Giustizia: l’ergastolo non è mai “bello”… nemmeno per Rafael Videla di Mauro Palma Il Manifesto, 29 dicembre 2010 È difficile immaginare un delitto più grave del genocidio; della sistematica distruzione di un insieme di persone unite da una comune appartenenza, etnica, territoriale o di idealità, per sradicare ciò che esse rappresentano con il fatto stesso di esistere e affermare così il proprio dominio. Il Novecento non è stato avaro di tali crimini anche nella sua seconda metà, come dimostra la vicenda argentina. Con la specificità del tentativo di distruggere non solo la vita esistente ritenuta antagonista, ma anche quella nascente, sottraendole origine e futura memoria. Per questo è importante che Rafael Videla, primo capo della giunta militare, sia stato condannato dalle corti di giustizia argentine. Tuttavia sentenza di condanna e pena irrogata non vanno confuse. Se la prima ha il valore dell’affermazione della responsabilità per il male subito dalle vittime e dall’insieme della società civile, la seconda necessariamente rinvia all’interrogativo su quale funzione a essa assegniamo. Una funzione che non può essere dosata sulla simmetria con il male commesso. Leggere allora il titolo “Un bell’ergastolo per il genocida Rafael Videla” con cui Il Manifesto (23 dicembre) ha dato la notizia della condanna, con quella sottolineatura compiaciuta, fa riflettere su quanto arretrata sia la nostra riflessione sulla pena e quanto deboli siano le convinzioni con cui da anni portiamo avanti la battaglia per l’abolizione della detenzione a vita. Perché un ergastolo non può mai dirsi “bello”. Al contrario, rappresenta sempre una sconfitta e un indice della nostra arretratezza collettiva. L’ergastolo non è, infatti, una pena come le altre, seppure estesa a un tempo limitato solo dalla morte; è pena di altra natura, residuo di pre-modernità nel sistema penale, perché indica l’espulsione definitiva, personale e sociale, del condannato dall’aggregato civile, la privazione di elementi strutturanti la sua identità, dalla patria potestà alla possibilità di fare testamento, fino alla pubblicazione della condanna all’albo del comune. Affinché si sappia che egli è vivo, ma non è più e non sarà più parte del nostro consesso sociale. Certo, l’ergastolo è pena comminata a chi ha commesso reati gravissimi, spesso reiterati o seriali, tali da determinare ferite profonde ai singoli e alla collettività; i reati commessi da Videla hanno queste connotazioni di significato e dimensione numerica. Ma, proprio in situazioni così estreme si misura la determinazione per la sua abolizione: troppo semplice l’affermazione di principio senza misurarsi con la concretezza dei casi, anzi plaudendo alla sua applicazione in qualcuno di essi. Abolire l’ergastolo è un percorso non semplice, perché richiede la costruzione di una opinione favorevole che sappia cogliere la cesura tra vendetta e funzione penale e comprendere la necessità di modulare ogni pena nella direzione di un risanamento della ferita prodotta dalla commissione del reato e non di un suo acutizzarsi. Recentemente Stefano Anastasia e Franco Corleone hanno ripercorso in un libro (Contro l’ergastolo, Ediesse, 2010) le tappe del dibattito italiano sull’abolizione dell’ergastolo, a partire dalla rilettura delle parole di Aldo Moro agli studenti, in una delle sue ultime lezioni, in cui al rifiuto della pena di morte affiancava quello della pena perpetua che “priva com’è di qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento e al ritrovamento del soggetto, appare crudele e disumana non meno di quanto lo sia la pena di morte”. Parole su cui riflettere, per convenire che un ergastolo, chiunque riguardi, non potrà mai essere definito “bello”. Giustizia: il Piano carceri prosegue, firmati accordi con le Regioni Veneto e Sicilia di Rossella Calabrese www.edilportale.com, 29 dicembre 2010 Il commissario delegato per il Piano Carceri Franco Ionta e i rappresentanti delle Regioni Veneto e Sicilia hanno firmato l’Intesa istituzionale per la realizzazione delle nuove infrastrutture carcerarie. Per il Veneto ha siglato l’intesa il vicepresidente della Regione Marino Zorzato, su delega del presidente Luca Zaia, mentre per la Sicilia Caterina Chinnici, assessore per le Autonomie locali e la Funzione pubblica della Regione siciliana, delegata dal presidente Raffaele Lombardo. In Veneto l’accordo prevede la realizzazione di un istituto penitenziario a Venezia, con una capienza di 450 detenuti, e di un padiglione detentivo di 200 posti a Vicenza. Le strutture saranno edificate in tempi rapidi secondo le disposizioni urgenti per la realizzazione di istituti penitenziari (legge 26 febbraio 2010, n. 26) stabilite per il Piano carceri. Il nuovo carcere di Venezia, che costerà circa 40,5 milioni di euro, sorgerà su un’area demaniale di oltre 9 ettari, in località Campalto, che attualmente risulta in uso alla Difesa come spazio adibito a stivaggio e deposito. Il sito, individuato dalla Regione Veneto d’intesa con il Comune di Venezia dopo un’attenta indagine sul complesso territorio della città lagunare, è conforme dal punto di vista geologico e adatto anche dal punto di vista infrastrutturale, vicino all’uscita autostradale, funzionale alla traduzione dei detenuti e all’accesso di parenti, legali e personale giudiziario. Il padiglione che amplierà l’attuale struttura di Vicenza, invece, avrà un costo di circa 11 milioni di euro e insisterà su un’area di 3900 metri quadrati. In Sicilia è invece prevista la costruzione di quattro nuovi istituti penitenziari, con una capienza di 450 detenuti ciascuno e tre padiglioni di 200 posti, per un investimento complessivo di quasi 200 milioni di euro. I nuovi istituti saranno costruiti a Catania, Marsala, Mistretta e Sciacca. I padiglioni amplieranno le strutture di Siracusa, Trapani e Caltagirone. Ogni nuovo istituto costerà circa 40,5 milioni di euro, 11 milioni i padiglioni. Tutte le strutture saranno edificate in tempi rapidi secondo le disposizioni urgenti per la realizzazione di istituti penitenziari stabilite per il Piano carceri. La conclusione dei lavori è infatti fissata al dicembre 2012. “Sono i numeri - ha commentato il commissario Ionta - a testimoniare il valore di questa intesa: entro un paio di anni realizzeremo, solo in Sicilia, 2.400 nuovi posti detentivi, per una spesa complessiva stimata di 195 milioni di euro”. Il Piano carceri prevede la realizzazione in tutta Italia di 11 nuovi istituti penitenziari e di 20 padiglioni che garantiranno 9.150 nuovi posti detentivi, per un costo complessivo stimato di 675 milioni di euro. Giustizia: Sindacato Direttori Penitenziari; nel 2011 una lotta sindacale senza precedenti Comunicato Si.Di.Pe., 29 dicembre 2010 Il non esaltante 2010 si chiude da parte dei vertici del Dap e del ministro con l’ennesima promessa del cambiamento. Noi tutti, addestrati da sempre a gestire risorse umane e finanziarie, realizzando ben più rispetto ai mezzi di cui disponiamo, neanche ci scomponiamo: basta voltarsi e guardare la lunga, larga, regolare linea delle promesse mancate e degli annunci roboanti e ,immancabilmente, caduti nel vuoto, per capire verso quale