Giustizia: legge sulla detenzione domiciliare, poche migliaia i detenuti interessati di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 2 dicembre 2010 Sono poche migliaia i detenuti che potenzialmente potrebbero usufruire del nuovo beneficio di legge consistente nella opportunità di scontare l’ultimo anno di pena detentiva “presso il proprio domicilio o presso altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza”. Certamente ben meno delle 7 mila unità ipotizzate dal Ministero della giustizia in prossimità della approvazione della legge avvenuta il 17 novembre scorso con il voto favorevole della maggioranza e l’astensione dell’opposizione (i radicali non hanno partecipato al voto). La legge aveva l’obiettivo di ridurre i tassi di sovraffollamento penitenziario. Vi è al momento un surplus di 25 mila detenuti rispetto ai posti letto regolamentari a disposizione. Il testo originario della legge, che era stato presentato dal governo la scorsa primavera, è stato rimaneggiato durante i lavori d’Aula. È stato infatti cancellato l’automatismo nella concessione del provvedimento di detenzione domiciliare a favore di coloro i quali devono scontare meno di un anno di carcere. Nel testo finale si affida alla magistratura di sorveglianza una discrezionalità decisionale, così come avviene d’altronde per tutte le restanti misure alternative. Si tratta quindi semplicemente di una chance in più che i detenuti hanno di ottenere una scarcerazione anticipata. Una misura nuova che però, a differenza delle altre presenti nell’Ordinamento penitenziario, è a termine. Scade il 31 dicembre 2013. È quindi una misura alternativa non stabile. I numeri non alti dei potenziali fruitori sono determinati dalle esclusioni dalla applicazione della legge per i seguenti soggetti: i condannati per taluno dei delitti indicati dall’articolo 4 - bis della legge 26 luglio 1975, n. 354; i delinquenti abituali, professionali o per tendenza; i detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare. Ad oggi sono 11.601 i detenuti che hanno una pena residua da espiare inferiore a un anno. Non è facile quantificare i detenuti che rientrano nelle tre esclusioni sopra menzionate. Si può ragionevolmente sostenere che siano intorno a un quinto del totale ossia circa 2 mila. Il legislatore, come detto, però non si è limitato a prevedere delle esclusioni oggettive. Ha introdotto anche una incisiva esclusione soggettiva. Infatti i magistrati di sorveglianza non potranno concedere la misura “quando vi è la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga ovvero sussistano specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri: delitti ovvero quando non sussista l’idoneità e l’effettività del domicilio anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato”. Sono 5.048 gli stranieri che devono scontare una pena residua inferiore all’anno. Di questi circa 5mila, più o meno i 9/10 sono irregolari e quindi privi di domicilio. Ciò significa che, pur ottimisticamente ritenendo che un migliaio di essi abbiano una casa di accoglienza che li possa ospitare, ne resterebbero esclusi circa 4 mila. Sommando quindi esclusioni oggettive e soggettive sarebbero solo 5 mila i detenuti che potenzialmente potrebbero andare a casa grazie alla nuova legge. Non è detto, però, che ci andranno a casa, perché per ognuno di essi la scarcerazione dipenderà da una valutazione del giudice di sorveglianza il quale in primo luogo dovrà tenere conto di una relazione del direttore del carcere sulla buona condotta tenuta dal detenuto in prigione e poi dovrà indagare circa l’idoneità del domicilio, la pericolosità criminale, i rischi possibili di fuga. Sono questi gli stessi limiti che negli ultimi anni ridotto al lumicino la concessione delle altre misure alternative. La legge, però, incide positivamente sui flussi di ingresso prevedendo la possibilità di concessione, in sede di processo, della sospensione della pena per chi deve scontare meno di un anno di galera. Un effetto di contenimento sul sovraffollamento che potrebbe essere a sua volta vanificato da altre due norme presenti ella stessa legge che si muovono in opposta direzione: 1) la previsione di una apposita circostanza aggravante nel caso in cui un reato sia commesso durante l’esecuzione della misura alternativa; 2) l’aumento della entità della sanzione carceraria per chi incorre nel delitto di evasione. Infine nel testo finale della legge viene autorizzata l’assunzione di 2 mila agenti e assistenti del Corpo di polizia penitenziaria. Dubbia è la copertura finanziaria. Nulla è previsto in merito alla assunzione delle altre figure civili (educatori, assistenti sociali, medici, direttori) che operano nelle carceri in condizioni di grande fatica. Giustizia: Garanti dei detenuti in 6 Regioni, in altre 2 funzione svolta da Difensore civico www.giustiziagiusta.info, 2 dicembre 2010 In Italia non è ancora stata istituita la figura di un garante nazionale per i diritti dei detenuti i cui compiti, in ambito territoriale, dovrebbero essere assicurati dai corrispettivi regionali, provinciali e comunali. Il condizionale, come si dice in questi casi, è d’obbligo, visto che moltissime risultano essere le regioni a tutt’oggi sprovviste, secondo i dati pubblicati dal Ministero della Giustizia, del garante regionale dei detenuti. Per la precisione, si sono dotati della figura le regioni Emilia Romagna, Lazio, Sicilia e Puglia mentre, anche se previsto, risulta in attesa di nomina il difensore di Toscana e Umbria. Solo quattro regioni, dunque, si sono uniformate alle disposizioni vigenti in materia, peraltro equamente divise secondo lo schema centro - destra/centro - sinistra. Ma assai più interessante è notare come due regioni, Lombardia e Marche, abbiano deciso di delegare la funzione di garante dei detenuti al difensore civico regionale. Si tratta di una iniziativa che da tempo avevamo auspicato dalle colonne di questo giornale e che potrebbe essere adottata non solo da parte delle altre regioni inadempienti ma anche - e sono centinaia - dai restanti enti territoriali. Una unificazione delle figure di difensore civico e difensore dei detenuti sarebbe un sistema efficace ed economico per tentare di intervenire, anche se modestamente, nel tamponare l’emergenza carceraria, senza gravare sui costi della Pubblica Amministrazione e dando ogni tanto prova di come, anche senza necessità di risorse aggiuntive, la cosa pubblica possa essere - se non proprio ‘benè - quantomeno ‘megliò amministrata. Giustizia: Nieri (Sel): su problema del sovraffollamento serve presa di posizione forte Ansa, 2 dicembre 2010 Un lungo elenco contenente i nomi dei 61 detenuti che si sono tolti la vita, in questo anno, nelle carceri italiane. È quanto ha letto il consigliere Luigi Nieri, Capogruppo di Sinistra Ecologia Libertà nel corso della discussione sulla mozione riguardante la richiesta di sospensione della pena capitale a Tareq Aziz. In questo modo il consigliere