Panero - segretario provinciale Rifondazione Comunista

Pistoia: Epifani (Cgil) visita il carcere; situazione è "disumana"

 

Asca, 15 febbraio 2010

 

Sabato presso la Casa Circondariale "Santa Caterina" di Pistoia è stato in visita il Segretario Generale della Cgil, Guglielmo Epifani per prendere atto personalmente della situazione oramai insostenibile e disumana per le condizioni detentive e di lavoro degli operatori penitenziari e della Polizia Penitenziaria.

Il Segretario Generale, raccoglie l’ennesimo grido di allarme lanciato dalla segreteria della Cgil Funzione pubblica di Pistoia. Appena qualche giorno fa, all’epilogo di un tentato suicidio da parte di un detenuto, la Fp-Cgil aveva rinnovato la denuncia sulla gravissima condizione in cui versa dell’istituto pistoiese. Condizione che rappresenta purtroppo il fattore comune della maggior parte degli istituti penitenziari italiani.

Più volte erano state segnalate le disastrate condizioni del carcere che costringono ad una disumana detenzione e ad un impossibile condizione di lavoro per la Polizia Penitenziaria. Nell’articolo apparso su "Il Tirreno" dell’8 febbraio scorso, il delegato Fp-Cgil di Pistoia, Riccardo Palombo ed ispettore di Polizia Penitenziaria, lanciava un ulteriore appello a tutte le autorità pubbliche affinché pongano ascolto alla denuncia e si facciano parte attiva per una risoluzione definitiva".

Trento: i detenuti nel nuovo carcere potranno curare il "verde"

 

Il Trentino, 15 febbraio 2010

 

Per i detenuti di Trento diventa più concreta la possibilità di lavorare alla manutenzione del verde del nuovo carcere di Spini. Un’opportunità per allargare l’offerta lavorativa, oggi limitatissima rispetto agli oltre 160 detenuti nella casa circondariale di via Pilati: un tassello decisivo nel percorso di rieducazione, insiste la direzione del carcere. Venerdì l’assessore comunale ai lavori pubblici Italo Gilmozzi ha incontrato la direttrice Antonella Forgione e il responsabile dell’area educativa Tommaso Amadei. "Come Comune gestiremo il verde pubblico fuori dal carcere - spiega Gilmozzi - lo faremo attraverso Consolida che affiderà il lavoro a una delle cooperative sociali che potranno così impiegare anche i detenuti". Trattandosi di verde fuori dalle mura del carcere, saranno impiegati detenuti in regime di semilibertà seguiti da un operatore. Il verde interno al carcere è invece verde condominiale e come tale fuori dalla competenza del Comune.

Firenze: agente penitenziario a processo per pestaggi detenuti

di Laura Montanari

 

La Repubblica, 15 febbraio 2010

 

Aveva raccontato che l’avevano picchiato in sei, dentro al carcere di Sollicciano. Tutto per una battuta. "A quale sezione appartieni?". "La quarta" risponde B.B.S., detenuto tunisino di 28 anni, finito lì a scontare uno spaccio di droga. In realtà lui è della terza, cioè della stessa sezione in cui si trova in quel momento.

Il poliziotto non sembra gradire lo scherzo, porta il giovane da un collega in una stanza e lì comincia una vicenda su cui ha indagato a lungo la magistratura. Ieri il gip Rosario Lupo ha rinviato a giudizio una delle guardie penitenziarie, ma ha trasmesso gli atti in procura perché proceda anche nei confronti degli altri agenti coinvolti in questa storia di botte e di insulti: "Voi qui siete ospiti, capito? non dovete nemmeno fiatare.

Qui è casa nostra, voi siete degli stranieri..." racconta di aver sentito B.B.S., e giù botte dal poliziotto che si era pure infilato i guanti. Il processo inizierà il 13 dicembre. Il presunto pestaggio, con calci e pugni contro il tunisino, risale al 2007. In un primo momento il detenuto impaurito e con il viso sanguinante, promette di non dire a nessuno quello che è accaduto. Poi ci ripensa, rientra in cella e altri due compagni possono testimoniare le sue condizioni di salute, le ferite, le ecchimosi. Parlando con la fidanzata chiede di avvertire il suo avvocato, Michele Passione.

