Giustizia: l’infamia non ha colore di Adriano Sofri La Repubblica, 7 dicembre 2010 Ogni persona, di origine italiana o straniera, dev’essere sempre giudicata singolarmente, per quello che è. È la più ovvia delle frasi. L’ha pronunciata ieri il cardinale arcivescovo di Milano. Ci sono momenti in cui non ripetere le parole più ovvie diventa una viltà. Sia risparmiato alla nostra generazione il ritorno di quei momenti, se già non ci siamo. Scrivo mentre le notizie sull’indagine per la scomparsa della piccola Yara si fanno incerte, e vengono in dubbio i sospetti sul giovane arrestato. E si riaccende una speranza per lei, che è la cosa più importante. Se i sospetti su un presunto colpevole sono stati precipitosamente trattati come certezze, anche della sorte peggiore di Yara si potrà dubitare. Ci sarà tempo per riflettere. Ma qualcosa è già successo e se ne può misurare la tristezza. È successo ancora una volta che a un evento terribile - la paura di un evento terribile, e la convinzione che si fosse consumato - siamo stati tentati di reagire, prima che nelle manifestazioni esteriori nei nostri stessi sentimenti intimi, trasferendo il dolore per la vittima, la compassione con i suoi e la ripugnanza per i suoi carnefici, nell’ansia per le conseguenze civili e perfino politiche dell’imputazione di uno straniero. Un simile trasferimento è anche un modo di attutire e sfogare la commozione, ma è soprattutto la misura di un guasto che ci va rosicchiando dentro. Dentro quelli fra noi che corrono a gridare minacce di furia cieca o calcolata, e anche dentro chi ne è spaventato e si affanna ad arginarne i danni. Così ci si trova subito a ripetere pensieri di desolata ovvietà, che ad Avetrana e in mille altri inferni la brutalità è indigena e domestica, che l’infamia umana non ha colore. Ci sono state però dall’inizio, in questa storia angosciosa, cose diverse e degne di ammirazione e di considerazione. Prima di tutto l’atteggiamento di una famiglia, che ha rigettato ogni sfogo vendicativo, e tanto più quelli esibiti per conto terzi; e si è limpidamente sottratta allo spettacolo della propria sofferenza. Dunque questo può avvenire, e i media possono prenderne atto. È successo anche che il sindaco (leghista, ma è appena un dettaglio) di una comunità colpita abbia dato un chiaro sostegno a questo atteggiamento della famiglia, e abbia messo al bando i propositi razzisti, xenofobi e linciatori. Chi ha avuto una gran fretta di pronunciare parole orrende di odio violenza e - non ultima - imbecillità, non ha potuto farlo in nome delle vittime o di una comunità. Solo in conto della propria violenza, odio e, non ultima, imbecillità. Adesso aspettiamo. Restituendo ai sentimenti e ai pensieri dell’attesa il loro ordine naturale. Cominciando dalla trepidazione per una creatura cui il mondo dovrebbe essere solo promettente, e dalla simpatia per i suoi. E poi pensando al prezzo che paga un paese indotto a chiedersi di colpo, di fronte a un sequestro, uno stupro, un assassinio, una sciagura stradale, se il sequestratore, il violentatore, l’assassino, il guidatore sciagurato, sia italiano o no, e a compiacersi che lo sia o pregare che non lo sia. È una questione morale, psicologica, civile, ed è per eccellenza una questione politica. Una questione banalmente culturale, anche. Perché a distanza di un paio di generazioni dall’avvento della questione migratoria forse bisognerebbe contare di più sulla capacità di tradurre affidabilmente dall’arabo la preghiera: “Allah mi protegga” o “Allah mi perdoni”. Giustizia: l’indulto occulto di Marco Travaglio Il Fatto Quotidiano, 7 dicembre 2010 Zitti zitti, nel silenzio delle tv, della stampa e dell’opposizione, la maggioranza di centrodestra votata all’insegna della “certezza della pena” e della “tolleranza zero”, ha appena approvato un bell’indultino mascherato che fera uscire anzitempo dal carcere migliaia di delinquenti. Il ddl Alfano, approvato dal Parlamento tra il lusco e il brusco, in vigore dal 16 dicembre, prevede che i detenuti che scontano condanne definitive possano trascorrere l’ultimo anno di detenzione a casa propria (“disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a un anno” e degli analoghi “residui di maggior pena”, esclusi mafia, terrorismo e omicidio). Ma attenzione: già oggi i detenuti possono scontare gli ultimi due anni di pena agli arresti domiciliari e gli ultimi tre in affidamento al servizio sociale, cioè liberi. In pratica, chi deve scontare condanne fino a tre anni sa che non fera un giorno di carcere e, se ha avuto l’accortezza di delinquere entro il maggio 2006, prima dell’indulto (sconto automatico di 3 anni), non là un giorno di galera nemmeno se condannato a 6 anni. Per esempio, Cesare Previti: condannato a 6 anni, ne defalcò tre per l’indulto e per gli altri tre ottenne l’affidamento alla Caritas, cavandosela con due giorni a Rebibbia. Ora, con l’ulteriore saldo natalizio targato Aliano, la franchigia sale a 4 anni (e addirittura a 7 per i reati coperti da insulto). Insomma, per finire dentro e restarci bisogna proprio fere una strage. Oltre al danno, c’è pure la beffe per le vittime dei reati: chi li ha commessi potrà tornare a casa senza l’obbligo di abbandonare il domicilio della persona offesa o il “locus commissi delicti”. Quindi chi è finito dentro perché molestava la vicina di casa o picchiava la moglie può tornare comodamente sul luogo del delitto a scontare la pena e a ripetere il delitto. Prepariamoci dunque all’ennesima ondata di scarcerazioni (usciranno chi dice 2 mila, chi 7 mila, chi 12 mila carcerati su 70 mila) che per giunta, non essendo accompagnata da investimenti per reinserire gli ex detenuti nella società, li porterà a tornare a delinquere, con un aumento dei reati e dell’insicurezza sociale. Il tutto a opera del centrodestra, sempre pronto ad accusare il centrosinistra di “mettere fuori i delinquenti”. Naturalmente, come tutte le leggi di questo governo, peggio se firmate da Alfano, anche questo indulto mascherato è incostituzionale: per amnistie e indulti occorrono i due terzi del Parlamento, mentre qui han votato solo Pdl e Lega. Quella stessa Lega che inizialmente