di Sel ha voluto attirare l’attenzione del Consiglio regionale del Lazio sulle drammatiche condizioni di detenzione negli istituti di pena italiani, compresi quelli presenti nel territorio laziale, sollecitando l’aula consiliare ad avviare una immediata discussione su questo tema. “Non possiamo che condividere la battaglia contro la pena di morte - dichiara Nieri - È necessario tuttavia ampliare la discussione sui diritti umani alla grave situazione in cui versano le carceri italiane, sempre più colpite da un sovraffollamento che rende le condizioni di vita dei detenuti insopportabili. È impossibile non rilevare come il sovraffollamento coincida drammaticamente con l’aumento dei suicidi. Il Consiglio regionale non può non sentirsi coinvolto da così tragici episodi. È apprezzabile l’impegno per agevolare le condizioni di vita delle detenuti madri e dei loro figli. È, tuttavia, necessario un ulteriore sforzo per estendere questo impegno per evitare che il carcere si trasformi in una pena di morte non dichiarata. Ci vogliono immediati interventi per cercare di evitare che, morto dopo morto, si arrivi a una strage e che queste tragedie cadano nel silenzio - conclude Nieri”. Giustizia: Sappe; 35% dei detenuti è tossicodipendente, serve un circuito differenziato Il Velino, 2 dicembre 2010 Una delegazione del sindacato autonomo Polizia penitenziaria Sappe ha incontrato questo pomeriggio a Palazzo Chigi il sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri Carlo Giovanardi, al quale sono state rappresentate le pesanti criticità che le donne e gli uomini dei Baschi Azzurri sono costretti quotidianamente ad affrontare a seguito del grave sovraffollamento delle carceri italiane. Informa una nota del sindacato: “È stato in particolare posto in evidenza l’elevato numero di detenuti con problemi di tossicodipendenza e di salute. Secondo i dati recentemente diffusi scrive in una nota il Sappe è emerso che l’80 per cento dei circa 70 mila detenuti oggi in carcere ha problemi di salute, più o meno gravi. Il 38 per cento versa in condizioni mediocri, il 37 per cento in condizioni scadenti, il 4 per cento ha problemi di salute gravi e solo il 20 per cento è sano. Un detenuto su tre è tossicodipendente. Del 30 per cento dei detenuti che si è sottoposto al test Hiv, il 4 per cento è risultato positivo. E ancora, il 16 per cento soffre di depressione o altri disturbi psichici, il 15 per cento ha problemi di masticazione, il 13 per cento soffre di malattie osteoarticolari, l’11 per cento di malattie epatiche, il 9 per cento di disturbi gastrointestinali. Circa il 7 per cento è infine portatore di malattie infettive”. “Tutto questo - continua il Sappe - va ad aggravare le già pesanti condizioni lavorative delle donne e gli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria, oggi sotto organico di ben 6mila unità. Il dato importante da considerare è che i detenuti affetti da tossicodipendenza o malattie mentali, come ogni altro malato limitato nella propria libertà , sconta una doppia pena: quella imposta dalle sbarre del carcere e quella di dover affrontare la dipendenza dalle droghe o il disagio psichico in una condizione di disagio, spesso senza cure adeguate e senza il sostegno della famiglia o di una persona amica. Forse è il caso di ripensare il carcere proprio prevedendo un circuito penitenziario differenziato per queste tipologie di detenuti. Proposta, questa, condivisa anche dal sottosegretario Giovanardi, che ha voluto esprimere per il tramite del Sappe il suo ringraziamento alle donne e agli uomini del corpo di Polizia Penitenziaria per quanto fanno ogni giorno nelle carceri italiane. Il Sappe sottolinea ancora come nonostante l’Italia sia un Paese il cui ordinamento è caratterizzato da una legislazione all’avanguardia per quanto riguarda la possibilità che i tossicodipendenti possano scontare la pena all’esterno, oggi quelli in carcere con problemi di tossicodipendenza sono circa il 35 per cento dei presenti”. “La legge prevede che i condannati a pene fino a sei anni di reclusione, quattro anni per coloro che si sono resi responsabili di reati particolarmente gravi, possano essere ammessi a scontare la pena all’esterno, presso strutture pubbliche o private, dopo aver superato positivamente o intrapreso un programma di recupero sociale. Nonostante ciò queste persone continuano a rimanere in carcere. Noi riteniamo sia invece preferibile che i detenuti tossicodipendenti, spesso condannati per spaccio di lieve entità, scontino la pena fuori dal carcere, nelle comunità di recupero, per porre in essere ogni sforzo concreto necessario ad aiutarli ad uscire definitivamente dal tragico tunnel della droga e, quindi, a non tornare a delinquere. I detenuti tossicodipendenti sono persone che essendo malate hanno bisogno di cure piuttosto che di reclusione. Anche su questa seconda proposta del Sappe il sottosegretario Giovanardi ha assicurato il suo impegno”. Giustizia: dossier di “Nessuno tocchi Caino” e “Reprieve” sul commercio del Pentotal Asca, 2 dicembre 2010 Il Sodio Tiopentale (Pentotal), barbiturico presente in tutti i protocolli di iniezione letale dei vari Stati americani, arriva anche dall’Italia. È questa la denuncia contenuta nel dossier “Commercio Letale” presentato oggi da “Nessuno tocchi Caino” e da “Reprieve”, organizzazioni che si battono contro la pena di morte. Dopo l’esecuzione in Arizona di Jeffrey Landrigan, avvenuta il 25 ottobre scorso con il farmaco letale importato dal Regno Unito, Reprieve ha portato avanti con successo un’azione legale volta a evitare che il Pentotal britannico venisse nuovamente esportato per l’esecuzione di altri detenuti americani. Il 28 novembre scorso, il governo inglese ha imposto un controllo all’esportazione del Sodio Tiopentale. Analoghe iniziative sono state avviate in Italia, dove la Hospira Spa, una casa farmaceutica con base a Liscate, in provincia di Milano, è stata incaricata dalla casa madre americana, con base a Lake Forrest in Illinois, di produrre il Sodium Thiopental da destinare ai penitenziari americani. Dopo la decisione del Governo britannico, denunciano le organizzazioni, la Hospira è veramente la fonte più importante se non l’unica del Pentotal per l’iniezione letale. “Sarebbe paradossale - proseguono - che proprio l’Italia, mentre è impegnata all’Onu per la Moratoria universale delle esecuzioni capitali, si rendesse complice della pena di morte negli Stati Uniti dove la carenza di veleno per l’iniezione letale sta determinando una moratoria di fatto delle esecuzioni”. Il Sodio Tiopentale, noto anche come Pentotal, è il barbiturico presente in tutti i protocolli di iniezione letale dei vari stati Usa: nei protocolli con tre farmaci costituisce il primo passaggio, mentre nei nuovi protocolli basati su un unico farmaco è proprio quello previsto. Nella seconda metà del 2010, si legge nel dossier, a causa della mancanza degli ingredienti base del farmaco, la Hospira Inc., che