Giustizia: la morte di Fernando Paniccia e il dramma dei disabili in carcere Ristretti Orizzonti, 28 dicembre 2010 Fernando Paniccia avrebbe terminato di scontare la pena il 31 dicembre del 2011. Invalido al 100%, affetto da ritardo mentale, epilettico e semiparalizzato, pesava 186 chili. Era entrato in carcere per la prima volta a 19 anni, per il furto di 3 palloni di cuoio in una palestra, e da allora era stato più volte arrestato per piccoli reati di cui probabilmente non era nemmeno consapevole, poiché la sua capacità di comprensione era quella di un bambino di tre anni. Sanremo: la morte in cella e le “indagini” sul caso… Fernando Paniccia, 27enne di Frosinone, è morto nella cella del carcere di Sanremo dove era detenuto, ucciso probabilmente da un arresto cardiaco. Le sue condizioni di salute erano critiche da tempo a causa dell’obesità. Fernando pesava 186 kg e nonostante l’interessamento dei sanitari non era riuscito a dimagrire. Il giorno di Natale aveva accusato un malore. Ieri mattina il suo compagno di cella lo ha chiamato, ma inutilmente. Il sostituto procuratore Antonella Politi ha disposto che venga effettuata l’autopsia. Paniccia avrebbe terminato di scontare la pena il 31 dicembre del 2011. Ha rubato tre palloni: invalido in carcere … (La Stampa, 31 gennaio 2003) Diciannove anni, completamente invalido, incapace di muovere le mani, di parlare correttamente e di controllare gli stimoli fisiologici, provvisto di assistenza continua da parte dell’azienda sanitaria locale. Eppure, nonostante l’evidente deficit mentale, Fernando Paniccia, un ragazzo di Frosinone, è stato arrestato per avere caricato su un furgoncino tre palloni di cuoio trafugati nel piazzale antistante un centro sportivo della città. L’episodio è avvenuto sabato e da allora, nonostante l’invalidità, il ragazzo è rinchiuso in una cella del carcere di via Cerreto. L’episodio, per l’esattezza, è avvenuto nel pomeriggio di sabato. Fernando Paniccia era con il fratello di 17 anni e un vicino di casa. I tre ragazzi erano andati in un centro sportivo per effettuare dei lavori di manutenzione. Poi il giovane, che ragiona come un bambino di tre anni, nonostante sia alto un metro e novanta e pesi oltre 150 chilogrammi, di nascosto dagli altri due ha preso i palloni e li ha chiusi nel furgone. La scena è stata però notata da uno degli addetti alla sorveglianza del centro sportivo che ha chiamato i carabinieri. Il furgone è stato bloccato pochi minuti dopo e quando i militi hanno trovato i palloni hanno arrestato tutti e tre gli occupanti del mezzo. “Non mi permetto di giudicare l’operato di nessuno, e non mi permetto di contestare ciò che i carabinieri per legge hanno dovuto fare, ma quello che mi domando” racconta la madre del ragazzo, la signora Teresa Tiberia, “è come sia possibile che Fernando sia stato rinchiuso in carcere nonostante il suo evidentissimo deficit mentale. Mio figlio non è in grado di muovere le mani, di parlare correttamente e soprattutto non riesce a distinguere gli stimoli fisiologici e per questo ha bisogno di continua assistenza. Posso immaginare in che condizioni dovrà presentarsi mercoledì dinanzi al giudice”. Gli avvocati difensori hanno preannunciato un esposto per far chiarezza sull’intera vicenda. La risposta non ufficiale degli inquirenti è che il codice è dalla loro parte: a dover essere garantito anche in caso di reato è il diritto alla salute. Questo significa che le persone detenute devono usufruire dello stesso servizio sanitario del resto della cittadinanza, e significa che va tutelata la continuità terapeutica a tutte quelle persone che prima dell’arresto hanno stabilito un rapporto con strutture sanitarie o seguono terapie che necessitano di costante controllo medico. Dunque il giovane handicappato continua a ricevere in questi giorni in carcere la stessa assistenza che riceveva fuori. Domani, nell’udienza davanti ai giudici, si deciderà su quanto accadrà nei prossimi giorni. Disabili in carcere (Inchiesta di www.superabile.it) Il dato, fornito dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, riguarda la disabilità motoria e sensoriale ed è fermo al dicembre 2008. La maggioranza di detenuti disabili è in Lombardia (121), seguita da Campania (96) e Lazio (51). A Fossombrone, nelle Marche, sono detenuti 28 ipovedenti. Nel dicembre del 2008 nelle carceri italiane erano presenti 483 detenuti con disabilità motoria o sensoriale. Questo il dato più recente sulla presenza della disabilità in carcere in possesso dell’Ufficio Servizi sanitari del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Un’identica rilevazione per il 2009 manca: “Le schede destinate alla compilazione erano state inviate anche lo scorso anno alle direzioni degli istituti di pena - spiegano dall’ufficio - ma l’indagine non è stata realizzata”. La regione italiana con il maggior numero di detenuti disabili risulta essere la Lombardia: alla fine del 2008 negli istituti di pena della regione risultavano reclusi 121 detenuti con disabilità fisica e motoria, di cui 13 a San Vittore e 82 a Opera. Fra le regioni più “affollate” anche la Campania con 96 detenuti, il Lazio (51), le Marche (34, di cui 28 ipovedenti detenuti nella struttura di Fossombrone) e la Toscana (31). Seguono Sicilia (34), Piemonte e Valle d’Aosta (23), Veneto, Trentino e Fvg (20), Puglia (17), Emilia-Romagna (16), Sardegna (16), Calabria (14), Umbria, Abruzzo-Molise, Liguria (tutte con 3 detenuti) e, infine, Basilicata (1). Parzialmente diversi gli esiti di una seconda indagine relativa alla sola disabilità motoria, svolta sempre nel 2006 ma in cui periodo dell’anno non specificato. Con 65 detenuti, la Lombardia resta la prima regione nella classifica della numerosità, ma è stavolta seguita dalla Sicilia, con 51 detenuti disabili, dalla Sardegna, con 42 detenuti, e poi da Campania (37), Lazio (36), Emilia-Romagna (30), Puglia (26), Piemonte e Abruzzo-Molise (25), Marche (17), Toscana (15), Basilicata (11), Veneto (10), Umbria (6), Calabria (4) e Liguria (1). I luoghi, le norme e i numeri Non si sa quanti siano esattamente i disabili detenuti nelle carceri italiani, visto che non esiste un sistema di monitoraggio nazionale sulle condizioni di salute dei carcerati. Quattro le sezioni attrezzate per i “minorati fisici”, 143 posti in tutto, di cui 90 ancora inagibili. 7 le sezioni per disabili motori, per un totale di 32 posti. 1.238 gli “internati nei 6 Opg italiani, la cui capienza complessiva è di 951 posti. La malattia e la disabilità non sono incompatibili con la detenzione. Anzi accade spesso che chi varca la soglia del carcere porti con sé gli esiti di un trauma o di una malattia che hanno ridotto le sue capacità motorie o mentali. Non si sa quanti siano esattamente i disabili detenuti nelle carceri italiani, visto che non esiste un sistema di monitoraggio nazionale sulle condizioni di salute dei carcerati. Si sa però che “non esiste in Italia una normativa specifica per i detenuti disabili”, afferma Francesco Morelli, di “Ristretti Orizzonti”. “Uno dei principali riferimenti normativi per la disabilità in carcere - spiega Morelli - è l’articolo 47 ter dell’Ordinamento Penitenziario, relativo alla detenzione domiciliare”: in base al comma 3, “la pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, quando trattasi di persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali”. È però necessaria la perizia di un medico, che - spiega Morelli, “può essere smentita dal perito peritorum, cioè dal tribunale di sorveglianza. Un’altra norma di riferimento è quella che riguarda il differimento della pena, che però viene utilizzata soprattutto per le detenute incinte. Infine c’è l’articolo 11 dell’Ordinamento penitenziario, che contempla i casi in cui il detenuto entri sano e si ammali all’interno del carcere. In questa eventualità, il direttore, prima del magistrato, può disporre il ricovero in ospedale con articolo 11. Se quindi è vero che non esiste una normativa precisa per la disabilità in carcere, va però detto anche che la legislazione italiana è l’unica che prevede l’incompatibilità con la detenzione per motivi di salute.” Nei casi in cui la perizia medica evidenza una disabilità che richiede un’assistenza specifica, i detenuti sono destinati ad alcune strutture specifiche. Per la precisione, esistono gli Ospedali psichiatrici giudiziari e alcune sezioni di osservazione per i detenuti con disabilità mentale; le sezioni attrezzate per “disabili” e le sezioni attrezzate per “minorati fisici”. Quest’ultima distinzione tra disabili e minorati, dal suono arcaico, è in realtà destinata a scomparire in tempi brevi ma ancora sopravvive per ragioni organizzative. In particolare, il termine “minorato” è utilizzato nei casi in cui la disabilità motoria sia più lieve rispetto alla vera e propria disabilità. Per passare dalla parole ai numeri, riportiamo le cifre riferite dall’Amministrazione penitenziaria, aggiornata al 3 ottobre 2008 e relative alla capienza di queste “sezioni speciali” e al numero di presenze effettive al loro interno. Non dimenticando il fatto che non tutti, ma anzi probabilmente solo una minoranza di detenuti con disabilità si trova all’interno di queste sezioni, mentre molti altri sono nelle sezioni comuni. Minorati fisici. Sono quattro, in tutta Italia, le strutture con sezioni attrezzate per accogliere minorati fisici, per una capienza complessiva di 143 posti e 21 presenze oggi registrate: per la precisione, Castelfranco Emilia, con una capienza di 90 posti ma attualmente inagibile; Parma, con una capienza di 25 posti e 6 presenze; Ragusa, con capienza 14 e 12 presenze; Turi, con 14 posti e 3 presenze. Disabili. Per i detenuti con disabilità fisica esistono sezioni attrezzate in 7 istituti, per una capienza complessiva di 32 posti e 16 presenze: Udine, con 3 presenze, pari alla sua capienza; Pescara, con 4 presenze e due posti; Parma, con 9 posti e 9 presenze. A queste si aggiungono 4 strutture le cui sezioni attrezzate risultano attualmente vuote: Perugia, Fossano, Castelfranco Emilia e Brindisi. Internati in Opg. Oggi gli Ospedali psichiatrici giudiziari funzionanti sono in tutto 6, per una capienza complessiva di 951 posti e una presenza effettiva di 1.238 persone: Aversa (Ce), con una capienza regolamentare di 259 posti e 265 ospiti; Barcellona Pozzo (Me), con una capienza di 186 posti, 204 il limite tollerabile e ben 265 le presenze attuali; Castiglione Siviere (Mn), con una capienza regolamentare di 193 posti (223 tollerabili) e 208 presenze; Montelupo Fiorentino, con una capienza tollerabile di 80 posti e 101 presenze attuali; Napoli Sant’Eframo, con una capienza di 103 posti, 117 tollerabili e 109 presenze; infine Reggio Emilia, con una capienza di 130 posti, 252 tollerabili e 290 presenze. Va tenuto presente che gli Opg sono deputati ad accogliere non soltanto i detenuti prosciolti per vizio di mente (a causa cioè di disturbi psichiatrici), ma anche i detenuti che, pur avendo scontato la pena, sono assegnati alla misura di sicurezza dell’internamento. Internati in sezioni di osservazione. Nelle sezioni di osservazione, destinate a detenuti con problemi psichici e funzionanti presso alcuni istituti: precisamente, Bologna (2 presenze), Castelfranco Emilia (76), Favignana (37), Firenze Sollicciano (19), Isili (21), Livorno (8), Milano San Vittore (14), Modena Saliceta S. Giuliano (100), Monza (5), Napoli Secondigliano (9), Palermo Pagliarelli (5), Reggio Calabria (4), Roma Rebibbia (13), Sulmona (108), Torino Lorusso e Cutugno (35). Il Sappe: circuiti penitenziari differenziati per i detenuti con problemi sanitari Circuiti penitenziari differenziati per detenuti con problemi sanitari. Lo propone il Sappe dopo la notizia della morte per arresto cardiaco di un detenuto nel carcere di Sanremo. “La notizia della morte di Fernando Paniccia, 27enne di Frosinone per arresto cardiaco intristisce ed amareggia tutti, specie coloro che il carcere lo vivono quotidianamente nella prima linea delle sezioni detentive, come le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. Le condizioni di salute di Paniccia - si legge in una nota - erano critiche da tempo a causa dell’obesità: pesava 186 kg e nonostante l’interessamento dei sanitari non era riuscito a dimagrire”. Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, propone: “una prima soluzione al pesante sovraffollamento penitenziario può essere la concreta definizione dei circuiti penitenziari differenziati e, in questo contesto, la costruzione di carceri per così dire “leggere” per i detenuti in attesa di giudizio o con gravi disabilità destinando le carceri tradizionali a quelli con una sentenza definitiva da scontare”. Secondo i dati recentemente diffusi, ragguaglia sempre il Sappe, è emerso che l’80% dei circa 70 mila detenuti oggi in carcere in Italia ha problemi di salute, più o meno gravi. Il 38% versa in condizioni mediocri, il 37% in condizioni scadenti, il 4% ha problemi di salute gravi e solo il 20% è sano. Un detenuto su tre è tossicodipendente. Del 30% dei detenuti che si è sottoposto al test Hiv, il 4% è risultato positivo. E ancora, il 16% soffre di depressione o altri disturbi psichici, il 15% ha problemi di masticazione, il 13% soffre di malattie osteoarticolari, l’11% di malattie epatiche, il 9% di disturbi gastrointestinali. Circa il 7% è infine portatore di malattie infettive. Tutto questo va ad aggravare le già pesanti condizioni lavorative delle donne e gli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria, oggi sotto organico di ben 6mila unità. Il dato importante da considerare è che i detenuti affetti da tossicodipendenza o malattie mentali, come ogni altro malato limitato nella propria libertà, sconta una doppia pena: quella imposta dalle sbarre del carcere e quella di dover affrontare la dipendenza dalle droghe o il disagio psichico in una condizione di disagio, spesso senza cure adeguate e senza il sostegno della famiglia o di una persona amica. Forse è il caso di ripensare il carcere proprio prevedendo un circuito penitenziario differenziato per queste tipologie di detenuti”. L’imputabilità di Fernando Paniccia, di Laura Baccaro (psicologa e criminologa) Leggo sul dizionario: “Si definisce reato quel comportamento umano volontario, che si concretizza in un’azione o omissione tesa a ledere un bene tutelato giuridicamente e a cui l’Ordinamento giuridico fa discendere l’irrogazione di una pena (sanzione penale)”. La volontarietà sembra quindi essere il punto discriminante la punibilità del soggetto, tanto che l’art. 85 del codice penale stabilisce che “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se, al momento in cui l’ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”. Ma Fernando era in grado di rendersi conto del valore sociale, positivo o negativo, di prevedere le conseguenze morali e giuridiche dei suoi comportamenti, cioè di intendere? E, ancora, Fernando era in grado di volere, cioè di scegliere in modo autonomo, di pianificare in vista di un obbiettivo le sue azioni in modo socialmente accettabile, di incanalare la sua affettività tale da autoregolare il suo comportamento? La cronaca del suo primo arresto (La Stampa, 31 gennaio 2003) lo descrive così: “diciannove anni, completamente invalido, incapace di muovere le mani, di parlare correttamente e di controllare gli stimoli fisiologici, provvisto di assistenza continua da parte dell’azienda sanitaria locale”. Il tema dell’imputabilità è di difficile gestione in quanto è collegato sia al diritto di punire sia alla natura e allo scopo della pena, che deve tendere alla rieducazione del condannato (art. 27 Costituzione). Ma è vero anche che in alcuni casi il codice penale esclude o diminuisce l’imputabilità e quindi la responsabilità di un soggetto: l’art. 88 c.p. recita: “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità d’intendere o di volere”; ed ancora, l’art. 89 c.p. stabilisce: “Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, risponde del reato commesso, ma la pena è diminuita”. Per quanto riguarda la “pericolosità sociale” il nostro Codice la definisce nell’art. 203: “Agli effetti della legge penale è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, la quale ha commesso un reato, quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati”. Fernando, evidentemente, è stato ritenuto capace di commettere altri reati, cioè di scegliere e prevedere i propri comportamenti. La vicenda di Fernando purtroppo ci rimanda alle teorie espresse da Lombroso in “L’uomo delinquente” che, nell’edizione del 1897, scriveva: “Come il pazzo morale si fonde col delinquente congenito solo differendone in ciò che è un’esagerazione dei suoi caratteri, così il delinquente epilettico offre l’esagerazione della pazzia morale; e siccome due cose uguali ad una terza sono uguali tra di loro, così è certo che la delinquenza nata e la pazzia morale non sono che varianti dell’epilessia”. Povero Fernando l’aver vissuto 110 anni dopo non è stato sufficiente a farlo accettare dagli altri, a superare il pregiudizio dello stigma alla salute mentale e nei confronti dei disabili psico-fisici. Insomma a dare una rete di servizi umani e di cure a coloro che necessitano. Giustizia: cinquantotto bambini ancora nelle carceri italiane di Raffaele K. Salinari (Presidente di Terre des Hommes) Il Manifesto, 28 dicembre 2010 Il Governo ed il suo Presidente del Consiglio, hanno più volte dichiarato di voler approvare entro la legislatura corrente la riforma delle giustizia. Certo la materia è complessa, considerando anche gli interessi personali in gioco ma, dato che le feste natalizie inclinano all’empatia, che oggi purtroppo non si sostanzia atti politici concreti, vorremmo attirare l’attenzione su un aspetto di questa riforma che giace da lungo tempo in Parlamento, ostaggio dei giochi di palazzo tra le più alte cariche dello Stato. Parliamo della norma che consentirebbe a molti bambini detenuti al seguito delle loro madri di non passare la prima infanzia dietro le sbarre, come d’altra parte impone la Convenzione Onu sui Diritti dei Minori che l’Italia ha sottoscritto più di vent’anni or sono e che, per questo aspetto come per tanti altri, rimane largamente disattesa. Per molti bambini, infatti, anche quest’anno, Babbo Natale porterà i regali dietro le sbarre di un istituto penitenziario. Sono 58 i bambini che ad oggi in Italia si trovano ancora in carcere, insieme alle proprie mamme detenute, nonostante molte di queste donne avrebbero diritto agli arresti domiciliari speciali e potrebbero uscire dal carcere. Ma così non è; le attuali norme di legge, infatti, lo impediscono, con la conseguenza che a pagare il prezzo più alto di questo divieto sono i bambini che, non solo nascono e crescono negli istituti penitenziari italiani, ma in seguito vengono separati dal loro spesso unico affetto al terzo anno di età, subendo un trauma ulteriore. Molti di loro hanno fratelli e sorelle più grandi che li attendono a casa, anch’essi privati della presenza e delle cure materne. Si stima siano almeno 5.000 i bambini in questa condizione, perché l’attuale normativa impedisce non solo ai più piccoli di nascere e crescere fuori dal carcere, ma anche ai loro fratelli e sorelle di vivere accanto alla propria madre. E dunque, oltre la retorica garantista e le “grandi” questioni inerenti la riforma delle giustizia, basterebbe che il testo di legge che concerne questi diritti dei minori in galera, fermo da tempo in Commissione Giustizia della Camera, venisse discusso e approvato dal Parlamento per essere finalmente approvato entro Natale, per assicurare così a questi bambini delle feste che siano realmente tali. Per queste ragioni chiediamo che siano approvate con urgenza le modifiche chiave al testo unificato ancora in discussione dalla Commissione Giustizia, perché davvero si realizzi l’obiettivo, che a parole tutti condividono, che “nessun bambino varchi più la soglia di un carcere”. Per farlo sarebbe sufficiente approvare le norme, già nel testo, che evitano il carcere per le madri con bambini da 0 a 3 anni, anche come misura cautelare, e far accedere così le mamme agli arresti domiciliari speciali portando finalmente fuori dal carcere i propri bambini. A questo proposito sono disponibili da anni strutture che potrebbero ospitare queste donne ma che non hanno l’avvallo delle legge per entrare in funzione. Altre decisioni immediate vertono sulla possibilità di permettere alle mamme di accompagnare e di restare con il proprio figlio/a per tutta la durata del trattamento qualora esso/a abbia urgenza di essere portato al pronto soccorso, o necessiti di ricevere cure specialistiche o ci sia la necessita di un ricovero ospedaliero. Ed infine, ma non per importanza, chiediamo che venga approvata la norma di tutela per le straniere detenute, in quanto madri recluse con i propri figli, evitando, a fine pena, l’espulsione automatica senza alcuna verifica. Queste sarebbero, in un “paese normale” norme di civiltà giuridica minimale, non materia di contenzioso dell’alta politica, ma, proprio per questo, temiamo che non verranno prese in considerazione. Giustizia: Vallanzasca si racconta; ho chiuso con esistenza precedente Adnkronos, 28 dicembre 2010 “Non mi sento cattivo, ho solo il lato oscuro un po’ pronunciato. Sto pagando per il male commesso. Qualcuno potrà anche dire che non ho ancora pagato abbastanza ma a questo punto non mi si parli più di reinserimento. Il carcere quindi è solo punitivo. Anche perché, nel mio modo di pensare, se prima il detenuto Vallanzasca era giustamente segregato in carcere ora non possono più temere che io pericoloso”. Lo racconta al quotidiano “Il Mattino” Renato Vallanzasca, l’ex bandito della Comasina, condannato complessivamente a 4 ergastoli e 260 anni di carcere per delitti commessi dalla metà degli anni Sessanta, tra cui 7 omicidi. ‘Ho avuto anche periodi molto lunghi di libertà, sei mesi per un’operazione all’anca e poi sono rientrato in cella. È stata durissima ma sono rientrato in cella. Quindi - rileva - non si può certo temere che scappi”. Vallanzasca è di passaggio a Mondragone, paese della moglie. È in regime di articolo 21, esce sei giorni a settimana e rientra in carcere alle 21,30 ogni sera. Ha aperto un ufficio a Milano dove ospita un Caf e collabora con diverse comunità di recupero per tossicodipendenti. “La mia vita negli ultimi 15 anni dimostra che non voglio più avere a che fare con l’esistenza precedente - continua Vallazasca - Oggi ho un rapporto col territorio nel quale vivo e con le persone che incontro, da pari a pari, da essere umano ad essere umano. Sono arrivato ad avere una possibilità di relazione con gli altri, mettendomi in discussione, che non credevo possibile”. Quanto al fatto di poter essere considerato in qualche modo un mito per alcuni giovani, Vallanzasca osserva: “diventa un vantaggio perché smitizzo il mito. Li vedo e dico loro: ok hai ragione ma un mito che si è fatto 40 anni di galera non ti sembra un mito un po’ pirla? Non voglio insegnare nulla ma la mia vita è un metro di paragone, costringe a pensare, a riflettere proprio su quello che non deve essere fatto. Quando vado a parlare con i ragazzi di una comunità li costringo a riflettere. Sono una prova di vita. Mi sento in debito con i tanti giovani che potrebbero pensare di essere i futuri Vallanzasca. Da anni sapere che posso dare loro una mano, anche ad uno solo di loro, è per me una cosa enorme. la cosa che mi auguro - conclude - è che tra dieci anni ci sia chi dice che sì, è stato un cretino, ma ha saputo essere anche una persona valida. Penso che più delle parole contino i fatti e nei fatti sto cercando di dimostrare che a chiunque dovrebbe essere data una seconda possibilità”. Lazio: Sinistra Ecologia e Libertà; troppi detenuti, il 21% aspetta il primo processo La Repubblica, 28 