Giustizia: la legge “svuota-carceri” non funziona, molti detenuti rinunciano a usufruirne www.agenziami.it, 27 dicembre 2010 Il provvedimento “svuota carceri” immaginato dal guardasigilli Angelino Alfano non funziona. Entrato in vigore il 16 dicembre vede più rinunce da parte dei detenuti che adesioni. “Secondo i detenuti vi sono troppi rischi di ritornare in carcere e scontare una pena ancora più grave di quella che viene trasformata in detenzione domiciliare”, ha spiegato Maria Grazia Caligaris, dell’associazione Socialismo Diritti Riforme. Storia di un ministro che non sa affrontare il problema carceri. Anche per l’attuale esecutivo il problema è sempre lo stesso. Ridurre la popolazione carceraria per tentare di salvaguardare la dignità dei detenuti e quindi del paese stesso a fronte dell’impossibilità di un investimento significativo nella nuova edilizia e nelle politiche di inclusione sociale. Solo che per Angelino Alfano, attuale guardasigilli e fedelissimo del premier, la parola amnistia, come la parola indulto, è proibitiva. Sarà l’indispensabilità della Lega per l’attuale risicata maggioranza, sarà l’aver relegato il concetto di sicurezza al solo ordine pubblico, ma Alfano più di altri vive poca agibilità nel rendere sopportabile la vita dei detenuti. Questo a tal punto che l’ultima iniziativa volta a sfoltire la popolazione detenuta quasi non ha avuto esito. Soprannominato “svuota carceri” il provvedimento del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, divenuto legge 199 e quindi operativo dal 16 dicembre scorso non ha sortito alcun effetto in Sardegna. Nella Casa Circondariale di Buoncammino, si registrano le rinunce dei detenuti ad usufruirne. “Secondo i detenuti vi sono troppi rischi di ritornare in carcere e scontare una pena ancora più grave di quella che viene trasformata in detenzione domiciliare”, ha spiegato Maria Grazia Caligaris, dell’associazione Socialismo Diritti Riforme. “Nella Casa Circondariale solo una minima percentuale, inoltre, potrà utilizzare la nuova legge. Alcune donne e finora pochi uomini. Innanzitutto - precisa Caligaris - c’è un problema di individuazione del domicilio. Molti dei detenuti non dispongono di un’abitazione o perché sono extracomunitari senza permesso di soggiorno provenienti da altre località oppure perché tossicodipendenti e/o ammalati senza famiglia. Alcuni vivevano in stanze in affitto e dopo l’arresto sono stati costretti a lasciarle. Altri, in assenza di strutture pubbliche disposte ad ospitarli, non trovano dimora per le difficili condizioni economiche delle famiglie. Vi sono inoltre altri due aspetti che si incrociano. Il primo è che nel caso di evasione dai domiciliari, avendo usufruito del beneficio della legge, si rischia una pena da uno a cinque anni. Il secondo riguarda la valutazione della violazione dagli arresti domiciliari reato che il più delle volte si esaurisce con il patteggiamento. Insomma i numeri reali rispetto all’atteso svuotamento sono molto deludenti come del resto segnalato da più parti”. Veneto: intesa Regione-Dap; nuovo carcere a Venezia e ampliamento a Vicenza Agi, 27 dicembre 2010 Un nuovo carcere per 450 detenuti sarà realizzato a Venezia, mentre a Vicenza sarà costruito un padiglione detentivo per una capienza di 200 posti: è quanto prevede l'intesa siglata oggi dal Commissario delegato per il Piano carceri, Franco Ionta, e il vicepresidente della Regione Veneto, Marino Zorzato. Le strutture saranno edificate in tempi rapidi secondo le disposizioni urgenti per la realizzazione di istituti penitenziari stabilite per il Piano carceri. Il nuovo carcere di Venezia, che costerà circa 40,5 milioni di euro, sorgerà su un'area demaniale di oltre 9 ettari, in località Campalto, che attualmente risulta in uso alla Difesa come spazio adibito a stivaggio e deposito. Il sito, individuato dalla Regione Veneto d'intesa con il Comune di Venezia dopo un'attenta indagine sul territorio, appare conforme dal punto di vista geologico e adatto anche dal punto di vista infrastrutturale, vicino all'uscita autostradale, funzionale alla traduzione dei detenuti e all'accesso di parenti, legali e personale giudiziario. Il padiglione che amplierà l'attuale struttura di Vicenza, invece, avrà un costo di circa 11 milioni di euro e insisterà su un'area di 3.900 metri quadrati. In Veneto sono presenti 10 istituti penitenziari dove vivono oltre 3.300 detenuti (dati del Dap aggiornati al 30 novembre): "il sovraffollamento - ha commentato il Commissario delegato per il Piano carceri, Franco Ionta - determina condizioni di vita che non rispettano la dignità dei detenuti e non permettono di avviare tutte le attività di riabilitazione fondamentali per il reinserimento di queste persone. La nuova struttura di Venezia e il nuovo padiglione di Vicenza, che assicureranno 650 nuovi posti detentivi al sistema penitenziario veneto, sono la necessaria risposta a questa emergenza. Ma le opere di edilizia carceraria sono solo un tassello di un Piano, che prevede anche misure deflattive alla carcerazione e l'assunzione di agenti di polizia penitenziaria, predisposto dal Governo con l'obiettivo di operare una transizione dall'emergenza cronica alla stabilizzazione del sistema penitenziario". Ionta si è detto "soddisfatto del rapporto di collaborazione instaurato con la Regione Veneto" e ha sottolineato che il Piano carceri "procede nei tempi prefissati. Nei primi mesi dell'anno sarà pronto il bando di gara concorrenziale per la realizzazione delle opere". La funzione del carcere, ha commentato il vicepresidente veneto Zorzato, "non è o non dovrebbe essere solo detentiva, ma tendenzialmente rieducativa e in questi termini assume un ruolo da caposaldo avanzato sul piano del reinserimento dei detenuti e, a cascata, della tutela della sicurezza sociale. L'intesa firmata oggi ribadisce l'attenzione della Giunta Regionale nei confronti dei detenuti, concretizzata attraverso specifiche azioni realizzate in questi anni all'interno delle carceri venete in accordo con il ministero della Giustizia. Avere strutture adeguate e dignitose per i detenuti non puo' quindi che rafforzare la finalità rieducativa della pena e contribuire in modo più efficace anche alla sicurezza della società". Genova: continuano le indagini sul suicidio in carcere di Marco Fiori La Gazzetta del Lunedì, 27 dicembre 2010 Straziante missione nel carcere di Pontedecimo del padre del giovane detenuto suicida. Alle 9 di stamane Giovanni Fiori, il papà di Marco, busserà al portone dell’istituto di via Coni Zugna per riavere abiti e altri oggetti personali che appartenevano al figlio, ma soprattutto per farsi restituire il diario personale, pare la seconda agenda del figlio. Fra quelle pagine potrebbero esserci i motivi per cui il ventiquattrenne si è tolto la vita impiccandosi con le lenzuola. Un suicidio più che annunciato visto che il giovane aveva già per due volte tentato di ammazzarsi in cella. La prima volta con una bomboletta del gas e un sacchetto chiuso intorno al collo, la seconda tagliandosi la gola con una lametta poi ingoiata. Per questo Marco era stato trasferito nel “reparto protetti”. Rinchiuso però in cella e a rischio suicidio, il maresciallo dei carabinieri Fabrizio Bruzzone, che infatti aveva a sua volta cercato di ammazzarsi ed era stato salvato proprio da Marco. “Purtroppo poi il carabiniere non è riuscito a salvare mio figlio - sottolinea amaro Giovanni Fiori - adesso mi chiedo e chiedo ai magistrati se è normale lasciare nella stessa cella due detenuti che hanno manifestato entrambi la voglia di uccidersi? Che conforto e forza potevano trovare nel compagno di cella se tutti e due volevano uccidersi. Un errore o una leggerezza davvero incredibile...... Il diario di Marco avrebbe potuto essere ritirato da un altro familiare o dall’avvocato Carlo Contu, il legale della famiglia Fiori. Il padre però non ha voluto delegare questo atto. Voglio esserci per vedere in faccia la direttrice del carcere chiarisce con durezza. “Credo che l’amministrazione penitenziaria non abbia fatto tutto il possibile per salvare mio figlio”. L’uomo accusa anche i due spacciatori che tormentavano Marco e l’avrebbero spinto alla rapina che a maggio l’aveva fatto finire in galera. “Pretendevano da mio figlio i soldi della droga per cui era stato arrestato alcuni mesi prima. I carabinieri conoscono i nomi di quei pusher, spero riescano ad arrestarli per il male che hanno fatto a Marco”. Interrogato il compagno di cella È l’ultima persona con la quale Marco Fiori, 24 anni, ha trascorso del tempo. È l’uomo che lo stesso Fiori, 36 ore prima di togliersi la vita in carcere aveva salvato dal suicidio. Per questo, nell’ambito dell’inchiesta per istigazione al suicidio condotta, per ora a carico di ignoti, dal pubblico ministero Alberto Lari, venerdì scorso gli uomini del nucleo di polizia giudiziaria della Procura hanno sentito il maresciallo dei carabinieri Fabrizio Bruzzone, 40 anni, il militare che nel primo pomeriggio dell’8 agosto uccise la mogie, Mara Basso, di 38 anni, con sedici coltellate, finendo per sgozzarla. Bruzzone condivideva la cella con Fiori nel carcere di Pontedecimo dove il ragazzo era stato trasferito dopo una travagliata detenzione, iniziata nel maggio scorso, nelle Case Rosse di Marassi. Il maresciallo dieci giorni fa si era messo un sacchetto di plastica in testa e aveva tentato di soffocarsi con il gas contenuto in una bombola utilizzata normalmente per alimentare un fornelletto. Fiori aveva trovato Bruzzone in cella riverso sulla sua cuccetta e aveva chiamato i soccorsi. Gli uomini della polizia penitenziaria ed il personale medico gli avevano salvato la vita. Fiori aveva già tentato di suicidarsi in passato utilizzando lo stesso metodo. Sembra dunque