Giustizia: dall’emergenza al piano carceri, un 2010 “ristretto” di Ilaria Sesana Avvenire, 31 dicembre 2010 L’anno che si chiude tra pochi giorni, 58 bambini lo saluteranno da dietro le sbarre. Hanno meno di tre anni e stanno in galera con le loro mamme, prevalentemente straniere e di etnia rom. Poi ci sono 66 persone, perlopiù giovani, che si sono tolte la vita in cella, impiccandosi o soffocandosi con il gas. Mentre altri 171 detenuti sono deceduti “per malattia o altre cause”, come Graziano Scialpi, morto di tumore dopo un anno di atroci sofferenze senza che gli venisse dato il permesso per fare un esame medico. Storie e numeri di questo 2010, anno che si era aperto con la proclamazione dello “stato d’emergenza” per le carceri e che si conclude con oltre 69mila detenuti. “Cinquemila in più rispetto a inizio anno - commenta Francesco Morelli di Ristretti Orizzonti. Negli anni precedenti aumentavano anche di 10mila unità in un anno. Bisogna capire quali sono le cause di questo rallentamento: se è diminuito il numero di ingressi o sono aumentate invece le scarcerazioni”. Leggermente in calo, rispetto allo scorso anno, anche il numero dei suicidi: nel 2009 (anno che fece registrare un tragico record) furono 72. “Forse, a forza di battere su questo tema, c’è stata un po’ più attenzione”, puntualizza Morelli. Dal punto di vista legislativo, qualcosa si è mosso: è entrata in vigore il 16 dicembre la nuova legge definita impropriamente “svuota - carceri” (che consente di scontare l’ultimo anno di pena ai domiciliari) e non resta che attendere l’impatto che avrà sul sovraffollamento carcerario. Esiti che, temono in molti, saranno minimi, come dimostra il caso di Cagliari: su quattro detenuti all’ultimo anno di pena, solo uno ha potuto godere dei domiciliari. Gli altri tre, due italiani e un tunisino, non sapevano dove andare. Continua intanto anche il lavorio del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria che nel mese di dicembre ha siglato accordi con le Regioni Sicilia e Veneto e la Provincia di Bolzano per la costruzione di nuove carceri e nuovi padiglioni. Nei primi mesi del 2011 saranno aperti i cantieri a Venezia (450 posti), Bolzano (220 posti con una sezione femminile), Catania, Marsala, Mistretta e Sciacca (450 posti l’uno). “Il Piano carceri - aveva detto Franco Ionta, commissario delegato per il Piano Carceri - intende operare u - na transizione dall’emergenza cronica dovuta al sovraffollamento delle carceri alla stabilizzazione del sistema penitenziario. In quest’ottica le opere di edilizia carceraria sono solo un tassello, pur indispensabile, dell’articolato piano del governo per risolvere l’emergenza”. Il Piano prevede la realizzazione in tempi rapidi di 11 nuovi istituti e di 20 padiglioni che garantiranno 9.150 nuovi posti, per un costo complessivo stimato di 675 milioni di euro. Nel frattempo però le strutture di Trento (costruito dalla Provincia) e di Rieti sono operative al 20% delle loro potenzialità: mancano infatti gli agenti di polizia necessari al funzionamento delle nuove strutture. “Il 2010 è stato un anno di speranze perdute e occasioni mancate - sintetizza, amaramente Eugenio Sarno, segretario generale della Uil - Pa - . È stato bandito un concorso per l’assunzione di 600 poliziotti, ma non abbiamo notizie dei finanziamenti. In tutte le strutture d’Italia gli organici sono in sofferenza: basti pensare che il carcere di Buoncammino (Cagliari) di notte è sorvegliato da dieci agenti. Mentre in quello di Ancona, in cui ci sono protetti e 41 bis, di notte ci sono solo nove poliziotti”. Non a caso, il 2010 è stato anche l’anno dei 264 agenti aggrediti che hanno riportato una prognosi superiore ai cinque giorni e delle 16 evasioni (riuscite). Giustizia: svuota-carceri al via, ma solo un terzo dei papabili ne potrà usufruire di Francesco Grignetti La Stampa, 31 dicembre 2010 Erano oltre 68 mila, ieri, i detenuti nelle carceri italiane. Un sovraffollamento pazzesco, se si considera che le carceri potrebbero ospitare 44 mila persone e la soglia di tollerabilità massima sarebbe di 65 mila. E per fortuna che in 4 sono usciti dal carcere di Palermo grazie all’ultimissima legge che dovrebbe far rifiatare gli istituti di pena. Già, perché il 16 dicembre è entrata in vigore una leggina d’iniziativa governativa, ribattezzata spregiativamente “svuota-carceri”, che permetterà a chi deve scontare 12 mesi di pena di passarli ai domiciliari. Ma siccome un domicilio è assolutamente indispensabile, ed anche l’assenso dei familiari ad accogliere il congiunto carcerato, ecco che già si lamenta che “magari fosse uno svuotamento del carcere come qualcuno dice”. Marco Travaglio, ad esempio, sull’onda di certe pulsioni cavalcate da leghisti e dipietristi, ha sostenuto che si tratterebbe di un “indulto mascherato”. Gli ha risposto il sindacato della polizia penitenziaria Osapp con tono rassegnato: “Ci sembra una delle poche soluzioni praticabili”. La stima più realistica è che alla fine saranno tremila, più o meno, i detenuti che potranno andare ai domiciliari. Che nelle carceri italiane si viva malissimo, è un dato di fatto. Aumenta la popolazione carceraria al ritmo di 5.000 persone in più ogni anno. Aumentano in maniera esponenziale le morti: 170 nel corso del 2010. Aumentano i suicidi: 65 i casi registrati quest’anno. L’ultimo a Rebibbia, due giorni fa: un rom di 24 anni si è ucciso impiccandosi; avrebbe terminato la sua pena nel maggio prossimo. E gli avvocati penalisti dell’Unione camere penali, che hanno il polso della situazione di chi vive dietro le sbarre, inorridiscono: “Il rapporto tra chi si uccide tra le persone ristrette in carcere e quelli libere è di 19 a 1. Una percentuale talmente sproporzionata da non essere spiegabile unicamente con la difficile situazione psicologica derivante dalla limitazione della libertà personale. Alcune ricerche indipendenti hanno dimostrato una correlazione fra sovraffollamento e suicidi: in nove istituti dove si registrano almeno due suicidi all’anno, il tasso medio di sovraffollamento è del 176% contro un dato nazionale del 154%; e la frequenza dei suicidi è di 1 caso ogni 415 detenuti, mentre la media nazionale è di 1 su 1090”. La legge che porta la firma del ministro Angelino Alfano dovrebbe dare una boccata d’ossigeno al sistema. In teoria potrebbero accedere ai benefici in 9600, di cui 4500 stranieri. Ma poiché questi ultimi sono proprio quelli che in genere non hanno un domicilio sicuro, né un reddito, e spesso neppure un familiare che se lo prenda in carico, è presumibile che saranno proprio loro, gli stranieri, quelli che passeranno meno facilmente al vaglio dei tribunali di sorveglianza: finirà che i detenuti italiani potranno utilizzare la legge e gli immigrati no, continuando a intasare le celle. E questo è un cronico cruccio del ministro. “Se togliamo dai circa 70 mila detenuti i 24 mila stranieri - spiegava qualche