baratro vorrebbero condurci. Nessuno più si illude; tutti sappiamo che se il cambiamento avverrà non sarà per le cose che si dicono, bensì per quelle che potrebbero accadere: il dèjà vu penitenziario riprende forma… In questi giorni, tra l’altro, assistiamo alla singolare accelerazione di stipule, intese, patti, protocolli di collaborazione e quanto dir si voglia: impegni solenni per realizzare nuove strutture penitenziarie (la firma di un protocollo non si nega a nessuno e può regalare anche un passaggio televisivo), con la promessa di tanti altri posti letto e celle (senza che vengano assicurate le necessarie risorse umane e finanziarie!). Per noi, invece, aridi amministratori pubblici, la migliore “convenzione”, il più proficuo protocollo continua ad essere quello che si può leggere “in finanziaria”: è il piccolo rigo dove sono indicate, in asciutto numerario, le cifre dei fondi realmente disponibili, “cash”. A questo punto sorgono spontanee delle domande per le quali gradiremmo risposte circostanziate, in particolare, rispetto al terribile 2010: 1. I fondi per il pagamento degli straordinari per i direttori penitenziari e di Uepe saranno maggiori, uguali o minori? 2. Sono state previste le risorse finanziarie per il rialliniamento della polizia penitenziaria con gli altri corpi delle FF.OO.? 3. Dove si trovano, nella legge di stabilità, le risorse per il primo contratto dei dirigenti penitenziari di diritto pubblico? Quanto ancora dovremo lavorare defraudati dell’indennità di posizione e di quella di risultato? 4. Le somme utilizzabili per le manutenzioni ordinarie programmate degli impianti (antincendio, elettrici, d’allarme, idraulici, di videosorveglianza, di gestione calore, degli ascensori, per il trattamento dell’aria, etc. ) saranno maggiori, uguali o minori? 5. Le somme per la manutenzione degli automezzi per le traduzioni dei detenuti e per il rinnovo del parco auto del corpo saranno maggiori, uguali o minori? 6. I fondi per le missioni del personale di polizia e del comparto ministeri , al fine di garantire almeno gli anticipi, saranno maggiori, uguali o minori? 7. Le spese di luce, gas, acqua, relative agli anni trascorsi a seguito della crescita del numero dei detenuti, e non ancora onorate verso le aziende, saranno finalmente azzerate? 8. I fondi necessari per la minima manutenzione ordinaria (sistemazione dei gabinetti, delle docce, ritinteggiatura delle pareti, risistemazione di pavimenti, intonaci, plafoniere, cucine, etc.) saranno maggiori, uguali o minori? 9. Neanche osiamo parlare di nuove assunzioni, in particolare di direttori penitenziari, degli uffici dell’esecuzione penale esterna, di educatori e assistenti sociali (ad onor del vero, non ricordiamo neanche gli annunci in tal senso). Attendiamo di conoscere, pubblicamente, punto per punto, quanti euro sono stati investiti per far fronte alle questioni sopra evidenziate e soltanto allora potremo credere che effettivamente si vuole fare qualcosa! Nel 2011 daremo inizio ad una lotta sindacale senza precedenti e chiederemo la partecipazione di ognuno di voi: ne va di mezzo la dignità di noi tutti, compresi i colleghi provveditori, dilatati tra un centro lontano ed una periferia frantumata nelle problematicità: non possiamo continuare ad essere maltrattati da quanti vivono la funzione penitenziaria come terra di conquista, ai margini della giustizia, dove, liberi da lacci e lacciuoli, si possa dar sfogo a ogni velleità. In questa lotta sindacale, che annunciamo serrata, chiederemo la partecipazione la solidarietà di tutte le altre categorie di lavoratori penitenziari, nessuna esclusa, ed in tal senso saremo disponibili e lieti di avviare ogni confronto per una efficace dialettica interprofessionale che possa consentire il superamento di quelle conflittualità da sempre montate ad arte da chi vuole un personale penitenziario diviso, per distrarlo dal male vero e comune: un’amministrazione autoreferenziale e tendente all’autismo. Auguri, quindi, per un 2011 che sia davvero del cambiamento, nel quale gli operatori penitenziari siano tutti protagonisti e non comparse smarrite in una scena dominata dalla confusione progettuale. Giustizia: la famiglia di Paniccia; aveva chiesto di essere ricoverato, ma lo riportarono in carcere Il Messaggero, 29 dicembre 2010 La famiglia e i legali del giovane smentiscono la versione ufficiale: il giorno di Natale era stato visitato in Ospedale dopo un malore e lui aveva chiesto di essere ricoverato, ma dopo la visita fu riportato in carcere. Muore in carcere a 27 anni ed ora la madre e i 4 fratelli chiedono di conoscere tutta la verità. È successo a Sanremo dove Fernando Paniccia, di Frosinone, è morto nella cella del carcere dove era detenuto (aveva avuto diverse storie per droga), ucciso probabilmente da un arresto cardiaco. Grazie ai benefici ottenuti per buona condotta, avrebbe terminato di scontare la pena il 31 dicembre del 2011. Era entrato in carcere per la prima volta a 19 anni, per il furto di 3 palloni di cuoio in una palestra, e da allora era stato più volte arrestato per piccoli reati. Le sue condizioni di salute erano critiche da tempo a causa dell’obesità. “Il giorno di Natale aveva accusato un malore ed aveva chiesto di essere visitato” spiegano i parenti. Quindi è stato dapprima visitato presso l’infermeria dell’ospedale e poi in ospedale. “Malgrado il giovane avesse chiesto di essere ricoverato - spiega il legale di famiglia, Giampiero Vellucci - è stato riportato in cella. Lamentava tachicardia, battiti irregolari... probabilmente, se fosse stato ricoverato, non sarebbe morto. E invece è stato di nuovo portato in carcere”. E lì, l’altra mattina, il suo compagno di cella lo ha chiamato, ma inutilmente. L’altra settimana era andato a trovarlo in carcere l’avv. Tony Ceccarelli (che lo assisteva assieme all’avv. Vellucci) e lo aveva trovato in discrete condizioni di salute. Subito dopo il decesso i due avvocati hanno chiesto alla procura della Repubblica di approfondire il caso. E così, mentre è stato aperto un fascicolo, contro ignoti, per omicidio colposo è stata disposta anche l’autopsia (che sarà eseguita oggi) da parte del sostituto procuratore Antonella Politi. “Non vogliamo accusare nessuno - precisano i due avvocati a nome della madre e dei fratelli della vittima - vogliamo solo chiarezza. Non si può morire per un malore e, probabilmente, è stato dimesso troppo frettolosamente. L’obesità? Certo, Fernando era su con il peso, ma in carcere faceva palestra ed era sceso di diversi chili. Ci preme sottolineare, inoltre, che Fernando era lucido e affetto da handicap ad una mano, ma niente di particolarmente grave come qualcuno ha detto”. Insomma, la famiglia chiede di conoscere tutta la verità su una morte che, forse, poteva essere evitata. Giustizia: Di Giovan Paolo (Pd); detenuto morto a Sanremo conferma emergenza Adnkronos, 29 dicembre 2010 “Quanto successo a Sanremo dimostra che le carceri italiane necessitano di interventi urgenti. Abbiamo presentato proposte concrete ma rigettate dalla maggioranza: in primis impulso alle misure alternative al carcere e poi apertura delle strutture ultimate ma non ancora