plausibile che i due possano essersi confrontati sulla materia. Nel verbale dell’interrogatorio, che doveva essere effettuato il 23 dicembre e che i medici avevano fatto slittare di un giorno, ci sono probabilmente le risposte che cerca il magistrato. Bruzzone resta per ora una persona informata dei fatti. I suoi legali, Paolo Costa e Sandro Vaccaro, non sono al corrente di una sua iscrizione sul registro degli indagati in relazione con la morte di Fiori. Lucca: Pd; troppi detenuti e pochi agenti, situazione critica nel carcere di San Giorgio Il Tirreno, 27 dicembre 2010 Due senatori del Pd, Manuela Granaiola ed Andrea Marcucci, che il 24 dicembre hanno visitato la Casa circondariale San Giorgio di Lucca, incontrando il direttore Francesco Ruello, gli agenti penitenziari ed i detenuti, hanno denunciato una situazione molto critica della Casa circondariale. “A Lucca ci sono 210 detenuti con 78 agenti penitenziari - hanno sottolineato i due senatori della Repubblica - i limiti ne prevedrebbero invece 99 con 130 agenti di custodia. Il sovraffollamento, la piaga della carcerazione preventiva (il 50 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio) e la carenza degli organici di sorveglianza sono ormai malattie croniche della casa circondariale di Lucca. Per questo vanno incoraggiati gli sforzi della direzione al fine di una maggiore integrazione con le comunità locali”. “Il 16 dicembre è entrata in vigore una legge che consente gli arresti domiciliari per chi ha subito condanne inferiori all’anno”, hanno spiegato i parlamentari, “una situazione che a Lucca registra 40 casi, nella maggior parte extracomunitari senza dimora sicura. Per questo vanno sensibilizzate le associazioni di volontariato del territorio affinché si facciano carico di queste esigenze, trovando soluzioni alternative al carcere e che prevedano reali misure di reinserimento sociale”. La carenza degli organici degli agenti di polizia penitenziaria si riflette, in modo negativo, anche sull’impossibilità di utilizzare alcuni servizi presenti all’interno della struttura carceraria. “È il caso della palestra tuttora chiusa ma anche dell’assenza di squadre interne alla struttura che siano in grado di eseguire lavori di manutenzione ordinaria. C’è poi un altro capitolo dolente relativo al taglio dei fondi statali per gli interventi di ristrutturazione - hanno chiosato Granaiola e Marcucci - che di fatto finora hanno impedito di sistemare l’area adibita agli incontri con i familiari all’interno del San Giorgio”. “Rispetto all’estate scorsa - hanno poi proseguito - registriamo che sono partiti i corsi di alfabetizzazione e di scrittura e che si sono realizzati alcuni appuntamenti, anche con proiezioni cinematografiche, molto seguiti dai detenuti. È chiaro però - hanno aggiunto - che la situazione è insostenibile e che la direzione del carcere va sostenuta con la collaborazione attiva della Prefettura, degli enti locali e del mondo del volontariato, che pure già tanto sta facendo per migliorare la vita all’interno della struttura”. “Per quanto ci riguarda - hanno infine concluso i parlamentari - faremo nuovamente un rapporto dettagliato al ministro Alfano perché siamo convinti che il sovraffolamento cronico vada combattuto con maggiore determinazione e che il carcere di Lucca non sia una struttura idonea per garantire il rispetto dell’articolo 27 della Costituzione ovvero tendere alla rieducazione del condannato”. Como: al Bassone vita dura per i medici, turno di 36 ore a Capodanno La Provincia di Como, 27 dicembre 2010 Il tappo di spumante, per la dottoressa Teresa Cera, salterà tra le mura dell’ambulatorio medico del carcere del Bassone. Un brindisi lungo 36 ore, quante quelle del suo turno di lavoro a cavallo tra 2010 e 2011. Teresa Cera è una dei sei medici in forza nella Casa circondariale comasca: decisamente pochi per garantire una copertura in servizio “acca” ventiquattro e 365 giorni l’anno. Capita così che qualcuno si debba far carico di questa carenza di personale, entrando in servizio alle ore 20 della notte di San Silvestro per far ritorno a casa alle 8 del mattino di due giorni dopo. Ma al Bassone, questa, non è considerata emergenza. Bensì prassi. Al punto che i medici di guardia in carcere, dopo anni di promesse rimaste senza risposta, hanno deciso di mettere sotto l’albero di Natale una minaccia che rischia di mettere in ginocchio il servizio: dimissioni di massa. La lettera dei desideri - destinatario non già Babbo Natale, ma l’azienda ospedaliera Sant’Anna - dei medici che quotidianamente prestano servizio in un ambulatorio umido, dove piove dal soffitto, in cui la temperatura invernale fluttua tra i 13 e i 16 gradi, e che manca di tutto o quasi, inizia proprio da una richiesta di strumenti e strutture più adeguate per un luogo deputato a essere punto di riferimento sanitario per non meno di seicento persone. “Da due anni - spiega Teresa Cera - il decreto Prodi ha fatto passare la sanità interna agli istituti di detenzione dal ministero della Giustizia a quello della Salute. Noi, dal 2008, siamo sotto l’azienda ospedaliera Sant’Anna. A distanza di due anni non abbiamo visto nessuno miglioramento. Non solo: ma da mesi nessuno risponde neppure più alle nostre istanze”. Ma quali sono queste istanze? “Abbiamo chiesto strutture e strumenti più efficienti, ma a distanza di due anni abbiamo avuto il primo telecardiografo, che non è neppure possibile utilizzare al pieno delle sue potenzialità perché non abbiamo il collegamento a internet per poter inviare i dati raccolti alla cardiologia del Sant’Anna”. Detto del discorso strutturale e delle condizioni di un ambulatorio “in cui le norme sono a zero”, non mancano le questioni economiche: “Noi dal 2005 non abbiamo alcun rinnovo contrattuale. Il ministero ci impone di fare formazione, ma nessuno ce la propone. L’ultima volta è stata nel 2008. Il nostro compenso è di 23 euro lorde all’ora che, tra ritenute, tasse, contributi oscilla tra i 13 e i 15 euro all’ora”. Ma l’aspetto economico è importante fino a un certo punto: “Uno dei problemi principali è senz’altro l’esigenza di rinforzi. Attualmente siamo in sei. Un collega è in aspettativa. Uno si è dimesso ai primi di dicembre dopo dieci anni. Un altro, appena assunto, si è dimesso dopo la prima notte trascorsa in ambulatorio perché nessuno l’ha preparato a lavorare in carcere”. Parla del suo lavoro con orgoglio, la dottoressa Cera: “Nel 2003 un collega mi ha proposto di fare questa esperienza lavorativa. Mi ha detto: “è unica, provaci”. Aveva ragione. I contatti umani che crei, l’attività che fai come medico, la crescita professionale sono impagabili. Fai tutto, soprattutto di notte: sei l’unica figura sanitaria di valore che rimane per quasi 600 detenuti. Ti ritrovi a fare lo psicologo, lo psichiatra, il chirurgo e hai contatto con esperienze umane che sono uniche”. Ma l’entusiasmo non cancella i problemi: “Chiediamo al Sant’Anna di intervenire. Di considerarci finalmente medici. Altrimenti saremo costretti a dimetterci. A malincuore”. Teramo: tenta suicidio in carcere la notte di Natale, detenuto salvato da agenti Il Centro, 27 dicembre 2010 Era rinchiuso nella sezione “protetti” del carcere di Castrogno. La scorsa notte, a pochi minuti dalla scoccare della mezzanotte, un detenuto 34enne di origini pugliesi ha tentato di togliersi la vita impiccandosi alle sbarre della finestra della sua cella. Il detenuto aveva annodato le lenzuola del letto, formando un cappio che si è stretto attorno al collo. Ha assicurato l’improvvisata fune alle sbarre e si è lasciato cadere. Ad accorgersi però della manovra è stato uno degli 8 agenti di polizia penitenziaria in servizio (giova ricordare il sottodimensionamento del personale carcerario, che prevede al momento meno di 10 agenti per circa 400 detenuti). È scattato così l’allarme e il giovane è stato salvato. Accompagnato in ospedale per accertamenti, è stato poi trasferito di nuovo in carcere, viste le condizioni non gravi. Secondo quanto denunciato dal segretario territoriale Cisl Federazione Nazionale della Sicurezza, Paolo Chiarini, il detenuto sarebbe recidivo a gesti simili ma la direzione del carcere teramano non ha mai provveduto al suo trasferimento in altra struttura di sicurezza. Il caso si registra a meno di 10 giorni di distanza da un ennesimo suicidio registratosi nelle carceri abruzzesi. Il 18 dicembre scorso, infatti, nel penitenziario di L’Aquila. L’uomo, un detenuto con il regime del 41 - bis, Pietro Salvatore Mollo, calabrese, era stato arrestato per associazione mafiosa e si è tolto la vita con un lenzuolo legato ad una delle inferriate della finestra della cella. Trieste: detenuto pakistano si dà fuoco alle braccia per protesta di Tiziana Carpinelli Il Piccolo, 27 dicembre 2010 Un pakistano ha compiuto un gesto di autolesionismo dandosi fuoco alle braccia, in una cella del carcere del Coroneo. Il fatto è avvenuto nella notte tra giovedì e venerdì scorso. Soccorso dai compagni di cella e dal personale di sorveglianza, il cittadino pakistano è stato ricoverato in infermeria, medicato e visitato da uno psicologo. Ha festeggiato il Natale con le braccia ustionate, fasciate dalle bende. Ventiquattro ore prima aveva spogliato il letto delle lenzuola, preso un accendino e si era dato fuoco, dopo essersi appartato nell’area del servizio igienico della sua cella. Qualcosa nella mente di Mohammed B., pachistano di 41 anni detenuto nel carcere del Coroneo, è entrato in corto circuito. La lontananza dal suo paese d’origine, dalla sua famiglia, dalla sua attività commerciale, alimentata dal senso di impotenza verso un sistema giuridico a lui alieno, hanno esasperato un malessere che da giorni covava. Un disagio resosi già evidente nella dipendenza da alcol sofferta