giorno fa, invocando una soluzione europea per le carceri - abbiamo la capienza regolamentare degli istituti. Vuol dire che le carceri italiane sono attrezzate per i detenuti italiani. Il detenuto straniero fa pagare al nostro Paese un costo in termini di sicurezza e di ingolfamento del processo. Almeno vitto e alloggio se lo facciano pagare dal proprio Paese”. E invece no. “È inevitabile - commenta Sandro Favi, responsabile del Pd per le carceri - che finisca così. Il punto è che ci sono alcune leggi, in particolare la Bossi - Fini contro l’immigrazione clandestina, la Fini - Giovanardi con le pene per i tossicodipendenti, e la ex Cirielli sulle recidive, che nell’insieme hanno un plateale effetto sugli indici di carcerazione. Il risultato è che il carcere è pieno solo di povera gente, di tossici, di malati e di stranieri”. Giustizia: inerzia, indifferenza, impotenza, intanto nelle carceri si continua a morire di Valter Vecellio Notizie Radicali, 31 dicembre 2010 Si chiamava Rambo Djurjevic, era un rom di 24 anni. Arrestato assieme al fratello per furto, era rinchiuso nel carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso. Fra soli cinque mesi, a maggio, sarebbe stato scarcerato. Cinque mesi sono niente, ma per Rambo Djurjevic devono essere sembrati troppo, interminabili, insopportabili. Ha ricavato da un lenzuolo una corda, e si è impiccato. È il 66esimo detenuto che “evade” in questo modo. È una drammatica questione sociale. L’altro giorno ci siamo occupati del caso di Ferdinando Paniccia, 27 anni, detenuto nel carcere di Sanremo; pesava oltre 180 chili, disabile e malato. Un morto che non doveva morire, almeno non come è stato lasciato morire. Tra decessi e suicidi siamo ormai a cifre impressionanti, conferma che il carcere non è più solo luogo di limitazione della libertà personale, ma istituzione dove si rischia la vita e spesso la si perde. La Costituzione - quella che ci si dice sia la Costituzione più bella del mondo - prescrive che il carcere sia un “luogo di rieducazione”; al contrario è una vera e propria, letterale discarica sociale dove vengono meno i principi fondamentali del diritto e dell’umanità. Il rapporto di chi si uccide tra persone in carcere e libere è di 19 a 1: percentuale sproporzionata e spiegabile unicamente con la difficile situazione psicologica derivante dalla limitazione della libertà personale. Recenti ricerche, si legge nel documento elaborato dall’Unione delle Camere Penali, “hanno dimostrato correlazione fra sovraffollamento e suicidi. In nove istituti dove si registrano almeno due suicidi all’anno, il tasso medio di sovraffollamento è del 176 per cento contro il 154 a livello nazionale e la frequenza dei suicidi è di 1 su 415 detenuti a fronte di una media di 1 su 1.090”. Non solo: “Un’altra ricerca evidenzia come i regimi speciali di detenzione (che riguardano il 10 per cento della popolazione carceraria) nel 2010 siano stati interessati dal 60 per cento dei suicidi. Un dato che dà ragione a chi definisce il regime del 41 bis una “tortura bianca”, dove molte limitazioni, più che ai giusti criteri di sicurezza, si ispirano a criteri di applicazione disumana della pena”. Inerte, indifferente, impotente il ministro della Giustizia, la sua maggioranza. Ma inerti, indifferenti, impotenti, anche le opposizioni. Quello delle carceri, della giustizia, è il più grande e grave problema sociale del paese. Ma non vedono, non sentono, non parlano. Intanto nella discarica che chiamano prigione si soffre, si muore. Giustizia: i volontari chiedono più dialogo e collaborazione con le istituzioni e la politica di Ilaria Sesana Avvenire, 31 dicembre 2010 In passato sembrava più possibile un dialogo e uno scambio collaborativo con le istituzioni e la politica. Negli ultimi anni però questo dialogo è venuto a mancare: non c’è mai stata una situazione di così scarsa collaborazione e disposizione all’ascolto. I volontari hanno assistito al progressivo peggioramento della vita nelle carceri e in alcuni si è fatta largo la disillusione, un senso di sconforto”. Elisabetta Laganà, presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia, riassume così l’anno che si sta per concludere. Una rassegnazione e uno sconforto cui però il volontariato penitenziario non si è piegato: “Di fronte all’idea che “niente vale” è importante continuare la testimonianza e il proprio lavoro”. Il 3 maggio 2010 avete lanciato un appello per una mobilitazione pacifica dei volontari, fino all’autosospensione dal servizio, per sensibilizzare l’opinione pubblica e sollecitare le istituzioni a intervenire. Come mai questa decisione? In quella data avevamo superato la soglia di 67mila detenuti. Segno che ci stavamo trovando di fronte a una situazione inaccettabile di cui la politica e la società non si curavano. Abbiamo così deciso di dare vita ad alcune iniziative pubbliche per “fotografare” il carcere nella sua vera realtà: un luogo in cui viene rinchiuso il disagio sociale. In cui vivono tossicodipendenti, immigrati, malati fisici e psichici. Volevamo dare luce a questi aspetti, perché è urgente iniziare a ragionare su un reale piano sociale per le carceri. Nel concreto, quali iniziative avete preso? Alcuni volontari hanno sospeso il servizio. Poi, in base alle esigenze delle singole realtà, sono state organizzate mostre o altre iniziative di sensibilizzazione. Il 24 settembre abbiamo organizzato un sit - in davanti a Montecitorio per richiamare l’attenzione su una serie di questioni che andrebbero affrontate senza esitazioni e pregiudizi: dalla scarsa applicazione delle leggi Smuraglia e Gozzini, alla norma sulle detenute madri che non viene approvata, alle leggi ispirate alla tolleranza zero. Avete lanciato anche iniziativa “cella in piazza”: avete esposto al pubblico la riproduzione fedele di una cella realizzata dai detenuti di Verona. Che reazioni ha suscitato tra la gente? Le persone hanno avuto modo di toccare con mano cosa vuol dire vivere in soli 11 metri quadrati. Ma soprattutto, questa iniziativa ha spinto la gente a interrogarsi, a fare domande per capire cosa succede veramente nel carcere. Quali sono le prospettive per il nuovo anno? Rimangono diverse questioni aperte. Ci sono, ad esempio, circa 10mila tossicodipendenti in carcere che potrebbero accedere alle comunità terapeutiche. Poi, dato che la cosiddetta “legge svuota - carceri” inciderà in misura minima (e a tempo determinato) sul sovraffollamento servirebbe il coraggio di avviare un’inversione di rotta della detenzione come unica pena a favore di pene e provvedimenti alternativi al carcere. Da parte nostra non c’è arrendevolezza: continuiamo a chiedere che tutti coloro che hanno a che fare con il mondo del carcere interloquiscano tra loro. Una politica di riforma del mondo penitenziario non può prescindere dal dialogo tra tutti i soggetti coinvolti. Giustizia: Prc; oggi saremo in carcere, contro tutte le “zone rosse” di Giovanni Russo Spena Liberazione, 31 dicembre 2010 Il 31 dicembre, come ogni anno, le donne e gli uomini del Prc e della Federazione della Sinistra saranno nelle carceri. È un dovere per noi che riteniamo che la lotta contro l’inciviltà e l’illegalità della condizione carceraria debba assumere il ruolo di centralità strategica nell’iniziativa politica. Lottare, infatti, per lo stato sociale universale, che il governo autoritario del capitale abbatte, significa lottare anche per i diritti delle detenute, dei detenuti, dei migranti contro lo stato penale globale. Oggi una delegazione, formata dal consigliere regionale umbro Damiano Stufara, da Mario Pontillo e da me, sarà nel carcere di Spoleto. Incontreremo, tra l’altro, i detenuti ergastolani che animano, con cultura, intelligenza, passione il coordinamento che lotta per l’abolizione dell’ergastolo, dell’ergastolo ostativo, dei manicomi giudiziari (i cosiddetti “ergastoli bianchi”), cinica e incivile vendetta contro la legge Basaglia. Il coordinamento dei detenuti chiama la politica di sinistra alla centralità dell’impegno garantista. In carcere si muore; in carcere la tortura è ridiventata pratica sistematica. Il securitarismo del governo ha costruito un indegno ponte tra carcere e territorio: il carcere ingabbia drammi sociali, ingiustizie, dentro le mura, dietro le sbarre; e il carcere inonda il territorio (cosa altro è, infatti, la “zona rossa” contro studenti, precari, pastori sardi a cui, con i manganelli della polizia, non è stato permesso di uscire dal porto di Civitavecchia?). Il carcere si proietta nel fermo preventivo fascista, nel divieto di manifestare. Domani, a Spoleto, incontreremo anche Carmelo Musumeci, animatore della lotta per l’abolizione dell’ergastolo e scrittore fine, letterato colto. Il suo libro “Gli uomini ombra” della Gabrielli Editori contiene pagine di vera letteratura ed è un efficacissimo spaccato della condizione carceraria. Mi auguro che il libro venga presentato in ogni città come impegno civile per la ricostruzione di un argine costituzionale all’abbattimento dello stato di diritto. Mi fa molto piacere che Carmelo Musumeci abbia chiesto la tessera del nostro partito (è anche un incoraggiamento per il nostro lavoro ostinato sulla “depenalizzazione”, sul “diritto penale minimo”). Consegneremo la tessera con gioia e anche con un po’ di commozione. Genova: Sappe; nel 2010 transitati da Marassi oltre 5.500 detenuti Ansa, 31 dicembre 2010 Sono stati oltre 5.500 le persone detenute transitate nell’anno 2010 nel carcere genovese di Marassi. I dati sono resi noti dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri, che ha fornito un ampio resoconto dell’attività della Polizia Penitenziaria in servizio nel carcere della Valbisagno. “I numeri, anzitutto”, spiega Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sappe. “Oggi abbiamo detenuti in carcere a Marassi circa 780 persone rispetto ad una capienza regolamentare di poco superiore ai 450 posti: un anno fa, il 31 dicembre del 2009 ne avevamo 720 circa mentre lo stesso giorno del 2008 erano 600. Oggi più della metà dei detenuti sono imputati mentre gli stranieri in carcere a Marassi sono il 60% circa dei presenti. I detenuti tossicodipendenti sono 350, il 45% dei presenti, mentre quelli che lavorano prevalentemente in servizi interni d’istituto sono solamente 56. Complessivamente, nell’anno 2010 sono passati in piazzale Marassi 5.500 persone: 3mila in entrata e 2.500 in uscita. Più di 5.200 sono i detenuti tradotti dai colleghi del Nucleo Provinciale Traduzioni (che pure lavorano sistematicamente sotto organico) in altri Istituti, presso le Aule di Giustizia o strutture ospedaliere: parliamo di circa 1.900 servizi di traduzione. Sono stati fino ad oggi solo 4, infine, i detenuti di Marassi scarcerati per scontare, così come prevede la legge recentemente approvata dal Parlamento, l’ultimo anno di pena in detenzione domiciliare.” “Nota particolarmente dolente” evidenzia ancora Martinelli “è quella che riguarda gli organici della Polizia Penitenziaria: gli agenti di Marassi previsti in organico sono 472 ma in forza ve ne sono in realtà 316 (ben 156 in meno!). Questo ha prodotto anche gravi episodi di aggressione ai nostri Baschi Azzurri, una quindicina circa con i colleghi spesso rimasti feriti e contusi. Nonostante queste gravi carenze organiche, nel 2010 i nostri bravi Agenti di Polizia Penitenziaria in servizio a Marassi sono intervenuti tempestivamente salvando la vita a 6 detenuti che hanno tentato di suicidarsi ed impedendo che i circa 110 atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed avere ulteriori gravi conseguenze. Spesso questi nobili gesti delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria, che quotidianamente lavorano con grande professionalità nel carcere genovese di Marassi non ha il risalto mediatico che invece meriterebbe. Perché il nostro è un lavoro duro e difficile, svolto ogni giorno nel pieno rispetto delle leggi e dei regolamenti con passione, competenza, professionalità ed umanità”. Martinelli sottolinea infine che “la via più netta e radicale per eliminare i molti disagi del carcere sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena - prevedendo circuiti penitenziari differenziati e l’espulsione dei detenuti stranieri per far scontare loro la pena nelle carceri dei Paesi di provenienza - e, al suo interno, del ruolo del carcere, argomento rispetto al quale il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, è da tempo impegnato nonostante la colpevole indifferenza di vasti settori della politica nazionale”. Venezia: nel carcere di Santa Maria Maggiore condizioni da Terzo mondo di Antonio Franchini (Presidente Camera penale veneziana) Il Gazzettino, 31 dicembre 2010 La notizia della decisione di costruire un nuovo carcere a Campalto è di quelle che fanno sentire di appartenere ad un paese civile. Sembrava impossibile che, di fronte ad una situazione come quella del carcere di S. Maria Maggiore, con le bocche di lupo nelle celle, con il sovraffollamento selvaggio da Paese del terzo mondo, con storie suicidiarie, con la sistematica violazione delle regole igieniche (un water in cella per 8/9 detenuti), con il mancato rispetto dello spazio minimo per ogni detenuto (tre metri quadri), il governo nazionale, quello regionale, un sindaco illuminato come Giorgio Orsoni non intervenissero in nome di una democrazia liberale, che deve assicurare a chi delinque una pena certa, ma in condizioni di vita civile e con lo scopo costituzionale della rieducazione del condannato. Per non parlare dei detenuti in attesa di giudizio, presunti innocenti fino alla sentenza definitiva. I penalisti veneziani in questi anni hanno spesso protestato per le condizioni dei detenuti di S. Maria Maggiore, condizioni che non dipendono certo dalla Direzione della struttura o dalle guardie penitenziarie, che