operative”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, segretario della Commissione Affari Europei. “Nel carcere lavorano amministrativi, agenti di polizia, volontari a cui deve andare il nostro riconoscimento per quanto fanno, nonostante manchino fondi e strumenti - conclude Di Giovan Paolo. Il numero impressionante di morti fa capire che siamo di fronte a una vera emergenza”. Giustizia: Manconi; fare luce su morte Fernando Paniccia… è il carcere che uccide Adnkronos, 29 dicembre 2010 Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto, si rivolge al ministro della Giustizia Angelino Alfano e chiede di fare luce sulla morte di Fernando Paniccia, detenuto nel carcere di Sanremo. “Aveva 27 anni e pesava 187 chili - registra Manconi. Dichiarato invalido al 100%, avrebbe concluso la sua pena tra dodici mesi. A 19 anni era finito per la prima volta in carcere per un furto di tre palloni da una palestra. Da allora aveva trascorso in una cella gran parte della sua vita”. “Ora si dice che sarebbe deceduto a causa di un arresto cardiocircolatorio, che è come dire che è morto perché il suo cuore ha cessato di battere. In ogni caso la sua non è una morte naturale: quando si pesa 187 chili in un sistema penitenziario affollato di 26mila detenuti più di quelli previsti e dove tutti i servizi sono drammaticamente deficitari, morire non ha nulla di naturale. Palesemente è il carcere che uccide”, conclude Manconi. Lettere: in questo carcere rischio la vita, arriverò a smettere anche la dialisi di Pino Neri (detenuto a Pavia) La Provincia Pavese, 29 dicembre 2010 Gentile direttore, dal 19 dicembre sto rifiutando la terapia farmacologica per porre l’attenzione sulle condizioni in cui sono costretto a stare. (Arriverò, anche, al rifiuto della dialisi). Nonostante le attestate gravi condizioni di salute in cui verso (cardiotrapiantato, in emodialisi, affetto da coronaropatia trivasale ed inserito in lista attiva per un nuovo trapianto di cuore unitamente a quello renale) vengo tenuto recluso in luoghi inadeguati dal punto di vista igienico - sanitario. Il mio stato di immuno-soppresso (assumo la ciclosporina e il cortisone, i farmaci antirigetto) mi espone ad elevati rischi infettivologici tant’è vero che, dal giorno del mio arresto, ho contratto diverse infezioni alcune importanti come la broncopolmonite batterica diagnosticata dal Policlinico di Milano il 3 novembre di questo 2010. Il rischio di infezioni, che possono essere fatali, si rivela ancora più elevato se si considera che sono collocato in un reparto di infettivi (malati di Aids, tubercolosi, ecc.) ed in luoghi sporchi e maleodoranti. Tutto ciò è assurdo che accada in un centro clinico che, solo sulla carta, risulta essere il migliore d’Italia. Basterebbe solo mettere il naso dentro per rendersi conto dello stato di degrado in cui versa questo Centro Clinico e di come sono tenuti i detenuti qui collocati (quattro persone per ogni cella, poche celle singole, docce comuni). Io sono consapevole dei rischi elevati che corro rifiutando di assumere i farmaci salvavita, ma sono altrettanto certo che in questo stato, prima o poi, sarei destinato comunque a una brutta fine. Anch’io, credo, seppur indagato di un grave reato, ho il diritto alla tutela della salute e alla vita. Tenendomi in queste condizioni, invece, si rischia di infliggermi, ancor prima di un giusto processo, una pena non prevista dal codice e bandita dalla Costituzione. Per quanto riguarda le accuse che mi vengono rivolte mi difenderò nel processo anche se quello mediatico mi ha già giudicato e condannato. Quel che mi sta accadendo è forte e ingiusto. Ricordando Pascal, la giustizia deve essere forte ma prima di essere forte deve essere giusta. Una giustizia solo forte è un’opera monca. Se, invece, la giustizia è “giusta” è “forte”. Quel che mi accade è solo forte ma non giusto; è fortemente ingiusto! Sui fatti da me denunciati fornirò fatti, circostanze e nomi. Io, i miei familiari e il mio avvocato abbiamo, finora, scelto la linea del silenzio ritenendo così di tutelare meglio le posizioni giuridiche. Oggi, senza aver consultato né l’avvocato né la famiglia, ho deciso di rendere pubbliche le mie denunce. Sarebbero tante le cose che vorrei dire e gli argomenti che vorrei affrontare, soprattutto quelli relativi ai rapporti con i politici locali che molto hanno occupato e ancora occupano le cronache, anche quelle nazionali. Forse, un giorno, con maggiore serenità, affronterò nel dettaglio ogni questione di cui il giornale da Lei diretto si è occupato per fare, finalmente, chiarezza su tutto. Se un giorno troverò la necessaria serenità potrò sicuramente offrire un contributo valido per capire dove effettivamente si annida il centro del malaffare pavese. Lucca: il sovraffollamento è il male principale del carcere di S. Giorgio Il Tirreno, 29 dicembre 2010 “210 detenuti con 78 agenti penitenziari. I limiti regolamentari ne prevedrebbero invece 99 con 130 agenti di custodia. Il sovraffollamento, la piaga della carcerazione preventiva (il 50% è infatti in attesa di giudizio) e la carenza degli organici di sorveglianza sono ormai malattie croniche della carcere di S. Giorgio. Per questo vanno incoraggiati gli sforzi della direzione per una maggiore integrazione con le comunità locali”. Lo dicono i senatori democratici Manuela Granaiola e Andrea Marcucci, che il 24 dicembre hanno visitato la casa circondariale incontrando il direttore Francesco Ruello, gli agenti penitenziari e i detenuti. “Il 16 dicembre è entrata in vigore una legge che consente gli arresti domiciliari per chi ha subito condanne inferiori a 1 anno - spiegano i parlamentari - , una situazione che a Lucca registra 40 casi, nella maggior parte extracomunitari senza dimora sicura. Per questo vanno sensibilizzate le associazioni di volontariato del territorio affinché si facciano carico di queste esigenze, trovando soluzioni alternative al carcere e che prevedano reali misure di reinserimento sociale”. Per i parlamentari “un’altra speranza è legata alla possibilità di utilizzare i detenuti per lavori esterni. Con l’Opera delle Mura è stato fatto un bel progetto sulla manutenzione del verde”. La carenza degli organici degli agenti di custodia si riflette anche sull’impossibilità di utilizzare alcuni servizi presenti nel carcere. “È il caso della palestra tuttora chiusa, ma anche dell’assenza di squadre interne alla struttura che siano in grado di eseguire lavori di manutenzione ordinaria. C’è poi un altro capitolo dolente relativo al taglio dei fondi statali per gli interventi di ristrutturazione - dicono Granaiola e Marcucci - che finora hanno impedito di sistemare l’area adibita agli incontri con i familiari all’interno del San Giorgio”. I senatori Manuela Granaiola e Andrea Marcucci avevano visitato il carcere anche il 13 agosto insieme all’on. Matteo Mecacci. “Rispetto all’estate scorsa, registriamo che sono partiti i corsi di alfabetizzazione e di scrittura e che si sono realizzati alcuni appuntamenti, anche con proiezioni cinematografiche, molto seguiti dai detenuti. È chiaro però che la situazione è insostenibile e che la direzione del carcere va sostenuta con la