ha sede in Illinois ed è l’unica casa farmaceutica a produrre il Pentotal negli Stati Uniti, ha annunciato che non sarebbe stata in grado di tornare a distribuirlo prima di gennaio - marzo 2011. Alcuni Stati sono stati così costretti a sospendere o a rinviare le esecuzioni per la mancanza assoluta di Pentotal o per l’imminente data di scadenza del farmaco. Già dall’inizio dell’anno, l’Ohio ha stabilito il calendario delle esecuzioni proprio basandosi sulla difficoltà a reperire il Pentotal. Il 25 agosto scorso, spiega ancora il dossier, il Kentucky ha reso noto di avere in magazzino solo 9,5 grammi del farmaco. Questo ha indotto il governatore democratico Steve Beshear, dopo che i funzionari penitenziari non hanno trovato altro Pentotal né sul mercato né in prestito da altri Stati, a firmare solo uno dei 3 mandati di esecuzione che gli erano stati sottoposti, e a disporre un rinvio per gli altri due. I funzionari del Kentucky hanno inoltre raccontato che mentre loro stessi contattavano altri Stati alla ricerca di Pentotal, altri Stati avevano contattato loro per lo stesso problema. In Missouri sono slittate tutte le esecuzioni perché il Pentotal scade a gennaio 2011 e altro non se ne trova. In California è successo qualcosa di inimmaginabile fino a poco tempo fa. Il 30 settembre, il giudice federale Jeremy Fogel ha concesso ad Albert Greenwood Brown, un nero di 56 anni, un rinvio dell’esecuzione di soli due giorni, sufficienti però a superare il 1* ottobre, data di scadenza dell’unica dose di Sodio Tiopentale a disposizione del boia californiano. Il 19 novembre, in mancanza del Pentotal, il giudice federale Stephen P. Friot ha autorizzato lo Stato dell’Oklahoma a ricorrere a un potentissimo barbiturico, il Pentobarbital, noto per essere usato dai veterinari per uccidere cavalli azzoppati o animali malati in stato terminale. Il 14 ottobre, un condannato a morte era stato giustiziato in Oklahoma con una dose di Pentotal prestata dal vicino Arkansas. L’unico a non avere problemi col Pentotal, almeno fino a marzo 2011, sembra essere il Texas. L’Attorney General texano ha stabilito che deve essere resa pubblica la fonte di approvvigionamento dei farmaci usati nella procedura dell’iniezione letale. Da quanto è stato riportato, il Texas ha quantità sufficienti di Pentotal per 39 esecuzioni, ma il farmaco scade a marzo 2011. La penuria di Pentotal su tutto il territorio nazionale, spiegano ancora le organizzazioni, ha indotto molti Stati americani ad approvvigionarsi all’estero. In un memorandum datato 30 settembre 2010, è documentato che il Department of Correction del Tennessee ha ordinato un quantitativo di Pentotal proveniente da un fornitore estero, probabilmente britannico. Il 2 novembre, Reprieve ha reso pubblico il contratto di vendita che prevede l’acquisto di 40 grammi di Sodio Tiopentale, sufficiente per quattro “applicazioni” o dosi, al prezzo di 18.000 dollari. Lo Stato dell’Arizona si è procurato un quantitativo di Pentotal prodotto da un’azienda farmaceutica in Gran Bretagna, con il quale il 25 ottobre è stata eseguita l’iniezione letale nei confronti di Jeffrey Landrigan nella prigione di Florence a Phoenix. A seguito di un’ordinanza del tribunale emessa il 5 novembre, lo Stato della California ha messo agli atti il 22 novembre un documento (Defendants’ Notice) in cui si riporta che il California Department of Corrections and Rehabilitation ha ordinato 521 grammi di Sodio Tiopentale la cui consegna secondo il dipartimento penitenziario dovrebbe avvenire durante la settimana che parte dal 29 novembre 2010. Questo quantitativo di droga, la cui scadenza è prevista nel 2014 (lo stesso anno di scadenza del farmaco importato dal Regno Unito che è servito a giustiziare Jeffrey Landrigan in Arizona nell’ottobre scorso), molto probabilmente proviene dall’Europa e, considerato che per una iniezione letale ne bastano 5 grammi, può essere potenzialmente usato per uccidere circa 90 persone condannate a morte. Dopo l’esecuzione in Arizona con il farmaco letale importato dal Regno Unito, Reprieve ha intrapreso un’azione legale volta a evitare che il Pentotal britannico sia nuovamente esportato per l’esecuzione di altri detenuti americani, tra cui Ralph Baze in Kentucky e Edmund Zagorski, la cui esecuzione è stata programmata in Tennessee per l’11 gennaio 2011. Dopo la decisione del Governo britannico, secondo le richieste dell’organizzazione, la Hospira è veramente la fonte più importante (fra poco l’unica fonte) del farmaco per i penitenziari americani. Il 16 novembre, Reprieve ha reso noto che la Hospira Spa, una sussidiaria della multinazionale americana con base a Liscate, in provincia di Milano, era stata incaricata di produrre il Pentotal e che, a partire da gennaio 2011, avrebbe iniziato a esportare la sostanza negli Usa. Un comunicato della società con sede a Liscate sottolinea che ‘il medicinale non ha alcuna indicazione d’impiego nella pena capitale e Hospira non supporta il suo uso in questa procedura. Nella primavera del 2010, Hospira ha preso contatti con gli istituti di correzione negli Stati Uniti per rendere nota la nostra posizione, come già fatto in numerose occasioni nel corso degli anni, anche quando la società era parte di Abbott’. Per Giuseppe Riva, amministratore delegato della società milanese, ‘è un problema tutto americano: non riguarda i nostri stabilimenti. Il Sodium Thiopental viene prodotto per gli interventi chirurgici. L’uso per la pena capitale è improprio e avviene solo negli Stati Uniti. E comunque, non riguarda l’esecuzione ma la fase della preparazione del condannato. È usato come anestetico: se noi smettessimo di fornirlo, lo farebbero altrì. Sul caso Hospira di Liscate, il Presidente dei Verdi Angelo Bonelli, ha presentato il 16 novembre 2010 un esposto alla Procura della Repubblica di Milano, ‘al fine di impedire che il farmaco Sodium Thiopental sia utilizzato e che quindi provochi la morte in violazione della costituzione e dei trattati internazionali e valutare con urgenza se esistono le condizioni del sequestro preventivo del farmacò. Un’analoga iniziativa è stata presa dal Segretario di Nessuno tocchi Caino, Sergio D’Elia. “Se i vertici della Hospira Spa di Liscate avessero la consapevolezza che il farmaco inviato/da inviare negli Stati Uniti venga utilizzato per uccidere delle persone - indipendentemente dal fatto che negli Stati Uniti a cagionare la morte sarebbe lo Stato - dovrebbero rispondere del reato di concorso in omicidio, anche nella forma soggettiva del dolo eventuale”, ha scritto D’Elia nel suo esposto alla Procura della Repubblica di Milano, predisposto dall’avvocato Giuseppe Rossodivita del Partito Radicale. Giustizia: Giovanardi; il Governo si costituirà Parte civile nel processo Cucchi Il Messaggero, 2 dicembre 2010 Il Dipartimento per le Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio vuole costituirsi Parte Civile contro i medici del “Pertini” nel processo per la