dall’uomo, di fede musulmana ma non praticante, che all’improvviso è esploso con la rabbia della disperazione. Verso le 2 della notte a cavallo tra giovedì e venerdì Mohammed B., residente a Padova, sposato con figli, si è rifugiato nella zona più riservata della cella e si è dato fuoco. Solo la prontezza dei suoi compagni di cella, intervenuti subito per bloccarlo e spegnere le fiamme che frattanto lo avevano avvolto, ha scongiurato il peggio. Allertata dalle grida, una giovane guardia carceraria si è precipitata con altri due uomini della polizia penitenziaria nella stanza e ha prestato un primo soccorso assieme al medico di guardia. Il pachistano, che già nei giorni precedenti aveva dato segnali di instabilità, è stato portato all’infermeria, dove non gli sono stati riscontrati sintomi di intossicazione e dove gli operatori hanno quindi provveduto a trattare gli arti bruciati con pomate e farmaci antidolorifici. Qualche ora dopo l’uomo è stato visitato dallo psicologo in servizio al Coroneo ed è apparso, nonostante tutto, in buone condizioni. Quelli delle feste natalizie del resto sono giorni particolarmente penosi, in carcere, dove ora si teme il rischio - emulazione. Le condizioni dei detenuti appaiono difficili in una struttura in cui dovrebbero essere accolti al massimo 150 carcerati e invece ve ne sono fino a 250, dove il personale penitenziario risulta sottodimensionato e si rilevano fisiologici problemi di tensione sociale legati alla coesistenza di diverse nazionalità ed etnie. “La condotta messa in atto dal detenuto - spiega Enrico Sbriglia, direttore del penitenziario cittadino - è risultata più strumentale che effettivamente tesa a intenti suicidari. Quando un soggetto vuole realmente farla finita, solo un evento fortuito può scongiurare un esito fatale. La persona in questione si trova in una situazione giuridica complessa, che non riesce a decifrare perché non comprende il nostro sistema: sta scontando una condanna definitiva ed è in attesa di giudizio per un altro capo di imputazione. Si sente innocente e, pur essendo uno straniero regolarizzato che nella sua città di residenza, Padova, detiene anche un’attività economica, soffre la lontananza dal paese d’origine, dove certe condotte risultano giustificabili mentre in Italia assumono contorni penalmente rilevanti”. A quanto pare l’uomo sconterebbe pene riconducibili al reato di maltrattamenti familiari, ma si ritiene ingiustamente detenuto in quanto responsabile di azioni ai suoi occhi legittime e in linea con i dettami musulmani. “In carcere - conclude Sbriglia, che ha trascorso la vigilia assieme ai detenuti - si acutizzano problematiche non solo sociali ma anche culturali e religiose. Pensare che certi problemi si possano risolvere qui dentro è impossibile”. Caltagirone (Ct): nuovo padiglione al carcere, tra due anni potrà ospitare 200 detenuti in più La Sicilia, 27 dicembre 2010 Fra le tre carceri siciliane che saranno ampliate con la costruzione di appositi padiglioni, destinati a ospitare 200 detenuti ciascuno, c’è anche quello di Caltagirone (assieme a Trapani e Siracusa). È quanto sancito dall’intesa firmata, a Roma, dal commissario delegato per il piano carceri, Franco Ionta, e dall’assessore regionale alle Autonomie locali e alla Funzione pubblica, Caterina Chinnici, che fa seguito alla comunicazione ricevuta dal sindaco Francesco Pignataro. La costruzione di un nuovo padiglione, che comporterà un investimento di 11 milioni di euro e, secondo le notizie giunte dalla Capitale, avverrà nel giro di due anni, aumenterà di oltre il doppio l’attuale capienza dell’istituto, struttura moderna e funzionale, anche se insufficiente rispetto all’attuale fabbisogno. Una recente indagine della Uil Penitenziari ha attribuito alla casa circondariale di contrada Noce, a Caltagirone, la maglia nera fra le carceri più affollate d’Italia, anche se sulle cifre diffuse dal sindacato la direzione dell’istituto penitenziario è intervenuta con alcune precisazioni da cui emerge un quadro meno sconfortante. “Si tratta indubbiamente di una buona notizia - commenta il sindaco calatino Pignataro. I lavori, di grande utilità per porre fine all’eccessivo affollamento della struttura, potranno consentire anche di far tirare una boccata d’ossigeno al settore edile, con l’impiego di manodopera. Noi, dal canto nostro - aggiunge il primo cittadino - continueremo a darci da fare, in sinergia con il direttore Valerio Pappalardo, per rendere sempre più efficace l’integrazione della struttura carceraria con il nostro territorio attraverso la conferma e/o il potenziamento di attività culturali e socializzanti”. Il carcere di Caltagirone è già al centro di interessanti iniziative, come il centro per il recupero dei detenuti nel fondo Sturzo (in contrada Russa dei Boschi), la casa di accoglienza dei loro familiari realizzata dalla Curia, corsi di ceramica, attività sportive, vari progetti, soprattutto nei settori cinema e serra. Quest’ultimo, rimodulato alla luce di una precedente esperienza, si articola in più fasi: l’avviamento al lavoro di tre detenuti che si occuperanno della cura della serra e della coltivazione a ortaggi degli spazi verdi all’interno del carcere; un corso di formazione per vivaisti con il coinvolgimento di altri 10 detenuti. Il nodo della commercializzazione sarà superato attraverso la ditta aggiudicataria dell’intervento, che si occuperà di piazzare le piantine sul mercato. Gorizia: troppi detenuti, un Natale difficile per il carcere Il Piccolo, 27 dicembre 2010 “Sono appena tornato da una visita al carcere di via Barzellini, e la situazione è sempre più difficile”. Don Alberto De Nadai da anni si occupa delle condizioni dei detenuti della casa circondariale di Gorizia, ed è probabilmente la persona più indicata per tracciare il quadro della situazione alla fine dell’anno 2010. “I detenuti sono tranquilli e per quanto possibile sereni - dice don De Nadai. Ma vivono in condizioni durissime”. Attualmente la struttura carceraria ospita 43 detenuti, di questi 11 sono italiani. Numeri spropositati per un edificio che al massimo avrebbe spazio per una trentina di persone. “Quasi tutto il carcere è inabitabile - dice don De Nadai. La gran parte dei detenuti è stipata al terzo piano, dove le condizioni sono decenti ma è sovraffollato. Pochi sfortunati vivono invece al piano terra, dove c’è un’umidità pazzesca: l’acqua scende lungo i muri”. Il sovraffollamento è uno dei fattori che impediscono alla casa di circondariale di essere anche un luogo di recupero, oltre che di privazione della libertà: “A questo si aggiunge l’incomunicabilità tra gruppi di detenuti, che provengono da molti paesi diversi - dichiara il sacerdote - . In queste condizioni è impossibile mettere in piedi una qualsiasi attività costruttiva”. L’attività del volontariato si limita infatti a rifornire i detenuti di beni di prima necessità: “Adesso mi chiedono da vestire: non perché non ci sia il riscaldamento, ma perché essendo obbligati a restare fermi tutto il giorno sentono comunque freddo”, dice il sacerdote. Per don De Nadai la fede musulmana di molti detenuti non è un ostacolo: “Le questioni di religione rimangono fuori dalle porte del carcere - prosegue - , qui stiamo parlando di problemi basilari di umanità: di persone che si trovano in stato di bisogno e alle quali cerco di dare un aiuto”. Un altro problema è quello delle guardie carcerarie: secondo il racconto di padre De Nadai gli agenti sono troppo pochi. “Non sono mai abbastanza - dice. Sono costretti a turni di lavoro massacrante per coprire le esigenze minime di sicurezza e oltre quello non possono arrivare. Sono persone giovani, spesso padri di famiglia, che vivono in uno stato di continua tensione”. Il sistema carcerario italiano ha tanti problemi, e il carcere di Gorizia li sintetizza tutti in pochi metri quadrati. “C’è chi vuole chiuderlo - conclude il sacerdote, e chi dice che deve rimanere aperto. Quello che so io è che così non si può continuare”. Pescara: i detenuti fanno i pasticceri per i poveri assistiti della Caritas Il Centro, 27 dicembre 2010 Ieri mattina, tra torte e pasticcini sono usciti dalla cucina dell’istituto penitenziario 140 chili di dolci da distribuire ai bisognosi durante le feste natalizie. Il direttore Franco Pettinelli li ha consegnati al direttore della Caritas, don Marco Pagniello, alla presenza del consigliere regionale Nicoletta Verì. Ma per la Caritas non è l’unica iniziativa di questi giorni. Nel centro diurno El Pelè (da Zeferino el Pelè, primo santo di origine rom) solo due giorni fa c’è stata la festa di Natale. Balli, poesie e drammatizzazioni di favole in cui si sono cimentati i 23 frequentatori della struttura ospitata nel Centro pastorale di colle San Donato. Bambini e ragazzi delle scuole elementari e medie che, affidati al centro “El Pelè” (attivo dal 1990), lì trascorrono il proprio tempo una volta usciti da scuola. “Qui da noi i ragazzi mangiano, vengono seguiti dai nostri educatori”, spiega don Marco Pagniello, “studiano e giocano fino alla sera alle 19, quando tornano a casa”. Per loro, e per tutte le famiglie che fanno capo al centro diurno, l’assessore al Sociale del Comune, Carla Panzino nell’ambito delle iniziative “Natale per tutti” ha portato regali in abbigliamento e pacchi viveri rallegrando ulteriormente la festa di circa 200 nuclei familiari. A ringraziarla, ragazzi pescaresi, ma anche africani, albanesi, kosovari, che hanno partecipato alla festa nel segno della intercultura, evitando di affrontare temi religiosi. Un concetto, quello della intercultura, caro alla Caritas che lunedì, negli stessi locali di colle San Donato, ha ospitato 15 associazioni di immigrati. Complessivamente, più di 120 persone. “Con loro”, riferisce don