collaborazione attiva della prefettura, degli enti locali e del mondo del volontariato, che pure già tanto sta facendo per migliorare la vita dentro la struttura. Per quanto ci riguarda - concludono concluso i parlamentari - faremo nuovamente un rapporto al ministro Alfano perché siamo convinti che il sovraffollamento cronico vada combattuto con maggiore determinazione e che il carcere di Lucca non sia una struttura idonea per garantire il rispetto dell’articolo 27 della Costituzione ovvero tendere alla rieducazione del condannato”. Bolzano: detenuto da settimane in sciopero della fame, ricoverato in ospedale Alto Adige, 29 dicembre 2010 La sera della vigilia di Natale è stato ricoverato presso l’ospedale San Maurizio di Bolzano. Le sue condizioni di salute, infatti, erano peggiorate troppo e il direttore del carcere aveva chiesto l’intervento dei soccorritori. Ma una volta stabilizzatosi il detenuto ha rifiutato l’aiuto dei medici ed è voluto tornare nella sua cella per proseguire lo sciopero della fame. Si tratta di uno straniero che a seguito di un cumulo di condanne è stato condannato a dieci anni di carcere per complessivamente due etti di droga. L’uomo, al momento che la sentenza diventava definitiva, si trovava già in carcere per un reato minore. Quando infine gli era stato comunicato che avrebbe dovuto passare i prossimi dieci anni in carcere l’uomo si è sentito male e ha deciso di dare il via allo sciopero della fame, ritenendo ingiusta la sentenza dei giudici. Oramai sono passate diverse settimane ed il detenuto ha perso oltre diciotto chili: direttore del carcere, polizia giudiziaria e psicologi stanno cercando di convincere l’uomo a riprendere a mangiare. Ma lo straniero è deciso a non smettere fin quando non gli verrà data la possibilità di parlare con i giudici. Il caso va avanti da diversi mesi e il detenuto è finito presso il nosocomio del capoluogo altoatesino la sera della vigilia di Natale. Aveva perso conoscenza in cella ed è stato immediatamente soccorso. Un’ambulanza della Croce bianca, con a bordo il medico d’urgenza, è arrivata in pochi istanti in via Dante e ha trasportato il detenuto all’ospedale. Il caso è passato ora all’avvocato bolzanino Nicola Nettis che però ad oggi ha avuto solo un colloquio con il nuovo cliente: “Per il momento non posso dire nulla sul caso - precisa il legale - Ho saputo del caso da poco e devo ancora visionare il fascicolo che riguarda la pena”. È la prima volta che l’uomo è stato ricoverato. Secondo il detenuto la giustizia non avrebbe preso in considerazione le sue dichiarazioni e soprattutto si tratterebbe di poco più di due etti di sostanza stupefacente. “Se si dovesse trattare realmente di pochi etti di droga - spiega l’avvocato Nicola Nettis - allora forse è comprensibile che l’uomo sia depresso e abbia deciso di iniziare lo sciopero della fame, visto che dieci anni possono essere effettivamente eccessivi. Ma ribadisco: io non conosco ancora abbastanza il caso per valutare la posizione del mio cliente. Per il momento l’unica cosa importante è che ricominci a mangiare e si faccia aiutare da psicologi ed esperti all’interno del carcere”. Como: medici del carcere in rivolta, siamo pronti a dimetterci tutti Corriere di Como, 29 dicembre 2010 “I muri degli ambulatori sono scrostati, non abbiamo una connessione a Internet, i locali sono così freddi che dobbiamo visitare i pazienti con guanti e giacca. E la remunerazione è bassa. O le condizioni cambiano in fretta, oppure siamo pronti a dimetterci”. I medici del Bassone alzano la testa: la settimana scorsa gli agenti di polizia penitenziaria del carcere comasco avevano annunciato uno stato d’agitazione, per denunciare - tra le tante cose che non vanno - una carenza di almeno ottanta uomini. Ora, agli agenti si uniscono anche i sei medici del Sias (Servizio d’integrazione assistenza sanitaria), il pool di dottori che si occupa dei detenuti. Il loro incarico sarebbe comparabile a quello di un medico di base, ma indossare un camice in un carcere significa essere sempre in prima linea e occuparsi di pazienti psichiatrici, prestare primo soccorso a chi tenta il suicidio o a detenuti e agenti che vengono aggrediti o feriti. “Il primo problema - spiega la dottoressa Teresa Cera, portavoce del pool di medici - è la condizione igienico - sanitaria in cui lavoriamo. Gli ambulatori della sezione maschile e femminile sono in condizioni totalmente inadatte: in quello femminile ci sono dieci gradi, a volte dobbiamo visitare con guanti e giacca. Soltanto da quest’anno abbiamo una stufetta elettrica che riscalda un po’ l’ambiente dove viene utilizzata. Nell’ambulatorio maschile la temperatura oscilla tra i 12 e i 16 gradi. I caloriferi perdono, l’intonaco cade e c’è muffa nel bagno e nell’ambulatorio. Due settimane fa - conclude Teresa Cera - è andata a fuoco un presa ed è saltato un pc. Non abbiamo un fax personale e nemmeno una connessione a Internet, che servirebbe anche per l’elettrocardiografo. Oltretutto, dal 2005 prendiamo 23 euro lordi all’ora, a qualsiasi ora di qualsiasi giorno dell’anno. Da due anni non dipendiamo più dal ministero della Giustizia, ma da quello della Salute, e le nostre condizioni sono invariate: o la situazione cambia - conclude Teresa Cera - oppure saremo pronti a dimetterci”. Rovigo: un Natale di solidarietà con i detenuti, ma situazione rimane critica per il sovraffollamento Il Gazzettino, 29 dicembre 2010 Le festività natalizie si sono trasformate in un’occasione di solidarietà concreta verso la Casa circondariale. Il sovraffollamento si riflette negativamente su detenuti e personale, ma è una situazione spesso sconosciuta all’esterno. Tuttavia enti, associazioni e singoli hanno manifestato vicinanza e sostegno a conferma che esiste una comunità civile sensibile e disponibile. Dalla visita del vescovo Lucio Soravito all’esibizione del gruppo jazz del conservatorio Venezze, passando per le offerte di doni natalizi da parte dell’assessorato comunale ai Servizi sociali attraverso i volontari del Centro francescano di ascolto, è stato un susseguirsi di gesti solidali dove non sono mancati i contributi della ditta Solera che con il Coordinamento dei volontari, ha donato alle sezioni maschile e femminile capi di abbigliamento intimo e corsetteria. Né da meno sono state la Fondazione Banco alimentare di Verona e il deposito di Rovigo della Segafredo - Zanetti. Un contributo è arrivato anche dal consigliere regionale Graziano Azzalin. Tanti gesti di solidarietà che fanno da contrappunto al dramma della reclusione in un luogo inadeguato, come spiega Livio Ferrari, direttore del Centro francescano d’ascolto. “Sono stati già 65 i reclusi che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno in Italia. Suicidi cui aggiungere le morti per altre cause, ben 170 nel 2010. Negli ultimi 10 anni nelle carceri italiane sono morte 1.730 persone, di queste 623 si sono suicidate, per la maggior parte giovani con residui di pena tutto sommato brevi. Non può essere scontato e inevitabile che i detenuti muoiano anche in giovane età con un’agghiacciante media di uno ogni due giorni. Queste morti potrebbero essere evitate se il sistema carcerario