morte di Stefano Cucchi. La richiesta verrà presentata se il giudice dell’Udienza Preliminare, tuttora in corso, accoglierà le richieste del pubblico ministero rinviando a giudizio i sanitari. “I trascorsi di tossicodipendenza Cucchi scrive il sottosegretario Carlo Giovanardi avrebbero dovuto responsabilizzare i medici nella cura di un soggetto debole, fragile e vittima degli stupefacenti”. Scrive ancora Giovanardi. “I danni da tossicodipendenza per eroina, cocaina e cannabinoidi, i 17 ricoveri di Cucchi al pronto soccorso per ferite e fratture, l’epilessia e il fatto che il paziente fosse molto sottopeso, bradicardico, con alterazioni al fegato e al pancreas avrebbero dovuto responsabilizzare i medici”. Evidentemente, per il Dipartimento, questo non avvenne. Giorni fa Leopoldo Grosso del Gruppo Abele, il giurista Livio Pepino, il presidente di “Antigone” Patrizio Gonnella e Tonio Dell’Olio di “Libera” avevano chiesto che il Dipartimento si costituisse parte civile. “Secondo le tesi del pm sul processo Cucchi aggiunge Giovanardi, senatore e capo del Dipartimento Antidroga al momento sono i medici ad essere responsabili della sua morte a causa della mancata assistenza. Quindi, se saranno rinviati a giudizio, il governo si presenterà parte civile”. Chieti: accordo tra carceri e Asl, nascono i “presidi sanitari penitenziari” Il Velino, 2 dicembre 2010 Migliorerà l’assistenza all’interno dei penitenziari e ridurrà i costi che gravano sulla collettività il protocollo d’intesa firmato ieri dal direttore generale della Asl Lanciano Vasto Chieti, Francesco Zavattaro, con i direttori delle case circondariali di Chieti, Lanciano e Vasto. Tra i punti rilevanti dell’accordo c’è il potenziamento dell’assistenza specialistica ai detenuti all’interno del carcere, grazie alla creazione di veri e propri presidi sanitari penitenziari. Lo si legge in una nota dell’Asl 2 Lanciano Vasto Chieti. La conseguenza più immediata sarà la riduzione degli spostamenti per eseguire visite in ospedale. Questo aspetto assicurerà maggiore sicurezza agli stessi detenuti, con prestazioni più rapide ed efficaci e, soprattutto, garantite sempre dallo stesso professionista. Per la collettività ciò comporterà un risparmio sui costi di traduzione, nonché una minore incidenza sulle liste di attesa, meno gravate dall’assistenza ai detenuti. Curare correttamente i detenuti all’interno del carcere significa fare prevenzione per tutti. Gli operatori penitenziari (agenti di polizia penitenziaria, personale amministrativo e simili) sono quotidianamente a contatto con le persone recluse: limitare la diffusione delle malattie è un modo per evitare che le stesse siano poi portate all’esterno del carcere. In un incontro svoltosi a Chieti e aperto ai giornalisti, il protocollo è stato sottoscritto insieme a Zavattaro dai direttori degli istituti penitenziari di Chieti, Giuseppina Ruggero, di Lanciano, Massimo Di Rienzo, di Vasto, Carlo Brunetti, alla presenza del direttore amministrativo, Giancarlo Barrella, e del direttore sanitario della Asl, Amedeo Budassi, oltre al responsabile dell’unità operativa di medicina penitenziaria, Francescopaolo Saraceni. Le prestazioni nei presidi sanitari penitenziari saranno erogate da personale passato alle dipendenze della Asl, in attuazione di un decreto del presidente del Consiglio dei Ministri dell’1 aprile 2008. I direttori degli istituti penitenziari hanno sottolineato l’impegno dell’azienda sanitaria locale, che ha mantenuto inalterati i livelli di assistenza, dedicando al settore personale esperto che da anni lavora a contatto con i detenuti, senza ridurne il numero, nonostante i limiti imposti dal piano di rientro regionale. La asl ha infatti messo a disposizione 15 medici di medicina generale e 11 infermieri, cui si aggiunge la presenza di specialisti in psichiatria, infettivologia, odontoiatria, cardiologia, ginecologia, oculistica, dermatologia, otorinolaringoiatria, chirurgia ed ecografia. I tre direttori hanno inoltre evidenziato che “la provincia di Chieti si segnala in positivo grazie alla collaborazione tra la direzione generale della asl e il ministero della Giustizia”, trattandosi tra l’altro di uno dei primi protocolli siglati in materia. In provincia di Chieti sono attualmente 745 i detenuti, di cui 350 a Lanciano, 270 a Vasto e 125 a Chieti (dove si trova anche una delle due sezioni femminili presenti in Abruzzo). Si tratta per un terzo di extracomunitari e per un 30% di tossicodipendenti. Vi è un’alta incidenza di malattie correlate allo stato di tossicodipendenza, quali epatopatia cronica Hbv e Hcv correlata. Particolare importanza ha il controllo del disagio psichico e delle patologie psichiatriche, garantito dagli operatori del dipartimento salute mentale della asl: “L’impatto con il sistema penitenziario - ha detto Saraceni - è devastante. Come purtroppo riferiscono spesso le cronache, molti tentano il suicidio. Gli atti di autolesionismo sono all’ordine del giorno. Anche per questo serve un’assistenza continua ed efficiente”. Imperia: martedì 7 manifestazione contro la carenza di personale di polizia penitenziaria www.riviera24.it, 2 dicembre 2010 “Imperia, come altre sedi penitenziarie della Liguria, patisce una pesante carenza di organico, quantificata in circa 25 unità. La pesante carenza di poliziotti si ripercuote inevitabilmente sulle condizioni di lavoro delle unità effettivamente presenti, che pure svolgono servizio con encomiabile professionalità e spirito di servizio, e sulla sicurezza della stessa struttura carceraria. È necessario, dunque, porre in essere ogni sforzo concreto per incrementare il Reparto di Polizia Penitenziaria del carcere. Ed è questa la ragione per cui il Sappe aderisce alla manifestazione di sensibilizzazione che si terrà davanti al carcere di Imperia martedì 7 dicembre”. È quanto dichiara Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, il più rappresentativo della Categoria, in relazione al sit - in organizzato dal Sappe con altre Sigle sindacali del penitenziario di via Agnesi (Lisapp, Osapp e Cgil) per martedì prossimo, 7 dicembre a Imperia. “I posti letto regolamentari nel carcere di Imperia sono 78, ma i detenuti presenti sono costantemente attorno a 110/120, il 70% dei quali stranieri. Gli Agenti di Polizia Penitenziaria in forza sono - sulla carta - 59 rispetto ai 78 previsti in organico. In realtà, alle 59 unità vanno sottratte 8 poliziotti distaccati in altre sedi d’Italia per motivi familiari o di servizio, 4 in servizio al Nucleo Traduzioni e Piantonamenti per il trasporto dei detenuti in altri carceri e presso le Aule di giustizia ed altre 4 unità attualmente in convalescenza con lunghi periodi disposti dalle Commissioni medico - ospedaliere dei Centri militari di medicina legale. Il Personale di Polizia Penitenziaria effettivamente in servizio nel carcere di via Agnesi è quindi pesantemente sotto - organico, costretto a turni di servizio molto pesanti, aggravati da