Scatta così la denuncia e cominciano gli accertamenti. Fra questi anche la visita del medico legale (dieci giorni dopo) che nella sua relazione rileva delle ecchimosi sul corpo di B.B.S. compatibili con il racconto del giovane. Il pm Giuseppe Bianco ha ascoltato diverse testimonianze compresa quella di un’insegnante e dei due compagni di cella del detenuto, poi ha chiesto il rinvio a giudizio di una delle guardie, un poliziotto di 47 anni, per lesioni aggravate e falso nella relazione di servizio in cui non si faceva alcun cenno alla lezione data al detenuto. Gli agenti hanno contestato questa versione e presentato a loro volta una contro denuncia. L’agente sotto processo era già stato citato a giudizio per le botte a un altro detenuto.

Alessandria: il carcere "apre le porte" al gusto e alla fotografia

 

Comunicato stampa, 15 febbraio 2010

 

Pranzo conclusivo per i laboratori di foto-gastronomia presso la Casa Circondariale Don Soria di Alessandria.

Mercoledì 3 marzo 2010 la Casa Circondariale Don Soria di Alessandria permetterà al mondo esterno di varcare le soglie del carcere per un pranzo conclusivo del progetto "Sapori Reclusi-Lezioni di Gambero Nero" e in occasione della relativa mostra fotografica. Una partita di cuochi stellati guiderà un gruppo di detenuti nella preparazione dei piatti cucinati e fotografati durante il workshop di "foto-gastronomia" organizzato dal fotografo Davide Dutto e finanziato dalla Regione Piemonte.

L’evento è il frutto di quattro mesi di collaborazione tra alcuni detenuti partecipanti al corso, importanti nomi della cucina Italiana (Andrea Ribaldone, Davide Palluda, Flavio Ghigo, Gilberto Demaria, Roberto Campogrande, Paolo Reina e Ugo Alciati) e Davide Dutto. L’idea di coniugare lezioni di cucina e workshop fotografici punta a stimolare la creatività e l’integrazione tra individui, dando spazio creativo a persone e culture che difficilmente hanno la possibilità di esprimersi all’interno della realtà carceraria e nella nostra società. Considerando che il 72% dei detenuti è di origine straniera, il progetto "è diventato anche un importante esperimento di integrazione e dialogo culturale, oltre che un momento di incontro tra il dentro e il fuori del carcere", spiega il fotografo.

Il pranzo concluderà il corso e inaugurerà la seconda fase del progetto, che punta a "creare strumenti e momenti di confronto e di scambio con il mondo esterno al carcere, lanciando un filo attraverso le sbarre per farlo arrivare fino a noi", spiega Dutto, per cui "l’intento è quello di comunicare la complessità della realtà carceraria e la ricchezza dei singoli individui che la compongono". Per informazioni contattare Davide Dutto 3481203520.

Libri: "Mondo recluso, vivere in carcere in Italia", D. Pelanda

 

www.nuovasocieta.it, 15 febbraio 2010

 

"Le nostre carceri per la metà sono fuorilegge". È triste e a dir poco vergognoso constatare che questa tremenda affermazione arrivi dal Ministro della Giustizia Angelino Alfano. Perché allora ci dovrebbero spiegare come si è arrivati a questo punto.