non fosse oberato da decine di migliaia di persone trattenute pur senza essere criminali professionali, solo per reati dovuti a emarginazione sociale, lunga tossicodipendenza, spesso malattie mentali e fisiche gravi, o addirittura unicamente perché poverissime”. Ferrari sottolinea come un detenuto su tre sia tossicodipendente, il 10 per cento soffra di malattie mentali, il 5 sia sieropositivo e ben sei su dieci siano affetti da forme epatiche croniche. Non mancano paraplegici e mutilati e a Parma esiste una sezione per minorati fisici. “La risposta potrebbero essere le misure alternative alla detenzione, ma sono concesse con il contagocce: prima dell’indulto del 2006 su 60 mila detenuti, 50 mila godevano di questi provvedimenti. Oggi con quasi 70 mila detenuti, soltanto 13.360 persone sono in semilibertà, affidamento in prova o detenzione domiciliare”. Potenza: l’Assessore alla Salute; in carcere servono campagne di prevenzione sanitaria Gazzetta del Sud, 29 dicembre 2010 L’assessore alla salute Attilio Martorano in visita alle strutture penitenziarie lucane affronta il delicato tema della tutela della salute. “La tutela della salute nelle carceri è un tema delicato, e con le ultime modifiche del sistema sanitario gli istituti penitenziari prendono in carico questo settore, che bisogna monitorare con attenzione e che necessiterà di miglioramenti, prima di tutto strutturali”. Lo ha detto l’assessore regionale alla Salute, Attilio Martorano, stamani, a Potenza, incontrando i giornalisti all’ingresso del carcere, nell’ambito di una visita alle strutture lucane. “C’è poi l’aspetto del sovraffollamento - ha aggiunto Martorano - e un grande supporto lo offre il personale interno, molto competente. Si può fare un grande lavoro, come dimostrato anche dai progetti già realizzati, tra cui la campagna di prevenzione del papilloma virus”. Belluno: domani alle 15 presidio sotto il carcere, per ricordare la morte di Mirco Sacchet Il Gazzettino, 29 dicembre 2010 Domani dalle 15, nella piazzetta San Giovanni Bosco sotto il carcere di Baldenich, si svolgerà un presidio di solidarietà in ricordo di Mirco Sacchet il ragazzo morto in carcere. A ricordalo un gruppo di amici che stanno organizzando un tam tam: “È mancato a soli 27 anni e a 3 mesi dalla libertà - scrivono - in strane circostanze velate da molti silenzi e contraddizioni. Vogliamo che la verità venga fuori e sensibilizzare la gente verso la sorte dei detenuti. Molti non sanno ciò che accade tra quelle mura o semplicemente non interessa. Pensano che se sono lì è perché hanno commesso qualche reato. Questo è lecito, però le persone rinchiuse dovrebbero pagare il loro debito con la giustizia in maniera umana. Basta cercare su internet per rendersi conto della situazione di Baldenich, anche dalla voce di chi ci lavora. Il carcere non sarà mai un bel posto, ma ci si dovrebbe vivere dignitosamente. Le cose devono cambiare e per fare ciò dobbiamo essere in tanti”. Oristano: arrestato cappellano carcere; accuse di violenza sessuale e favoreggiamento prostituzione di Giampaolo Meloni La Nuova Sardegna, 29 dicembre 2010 Don Giovanni Usai, il sacerdote originario di Assolo, paesino dell’Oristanese, fondatore e responsabile della Comunità “Il Samaritano” impegnata nel recupero dei detenuti in una struttura realizzata nelle campagne di Arborea e cappellano del carcere, è stato arrestato dai carabinieri della Compagnia di Oristano con l’accusa di favoreggiamento della prostituzione e violenza sessuale. Con lui nei guai anche un giovane nigeriano accusato di favoreggiamento e sfruttamento. L’arresto è scattato in esecuzione di un ordine di custodia cautelare agli arresti domiciliari emesso dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Oristano Mauro Pusceddu, su richiesta del pubblico ministero Diana Lecca. Assieme al sacerdote, 67 anni, è stato arrestato anche un ospite della comunità, il nigeriano Eze Alphonsus, 35 anni, al quale il magistrato ha contestato l’accusa di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. A suscitare l’interesse degli inquirenti sarebbe stata la denuncia di almeno una persona, presumibilmente una donna, nei confronti della quale le attenzioni di natura sessuale sarebbero state prolungate, insistenti e pressanti fino a spingerla a superare il muro del silenzio imposto da una situazione così delicata come è il contesto della comunità. Ma secondo le prime indiscrezioni, le persone coinvolte nelle pratiche che hanno portato gli inquirenti a configurare accuse così nette e pesanti nei confronti del sacerdote e del giovane nigeriano non sarebbero solo figure femminili ma anche ospiti maschili: si tratta di vedere quali siano stati i ruoli delle persone. A delineare con chiarezza lo scenario saranno i carabinieri del Comando provinciale, probabilmente oggi con i dettagli dell’operazione. Diffusa nella tarda serata, la notizia ha colto di sorpresa le persone che conoscono da tempo il sacerdote che ha dedicato la vita agli emarginati. Il precedente. A mettere in fibrillazione in maniera analoga il mondo ecclesiastico e l’opinione pubblica era stato negli anni scorsi il caso di don Marco Dessì, l’ex sacerdote (non è più prete dal 3 febbraio scorso) di Villamassargia accusato di pesanti attenzioni di natura sessuale nei confronti dei ragazzi ospiti della sua comunità in Nicaragua, nei primi anni del Duemila. Dopo una lunga e difficile vicenda processuale, don Marco Dessì la scorsa estate ha beneficiato di uno sconto di pena (grazie all’accesso al rito abbreviato) ed è ora libero per decorrenza di termini. Il personaggio. Don Giovanni Usai ha spesso fatto discutere per le sue iniziative, forti ma sempre di carattere umanitario. L’ultima riguarda Terralba, il centro vicino ad Arborea. Fu lui ad accogliere la famiglia di Rom che venne allontanata da Terralba perché aveva occupato abusivamente un’area alla periferia del paese. Ma suscitò ancor più clamore quando mosse i primi passi nell’assistenza agli extracomunitari, accogliendo nella sua casa parrocchiale i primi detenuti in permesso per consentire loro di telefonare alle proprie famiglie. Erano i primi anni Ottanta. La prima bolletta fu di otto milioni di lire. Concordò di pagare a rate. Ma la prima vera tappa nell’accoglienza è segnata da un episodio del 1991: era parroco a Senis e diede ospitalità a un ragazzo che ottenne gli arresti domiciliari. I fedeli più vicini alla parrocchia organizzarono una raccolta di firme per allontanarlo dal paese. Ma lui lo tenne con sè. “Da allora - raccontò poi a un cronista - hanno abitato con me più di mille persone”. Bilancio del 2003. Quanto mai lusinghiero per il docente di Linguistica dell’università di Sassari che scelse di lasciare la cattedra per aiutare gli emarginati. Prima tappa: cappellano della colonia penale di Isili. La storia. Oggi il registro certificato dalla magistratura dà un bilancio decisamente più alto: dal 2005 i detenuti accolti nella Comunità Il Samaritano di Arborea, in entrata e in uscita, sono 1200. Un lavoro cominciato nel 1999. L’11 novembre del 2002 l’inaugurazione del nuovo Centro di Arborea, in località Sassu, nel cuore del territorio agricolo, presente