fra mille sacrifici si trovano coinvolte nel degrado e nel sovraffollamento del carcere (243 numero fisiologico di detenuti, 363 attuali presenze) e continueranno a protestare con azioni sempre più incisive finché questa vergogna non sarà cancellata. Già 20 anni fa Nicolò Amato emise un decreto di chiusura del carcere di S. Maria Maggiore, decreto che poi venne bloccato dalla giustizia amministrativa. Era un segnale ed un simbolo. Ora è necessario andare fino in fondo, senza incertezze o ripensamenti, perché non succeda che un dibattito infinito (del quale si avvertono i primi segnali) ritardi o, peggio, blocchi un’opera di giustizia e civiltà. Intanto, finché non sarà costruito il nuovo carcere, è comunque necessario intervenire urgentemente per alleviare una situazione che resta drammatica. Vi è, infatti, un dato impressionante che, fa capire come intervenire si possa e si debba. Nell’arco dell’anno 2010 i detenuti “in transito” sono stati più di 1000: costoro restano in carcere 3 - 4 giorni e poi vengono liberati per una serie di motivi tecnici (assoluzione o sospensione condizionale della pena nei processi per direttissima, mancate convalide degli arresti, ecc.). In realtà, se il Tribunale garantisse la celebrazione delle udienze di convalida e dei giudizi direttissimi entro 24 ore dall’arresto, questi detenuti potrebbero essere condotti direttamente davanti al Giudice senza transitare per il carcere, ma rimanendo in custodia presso le camere di sicurezza della Polizia o dei Carabinieri. Questi detenuti “provvisori” entrano invece in carcere con il risultato di un insostenibile aggravio numerico della popolazione carceraria e una moltiplicazione burocratica del tutto inutile. Le Autorità preposte (Procuratore della Repubblica, Questore, Comandante dei Carabinieri) devono urgentemente intervenire per mutare questa situazione. Nell’immediato non esistono altre ricette; per il futuro si chiuda finalmente S. Maria Maggiore e si costruisca finalmente il nuovo carcere senza tentennamenti, senza se e senza ma. Venezia: nuovo carcere, opera attesa e necessaria; ma il Comune trovi un’area migliore Il Gazzettino, 31 dicembre 2010 “Regione e Ministero sono indifferenti al sito del carcere veneziano, il Comune può fare la propria scelta, individuando pure un’eventuale alternativa all’attuale ipotesi in campo, e comunicarcela non oltre la fine di gennaio perché trattandosi di una procedura commissariale i tempi devono essere celeri”. Così precisa Marino Zorzato, vicepresidente della Regione, di fronte alla disponibilità, dichiarata, del sindaco Orsoni a discutere su un sito alternativo a quello di Campalto per l’istituto di pena. Aggiunge il vicepresidente regionale: “Il protocollo d’intesa firmato con il commissario al Piano carceri offre la sua disponibilità per le aree indicate dalle Amministrazioni comunali, nel senso che le recepisce e non le mette in discussione, qualunque esse siano - dice - Per quanto ci riguarda, quindi, ci interessa che i tempi per l’individuazione definitiva del sito siano i più rapidi possibili”. Giovedì 13 gennaio ci sarà un consiglio di Municipalità alla presenza del sindaco Giorgio Orsoni per affrontare il problema carcere, ma già venerdì prossimo il presidente Ezio Ordigoni convocherà la riunione dei capigruppo per una prima disamina della questione e per cercare una proposta unanime da sottoporre al sindaco per lo spostamento della nuova struttura a Forte Pepe. La decisione di realizzare in via Orlanda a Campalto, nell’area del vecchio deposito militare, il nuovo istituto penitenziario che andrà a sostituire l’attuale casa circondariale di Santa Maria Maggiore, è l’argomento che continua a tenere banco nel territorio favarese. Da una parte i comitati e le associazioni del posto impegnati ad organizzare una manifestazione di protesta comune, dall’altra i gruppi politici che dopo le dichiarazioni di “apertura” di Orsoni per un eventuale spostamento in altra sede del progetto, stanno spingendo affinché tale disponibilità del primo cittadino diventi un fatto concreto. L’area alternativa al momento più accreditata, secondo i politici locali, risulta essere proprio quella di Forte Pepe. Sembrerà paradossale, ma nel 1986 fu proprio l’amministrazione comunale a proporre Forte Pepe come sito idoneo ad ospitare il nuovo carcere ed il Consiglio di Quartiere di Favaro, allora, rispose con un secco ed unanime no. “È vero - ha risposto Angelo Lerede, vicepresidente della Municipalità di Favaro e delegato al Patrimonio e ai Lavori pubblici - , quasi 25 anni fa il Consiglio di quartiere si espresse contro questa proposta, ma ora i tempi sono cambiati e l’idea del carcere a Forte Pepe, come alternativa a Campalto, ci pare una soluzione di buon senso”. Un’opera attesa e necessaria La presidente della Corte d’Appello di Venezia, Manuela Romei Pasetti, commenta così la notizia dell’intesa siglata nei giorni scorsi tra Regione Veneto ed il commissario delegato per il Piano carceri nazionale, nella quale viene individuato Campalto come luogo destinato ad ospitare la struttura. “La situazione di Santa Maria Maggiore è insostenibile e lo denunciamo da anni - ricorda la presidente della Corte - Personalmente mi sono impegnata per sollecitare la soluzione del problema e ritengo che questa intesa sia un primo passo importante: ora bisognerà verificare in che modo si pensa di realizzare la struttura e soprattutto ottenere garanzie in merito alla copertura finanziaria necessaria per l’opera”. L’aspetto dei finanziamenti preoccupa anche il nuovo procuratore della Repubblica di Venezia, Luigi Delpino, in un periodo di crisi economica e di scarsità di fondi che rende difficoltoso anche il completamento della Cittadella della Giustizia di piazzale Roma, i cui lavori proseguono con lentezza. “Il nuovo carcere è un’esigenza, e la collocazione in terraferma è una soluzione che potrebbe risolvere gli attuali problemi”. Anche il prefetto di Venezia, Luciana Lamorgese, ha commentato l’intesa tra Regione e commissario per le carceri: “È chiaro che la situazione del carcere di Santa Maria Maggiore, così come quella di altre strutture italiane, risente di un pesante problema di sovraffollamento - ha dichiarato - C’è bisogno di una nuova struttura, ma non spetta a me indicare il luogo. Da qualche parte si deve realizzare e questa è una scelta politica”. Belluno: una manifestazione per non dimenticare la morte in carcere di Mirco Sacchet Il Gazzettino, 31 dicembre 2010 Per non dimenticare Mirco Sacchet, suicida nel carcere di Belluno lo scorso 26 settembre, a soli 27 anni, ieri a Baldenich c’è stata una manifestazione pubblica. Una morte sulla quale è sempre pesato il sospetto dei familiari. Musica rap, microfono in mano e anche qualche petardo, così i ragazzi dello spazio “La nave dei folli” di Rovereto, hanno urlato la loro rabbia e la loro sete di verità. “Di carcere si muore” c’era scritto