Come cioè si è arrivati all’insostenibile condizione delle carceri, oggi veramente ridotte a "discariche umane", vale a dire "per lo più luoghi senza speranza". Comincia così il libro "Mondo Recluso. Vivere in carcere in Italia oggi" (Effatà editrice 2010 Cantalupa (To) p. 208 13,50 Euro sito www.effata.it) che il nostro collaboratore Davide Pelanda ha voluto scrivere sulla realtà carceraria del nostro Paese. Un libro di forte critica al sistema carcerario che fa acqua da tutte le parti con l’impegno dell’autore a sentire tutte le parti in causa, direttori di case circondariali, volontari e detenuti che tutti i giorni vivono concretamente quella realtà. Un libro che nasce, come dice ancora l’autore stesso nell’introduzione al volume, "dopo la drammatica estate 2009 vissuta dai detenuti che si sono visti aggiungere la famosa terza branda in celle progettate per una persona... e dopo le drammatiche notizie dell’aumento esponenziale dei suicidi nelle carceri italiane, nonché delle morti cosiddette "misteriose" avvenute dopo essere "caduti dalle scale". Eufemisticamente parlando". Già, perché l’opera contiene anche un resoconto dettagliati sia delle strane "morti", sia dei cosiddetti "suicidi" avvenuti in carcere: si parte dal caso di Stefano Cucchi che, non per colpa sua, ha lasciato il carcere dentro una bara, via via passando per Ciro Ruffo, Nadia Blefari, Manuel Eliantonio e tanti ancora, sino ad arrivare agli aggiornamenti dei primi giorni del 2010 con ben 7 detenuti che hanno deciso di togliersi la vita. Un triste elenco che certamente tenderà ad allungarsi.

Nel libro troviamo poi la ricostruzione puntuale che ha portato alla chiusura del carcere di Pianosa, in Sardegna, con anche la cruda testimonianza del detenuto di Pianosa cui si riferisce nella Sentenza Europea del 6 aprile 2000 scorso. Altro capitolo riguarda il difficile lavoro degli agenti di polizia penitenziaria, sotto organico da una vita, che non ce la fanno più a fare bene il loro lavoro: sono quindi stati costretti a manifestare contro il Governo per la loro insostenibile situazione lavorativa; si parla però anche della possibilità di riscatto lavorativo dei carcerati facendo, ad esempio, una sorta di mappatura italiana delle carceri dove ci sono progetti per imparare un mestiere, un lavoro che, un domani usciti e scontata la pena, servirà ai detenuti per il reinserimento ed il proprio positivo riscatto nella società.

L’autore poi, analizzando l’enorme materiale a disposizione per scrivere questo saggio, si domanda se è ancora valida la struttura carceraria per ciò che riguarda la rieducazione del detenuto, struttura che teoricamente "servirebbe - sono le parole di Pelanda - per poter pensare e riflettere sul male che si è fatto, per trovare una sorta di strada per redimersi. La struttura carceraria dovrebbe anche, in qualche modo, accompagnare a rieducare e riabilitare il delinquente. Almeno queste erano alcune delle funzioni del carcere e della pena nelle intenzioni di chi le ha ideate. Buoni e lodevoli propositi che sempre hanno guidato le scelte dei nostri legislatori. Un "libro dei sogni"? Oggi così sembrerebbe" e l’amara risposta che l’autore del libro si dà da solo.

E la prefatrice del libro, Lidia Maggi, pastora della chiesa battista di Varese che come responsabile del dipartimento dei diritti umani delle chiese battiste, si è occupata di temi legati alla giustizia e di pastorale alle persone recluse e alle loro famiglie, scrive: "Le nostre prigioni sono la fotografia di una giustizia punitiva, luoghi dove è quasi impossibile il recupero della persona. Disinteressarsi a quanto avviene all’interno delle carceri significa gettare la spugna sulle fondamenta della nostra giustizia. È anche per questo che vi invitiamo a percorrere le diverse tappe di questo viaggio nelle carceri italiane: per dare a chi legge la possibilità di vedere e capire qualcosa di più sulla posta in gioco nella questione carceraria". Da segnalare, infine, l’interessante disquisizione sulla giustizia curata da Vilma Demitri, pedagogista, che ripercorre lo sviluppo storico-filosofico-culturale della nostra civiltà occidentale riguardo ai diritti individuali.