si era opposta al ddl Alfano per bocca del ministro Maroni, che poi, alla chetichella, ha digerito tutto. Quella stessa Lega che nell’agosto 2003, quando passò l’indultino (sospesi gli ultimi 2 anni di pena a chi ne avesse scontata metà, salvo reati gravissimi: 5.900 scarcerati) coi voti di Fi, Udc, mezza An e centrosinistra, fece fuoco e fiamme. Calderoli chiese a Ciampi di rinviare la legge alle Camere “per manifesta incostituzionalità” e al ministro della Giustizia Castelli di “riferire in Parlamento sui reati commessi in futuro da quanti verranno scarcerati grazie a questo squallido indulto mascherato. Le recidive saranno molte ed è giusto che il popolo sappia quali reati verranno commessi ai suoi danni grazie a questo provvedimento e a chi lo ha promosso”. Castelli tuonò: “Da ottobre ritroveremo in cella ospiti che avevamo appena liberato e in 12 mesi la popolazione carceraria sarà quella di prima. Ma abbiamo un programma epocale per costruire e aprire 23 nuove carceri”. Anche Mantovano (An, oggi Pdl) denunciò: “Così la certezza della pena diventa ancora più flebile: l’indultino contribuirà a rafforzare la convinzione che tutto sommato a commettere reati anche gravi non si paga poi un costo così elevato”. Naturalmente, del mirabolante piano Castelli e Alfano per costruire nuove carceri, non s’è mai saputo nulla. E rieccoci, nel 2010, a metter fuori qualche migliaio di criminali. Stavolta, di nascosto. Complimenti alla maggioranza e anche, scusandoci per il termine un po’ forte, all’opposizione. Giustizia: Osapp; “svuota carceri” legge comunque utile, anche se non definitiva Ristretti Orizzonti, 7 dicembre 2010 “Più che indulto occulto la legge c.d. svuota-carceri, caro dott. Travaglio, ci sembra essere a questo punto una delle poche soluzioni praticabili nell’attuale e del tutto incerto momento politico - è l’incipit della nota che il segretario generale dell’Osapp Leo Beneduci ha voluto inviare al Giornalista de ‘Il Fattò, critico oggi nei riguardi del provvedimento c.d. svuota carceri: il ddl approvato dal Parlamento e diventato la Legge 199/2010 che disciplina lo sconto presso il domicilio per chi ha residui di pena non superiori ad un anno”. “Le critiche costruttive che lei si prende la briga di fare ogni tanto - continua nella lettera Beneduci - raccontando un Pianeta Giustizia che pare non esistere sulla faccia della Terra, non sono però e come al solito seguite da proposte fattive”. “Lei si limita a scoprire o evidenziare ciò che c’è da scoperchiare, esaltando le magagne con toni apocalittici, ma per anni la classe dirigente che ci governa si è nutrita, a discapito degli altri - e quindi anche a nostro discapito - anche di atteggiamenti consimili: di chi è abituato solo a criticare, senza per nulla sottolineare le problematiche vere, considerando negative quelle proposte per il solo fatto che provengono dalla parte considerata sbagliata”. “Probabilmente lei non ha parti di riferimento, le consigliamo quindi di soffermarsi un po’ più a lungo a riflettere per comprendere meglio quanto di positivo può essere preso in considerazione in questa legge”. “Nel suo editoriale lei parla di effetti, indugiando giustamente sulle cause del degrado sociale che una scarcerazione in massa potrebbe produrre”. “A parte che i rilievi non sono così esatti: non si è mai parlato di una cifra determinata e già il fatto che le previsioni vadano da un minimo di 2mila ad un massimo di 7mila persone da scarcerare fino al 2013, con un carcere che già oggi ospita 69.200 detenuti in 44.800 posti-letto, la dice lunga sui reali effetti che produrrà questa normativa, senza considerare che contemporaneamente vi è un inasprimento della pena per il reato di evasione”. “Come Poliziotti Penitenziari, a vent’anni dalla riforma del Corpo del tutto incompiuta e che ha messo il funzionamento del sistema penitenziario italiano quasi completamente sulle nostre spalle notevolmente immiserite, pur avendo pieno titolo di criticare aspramente ogni governo succedutosi in tale periodo, continuiamo a rilevare il lato positivo delle cose - e di questo, almeno per esigenze personali e professionali, ci dovrà essere dato comunque atto - Guardiamo così al fatto che la recidiva aumenta nei casi in cui c’è un accanimento del trattamento penitenziario, diminuendo laddove il sistema di affidamento dello Stato permette un meccanismo premiale attraverso la scarcerazione del singolo: in parole povere più il detenuto rimane in carcere e più è portato e delinquere di nuovo una volta rimesso in libertà. Questo perché - forse lei non lo sa - il carcere, frutto di venti anni di politica penitenziaria del tutto erronea, produce solo altro carcere”. “Vede dott. Travaglio, come forza sindacale, una delle più rappresentative del Paese, siamo sempre stati critici con questo Esecutivo e soprattutto con questo Ministro della Giustizia, ma non possiamo non considerare che la svuota-carceri, come la chiama lei, permetterà, tra le altre cose, l’assunzione di nuovi agenti penitenziari - laddove la mancanza di personale è, forse, la maggiore causa della disfunzione, dell’insicurezza e dell’assenza di prevenzione del sistema carcerario”. “Riepilogando, caro dott. Travaglio, cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno, anche perché con questi bui all’orizzonte, c’è il sospetto che non farà mai giorno”. Giustizia: Sappe; 22.500 detenuti in più dei posti disponibili, sarà un Natale critico Redattore Sociale, 7 dicembre 2010 Le preoccupazioni del Sappe. Capece: “176 carceri su 206 hanno superato la capienza regolamentare e ben 116 anche quella tollerabile. E la polizia penitenziaria subisce i comportamenti isterici della politica” “Troppi detenuti costretti a vivere in spazi ridottissimi, dove crescono le tensioni anche in relazione all’approssimarsi delle Feste natalizie. Una legge appena approvata, quella sulla detenzione domiciliare per pene detentive non superiori ad un anno, che pure ha avuto il nostro plauso ma che di fatto avrà un impatto minimale sulle criticità del sistema, con poche migliaia di detenuti che usciranno dalle carceri, sicuramente meno degli 8 mila previsti. Tensioni