Marco, “c’è stata prima la presentazione della guida della Caritas sui diritti e i doveri dei cittadini stranieri in base alle leggi sull’immigrazione, aggiornate con l’ultimo pacchetto sicurezza, e poi la cena multietnica”. Cena a base dei piatti tipici delle singole comunità, da quella brasiliana alla romena, dalla senegalese all’albanese. Ma in questi giorni le iniziative della Caritas al servizio dei più bisognosi proseguono e, anzi, saranno potenziate grazie anche all’aiuto di privati. È il caso del pranzo di Santo Stefano offerto dalla De Cecco al ristorante Concorde dell’aeroporto. Cosenza: grazie all’Asd Boxe Popolare il pugilato approda nelle carceri Gazzetta del Sud, 27 dicembre 2010 Un progetto educativo lodevole. Lo ha avviato l’Asd Boxe popolare Cosenza, società che ha pensato di far approdare il pugilato all’interno delle carceri. Per ora è stato coinvolto l’Istituto penale minorile di Catanzaro. I luoghi comuni riguardo alla boxe sono stati ampiamente sfatati. Non un sport violento, ma una disciplina attraverso la quale i praticanti possono apprendere regole rigide e, allo stesso tempo, rimanere impegnati sotto molteplici aspetti: mentali, fisici e caratteriali. I giovani dell’Istituto penale minorile sin dai primi giorni sono rimasti entusiasti per l’attività. Per loro si è trattato di una novità assoluta che hanno accolto positivamente, ma soprattutto di un’opportunità unica per tutti coloro i quali vogliono apprendere e misurarsi con una disciplina come il pugilato. Gli ideatori del progetto si sono prefissati il compito di offrire a tutti i partecipanti quegli strumenti necessari per la valorizzazione delle capacità individuali, della stima e della fiducia in sè. Dietro la pratica motoria, c’è molto di più. Non è considerata fine a se stessa, in maniera semplicistica e riduttiva: è un’attività educativa direttamente funzionale alla conquista di una maggiore consapevolezza della propria identità psicofisica. La struttura penitenziaria ha acquistato tutte le attrezzature necessarie allo svolgimento degli allenamenti previsti dal progetto: sacchi, corde, guantoni e caschi. Strumenti necessari per qualsiasi boxeur. I ragazzi coinvolti nelle varie attività stanno iniziando ad acquisire le tecniche di base del pugilato svolgendo l’allenamento con dedizione e grande impegno. Un’esperienza nuova ma allo stesso tempo entusiasmante anche per chi si trova dall’altra parte. È il caso di Gianfranco Tallarico, tecnico dell’Asd Boxe Popolare Cosenza che si sta confrontando con una realtà diversa da quella che può essere una palestra, o un altro luogo che si presta per gli allenamenti. Trovare un punto di comunicazione e di relazione con i ragazzi attraverso questo tipo di sport è fondamentale così come renderli protagonisti e consapevoli delle loro potenzialità. L’immagine che ciascun giovane costruisce di sé, come si percepisce, come si vede, passa attraverso la potente mediazione del corpo. Sapersi migliorare, saper collaborare con i compagni, mettersi alla prova in una strategia di attacco o di difesa, crescere, cambiare. Sono tutti elementi di forza necessari alla costruzione della personalità. Anche quello riguardante l’alimentazione è già diventato motivo di confronto con i ragazzi che chiedono spesso come e cosa fare per dimagrire e sentirsi in forma. All’iniziativa si è interessato anche il presidente del Comitato regionale della Fpi, Vanessa Avolio che, attraverso un messaggio destinato a tutte le società presenti sul territorio regionale, ha inteso rivolgere un plauso alla società di Tallarico. Roma: Colosimo (Pdl); visite nelle carceri dal 27 dicembre al 5 gennaio Il Velino, 27 dicembre 2010 “È con grande piacere che ho accolto la proposta dell’associazione “Gruppo Idee” di organizzare dal 27 dicembre al 5 gennaio, delle visite dei rappresentanti delle Istituzioni all’interno delle carceri del Lazio. Oggi inizieranno le visite e l’iniziativa continuerà per tutto il periodo delle festività natalizie, scelta non casuale, in quanto questi giorni possono rappresentare uno stimolo in più per sensibilizzare la popolazione su questo tema così delicato”. È quanto dichiara Chiara Colosimo, consigliere regionale del Lazio e presidente della Giovane Italia Lazio, che aggiunge: “L’iniziativa, in piena linea con il Natale di solidarietà messo in atto dall’assessore Cangemi e dalla presidente Polverini, mira a sottolineare l’importanza della presenza delle Istituzioni all’interno del carcere, per garantire il rispetto della legalità e far percepire, alle persone sottoposte a misure di sicurezza, l’interesse e la disponibilità al loro recupero sociale. Sono certa, che questo sia solo un primo passo verso una collaborazione più intensa e proficua, che porti alla realizzazione di altre numerose attività di sensibilizzazione in questo campo, e che ha già portato all’approvazione della legge regionale per l’istituzione dell’Icam”. Palermo: Faraone (Pd): il mio Natale tra i detenuti dell’Ipm Malaspina Live Sicilia, 27 dicembre 2010 “L’unico contatto coi ragazzi è stato lo scambio del segno della pace, ma l’intera mattinata all’interno del carcere è stata estremamente emozionante. È un’esperienza che conto di ripetere” Così Davide Faraone sintetizza la sua mattina di Natale, trascorsa tra i corridoi del carcere Malaspina di Palermo. Ventidue, i minori che in questo momento abitano la struttura. L’età media è tra i sedici e i diciassette anni. I ragazzi sono stati coinvolti nella messa di Natale. “Si vedeva che avevano lavorato tanto, che avevano fatto un percorso di preparazione alla funzione religiosa”. Il loro pranzo di Natale è stato decisamente più ricco del solito: lasagne, frittura mista di pesce, un dolce e la Coca Cola. “La sensazione che si avverte è di un rapporto sostanzialmente buono tra le guardie e i minori detenuti nella struttura. I ragazzi all’interno del carcere frequentano regolarmente scuola, poi hanno a disposizione una ludoteca, il campo di calcetto e la sala tv con l’abbonamento a Sky, offerto se non sbaglio dalla Provincia”. “La cosa che più di tutte mi ha colpito - dice - è la quasi totale assenza del mondo del volontariato all’interno della struttura. Due volontari, in tutti, fanno attività coi ragazzi. Per il resto, non c’è nient’altro”. Faraone ha anche raccolto il racconto delle difficoltà della macchina organizzativa nel centro di reclusione: “Le guardie - dice - lamentano la scarsità di personale, mentre una difficoltà seria è legata all’ambito sanitario. Un unico medico, infatti, presta servizio all’interno della struttura per tre ore al giorno e non ha reperibilità. Dunque qualunque cosa succeda ai ragazzi al di fuori di quell’orario, bisogna ricorrere al 118”. Trento: il Consigliere provinciale Mattia Civico visita il nuovo carcere di Spini Il Trentino, 27 dicembre 2010 “Una struttura che certamente garantisce la dignità del detenuto”. È questo il primo commento di Mattia Civico, consigliere provinciale del Pd che ieri ha fatto la sua prima visita di Natale nel carcere di Spini. Una visita per augurare buone feste ma anche per verificare in prima persona come è la nuova realtà. “Ho incontrato i detenuti, il personale carcerario e il direttore che ha seguito il trasloco - ha spiegato - e a quest’ultimo ho proposto alcune riflessioni sul fatto che sia necessario che, nella nuova struttura si pensi a progetti educativi e di recupero diversi. E si pensi anche al futuro di chi, dopo la detenzione, lascia la cella. Un futuro sul quale deve interrogarsi anche la società tutta. E questo anche perché la struttura di Spini e un grande investimento di tutta la società trentina”. Civico ha registrato dei miglioramenti per i detenuti, che riescono a vivere in maniera certamente più decorosa”. Resta aperto il problema della carenza di personale. “È vero che ora è tutto più tecnologico - commenta Civico - ma il ruolo della polizia penitenziaria non è solo di controllo ma anche relazionale e per quello non servono i computer”. Ieri ha visitato il carcere anche il consigliere Pino Morandini. Paliano (Fr): la Consigliera regionale Isabella Rauti in visita al carcere Ansa, 27 dicembre 2010 La Consigliera Isabella Rauti (Pdl), membro dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio, ha aderito all’iniziativa “Nelle carceri per le feste”, indetta dall’associazione Gruppo Idee, e si recherà domani, in visita alla Casa di Reclusione di Paliano, in provincia di Frosinone insieme ai consiglieri Chiara Colosimo e Giancarlo Miele. Nella stessa giornata la Consigliera Rauti effettuerà un sopralluogo presso il comune di Arce (Frosinone) per verificare l’agibilità e l’idoneità di una struttura da destinare alla eventuale realizzazione dell’Istituto di custodia attenuata per madri detenute Icam - che potrebbe essere il secondo Icam del Lazio, dopo quello di Roma, cui sta già lavorando l’Assessorato regionale alle Politiche per la Sicurezza. Con il Carcere di Paliano prosegue la serie di visite conoscitive che negli ultimi sei mesi hanno portato la Consigliera Rauti nelle strutture carcerarie di Verona, Rebibbia, nell’Icam di Milano e nel Centro di Identificazione ed Espulsione - Cie - di Ponte Galeria. Un impegno costante finalizzato alla verifica delle condizioni di vita dei detenuti ed in particolare delle detenute madri e dei loro bambini costretti a vivere in condizioni di estremo disagio psicofisico, in ambienti sovraffollati, con gravissime ripercussioni sul loro sviluppo fisico e mentale e per il concreto avvio di iniziative che restituiscano normalità all’infanzia dei “bambini detenuti” e dignità alla persona. Milano: l’arcivescovo Tettamanzi visita San Vittore; situazione peggiorata rispetto a un anno fa Ansa, 27 dicembre 2010 Ha raccolto l’appello dei detenuti