Immigrazione: esseri umani si nasce… ma clandestini si muore

di Gennaro Santoro

 

www.linkontro.info, 15 febbraio 2010

 

Il presidente del Consiglio ha dichiarato che gli immigrati delinquono più degli italiani. Non è vero. Gli immigrati regolari delinquono meno degli italiani, secondo i dati Istat degli ultimi anni. E gli immigrati irregolari delinquono più degli italiani solo perché la condizione di irregolarità è di per sé un reato. Basti pensare che sono entrati nelle carceri italiane negli ultimi due anni decine e decine di migliaia di immigrati colpevoli di non aver ottemperato all’ordine di espulsione.

E con l’introduzione del reato di clandestinità le carcerazioni aumenteranno. E il presidente del consiglio lo sa bene che lo straniero non è sinonimo di criminale, ma è solo un essere utile alle diverse forme di schiavitù di Rosarno come del nord est. Ma a marzo ci sono le elezioni regionali e dire che straniero è sinonimo di delinquenza crea consensi. Quanto sono utili questi stranieri! Intanto Maroni sta mettendo su il permesso di soggiorno a punti, un po’ come la patente a punti o come i punti della centrale del latte.

Propongo al Ministro Maroni di suggerire al suo omonimo in Gran Bretagna di fare un permesso di soggiorno a punti per gli italiani che in Inghilterra si permettono di lavorare a mille sterline in meno degli autoctoni, facendo terribilmente incazzare i lavoratori inglesi.

Modestamente in Italia i lavoratori extracomunitari regolari almeno vengono discriminati dai vari pacchetti sicurezza del governo, dalla fabbrica della paura dei media e della politica che creano e legittimano le varie forme di razzismo diffuso.

Modestamente nel Belpaese gli stranieri regolari li assumiamo in cambio di denaro per fargli rinnovare il soggiorno, poi li licenziamo e li riassumiamo in nero per tenerli immersi nel limbo del ricatto, dell’eterno pendolo del soggiorno e dell’espulsione. O nei gironi infernali dei centri di identificazione ed espulsione.

Modestamente nel Belpaese i lavoratori extracomunitari li utilizziamo per legittimare il peggioramento delle condizioni contrattuali di tutti i lavoratori, abbattendo i costi di produzione (e sociali), creando la figura del capro espiatorio responsabile dell’impoverimento salariale e sociale dell’autoctono.

Così, la colpa è tutta dei clandestini di Rosarno, secondo il ministro Maroni, per nascondere il fallimento della promessa dello stato di non permettere che esista ancora la schiavitù e il degrado di masse umane ammassate in bidonville stagionali.

Intanto a Roma centinaia di schiavi provenienti da Rosarno continuano ad attendere che lo Stato faccia qualcosa per loro. Io nel mio piccolo per sostenere loro e gli altri milioni di cittadini stranieri presenti in Italia, il primo marzo ho deciso di non lavorare. Il primo marzo si fermano i senza niente, gli stranieri in Italia come avvenne il primo maggio 2006 in Usa e le immagini di quella manifestazione fecero il giro del mondo… perché esseri umani si nasce, clandestini si muore. E io e l’Associazione Antigone di cui faccio parte abbiamo il sogno di una cosa, di una società antirazzista, del risveglio delle coscienze, per una giustizia uguale per tutti e non forte con i deboli e debole con i forti.

Svizzera: agenti privati nelle carceri, interrogazione della Lega

 

Agi, 15 febbraio 2010

 

Agenti privati presso le strutture carcerarie? Il gruppo parlamentare della Lega vuole vederci chiaro. In un’interrogazione chiede al Consiglio di Stato quanti siano gli agenti di sicurezza privati attualmente attivi al penitenziario, quali agenzie si siano succedute nell’incarico e se questo sia stato attribuito tramite concorso. Ancora, nel loro atto, i deputati leghisti chiedono al Governo come sia evoluto il numero di agenti privati, quanti di essi siano domiciliati e quanti frontalieri. E di quale formazione dispongano.

Le indicazioni fornite a concorso dalla ditta che ha ottenuto l’incarico circa le qualifiche degli agenti ed il numero di agenti che dispongono di queste qualifiche, si legge nell’interrogazione, trova effettivo riscontro nell’attuale realtà? La ditta che fornisce gli agenti rispetta il CCL per il settore privato dei servizi di sicurezza?