negli striscioni appesi tra i pali della luce. La versione fornita dalle autorità non convince i giovani, alcuni conoscenti di Mirco, che ancora non riescono a capacitarsi per una morte così prematura. In un totem allestito accanto al parcheggio dove si sono raccolti una ventina di manifestanti, apparivano le storie e le testimonianze di chi in carcere c’è stato e gli scritti sulla morte di Sacchet venivano accostati all’overdose di farmaci di un altro detenuto bellunese, poco più che ventenne. Pordenone: il nuovo carcere e le due facce della Lega Nord di Anilo Castellarin Il Gazzettino, 31 dicembre 2010 La storia infinita del nuovo carcere di Pordenone non finisce più. Quando sembrava che l’iter per la sua costruzione potesse finalmente partire, si è alzata la solita manina dicendo: per noi non va bene, dobbiamo ridiscutere l’opera. A Pordenone, il carcere e anche l’ospedale nuovo hanno subito lo stesso destino, anni e anni di discussioni e zero risultati. Ora il carcere in Comina non piace più alla Lega, anche se i suoi esponenti in giunta regionale avevano dato il loro assenso. E così, l’attuale ospedale e il carcere stanno invecchiando inesorabilmente, i cittadini ingrigiscono, ma le nuove opere sono ferme. Il capogruppo in Consiglio regionale, Narduzzi, ha dichiarato: “Realizzare un carcere da 450 posti, vuol dire prevedere, visto l’affollamento degli edifici carcerari, 800 detenuti. È una cosa insostenibile”. E poi: “...fermo restando che, secondo me, è meglio realizzare carceri all’estero, visto che sono pieni di extracomunitari”. Incredibile, uno dei massimi esponenti della Lega friulana, si esprime come l’avventore di un bar. Un tempo, indicavano nei “terroni” la causa di tutti i mali del Nord. Ora i nostri nemici sono gli immigrati, specialmente di fede islamica. Secondo il suo pensiero, gli italiani delinquono poco. Sono le dittature che trovano un nemico da indicare ai propri cittadini per nascondere le proprie manchevolezze. E così, questa Lega, invece di trovare soluzioni su questo grave problema, solletica gli spiriti animali presenti in ognuno di noi. Usa una strategia comunicativa, come fosse all’opposizione, mentre è ben salda al governo a Roma, nelle Regioni e nei Comuni da quasi un decennio. La legge sull’immigrazione è chiamata: Bossi - Fini, vorrà pur dire qualcosa. Eppure, in regione, Narduzzi, Fontanini e compagnia cantando, sono sempre lì a ricordarci che la causa dei nostri mali è l’immigrazione selvaggia causata dal buonismo “cattocomunista”. Io penso che i veri nemici da combattere siano altri. I veri nemici del nostro Paese sono le “cricche”, le varie mafie, quella dei colletti bianchi, la politica collusa con la malavita organizzata, che hanno depredato l’Italia. Siamo uno Stato tra i più corrotti al mondo, mentre sulla libertà d’informazione siamo alle ultime posizioni. Secondo la Corte dei conti, la corruzione costa 60 miliardi di euro l’anno, agli italiani. La Camorra, la ‘Ndrangheta e Cosa nostra, fatturano dai 130 ai 150 miliardi di euro l’anno. E questi politicanti leghisti continuano a dirci che i mali della nostra società sono gli immigrati! Padova: i Radicali passeranno il Capodanno con i detenuti del Due Palazzi Ansa, 31 dicembre 2010 Marco Pannella, Rita Bernardini ed altri esponenti di spicco dei radicali Italiani trascorreranno la notte di Capodanno in compagnia dei detenuti del carcere Due Palazzi di Padova. La delegazione radicale, di cui faranno parte anche Matteo Angioli e Maria Grazia Lucchiari, oggi sarà nella città veneta per visitare gli istituti di pena. Con loro vi sarà anche la Ornella Favero, direttrice del sito di cultura e informazione sul carcere “Ristretti Orizzonti”. Nel primo pomeriggio si recheranno in visita alla Casa Circondariale di Padova. Al termine la delegazione si sposterà alla Casa di Reclusione Due Palazzi per cenare e attendere l’arrivo del nuovo anno insieme ai detenuti, agli agenti e alla redazione di Ristretti Orizzonti. Napoli: il cardinale Sepe ai detenuti; si è liberi solo spezzando le catene del malaffare Il Mattino, 31 dicembre 2010 “Per essere davvero liberi è necessario spezzare le catene che tengono legati al malaffare”. Così l’arcivescovo di Napoli, cardinale Crecenzio Sepe, si è rivolto oggi ai detenuti del carcere di Poggioreale. La Messa per i detenuti. Sepe ha celebrato stamattina la messa nella cappella del carcere per circa 300 detenuti, rivolgendo poi loro parole di speranza: “Il bambino che è nel presepe - ha detto - si identifica con ogni carcerato. Voi siete chiusi qui perché avete agito male e questo va pagato, ma conosco anche la vostra forte sofferenza. Oggi dovete credere che avrete un’occasione per riscattarvi”. L’arcivescovo ha donato una corona del rosario a tutti i detenuti del carcere ed ha ricevuto in dono un candelabro in ferro battuto realizzato dagli stessi carcerati nelle officine di Poggioreale. Pisa: una festa per il nuovo anno organizzata dal gruppo “Donne e Carcere” Ristretti Orizzonti, 31 dicembre 2010 Mercoledì 29 dicembre 2010, presso la Sezione Femminile del Carcere Circondariale don Bosco di Pisa si è tenuta una piccola festa per salutare il nuovo anno in arrivo. L’incontro è stato promosso e organizzato dal gruppo “Donne e Carcere” che da tempo riunisce una volta alla settimana le donne del Femminile per scrivere in un gruppo di “scrittura libera e creativa”. Alla piccola festa sono state invitate e hanno partecipato, oltre alle donne del Femminile e alle organizzatrici, l’Educatrice del don Bosco, la Presidente dell’Associazione Casa della Donna di cui il gruppo “Donne e Carceri” fa parte, due volontarie dell’Associazione Controluce e una del Cif che operano all’interno del Femminile. Le Agenti di turno invitate hanno partecipato nei modi compatibili ai loro impegni di servizio. L’atmosfera di sereno incontro e scambio tra realtà così diverse è stata facilitata dal buon “rinfresco”: tartine, dolcetti, torte, bevande di vari tipi. Gradite le rose di cui ognuna ha potuto portarne una con sé. Questi momenti allietano giornate particolari come le festività di fine d’anno e facilitano incontri e scambi tra le donne che pur stando sempre vicine hanno poche occasioni per stare tutte insieme allentando così un po’ le tensioni che le note condizioni carcerarie producono. Immigrazione: l’Unione europea smonta la legge Bossi-Fini; niente sanzioni agli espulsi di Alberto Gaino La Stampa, 31 dicembre 2010 Dal giorno di Natale si deve applicare anche in Italia una direttiva europea del 2008 sul rimpatrio dei cittadini extracomunitari irregolari che rivoluziona la “Bossi-Fini”, ridimensionandone la portata. L’immediata conseguenza è che, dal 27 dicembre, primo giorno utile di processi per direttissima anche per quel reato, i giudici assolvono tutti gli imputati per non aver ottemperato al decreto di espulsione del questore. Il dispositivo, in attesa delle motivazioni delle