l’allora ministro della Giustizia Castelli. La cooperativa conta ventotto persone, sei posti letto sono riservati a detenuti per trascorrere brevi periodi di permesso premio e quattro sono riservati ai rilasciati dal carcere. Milano: violentò una transessuale detenuta nel Cie, agente condannato a 7 anni e 2 mesi Ansa, 29 dicembre 2010 È stato condannato a 7 anni e 2 mesi di reclusione, con rito abbreviato, un poliziotto accusato di aver violentato una trans brasiliana, quando era in servizio al Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano. Lo ha deciso il Gup di Milano Gaetano Brusia. Stando alle indagini del pm Stefania Carlucci, il poliziotto, Mauro Tavelli, nel 2009 avrebbe costretto la trans a un rapporto orale in un ufficio all’interno del Cie con la promessa di usare il suo potere per farla uscire. L’agente è stato condannato per i reati di violenza sessuale, concussione, atti osceni, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e della prostituzione. Secondo l’accusa, infatti, il poliziotto, che era finito in carcere lo scorso giugno, avrebbe anche affittato un appartamento in zona Cenisio a Milano, che veniva utilizzato da alcuni transessuali per prostituirsi. Inoltre, in fase di indagini, anche altre transessuali avevano denunciato di aver subito tentativi di violenza. Il pm aveva chiesto per lui una pena di 11 anni e 5 mesi, ma il giudice lo ha assolto dalle accuse di sfruttamento della prostituzione e molestie. Nel processo era imputata anche una sudamericana che avrebbe partecipato al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, e che oggi è stata condannata a 3 anni di reclusione. Lodi: i due cani labrador allevati dai detenuti diventano protagonisti di un calendario Il Cittadino, 29 dicembre 2010 Chi la scorsa estate ha assistito a uno dei concerti organizzati nel cortile del carcere li ricorderà: Custer e Cleo, due bellissimi cuccioli di labrador, amichevoli e giocherelloni, che vivevano all’interno del carcere e di cui si occupavano i detenuti. La loro presenza tra quelle mura era giustificata in un doppio senso: da un lato era “terapeutica” e educativa per i detenuti cui i cuccioli erano stati affidati per il loro primo anno di vita, dall’altro serviva ai cani che, trascorso lì il loro primo anno, sono ora diventati grandi e vengono addestrati come cani guida per i non vedenti. Per lasciare un ricordo dei cuccioli ai detenuti che per tanto tempo e con tanta attenzione se ne sono occupati, il Lions Torrione, da cui era partita l’iniziativa, ha voluto regalare loro, oltre che al personale della casa circondariale e agli operatori che gravitano attorno all’istituto di detenzione, un calendario tutto particolare, che ha per protagonisti, invece della solita modella ritoccata, proprio i due cuccioli. “Per realizzarlo - spiega la direttrice della casa circondariale Stefania Mussio - sono state usate le foto scattate ai cani da un nostro agente nel corso degli scorsi mesi”. Un modo efficace per ricordare l’esperienza vissuta in quest’ultimo anno e che, comunque non andrà perduta. Non solo perché Custer e Cleo adesso sono a Limbiate a “studiare” per il loro addestramento da cani guida, ma anche perché, il Lions Club Torrione, visti i buoni risultati di questo primo anno di “esperimento” dei cani in carcere, ha deciso di proseguire l’iniziativa regalando al carcere altri due cuccioli di labrador (“una razza nota per la sua socialità e dunque particolarmente adatta a vivere in una situazione come quella del carcere”, spiegano) che, a differenza di Custer e Cleo, però, vivranno alla Cagnola per sempre, non solo per un anno. A marzo comunque, i veterani, Custer e Cleo, torneranno, anche se solo per poche ore, tra le mura dove sono cresciuti: per allora, infatti è prevista la cerimonia di consegna dei cani, diventati cani guida a tutti gli effetti, dai loro vecchi padroni, i detenuti che li hanno presi da cuccioli e tenuti per il loro primo anno di vita, ai loro nuovi padroni, i non vedenti con cui rimarranno in futuro. Bollate (Mi): il 4 gennaio il regista Mario Martone incontrerà i detenuti Comunicato stampa, 29 dicembre 2010 Martedì 4 gennaio alle ore 17 il regista Mario Martone verrà a Bollate, accettando l’invito scritto dai detenuti e detenute che partecipano al laboratorio di musica-teatro tenuto dall’associazione Incarcer- Arti. Parlerà del suo cinema e del suo teatro ed in questa occasione porterà con sé un Dvd con le scene sul carcere contenute nel suo ultimo film “Noi Credevamo”e risponderà alle domande che gli ospiti della Casa di Reclusione sono ansiosi di fargli. Anche in questa occasione, così com’è avvenuto durante il recente incontro dei detenuti con Emma Dante, il gruppo dei detenuti di “Incarcer-Arti” farà un omaggio a Martone con qualche minuto del loro lavoro: la teatralizzazione della canzone-tango Taverna Verde. La direttrice del carcere di bollate, Lucia Castellano ha così dichiarato: “sostengo con molto entusiasmo questo tipo di incontri culturali. Il film di Martone in particolar modo aiuta i detenuti a interpretare la storia in una chiave critica e diversa e attraverso gli stessi fatti storici a comprendere meglio l’attualità della società italiana contemporanea in molti suoi aspetti. Ciò ha molto più valore in quanto in una realtà carceraria è molto più difficile avere strumenti di confronto”. Marlene Lombardo Ufficio stampa carcere di Bollate Immigrazione: non hanno i soldi per viaggio rimpatrio, Procura di Milano scarcera due “irregolari” Agi, 29 dicembre 2010 La procura di Milano ha disposto la scarcerazione di due immigrati egiziani che non avevano rispettato gli ordini di espulsione della Questura in quanto non potevano permettersi il viaggio per il rimpatrio. La decisione, presa da un pm sulla base di una recente pronuncia della Consulta, ha suscitato la reazione del vice sindaco Riccardo De Corato. “A questo punto - sostiene - forze dell’ordine e Polizia Locale non dovranno più andare a caccia di clandestini ma dovranno ricercare solo i clandestini ricchi. Perché quelli indigenti verranno matematicamente rimessi in libertà. La scarcerazione è un brutto segnale. Perché il reato di clandestinità introdotto dal pacchetto sicurezza viene in questo modo disatteso. E si favoriranno i flussi di irregolari che sono ben 50 mila a Milano”. “Secondo la legge ovvero il pacchetto sicurezza - spiega De Corato - chi non rispetta gli ordini di espulsione disposti dalla Questura rischia fino a 5 anni di reclusione. Ma alla luce della decisione della Corte Costituzionale, che ha stabilito che non è punibile lo straniero in stato di indigenza, soggetti che spesso hanno già commesso numerosi reati violenti, anziché finire in carcere verranno rimessi in libertà. Perché i clandestini, non avendo identità, non hanno il conto in banca, né fanno la dichiarazione dei redditi. Dunque tutti si dichiareranno poveri. E una volta fermati torneranno subito in circolazione”. “Con questa nuovo sconto per i clandestini deciso dai giudici - sottolinea De Corato - che già avevano invalidato l’aggravante clandestinità e deciso che un clandestino con figli non va rimpatriato, si smontano piano piano tutte