dicembre 2010 Dalle mura storiche di Regina Coeli - 1.053 detenuti rispetto a una capienza prevista di 724 - alla struttura di Rieti che, aperta un anno fa, potrebbe ospitare 306 persone, ma invece ne custodisce appena 94. Senza dimenticare Latina: vi sarebbe posto per 86 detenuti, ma ci vivono in 166. È un bilancio in chiaroscuro per le carceri del Lazio quello tracciato dall’associazione Antigone e dal gruppo regionale di Sinistra Ecologia e Libertà. Al 30 novembre nelle carceri laziali erano 6.400 i detenuti - e tra loro 2.502 sono stranieri - a fronte di una capienza regolamentare di 4.661. “Il tasso di sovraffollamento è del 137 per cento” dice Luigi Nieri, capogruppo di Sel alla Regione. A Rebibbia la situazione è complessa: 370 detenuti al penale, 1.653 al nuovo complesso (dove la capienza sarebbe di 1.194), 37 alla Terza casa, e 385 al femminile dove gli spazi sono previsti per 274 donne. E se i giovani sotto i 35 anni sono il 39 per cento della popolazione carceraria laziale, 44 sono gli ultrasettantenni. Dall’ altra parte, sono 17 i bambini fino ai tre anni che vivono in carcere, 8 le donne incinte e 125 gli ergastolani: soltanto 7 di loro sono stranieri. Altro capitolo è quello dei detenuti in attesa di giudizio: il 21 per cento del totale non ha avuto nemmeno la sentenza di primo grado. E anche la recente legge che prevede l’ ultimo anno di detenzione a casa, rischia di trovare scarsa applicazione nel Lazio: ne sono esclusi gli stranieri irregolari e in tutto sarebbero soltanto circa 500 i potenziali beneficiari reali. “C’è un grosso rischio di abbandono dei detenuti - dice Luigi Nieri. Le Asl, a cui la nuova normativa affida la gestione sanitaria delle carceri non stanno facendo quanto dovrebbero e che sarebbe necessario: siamo in una situazione di cronico sovraffollamento e tutto si complica, a partire dal punto di vista igienico - sanitario. Noi continueremo anche nel 2011 le visite alle carceri”. Veneto: tra Regione e Dap un accordo per far fronte al sovraffollamento delle carceri Il Gazzettino, 28 dicembre 2010 L’allarme era scattato all’inizio dell’anno che sta per concludersi: il tasso di sovraffollamento delle carceri venete è il terzo in Italia (dopo Emilia Romagna e Puglia), vale a dire che su 1.915 posti i detenuti sono oltre 3.300. Situazioni all’orlo della vivibilità, promiscuità, spazi angusti, difficoltà di offrire progetti adeguati di recupero, solo alcune delle lacune legate alle capienze inadeguate. Per far fronte ad una situazione che sta per scoppiare il Ministero di Grazia e Giustizia ha siglato ieri con la Regione Veneto un protocollo d’intesa per la costruzione di un nuovo carcere a Campalto (vicino a Mestre nella zona dell’aeroporto) per 450 detenuti e l’ampliamento della casa circondariale di Vicenza con un padiglione da 200 posti. La firma è stata apposta da Franco Ionta, commissario delegato per il Piano carceri e il vicepresidente della Regione Marino Zorzato. “La costruzione avviene su iniziativa del Ministero, con finanziamento nazionale. - sottolinea Zorzato - L’area è stata scelta d’intesa tra il Ministero e le amministrazioni comunali, la Regione in questo non c’entra, contiamo in un paio d’anni di ultimare i lavori. Resterà poi da capire quale sarà la destinazione d’uso dell’attuale carcere veneziano, la nostra ipotesi è quella di trasferirvi la Corte d’Appello”. Si tratta di una operazione condivisa, necessaria visto il sovraffollamento delle attuali strutture, che consente - come spiega anche Zorzato - un aumento di posti, ma anche una crescita di qualità della detenzione. Il nuovo carcere di Venezia costerà 40 milioni e mezzo di euro e sorgerà su un’area demaniale di 9 ettari a Campalto, che oggi viene adibita a deposito del ministero della Difesa. Mentre per Vicenza si tratta di un ampliamento del carcere esistente che avrà un’area di 3900 metri quadri e costerà 11 milioni di euro. “Siamo soddisfatti del rapporto di collaborazione instaurato con la Regione. Il Piano procede nei tempi prefissati - ha sottolineato Franco Ionta. Nei primi mesi del 2011 sarà pronto il bando di gara per la realizzazione delle opere”. La situazione nelle carceri venete è davvero pesante, nonostante siano diversi gli interventi che vengono messi in atto per il recupero dei detenuti. “Riteniamo che queste nuove costruzioni potranno anche garantire la promozione di attività collaterali di recupero che oggi sono difficili - aggiunge Zorzato. Oltre che offrire nuove opportunità lavorative al personale”. Come ha più volte sottolineato l’assessore alle Politiche sociale Remo Sernagiotto: “Mantenere un detenuto in carcere costa ogni giorno allo Stato tra i 600 e i 700 euro, mentre costerebbe molto meno far sì che, una volta uscito, si guadagni da vivere, magari con un percorso protetto, e non ritorni in galera. Attualmente, come sappiamo l’87% ritorna in carcere dopo essere stato rilasciato. La nostra scommessa per questa legislatura regionale è di approntare un modello veneto del carcere per riconsegnare cittadini attivi alla società”. La promiscuità all’interno delle strutture di detenzione accentua le difficoltà nella convivenza. Nel 2009 si sono infatti registrati 176 ferimenti, 138 gli atti di autolesionismo, mentre 283 detenuti hanno promosso lo sciopero della fame. Tutti gli istituti registrano infatti indici di presenza ben superiori a quelli tollerabili e lontanissimi da quelli regolamentari. Calabria: Sappe; 100 detenuti in più in 4 mesi, situazione delle carceri è molto critica Agi, 28 dicembre 2010 “Continua inarrestabile la crescita dei detenuti in Calabria. Negli ultimi quattro mesi sono aumentati di circa 100 unità”. È quanto affermano Giovanni Battista Durante e Damiano Bellucci, rispettivamente segretario generale aggiunto del Sappe e segretario regionale per la Calabria. Ad agosto i detenuti nelle carceri calabresi erano 3.200, mentre alla vigilia del nuovo anno sfiorano i 3.300, circa 100 in più rispetto al limite tollerabile e circa 1.420 in più rispetto alla capienza regolamentare che è di 1.870. La percentuale del sovraffollamento è passata dal 171% di agosto al 176% di fine dicembre. È aumentata anche la presenza degli stranieri, passata dal 25,88% al 26,29%, con punte del 44,44% a Castrovillari, 44,57% a Lamezia Terme, 47,65% a Palmi e 35,55% a Vibo Valentia. “Si tratta di percentuali elevatissime per una regione del Sud come la Calabria”, aggiungono i due sindacalisti, “se si considera che negli istituti del Nord tali percentuali variano dal 55% al 65%. Ciò, a testimonianza del fatto che in Italia non esistono più isole felici. Questo vale anche per il sovraffollamento, per il quale dalla media regionale del 176% si passa a punte elevatissime del 219% a Castrovillari, 276% a Lamezia Terme, 224% a Locri, 225% a Reggio Calabria. A questi gravi problemi se ne aggiungono altri di carattere organizzativo e gestionale. Già da tempo avevamo denunciato lo scempio edilizio che stava avvenendo attorno al carcere di Cosenza, dove l’area esterna al muro di cinta dell’istituto è interessata dalla realizzazione di palazzi che mettono in crisi la sicurezza del carcere. Per questo motivo e per denunciare la grave situazione delle carceri calabresi una delegazione del Sappe, il 30 dicembre 2010, alle ore 9, visiterà il carcere di Cosenza e alle 10.30, sempre nello stesso istituto, terrà una conferenza stampa”. Puglia: Friolo (Pdl); nomina del Garante regionale dei detenuti attesa da 4 anni e mezzo Giornale di Puglia, 28 dicembre 2010 È trascorso un altro anno senza che la Regione Puglia abbia provveduto a nominare il Garante dei detenuti. Un altro anno di promesse non mantenute e di colpevoli omissioni finanche rispetto a semplici adempimenti di legge. Nel caso specifico la nomina del Garante, chiesto in modo pressante non solo dalla popolazione carceraria ma da molteplici associazioni di impegno civile, movimenti di opinione e rappresentanti istituzionali, è prevista da un’apposita legge regionale che impone da quattro anni e mezzo l’investitura di tale ruolo. Vendola non è ancora venuto in Consiglio per porre in discussione l’argomento e quindi mettere la parola fine a questa triste vicenda. Pertanto la verità è che anche questo anno è trascorso invano, esattamente come i precedenti, e neppure il clima natalizio è riuscito a ricordare alla giunta Vendola il bisogno di riconoscere giusti diritti anche ai cosiddetti “ultimi: alle persone private della libertà. Né può servire a parziale giustificazione la tardiva decisione della sua giunta che a fine novembre ha deliberato gli indirizzi attuativi della legge regionale in questione scaricando ora le valutazioni alla terza commissione consiliare regionale. Purtroppo dopo quattro anni e mezzo siamo solo a questo. Quanto altro tempo dovrà trascorrere prima che si arrivi alla nomina del garante? La manifestazione compiuta dai radicali a Brindisi in agosto e il sostegno ricevuto dal sindaco Domenico Mennitti avevano fatto sperare in un convincimento del presidente della Regione Nichi Vendola ad accelerare le procedure, anche perché ad agosto aveva annunciato decisioni della Giunta regionale già per i primi giorni di settembre ma così, purtroppo, non è stato. Le promesse non mantenute di Vendola sono ormai un elenco infinito. Bravo nell’annunciarle ma incapace a realizzarle, il presidente della Regione Puglia è ora additato come cattivo esempio d’Italia. Pochi giorni mancano al nuovo anno che speriamo tutti sia migliore di quest’ultimi. I detenuti pugliesi attendono ciò che in altre regioni d’Italia, come Lazio e finanche Sicilia, è già realtà. Un divario che le coscienza impone di colmare al più presto tralasciando, almeno un giorno, le faccende di partito che appassionano sempre più il presidente Vendola. Sanremo (Im): detenuto invalido muore in cella a 27 anni Il Secolo XIX, 28 dicembre 2010 È morto in carcere il giorno dopo essere stato visitato al pronto soccorso dell’ospedale di Sanremo, dove era stato portato per una insufficienza cardiaca, e poi dimesso sembra dopo avere rifiutato il ricovero. È morto in carcere il giorno dopo essere stato visitato al pronto soccorso dell’ospedale di Sanremo, dove era stato portato per una insufficienza cardiaca, e poi dimesso sembra dopo avere rifiutato il ricovero. Ora è la procura di Sanremo a volere chiarire le cause del decesso di un detenuto invalido di 27 anni, Fernando Paniccia, di Frosinone, avvenuta domenica pomeriggio in una cella dell’Armea. L’invalidità del giovane era dovuta alla sua condizione di “grande obeso”: a fronte di un’altezza di 1 metro e 83 centimetri, pesava 186 chilogrammi. Per ora il fascicolo aperto dalla procura è contro ignoti, ed ha l’obiettivo di chiarire se la morte di Fernando Paniccia sia dovuta a negligenze o responsabilità di terzi. Un aspetto che dovrebbe essere chiarito dall’autopsia: l’incarico verrà affidato oggi dal sostituto procuratore Antonella Politi al medico dell’Asl 1 Alessandro Zaccheo. All’esame autoptico potrebbe partecipare un consulente della famiglia del giovane - la madre, Teresa Tiberia, un fratello e due sorelle - che si è affidata all’avvocato Tony Ceccarelli, di Frosinone. “Da parte della famiglia del signor Paniccia - spiega l’avvocato Ceccarelli - non vi è al momento alcuna volontà diversa da quella di chiarire le cause del decesso. Certamente, l’esito dell’autopsia sarà determinante per individuare eventuali responsabilità; se così fosse, non posso escludere che venga intrapresa un’azione legale”. Fernando Paniccia era stato trasferito a valle Armea pochi giorni fa, martedì 21 dicembre, dal carcere di Viterbo. In precedenza, era detenuto a Frosinone. Stava scontando una condanna per traffico di stupefacenti, con termine il 31 dicembre 2011. Ma l’avvocato Ceccarelli contava di ottenere gli arresti domiciliari entro pochi giorni. “La condanna - spiega ancora il legale - era già stata ridotta da 6 a 4 anni, e entro la