Corrisponde al vero che l’agenzia di sicurezza che ha ottenuto l’appalto per il carcere ha dei procedimenti legali pendenti con ex dipendenti per il mancato pagamento di stipendi o per altre situazioni non conformi, in cui sono coinvolti anche i sindacati? Se sì, a quale titolo sono aperti questi procedimenti legali? Corrisponde al vero che il direttore dell’agenzia in questione figura o ha figurato tra i membri della commissione d’esame per il conferimento del diploma cantonale di agente di sicurezza?

Di quali qualifiche dispone il citato direttore (diploma cantonale, federale, o altro)? Corrisponde al vero che nella ditta in parola c’è un turn-over di personale estremamente elevato, soprattutto tra i quadri dirigenti? Se sì, ciò non dovrebbe dare adito a qualche interrogativo?

Norvegia: ad Oslo, il primo carcere eco-compatibile del mondo

di Cristine Meffert

 

www.marieclaire.it, 15 febbraio 2010

 

Suo padre organizzava spesso e volentieri queste uscite in barca. Via da casa, via dalla moglie, per poter bere in santa pace. Nelle sue gite per l’ampio fiordo di Oslo si portava dietro il figlio di sei anni e una bottiglia di distillato fatto in casa ad alta gradazione alcolica. Il bambino se ne stava seduto nella barca a motore a osservare il padre ubriacarsi fino a non essere più in grado di condurre il mezzo. A quel punto doveva prendere in mano il timone. Alla fine sono sempre riusciti a tornare al porto di Fredrikstad, dove i soliti curiosi scaricavano a terra il padre.

È troppo per un bambino, sostiene Runar Engebredsen. Suona distaccato, come se tutto ciò fosse successo a qualcun altro. Sceglie con cura le parole, racconta la propria esperienza come se stesse rilasciando una confessione in un’aula di tribunale. E così è stato in effetti: in passato ha riferito l’accaduto nella speranza che potesse essere considerata una circostanza attenuante. La madre non doveva sapere niente. Le gite alcoliche di suo padre rimasero un segreto, aggiunge Runar, oggi quarantatreenne.

Allo stesso modo vent’anni dopo cercò di nascondere al suo datore di lavoro, l’azienda stradale norvegese, di aver utilizzato per investimenti personali quasi un milione di euro destinati a progetti di costruzione. Questa volta però la verità venne a galla e Runar fu condannato a tre anni di reclusione per peculato. Ha già scontato due terzi della condanna dietro le sbarre di un’angusta cella singola. Ora però trascorre l’ultimo periodo a Bastøy, l’isola più grande del fiordo di Oslo.

Bastøy è un carcere senza muri. Sprovvisto di un sistema di allarme. Le recinzioni servono a delimitare i prati dove pascolano i cavalli e a segnalare ai visitatori della spiaggia pubblica che l’isola, con i suoi tre km quadrati di superficie, è in primo luogo una prigione, sebbene sembri rifiutarsi categoricamente di confermare lo stereotipo dell’isola prigione. Il pittoresco complesso abitativo è posto su un’altura.

Attorno a una chiesetta in mattoni sono raccolte: diverse casette colorate in legno, tipicamente scandinave, l’edificio amministrativo, due edifici adibiti a spazio aggregativo e un supermercato. Le altre dieci abitazioni sono sparse per l’isola, distanti l’una dall’altra, con vista sul mare e sulla terraferma pochi chilometri più in là. Cinque volte al giorno attracca nel porto il traghetto che collega l’isola alla cittadina di Horten: trasporta alimenti, familiari e, di quando in quando, un nuovo carcerato.

Gli abitanti di Horten sono per la maggior parte favorevoli al progetto. D’estate con le loro barche raggiungono la spiaggia di Bastøy, divisa dall’area di detenzione da una semplice rete metallica. Il cancello tra la spiaggia e il resto dell’isola è aperto.