di San Vittore l’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi. E a loro che gli hanno prospettato la drammatica situazione “al limite dell’insopportabile” in cui si trovano, con il sovraffollamento che è ancora più drammatico dell’anno scorso, ha risposto: “farò tutto quanto dipende da me”. È il secondo anno consecutivo in cui il cardinale celebra la Messa natalizia nel carcere di piazza Filangieri dove “le condizioni sono peggiorate”. “È una realtà umana al limite dell’impossibile - ha detto don Alberto, il cappellano - è un carcere strapieno di persone, schiacciate e ammassate le une sulle altre. Persone arrestate anche per poco, per niente: per un profumo ci sono dentro la madre e il figlio. C’è gente che ha rubato il pane o il prosciutto e tanti stranieri per questa ultima legge”. A tutti loro questa mattina Tettamanzi si è rivolto spiegando, tra l’altro, che anche il prigione “deve nascere e crescere il sorriso della solidarietà. Dobbiamo riprendere in modo più autentico e più sereno il rapporto con gli altri, a partire da qui dentro”. Le parole pronunciate dall’arcivescovo durante l’omelia hanno fatto riferimento anche alla grande scritta su un lenzuolo appeso ad una delle pareti della rotonda, lo spazio centrale del carcere dove confluiscono i sei raggi. Scritta che recita: “L’amore del giusto tutto S.O.S.tiene”, una frase con cui i detenuti hanno di nuovo lanciato un allarme e una richiesta di aiuto: “questo cartello ci dice - ha proseguito l’arcivescovo - che i nostri SOS lanciati dal cuore ricevono risposta dall’amore del giusto. L’amore dell’unico grande vero giusto che c’è nella storia e che è Gesù. Ma qui i giusti devono essere tutti”. Un messaggio, questo, dietro il quale si cela il richiamo alla necessità di una risposta anche da parte delle istituzioni e della stessa società civile. Nel corso della Messa il cardinale ha ricordato anche la sua visita nei giorni scorsi all’Icam, la struttura di custodia attenuata in cui sono detenute le madri con i loro figli ancora piccoli: “La mia soddisfazione - ha sottolineato l’alto prelato - è stato essere abbracciato da questi bambini”. Al termine dell’omelia al cardinale è stato anche chiesto di fare da portavoce presso il Pontefice affinché nel 2012, in previsione della visita a Milano per la conferenza della famiglia, si rechi a San Vittore. Dopodiché Tettamanzi ha visitato e portato gli auguri anche ai detenuti del sesto raggio (i cosiddetti “protetti”), a quelli che si trovano nel centro clinico e alle donne in cella nella sezione femminile. Genova: il cardinale Bagnasco celebra messa in carcere; dai detenuti appello per casa accoglienza Ansa, 27 dicembre 2010 Una casa di accoglienza per coloro che escono dal carcere e non hanno una famiglia ad accoglierli: lo hanno chiesto i detenuti della Casa circondariale di Marassi rivolgendo l’appello all’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, che questa mattina ha celebrato la prima Messa di Natale nel carcere genovese. “Non ci faccia cadere nel baratro della disperazione” ha affermato un detenuto nel discorso rivolto al cardinale chiedendogli di farsi portavoce delle loro richieste presso le sedi competenti. “Le chiediamo una casa di accoglienza per quando usciremo perché molti di noi non hanno una casa o una famiglia quando usciranno”. Nell’omelia il card. Bagnasco ha ricordato che “nessuno è solo e abbandonato perché Gesù e venuto per noi, non ci lascia soli e vuole stare con noi”. La vita di tutti, ha proseguito rivolgendosi in particolare ai detenuti, “ha momenti alti e bassi, di felicità e tristezza, di luci e tenebra, ma il Signore non abbandona e non tradisce nessuno, aspetta con pazienza di entrare nella nostra vita”. La direzione dell’istituto ha poi ricordato il problema del sovraffollamento e dell’alto numero di suicidi. Roma: festa in carcere con i volontari per i 18 bambini-detenuti di Rebibbia Ansa, 27 dicembre 2010 I 18 bambini che hanno tra 0 e 3 anni e che attualmente vivono con le madri all'interno del carcere di Rebibbia, nella sezione "nido", hanno festeggiato anche loro il Natale: un Babbo Natale in carne ed ossa ha portato ad ognuno di loro un pacco contenente un gioco, un vestito e dolci vari. E oggi i bambini sono usciti con i volontari dell'Associazione "A Roma Insieme" che, da 17 anni ormai, lavorano per alleggerire il peso del carcere sui piccoli e convincere le istituzioni a ridefinire le leggi che regolano la vita in prigione. Oltre a portare fuori i bambini una volta la settimana - spiega la presidente, Leda Colombini - abbiamo dato il via anche a due laboratori, uno di musicoterapia che si tiene il martedi, l'altro di arteterapia che si svolge il venerdi. Tutto questo è possibile grazie agli aiuti economici di privati mentre il comune di Roma paga il pullman che una volta a settimana, generalmente il sabato, porta i bambini fuori dal carcere per una giornata di gioco e libertà. Tutte queste attività fanno bene non solo ai bambini ma anche alle loro madre - prosegue Colombini - per loro è una boccata di libertà, è l'esterno che entra in carcere. Abbiamo aumentato le nostre iniziative proprio per introdurre elementi di vita normale in un luogo che normale non è. Colombini riferisce che nel carcere romano di Rebibbia i bambini dovrebbero essere al massimo 15 ma generalmente sono una ventina. La punta massima, negli ultimi anni, è stata di 30, quella minima di 12, dopo l'indulto. Al momento i bambini nelle carceri italiane sono una sessantina; generalmente il numero si aggira tra un minimo di 50 e una punta massima di 72. Terre des Hommes, assieme a A Roma, Insieme e Bambini senza sbarre, chiede a gran voce che siano apportate con urgenza alcune modifiche chiave al testo unificato ancora in discussione dalla Commissione Giustizia, perchè davvero si realizzi l'obiettivo, che a parole tutti condividono, che nessun bambino varchi più la soglia di un carcere. Roma: pranzi con i detenuti organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio Apcom, 27 dicembre 2010 Feste di Natale nelle carceri italiane, oltre al tradizionale pranzo per i poveri a santa Maria in trastevere: la comunità di sant’Egidio festeggia così la giornata di domani. Il pranzo di Natale con i poveri - si legge in una nota - è una tradizione della Comunità di Sant’Egidio da quando, nel 1982, un piccolo gruppo di persone povere fu accolto attorno alla tavola della festa nella Basilica di Santa Maria in Trastevere. Erano circa 20 invitati: c’erano alcuni anziani del quartiere, di cui eravamo amici da tempo, che in quel giorno sarebbero rimasti soli, e alcune persone senza fissa dimora conosciute nelle strade di Roma. Da quel primo pranzo del 1982 la tavola si è allargata di anno in anno e da Trastevere ha raggiunto tante parti del mondo, dovunque la Comunità è presente. Un Natale straordinario che nel 2000 ha coinvolto decine di migliaia di persone in 52 paesi diversi: gente che vive nella strada, negli istituti, nelle carceri: tutti quei poveri che la Comunità aiuta durante l’anno e molti altri che si sono aggiunti per la festa. Quest’anno, oltre al tradizionale pranzo di Natale, sei feste e venti pranzi vengono organizzati nelle carceri italiane tra domani il primo dell’anno e coinvolgeranno circa 2.500 detenuti e detenute in 15 Istituti penitenziari di Lazio, Campania, Liguria, Piemonte, Toscana). Don Bosco: la direzione del carcere; grazie per i regali ai figli dei detenuti Il Tirreno, 27 dicembre 2010 In occasione delle imminenti festività natalizie, la direzione della Casa circondariale Don Bosco ha aderito alla proposta pervenuta dagli uffici superiori, di dedicare una particolare attenzione ai figli minori dei detenuti che si recano in istituto a far visita ai propri genitori. Nell’ambito della partecipazione della comunità esterna alla vita detentiva le istituzioni ed alcuni privati hanno prontamente aderito all’invito formulato da questa direzione rendendo possibile la donazione di libri e giocattoli ai detenuti - genitori. L’evento si è concretizzato nella giornata del 21 dicembre, nella chiesa del carcere, con un incontro tra la direzione, le detenute e i detenuti. Desidero pertanto ringraziare personalmente e a nome dei ristretti e di tutti gli operatori penitenziari, coloro che con grande sensibilità e generosità hanno reso possibile la realizzazione di questo momento di elevata valenza trattamentale. Vittorio Cerri (direttore della Casa circondariale di Pisa) Vigevano: detenuto marocchino tenta evasione dal cortile dei “passeggi” Ansa, 27 dicembre 2010 Un concitato Natale di allarme ed emergenza quello vissuto ieri dagli agenti penitenziari in servizio presso la Casa Circondariale di Vigevano (Pv) per un fallito tentativo di evasione. “Durante l’ora d’aria alcuni detenuti, giocando al calcio balilla, hanno fatto si che lo stesso arrivasse nelle prospiciente del muretto del cortile. Raggiunto lo scopo, un detenuto è salito in piedi sul calcetto e un altro è salito sulle spalle di quest’ultimo ed è riuscito a scavalcare il muretto portandosi nell’intercinta, dove al primo punto utile avrebbe potuto allontanarsi dal carcere”. A darne notizia è Angelo Urso, segretario nazionale della Uil Penitenziari, che riferisce anche altri particolari della sventata evasione, posta in essere da un detenuto di origini marocchine, condannato per violenza sessuale e con fine pena febbraio 2014. “L’attenta vigilanza del personale ha vanificato tutti gli stratagemmi posti in essere per distrarre gli agenti. Infatti, dopo aver favorito lo scavalcamento del muro dei passeggi alcuni detenuti hanno creato confusione ed inscenato una falsa discussione. Una volta scattato l’allarme - aggiunge Urso - la polizia penitenziaria ha riportato ordine nei passeggi ed ha