continue nelle carceri. Vi sono, insomma, tutte le condizioni per sostenere che nella carceri italiane a pochi giorni dalle festività natalizie non vi sarà proprio nulla da festeggiare”. Così il Sappe, il sindacato autonomo di Polizia penitenziaria, che con il segretario generale Donato Capece ricorda come alla data di ieri, 6 dicembre 2010, “vi sono 176 carceri italiane su 206 che superano la capienza regolamentare e ben 116 istituti penitenziari italiani che superano addirittura quella tollerabile. Il totale delle persone detenute è di 69.225, oltre 22.500 in più, tra uomini e donne di quelle previste dai posti disponibili”. “Tutto ciò - continua Capece - viene ormai comunemente riassunto con la parola sovraffollamento ed è un termine talmente inflazionato che questi numeri non fanno più notizia. Per noi del Sappe, invece, si tratta di condizioni di lavoro e di vita impossibili da sostenere: nonostante ciò i nostri valorosi agenti lavorano ogni giorno, nel silenzio e tra mille difficoltà ma con professionalità, umanità, competenza e passione nel dramma delle sezioni detentive delle carceri italiane, sventando anche i numerosi tentativi di suicidio di detenuti. Ma per quanto tempo ancora dovranno farlo prima che la politica decida seriamente di intervenire?”. “La recente legge sulla detenzione domiciliare per chi deve scontare una pena non superiore ad un anno, alla quale il Sappe ha pure guardato con molto interesse - conferma Capece -, inciderà ben poco, quasi nulla, sul sistema. Gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria sono i primi e finora gli unici rappresentanti dello Stato che stanno subendo le conseguenze di comportamenti isterici di politici dell’opposizione come della maggioranza che lanciano slogan al proprio elettorato di riferimento proponendo un giorno maggiore sicurezza e un altro giorno maggiori diritti per le persone detenute. Tutto ciò è semplicemente scorretto nei confronti del proprio mandato istituzionale e nei confronti della Polizia Penitenziaria, che 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno deve rimediare alle incapacità della politica di fronteggiare questa situazione”. Giustizia: la Lega insiste; l’equazione clandestino-criminalità è sempre vera Il Sole 24 Ore, 7 dicembre 2010 Resta invariata, per la Lega, l’equazione clandestini-criminalità. La svolta nelle indagini sulla scomparsa di Yara, con il diradarsi dei sospetti sul giovane marocchino per il quale il Pm ha chiesti infine la scarcerazione, non modifica la linea del Carroccio secondo cui rimane in ogni caso l’allarme criminalità cresciuta negli ultimi anni a causa di quel fenomeno che Mario Borghezio definisce “immigrazione selvaggia”. Certo, c’è la presa d’atto da parte del Carroccio della “svolta” nelle indagini e sia Matteo Salvini, sia Borghezio sottolineano come l’obiettivo sia quello di assicurare i veri colpevoli alla giustizia siano essi connazionali o meno (anzi, dice Borghezio, “se fossero italiani il fatto sarebbe ancora più grave”). Eppure la prima pagina del quotidiano “La Padania” di martedì, non lascia dubbi sullo stato d’animo che attraversa la Lega dopo gli ultimi fatti di cronaca che hanno visto extracomunitari responsabili di gravi reati (come la strage di ciclisti a Lametia Terme). Sotto il titolo “Ma che giustizia è?” il quotidiano leghista punta il dito contro una immigrazione incontrollata e contro una giustizia ritenuta lassista e si elencano recenti casi di cronaca: “Per la Cassazione ergastolo eccessivo per chi ha seviziato e fatto a pezzi i coniugi Pellicciardi”; e poi “immigrato drogato uccide sette ciclisti in un colpo. Ma l’arresto non è ancora convalidato”; per arrivare al caso di Yara: “Verso la scarcerazione del marocchino in fuga. Intercettazioni ritenute deboli”. Il giornale della Lega ospita anche un intervento di Luca Zaia, governatore del Veneto, che rincara: “Che giustizia è quella che non riconosce il carcere a vita nemmeno per un omicidio efferato come quello di Gorgo al Monticano? Cancellare l’ergastolo e una pena di vent’anni di reclusione per i due albanesi che hanno seviziato e ucciso Guido e Lucia Pellicciardi, sessantenni - come ha deciso una sentenza della Cassazione - significa scrivere una brutta pagina nella nostra storia”. Il marocchino non è responsabile? “Meglio così”, ha risposto Salvini, per il quale però “l’equazione clandestino-alto tasso di criminalità la confermano la questura e il numero di stranieri nelle carceri, con buona pace - ha aggiunto - del cardinale Tettamanzi (che aveva invitato a non sovrapporre alla categoria degli immigrati quella dei delinquenti). Anche per Borghezio rimane un punto fermo per il Carroccio l’allarme immigrazione incontrollata- criminalità. Massimo Curiazzi, assessore a Brembate (il più giovane assessore leghista) dopo la svolta nelle indagini ha tenuto a puntualizzare: “Nel mio paese non c’è assolutamente alcuna intolleranza, noi non giudichiamo le persone dal colore della pelle e dalla loro razza ma da quello che fanno e se il marocchino fermato viene scarcerato ne siamo contenti così come se fosse accaduto a un italiano”. “Eventuali reazioni rabbiose - ha infine spiegato - sono state per quello che è successo a Yara, non certo per questioni di razza o di colore della pelle, se ci sono stati episodi di intolleranza l’amministrazione si è già dissociata”. Giustizia: Sbai (Pdl); crimine e violenza non hanno etnia né colore Aki, 7 dicembre 2010 “Il crimine e la violenza non hanno etnia e non hanno colore”. È con queste parole che la deputata del Pdl di origine marocchina, Souad Sbai, ha commentato le vicende che hanno coinvolto la comunità marocchina in questi giorni per il caso di Yara Gambirasio, la 13enne scomparsa in provincia di Bergamo, dopo il fermo del giovane marocchino sospettato di omicidio della ragazza. “Deploriamo comportamenti e condotte criminose che fanno solo del male al Nostro Paese - ha affermato Sbai - chiunque si macchi di reati e di violenze deve essere consegnato alla giustizia le cui autorità prenderanno i provvedimenti del caso, anche i più restrittivi. Siamo stati i primi, come comunità marocchina, a