Evidentemente si pensa che Bastøy renda innocui i suoi detenuti. E non stiamo parlando di crimini minori: sull’isola norvegese si trovano anche assassini, stupratori, ricattatori e pedofili. Il primo carcere "antropologicamente ecologico" al mondo può ospitare fino a 115 uomini. In ogni casa vivono al massimo otto prigionieri. Ognuno ha la propria camera da letto; le altre stanze - cucina, bagno e un salotto molto essenziali - vengono utilizzate in comune. Prima di trasferire un nuovo arrivato, dopo il primo periodo di transizione nella casa collettiva, in uno di questi appartamenti, si considera attentamente in quale gruppo sia meglio inserirlo. Thorgrim (35 anni) e il carcerato più giovane dell’isola, Michael (18 anni), vivono con altri sei uomini in una casetta in legno dipinta di arancione vicino alla spiaggia. Non solo l’età li divide, anche il tipo di crimine compiuto e la sua gravità.

Thorgrim, detto Grim, è un ex bodybuilder professionista alto quasi due metri che vendeva anabolizzanti. Il suo cellulare squillava giorno e notte: aveva un buon giro di clienti, gli affari andavano bene. Non sapeva però che la sua attività fosse illegale, perseguibile per legge. Michael invece, a Bastøy da tre mesi, ha accoltellato un uomo per vendetta. La sua vittima giaceva a terra inerte e lui l’ha presa ripetutamente a calci. Thorgrim racconta del crimine di Michael scuotendo la testa. Sente di avere una certa responsabilità nei confronti del ragazzo. Ogni mattina vanno assieme nel bosco, dove lavorano fino al pomeriggio. Lo fanno volentieri, assicurano entrambi.

Owa Johnson, 35 anni, di origine nigeriana, è l’unico a vivere per conto proprio. La lista d’attesa per la sua casa, l’unica progettata per un solo occupante, è lunghissima. Il nigeriano vive da otto anni in Norvegia, ma ne ha passati la maggior parte in galera. Il tentativo di guadagnarsi da vivere con la droga non è andato a buon fine. Fuori lo aspettano la sua compagna norvegese e due bambini, ma non è chiaro se un giorno riusciranno davvero a trascorrere ancora del tempo insieme, come vorrebbero.

Al momento Owa mette in conto di doversene tornare in Nigeria. Sulla sua abitazione è affisso un cartello di latta con su scritto: zio Tom. Una coincidenza. Le altre case si chiamano Beverly Hills, America, Washington: si tratta di lasciti del periodo in cui sull’isola vivevano ragazzi con problemi di integrazione. Furono loro ad assegnare alle casette nomi di luoghi lontani a cui anelavano.?Sebbene la libertà sia dietro l’angolo, pare ci sia stato un solo caso di tentata evasione. L’uomo fuggì in barca, e una settimana più tardi tornò indietro.

I due detenuti che raccontano l’aneddoto sembrano approvare più il rientro che la fuga. Non si arrischierebbero mai a tentare di evadere. Dopo essere stati a lungo rinchiusi a Oslo in una prigione di massima sicurezza sono ben contenti di poter finire di scontare la pena a Bastøy. Le possibilità di fuga non mancano. I carcerati sono controllati da cinque guardie non armate, si muovono liberamente su uno spazio ampissimo, lavorano nel bosco o nei campi e d’estate scendono in spiaggia. E chi lavora sul traghetto mette piede ogni giorno sulla terraferma, anche se per pochi minuti.

Eppure nessuno manca mai all’appello. Due volte al giorno alzano la mano quando vengono chiamati e poi tornano alle proprie mansioni. Due appelli al giorno e ogni tanto un test delle urine: non ci sono molti altri controlli oltre a questi. Si punta tutto sulla fiducia e sul senso di responsabilità, afferma il direttore. Arne Kvaernvik Nielsen in passato ha visitato per conto del ministero della giustizia norvegese diverse prigioni georgiane: 80 uomini stipati in celle da 30 mq; un tanfo feroce, i detenuti stremati. Il direttore norvegese dice che la Georgia andrebbe aiutata a uscire da questa situazione, altrimenti il tasso di criminalità non potrà mai diminuire. Anni di umiliazioni e di mancanza di rispetto non serviranno certo a cambiare questi uomini. Anzi, fuori dal carcere porteranno con sé una bomba a orologeria; sarà solo questione di tempo, ma prima o poi manifesteranno comportamenti simili a quelli che sono stati costretti ad apprendere dietro le sbarre.