riacciuffato il detenuto che cercava il varco buono nell’intercinta. Nonostante il fallimento del suo tentativo di evasione il marocchino non ha esitato ad intraprendere con i poliziotti una colluttazione, dalla quale un paio di agenti hanno riportato ecchimosi ed escoriazioni”. Angelo Urso sottolinea come, nonostante la particolare giornata festiva, la professionalità degli agenti penitenziari abbia evitato un Natale di allarme sociale. “Vista la dinamica delle cose - ragiona il sindacalista della Uil Pa Penitenziari - non si può escludere un tentativo di evasione multipla. Pertanto ritengo doveroso estendere un compiaciuto plauso agli agenti in servizio a Vigevano : per aver evitato che il tentativo di evasione si compisse e per aver impedito un Natale di allarme sul fronte dell’ordine pubblico. Forse i detenuti avevano pensato che a Natale i presidi di sicurezza fossero più sguarniti del solito, ma non avevano fatto i conti con l’attenzione e la professionalità dei nostri colleghi”. Le tante criticità che avviluppano il sistema penitenziario sono al centro di continue polemiche e proteste da parte dei sindacati dei baschi azzurri. “A parte il lieto fine di oggi , ciò che preoccupa - conclude Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari - è la frequenza con la quale questi episodi si ripetono. Forse è il caso che il Ministro Alfano e il Capo del Dap raccolgano gli allarmi dei sindacati e attivino un tavolo di confronto con le rappresentanze dei lavoratori. Contrariamente dovremmo articolare una stagione di proteste su tutto il territorio. In Lombardia abbiamo già programmato, unitariamente, una manifestazione per il 28 gennaio davanti alla Prefettura. A Messina il 23 gennaio i poliziotti penitenziari osserveranno pedissequamente il regolamento penitenziario e le direttive dipartimentali. Ciò potrebbe portare alla paralisi delle attività interne ed impedire la presenza dei detenuti nelle aule di giustizia. Non escludiamo che dopo Messina questa specie di sciopero bianco possa essere adottato anche in altre sedi. D’altro canto - chiosa Sarno - in qualche modo i sordi dovranno pur ascoltare le nostre ragioni.” Chissà se Berlusconi, Alfano, Maroni e Tremonti non abbiano già le orecchie che fischiano. Lecce: Osapp; detenuto tenta di passare droga ai compagni, denunciato per spaccio Ansa, 27 dicembre 2010 La vigilia di Natale, un detenuto del carcere di Lecce è stato sorpreso da un agente di polizia penitenziaria mentre tentava di passare ad altri detenuti, avvolta in un giornale, alcuni grammi di sostanza stupefacente. L’uomo è stato denunciato per spaccio di droga. L’episodio viene reso noto con un comunicato dal vicesegretario generale nazionale dell’Osapp, Domenico Mastrulli, secondo il quale quello che è avvenuto nell’istituto penitenziario è da collegare al momento di grande criticità esistente a livello regionale con circa 4.700 detenuti in dieci strutture penitenziarie, contro le 2.500 regolamentari. A Lecce - sottolinea Mastrulli - ci sono 14.47 detenuti contro i 659 regolamentari e gli agenti di polizia, con le poche forze in servizio sono comunque riusciti a scoprire il passaggio di droga da parte del detenuto che era incaricato di distribuire il vitto. Un analogo episodio si era verificato, sempre nel carcere di Lecce, una settimana fa quando un poliziotto penitenziario ha scoperto un detenuto ristretto nella Sezione di “Alta Sicurezza”, in possesso di quattro grammi di sostanza stupefacente. Firenze: detenuto in permesso compie due rapine Ansa, 27 dicembre 2010 Un detenuto fiorentino di 48 anni aveva ottenuto cinque giorni di permesso premio per buona condotta dal carcere di Sollicciano, permesso che sarebbe scaduto stasera. Ma appena libero ha fatto due rapine e così i carabinieri lo hanno riportato in carcere eseguendo ieri, a Natale, un fermo di polizia giudiziaria del pm Luca Turco. Gli episodi risalgono alla sera tra il 22 e il 23 dicembre. Nel primo, il quarantottenne si sarebbe finto poliziotto insieme ad un amico in via Baracca dove ha bloccato, rapinato dell’auto - una Saab - e poi tramortito con pugni un marocchino il quale si è dovuto far curare al pronto soccorso di Careggi. Nel secondo episodio ha contattato una prostituta nigeriana e dopo aver ottenuto da lei un rapporto sessuale nella cantina del suo condominio, in zona Isolotto, l’ha rapinata di 320 euro mentre la riaccompagnava dove l’aveva incontrata, causando tra l’altro anche un incidente alla Saab rapinata poche ore prima. La prostituta ha avvertito i carabinieri, descrivendo l’aggressore e raccontando bene i particolari dei luoghi dove lui l’aveva condotta, ricordandosi anche i due coinquilini dello stesso palazzo - una donna che rincasava e un’altra che portava fuori il cane - che il detenuto aveva salutato con familiarità. Iran: sette condannati a morte impiccati in un solo giorno, 167 le esecuzioni da inizio anno Ansa, 27 dicembre 2010 Sette uomini sono stati impiccati in un solo giorno in Iran, sei per traffico di droga e uno per violenza sessuale, secondo quanto riferisce oggi la stampa di Teheran. Salgono così a 167 nel 2010 le esecuzioni capitali in Iran, dove la pena di morte è prevista per numerosi reati, quali l’omicidio, la rapina a mano armata, il traffico di droga, lo spionaggio e la violenza sessuale. Ma può essere applicata, anche se raramente avviene, anche per i colpevoli di adulterio e di omosessualità. Le ultime sette impiccagioni sono avvenute ieri. Ad Ahwaz, nel sud - ovest del Paese, sono saliti sul patibolo tre uomini condannati per traffico di stupefacenti e uno per violenza sessuale. Altri due trafficanti sono stati impiccati a Saveh, vicino a Teheran, e uno a Sari, nel nord dell’Iran. Egitto: Everyone; allarme per gli eritrei sequestrati; intervenite o li faranno sparire… di Cinzia Petito Tg Com, 27 dicembre 2010 La vicenda dei profughi sequestrati nel Sinai acquista contorni sempre più intricati. Dell’unico testimone che poteva condurre le autorità egiziane sul luogo del delitto, si sono perse le tracce. Un mese fa, un ragazzo che era stato più volte davanti al frutteto che nasconde le carceri dell’orrore nel deserto, era stato messo in contatto con le autorità egiziane. Da qualche settimana, però, il testimone si è volatilizzato. Nessuna telefonata, nessuna notizia. E nessun intervento da parte delle autorità egiziane. Qual è il senso di questo silenzio? A chiederselo non sono solo le forze diplomatiche europee ed internazionali. La denuncia di questa allarmante stranezza arriva da Roberto Malini, copresidente e fondatore di Everyone, l’organizzazione che opera a livello internazionale per tutelare i diritti umani e civili. Everyone, perseguendo la sua opera di monitoraggio e indagine a tutela delle minoranze in transito e in cerca di asilo, ha raccontato a Tgcom chi sono i protagonisti della tratta umana nel Sinai. E avanza un grido di allarme: “Se non interviene nessuno per liberare i profughi, li faranno sparire”. Avete dati dettagliati sulle condizioni in cui vengono detenuti i rifugiati? Esiste un’organizzazione molto ben strutturata. Non parliamo di beduini che rapiscono in maniera disorganizzata queste persone ma è una rete molto forte che dispone di luoghi di detenzioni adibiti proprio al traffico di esseri umani. Il gruppo di eritrei si trova a Rafah, nel sud della città, vicino a una chiesa commutata in scuola all’interno di un frutteto. Questa green house, così la chiamano, è ovviamente una copertura perché lì sotto esistono alcuni container interrati. Hanno creato delle carceri sottoterra con piccole prese d’aria per permettere la respirazione. In gruppi di 60 - 70 vengono tenuti al buio con scarso cibo e scarsissima acqua. I sequestrati vengono incatenati e non sono liberi di muoversi. L’unica cosa che hanno alcuni di loro é il telefono cellulare per fare pressione sui parenti. Come è organizzata la rete dei trafficanti? È un’organizzazione molto bene organizzata. Ci sono i “passeurs” alle frontiere che permettono il passaggio dei profughi e provvedono a metterli nelle mani dei trafficanti che li portano nelle prigioni del Sinai. Chi riesce a pagare il riscatto poi viene consegnato al “runner” che attraverso i tunnel li Porta in Palestina e poi al confine con Israele. La gestione di questi tunnel che vanno da Rafah a Rafah palestinese é nelle mani di Hamas. I profughi liberati vengono accompagnati dai runners, tutti ragazzi di 16 - 17 anni, al confine con Israele se hanno pagato tutta la somma del riscatto. Oppure vengono lasciati tanto lontano dal confine quanto meno soldi rispetto al totale la famiglia del profugo è riuscita a corrispondere. Da lì poi i profughi devono correre al confine da soli. Quindi Hamas ha un ruolo primario nella tratta? Hamas fa parte di un’organizzazione molto più grande che si chiama Muslim Brother Hood, Fratellanza musulmana, che ad oggi ha una grande rappresentanza nel governo egiziano e non solo. Ovunque c’è una presenza musulmana integralista, i fratelli musulmani ci sono. Solo di recente il governo egiziano li ha ufficialmente esonerati dalla possibilità di rappresentare una forza politica. Ma questa organizzazione è talmente ben integrata ormai che gode di una forte presenza sia negli uomini del Parlamento che in quelli del governo. Così, godendo comunque di una veste politica, cercano di interloquire con le istituzioni. Molti specialisti hanno definito la Fratellanza musulmana come la mafia islamica perché il loro fatturato raggiunge davvero le cifre della mafia russa e di quella italiana. È una mafia che collabora con tutte le organizzazioni criminali del mondo nella gestione del traffico di armi, di droga, di esseri umani e di organi. Invece cosa succede ai profughi liberati? Arrivati al confine con