denunciare episodi criminosi e siamo stati i primi a dire e ripetere che in Italia la violenza deve essere debellata. Non è accettabile che le nostre carceri esplodano di criminali di ogni sorta: per questo qualche giorno fa avevamo ipotizzato di indire un referendum in Italia, come accaduto in Svizzera, affinché fosse sancito l’allontanamento di tutti quei delinquenti stranieri che si macchiano di reati gravi”, ha proseguito la deputata. “È necessario recidere una volta per tutte il cordone ombelicale del buonismo che fa solo male alla nostra società e all’integrazione - ha aggiunto. Per questo, come comunità, rivolgiamo un appello alle autorità, perché prendano provvedimenti seri contro la criminalità. Non è giusto che per un’eventuale uno, a pagare siano tutti, comprese le persone per bene e di buona volontà. La stragrande maggioranza degli immigrati in Italia condanna quanto è avvenuto ed è ovviamente preoccupata per certe reazioni. Gli immigrati sono venuti in Italia per cogliere l’opportunità di una vita migliore per sé e i propri figli, senza dover provare paura per ciò che possa venir detto loro a scuola all’indomani di episodi tragici come quelli degli ultimi giorni”. La Sbai si dice “certa che il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, prenderà i provvedimenti idonei, senza lasciare spazio ad alcuna amnistia. La comunità marocchina oggi si stringe al dolore di tutte quelle famiglie colpite dai tragici eventi, come riferitomi dai rappresentanti della comunità stessa”. Giustizia: il Cardinale Tettamanzi; non associamo immigrazione a delinquenza Apcom, 7 dicembre 2010 L’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi fa riferimento ai fatti di cronaca di questi giorni nel suo discorso alla città alla vigilia della festa di Sant’Ambrogio e dice no al binomio immigrazione-delinquenza. Il cardinale oltre a pregare per le vittime e per i loro familiari prega anche “perché non si sovrapponga genericamente a tutti gli immigrati la categoria della delinquenza. Ogni persona, di origine italiana o straniera, deve essere sempre giudicata singolarmente, per quella che è, non dimenticando mai che il giudizio più vero e definitivo è quello di Dio”. Altra categoria di persone ritenuta irrecuperabile secondo Tettamanzi è quella di “coloro che sono in carcere e perciò considerati non più parte della società”. Purtroppo, continua Tettamanzi l’elenco delle persone intorno alle quali è stato creato un terreno ostile è tristemente lungo. Ad esempio “Impresa inutile pare essere quella di tentare di inserire nella società le persone di origine nomade. Il pregiudizio, che a volte trova purtroppo corrispondenza in comportamenti contro la legalità, sconfigge la possibilità di ricercare per loro soluzioni serie e rispettose sia della loro umanità che del resto della Città. Noto come spesso ci si accanisca contro i nomadi, impedendo l’integrazione di chi vuole intraprendere percorsi di legalità e cittadinanza, con il rischio di esporli ancor più alla delinquenza”. In quest’ottica “Aiutare i più deboli permette anche di allontanare da loro quegli “uccelli del cielo” evocati dalla parabola, pronti ad attaccare i semi per ghermirli e fagocitarli in percorsi malavitosi e mafiosi”. Firenze: a Sollicciano mille detenuti in 476 posti; manca tutto, l’acqua calda si paga di Mario Neri (Assessore all’Istruzione del Comune di Firenze) La Repubblica, 7 dicembre 2010 In carcere ogni quindici giorni ti chiedono di pagare per la luce e l’acqua che consumi. Se sei uno che sta dentro, non puoi ricevere pacchi regalo con su scritto il tuo nome a meno che non siano i tuoi parenti a mandarteli. “Così la felpa, i jeans, l’intimo che l’amico o il fidanzato vorrebbero farti avere finiscono in un magazzino, ammassati uno sull’altro, gettati alla rinfusa, e sarà l’amministrazione penitenziaria a decidere chi può indossare che cosa”, racconta Franco Corleone, garante dei detenuti del Comune di Firenze. Nella sezione penale da due mesi le lampade vicino alle brande sono fulminate,e quando alle 11 di sera si spegne la luce, si spengono anche i romanzi, le briscole e le conversazioni. In carcere i passeggi per l’ora d’aria sono da 41bis, “così li ha definiti il direttore”, continua il garante, che dalla prossima settimana riprenderà il digiuno in segno di protesta. Poi mancano l’acqua calda, la carta igienica, lo shampoo, il sapone intimo, la carta da lettere e c’è penuria di francobolli. Sollicciano è anche questo. Nella prigione più sovraffollata della Toscana, dove per una capienza di 476 posti ci sono 1.033 reclusi (4 bambini), l’emergenza per le condizioni di vita si misura anche sulla scala delle privazioni. Oggetti, abitudini, il possesso di qualsiasi cosa è sottoposto a un preciso regolamento, e per la maggior parte è iscritto nella categoria dei divieti. “Basta scorrere la lista delle cose che i parenti non possono portare all’interno”, dice Giuseppe Caputo, membro di l’altrodiritto, associazione di avvocati e giuristi che fornisce assistenza legale gratuita ai detenuti. “Non è permesso alcun oggetto di cancelleria, sapone, dentifricio, rasoi, spazzolini e borotalco, niente cosmetici, tabacco, valori bollati o cartoline, nessun medicinale, nessun tipo di pentola superiore a 22 centimetri di diametro, coperte o piumoni”. In più non si possono tenere in cella più di 4 pantaloni, 4 camice, 4 maglie o maglioni, 3 tute, 2 paia di scarpe, 4 gonne o vestiti per le donne, una giacca ma non con i bottoni automatici, imbottiture e cuciture. “Puniti con la limitazione della libertà, i detenuti soffrono uno stillicidio quotidiano di limitazioni spesso incomprensibili”. L’amministrazione del carcere fornisce poche cose: tre pasti giornalieri, un completo di lenzuola, una coperta e medicinali. Tutto quello che non possono far entrare i parenti potrebbe essere acquistato, “ma il carcere ha una convenzione con un supermercato e non tutto è disponibile, spesso lo sono solo gli alimenti”, continua Caputo. Il vitto per ogni detenuto costa circa3 euro giornaliere all’amministrazione, che ogni giorno se ne riprende 1,80 per il mantenimento. La cifra comprende i consumi energetici