fine dell’anno la richiesta di arresti domiciliari sarebbe stata esaminata, con una buona possibilità che venisse accolta. Una circostanza che rende ancora più drammatico il decesso del giovane. In base ai primi accertamenti, Paniccia era stato portato al pronto soccorso dell’ospedale sabato 25, dopo avere lamentato difficoltà a respirare e un dolore al petto. I medici del Borea avrebbero riscontrato l’insufficienza respiratoria e uno scompenso cardiaco, decidendo di ricoverare il giovane. Paniccia, però, avrebbe rifiutato il ricovero, venendo dimesso con una prognosi di pochi giorni. Domenica pomeriggio, intorno alle 17.30, si trovava nella sua cella, assieme ad un altro detenuto, sdraiato sulla propria branda, quando si è sentito male e si è accasciato a terra. Il compagno ha dato l’allarme, ed è intervenuto il personale sanitario. Ogni tentativo di rianimare il ventisettenne, però, si è rivelato vano. Cagliari: storia di Grazia, detenuta di 74 anni; preoccupano le sue condizioni di salute 9Colonne, 28 dicembre 2010 “Compirà 74 anni il prossimo 21 gennaio e le sue condizioni di salute destano viva preoccupazione nei familiari. La permanenza in carcere, soprattutto in questi ultimi mesi, sta mettendo a dura prova la resistenza fisica e psichica di Grazia Marine, orgolese, ristretta nel carcere nuorese di Bad’e Carros. Da diversi anni in cura per ipertensione arteriosa, la donna, che ha avuto un infarto negli anni scorsi, convive con numerosi disturbi. Oltre al diabete, a una insufficienza renale cronica, al gozzo multi nodulare, al leucoma, l’anziana donna è afflitta dalla gotta che le impedisce di deambulare. Continuare a tenerla in stato di detenzione in una struttura penitenziaria mette a rischio la sua vita”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” a cui si sono rivolti i familiari in ansia per le condizioni della congiunta. “Il caso di Grazia Marine - sottolinea Caligaris - è emblematico dell’inadeguatezza del sistema carcerario a gestire con appropriatezza situazioni che richiedono una particolare attenzione. Non si comprende infatti per quale ragione una donna in così precarie condizioni di salute non possa scontare la pena in detenzione domiciliare. L’età della donna e le patologie da cui è affetta suggeriscono se non un atto di giustizia almeno un atto di clemenza. L’umanità della pena, così come suggerisce la Costituzione, sembra consistere, per casi così estremi, più nello stato di privazione della libertà all’interno delle pareti domestiche piuttosto che all’interno di una Casa Circondariale”. “Per una donna così anziana che ha messo al mondo 10 figli e ha vissuto in condizioni decisamente poco agiate - conclude la presidente di Sdr - forse sarebbe opportuno pensare a una pena attenuata almeno per garantirle il mantenimento della dignità che, nonostante le attenzioni della Polizia Penitenziaria, rischia di essere compromessa dal luogo in cui si trova. Del resto appare molto difficile pensare che possa abbandonare la sua casa o reiterare il reato. Insomma un atto di umanità nei suoi confronti non offenderebbe proprio nessuno, anzi”. Firenze: all’Opg 8 internati in 20 mq, in attesa del trasferimento a Solliccianino Il Tirreno, 28 dicembre 2010 L’Opg, che ha come direttore sanitario Franco Scarpa, è superaffollato. In una cella da 20 metri ci stanno fino a otto detenuti. Le condizioni di vita degli ospiti sono tremende e a pochi chilometri il carcere di Empoli rimarrà vuoto fino all’estate. Poche settimane fa la decisione di chiudere l’Opg e di trasportare i malati a Solliccianino. Milano: la testimonianza; il carcere di San Vittore sotto lo sguardo di un medico Quotidiano Nazionale, 28 dicembre 2010 La dottoressa Gildanna Marrani descrive il carcere di San Vittore: le condizioni dei detenuti e le difficoltà a cui vanno incontro durante la detenzione, come il cronico sovraffollamento delle celle Pubblichiamo la testimonianza della dottoressa Gildanna Marrani dopo una visita al carcere di San Vittore, a Milano: “Sono trascorsi più di 15 anni dal giorno in cui, annata di tanto coraggio e fede, decisi con me stessa di visitare il principale carcere milanese, con quella sana curiosità e quel mio buon senso che anche in quella occasione non mi avrebbe tradito. Allora come oggi i giudizi sono personalmente contrastanti: sono passati molti anni, ripeto, ma l’effetto choc è il medesimo, l’effetto di una donna libera all’interno di un istituto dove la libertà è ormai solo una chimera. Oggi come allora sono stata accompagnata da uno dei massimi dirigenti - ispettori dell’Istituto penitenziario, che con gentilezza e disponibilità ha accettato di accompagnarmi in questa breve ma intensa odissea nel sistema penitenziario - sanzionatorio italiano. Viaggio assai interessante, viaggio problematico e commovente, ma sempre interessante. Fin dall’ingresso capto e respiro un sentimento di paurosa chiusura verso il mondo esterno: certo, colgo l’occasione di vedere detenuti che escono e rientrano, vedo persino madri che entrano con i loro piccoli, e poi guardie, dipendenti che si avviano a casa; ma l’impressione è quella di un consapevole e voluto processo di distacco dal mondo esterno, quell’universo sociale dove il reo ha sbagliato o non ha saputo conformarsi alle norme giuridiche vigenti. Un processo che forse attraversa la storia carceraria dei decenni precedenti ma che a tutt’oggi non sembra mutato. Il direttore del carcere, dott. Pagano, non c’è. Cortesemente chiedo a quest’ultimo se posso visitare il carcere e lui gentilmente mi presenta un importante ispettore che mi aiuterà nel breve e intenso viaggio all’interno del luogo del “Peccato”, dove si incrociano e molto spesso si perdono le vite di chi ha scelto la via del reato e del crimine. Una via molto spesso seguita in conseguenza del venir meno di importanti parametri sociali e psichici, come l’affetto famigliare, il rispetto per la vita altrui, la considerazione dell’esistenza del prossimo, il rispetto della legge. È davvero difficile dubitare della buona fede di chi amministra il carcere di San Vittore poiché tutto al suo interno è strettamente vagliato su di un unico scopo: la rieducazione del condannato, il tentativo della sua socializzazione. Mentre percorro il corridoio antistante i raggi del carcere non posso fare a meno di notare l’educazione estrema con cui i detenuti mi salutano e salutano il loro ispettore, quel rispetto che molto probabilmente è stato inculcato loro dopo anni di pesanti condizionamenti da parte dell’apparato carcerario. Un “Buongiorno, buonasera” che sembra più un rituale verso gli ‘sconosciutì del carcere che un vero moto dell’anima. Chi ha sbagliato deve pagare, questo ci insegna la legge e le norme che la contengono, questo ci insegna il sistema di diritto penale dall’illuminismo ad oggi. Sono passati più di duecento anni, ma la dolorosa realtà della pena e dell’espiazione è ancora una piaga aperta nel cuore della nostra società: lo Stato, mi chiedo in questo viaggio, sa con certezza perché l’uomo sbaglia? Sa perché l’uomo si allontana dalla retta via in un momento della sua non facile vita? I raggi che visito sono tre: ciascuno spazio è riservato a particolari categorie di criminali e tutti e tre confluiscono paradossalmente nella sala rotonda dove la domenica si celebra la Santa Messa, momento di conforto laddove sembra che la speranza abbia abbandonato queste persone allo sbando. Vedo numerosi detenuti dietro le sbarre: appaiono tranquilli rispetto alla loro realtà di rei e di soggetti privati dal giudice della loro libertà; credo che la presenza di psicologi, come mi spiega gentilmente l’ispettore, all’interno della struttura, aiuti questi soggetti a superare il trauma del delitto, del senso di colpa (se ce l’hanno), dell’aver subito la privazione della propria libertà. Una libertà che certamente queste persone, questi uomini e donne non hanno saputo utilizzare a fini costruttivi e sociali, se così possiamo chiamarli, cioè quegli scopi che rendono giusta un’esistenza: il lavoro, la retribuzione a fine mese, la distanza dalla droga e dal suo commercio, la perdita del vizio di delinquere in un mondo dove il controllo anzi l’iper controllo da parte dell’Autorità rappresenta una costante dei paesi più civilmente avanzati. Al suo interno, il carcere di San Vittore appare un’immensa organizzazione volta al recupero personale del condannato: oltre alla presenza di medici e psicologi che curano le turbe fisiche, psichiche e affettive del detenuto, visitando la parte femminile del carcere, noto una forte tendenza al recupero attraverso il lavoro manuale. Del resto il lavoro è giuridicamente il principale strumento di recupero per persone che probabilmente non l’hanno mai considerato come una vera attività legale di vita. Entrando nella parte femminile del carcere, noto con estrema curiosità che qui l’ordine, la pulizia e la solidarietà tra carceriere e detenute è più sviluppata rispetto alla parte maschile. È indubbio che un’attività lavorativa sproni l’individuo verso una vera rieducazione sia umana che pratica: una rieducazione dalle basi che ha la funzione di permettere al condannato di reinserirsi in società, una volta che la pena sia stata scontata, evitando possibilmente qualunque recidiva. Purtroppo devo dare un giudizio negativo sull’ancora attuale sovraffollamento del carcere, un sistema che sicuramente non aiuta una sana vita quotidiana all’interno di una struttura, come quella di San Vittore, che ha funzione punitiva e correttiva. Forse sarebbe auspicabile la costruzione di carceri più modernamente attrezzati e più ampi, con celle che non ospitino più di due o tre detenuti al massimo. Una struttura che oltre alla funzione punitiva e rieducativa, offra anche la possibilità di un incontro vero con il recupero sociale, quest’ultimo non potendo avvenire in strutture penitenziarie troppo piene e sovraffollate. Ascolto con interesse novità purtroppo negative da parte dell’Ispettore: il venir meno di attività occupazionali come i lavori manuali di idraulica e i lavori di pelletteria, tutte attività che avrebbero sicuramente dato un’importante aiuto al reo, costretto ad un isolamento dal mondo esterno e dalla società che, se non condotto con umanità, può portare ad aberrazioni e malattie mentali anche gravi. Malattie che insorgono sempre (lo affermo come medico) quando il distacco dalla realtà quotidiana risulta eccessivo. Malattie che probabilmente sono frutto di un sistema sanzionatorio ancora oggi negativo, che dà più importanza ai meccanismi del castigo e della pena che alle imprescindibili esigenze del recupero dei detenuti. Il mio viaggio termina alle 18.30 circa. Saluto l’Ispettore e mi avvio verso l’uscita. Mi accorgo di come l’apparato di sicurezza sia ferreo all’interno del carcere: il mio cellulare è stato sistemato in un’apposita cassetta di sicurezza, prima che entrassi. Adesso devo ritirarlo. Per poter nuovamente comunicare con il mondo, quel mondo che ahimè i detenuti e tutti coloro che anche in attesa di giudizio soggiornano in carcere non possono vedere che attraverso spesse sbarre, dalle quali forse si aspettano un futuro più roseo e meno irto di acuminate spine. In fondo, l’umanità non si nega a nessuno”. Cagliari: il direttore; con la legge “svuota-carceri” è uscito soltanto un detenuto L’Unione Sarda, 28 dicembre 2010 Il fine pena sta per arrivare, i permessi premio e gli arresti domiciliari sono a portata di mano. Non sempre, però, è facile lasciare il carcere. Soprattutto quando non ci sono alternative alla droga, all’alcol, alla panchina, alla Caritas. Insomma, alla disperazione. Così la tanto attesa legge svuota - carcere, quella che concede gli arresti domiciliari a chi ha meno di un anno da espiare, si scontra con la dura legge della vita. A Buoncammino solo un detenuto ha ottenuto l’autorizzazione. Tre se la sono vista negare perché i familiari o le strutture destinate