Israele, essendoci un presidio molto serrato, i profughi non possono far altro che consegnarsi ai militari e chiedere protezione umanitaria. L’esercito li accompagna in un centro di identificazione e vengono internati. Essendo richiedenti asilo, anche se rischiano ancora di essere rimpatriati, nella maggior parte dei casi vengono trattenuti. Esiste la possibilità che Israele riconosca ai profughi l’asilo politico? Israele concede pochissimi asili. Dal 1958 ad oggi sono stati concessi solo 178 asili a richiedenti africani. Mentre sono 130 mila gli africani profughi accolti in Israele. Quindi un numero enorme se pensiamo alle condizioni rigide di questo stato in materia di sicurezza. Questa contraddizione però ha una causa. Dopo che l’Italia è diventata una fortezza per via della politica dei respingimenti nel Mediterraneo, Israele è rimasto l’unico approdo. Il fenomeno dei sequestri nel Sinai è annoso, anche se è venuto alla ribalta solo adesso. Si può ricostruire storicamente il momento in cui si è inasprita questa pratica? Le ondate di profughi sono aumentate nel 2000 con la fine della guerra tra Etiopia e Eritrea, il genocidio nel Darfur del 2003 ha aumentato l’ondata e poi anche la fine della guerra nel Sudan nel 2005 ha contribuito ad aumentare il numero dei profughi. Il business nero dei profughi, però, esiste da molto prima e adesso per fortuna se ne comincia a parlare. La vostra organizzazione come si muove sul territorio? Noi lavoriamo da anni su questo problema e siamo riusciti a ricostruire esattamente come avviene il traffico dei profughi. Abbiamo collaborato con le Nazioni unite e con il Parlamento europeo. Alcuni giorni fa abbiamo avuto un contatto con il rappresentante del reinsediamento dei profughi africani in Europa che ci ha chiesto di essere presenti come organizzazione partner per ricostruire questo fenomeno. Negli anni abbiamo compreso anche che ai trafficanti importa molto che ci siano famiglie africane all’estero perché così sanno che potranno avere un guadagno dai rapimenti. Queste persone per essere liberate pagano 10 mila dollari che in Egitto è una cifre enorme, valgono quattro volte tanto. Che fine fanno i profughi che non vengono liberati? Il rischio collaterale è l’altro mercato nero, il mercato degli organi. Secondo le informazioni che abbiamo ci risulta che i profughi che non hanno famiglie capaci di pagare finiscano per essere vittime di questo mercato. In ogni caso vanno fatti sparire, quindi li uccidono. Invece l’Egitto cosa fa di fronte alle richieste di intervento da parte vostra e delle istituzioni europee? Di fronte alle nostre richieste e a quelle delle Nazioni Unite il governo egiziano convoca i capi beduini e i capi religiosi del Sinai. Incredibilmente l’ Egitto non ha il potere per fare una task force e mandarla nella Rafah egiziana. Solo pochi giorni fa (il 17 dicembre,ndr) l’Ambasciata egiziana presso la Santa Sede ha ricevuto la delegazione del CIR e Don Zerai che hanno dato loro le informazioni utili per intervenire sul luogo del carcere dove vengono trattenuti i profughi. Sembra che ci sia uno spiraglio. Anche perché se non ci fidiamo più del governo e di personalità come quella del Presidente Mubarak, vuol dire arrendersi al fatto che queste popolazioni sono morte per sempre. L’Ambasciata italiana. attraverso Don Zerai, era riuscita a mettere in contatto un ragazzo testimone che avrebbe potuto portare le autorità egiziane sul posto della prigione. Come è finita? Ad oggi di quel ragazzo, che era stato più volte davanti alla recinzione del frutteto dove sono detenuti in profughi, abbiamo perso le tracce e non sappiamo più che fine abbia fatto. Tra l’altro secondo le nostre informazioni sotto quel frutteto c’è un tunnel. Da quel tunnel, molto probabilmente, sono stati fatti sparire anche i 100 profughi che mancano all’appello rispetto al numero iniziale di 250. Siccome è impossibile che ci siano camionette che trasportino profughi vista l’attenzione che è nata intorno a questo caso, è pensabile che siano stati trasferiti in territorio palestinese. Addirittura abbiamo avuto notizia di piccoli campi di concentramento per trattenere i profughi trasportati in attesa del riscatto. Voi come organizzazione avete fatto un appello alle autorità internazionali perché si mobilitino su questo caso? Sì e sia le Nazioni Unite che il Parlamento europeo stanno facendo pressioni sull’Egitto.Ma la burocrazia e la diplomazia hanno tempi lunghissimi. Noi, come ha fatto la delegazione all’Ambasciata egiziana, abbiamo chiesto anche che i profughi che saranno liberati vengano presi sotto la tutela dell’Unhcr, l’Alto Commissariato per i rifugiati dell’Onu. Loro sono disponibili anche a cambiare alcune leggi europee per fare in modo che si possano reinserire nel territorio europeo i profughi africani. Spero che questo succeda davvero. Stati Uniti: “c’era una volta un uomo cattivo”, voci dal carcere leggono le favole di Katia Riccardi La Repubblica, 27 dicembre 2010 In una delle nove prigioni di Rikers Island, a New York, tra Queens e il Bronx, otto prigionieri dell’Eric M. Taylor Center hanno completato un corso di cinque settimane chiamato “Daddy and Me”. Hanno registrato racconti per i loro figli, creato libri audio, e alla fine li hanno incontrati. C’erano una volta le Favole al telefono (Einaudi, 1962). Il protagonista era il ragionier Bianchi, di Varese, un rappresentante farmaceutico sempre in giro per l’Italia. Un pendolare condannato a un esilio interrotto soltanto la domenica. Ogni sera, alle nove in punto, raccontava una favola al telefono alla figlioletta che non riusciva a dormire. “Le storie toccavano tanto il cuore, che le centraliniste interrompevano il loro lavoro per ascoltarle ...sfido: alcune sono proprio belline”. Gianni Rodari, quando le scrisse, aveva immaginato un papà che non poteva sedere ai piedi del lettino per leggere le storie a suo figlio. Le favole sono la prima fantasia, la porta senza tempo verso viaggi avventurosi che un genitore fa insieme al figlio. Servono a partire, ad andare ovunque, a restare vicini. Per farlo basta solo la voce. Cinquanta anni dopo l’uscita del libro di favole più famoso d’Italia, e migliaia di anni luce dopo l’invenzione delle televisione, la voce dei papà non ha ancora trovato un sostituto. Ce n’è una speciale per ogni bambino. Quella in grado di rendere unico un “c’era una volta”, e credibile la morale della favola. In una delle nove prigioni di Rikers Island, a New York, un’isola controllata da mille poliziotti stretta tra Queens, il Bronx e vicino all’aeroporto La Guardia, otto prigionieri dell’Eric M. Taylor Center hanno appena completato un corso di cinque settimane chiamato “Daddy and Me”. C’erano una volta otto uomini cattivi. A forza di essere puniti e di aver letto mille libri chiusi nelle celle di isolamento, erano diventati più buoni. Sentivano la mancanza dei loro bambini. E così il direttore del carcere decise di premiarli. Avrebbero registrato le proprie voci mentre leggevano favole. E quelle voci, solo quelle, sarebbero potute uscire dall’isola. Tornare a casa, nelle camerette, sedersi ai piedi del lettini. E cominciare a raccontare. “Le persone hanno diverse dimensioni”, ha spiegato Dora B. Schriro, a capo del dipartimento correttivo del carcere: “Parte di essere un uomo è quella di essere un padre. Parte di essere un brav’uomo è quella di essere un bravo padre”. È la prima volta che viene tentato un esperimento di questo tipo a Rikers, dal ‘96 sono state piuttosto le madri detenute ad avere contatti con i propri figli. Con un finanziamento di 3.800 dollari, il programma del Taylor Center è stato gestito da Nick Higgins, che organizza la libreria delle prigioni: “L’obiettivo era quello di cambiare l’attitudine dei detenuti, quella di farli tornare indietro, di ritrovare ciò che stanno perdendo”, ha detto Higgins. Le favole hanno una morale e un lieto fine. Per questo si raccontano ai bambini. Insegnare loro il bene e il male per un adulto può essere un modo di riappropiarsene. Ripassare antiche lezioni, o impararle dal principio. Il New York Times ha seguito l’intero progetto e poi ha raccontato la storia di tre di questi otto uomini. Il primo si chiama José Rosado, o José Rosaldo, o José Reyes (nella foto). Ha diversi nomi, a seconda del capo di imputazione. In prigione è conosciuto come “il professore”, 42 anni, ex tossicodipendente, una moglie senza più pazienza, e tre figli. Dal 1989 è uscito e entrato dal carcere. Ha trovato il suo modo per viaggiare con la testa solo leggendo. Quando lo tenevano in isolamento per lo più. “Sapere le cose ti può portare in molti posti”, ha detto Mr. Rosado. È uno dei prescelti per tornare a essere voce e per tornare dai suoi figli. Ha letto per loro in una saletta di registrazione allestita nel carcere, “Fox in Socks” (La volpe in calzini), “Hop on Pop” e “Clifford y la Hora del Baño”, nella sua madre lingua, quella che parlava nei vicoli di Brooklyn. Il secondo prigioniero si chiama Juan Camacho, 35 anni, spacciatore e padre di due figli. Lui ha scelto “The Cat in the Hat” (Il gatto nel cappello) del Dr. Seuss. L’ultimo è Qaaid Reddick, 27 anni, che non ha mai incontrato la sua terza figlia nata quando era già in carcere per possesso d’armi. Ha scelto la scimmietta Curious George, in una favola natalizia, perché “la scimmia è la cosa più simile a un essere umano”, ha raccontato poi nell’intervista. Nelle cinque settimane dell’esperimento questi uomini hanno adattato le loro voci ai personaggi. Hanno piegato il tono roco in falsetti da elfi, la pesantezza in espressioni buffe, il silenzio in rumorose esclamazioni. Hanno inventato suoni, dato vita a fatine, maghi, bimbi coraggiosi e scimmiette parlanti. L’hanno fatto per i figli, ma si sono ritrovati