di luce e acqua calda, che però manca per via del sovraffollamento. Il carcere li detrae al detenuto dal suo conto corrente interno o dallo stipendio se sei scopino (addetto alle pulizie), spesino (addetto alla lista della spesa), raccattapalle o fra i quattro o cinque che lavorano a mensa. “Per tutti questi lavori si può guadagnare da 150 a 250 euro al mese - dice Caputo - poi ci sono dieci detenuti che compongono una squadra di “privilegiati” che prima di entrare in carcere avevano particolari competenze. Cuoco, meccanico, imbianchino, idraulico, falegname: sono figure che possono guadagnare fino a 500 euro. Purtroppo solo un quinto dei detenuti riesce ad accedere, in maniera saltuaria, al lavoro penitenziario. Quei pochi che lavorano, percepiscono questa misera retribuzione per non più di 1-2 mesi l’anno. Una somma che a mala pena li aiuta a sopperire ai bisogni primari”. E il problema è che a Sollicciano come in tutta la Toscana, più del 50 per cento della popolazione carceraria è costituita da immigrati senza una famiglia che li possa sostenere inviandoli vaglia o bonifici: “Così molti non sono in grado di comprarsi niente. Oggi alcuni detenuti erano senza scarpe e calzini di lana, sarebbero costretti a passare l’inverno in ciabatte se non fosse per la solidarietà dei compagni di cella e l’aiuto delle associazioni di volontariato”, dice Rebecca Tommasi di Pantagruel, che martedì organizzerà una cena alla Casa del popolo dell’Isolotto per finanziare l’acquisto di occhiali da vista per i detenuti. “In carcere spiega Tommasi - il servizio sanitario garantisce solo la visita oculistica e gli psicofarmaci. Molti detenuti stanno inebetiti sul letto per quasi tutta la giornata. Ormai alcuni sono assuefatti e all’interno del carcere quello degli psicofarmaci è diventato una sorta di mercato nero. Con quelli si contrattano francobolli, la doccia con l’acqua calda, cibo, sapone”. È un coinvolgimento generale di tanta parte della società e dei partiti del centrosinistra che nelle città e in parlamento sono in prima fila, perché questa riforma, accanto all’altra, quella della scuola, e agli insopportabili tagli, punta a minare alla base il futuro del nostro paese. È intollerabile, certo, che una protesta sfoci in atti di violenza o di prevaricazione, ma nelle denunce che sono seguite ai fatti di Novoli, in occasione della visita della Santanché, si contesta anche l’adunata sediziosa e non si può negare che l’espressione abbia turbato quanti, come me, ritengono che il termine sia legato a un periodo storico che vogliamo considerare sepolto per sempre, grazie al sacrificio di tanti che hanno lottato per affermare il diritto a manifestare pacificamente. A una protesta corale che sale da tutto il paese non si è dato alcuna occasione di confronto, nemmeno in parlamento, con le chiusure a priori che hanno contraddistinto il percorso della legge, e non si può certo giudicare tale la provocatoria visita della Santanchè che ha solo insultato chi le poneva domande, contribuendo alla esasperazione di tutti. E allora certo la legalità al primo posto e nessuna indulgenza per eventuali infiltrazioni o quant’altro, ma anche l’intransigenza democratica e pacifica nelle occasioni difficili, momenti in cui l’ultima cosa che si deve fare è confondere i principi inalienabili della nostra democrazia, come il diritto a esprimere la propria protesta, con l’idea che chi non è d’accordo con chi sta al governo perda il diritto di esprimere il proprio pensiero nelle piazze o nei luoghi pubblici. Questo dice la nostra Costituzione e su questo dobbiamo vigilare. Pistoia: l’associazione “Il Delfino” denuncia; negate le case per i detenuti Il Tirreno, 7 dicembre 2010 La Fondazione Cassa di risparmio di Pistoia e Pescia ha negato il finanziamento per la costruzione di sette nuovi mini appartamenti ad uso dell’associazione “Il Delfino”. I nuovi locali, che sarebbero dovuti nascere negli spazi attigui del convento dei Cappuccini, erano stati pensati per ospitare i detenuti del carcere Santa Caterina in permesso p emio. Attualmente l’associazione che presta volontariato all’interno della casa circondariale pistoiese mette a disposizione dei detenuti e dei loro famigliari due appartamenti dotati di ogni confort: cucina, bagno, camera da letto, salotto dotato di televisione. La misura del permesso premio è stata introdotta nel 1986 dalla legge Gozzini: il giudice di sorveglianza può autorizzare il condannato a lasciare il carcere per un tempo non superiore a 45 giorni. Una volta ricevuto il nulla osta, l’associazione Il Delfino consegna le chiavi direttamente al detenuto che può così passare il periodo del suo permesso premio insieme alla propria famiglia. “Pochi mesi fa abbiamo presentato un progetto per costruire sette nuovi mini appartamenti - afferma Adriano Mancini dell’associazione Il Delfino. Essendo una onlus costituita da volontari viviamo di donazioni e quindi non abbiamo disponibilità economica. Così, non potendo accendere un mutuo, abbiamo chiesto il finanziamento completo del progetto alla Cassa di risparmio. Purtroppo ieri mi hanno comunicato che il nostro progetto non è stato ritenuto idoneo. Aspetto di sapere le motivazioni di tale decisione. Per adesso c’è solo molta delusione per un sogno che si spezza”. Aversa (Ce): degrado nell’Opg, parlano gli infermieri Il Mattino, 7 dicembre 2010 Degrado ed abbandono, uomini lasciati in balia degli eventi, chiusi in celle anguste e buie, molto spesso affetti da patologie fisiche piuttosto che mentali. Piccoli grandi esseri con storie terribili alle spalle, che oggi vivono, o meglio cercano di sopravvivere, lontani dagli affetti, lontani dagli “altri”, lontani da quel mondo che si sono lasciati alle spalle. Sono i detenuti, ma il termine corretto è internati, dell’ospedale psichiatrico di Aversa, un universo parallelo nella quotidianità. A parlarci di loro e della situazione in cui versano sono tre dipendenti dell’Asl Caserta, distaccati con la qualifica di infermieri presso il presidio. “Infermieri di frontiera”, come piace loro definirsi, che conciliano il lavoro con l’intensa attività sindacale. Si tratta di Luigi