le forme di deterrenza previste dal pacchetto sicurezza. E sarà più difficile arginare i flussi degli irregolari, ben 700 quelli fermati dai vigili a Milano. Si dimentica, e lo ha affermato il capo della Polizia Antonio Manganelli, che gli irregolari sono responsabili tra gli stranieri fino a 8 reati su 10. E che per alcuni, che destano particolare allarme sociale, come il furto, delinquono 45 volte più degli italiani, come sostiene un recente rapporto Ismu”. Gorizia: don Maurizio celebra la messa nel Cie… qui è angosciante come un carcere di Giovanni Tomasin Il Piccolo, 29 dicembre 2010 “Il Vangelo racconta che il Natale è stato anche dramma. Per questo dico che lo spirito di quel momento forse è più presente all’interno del Cara che nelle nostre liturgie”. Questa è la sfida, che parroco don Maurizio Qualizza ha voluto proporre alla popolazione di Gradisca con l’omelia natalizia che ha proferito nella chiesa di San Valeriano. Don Qualizza, cosa intendeva quando ha detto che la messa di Natale andava celebrata nel centro immigrati? Il mio voleva essere un invito alla riflessione. La presenza così vicina alle nostre case di un luogo di sofferenza deve indurci a pensare che il Cristo si è incarnato tra gli ultimi. E quindi a chiederci dove sia il vero Natale, se tra noi o tra loro. Quanto agli ospiti del Cara, sono in buona parte musulmani, celebrare fisicamente la messa nel centro sarebbe stata quasi una provocazione. Come parroco ha incontrato gli ospiti del centro. Che impressione ne ha tratto? Ho trovato un’umanità immensa, portatrice di storie sofferte, crocifisse. Si tratta spesso di persone che hanno perso la famiglia, rinunciato alla loro vita, per i loro valori umani e religiosi. In questo ricalcano la storia di Gesù, ma anche del popolo ebraico, e hanno una dignità che noi non abbiamo più. Cosa dice alla gente che è intimorita dagli immigrati? È un peccato. Sono spesso persone molto istruite, una vera ricchezza potenziale per il nostro paese. Ciononostante i gradiscani a volte ne hanno paura, e capisco che sia difficile trovare il bandolo della matassa dell’integrazione. Il Comune secondo me ha fatto un buon primo passo con il volontariato: dando dignità a queste persone li si inserisce nella società. In quanto religioso, quali sono i suoi rapporti con le diverse fedi degli immigrati? Non ho mai avuto nessun problema. D’altra parte ci sono anche tanti cristiani. Gli ospiti del Cara che vengono dallo Sri Lanka sono cattolici, peraltro molto devoti a Sant’Antonio di Padova, nostro patrono. Ma anche gli evangelici hanno un’apertura mentale che a noi manca, vengono nella nostra chiesa. E gli ospiti del Cie? Sono entrato l’ultima volta 7 mesi fa, anche per noi non è facile. Ne sono stato angosciato. Ho visitato anche delle carceri, ma una situazione come quella del Cie non l’ho mai vista. Sono chiusi come animali nelle gabbie. Si sente supportato dalla Diocesi? La Caritas ci aiuta come può. Con don Paolo Zuttion coltiviamo la speranza di aprire un centro d’accoglienza a Gradisca. Dobbiamo fare i conti con il fatto che l’immigrazione non si fermerà, almeno fino a quando l’Occidente continuerà a consumare l’80% delle risorse mondiali. Immigrazione: la tragedia degli eritrei? è colpa dell’Europa diventata una fortezza di Umberto De Giovannangeli L’Unità, 29 dicembre 2010 “L’aumento del numero degli arrivi in Israele di eritrei, sudanesi, somali, etiopi... potrebbe essere collegato alla chiusura della direttrice tra la Libia e l’Italia, poiché oggi di fatto per i richiedenti asilo non esistono vie legali di accesso in Europa”. A sostenerlo è Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). L’intervista concessa a l’Unità è anche l’occasione per tracciare un bilancio dell’anno che si sta per chiudere: il 2010 nel mondo e in Italia visto da chi è impegnato quotidianamente dalla parte dei più indifesi. L’Unità ha dato conto dei rapporto shock dei medici israeliani di Physicians for Human Rights Israel (Phr) che hanno in cura i sopravvissuti alla traversata dei Sinai. Qual è in merito la sua valutazione? “L’organizzazione Phr è un’organizzazione seria, con cui l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati lavora in Israele. Il loro rapporto è assolutamente attendibile e dà conto del dramma di queste persone. Il nostro ufficio in Israele ha notato come ci sia stato nell’ultimo anno un aumento delle persone che attraversano il confine dall’Egitto. Si è passati da circa 600 - 700 persone al mese lo scorso anno a oltre 1.000 persone al mese nel 2010. Eritrei e sudanesi ottengono una forma di protezione temporanea attraverso il rilascio di un visto di 3 mesi rinnovabile. Molti di loro vivono nelle periferie delle città israeliane, non hanno un permesso di lavoro e quando possono lavorano al nero”. Eritrei, sudanesi, etiopi, somali...Una umanità sofferente prova ad attraversare il deserto, finendo in balia di trafficanti senza scrupoli, perché, sostengono in molti, la “fortezza Europa” ha chiuso loro la porta in faccia. A cominciare dall’Italia. “L’aumento del numero degli arrivi in Israele registrato nell’ultimo anno potrebbe essere collegato alla chiusura della direttrice tra la Libia e l’Italia, poiché oggi di fatto per un richiedente asilo non esistono vie legali di accesso in Europa. Questo offre ai trafficanti la possibilità di fare dei fiorenti affari sulla pelle delle persone più vulnerabili”. Per restare alla Libia. A che punto è la trattativa per la riapertura dell’ufficio dell’Unhcr a Tripoli? “La situazione non è sbloccata, ci sono ancora negoziati in corso. Questo fa sì che l’ufficio non possa più acquisire nuove domande di asilo, mentre può continuare a occuparsi di casi già registrati”. La richiesta sul tavolo non è solo la riapertura formale dell’ufficio di Tripoli ma anche la possibilità di svolgere appieno funzioni di monitoraggio proprie dell’Unhcr. C’è chi sostiene che nonostante quanto promesso da Gheddafi a Berlusconi, in Libia continuano ad operare a pieno regime i lager in cui vengono transitati i migranti africani... “Noi non abbiamo modo di verificare questo tipo di informazioni. Non sappiamo quale sia il numero di centri di permanenza, né quante persone vi siano trattenute. Alcuni immigrati sono trasferiti da una prigione all’altra senza che si possa sapere che fine facciano. In passato abbiamo raccolto le testimonianze di persone che avrebbero subito violenze e aggressioni, e che hanno vissuto in condizioni orribili”. Il che la dice lunga sulle promesse del Colonnello... Siamo alla fine del 2010. É tempo di bilanci. Cosa è stato il 2010 visto dall’Unhcr? “Intanto bisogna distinguere tra la situazione globale e quella italiana. A livello globale il 2010 è stato segnato da alcuni eventi molto drammatici che hanno causato ingenti spostamenti di popolazioni, come è avvenuto a gennaio con il terremoto di Haiti che ha anche determinato 1.500.000 di senza tetto. Nel corso dell’anno si è verificato un deterioramento della già grave situazione in Somalia che ha portato alla fuga di centinaia di migliaia di persone. A giugno va ricordata la crisi in Kirghizistan che ha costretto 75mila rifugiati a riparare in Uzbekistan. In agosto le alluvioni in Pakistan con altre 2 milioni di persone colpite. A novembre ci sono stati gli scontri in Birmania esplosi subito dopo le elezioni, costringendo 15mila rifugiati a riparare in Thailandia. A dicembre la drammatica vicenda degli eritrei ostaggi nel Sinai e l’instabilità post elettorale in Costa D’Avorio con 14mila rifugiati in Liberia. Un quadro molto complesso che dimostra come nel pianeta la gente sia ancora costretta a fuggire sia a causa di conflitti che di eventi naturali”. E sul versante italiano? “In Italia l’anno si è aperto al negativo con la vicenda di Rosarno, in cui abbiamo assistito all’esplosione della violenza ai danni dei lavoratori stagionali, in particolare quelli africani: tra questi c’erano anche rifugiati e persone con protezione internazionale. Nel 2010 c’è stata una ulteriore diminuzione delle domande di asilo rispetto al 2009, anno in cui erano già dimezzate rispetto al 2008...”