all’accoglienza l’hanno negata. Non potranno uscire dal carcere sino a quando non troveranno un posto dove trascorrere il tempo fissato dalla condanna. Il direttore di Buoncammino Gianfranco Pala anche il 25 dicembre era tra i suoi clienti. “Tre detenuti che avrebbero avuto diritto a scontare il residuo pena agli arresti domiciliari non hanno ottenuto l’autorizzazione perché non sapevano dove andare. Due sono cagliaritani, uno è tunisino. I due sardi sono tossicodipendenti, pluripregiudicati e senza casa. I loro familiari hanno risposto negativamente alla richiesta del magistrato di sorveglianza”. Discorso simile per l’extracomunitario. “La struttura che avrebbe potuto ospitarlo era al limite della capienza e ha negato l’autorizzazione per mancanza di posti”. Quanti detenuti hanno usufruito della legge svuota - carcere? “Per il momento uno solo”. La legge svuota - carcere è entrata in vigore il 16 dicembre. A Buoncammino, sulla carta, dovrebbe interessare 59 detenuti (55 uomini, 4 donne). Il provvedimento consentirà ai direttori degli istituti di pena di tirare una boccata d’ossigeno: il problema principale è il sovraffollamento, amplificato dalla carenza degli agenti di polizia penitenziaria. Nessun automatismo, ogni caso sarà vagliato dal responsabile del carcere, dal pubblico ministero e dal magistrato di sorveglianza. Non potranno essere concessi gli arresti domiciliari a chi ha commesso reati gravi (4 bis) come omicidi, sequestro di persona, traffico internazionale di droga. È importante precisare che il beneficio di legge avrà efficacia sino al 2013 e la lista dei reclusi è in continuo aggiornamento. Più pesanti le conseguenze in caso di evasione: la condanna oscilla da 1 a 3 anni, prima da 6 a 12 mesi. “Innanzitutto c’è un problema di individuazione del domicilio”, precisa Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo, diritti e riforme. “Molti dei detenuti non dispongono di un’abitazione o perché sono extracomunitari senza permesso di soggiorno o perché tossicodipendenti e ammalati senza famiglia. Alcuni vivevano in stanze in affitto e dopo l’arresto sono stati costretti a lasciarle. Altri, in assenza di strutture pubbliche, non trovano dimora per le difficili condizioni economiche delle famiglie”. Reggio C.: 4 anni per motivazioni sentenza; ergastolano scarcerato... ma resta in carcere Apcom, 28 dicembre 2010 Era stato condannato all’ergastolo in primo e secondo grado per omicidio è associazione mafiosa, ma è tornato in libertà per un cavillo giudiziario. Il magistrato che ha emesso la sentenza di condanna all’ergastolo, non ha depositato, dopo 4 anni e mezzo le motivazioni della sentenza. Giuseppe Belcastro, 50 anni nei giorni scorsi è tornato in libertà ed avrebbe trascorso il Natale in famiglia se non fosse stato per una vecchia “aggravante” che il tribunale di Reggio Calabria gli aveva inflitto nel 2003. Infatti, in occasione di una precedente condanna, l’uomo si era visto infliggere una condanna per due anni in una casa lavoro di Sulmona in Abruzzo, quindi invece di raggiungere la Calabria, da Spoleto dove si trovava detenuto, si è trasferito in Abruzzo, dove resterà fino a quando la cassazione non deciderà il suo futuro. La scarcerazione è stata motivata dal fatto che i motivi della sentenza d’appello con cui Giuseppe Belcastro è stato condannato all’ergastolo sono stati depositati quattro anni e mezzo dopo l’emissione della sentenza, avvenuta nel marzo del 2006. Un ritardo che ha provocato la scarcerazione anche di un altro imputato del processo “Prima Luce”, per la faida di Sant’Ilario, Luciano D’agostino, condannato a 15 anni di reclusione. L’eccessivo periodo di tempo nel deposito della motivazione della sentenza era stato denunciato, in una interrogazione parlamentare nello scorso mese di novembre, dalla deputata di Futuro e libertà Angela Napoli che aveva chiesto l’avvio di un’ispezione nella Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria. La Procura generale di Reggio Calabria aveva già segnalato alla Corte d’appello i ritardi nel deposito della motivazione della sentenza “Prima luce” con la condanna all’ergastolo, tra gli altri, di Giuseppe Belcastro, che per tale motivo è stato scarcerato grazie alla scadenza dei termini di custodia cautelare. È quanto hanno riferito fonti della Procura generale, secondo le quali, tra l’altro, il giudice estensore, che è Enrico Trimarchi, “non è nuovo a ritardi nel deposito delle motivazioni delle sentenze”. Piacenza: aumentano ancora i detenuti nel carcere delle Novate, ora sono 430 Dire, 28 dicembre 2010 Neanche a Natale diminuisce l’allarme sovraffollamento per il carcere di Piacenza. Le Novate conta infatti oggi 430 detenuti: un dato, questo, che è stato oggetto dell’incontro nei giorni scorsi per gli auguri tra l’assessore alle Politiche Sociali del Comune Giovanna Palladini e la direttrice del carcere Caterina Zurlo. Nel colloquio si è concordato di mandare ai detenuti, nella giornata del 25 dicembre, un biglietto di auguri firmato dalle associazioni Oltre il Muro, Caritas Diocesana, Comunità Papa Giovanni XXIII, Conferenza di S. Vincenzo e S.Anna e La Ricerca, nonché una copia dell’ultimo numero del giornale “Sosta Forzata”, realizzato dalla redazione interna al carcere e incentrato in particolare sulle strutture cui rivolgersi, una volta scontata la pena, per avere un posto letto, un pasto, o per un aiuto nel cercare lavoro. A tutti i detenuti, inoltre, al termine del pranzo natalizio è stata offerta una fetta di panettone o pandoro, per sottolineare la ricorrenza festiva. Gesto reso possibile dall’impegno di Coop Nordest, che ha regalato alla casa circondariale di Piacenza 50 panettoni e 50 pandori. Venezia: il Sindaco; il Piano carceri interviene su una pesante emergenza per la città Adnkronos, 28 dicembre 2010 “Il Commissario al Piano carceri è intervenuto su una pesante emergenza che da troppi anni colpisce Venezia ed il carcere di Santa Maria Maggiore. Una situazione esplosiva in pieno centro, con casi di sovraffollamento, con scarso personale di custodia e soprattutto con la difficoltà di attivare percorsi di inserimento e riabilitazione. Santa Maria Maggiore, nonostante lo sforzo degli operatori e delle direzione, va considerata un’emergenza sociale di questa città e come tale va immediatamente affrontata e risolta”. Lo sottolinea, in una nota, il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni in relazione all’accordo fra Commissario delegato al Piano carceri e la Regione Veneto per la costruzione di un nuovo carcere a Venezia sottoscritto oggi a Roma. “Il Comune di Venezia è stato interpellato dal Commissario per avere la disponibilità di costruire un nuovo carcere e noi l’abbiamo ritenuta una necessità impellente - sottolinea Orsoni. Quanto al sito la localizzazione è competenza del Ministero poiché questa deve rispondere correttamente alla funzione del servizio, in relazione all’ubicazione dei servizi giudiziari, ed alla sua accessibilità. Fra le varie ipotesi prospettate, il Ministero ha manifestato la sua preferenza per il sito di Campalto poiché corrisponde a questi parametri meglio di qualsiasi altro ed è tra essi l’unico già di proprietà demaniale. Tale decisione è stata condivisa dalla Regione Veneto. Venezia: protestano Pd e Pdl, tutti contro l’ubicazione del nuovo carcere Il Gazzettino, 28 dicembre 2010 Il carcere si fa eccome, e si fa a Campalto, proprio a pochi passi dal centro del quartiere e in riva ad uno dei posti più tutelati al mondo, la laguna di Venezia. Adesso c’è la corsa allo scaricabarile, non si capisce più chi abbia “premuto il bottone” per scegliere quella località. Franco Ionta, il commissario delegato per il Piano carceri nazionale, e Marino Zorzato, il vicepresidente della Regione, hanno firmato ieri l’intesa istituzionale: delle 11 carceri previste in tutta Italia (per 9150 posti), nel Veneto ne sorgeranno due, uno a Vicenza per 200 detenuti, e uno a Campalto per 450 persone, negli oltre 9 ettari a disposizione della Difesa, attualmente usati soprattutto come deposito di vecchi mezzi militari in via Orlanda. Già nei prossimi mesi sarà pronto il bando di gara, il nuovo carcere costerà 40,5 milioni di euro. La scorsa settimana, dopo l’interrogazione del consigliere Pdl, Renato Boraso, il suo collega Saverio Centenaro e Gabriele Scaramuzza del Pd avevano bocciato nettamente l’idea di un carcere a Campalto. L’assessore all’Urbanistica, Ezio Micelli, aveva risposto che si trattava solo di un’ipotesi progettuale. Ieri si è detto sconcertato per la “drastica accelerazione effettuata dal commissario. Quando avevo avuto notizia delle esigenze del Governo ho subito messo a disposizione dell’ufficio del sindaco il mio staff di tecnici, e in prima battuta l’ipotesi di Campalto era sembrata la più credibile, ma era solo l’inizio del percorso. Penso che scelte di questa natura debbano essere fatte in altro modo”. Le reazioni ieri sono state pressoché unanimi: tutti comprendono lo stato di estremo disagio in cui sono costretti a sopravvivere i detenuti a Santa Maria Maggiore, stipati come sardine in pochi metri cubi, ma quasi nessuno si è espresso a favore della sistemazione a Campalto. Il sindaco Giorgio Orsoni non ha fatto i salti di gioia, ma ha detto che la scelta del sito “è di competenza del Ministero, poiché deve rispondere correttamente alla funzione del servizio ed alla sua accessibilità. Fra le varie ipotesi prospettate, il Ministero ha manifestato la sua preferenza per il sito di Campalto poiché corrisponde a questi parametri meglio di qualsiasi altro ed è l’unico già di proprietà demaniale. Tale decisione è stata condivisa dalla Regione Veneto”. L’assessore regionale Renato Chisso, però, l’ha definita “una scelta sciagurata” e ha detto che è tutta del Comune: “La Regione ha solo potuto prendere atto delle indicazioni urbanistiche fatte dallo stesso Comune”. Per Chisso, che per Campalto vede il rischio del ritorno ad un’oscura periferia, le alternative ci sono, “per esempio Forte Pepe al Montiron”. Il presidente della Municipalità di Favaro è caduto dalle nuvole: “La mia Municipalità non è mai stata investita della questione - ha detto Ezio Ordigoni - e ritengo che ogni eventuale scelta debba essere discussa e approfondita con i cittadini”. La scelta, però, non è più eventuale. Ragusa: convenzione “a tempo” per garantire l’assistenza infermieristica ai detenuti La Sicilia, 28 dicembre 2010 Il direttore generale dell’Asp di Ragusa, Ettore Gilotta, alla fine ha firmato la convenzione per l’assistenza infermieristica ai detenuti che scadeva il prossimo 31 dicembre. Ne beneficeranno, dunque, le carceri di Modica, Ragusa e Siracusa giacché sono gli infermieri dell’azienda ragusana a svolgere questo servizio anche nella struttura di Cavadonna. La convenzione, comunque, è a tempo determinato. La firma di Gilotta riguarda un semestre e, quindi, scadrà il prossimo mese di giugno.Sono dieci, complessivamente, gli infermieri che svolgono questo servizio. Molto probabilmente il manager dell’Asp Ragusa ha voluto concedere un periodo di tempo utile alla direzione delle tre carceri per organizzare la nuova assistenza con professionalità esterne e, dunque, nuove. Da circa ventitre anni l’assistenza, tramite convenzioni a termine, è stata assicurata dall’Ausl 7, oggi Asp Ragusa. Gilotta aveva precedentemente informato la direttrice degli istituti di Modica e Ragusa, Giovanna Maltese, che quest’anno, sulla scorta delle nuove normative, la convenzione sarebbe venuta meno. Probabilmente il senso di responsabilità delle parti ha indotto a far si che ci possa essere un lasso di tempo coperto affinché il servizio possa essere, altrimenti, garantito e coperto. Il monte ore concesso agli infermieri durante l’arco di un anno è stato irrilevante, basti pensare che, complessivamente, era esaurito in appena due mesi. È chiaro che il cambio genererà qualche problema di sinergia tra medici e nuovi