Riccardi dell’Ugl, Giovanni Serra della Cisl e Antonio d’Orazio della Uil, in tre ma con un’unica voce: “Di fatto - dicono - il decreto legge 30 maggio 2008 numero 95 che cita le disposizioni relative al riordino del sistema di medicina penitenziaria è stato un fallimento. A tre anni dalla sua ipotetica entrata in vigore nulla è cambiato, anzi. Attualmente l’Opg ospita più di 300 degenti, mentre ne potrebbe contenere appena la metà. Le condizioni igienico sanitarie sono spesso precarie ed in più di un’occasione abbiamo palesato, con lettere ufficiali, la situazione ai commissari sanitari che si sono susseguiti nel tempo, al direttore sanitario Ferraro e al direttore della penitenziaria Giaquinto”. Secondo l’incartamento in possesso dei tre sindacalisti, la situazione in cui si trovano gli operatori e gli internati, sono davvero impressionanti. Mancano letti di contenimento, mancano siringhe e materiale sterile, mancano guanti e tute che possano garantire agli stessi infermieri una sicurezza sul posto di lavoro, tra l’altro tanto particolare. Un esempio su tutti: qualche settimana fa un’epidemia di pediculosi ha causato gravi problemi anche agli operatori sanitari. Per non citare gli episodi di violenza fisica di cui infermieri e polizia penitenziaria sono spesso vittime. Al fine di incrementare la presenza di infermieri una soluzione ci sarebbe: “Si potrebbe sperimentare la soluzione dell’Asl Napoli 1, in cui a fronte della carenza di personale - spiega Riccardi - sono stati assunti a tempo, personale Osa di ditte private”. Certo, una soluzione che potrebbe alleviare la gravissima situazione in cui riversano uomini e donne, la stessa situazione che ha spinto in passato molti a cercare e trovare la morte, piuttosto che una finta vita. Massa: appello dal carcere; voglio rivedere mio figlio! Il Tirreno, 7 dicembre 2010 Appello dal carcere: “Voglio rivedere mio figlio”. A farlo è un giovane detenuto con problemi di tossicodipendenza che ha 28 anni e da 24 mesi si trova in una cella del penitenziario di via Pellegrini. Da allora non vede il figlioletto di 5 anni. È stata l’assistente sociale a impedire al bimbo di vedere il genitore perché il carcere non è un luogo adatto ai minori. “Senza mio figlio sto male - scrive al Tirreno -. Anche mia moglie ha problemi di tossicodipendenza e di depressione, ma lei sta con nostro figlio giorno e notte. Non è giusto che mi si faccia pagare una condanna sulla condanna. Io voglio vedere il mio bimbo perché senza di lui sto troppo male”. Il piccino aveva appena tre anni quando il padre, dopo essere stato arrestato, finì nel carcere di Massa. Da allora non lo ha più visto: “Da quando mi vietano di vederlo sono caduto in depressione. C’è anche un decreto del giudice che dice che posso vederlo purché alla presenza di un’educatrice. E per questo non riesco a capire perché non posso parlargli, perché non posso abbracciarlo, perché non posso accarezzarlo come fanno tutti i genitori con i loro figli”. E il ventottenne aggiunge: “Io ho commesso degli errori e per questi sto pagando con il carcere, non vedo ragione perché debba pagare ulteriormente stando lontano dal mio piccolino”. E l’uomo conclude la sua lettera: “Questo appello attraverso le pagine del Tirreno è l’ultima speranza che ho che il mio appello venga ascoltato da qualcuno. Io sto troppo male, ho bisogno di mio figlio. Questa depressione mi sta divorando l’esistenza”. Viterbo: assistenza sanitaria penitenziaria, seconda edizione del corso per operatori sanitari Il Messaggero, 7 dicembre 2010 Si è svolto mercoledì primo dicembre, a Mammagialla, un incontro organizzato dal dirigente della Casa circondariale di Viterbo, Franco Lepri. Mercoledì scorso, primo dicembre, presso la Casa circondariale di Mammagialla a Viterbo, si è svolta la seconda edizione del corso Ecm (Educazione continua in medicina) dal titolo “Pianeta carcere,assistenza sanitaria dopo il Dpcm 01.04.2008”. L’iniziativa, voluta fortemente dal dirigente sanitario della struttura di reclusione viterbese, Franco Lepri, riveste un’importanza notevole perché apre le porte del carcere a eventi formativi e informativi, coinvolgendo tutte le figure professionali della Ausl di Viterbo impegnate nell’erogazione dei servizi sanitari alla popolazione carceraria. Durante l’incontro sono state anche presentate due tesi di laurea svolte a Mammagialla. La prima, incentrata sulla riabilitazione psichiatrica in carcere, è stata illustrata da Giada Misoscia, del corso di laurea in Tecnico della riabilitazione psichiatrica (Università La Sapienza Prima Facoltà di Medicina con sede a Viterbo), alla presenza del relatore Simona De Simoni e del correlatore Mariani, vice presidente dell’associazione di volontariato Gavac che opera in carcere nel settore della riabilitazione dei detenuti. La seconda è una tesi di master dell’Università della Tuscia di Anna Corsetti, infermiera che opera presso la struttura detentiva. Un lavoro, questo, che ha approfondito il tema dell’Istituzione penitenziaria e della comunicazione, soffermandosi ad analizzare le relazioni tra operatori e detenuti. L’iniziativa ha riscosso interesse e apprezzamento da parte degli operatori sanitari che vi hanno partecipato. Per questa ragione è nelle intenzioni di Franco Lepri proporre una terza edizione del corso nel mese di marzo, con più giornate di approfondimento su varie tematiche (psichiatria, malattie infettive, cardiologia, pronto soccorso, relazione terapeutica con il paziente detenuto) rivolte sia al personale sanitario presente già in carcere, sia agli operatori che intendono prestare la loro professionalità all’interno di Mammagialla. Catania: mio figlio, in carcere in Sardegna, trattato come un animale La Sicilia, 7 dicembre 2010 Diritti umani nelle carceri calpestati. E se quest’anno si sono registrati oltre 60 suicidi un motivo ci sarà pure. L’ennesima storia riguarda stavolta un ergastolano catanese detenuto nel carcere di massima sicurezza Badu ‘e Carros in Sardegna che dallo scorso 27 ottobre ha iniziato uno sciopero della fame a causa del trattamento che gli viene riservato ormai da un anno. La madre del detenuto intende lanciare