un sovraffollamento che rende minimi i livelli di sicurezza e che incide eccessivamente sulle già gravose condizioni di lavoro della Polizia Penitenziaria, peraltro da diversi mesi in stato di agitazione. Noi ci attendiamo nuovi incrementi di Personale che auspichiamo possano arrivare con il concorso pubblico appena bandito per 600 nuovi Agenti. Al Personale di Polizia Penitenziaria di Imperia, che nonostante tutto lavora ogni giorno con grande professionalità ed alto senso del dovere in una struttura carceraria sovraffollata oltre misura, va il plauso del primo Sindacato del Corpo, il Sappe”. Alla manifestazione presenzierà il Vice Segretario Regionale Sappe della Liguria Cosimo Galluzzo, che denunzia le criticità del penitenziario Sanremese di Valle Armea: “A Sanremo mancano ben 85 agenti di Polizia Penitenziaria mentre i detenuti sono costantemente oltre la capienza regolamentare: 370/380 i presenti a fronte di 209 posti letto. Confidiamo anche per Valle Armea, come per Imperia, in un incremento di organico nei concorsi appena banditi per nuovi Agenti”. Ancona: Caligaris (Sdr); ancora senza esito richiesta Annino Mele su posizione giudiziaria Agenparl, 2 dicembre 2010 “Ad Annino Mele non solo viene negata da dieci anni la possibilità di incontrare l’anziana madre, ma non riesce neppure ad ottenere di conoscere la sua attuale posizione giudiziaria. L’ultima richiesta indirizzata al Magistrato di Sorveglianza di Ancona nel mese di giugno non è stata ancora esitata. Ciò è in contrasto con il principio della rieducazione della pena sancito dalla Costituzione e dalla legge sull’ordinamento penitenziario”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” con riferimento a una lettera - denuncia inviata all’associazione dall’ergastolano di Mamoiada, recluso continuativamente dal 1987 e attualmente nel carcere di Fossombrone. “Da diversi anni - ha scritto, tra l’altro, Mele - chiedo lo scorporo dei reati e nessuno sembra avere l’interesse di portarlo a conclusione. In questo modo diventa impossibile orientarsi per rivolgere una qualunque istanza oppure per impugnare un provvedimento qualora risulti ingiusto. Non so se ciò è il risultato di scarsa considerazione per il problema oppure se esista una volontà di mantenermi all’oscuro della mia situazione”. “Dopo 34 anni di detenzione, 27 dei quali effettivamente scontati in carcere, avrò acquisito - si chiede Annino Mele, arrestato la prima volta nel 1976 e ristretto fino al 1980 - almeno il diritto di conoscere la mia attuale condizione giudiziaria? Se invece non è così perché qualcuno non me lo dice chiaramente? Non conoscere il proprio status equivale a negare qualunque opportunità di fruire di un permesso o perfino di formulare una domandina per un colloquio. È un atteggiamento incomprensibile”. “L’indeterminatezza della condizione giudiziaria - sottolinea la presidente di SdR - può essere considerato da un lato un aggravio della pena che genera ansia nel detenuto, dall’altro un vero e proprio sopruso in quanto viene negata alla persona privata della libertà, seppure condannata all’ergastolo, di valutare la sua evoluzione. Il silenzio risulta particolarmente assurdo con riferimento al rispetto del principio rieducativo della detenzione. Se un individuo dopo un così elevato numero di anni permane nella stessa condizione di partenza vuol dire che il sistema ha fallito il suo compito primario e deve quindi - conclude Caligaris - essere radicalmente riorganizzato perché diventi efficiente”. Castelfranco Emilia (Mo): Sappe; hascisc nella Casa di lavoro, servono unità cinofile Dire, 2 dicembre 2010 “Nei giorni scorsi il personale del reparto di Polizia penitenziaria della casa di lavoro di Castelfranco Emilia, in provincia di Modena, ha sequestrato, a un internato che rientrava dalla licenza, un involucro contenente circa sei grammi di sostanza stupefacente, presumibilmente hascisc, pronti per essere spacciati ed usati all’interno della struttura penitenziaria. L’involucro era stato occultato dalla persona all’interno del retto”. A rendere noto l’episodio, in una nota, è il segretario aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante. Non è certo la prima volta che si verifica un tentativo di questi tipo, ricorda Durante, anzi il sistema di nascondere droga o altri oggetti all’interno del proprio corpo “è uno dei modi più diffusi e di difficile individuazione attraverso il quale i detenuti tentano di far entrare in carcere sostanze e oggetti non consentiti” dice Durante (che ricorda come tempo fa un detenuto a Bologna fu trovato con un cellulare nascosto nel retto). Per correre ai ripari, chiede il segretario del Sappe, occorre utilizzare le unità cinofile anche nelle carceri della regione. “Sarebbe opportuno dotare al più presto il personale di Polizia penitenziaria degli strumenti necessari per far fronte a questi problemi - afferma Durante - è necessario costituire al più presto le unità cinofile per il contrasto alla droga, nelle regioni come l’Emilia - Romagna, dove ancora non sono state costituite, così come sarebbe opportuno l’uso di rilevatori di telefoni cellulari”. In tutto questo, il sovraffollamento e la carenza di guardie carcerarie non fanno che peggiorare la situazione. Nella casa lavoro di Saliceta, scrive Durante, i posti sarebbero 38, ma c’è un sovraffollamento superiore al 200%. A Saliceta, dice infatti Durante, “ci sono 85 internati, dei quali 10 sono in licenza, e 14 detenuti a custodia attenuata che fanno parte del programma di recupero per tossicodipendenti”, quando “i posti previsti sono solo 38”. A causa di questo sovraffollamento, “superiore al 200% - prosuegue il segretario aggiunto del Sappe - una parte degli internati sono ristretti nella sezione riservata ai detenuti a custodia attenuata” e questo “crea gravi problemi di organizzazione e gestione della struttura”. Infine c’è l’annoso problema della carenza di personale: “Per un organico previsto di 59 agenti ce ne sono solo 39” conclude Durante. Milano: paure, speranze, difficoltà; documentario con i racconti dei ragazzi del Beccaria Redattore Sociale, 2 dicembre 2010 “Non ci sto dentro” è il titolo del nuovo documentario di Antonio Bocola, regista di “Fame chimica”. Domani sera il documentario viene presentato a Milano al centro sociale Cox 18, nell’ambito dell’iniziativa “Liberi tutti”. MILANO - “Non ci sto dentro”: un modo di dire spesso in bocca agli adolescenti. Per quelli rinchiusi nell’istituto penale minorile Beccaria di Milano una condizione anche fisica. E ora è diventato il titolo del nuovo documentario di Antonio Bocola, regista di Fame chimica. Per sei mesi Bocola ha raccolto i racconti dei ragazzi, mentre con loro realizzava una radio podcast: “A ciascuno è stato dato lettore mp3 sul quale periodicamente caricavano musiche e contenuti realizzati da loro stessi”, spiega il regista. Il documentario fa parlare questi adolescenti: paure, speranze, le difficoltà nel passaggio ad una