Il direttore sostiene che sia importantissimo assumersi le proprie responsabilità, nei confronti del futuro ma anche dei crimini passati. Solo chi lavora, partecipa alla vita sociale, coltiva un rapporto positivo con il personale e con gli altri detenuti può rimanere a Bastøy. L’obiettivo è prepararsi, in un ambiente protetto, alla vita che ti aspetta "fuori". I carcerati si prendono cura di diversi animali e spesso sono proprio queste bestie a insegnare loro cosa siano l’intimità e il senso di responsabilità.

Ogni volta che sull’isola si presenta un nuovo arrivato, viene alla luce quali siano gli effetti di un lungo periodo di isolamento in una struttura detentiva. Non solo il suo pallore giallastro lo distingue dagli isolani abbronzati e sani. L’atteggiamento amichevole dei dipendenti lo spiazza: non è abituato a parlare con le guardie. Ma la cosa forse più difficile è abituarsi alla tradizione di invitare a cena i membri del personale.

Nel corso di una lunga permanenza in una prigione tradizionale il detenuto impara a percepire isolamento e strutture rigidamente gerarchiche come normali. Ci si è adattato, ogni novità è vista come una minaccia. Non sono solo gli spazi ampi e il costante sottofondo del rumore del mare a procurare un’emicrania ai nuovi arrivati. Se davvero il rispetto e un’incrollabile fede nella bontà dell’essere umano possano produrre in un criminale un cambiamento duraturo resta ancora da dimostrare. Al momento non sono disponibili solidi dati statistici. Thorgrim ride e assicura che alcuni preferirebbero restare a Bastøy. Lui non ci penserebbe due volte, se solo non mancassero alcol e donne.

Usa: a 94 anni, muore detenuto più vecchio in "braccio morte"

 

Agi, 15 febbraio 2010

 

Dopo una vita passata dietro le sbarre è morto a 94 anni il detenuto più vecchio nel braccio della morte di un carcere statunitense. Viva Leroy Nash si è spento nel penitenziario di Florence, in Arizona, per cause naturali; era quasi cieco, sordo e soffriva di demenza.

Era nato il 10 settembre del 1915 nello Utah e da quando aveva 15 anni aveva cominciato a entrare e uscire dal carcere, la prima volta per rapina a mano armata. Dopo aver ucciso un agente di polizia nel 1947 fu condannato a 25 anni di carcere e poco dopo, nel 1977, fu condannato a due ergastoli per una rapina e un omicidio a Salt Lake City. Uscito di prigione nell’ottobre del 1982 entrò in una banca e uccise un impiegato. Condannato a morte nel 1983, iniziò contro la pena capitale una interminabile battaglia legale che gli è sopravvissuta.

Angola: 2 mln di dollari per prigione-modello costruita in 2 anni

 

Agi, 15 febbraio 2010

 

Il governatore di Luanda, Francisca do Espirito Santo, ha inaugurato due nuovi blocchi della prigione di Kakila, nella municipalità di Viana, alla periferia della capitale dell’Angola, alla presenza del ministro dell’Interno, Roberto Leal Monteiro. La struttura, costata 2 milioni di dollari e completata in due anni, può ospitare 500 detenuti. La nuova prigione è dotata di mensa, cucina e lavanderia, oltre ad altri servizi. Sorge su una proprietà di 50 ettari di terreno coltivabile. Le autorità prevedono, infatti, di impiegare i detenuti in attività agricole, così che si possa contribuire al miglioramento delle condizioni alimentari degli stessi prigionieri.

 

 

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