infermieri ed anche la praticità e l’esperienza acquisita per i primi tempi causerà difficoltà con le nuove unità che opereranno. Milano: detenuti di S. Vittore donano 100 collane e rosari per il restauro del Duomo Ansa, 28 dicembre 2010 Non è il miracolo “laico” e fiabesco del Natale di Dickens, ma è un miracolo di fede e di speranza e anche di dignità ritrovata. Tra i primi a rispondere all’appello fatto alle istituzioni e ai milanesi dell’Arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi sulla necessità di sostenere economicamente la complessa e travagliata opera di restauro del Duomo, sono stati detenuti del carcere di San Vittore. Sei carcerati - tutti sudamericani reclusi al VI braccio - hanno voluto donare 100 collane, 100 rosari fatti con le loro mani dopo un corso di oreficeria, alla Madunina. Il ricavato della vendita delle opere andrà alla Veneranda Fabbrica del Duomo e sarà destinato al restauro della Grande Guglia che sorregge appunto la statua della Vergine. I sei detenuti hanno seguito in carcere un corso per orafi, tenuto da Rosalba Riva, una volontaria di 74 anni che ha avuto l’idea delle collane da donare al Duomo. I sei carcerati hanno ascoltato nello scorso ottobre l’appello del cardinal Tettamanzi e hanno risposto, fabbricando le collane per il progetto restauro. I sei ragazzi - spiega Rosalba - mi hanno detto “noi siamo milanesi temporaneamente, siamo extracomunitari e saremo usciti di carcere, sicuramente rimpatriati, ma vogliamo dare queste nostre creazioni al cardinale per il restauro del Duomo. Erano in ansia, eravamo in ansia perché non sapevamo se il cardinale avrebbe accettato. Ma oggi siamo qui a presentare queste collane e siamo felici per quello che abbiamo fatto”. “Il mio timore di bussare a questa porta - spiega Rosalba - è che avrei portato qui nella casa di Dio, nella Cattedrale di Milano, opere fatte in carcere. Ma il cardinale nelle sue visite a San Vittore, l’ultima lo scorso Natale, ha dimostrato di essere una persona che sa entrare non solo nell’animo ma anche nella disperazione degli altri, dei detenuti. Lo abbiamo sentito tutti”. Il timore è poi svanito e l’iniziativa le cento collane, è stata accolta con entusiasmo non solo dalla Curia Ambrosiana ma dallo stesso arciprete della cattedrale. Le 100 collane sono esposte da oggi al Duomo Infopoint di Via Arcivescovado e si possono acquistare con una donazione alla Veneranda Fabbrica per il restauro della Grande Guglia. La donazione minima e di 25 euro, ma si spera nella Milano con “il cuore in mano” come ha ripetuto spesso lo stesso Tettamanzi. Le collane sono state realizzate anche con la consulenza dei maestri orafi milanesi che hanno fornito a Rosalba un manuale per la realizzazione dei gioielli studiato dai detenuti. Il pezzo “made in San Vittore” con il marchio “Collana Corona” (che è stato registrato e tutelerà la produzione del penitenziario a livello internazionale) propone due “C” incatenate, una rosa e una bordeaux. Le spese sono state sostenute interamente da Rosalba e la speranza è che con la donazione si possa avviare un progetto di reinserimento stabile che continui a San Vittore. ‘Ma l’idea di continuare a insegnare a loro, ai detenuti - spiega Rosalba, commuovendosi - è più forte anche della mancanza di fondi. Sono oggetti fatti con la fede, con il cuore. Uno dei ragazzi detenuti mi ha detto ringraziandomi: “Ho ritrovato la dignità che entrando in carcere avevo perso”. Lucca: 56enne ex collaboratore di giustizia; sono stanco e solo… arrestatemi Ansa, 28 dicembre 2010 Si era anche accorto di averci perso la mano. Tanto che, delle ultime tre rapine, gliene era riuscita solo una. E non era proprio il colpo del secolo: 5 mila euro portati via da una piccola banca, minacciando la spaurita cassiera. Ecco che, con l’avvicinarsi del Natale, Paolo Anfossi, 56 anni, un passato da detenuto in odor di ‘ndrangheta, fuori dal carcere ha cominciato a sentirsi solo e smarrito. Così il 22 dicembre, vinto dalla malinconia, ha telefonato a una delle poche persone che stima: paradossalmente, un nemico. Ha composto il numero del capo della squadra mobile di Lucca, Virginio Russo, e si è fatto arrestare. “Aveva bisogno di parlare, era solo - ha raccontato l’investigatore - Ha vissuto in carcere a lungo, per certi versi là si sentiva sicuro, come in famiglia”. E là è voluto tornare. Al poliziotto, Anfossi ha detto di essere stanco di quella vita, di non voler fare più del male e di volere confessare alcune rapine. Gli investigatori, comunque, vogliono chiarire perché Anfossi si senta più sicuro in carcere. Quali minacce teme fuori? La polizia di Lucca definisce Anfossi “un pericoloso rapinatore seriale” con, alle spalle, accuse come “associazione a delinquere di stampo mafioso, sequestro di persona, estorsione, rapina a mano armata, traffico di stupefacenti”; un uomo vicino “alla ‘ndrangheta del ponente ligure ed ex collaboratore”. Cotanta fedina penale, però, non gli ha impedito di stringere una sorta di amicizia col nemico poliziotto. Anni fa, il capo della mobile e i suoi collaboratori, dopo aver arrestato Anfossi per detenzione illegale di armi, avevano cercato di dargli una mano. Uscito dal carcere, Anfossi aveva infatti trovato una compagna di vita, si era stabilito in Lucchesia e aveva cercato di aprire un negozio. Un tentativo poi naufragato, così come il rapporto di coppia. La scorsa settimana, in prossimità delle festività natalizie, trovandosi solo e lontano da casa, Anfossi deve aver cominciato a coltivare la tentazione di tornare fra gli amici, in carcere. Così ha composto il numero della questura di Lucca, ha chiesto di parlare con il capo della squadra mobile, ha detto di trovarsi a Chiavari e ha confessato alcune rapine, chiedendo in cambio di essere arrestato dal funzionario in persona. I poliziotti che lo hanno raggiunto hanno raccontato che Anfossi li ha abbracciati, confessando loro di sentirsi meno solo tra le mura del carcere che da libero. Poi, ha presentato le credenziali per tornare dietro le sbarre: tre rapine in un mese. Quella da 5 mila euro in una banca di Bientina (Pisa) e due colpi andati a vuoto. Il primo all’agenzia di Chiavari dell’Mps e l’altro fuori del casinò di Nizza: ha aggredito un passante senza riuscire a portargli via niente. Ascoli: concerto per i detenuti, con ballate siciliane e note dall’est Il Resto del Carlino, 28 dicembre 2010 Nel pomeriggio del 27 dicembre l’Orchestrina popolare ha suonato allietando con la sua musica la festa dei detenuti. Sono intervenuti anche il sindaco Castelli, il vicesindaco Silvestri e l’assessore Di Micco. Nella vita si commettono tanti errori ed è giusto pagarne le conseguenze. Se è vero che errare è umano e perseverare è diabolico, è altrettanto vero che anche non farsi carico del dolore di chi soffre rappresenta un atto disumano, specialmente nel periodo natalizio. Proprio per regalare un sorriso a chi sta pagando con la mancata liberta l’alto prezzo degli errori commessi in passato, l’Amministrazione Comunale ha organizzato un concerto dell’Orchestrina Popolare, che si è svolto ieri pomeriggio nel supercarcere di Marino del Tronto. Oltre sessanta sono stati i detenuti comuni, di tutte le età e principalmente stranieri, che di spontanea volontà hanno partecipato all’iniziativa. Dalla pizzica salentina alla taranta, dalle musiche dell’est alle ballate siciliane, sono stati tantissimi i ritmi suonati dal gruppo ascolano, magistralmente guidato da Fabio Zeppilli. Lo spettacolo si è protratto per oltre un’ora e la gioia di un pomeriggio trascorso allegramente si leggeva ad occhio nudo sui volti del detenuti, i quali hanno partecipato direttamente al concerto cantando, ballando e battendo le mani. Tra questi, non è voluto mancare neanche Buschi, che più volte si è complimentato con l’Orchestrina. “Siete davvero bravi e ci avete lasciato senza parole - ha ringraziato il detenuto. Speriamo di potervi ascoltare di nuovo in futuro”. Al concerto, oltre alla direttrice del supercarcere, Lucia Di Feliciantonio, hanno partecipato anche il sindaco Guido Castelli, il vicesindaco Gianni Silvestri e l’assessore Massimiliano Di Micco. “Dare consolazione ai detenuti è uno dei precetti che la Chiesa cattolica ci invita ad osservare - ha dichiarato il sindaco - . Per la nostra Amministrazione, venire al carcere del Marino è diventata ormai una consuetudine e riteniamo fondamentale esprimere la nostra solidarietà nei confronti di chi sta pagando le proprie colpe”. Roma: Gazzè e Masini chiudono l’iniziativa “Natale per tutti” Il Velino, 28 dicembre 2010 L’iniziativa “Natale per tutti”, voluta dalla Regione Lazio per chi vive situazioni di disagio come i detenuti, ha previsto un calendario ricco di appuntamenti con una serie di concerti nelle carceri, si chiuderà con l’esibizione di Max Gazzè a Rebibbia ed un famoso Gospel statunitense nella Casa Circondariale di Civitavecchia il prossimo 30 dicembre, mentre il concerto di Marco Masini nel Carcere di Viterbo il 3 gennaio a chiusura del ciclo degli eventi musicali negli Istituti di pena”. È quanto annuncia Giuseppe Cangemi, assessore alla Sicurezza ed agli Enti locali della Regione Lazio, presentando gli ultimi appuntamenti dell’iniziativa nelle carceri voluta fortemente dalla presidente Renata Polverini.”Abbiamo avuto modo di riscontrare che la musica, nella cornice delle diverse attività consentite in un carcere, non ha svolto solo una funzione rilassante e di passatempo, bensì ha costituito anche, nella sua potenzialità espressiva, un utilissimo strumento di comunicazione e di superamento di quelle difficoltà comunicativo - relazionali, spesso riscontrabili in alcune persone detenute. È così, dunque, che la partecipazione dei detenuti ad attività di tipo musicale, generalmente e diffusamente organizzate negli istituti penitenziari, è divenuta una vera e propria opportunità di crescita soggettiva, oltre che una validissima modalità di arricchimento del proprio spessore culturale”, ha concluso Cangemi. Lecce: teatro in carcere; “…la solita storia!”, tratto da Bertold Brecht La Gazzetta del Sud, 28 dicembre 2010 Il 9 dicembre presso il teatro della Casa Circondariale di Lecce, ha avuto luogo la manifestazione conclusiva del laboratorio teatrale “Radames II”. Il progetto, condotto dalla Dott.ssa Alessandra Cocciolo Minuz con la collaborazione della Dott. Rossana Colonna (Teatro dei Veleni) e del Prof. Giovanni Caputo, è stato organizzato dalla Scuola Secondaria di Primo Grado Dante Alighieri di Lecce. Il percorso del laboratorio teatrale ha coinvolto sedici detenuti semiliberi, accompagnandoli alla scoperta del teatro e delle tecniche d’attore ed ha prodotto “...la solita storia!”, tratto da “L’eccezione e la regola” di Bertold Brecht. Questo spettacolo è nato dall’ esigenza di dar voce ai bisogni inespressi e alle riflessioni più intime, proprie di chi vive quella quotidianità intrisa di pregiudizio e falso buonismo. In scena il mercante diviene il simbolo della consuetudine malata, responsabile di agonie e immobilità sociali, ed è forte il rimando alla condizione culturale e sociale contemporanea del nostro paese. L’allestimento, per la regia di Alessandra Cocciolo Minuz, si concentra su quelle attitudini umane valevoli di condanna perché votate a umiliare e vessare il debole ed il diverso ma, le vicissitudini sceniche sono molto lontane dall’ovvietà e dal prevedibile, anzi, le azioni ed i ritmi che ne susseguono, incalzanti e coinvolgenti, catturano lo spettatore in un vortice di emozioni disparate. I corpi degli attori appaiono maestosi nella loro fisicità e la plasticità che traspare, evidenzia un percorso molto ben curato, tanto da sottolineare una presenza scenica al di sopra di ogni più rosea aspettativa. Gli attori italiani, albanesi, senegalesi, ghanesi dialogano nelle lingue madri, accomunati dal desiderio di comunicare a gran voce i dolori, le angosce, ma anche le speranze di questo