sentenze, è sinora uguale: “Il fatto non sussiste”. Accade a Torino, si ha notizia di orientamenti analoghi a Milano ed in altre città. I 23 articoli della direttiva “115” del 2008 non erano stati recepiti dall’Italia per l’evidente contrasto con la normativa nazionale: prevedevano e prevedono la legittimità, per gli Stati membri, di “procedere al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno nell’Unione Europea sia irregolare; purché esistano regimi in materia di asilo equi ed efficienti che rispettino pienamente il principio di non refoulement”. La direttiva approvata il 16 dicembre di due anni fa dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea indica che si “dovrebbe preferire il rimpatrio volontario a quello forzato, con la concessione di un termine per la partenza”. Norma dirompente. Ma, secondo il principio introdotto dalla Corte Europea di Giustizia, le direttive possono avere efficacia diretta, una volta scaduto il termine di recepimento, qualora prevedano misure “precise, chiare e incondizionate”. In attesa della scadenza del 25 dicembre, al Viminale, così come in gran parte delle procure italiane, ci si è messi al lavoro per studiare gli effetti della direttiva europea e l’attenzione è stata data in particolare all’interpretazione dell’articolo 7 (“Partenza volontaria”). Può prevedere, nel tempo concesso a chi debba “rimpatriarsi” - dai 7 ai 30 giorni, con deroghe per chi abbia figli a scuola o situazioni familiari particolari - imposizione di obblighi diretti a evitare il rischio di fuga”. La misura del carcere non è contemplata. Può rientrare - con il successivo articolo (“Allontanamento”) - per “il mancato adempimento dell’obbligo di rimpatrio...”. La direttiva prevede che gli “Stati membri adottino tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio”. Ma solo “in ultima istanza”, qualora il cittadino da espellere “opponga resistenza”, si può ricorrere a misure coercitive. Gli spazi per l’arresto degli irregolari si riducono al lumicino. Appeso alla mancata concessione di termini per la “partenza volontaria”. Possibili quando ci sia un rischio di fuga dell’irregolare o se costui rappresenta un “pericolo per l’ordine pubblicò o la sicurezza nazionale”. In quel caso lo si può “immediatamente accompagnare alla frontiera”. Nota dolentissima: non accade quasi mai, per più motivi, a cominciare da quelli di cassa. In alternativa, gli si può consegnare il “classico” ordine di espulsione del questore. Se non rispettato farebbe scattare la violazione della “Bossi-Fini”. Il procuratore aggiunto torinese Paolo Borgna, responsabile del pool sicurezza urbana, sta seguendo le direttissime di questi giorni e commenta: “L’interpretazione delle leggi italiane è difficilissima perché la normativa in materia di immigrazione è ormai un vestito di Arlecchino, composto da troppi interventi disorganici e spesso inefficaci”. Percorso accidentatissimo. Dovrebbe suggerire un cambio di strategia nei confronti degli irregolari: chi lavora in nero non prospetta pericolo di fuga, invece chi spaccia droga, sfrutta donne e bambini, viola le leggi italiane può e deve essere perseguito con l’espulsione dopo il carcere. Immigrazione: scarcerati i primi “clandestini”; la Bossi-Fini continua a perdere pezzi di Luca Fazio Il Manifesto, 31 dicembre 2010 Se il vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, parla di “brutto segnale” contro l’applicazione della legge Bossi-Fini sull’immigrazione, allora vuol dire che siamo davvero di fronte a un segnale positivo. Perché l’impianto repressivo della pessima legge che mortifica gli stranieri che vivono in Italia sta cominciando a perdere pezzi, e proprio nelle aule dei tribunali. È successo che l’altro giorno il pm di Milano Claudio Gittardi - richiamandosi alla recentissima sentenza della Corte costituzionale secondo cui non si possono espellere i “clandestini” che non hanno lasciato il territorio in quanto sprovvisti di denaro per pagarsi il viaggio - ha disposto la scarcerazione di due ragazzi egiziani. Una vera sconfessione di uno degli articoli più significativi del cosiddetto “pacchetto sicurezza, secondo cui lo straniero sarebbe stato comunque punibile anche se aveva un motivo che potesse giustificare la sua permanenza in Italia. Invece la povertà, questo stabilisce la sentenza n.359 del 13 dicembre, è un motivo valido. La legge è legge, ed è logico che questa decisione abbia infastidito non poco la destra milanese (e non solo). De Corato, per esempio, è sbottato dicendo che “a questo punto le forze dell’ordine non dovranno più andare a caccia di clandestini ma dovranno ricercare solo clandestini ricchi”. Battute a parte, il vicesindaco dice una mezza verità, perché è logico che molti “clandestini”, oltre a non avere i documenti, sono anche sprovvisti del denaro necessario per pagarsi l’espulsione di tasca propria. Un altro segno che la legge Bossi-Fini è stata concepita (e scritta) con i piedi solo per “elevare il tema della sicurezza ad una sorta di vero e proprio passepartout mediatico” - come ha recentemente detto il procuratore Armando Spataro in occasione di un corso per magistrati addetti alle politiche dell’immigrazione. Rozza ideologia agita per scopi propagandistici che, tra le altre cose, fa a pugni anche con l’entrata in vigore della direttiva europea 115 del 2008 che è destinata a stravolgere l’applicazione della Bossi - Fini, e proprio per quanto attiene ai reati che puniscono la permanenza illecita sul territorio. La direttiva Ue è entrata in vigore il 24 dicembre e regola proprio l’esecuzione coattiva degli irregolari, facendo di fatto decadere alcuni articoli della Bossi-Fini che contrastano evidentemente con la legge comunitaria. Tant’è che il 27 dicembre, tre giorni dopo l’entrata in vigore, un altro tribunale - quello di Torino - ha disposto la scarcerazione di tre “clandestini” arrestati a natale. A questo punto, considerando che i giudici nazionali sono tenuti ad interpretare le norme in conformità della legislazione europea, la speranza, è che si apra la strada a una diversa applicazione delle stesse, da parte dei magistrati ma anche delle questure. Immigrazione: il Cie di Gradisca è inutile; ogni espulsione costa non meno di 15 mila € Il Piccolo, 31 dicembre 2010 “La situazione al Cie di Gradisca è inaccettabile”: lo ha affermato il consigliere regionale Roberto Antonaz, recatosi ieri mattina in visita alla struttura di via Udine, accompagnato dal vicario prefetto Gloria Allegretto. Circa 130 detenuti, una tensione altissima, restrizioni per l’ora d’aria (due il giorno, meno che in un carcere), servizi mensa scadenti: questa la situazione denunciata da Antonaz, che coglie l’occasione per ribadire l’inutilità del Cie. “Prima era il Cpt, ore è il Cie: strutture che non servono a risolvere il problema di sicurezza e clandestinità. Sono solo spot elettorali del centro - destra, per i quali gli