. Anche in altri Paesi europei nel 2009 si è avvertita una diminuzione delle domande di asilo? “Non ovunque. In Francia e Germania, ad esempio, nel 2009 le domande d’asilo sono aumentate nonostante una politica severa nei confronti dell’immigrazione irregolare”. Per tornare all’Italia. Qual è la situazione nel 2010? “Nel 2010 le domande di asilo saranno meno di 10mila, nonostante nei Paesi di origine dei rifugiati si continui a fuggire da guerre e violenze. Questa progressiva riduzione è sicuramente collegata alla politica dei respingimenti indiscriminati in alto mare; una politica che mette seriamente in discussione la fruibilità del diritto di asilo in Italia. Inoltre c’è un altro aspetto da evidenziare: un incremento dei problemi legati all’integrazione di coloro che hanno protezione internazionale. Molti di loro vivono in condizioni di degrado, senza la possibilità reale di rifarsi una vita in pace e in sicurezza. In questo modo si svuota il senso stesso della protezione internazionale”. Brasile: Lula non intende autorizzare l’estradizione di Battisti perché “in Italia rischierebbe la vita” Ansa, 29 dicembre 2010 Il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva annuncerà oggi la concessione dello status di rifugiato politico all’ex terrorista rosso Cesare Battisti. Lo riporta il quotidiano brasiliano Folhia de S. Paulo. “Lula ha ricevuto ieri il parere dell’Avvocatura generale dello Stato che raccomanda la permanenza in Brasile di Battisti, accusato in Italia di quattro omicidi compiuti negli anni 70, quando era - ricorda il quotidiano - militante di un gruppo di estrema sinistra”, i Proletari Armati per il Comunismo (Pac). “L’altro ieri il presidente aveva annunciato che avrebbe seguito la decisione dell’Avvocato generale dello stato, Luiz Inacio Adams”. Dall’Italia le prime critiche alle mosse di Brasilia “Il Brasile offende le vittime, la storia e l’intera repubblica italiana, le reazioni diplomatiche devono essere proporzionali alla gravità”. Lo ha detto il deputato dell’Udc Luca Volontè commentando le indiscrezioni filtrate sulla stampa brasiliana secondo le quali il presidente Inacio Luis Lula da Silva starebbe per negare l’estradizione all’ex terrorista dei Pac Cesare Battisti. “La considerazione che il mondo ha dell’Italia, spiace dirlo, è tutta nella decisione - ha proseguito Volontè - orripilante e offensiva del presidente Lula a favore del delinquente e pluriomicida Battisti. Ora coloro che hanno agito superficialmente tirino le conseguenze”. Sul tema interviene anche l’Italia dei Valori tornando a sollecitare “estradizione immediata” per Battisti. Per il senatore Stefano Pedica “solo con la regolare estinzione delle colpe è possibile chiudere un capitolo nero della storia del nostro Paese, pertanto il rientro del brigatista appare doveroso non solo nei confronti dei familiari delle vittime, ma anche verso tutti i cittadini che hanno vissuto quel periodo”. Ma lo spettro della mancata estradizione aveva riacceso la polemica già nella serata di ieri. Il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri aveva definito “sconcertante” qualsiasi decisione mirata a “favorire l’impunità” di Battisti. “Avremmo pieno diritto a considerare indegno chi aiuta Battisti”, aveva sottolineato Gasparri ricordano che “il posto degli assassini è il carcere”. E sempre nella giornata di martedì il senatore Pdl Domenico Gramazio rendeva nota l’interrogazione urgente inoltrata al ministro degli esteri Franco Frattini - e firmata da altri dieci senatori Pdl - “per chiedere quali iniziative intenda prendere, oltre a quelle notoriamente già intraprese dalle autorità governative italiane, per garantire il rispetto della legge con l’estradizione nel nostro paese di Battisti, condannato con sentenze della magistratura italiana”. Iran: impiccati due detenuti, uno accusato di spionaggio per Israele e un oppositore del regime Il Velino, 29 dicembre 2010 È stato impiccato oggi in Iran un uomo accusato di spiare per conto di Israele. Lo riportano i media del regime di Teheran, riferendo di un’altra condanna a morte eseguita nei confronti di un esponente del movimento di opposizione i Mujahedeen del popolo d’Iran, noti anche come l’organizzazione Mojahedin - e Khalq. Le esecuzioni sono avvenute all’alba di questa mattina nel carcere di Evin, alle porte della capitale. Secondo quanto riferito, Ali - Akbar Siadat è stato condannato a morte perché considerato una spia dell’intelligence israeliana. Secondo l’accusa, l’uomo aveva passato informazioni per diversi anni in cambio di un compenso complessivo di 60 mila dollari. È stato arrestato nel 2008 mentre tentava di lasciare il Paese insieme alla moglie. L’oppositore giustiziato questa mattina si chiamava Ali Saremi, impiccato per aver “combattuto contro il sistema della sacra repubblica islamica d’Iran e per aver lanciato propaganda antagonista”, riporta l’agenzia Irna. Dura condanna per l’uccisione di Saremi è stata espressa dal gruppo del Parlamento europeo Friends of Free Iran Intergroup, che ha puntato il dito contro “un altro crimine di cui i mullah dovranno rispondere quando tornerà la libertà nel Paese”. Cuba: commutata pena capitale all’ultimo detenuto nel “braccio della morte” Adnkronos, 29 dicembre 2010 La Corte Suprema cubana ha commutato in una sentenza di 30 anni di carcere la condanna dell’ultimo detenuto del braccio della morte dell’Avana. Si tratta, rendono noti i gruppi dissidenti cubani, di Humberto Eladio Real Suarez, 40enne cubano americano, arrestato nel 1994 insieme ad altri membri del Partito per l’Unità nazionale democratica, considerato un’organizzazione terroristica del governo dell’Avana. Accusato di essersi infiltrato nel paese, Real Suarez era stato condannato a morte per aver agito contro la sicurezza dello stato e per aver ucciso un uomo con lo scopo di rubargli la macchina. Poche settimane fa erano state commutate le sentenze di morte per altri due condannati a morte, due salvadoregni accusati di terrorismo. Pur non essendo stato abolita dall’ordinamento giuridico, la pena capitale non viene applicata a Cuba dal 2003 quando sono stati messi a morte tre cubani accusati di aver dirottato una nave per poter fuggire negli Stati Uniti.