tempo. Il messaggio, chiaro e diretto, lascia l’amaro in bocca: il pregiudizio smorza, sul nascere, ogni apertura ed ogni scoperta, rendendo sterile quel confronto che rimane alla base del processo di crescita e maturità personale e collettiva. Napoli: domani cardinal Sepe a pranzo nelle carceri di Secondigliano e Poggioreale Adnkronos, 28 dicembre 2010 Domani 29 dicembre il cardinale Crescenzio Sepe arcivescovo di Napoli pranzerà con i detenuti dei due carceri cittadini, di Secondigliano e Poggioreale. Mercoledì alle ore 13 Sepe pranzerà all’ospedale psichiatrico giudiziario di Secondigliano con i pazienti detenuti. Il giorno dopo, alle 9.30 l’arcivescovo di Napoli celebrerà la Santa Messa nella cappella del carcere di Poggioreale e porterà il proprio augurio di speranza ai carcerati, la polizia penitenziaria e ai dirigenti del carcere. Alle ore 13 il cardinale Sepe nel palazzo arcivescovile riceverà per il tradizionale pranzo di fine anno, i poveri di Napoli. Noto (Sr): giornata a favore dei figli dei detenuti in occasione delle festività natalizie Comunicato stampa, 28 dicembre 2010 Si comunica che l’iniziativa a favore dei figli minori dei detenuti voluta dall’Amministrazione Penitenziaria in occasione delle festività natalizie ha avuto grande seguito ed ha visto il coinvolgimento degli operatori dell’Amministrazione Penitenziaria della Casa Reclusione di Noto. In particolare si sono distinti per essersi adoperati alla riuscita della iniziativa il Sig. Peppino Vaccarella Collaboratore Amministrativo e gli Assistenti Capo del Corpo di Polizia Penitenziaria Toro Corrada, Masuzzo Concetta e Gambuzza Francesco. Alla iniziativa hanno dato la loro adesione la Banca di Credito Cooperativa di Pachino, le Ditte: Di Leonforte (Noto), Battaglia shopping (Rosolini), Tom & Jerry dei fratelli Caruso (Avola), Giocattoli sorelle Battaglia (Avola), i quali hanno donato giocattoli da destinare ai minori. Le giornate dedicate ai figli minori dei detenuti sono state il 21 ed il 23 dicembre giornata di colloquio dei familiari ai loro ristretti. I giocattoli sono stati consegnati ai bambini all’uscita dal colloquio con il genitore da volontari in veste di Babbo Natale appartenenti all’Associazione “la Società dell’Allegria” di Avola. L’iniziativa di solidarietà si concluderà il 4 gennaio 2011 giornata di colloquio che precede la festività dell’Epifania 2011, nell’occasione saranno presente sempre i volontari dell’Associazione “la Società dell’Allegria” nella veste di giocolieri, trampolieri ed altre attrattive con l’immancabile Befana la quale distribuirà dolci ai bambini presenti. Il Direttore (D.ssa A. Lantieri) Libri: “Il picciotto e il brigatista”; un romanzo da leggere… ma di totale fantasia di Sandro Padula Ristretti Orizzonti, 28 dicembre 2010 Un giorno del mese di dicembre. Ore 22 e 30. Si apre la porta d’ingresso di Rebibbia Penale. Da una tasca prendo il tesserino della semilibertà. Mi meraviglio sempre ogni volta che lo vedo: fa ridere perfino i poliziotti del commissariato quando cercano di fotocopiarlo in occasione di qualche mia licenza. È rosso bordeaux e dalle fotocopiatrici a scala di grigi esce fuori sempre una macchia scura. Non serve a niente fuori dal muro di cinta. Lo consegno e, senza problemi, ricevo la chiave dell’armadietto in cui lascio un piccolo borsello. Con un cazzotto riesco a ficcarcelo dentro. Il resto lo porto con me: un libro, Il picciotto e il brigatista di Giovanna Vizzaccaro e Roberto Gugliotta (Editore Fazi, 220 pp., euro 16,50), un pacchetto di sigarette, nuovo e chiuso altrimenti adesso non lo farebbero passare, e un accendino. Poggio quegli oggetti su di una mensola, attraverso per l’ennesima volta la cornice che funge da metal - detector, torno indietro, riprendo le mie cose, ma non è finita. “Aspetta un attimino”, mi dice un agente della polizia penitenziaria con la faccia rivolta verso il libro. “Va bene, - gli faccio - dato che la conosco da molti anni, aspetto pure un secondino!” Lui sorride, controlla il volume sfogliandone le pagine, me lo riconsegna perché è possibile entrare con un libro (uno solo) e poi esclama: “Questo romanzo è pura fantasia! Tu hai fatto parte delle Br e sai bene quanto fosse improbabile la nascita di una vera amicizia tra un mafioso e un brigatista. Al massimo, un rapporto del genere poteva nascere fra un ex mafioso e un ex brigatista”. Non ho voglia di parlare. In carcere basta una piccola incomprensione verbale e nascono subito dei film più fantasiosi di quelli prodotti dalla Disney! Saluto allora l’agente, m’incammino nel viale che porta alla palazzina dei semiliberi e penso alle parole appena ascoltate. In effetti, stante l’intreccio acclarato fra Prima Repubblica e grandi associazioni criminali, solo qualche brigatista del tutto ingenuo e ignorante avrebbe potuto essere amico di un mafioso in carcere. Sì, questo libro, pur essendo interessante e ben scritto nel dare un’idea dei soprusi subiti dai detenuti nelle carceri, è inattendibile sul piano della verità storica. Come se non bastasse, presenta la solita favoletta delle Br “buone” all’inizio, nei primi anni ‘70, e “cattive” poi. Il brigatista Francesco, arrestato nel 1973 dopo una rapina finita male e divenuto amico in carcere del presunto “picciotto” Vincenzo Gentiluomo, è il personaggio di fantasia che ci racconta gli anni ‘70 con superficialità e autocensure. È una specie di Alice nel paese delle meraviglie. Un tizio che pensa alle rapine come se fossero un giochetto senza possibilità di morti e feriti. Un essere che durante il sequestro Moro dimentica di accennare non solo all’uccisione mafiosa del militante di Democrazia Proletaria Peppino Impastato, avvenuta a Cinisi, in provincia di Palermo, ma pure alle uccisioni dei giovani Lorenzo Jannucci e Fausto Tinelli del centro sociale Leoncavallo di Milano. Un brigatista che sembra non sapere niente rispetto alla richiesta di liberazione di 13 prigionieri in cambio della vita di Aldo Moro. Un megalomane che tra la fine del 1980 e l’inizio del 1981 ritiene possibile la chiusura del carcere speciale dell’Asinara, realmente determinatasi dopo il sequestro brigatista del giudice D’Urso e il parere favorevole del presidente del consiglio Bettino Craxi, addirittura con le sole iniziative di lotta dei detenuti! Un santo più santo di san Francesco, che poi però - negli anni ‘80 - accetta i benefici legislativi dell’abiura per uscire di prigione e farci restare altre persone al suo posto. Forse l’unica cosa vera presente nella trama del romanzo, ma non spiegata bene, è che i servizi segreti, facendo leva sui ridotti affari dei grossi mercati extralegali al tempo della massima diffusione della lotta armata (1977 - 1979) e degli anni immediatamente successivi, cercarono di strumentalizzare la grande criminalità organizzata in funzione antisovversiva. I servizi segreti di quel periodo, ad esempio, offrirono la licenza di uccidere i brigatisti al milanese Francis Turatello (ucciso il 17 agosto 1981 nel carcere di Badu ‘e Carros in Sardegna da una banda rivale). Ciò non fu detto per la prima volta da Gaetano Costa in un’intervista a Sette - Corriere della Sera del 29 maggio 1997, come lascia intendere il romanzo, ma in carcere e dallo stesso Turatello a Curcio, uno dei fondatori delle Br (vedasi “A viso aperto - Intervista di Mario Scialoja a Renato Curcio”, Arnoldo Mondadori Editore, 1993). La licenza di uccidere i brigatisti comunque non andò in porto nel mondo carcerario. L’unica eccezione si verificò all’interno del carcere speciale di Cuneo, il 2 luglio 1981, con l’accoltellamento del brigatista Mario Moretti da parte del camorrista Salvador Farre Figueras. Quest’ultimo voleva uccidere Moretti ma, grazie all’intervento del detenuto Agrippino Costa, non ci riuscì. Dal ‘77 ai primi anni ‘80, i brigatisti nelle carceri speciali non erano degli sprovveduti perché dirigevano i Comitati di Lotta dei prigionieri. Se, ad esempio, qualcuno di loro fosse stato ucciso dalla mafia le cose si sarebbero messe male soprattutto per i boss di Cosa Nostra sottoposti a detenzione come Luciano Leggio, detto Liggio a causa di un errore di trascrizione effettuato da un carabiniere. D’altra parte Leggio non sembrava per niente uno scemo! Lui, morto d’infarto nel 1993, era una persona intelligente. In carcere si comportò sempre in modo gentile ma non gli fu concesso il sacrosanto diritto agli arresti domiciliari per motivi di salute. Nel 1988, quando già aveva 63 anni e soffriva di gravi disturbi cardiocircolatori, raccolse i soldi ricavati dalla vendita dei suoi quadri, esposti attraverso una mostra itinerante a Palermo, Roma, Firenze e Milano, e li destinò alla realizzazione di un centro di emodialisi nel nuovo ospedale di Corleone. Così almeno lo ricorda la memoria orale dei detenuti lungodegenti. Penso e ripenso a queste cose. Finisce il viale ed entro nella palazzina dei semiliberi. All’agente di turno, seduto dietro una scrivania, chiedo se nella mia cella, come ho richiesto ufficialmente da 5 settimane, siano state messe delle lampadine nuove al posto di quelle fulminate. “No - mi risponde - le lampadine laterali non ci sono proprio e non ci saranno per molto tempo. Forse nel magazzino è rimasta una lampadina buona per il soffitto, ma il lavorante deve essere sempre accompagnato da un collega per entrare nelle vostre celle”. Non c’è niente da fare. Nella mia cella ci dovrebbero essere tre lampadine funzionanti e invece se ne accende solo una, laterale, coperta rigidamente da un vetro plastificato, situata dietro il separé del bagno e lontana dalla branda. Forse faccio una bella denuncia a Strasburgo così qui si svegliano! Non riesco a leggere bene Il picciotto e il brigatista. Per fortuna l’ho già letto fuori, nei giorni passati e completamente. Devo solo rileggere le ultime quindici pagine. Un po’ alla volta, con l’aiuto periodico e fiammellante dell’accendino, riesco a completare la lettura ma faccio tardi. Alle 23 è già passata la guardia per chiudere porta blindata e cancelletto di ogni cella e, secondo il mio orologio da polso sistemato sullo sgabello vicino alla branda, siamo arrivati alla mezzanotte. Un’ora e mezza per leggere 15 pagine con 5 epiloghi: il primo da parte dell’inventato brigatista Francesco, il secondo - una bella poesia - dell’ex killer mafioso ed ex “collaboratore di giustizia” attualmente detenuto Gaetano Costa, il terzo - la migliore perla d’intelligenza e sensibilità di questo libro - del vero ergastolano semilibero Vincenzo Andraous, il quarto del presunto “picciotto” Vincenzo Gentiluomo attualmente deceduto (non si capisce se a questo personaggio corrisponda una persona esistita realmente) e il quinto, di nuovo, del messinese Gaetano Costa. Una cosa è certa: il romanzo è basato su diverse storie, più o meno fantasiose, presenti nel saggio “Facci ‘i sola. Le mani della mafia sullo stretto” (Editore Armando Siciliano Editore, 1998, 201 pp., euro 10,50), a sua volta fondato sulle dichiarazioni di Gaetano Costa. Tale saggio è stato scritto da Roberto Gugliotta, lo stesso coautore del romanzo Il picciotto e il brigatista. Fin qui nulla di male. Ognuno è libero di rielaborare delle proprie cose scritte dieci o più anni prima. Peccato però che alcuni episodi vissuti da Gaetano Costa adesso li debba trovare romanzati, sia pur con date diverse e piccole modifiche, come se facessero parte dell’esperienza del brigatista inventato nel romanzo. Gli occhi nel frattempo mi si stanno chiudendo. Spengo le miserabili luci artificiali. La lampada centrale, sul soffitto, è l’unica accendibile dall’esterno della cella ma, come ho detto, non funziona. Chissà se la guardia, in base a quanto stabilisce il regolamento carcerario, mi vedrà nel corso del controllo notturno! Good night! Immigrazione: a Roma 1.500 rifugiati trasformati in invisibili… ci facciamo sentire? L’Unità, 28 dicembre 2010 Profugo è chi scappa dal proprio paese a causa di conflitti