italiani pagano almeno un miliardo di euro. C’è un rapporto di due agenti per ciascun detenuto, con tutti i costi del caso: secondo i miei calcoli, ogni espulsione costa non meno di 15 mila euro”. Antonaz snocciola anche altre cifre sul fenomeno - Cie: “Nel 50% dei casi si tratta di persone che hanno smarrito il permesso di soggiorno o non l’hanno mai avuto, quindi non si tratta di delinquenti. L’altra metà è gente che viene dal circuito carcerario, ed è un’altra assurdità: primo perché gli viene inflitto un supplemento di pena, secondo perché si perde tempo per un’identificazione che andava fatta prima”. Il consigliere regionale lancia un messaggio a Tommasini e alla sua giunta: vada a Roma a chiedere la chiusura assieme a Gherghetta, gli ultimi a farlo fummo io e Illy. O si continua a tenere la barra dritta sulla chiusura, o si monetizza, ma occhio: chiedendo risarcimenti il segnale che viene offerto è di accettazione e rassegnazione. I Cie si possono chiudere, quello del Porto Vecchio di Trieste fu chiuso a furor di popolo”. La Prefettura di Gorizia, intanto, ha reso noto che sui siti del ministero dell’Interno (www.interno.it) e della stessa Prefettura (www.prefettura.it/gorizia) è online l’avviso pubblico per l’affidamento della gestione del Cie e del Cara per il periodo dal 1º marzo 2011 al 28 febbraio 2014. Si tratta di un bando di gara con una base d’asta di poco superiore ai 15 milioni di euro per tre anni. La commissione di valutazione, costituita con decreto del Prefetto, procederà all’apertura dei plichi estraendo le tre buste (“offerente - documentazione”, “offerta tecnica” e “offerta economica”) in seduta pubblica il 1º febbraio 2011. Romania: italiano arrestato per rapina, senza diritto di difesa La Nuova Sardegna, 31 dicembre 2010 “Non chiediamo favori, né facciamo suppliche: vogliamo solo che a mio fratello Massimo siano garantiti i diritti minimi di difesa. Che gli sia data la possibilità di dimostrare la sua innocenza perché è da mesi in carcere in Romania senza possibilità di difendersi dall’accusa di aver rapinato un portavalori”. Giannina Loddo, fonnese trapiantata nell’Oristanese, è una sorella preoccupata ma decisa. Da qualche mese sta raccogliendo forze e notizie per tirare fuori il fratello più piccolo - che prima di questa vicenda viveva a Fonni - da una storia che definisce una odissea. Tanto che il caso di Massimo Loddo è approdato recentemente anche in Parlamento con una interrogazione al ministro agli Affari esteri presentata dal deputato Pdl Marco Zacchera. “Il 27 gennaio 2010 - si legge nell’interrogazione - è stato arrestato a Baiamare, in Romania, il connazionale Massimo Loddo, nato a Nuoro il 14 settembre 1977, con l’accusa di aver partecipato a una rapina a un portavalori il 15 settembre 2009. Secondo i familiari ciò non sarebbe stato possibile in quanto il congiunto il giorno della rapina era in Sardegna e sarebbero poi progressivamente cadute altre prove, presuntivamente a suo carico”. Il parlamentare chiede dunque “Quale sia la situazione del connazionale e se vengano osservate dalle autorità romene le norme vigenti in materia di carcerazione preventiva, se le nostre autorità consolari, in Romania, abbiano visitato il detenuto e in quali condizioni lo abbiano trovato, se si abbiano notizie circa il processo che si instaurerà a suo carico, se sia garantito il diritto alla difesa”. L’interrogazione attende ancora una risposta da parte del ministero, ma nel frattempo, Giannina Loddo e il resto della famiglia non sono rimasti con le mani in mano. È da mesi, ormai, che consultano siti internet, che si documentano con cura sulla legislazione romena, che cercano di capire come possono tirare fuori al più presto dai guai il loro caro Massimo, che da mesi si trova in una cella di un carcere della Transilvania. “L’unica sfortuna di Massimo - dice la sorella Giannina - è stata quella di conoscere per caso un romeno che poi si è scoperto avere diversi problemi con la giustizia. Questa persona gli aveva offerto un lavoro in Romania, poi si sono incontrati lì per definire la questione ma proprio quel giorno il romeno è stato arrestato e con lui purtroppo è stato arrestato anche Massimo”. Giannina Loddo e il resto della famiglia ne sono convinti: il loro Massimo è finito in carcere da innocente. “È stato accusato di una rapina a un furgone portavalori avvenuta il 15 settembre del 2009 - spiega la donna - Ma quel giorno lui era in Sardegna, era a Fonni e lo hanno visto”. Ma non basta. Sempre secondo i Loddo, Massimo Loddo sarebbe stato incastrato da prove inesistenti o infondate. Compresa l’analisi fatta su un Dna recuperato da alcuni abiti. “Per sei mesi - aggiunge Giannina Loddo - abbiamo aspettato con pazienza e fiducia che la giustizia romena facesse il suo corso e che mettesse mio fratello nelle condizioni di parlare, di difendersi. Ma purtroppo questo non è successo, a mio fratello non è stato consentito, ad esempio, di poter chiedere una controperizia sul Dna prelevato dagli abiti. Per questo, abbiamo deciso di fare tutto il possibile perché vengano riconosciuti i suoi diritti di difesa. Ripeto: non vogliamo favori, né supplichiamo nessuno, o chiediamo miracoli. Vogliamo solo che in tutti i paesi europei venga riconosciuto il principio della presunzione di innocenza e la possibilità, per chi si trova in carcere, di difendersi. Perché mio fratello deve uscire da questa storia a testa alta. Prima di questa vicenda non ha mai avuto alcun problema con la giustizia, è sempre stato tranquillo e onesto. La sua sfortuna, non mi stancherò di ripeterlo, è di aver incontrato la persona sbagliata, ma lui non aveva idea del suo passato”. Stati Uniti: sorelle ergastolane scarcerate a patto di dono di un rene Ansa, 31 dicembre 2010 Due sorelle condannate al carcere a vita per rapina a mano armata saranno liberate a patto che una delle donne doni un rene alla sorella malata. L’insolita condizione è stata annunciata dal governatore del Mississippi Haley Barbour che ha posto il trapianto del rene come condizione per la sospensione della prigionia. Le due sorelle Gladys Scott, 36 anni, e Jamie Scott, 38 anni, erano state condannate al carcere a vita nel 1994 per avere attirato due uomini in una trappola. Altri tre teenagers avevano derubato le vittime, armi alla mano, per un bottino di undici dollari. La condanna al carcere a vita per le due sorelle aveva suscitato numerose critiche per la pesantezza della sentenza. Diversi gruppi hanno lanciato campagne per la liberazione delle due sorelle. Anche il Dipartimento Carcerario del Mississippi ha raggiunto la conclusione che le due sorelle ‘non costituiscono più un pericolo per la società”. Jamie deve sottoporsi in carcere tre volte alla settimana ad un trattamento di dialisi per un costo annuale di 190 mila dollari da parte delle autorità statali. La sorella Gladys ha offerto di donare uno dei suoi reni alla sorella, una