vita adulta. “Percorriamo tutte le tappe del circuito penale minorile - aggiunge - . Quindi, oltre al carcere, anche le comunità esterne. Ho raccolto anche le testimonianze degli adulti che si occupano di questi ragazzi: dal giudice agli educatori al direttore del Beccaria”. Domani sera alle 21 il documentario viene presentato a Milano al centro sociale Cox 18 (via Conchetta 18) nell’ambito dell’iniziativa “Liberi tutti”. “Non ci sto dentro è un viaggio molto suggestivo, denso di parole - spiega Antonio Bocola. Dalle parole dei ragazzi possiamo capire che esiste sempre una possibilità di riscatto”. I documentari di Bocola non si trovano nelle grandi multisale: chi vuole organizzare una proiezione può scrivergli all’indirizzo mail abocola@e-tica.it. Rimini: Osapp; a Salone Giustizia il Dap propone realtà edulcorata, lontana dal carcere Adnkronos, 2 dicembre 2010 “Più che il Salone della Giustizia a noi sembra il Salone delle cooperative: peggio che la festa dell’Unità ai tempi che furono. Oppure, ancora più grave, il Salone delle feste. In ogni caso un’occasione persa”. Il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, bolla così l’ennesima iniziativa del Dap legata al Salone della Giustizia che avrà luogo a Rimini a iniziare da domani. “Purtroppo non c’è nulla da festeggiare - rincara il leader sindacale - Se pur lieti del fatto che la Polizia Penitenziaria prenderà parte a pieno diritto alle celebrazioni di Rimini ci chiediamo quale realtà lo Stato, con quest’evento di comunicazione istituzionale, voglia mettere in campo”. Se il focus dell’esposizione è incentrato sul lavoro del carcere, “così come recita l’altisonante comunicato diffuso dall’Ufficio Stampa del Dap - continua Beneduci - la popolazione che visiterà gli stand si accorgerà di una realtà edulcorata, falsata dai continui eventi che affliggono quotidianamente le carceri. E l’errore sta proprio nella definizione che si vuole dare all’evento”. Il segretario dell’Osapp spiega che il penitenziario “non è un luogo dove a tutti i detenuti, amabilmente, è permesso lavorare, interagire, studiare; dove le abilità manuali e cognitive sono impiegate per la crescita personale, dove la persona detenuta è messa nella condizione di elaborare un nuovo progetto di vita, ritrovando la dignità di vivere un’esistenza proiettata verso la scelta della legalità. Il carcere è tutta un’altra cosa che la piazza del mercato; forse da qualche altra parte del Mondo - conclude Beneduci - ma qui, in Italia, non si vendono prodotti realizzati dai detenuti ma anzi, li si costringe a comprare tutto ciò che manca, come carta igienica, bombolette gas, schiuma da barba: tutti quei generi di prima necessità che il Dipartimento non è in grado di rifornire”. Libri: “Boati di solitudine”, di Bruno Furcas e Salvatore Bandinu, Arkadia Editore www.giustiziagiusta.info, 2 dicembre 2010 In occasione di un’altra presentazione del mio libro “Boati di solitudine” scritto con l’amico collega Bruno Furcas e pubblicato da Arkadia editore, abbiamo incontrato i cittadini e l’Assessore alle Politiche Sociali di Quartu S. Elena, la mia città. I temi trattati sono stati i soliti: carcerazione minorile, disagio sociale e devianza giovanile. Temi scomodi, poco “battuti” o peggio, affrontati faziosamente a seconda del filone politico o utilitaristico del momento. Niente di nuovo insomma. Solita assenza totale delle istituzioni direttamente interessate, e dei soliti giornalisti impegnati in temi di gran lunga più commerciali e “vendibili”. Come dire, tutto nella norma. La partecipazione dei cittadini invece è andata come al solito in controtendenza, dimostrando che evidentemente questi temi catturano ancora l’attenzione di coloro i quali non si vogliono arrendere alla logica dello stereotipo, alla politica del luogo comune tantomeno accontentarsi di visualizzare e commentare l’ennesimo plastico confezionato e trasmesso in tv. Parlare “realmente” di carcere è difficile. Raccontare che dietro un detenuto non sempre si nasconde un mostro è destabilizzante, alle volte letteralmente inaccettabile. Quando crollano le mura del pregiudizio, allora si viene inevitabilmente esposti al confronto, al dialogo, alle insidie della comprensione. “Il tuo prossimo è l’altra parte di te, quella dietro al muro. Nella comprensione tutte le mura crolleranno..” recitava Gibran. È davvero di gran lunga più comodo e rassicurante proteggersi dietro idee preconcette e vecchie di millenni piuttosto che scavare fin quando si mette a nudo il problema e lo si riesce a guardare con gli occhi della criticità. Tantissime le domande formulate dai partecipanti che chiedevano spiegazioni, delucidazioni e chiarificazioni in merito alle mie affermazioni che una carcerazione precoce porta solo a stigmatizzazione e destrutturalizzazione di un minore con una personalità fragile ancora in formazione. Incontro stimolante e pieno di interrogativi ai quali non sempre è stato possibile fornire una risposta lineare e convincente ma che comunque ha sottolineato una volontà e un sincero intento nel voler capire prima di lasciarsi andare e rendersi vittime dell’etichettamento preventivo. Si è ragionato sui motivi, sulle opportunità e sulle possibili strategie politiche per affrontare in maniera costruttiva il problema delle carceri. La discussione si è infiammata quando si è ragionato sul fatto che spesso è più semplice costruire nuove carceri piuttosto che potenziare i servizi e le strutture che fanno prevenzione nel territorio. Una società che taglia le spese sui servizi sociali e investe solo sulla repressione è una società destinata a non risolvere il problema ma a strumentalizzarlo. C’è una volontà populistica nell’interessarsi sempre degli effetti del crimine e mai seriamente delle sue cause. Nel ricordare che la pena ai tempi del “carcere morale” è stata sinonimo di “redenzione” piuttosto che di “reinserimento sociale”, la platea si è letteralmente divisa. Anche Lombroso e Ferri con i loro studi di sociologia e antropologia criminale hanno incontrato tra i partecipanti dubbi e approvazione. Dopo il sessantotto il carcere è stato “politicizzato” e vien difficile non accorgersi che oggi la logica è quella di insinuare la paura nel cittadino per sostenere chissà quale disegno utilitaristico. Un illustre studioso dell’argomento disse che “si tratta di alimentare insicurezza per governare con la paura”. Ancora la discussione ha sfiorato temi importantissimi e delicati come il reale ruolo delle guardie e l’importante funzione che dovrebbero svolgere all’interno di un IPM; Sono stati affrontati i contenuti della Gozzini, si è parlato della legge svuota carceri e per finire si è discusso della sindrome da prigionizzazione e dei limiti delle Istituzioni Totali. L’incontro ha scatenato quello che già immaginavo: dubbi, perplessità, dissensi, critiche e una serie di discussioni anche contrapposte ma sempre costruttive e utilissime per riaprire il confronto su un tema che