un disperato appello per salvare il figlio. “Dopo 20 anni di carcere - denuncia la signora - mio figlio non è ancora riuscito, nonostante le numerose richieste, ad ottenere un trasferimento che gli permetta di avvicinarsi alla famiglia. In seguito alle sue proteste, per punizione, non solo gli è stata tolta la cella singola, a cui ha diritto, ma - in seguito a una sua crisi - è stato trattato in maniera disumana nonostante fosse debilitato per la prolungata astinenza da cibo”. La donna, che è ammalata e che non naviga nell’oro, non vede il figlio da due anni perché non è in grado di affrontare il viaggio. E ora non sa più a chi votarsi. “Mio figlio - puntualizza - è stato tenuto in un cella di isolamento priva di qualsiasi servizio ed è stato trattato come un animale. È stato visitato dal medico che gli ha riscontrato numerose ecchimosi e contusioni”. In venti anni di detenzione, l’uomo, padre di due figlie e nonno di un nipotino (ndr: che non ha mai potuto conoscere), ha girato numerosi carceri della Penisola senza mai usufruire di un permesso. Ristretto a Badu ‘e Carros dal gennaio 2010, nel luglio scorso, dopo incomprensioni per ottenere la cella singola per motivi psichiatrici ed un computer per scrivere, si è rivolto al Dap chiedendo il trasferimento in un istituto penitenziario “in cui poter intraprendere un percorso professionale e didattico che gli desse la possibilità di diventare “un cittadino degno e un uomo meritevole di stima”. Nell’esposto aveva sottolineato la volontà di “sfruttare le occasioni che il carcere avrebbe potuto offrirgli con l’opportunità di seguire corsi di informatica, di scuola alberghiera, di specializzazione da elettricista e quanto altro potesse aiutarlo nel percorso di reinserimento sociale nonostante l’ergastolo”. Inutile dire che dal Dap non è mai arrivata risposta. Bologna: le famiglie fanno festa e alla Dozza il tempo vola A volte il tempo dura meno dentro le mura di un carcere, non basta mai. Un paio d’ore vale come una manciata di minuti. Anche quest’anno le porte del carcere della Dozza si sono aperte per una settimana ai parenti dei detenuti, in occasione della “Festa della famiglia”. Da lunedì fino a ieri, due ore al giorno di visite. Massimo quattro parenti hanno potuto incontrare i loro cari, senza che nessuna barriera li dividesse, davanti ad un tavolino mangiando una fetta di torta e bevendo un po’di aranciata dentro la sala del cinema. C’è chi si scambia carezze e baci, chi ride e scherza, chi piange per tutta la durata della visita mentre il compagno con un fazzoletto le asciuga le lacrime. Una coppia rimane in silenzio, non ha niente da dire e a fatica i loro occhi si incrociano. Un’altra coppia sta zitta, invece che parlare preferisce tenersi per mano. Sono soprattutto donne e stranieri con i loro volti segnati e rassegnati. Gente qualsiasi e c’è anche qualche faccia nota, come quella di Anna Maria Franzoni. Per i più piccini arriva Babbo Natale, sotto il vestito rosso si nasconde un volontario dell’Avoc, l’associazione che organizza gli incontri. Porta con sé un carrello della spesa pieno di giocattoli. “Ma sono giochi per bambini piccoli” sbuffa uno di appena otto anni. Anche lui alla fine trova qualcosa e in giro di poco il cesto si svuota. “Una delle caratteristiche del carcere è quella di rompere le famiglie” spiega la volontaria Maria Luisa Casini Tibaldi. Per questo l’obiettivo dell’Avoc è riunire i parenti dei detenuti, sia dentro che fuori dal penitenziario. Già quattro alloggi del Comune sono stati affidati all’associazione per ospitare i carcerati che hanno ottenuto un permesso e per le famiglie che arrivano da fuori. Iniziato poco dopo l’una di pomeriggio, verso le tre e mezza arriva l’ora dei saluti. Non sono molti i fortunati che hanno potuto toccare e abbracciare i propri parenti. Tra i circa 1166 detenuti, poco più della metà ha potuto chiamare i propri cari. E solo i familiari di 167 hanno risposto di sì agli incontri. Bologna: primario arrestato, garantiva favori a detenuto mafioso Dire, 7 dicembre 2010 Tra il primario Mauro Menarini e il mafioso Silvio Balsamo si era instaurato un rapporto così confidenziale che il medico chiamava il finto paraplegico “Silviuccio”. Emerge anche questo dall’indagine che questa mattina ha portato agli arresti domiciliari il primario della struttura riabilitativa di Montecatone, accusato di aver redatto certificati falsi per permettere al detenuto Balsamo di scontare la pena agli arresti domiciliari ma anche per intascarsi una pensione Inps da invalido di circa 1.000 euro al mese. La Procura (pm Lorenzo Gestri e Valter Giovannini) aveva chiesto il carcere per Menarini, ma il gip Pasquale Margiocco ha ritenuto sufficienti gli arresti domiciliari. Per il primario le accuse sono false attestazioni in certificati medici e truffa aggravata ai danni dello Stato; il gip motiva la misura col rischio di inquinamento delle prove, ma anche con l’eventuale reiterazione del reato verso altri soggetti. La struttura di Montecatone è “totalmente estranea alle accuse, nè ci sono altri camici bianchi indagati”, sottolinea il procuratore aggiunto Giovannini nella conferenza stampa di oggi pomeriggio in Questura. Non è ancora chiaro cosa Menarini ricevesse in cambio dei certificati compiacenti in cui aveva messo nero su bianco la paraplegia progressiva e irreversibile da cui era affetto Balsamno (denominata scientificamente “siringomielia dorsale”). Diagnosi completamente smentita, sottolineano gli investigatori, dall’autopsia eseguita con molta attenzione sul corpo di Balsamo: i suoi muscoli erano assolutamente tonici, cosa incredibile per una persona che non camminava da anni (al di là di qualche seduta di riabilitazione) e anche lo studio eseguito sul midollo spinale ha escluso la malattia. Insomma, che si sia trattato di una diagnosi truffaldina e non errata è certo. Una prova in questo senso arriva anche dal fatto che, nel corso delle indagini, più volte gli infermieri di Montecatone avevano espresso “ripetuti, forti e seri dubbi” circa la paraplegia del 42enne, ha spiegato l’aggiunto Giovannini, che oggi ha parlato in quanto portavoce della