operazione che non può essere effettuata in carcere. Nella vicenda è intervenuto il governatore Barbour con l’annuncio della sospensione della condanna a patto che Gladys doni il rene alla sorella. L’iniziativa del governatore ha colto di sorpresa gli avvocati delle due sorelle. ‘È una piacevole sorpresa - ha affermato il legale Chokwe Lumumba - È anche un modo per porre rimedio ad una condanna chiaramente eccessiva per il reato commessò. Le apparecchiature usate dall’ospedale del carcere per il trattamento della dialisi sono un vecchio modello che ha causato a volte problemi. Il governatore Barbour ha detto di essersi consultato con il Dipartimento Carcerario del Mississippi prima di annunciare la sua decisione ottenendo il consenso per una sospensione a tempo indefinito della sentenza. La scarcerazione delle due sorelle è prevista tra qualche giorno. Le due donne si trasferiranno in Florida dove abitano i loro familiari. Spagna: torturarono detenuti Eta, condannate 4 agenti della Guardia Civil Ansa, 31 dicembre 2010 Quattro agenti della Guardia Civil spagnola sono stati condannati a pene comprese tra due e quattro anni e mezzo di carcere, per aver torturato due membri dell’Eta. Il processo, iniziato a ottobre, ha visto alla sbarra altri undici agenti, tutti assolti. I fatti risalgono al gennaio 2008, quando la Guardia Civil arrestò Igor Portu e Mattin Sarasola. I due furono picchiati e minacciati con una pistola alla tempia, prima di essere portati in questura. Membri del commando che pianificò ed eseguì l’attentato all’aeroporto di Madrid nel dicembre 2006, Portu e Sarasola sono stati condannati a più di mille anni di prigione. L’attentato, che costò la vita a due cittadini ecuadoriani e provocò il ferimento di quaranta persone, segnò la fine del processo di pace che l’Eta aveva avviato con il governo Zapatero. Brasile: il Presidente Lula ha negato l’estradizione in Italia di Cesare Battisti Ansa, 31 dicembre 2010 Il ministro degli Esteri brasiliano Celso Amorin ha reso noto che il presidente Lula non ha concesso l'estradizione in Italia del terrorista rosso Cesare Battisti. Battisti, 56 anni, detenuto in Brasile dal 2007, è stato condannato in Italia all'ergastolo per 4 omicidi commessi quando negli anni 70 era leader dei Proletari Armati per il Comunismo. Cesare Battisti deve rimanere in Brasile: l’Avvocatura generale dello Stato si è pronunciata contro la sua estradizione in Italia, parere consegnato al presidente Luiz Inacio Lula da Silva, il quale ha sempre detto di voler far proprio tale decisione. Possibilità contro la quale, su più fronti, il governo italiano sta in queste ore dando battaglia. Sulla base quindi di quanto sostenuto dall’Avvocatura, Battisti (56 anni, detenuto in un carcere a Brasilia dal marzo del 2007) potrebbe così evitare le prigioni italiane e rimanere nel paese latinoamericano, fatti che rappresenterebbero l’epilogo di una lunga e complessa vicenda giudiziaria. Nel corso di una giornata di alta tensione sull’asse Roma - Brasilia, le notizie sul “dossier Battisti” sono rimbalzate più volte nei media dei due paesi, in primo piano non solo in Italia ma anche in Brasile: il futuro dell’ex terrorista rosso è finito infatti per intrecciarsi con le ultime ore della presidenza del popolare “presidente operaio”, visto che sabato Lula lascerà il paese nelle mani di Dilma Rousseff. Lo stesso capo dello Stato uscente ha sempre detto che il “verdetto” su Battisti l’avrebbe annunciato lui, non Dilma: tutto fa pensare quindi che si pronuncerà domani, a poche ore dalla chiusura della sua presidenza. Decisione alla quale, affermano fonti locali, la difesa del governo italiano potrebbe subito replicare con la presentazione di un ricorso presso il Supremo Tribunal Federal, l’Alta Corte di Brasilia. Oggi, il governo italiano ha ripetutamente, e con più voci, ribadito le proprie ragioni sul caso Battisti, mentre Alberto Torregiani, figlio del gioielliere Pierluigi Torregiani, per la cui morte Cesare Battisti è stato condannato, ha annunciato una manifestazione a Roma, in Piazza Navona di fronte all’ambasciata brasiliana, per protestare contro Brasilia. Corte Suprema valuterà decisione Lula a febbraio Battisti è rinchiuso nel penitenziario di Papuda, a Brasilia: una volta che la decisione sarà formalizzata da Lula, il Palazzo Presidenziale la invierà alla Corte Suprema federale (Stf) in un comunicato. Spetterà al presidente di questo organismo, Cezar Peluso, revocare eventualmente il regime carcerario per Battisti. Il procuratore generale dell’avvocatura, Luis Inacio Adams, ha già espresso al presidente parere favorevole sulla permanenza dell’ex militante del Pac. Il documento, che raccomanda la concessione dello status di rifugiato politico come la soluzione giuridica per l’impasse, è stato commissionato da Lula. L’intenzione di Lula è sostenere la sua convinzione/posizione con argomenti giuridici, per non incrinare i rapporti bilaterali tra Brasile e Italia. Ma in caso di mancata estradizione, questa sembra un’impresa. In Italia l’ex militante dei Pac (Proletari armati per il comunismo) deve scontare quattro ergastoli per altrettanti omicidi, commessi a fine anni Settanta e per i quali è stato riconosciuto colpevole. Arrestato, Battisti è riuscito a evadere ed è scappato prima in Francia e poi in America Latina. Brasile: la Presidente Dilma Rousseff invita a insediamento 11 ex compagne di cella Ansa, 31 dicembre 2010 La presidente eletta brasiliana Dilma Rousseff ha invitato alla cerimonia di insediamento che si svolgerà a Brasilia il 1/o gennaio undici compagne di cella del tempo in cui l’ex guerrigliera di estrema sinistra era rinchiusa nelle carceri della dittatura militare brasiliana. Lo ha reso noto sulle pagine del quotidiano O Globo la giornalista Rosa Nogueira, una delle detenute politiche che spartirono la stessa cella dal 1970 al 1972 con la Rousseff, che aveva allora 23 anni, e che con lei furono torturate. “In galera, Dilma era già una presenza fortissima, era già una leader, con una solidarietà fortissima verso le altre”, afferma Nogueira. Negli archivi della dittatura, un rapporto emerso di recente qualificava la Rousseff di “Giovanna d’Arco della sovversione”, dotata di “un intelletto notevole”. Un’altra detenuta in quella che era nota come la “Torre delle donzelle”, la sociologa Lenira Machado, ha ribadito a O Globo che tutte, nella cella, spartivano la stessa fede nella necessità di opporsi al regime militare con le armi. “Difendevamo la lotta armata, attraverso la formazione di quadri e non come semplice avventura”, ha specificato Machado. Il gruppo del quale faceva parte la Rousseff, il Comando di Liberazione Nazionale (Colina), si dichiarava marxista-leninista, anche se Dilma non ha mai nascosto le sue convinzioni trotzkyste. Il Colina realizzò tra l’altro tre rapine in banca per finanziarsi e due attentati a bomba, senza però causare vittime.