oramai pare sepolto, rimosso e quasi inesistente. Comunque tutti d’accordo sul fatto che i media hanno una responsabilità enorme sulla corretta e onesta gestione di queste problematiche. È stato un altro incontro positivo e soddisfacente che lascia l’amaro in bocca per la solite “assenze ingiustificate”. Il tour di presentazioni prosegue e sono diversi gli inviti da parte di Amministrazioni Comunali incuriosite dal vociare che pian piano sta generando questa piccola testimonianza. Un libro che da voce a pochi sfortunati ma che riveste un’importanza molto maggiore se valutata in termini di “riapertura del dialogo” Un romanzo che mi sta dando la preziosa occasione di incontrare e discutere con persone e opinioni più disparate, un esperienza scritta che si muove tra grandi “sconfitte” e piccole soddisfazioni ma che comunque ha superato positivamente la mia più grande paura; quella che la sua lettura alimentasse ancora l’indifferenza. Salvatore Bandinu Immigrazione: orrore nel Sinai, uccisi altri tre prigionieri eritrei respinti dalla Libia Avvenire, 2 dicembre 2010 Precipita la situazione al confine egiziano. Ieri i prigionieri, tenuti in catene da oltre un mese dai trafficanti, hanno riferito alloro contatto, il prete eritreo Mosè Zerai, che un tentativo di fuga è stato represso senza pietà: “Non sperano di salvarsi”. L’Acnur chiede al Cairo di intervenire per trovarli Appello a Frattini delle senatrici Baio e Garavaglia. Sei morti ammazzati in 48 ore. Cadono come mosche, al ritmo di tre vite umane al giorno, gli 80 eritrei fuggiti dalla Libia nel tentativo di raggiungere l’Europa attraverso Israele e caduti da oltre un mese nelle mani di una banda di spietati trafficanti di esseri umani nel Sinai. L’allarme è stato rilanciato sul blog dell’agenzia di cooperazione Habeshia dal sacerdote eritreo cattolico della diocesi dell’Asinara Mosè Zerai, che vive a Roma e che dalla capitale, dallo scorso 24 novembre, è in contatto telefonico con questi sventurati in trappola. Ai quali i carcerieri lasciano usare il cellulare per implorare il pagamento del riscatto di 8mila dollari. Al confine tra Egitto e Israele, si sta consumando l’ennesima tragedia dell’immigrazione nell’indifferenza dei governi e nel silenzio dei media. Ieri altri tre eritrei sono stati massacrati a bastonate dai banditi, che tengono in ostaggio i profughi in una località indefinibile. Si tratta di persone che, una volta giunte sul suolo europeo, avrebbero diritto di chiedere asilo. Nel deserto la loro vita vale poche migliaia di dollari. L’odissea è iniziata più di un mese fa, quando i passatori avevano promesso di trasportare i fuggitivi oltre la frontiera con lo stato ebraico in cambio del pagamento di duemila dollari. Ma li hanno ingannati, fermando il camion dei profughi in mezzo al deserto e chiedendo 8mila dollari a testa per lasciare gli ostaggi in vita. Da lunedì è cominciata la mattanza. L’altro ieri tre persone erano state torturate e uccise a sangue freddo con la pistola perché non era stato pagato il riscatto, ieri un tentativo disperato di fuga di una dozzina di profughi è stato fermato e represso con violenza bestiale lasciando sul terreno altri tre cadaveri. Dalle informazioni in possesso del prete eritreo risulta che gli ostaggi sono quasi tutti sotto i trent’anni. Nel gruppo vi sono anche alcune donne. Sono tenuti prigionieri in condizioni inumane, in catene, maltrattati, con vitto scarso e senza potersi lavare. In tutto nell’area vi sarebbero 600 ostaggi provenienti da Corno d’Africa e Sudan. “Ho parlato con alcuni ostaggi eritrei ieri mattina - racconta don Zerai - mi hanno detto che i rapitori sono armati fino ai denti e determinati. Stanno perdendo le speranze di restare vivi, non c’è più tempo. Dove sono? Non riescono a identificare la località, sono stati incappucciati durante il trasbordo. Mi hanno riferito di vedere dalla prigionia una scuola e una moschea. Può agire solo il governo egiziano. Ma serve un intervento urgente dei governi europei sul Cairo per salvare i 74 superstiti o moriranno nell’indifferenza delle istituzioni nazionali e internazionali”. Non si escludono connivenze dell’organizzazione di trafficanti con la polizia. Lunedì don Zerai è stato ascoltato a Bruxelles in un’audizione al Parlamento europeo senza, però, ottenere molto. Ma qualcosa si muove. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha segnalato il caso alle autorità egiziane. Ieri le senatrici del Partito Democratico Emanuela Baio e Mariapia Garavaglia, componenti della Commissione diritti umani di palazzo Madama, hanno lanciato un appello: “Salviamo la vita degli eritrei che muoiono nel deserto del Sinai, una parte di loro risulta essere stata respinta dalla Libia” . “Risulta che, al confine tra Egitto ed Israele, - si legge in una nota delle due senatrici - nel deserto del Sinai, luogo simbolo per la cristianità, dove sono state consegnate a Mosè le tavole dei 10 Comandamenti, si consumino ogni giorno efferati delitti impuniti. E sembra che queste violenze lascino diversi Stati e il nostro governo completamente disinteressati”. Le parlamentari hanno firmato l’interrogazione presentata la scorsa settimana dal Presidente della commissione Diritti umani del Senato Pietro Marcenaro e hanno chiesto al ministro degli Esteri Frattini di riferire in Senato. “Chiediamo di sapere cosa stia facendo il Governo italiano verso quello egiziano per liberare i profughi e cosa stia facendo verso la grande Repubblica Araba di Libia, popolare e socialista per difendere il diritto alla protezione umanitaria”. Iran: impiccata Shahla Jhahed, 146a esecuzione per il 2010 nelle carceri iraniane www.giustiziagiusta.info, 2 dicembre 2010 Shahla Jhahed, amante dell’ex calciatore nazionale Nasser Mohammad Khani, è stata impiccata mercoledì nel carcere di Evin in Iran nel silenzio totale della stampa e del mondo intero. La donna, moglie provvisoria per contratto del calciatore era stata condannata a morte per l’omicidio della prima moglie di Khani, uccisa a coltellate nel 2002. Nonostante numerosi appelli da parte di Amnesty International e altre organizzazioni internazionali contro la pena di morte, la donna è stata giustiziata senza troppi problemi. Mentre il calciatore, reo confesso di aver abusato di sostanze stupefacenti con Shahla Jhahed, venne condannato a “solo” 74 frustate, l’amante da contratto è stata “solo” impiccata. A nulla sono serviti gli appelli della famiglia della donna per togliere a Shahla Jhahed la pena capitale che le gravava. Shahla aveva stipulato un contratto di “matrimonio a tempo” con l’ex calciatore, che dà la possibilità di essere amanti per un determinato periodo senza rischiare di essere condannati per adulterio. Il caso di Shahla è stato un caso dimenticato dal mondo, e chissà che anche il caso mediatico di Sakineh che ha avuto per fama più fortuna di lei alla fine si risolva nello stesso identico modo. Shahla è la 146a esecuzione per il 2010 nelle carceri