Procura. Che cosa Menarini ricevesse, in cambio della sua compiacenza, deve essere ancora chiarito: gli inquirenti per ora parlano di “favori” generici, come emerge da alcune intercettazioni, ma il contesto è ancora da chiarire. È invece chiaro il tornaconto di Balsamo: grazie ai certificati fasulli (destinati al Tribunale di sorveglianza), il 42enne aveva prima di tutto ottenuto la possibilità di scontare la pena per associazione mafiosa (fine pena nel 2023) agli arresti domiciliari; a seguire, c’era una pensione Inps, che attestava un’invalidità civile al 100%, da circa 1.000 euro al mese, comprensiva di accompagnamento, e poi una serie di strumenti medicali di prima qualità. A partire dalle tre carrozzine ipertecnologiche dotate di comandi e comfort (del valore di 10.000 euro) alla sedia girevole per la vasca (405 euro), fino ai quattro cateteri al giorno che l’Ausl gli passava gratis: in teoria, infatti, la patologia lamentata da Balsamo avrebbe dovuto impedirgli di fare pipì normalmente, ma i cateteri sono stati trovati a centinaia, mai utilizzati, in casa sua durante la perquisizione del gennaio scorso (quella in seguito alla quale si è suicidato, a quanto pare per errore). Menarini garantiva poi a Balsamo anche alcuni privilegi, nel periodo in cui era ricoverato a Montecatone (tra il 2000 e l’aprile 2006, quando ottenne i domiciliari): aveva accesso a locali privati dell’ospedale (la biblioteca) e aveva rapporti sessuali, di notte, nel suo letto d’ospedale. Lucca: l’Aids spiegato ai carcerati con il film “+ o - il sesso confuso” Il Tirreno, 7 dicembre 2010 L’iniziativa più importante tra quelle legate alla Giornata della Lotta all’AIDS a Lucca si è svolta quest’anno all’interno del carcere di San Giorgio, dove - in collaborazione con la Casa Circondariale - si è svolta oggi (giovedì 2 dicembre) la proiezione del film “+ o -. Il sesso confuso. Racconti di mondi nell’era Aids” di Andrea Adriatico e Giulio Maria Corbelli, cui è seguito un interessante dibattito. All’evento, oltre ad uno dei registi, Giulio Maria Corbelli, hanno preso parte anche: il direttore del carcere Francesco Ruello, la responsabile di zona distretto dell’Azienda Usl 2 Cristina Petretti, l’assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Lucca Mario Regoli, l’assessore ai Servizi Sociali del Comune di Lucca Angelo Monticelli, il vicesindaco del Comune di Capannori Luca Menesini, il vicepresidente del Ce.I.S. Aldo Mencarini, la presidente di Nps Toscana Ilaria Ghelardini, il Gruppo Volontari Carcere nella persona di Massimiliano Andreoni, nonché esperti degli Enti e delle Associazioni promotori dell’iniziativa. Il film ripercorre il problema Aids dagli anni 70-80 ai nostri giorni. I due registi hanno girato oltre 150 ore, per poi ridurre il reportage a un’ora e mezzo (per le sale cinematografiche) e ad un’ora, la versione per la tv che è quella proiettata oggi (giovedì 2 dicembre) a Lucca. È la prima volta che in questa Giornata si entra in una struttura penitenziaria per ricordare che la lotta all’AIDS deve avvenire ovunque e che non esistono luoghi chiusi per combattere questa infezione. Nelle carceri italiane il 7% delle persone recluse è positivo al virus dell’Hiv. Questo dato, tanto rilevante, fornisce una misura solo quantitativa dell’importanza del problema e impone una riflessione sulla complessità dell’argomento. L’incontro presso la Casa Circondariale ha permesso di raggiungere una popolazione esposta al problema, ma generalmente esclusa dalle normali attività di promozione sociale e di informazione. Per questi motivi è stato scelto il carcere come luogo emblematico lucchese per lottare contro l’Hiv e contro la discriminazione che purtroppo ancora oggi accompagna questa infezione. Anche quest’anno è stata organizzata una distribuzione di materiale informativo sulla prevenzione dell’Aids e profilattici in collaborazione con pub e discoteche. Questi i locali che hanno aderito all’iniziativa: bar “Cupido” Lucca, birreria “Bruton” S. Cassiano di Moriano, Irish pub “McCulloughs” Lucca, Kuku Disco Lucca, “Makia” Porcari, Nicolàs Lucca, Nuovo “Skylab” Piano di Coreglia, “T Caffè” Lucca. Sul nostro territorio le iniziative collegate alla Giornata per la Lotta all’Aids sono il frutto di un lavoro capillare e integrato di pubblico e privato sociale, che vede coinvolti la Provincia di Lucca, i Comuni di Lucca e Capannori, l’Azienda Usl 2, la Conferenza dei Sindaci, l’Azienda Usl 12, il Ce.I.S. Gruppo “Giovani e Comunità”, l’associazione Nps Toscana, il Gruppo Volontari Carcere di Lucca. Bulgaria: nuova legge prevede da 3 a 8 anni di carcere per pesca di frodo Ansa, 7 dicembre 2010 Dai tre agli otto anni di carcere per la pesca illegale di oltre 200 kg di pesce prevedono le modifiche del codice penale, ha detto ieri il direttore dell’Agenzia Nazionale per la pesca e l’acquacoltura, Yavor Nedev. Secondo il capo dell’agenzia Yavor Nedev la normativa corrente permette ai bracconieri di essere condannati a un massimo di un anno con la condizionale, e le multe sono ridicole, circa 500 leva. Seguendo l’esempio di paesi mediterranei, però, al più presto possibile il bracconaggio in Bulgaria sarà punito non solo con multe salate, ma anche con la prigione. “Tra tre e otto anni effettivi, a discrezione del giudice, oltre a una multa tra i 5 ei 15.000 leva, più la confisca dei beni detenuti nel corso del crimine, l’automobile, la barca e così via. Noi non consideriamo come bracconieri coloro i quali sono venuti a pescare con la famiglia un paio di chili di pesce e i nostri ispettori non perseguirebbero mai una persona del genere”, ha detto Nedev. Dall’inizio dell’anno l’Agenzia Nazionale per la pesca e l’acquacoltura ha effettuato circa 30.000 ispezioni in cui sono state sequestrate oltre 13 tonnellate di pescato illegale e bruciate centinaia di chilometri di reti, ha riferito il ministro dell’Agricoltura, Miroslav Naydenov. “Grazie agli sforzi della nuova equipe dell’agenzia, la speranza è che i quattro anni di abbandono del programma “pesca” possano essere recuperati e l’atteggiamento della Commissione europea verso la Bulgaria, cambiato”, ha detto il ministro Naydenov.