armati o di persecuzioni per motivi etnici o religiosi o per appartenenza a determinate nazionalità o gruppi sociali o per le proprie opinioni politiche. A Roma circa 1.500 persone, a cui è stato riconosciuto lo status giuridico di rifugiati,vivono in condizioni di totale degrado. In situazioni abitative precarie, con servizi igienici scarsi o inesistenti, senza elettricità e acqua corrente. Questa è la mappa romana: via Cavaglieri, via Collatina, via dei Villini, Ponte Mammolo, il binario 15 della Stazione Ostiense e altri piccoli gruppi ancora. La situazione di queste persone è drammatica. Alcuni di loro hanno parenti in paesi europei dove i diritti dei profughi sono più tutelati che in Italia (Olanda, Svezia, Norvegia, Svizzera), ma il regolamento di Dublino del 2003 ha disposto la permanenza del rifugiato nel territorio che per primo ha proceduto alla sua identificazione attraverso la rilevazione delle impronte digitali. Queste persone, così, si trovano “prigioniere” di uno Stato (in questo caso l’Italia) che stenta ad attuare qualsiasi politica pubblica a loro sostegno: strutture di seconda accoglienza, progetti di inserimento sociale e ricerca di occupazione, accesso ai servizi. Giovedì 30 dicembre alle 11.00, A Buon Diritto insieme a Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Consiglio Italiano per i Rifugiati, Medici per i Diritti Umani, Migrare, Articolo 21, organizza una conferenza stampa all’ex ambasciata somala di via dei Villini a Roma. In quella struttura, in cui manca tutto, vivono da anni 150 profughi somali. È ora che qualcuno si assuma la responsabilità di quelle vite. Svizzera: nel carcere di Ginevra metà detenuti soffrono di problemi psichici Ansa, 28 dicembre 2010 Nel carcere ginevrino di Champ-Dollon circa il 46% dei detenuti soffre di disturbi psichici. Fra le donne, il dato aumenta al 56%, secondo uno studio effettuato da ricercatori dell’Ospedale universitario di Ginevra (Hug). Questi ultimi sottolineano la necessità di misure mirate e coordinate. Si tratta del primo studio di questo genere effettuato nella più grande prigione preventiva svizzera. I team di Ariel Eytan e Hans Wolff, dei dipartimenti di psichiatria e “medicina comunitaria” dell’Hug, hanno analizzato i dossier di 1.510 detenuti - fra cui 76 donne - che hanno fatto appello all’unità medica del carcere nel 2007. L’età variava fra i 18 e gli 82 anni, con una media di 30. Risultato: il 45,3% degli uomini e il 56,6% delle donne soffriva di disturbi psichici. Alta anche la frequenza di dipendenze, con il 41,2% che consumava alcol, il 35,9% cannabis, il 26,6% cocaina e il 17,4% eroina. Le cifre confermano i risultati di altri studi internazionali. Nei paesi europei, il tasso varia dal 27 al 78%. Gli autori dello studio suggeriscono interventi mirati. Misure dovrebbero anche essere prese contro violenze e abusi sessuali, di cui sono vittime il 70% dei detenuti. Problema da non sottovalutare è infine l’insonnia, spesso associata ad un cattivo stato di salute mentale. Israele: negata assistenza legale a palestinesi arrestati per reati contro sicurezza Stato Ansa, 28 dicembre 2010 Alla maggior parte dei palestinesi arrestati dallo Shin Bet (il servizio segreto di sicurezza interna israeliano) per presunti reati contro la sicurezza dello stato è negato l’accesso ai legali nella fase degli interrogatori per un periodo prolungato che può andare da una minimo di tre settimane a un massimo di tre mesi, secondo il rapporto di una Ong israeliana. Stando al Comitato pubblico israeliano contro le torture il 70-90% dei circa 12 mila palestinesi arrestati tra il 2000 e il 2007 non ha avuto accesso a un legale per diverse settimane, nel corso delle quali inoltre i detenuti sono stati sottoposti a forme di interrogatorio vietate dal diritto internazionale e da quello israeliano. I dati relativi agli anni successivi indicano che questa situazione non è mutata, secondo gli autori del rapporto. Il Comitato afferma che la privazione di assistenza legale - diritto fondamentale riconosciuto anche dalle leggi israeliane - è divenuta la norma piuttosto che l’eccezione. Lo Shin Bet, in un comunicato, ha negato che il temporaneo isolamento dei detenuti da ogni contatto con un legale intenda coprire asseriti abusi nel corso degli interrogatori. A suo dire si tratta di una misura, peraltro avallata dai tribunali, che è applicata solo nel caso di persone sospettate di terrorismo o di spionaggio. Iran: caso Sakineh; i 2 giornalisti tedeschi arrestati hanno potuto incontrare i familiari Adnkronos, 28 dicembre 2010 Le autorità giudiziarie iraniane hanno autorizzato l’incontro fra il giornalista e il fotografo tedeschi del Bild am Sonntag arrestati lo scorso 10 ottobre a Tabriz e i loro familiari, incontro che è avvenuto oggi nella cittadina nordoccidentale, secondo quanto rende noto Press Tv. A sollecitare l’autorizzazione alla visita dei parenti, arrivati per Natale a Teheran, era stato il ministro degli esteri tedesco, Guido Westerwelle e quindi la sua controparte iraniana, Ali Akbar Salehi, che ha chiesto alle autorità giudiziarie di consentire l’incontro per ragioni umanitarie, come precisa l’agenzia di stampa iraniana Meher. L’ambasciatore iraniano a Berlino era stato convocato al ministero degli esteri per fornire notizie sui due detenuti. Lo scorso ottobre, il portavoce della magistratura iraniana, Gholam - Hosein Mosheni - Ejei, aveva reso noto l’arresto dei due, in seguito alla loro intervista del figlio di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna condannata a morte il cui caso ha sollevato forti critiche in tutto il mondo. Erano stati arrestati per l’intervista al figlio di Sakineh Sakineh, i giornalisti tedeschi incontrano i parenti. Hanno riabbracciato le loro famiglie il giornalista e il fotografo tedeschi del Bild am Sonntag, arrestati dopo l’intervista al figlio di Sakineh, la donna condannata a morte e la cui vicenda aveva fatto il giro del mondo. I due cronisti, detenuti in Iran dallo scorso 10 ottobre, hanno incontrato i loro familiari questa mattina a Tabriz, cittadina nel nordovest dell’Iran. Le autorità giudiziarie locali hanno dato soltanto oggi l’autorizzazione ai familiari dei due arrestati di poterli vedere. Sono stati, in particolare, il ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle e il suo omologo iraniano Ali Akhbar Salehi a sollecitare le autorità iraniane perché l’incontro avvenisse. Il governo tedesco, nei giorni scorsi, aveva avuto notizie sugli arrestati e sulle loro condizioni tramite l’ambasciatore iraniano a Berlino, più volte convocato dal ministero degli Esteri. Mauritania: detenuto al-qaeda condannato a morte si sposa “a distanza” Aki, 28 dicembre 2010 Il suo ultimo desiderio era sposarsi e così il terrorista salafita Mohammed Ould Chabarno, condannato in Mauritania all’ergastolo e alla pena di morte, è convolato a nozze con Maria, una giovane originaria della provincia di Abu Telmit, nel deserto mauritano. L’uomo, in carcere dal 2009 per l’omicidio di quattro francesi, è stato condannato da una corte di Nouakchott e si è sposato senza poter partecipare di persona alla cerimonia. Il rito è stato celebrato con grande discrezione e un ingente dispiegamento di forze nel villaggio della sposa, che in passato sarebbe già convolata a nozze con un esponente del salafismo jihadista. Dopo un primo rifiuto da parte della famiglia della sposa, si legge sul sito dell’agenzia locale indipendente Al-Akhbar, Chabarno, che è accusato di far parte dell’organizzazione di al - Qaeda ed è in attesa dell’esecuzione della sentenza per fucilazione, è riuscito a unirsi in matrimonio alla ragazza. Ad aiutare i due novelli sposi è stato uno dei fratelli della giovane, che, dal canto suo, non si è mai opposta all’offerta di matrimonio del salafita. La coppia, nonché l’avvocato del terrorista, non perdono infatti la speranza nella scarcerazione di Chabarno, auspicando un imminente accordo di scambio di prigionieri tra al - Qaeda e le autorità di Nouakchott, come sarebbe già avvenuto in passato. Grande riserbo è stato mantenuto sull’ammontare della dote che, secondo alcune indiscrezioni trapelate da ambienti familiari e riportate dalla stampa locale, ammonterebbe a circa 200 dollari. Maria, in passato sposata con l’ex detenuto Al-Ghazali, dal quale ha avuto un figlio, non è la prima donna a unirsi in matrimonio con elementi di al - Qaeda in carcere. Tra questi ultimi, infatti, si legge su Al-Akhbar, sono molto diffuse le nozze durante il periodo di detenzione. Brasile: Lula annuncia; sull’estradizione di Cesare Battisti deciderò questa settimana Ansa, 28 dicembre 2010 “Dovrò prendere questa decisione su Battisti questa settimana”. Lo ha dichiarato all’Ansa il presidente uscente brasiliano, Luiz Inacio Lula da Silva, durante la conferenza stampa conclusiva del suo secondo e ultimo mandato ai corrispondenti a Brasilia. Lula ha promesso di decidere sul caso Cesare Battisti prima del primo gennaio 2011 per non lasciare l’incombenza alla presidente eletta Dilma Rousseff. Il “presidente operaio” non si è mostrato molto disposto a parlare dell’ex terrorista, in prigione nel penitenziario della Papuda, a Brasilia, dal 2007. Ma ha risposto cordialmente, anche se brevemente, alle domande dell’Ansa rivoltegli durante una prima colazione con i corrispondenti al palazzo presidenziale del Planalto. “Non ho mai detto quale fosse il mio parere - ha affermato Lula che ha conversato per più di un’ora con i giornalisti. Inviterò il compagno Luis Inacio (l’avvocato generale dello stato, Luis Inacio Lucena Adams ndr) ad esprimersi e mi adeguerò al suo parere”. A una domanda dell’Ansa se vedeva il caso dell’ex militante dei Pac (Proletari Armati per il Comunismo) come una questione di sovranità brasiliana, Lula ha risposto: “No, non è un problema di sovranità ma è una questione giuridica. Quando l’avvocatura mi darà il suo parere allora vedrete cosa deciderò”. In realtà nell’infuriare delle polemiche in Italia all’inizio del 2009, dopo che l’asilo di Battisti era stato accettato dall’allora ministro della giustizia Tarso Genro, Lula aveva risposto alla lettera del presidente Giorgio Napolitano dicendo pubblicamente che il caso aveva a che vedere anche con la sovranità del Brasile. Poi, nel novembre successivo, vi era stata la sentenza del Supremo Tribunale Federale (Stf) che aveva capovolto il parere di Genro concedendo l’estradizione in Italia di Battisti. Ma il Stf aveva condizionato il tutto alla decisione finale del presidente della repubblica. Lula ha aspettato più di un anno per decidere e la sua delibera è attesa in extremis, dal momento che l’ex sindacalista metallurgico uscirà di scena venerdì 31 dicembre. Il comitato internazionale favorevole alla scarcerazione di Battisti si aspettava che l’ex terrorista fosse liberato per il suo 46° compleanno, il 18 dicembre, o per Natale. Ma Lula non ha deciso così e lascia ancora in forse se concederà o no l’estradizione in Italia di Battisti. Martedì scorso Lula si era riunito una prima volta con l’avvocato generale dello stato per ottenere il parere definitivo dell’avvocatura sul caso. Ma alla fine della riunione avrebbe chiesto ad Adams che alcuni aspetti giuridici fossero presentati in forma più chiara. “Il presidente ha bisogno di avere una maggior sicurezza su alcuni aspetti giuridici per evitare che vi possano essere al riguardo pareri diversi”, ha spiegato il suo capo di Gabinetto Gilberto Carvalho. Adams dovrà quindi ritornare questa settimana da Lula con il suo parere perfezionato. Cina: 55° compleanno in carcere per il premio Nobel per la pace Liu Xiaobo Agi, 28 dicembre 2010 Compleanno in carcere per il premio Nobel per la pace Liu Xiaobo. Il dissidente cinese, detenuto a Xinzhou, nel nord del Paese, dove sta scontando una condanna a 11 anni, compie 55 anni. Il suo legale ha riferito che le autorità gli hanno negato il permesso di incontrarlo in prigione.