iraniane, uno dei tanti comuni casi di pena di morte che non fa rumore. Iraq: da Roma una richiesta di grazia per Tareq Aziz Ansa, 2 dicembre 2010 Una domanda di grazia per Tareq Aziz, braccio destro dell’ex rais iracheno Saddam Hussein, è stata consegnata questa mattina all’ambasciatore iracheno a Roma, Saywan Barzani. La richiesta proviene dal figlio dell’ex vice primo ministro cristiano, Ziad Aziz, che vive ad Amman, ed è stata consegnata a Barzani dall’avvocato Remo de Martino, nel corso di una trasmissione di Radio Radicale. “La prego di consegnare questa domanda di grazia al governo del suo paese - ha detto l’avvocato apprezziamo tutti gli sforzi che state facendo per ristabilire la democrazia e speriamo che il diritto alla vita venga salvaguardato”. L’ambasciatore ha assicurato che “trasmetterà” la richiesta a Bagdad. “Spero che le autorità irachene la esaminino presto in quello spirito di clemenza espresso dal presidente Talabani”, dice il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Gran Bretagna: la Corte europea, il caso Green e il diritto di voto dei detenuti di Maria Teresa Lattarulo www.giornaledipuglia.com, 2 dicembre 2010 I ricorrenti sono due cittadini britannici, Robert Green e M.T., che stavano entrambi scontando una condanna all’epoca sia delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo nel 2009, sia delle elezioni politiche tenutesi nel 2010. Ciò aveva impedito loro di votare in quanto la sezione 3 della legge sulla rappresentanza del popolo del 1983 prevede una restrizione generalizzata per tutti i condannati alla detenzione, indipendentemente dalla durata della loro pena e indipendentemente dalla natura o della gravità del loro delitto e dalla loro situazione personale. Tale restrizione è stata estesa alle elezioni del Parlamento europeo dalla sezione 8 della legge sulle elezioni del Parlamento europeo del 2002. La normativa non è stata modificata nonostante la Corte ne avesse già rilevato la contrarietà alla Convenzione nel caso Hirst c. Regno Unito dell’ottobre 2005. La Corte ha esaminato il caso alla luce dell’art. 3 del Protocollo 1 dal quale la Corte europea ha ricavato il diritto di voto e di candidarsi alle elezioni. I giudici di Strasburgo hanno ritenuto che una esclusione automatica e generalizzata del diritto di voto dei detenuti indipendentemente dalla considerazione di tutte le circostanze di specie contrasti con la Convenzione. Fra gli Stati membri del Consiglio d’Europa vi è un’ampia divergenza di prassi adottate in materia: in diciotto paesi non vi è alcuna restrizione al diritto di voto dei detenuti, in tredici è vietato votare per tutti i detenuti e in dodici vi sono alcune limitazioni. Coloro che propendono per il divieto di votare adducono le ragioni della prevenzione del crimine e della punizione del reo: ed invero i soggetti che hanno violato le regole fondamentali della società non dovrebbero poter partecipare, secondo costoro, alla formazione di quelle stesse regole. Coloro che sono contrari a qualsiasi restrizione affermano che il diritto di voto è fondamentale per la democrazia e dovrebbe essere limitato solo per conseguire un obiettivo imperativo e fondamentale e che non vi è alcun collegamento logico tra il diniego del diritto di voto e l’obiettivo dichiarato di promuovere la responsabilità civica e il rispetto per la legge, in quanto non c’è prova alcuna che la privazione del diritto di voto prevenga il crimine o riabiliti i trasgressori; inoltre, limitando il diritto di voto dei detenuti lo Stato si priva di un mezzo significativo per insegnare loro i valori della democrazia e della responsabilità civica; infine, i divieti generalizzati del diritto di voto sono arbitrari in quanto non si collegano ai fatti e alle circostanze specifiche del singolo reato. La situazione dell’ordinamento italiano appare non meno in contrasto con la Convenzione di quella britannica. Infatti i detenuti condannati ad una pena superiore a cinque anni sono colpiti dalla interdizione perpetua e generalizzata dai pubblici uffici che comporta automaticamente la perdita dell’elettorato attivo e passivo, mentre coloro che siano condannati ad una pena da tre a cinque anni sono colpiti, per cinque anni, dalla interdizione temporanea che comporta, per la sua durata e sempre automaticamente, la perdita dell’elettorato. Inoltre, i detenuti che hanno il diritto di voto sono sottoposti a una normativa - capestro che prevede che il detenuto debba far sapere per tempo al Sindaco del Comune di residenza che intende votare nel luogo di reclusione e che, successivamente, il Comune di origine faccia pervenire comunicazione all’istituto penitenziario della avvenuta cancellazione (provvisoria) dalle liste elettorali, cui dovrà seguire la comunicazione al Comune di detenzione perché il detenuto sia iscritto nelle liste locali. Solo allora potrà essere allestito il seggio speciale per la raccolta del voto dei detenuti in carcere. Cina: centinaia di pirati informatici in carcere, ma l'hackeraggio sta diventando "hobby" popolare Ansa, 2 dicembre 2010 La Cina ha detenuto più di 460 pirati informatici dall’inizio di quest’anno fino alla fine di novembre, anche se le prospettive nella prevenzione di futuri attacchi alla sicurezza dei computer continuano ad essere cupe, secondo il ministero cinese di sicurezza pubblica. L’annuncio, realizzato lunedì notte, è nato il giorno dopo che una serie di informazioni private del Dipartimento degli Stati Uniti, inclusa una in cui una fonte anonima cinese affermava che il Politburo cinese aveva orchestrato l’intrusione nei sistemi informatici di Google durante una campagna più ampia di sabotaggio da parte del governo del paese antico, esperti di sicurezza privata e delinquenti informatici. “L’attuale situazione delle nostre misure contro gli attacchi informatici è ancora molto cupa e il numero di attacchi e di sabotaggi in Cina continua ad essere molto alto”, ha dichiarato il responsabile anonimo nel comunicato. Il ministro ha detto che aveva risolto 180 casi di attacchi cibernetici fino alla fine di novembre. Un responsabile del ministero degli esteri, che ha rifiutato martedì di rilasciare commenti riguardo le informazioni di Wikileaks, ha richiamato gli Stati Uniti per “risolvere appropriatamente i problemi relazionati” alle informazioni, anche se non ha dato più dettagli. All’inizio di febbraio, la Cina ha annunciato che aveva chiuso quella che pensava essere la più grande pagina Web del paese per imparare a realizzare attacchi informatici e detenuto tre dei suoi membri, un mese dopo che Google aveva minacciato di abbandonare la Cina dopo aver ricevuto un attacco cibernetico originato nel paese asiatico. La Cina ha affermato in ripetute occasioni che non approva la pirateria informatica, anche se continua ad essere un popolare hobby nel paese, che può contare su numerose pagine Web in cui si offrono corsi a prezzi bassi per apprendere nozioni base di questa attività.