con una morale della storia. Alla fine dell’esperimento il direttore del carcere gli ha permesso di incontrare le famiglie in una sala speciale. Allestita per l’occasione. Sedie piccole, ciambelle e succhi di frutta. Gli uomini hanno potuto tenere sulle ginocchia i bimbi e raccontargli le favole, così come avevano imparato a fare nelle ultime settimane. Durante le registrazioni delle storie, alcuni hanno fatto parlare i personaggi in slang, in rima, come se fossero testi hip hop, altre volte hanno aggiunto messaggi personali. “Ricordati di mangiare la frutta” o “quando senti la mia voce ricordati che papà è sempre lì con te”. Dopo la visita concessa ai prigionieri, che sono arrivati vestiti con la divisa del carcere e pieni di tatuaggi coi nomi delle mogli e dei figli, le guardie hanno detto di essere rimaste a guardare rilassate. Hanno portato succhi di frutta ai bambini. Hanno lasciato che quella parentesi fosse reale, vera, pulita. Come le camerette dei bambini di notte. Come le favole lette su libri illuminati da luci basse. E per un pomeriggio, prima di tornare in cella, prima che le madri riprendessero l’autobus e i bambini per tornare indietro, tutti hanno potuto vivere di nuovo felici e contenti. Normali. In grado di essere ancora solo otto papà in viaggio. Russia: nuova condanna per gli ex oligarchi russi del petrolio Khodorkovsky e Lebedev Il Velino, 27 dicembre 2010 A Mosca i due ex soci sono stati riconosciuti colpevoli di frode e di riciclaggio di denaro e rischiano di dover scontare fino a 14 anni di carcere, la pena che è stata chiesta dall’accusa. Khodorkovsky e Lebedev, ricorda la Ria Novosti, hanno già scontato sette anni dietro le sbarre per evasione fiscale. I due accusati si sono dichiarati innocenti e hanno ribadito che anche le nuove accuse mosse nei loro confronti hanno un’origine politica. La corte di Khamovniki, spiega ancora l’agenzia russa, ha vietato la diretta della lettura della sentenza lasciando fuori dall’aula 100 reporter ma permettendo a 30 giornalisti della carta stampata e ai cameraman della tv russa di seguire il verdetto. I difensori dei due ex oligarchi, conclude la Ria Novosti, hanno reso noto che i loro assistiti potrebbero essere raggiunti da un terzo set di accuse nel prossimo futuro. Grecia: dal carcere leader anarchici invocano una “grande insurrezione globale” Ansa, 27 dicembre 2010 “Il grande incendio sociale” europeo attizzato dalla rabbia dei lavoratori e degli studenti, in Grecia come in Italia o in Francia, annuncia “la prossima grande insurrezione globale contro la dura offensiva neoliberale dietro la quale si nasconde il nuovo fascismo del potere”. Lo scrivono i leader in carcere della principale organizzazione armata anarco-insurrezionalista greca, Lotta Rivoluzionaria (Ea), affermando che in questo clima di scontro bisogna scegliere la bancarotta piuttosto che l’austerity, imposta da Ue - Fmi come strumento di sfruttamento nazionale e liquidazione delle ultime conquiste sociali. L’analisi di Ea è contenuta in una lettera fatta uscire dal carcere da Nikos Maziotis, Pola Roupa e Costas Gournas, capi dichiarati del gruppo armato autore di numerosi attentati fra cui il lancio di un missile contro l’ambasciata Usa nel 2007. Nella lettera, i leader di Ea, che si ritiene collegata a Cospirazione dei nuclei di fuoco, che ha rivendicato i pacchi bomba ad Atene lo scorso novembre contro ambasciate e leader internazionali, affermano che dopo la crisi americana “in una città europea dopo l’altra milioni di persone sono scese in piazza con in testa i giovani per opporsi alla dura offensiva neo liberale”. Per portare avanti la lotta contro la riforma delle pensioni e dell’istruzione, scrivono i tre, sono state organizzate ovunque manifestazioni che “in Grecia, Italia, Spagna e Irlanda si sono trasformate in sommosse” ognuna di esse “alimentando la rivolta dell’altra in attesa di un grande incendio sociale in tutta Europa”. Incendio che, sotto lo slogan “o noi o loro”, ovvero o noi o “i fascisti che ci governano e controllano la ricchezza delle società”, scrivono i leader di Ea, condurrà, a partire dalla Grecia alla “prossima grande insurrezione globale”. Cuba: le “dame in bianco” chiedono la liberazione di 11 prigionieri politici Ansa, 27 dicembre 2010 Le “dame in bianco”, mogli e madri dei prigionieri politici cubani, hanno chiesto al presidente Raul Castro di liberare entro la fine dell’anno gli 11 oppositori ancora detenuti e che rifiutano di andare in esilio una volta rilasciati dal carcere. L’unica cosa che voglio dire al generale Raul Castro è che si ricordi che la famiglia è sacra e che se anche lui ama i suoi figlia e sua moglie pensi che anche noi amiamo i nostri mariti e i nostri figli e conceda loro la libertà, ha dichiarato ai giornalisti la leader delle “dame in bianco” Laura Pollan aggiungendo di essere abbastanza scettica sull’ipotesi di una liberazione entro il 31 dicembre. Dei 52 prigionieri politici che il presidente cubano si è impegnato a liberare dopo la mediazione del cardinale Jaime Ortega, arcivescovo dell’Avana, 11 sono ancora in carcere. Quattro di loro sono malati e non hanno avuto nemmeno la possibilità di uscire di prigione per motivi di salute, ha detto la Pollan. Quaranta prigionieri politici sono stati liberati dopo aver accettato di andare in esilio in Spagna. Dei dodici rimasti, uno solo è stato rilasciato ed è rimasto a Cuba. Cardinale celebra messa in carcere Il cardinale cubano Jaime Ortega ha officiato la messa di Natale nel carcere Combinado del Este della capitale, il più grande del Paese. Secondo fonti dell’episcopato vi hanno presenziato una ventina di detenuti. Nel penitenziario si trovano anche gli 11 prigionieri politici che non sono stati posti il libertà come altri compagni, perché, finora, non hanno accettato di lasciare l’isola per la via dell’esilio. Ieri, l’Episcopato ha annunciato che quanto prima saranno liberati altri due prigionieri politici, uno dei quali non è nella lista dei 52 da liberare, stilata a suo tempo dalla dissidente Commissione cubana per i diritti umani e la riconciliazione nazionale (Ccdhrn) dopo la mediazione in tal senso della Chiesa con il governo cubano. Entrambi hanno accettato di trasferirsi in Spagna con i loro familiari. In questo modo, con gli altri 14 liberati che non erano nella lista, sale a 57 il numero dei prigionieri politici cubani che hanno accettato di lasciare l’isola. Stati Uniti: Casa Bianca; la chiusura di Guantanamo è ancora lontana Agi, 27 dicembre 2010 La chiusura di Guantanamo, uno dei primi impegni assunti da Barack Obama, non è in vista. Il campo di prigionia nell’enclave cubana non sarà chiuso “prima di un certo tempo”, ha chiarito il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, invitando, senza troppa convinzione, l’opposizione Repubblicana a collaborare. Gibbs, intervistato dalla Cnn, ha specificato che l’Amministrazione Obama intende far processare alcuni dei 174 detenuti dalla giustizia militare ma a anche da Corti federali sul suo americano. Iran: autorità rifiutano permesso ai famigliari di incontrare reporter tedeschi in carcere Apcom, 27 dicembre 2010 Le autorità iraniane non hanno permesso alla madre e alla sorella dei due reporter tedeschi arrestati in Iran mentre intervistavano il figlio e l’avvocato di Sakineh di poter incontrare i loro familiari: lo ha reso noto il Ministero degli Esteri di Berlino. La Bild am Sonntag, domenicale per il quale lavorano il giornalista e il fotografo, ricorda oggi sulla sua homepage che i due si trovano ormai da 77 giorni in un carcere iraniano, accusati per violazione della normativa sui visti. Le due donne, la madre del fotografo e la sorella del giornalista, speravano di poter almeno riabbracciare i loro cari in carcere. Hanno trascorso la sera della vigilia presso l’Ambasciata tedesca nella capitale iraniana. I due detenuti si trovano ancora, riporta la Bild Am Sonntag nella prigione di Tabris, nel nord dell’Iran, dove erano stati arrestati il 10 ottobre scorso. Ad inizio dicembre si era aperto uno spiraglio sulla sorte dei due giornalisti: il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Ramin Mehmanparast aveva lasciato intravedere la possibilità che i due tedeschi potessero ricongiungersi alle loro famiglie per Natale. Sakineh Mohammadi Ashtiani è stata condannata a morte per adulterio e per l’omicidio del marito. Cile: rabbia e polemiche dopo la morte di 80 detenuti nell’incendio del carcere di San Miguel Asca, 27 dicembre 2010 I familiari dei detenuti nel carcere di San Miguel aspettano i risultati degli esami del Dna per riconoscere i parenti deceduti. Rabbia e incredulità. Questo il tono con cui i social network cileni hanno reagito alla tragedia del carcere del comune di San Miguel, a Santiago del Cile, dove oltre 80 detenuti hanno perso la vita e altre 20 sono rimasti gravemente feriti, dopo l’incendio di uno dei padiglioni carcerari. Le proteste, le sempre più frequenti critiche alla copertura della stampa cilena e alla sua sensibilità verso le tematiche sociali, e le forti prese di posizione sulle condizioni dei detenuti in Cile hanno aperto un ampio dibattito che riguarda sia il sistema carcerario sia i diritti umani. Sovraffollamento e violazioni dei diritti umani. La stampa ha riportato che l’Alta Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani ha chiesto al governo cileno di autorizzare gli organismi a tutela dei diritti umani del Paese a visitare le carceri per verificare la situazione dei detenuti. Ha poi informato che il Cile è tra i cinque Paesi al mondo con il maggior numero di detenuti pro capite. La situazione delle carceri in Cile, un problema rinviato da molti anni, ha rivelato ora il suo lato più terribile con la tragedia di San Miguel.