Giustizia: portato in carcere con l’ambulanza e l’ossigeno, per scontare 1 anno di pena di Valentina Ascione Gli Altri, 24 dicembre 2010 Il dramma di Salvatore è tutto racchiuso in una lettera che arriva dalla Sicilia. Nel grido di aiuto di S., che chiede attenzione per la vicenda di un uomo, un amico, costretto a combattere, oltre che con la malattia e il dolore, con i meccanismi della giustizia: difficili da sbloccare, quando si inceppano. Secondo il racconto della persona che ha denunciato questo caso a Sergio D’Elia, segretario di “Nessuno Tocchi Caino”, Salvatore Coci è un uomo di sessant’anni devastato nel fisico. Affetto da: angina instabile post infartuata, ipertensione arteriosa, broncopneumopatia cronica ostruttiva, artrosi generalizzata con netta diminuzione della funzionalità dell’apparato locomotore, lombo sciatalgie, ernia e molto altro ancora. Ha già subito diversi interventi, tra i quali l’impianto di un by-pass: un tubicino di otto millimetri che parte dal cuore e arriva fino alle gambe e che, in caso di infezione, non lascerebbe scampo. Salvatore, dunque, rischia la pelle a ogni piè sospinto. Dovrebbe stare a letto, in ospedale o a casa, invece si trova detenuto nel carcere di Messina, per scontare una pena di un anno, un mese e venticinque giorni. “Com’è possibile?”, chiede S.. Già, com’è possibile? Nonostante il Tribunale di Patti avesse sospeso la carcerazione e chiesto al Tribunale di Sorveglianza di Messina di applicare una misura alternativa, il provvedimento non è andato a buon fine per mancanza della documentazione richiesta. Pare infatti che gli assistenti sociali incaricati dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (Uepe) non abbiano prodotto la relazione sulle condizioni di Salvatore, necessaria - insieme ai certificati medici - per l’applicazione della misura alternativa, perché l’uomo si trovava lontano da Messina: a Manduria, nel tarantino, ospite di una famiglia che se ne prendeva cura. A quel punto Salvatore aspettava di essere contattato dall’Uepe di Taranto, ma il Tribunale di Sorveglianza di Messina, pur sollecitato, non avrebbe incaricato gli assistenti sociali competenti. Il telefono di Salvatore è quindi rimasto muto. La sospensione della carcerazione è stata a sua volta sospesa, nonostante le numerose certificazioni esibite dal suo avvocato che attestavano l’incompatibilità dell’uomo con qualsivoglia stato detentivo. E così Salvatore è stato prelevato da casa sua e trasportato fino al carcere di Messina Gazzi, a bordo di un’autoambulanza e attaccato all’ossigeno. Come racconta S. nella sua lettera, Salvatore si trova insieme ad altre cinque persone in una cella del centro clinico, dove le condizioni igieniche e le cure non sarebbero adeguate al suo stato. Pare che recentemente abbia accusato un malore al cuore e che i soccorsi siano arrivati con ben tre ore di ritardo. La vicenda di Salvatore Coci, così come descritta da S., è oggetto di un’interrogazione della Radicale Rita Bernardini. Speriamo che renderla pubblica possa aiutare a giungere quanto prima a una soluzione. Magari entro, e nonostante, le feste natalizie”. Giustizia: quando immigrato significa “delinquente”… di Antonio Piazza www.caffenews.it, 24 dicembre 2010 Il triste abaco che contabilizza il numero di vittime avvenute “nelle mani dello Stato” (per citare l’etichetta utilizzata dalla trasmissione “Lucarelli racconta “ di lunedì 6 dicembre andata in onda su Rai Tre) imperterrito avanza fino a far segnare 170 morti da inizio anno all’interno delle carceri, 65 dei quali per suicidio. A queste cifre andrebbero poi aggiunti coloro i quali, per svariate ragioni, hanno perso la vita ancora prima di varcare la soglia della prigione, ma tuttavia già sotto la responsabilità di un apparato statale. L’ultimo caso di cronaca in ordine cronologico si riferisce alla fine di Alhdy Saidou Gadiaga, operaio senegalese di 36 anni morto domenica 12 dicembre nella camera di sicurezza della caserma dei carabinieri di Brescia. L’uomo era stato posto in stato di fermo in seguito ad un controllo di routine in quanto trovato sprovvisto di documenti validi poiché in seguito alla perdita del lavoro non aveva avuto la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno. Era tuttavia in possesso di certificato medico rilasciato dal Pronto Soccorso dell’Ospedale Civile che ne attestava le precarie condizioni di salute, condizioni le quali lo avevano indotto a restare in Italia per curarsi; in accordo alla diagnosi dei medici il senegalese soffriva di asma cronica. Nel rispetto della legge Bossi - Fini i militari hanno trattenuto l’operaio bollato come “clandestino da rimpatriare” rinchiudendolo nella cella della camera di sicurezza all’interno della quale, lo confermano gli stessi carabinieri, la temperatura in questa stagione fatica a superare i 5 gradi. La permanenza di 36 ore è stata fatale all’uomo le cui condizioni di salute, aggravate dalla patologia, lo hanno portato al decesso. Sulla dinamica della morte la versione dei militari contrasta con quella del compagno di Saidou circa la tempistica della chiamata al 118 rispetto al sopravvenire del malore. Un’inchiesta chiarirà (speriamo) la verità di questa ennesima squallida vicenda, ma quello che vorremmo sottolineare è la gravità della situazione e l’elevato pericolo che fatti di questo genere possano ripetersi. Lo scenario è semplice nella sua drammaticità: in Italia lavorano, in condizione precarie migliaia di immigrati, la cui vita è legata ad un foglio, il permesso di soggiorno. La sopravvivenza di tale salvacondotto è legata indissolubilmente alle condizioni lavorative, in assenza o nella perdita delle quali, la stessa persona si tramuta immediatamente in criminale (così è considerato chi contravviene ad una legge dello Stato, e così accade all’immigrato che perde il lavoro). Basta poco ed un immigrato qualunque, come tanti, magari tranquillo più di tanti, magari rispettoso più di tanti, assume lo status di delinquente per lo stesso motivo di esistere. Questo è ciò che avviene di fatto, in quanto la perdita del lavoro è inquadrabile unicamente come un’azione passiva subita dal soggetto e non come una iniziativa delittuosa intrapresa dallo stesso. Ergo, se ne può trarre una mostruosa “equazione sociale”: lavoratore immigrato civile ed onesto improvvisamente privato di un contratto di lavoro uguale a clandestino irregolare da rispedire in patria. Noi non siamo certo qui a difendere coloro i quali, presenti in Italia, senza la volontà della ricerca di prospettive lavorative che permettano loro di condurre una vita dignitosa, delinquono liberamente, ma in maniera altrettanto certa possiamo e vogliamo affermare il principio secondo il quale una persona non può essere trasformata in criminale senza avere intrapreso una condotta in tal senso. Noi riteniamo che una legge di tal genere agisca quantomeno in maniera “impulsiva”, (del resto è stata varata in un contesto di fibrillazione emotiva) ossia prescinda completamente dal pregresso del soggetto che si vede affibbiare l’etichetta di clandestino indesiderato pur senza avere commesso reati “di fatto”. A meno che la sua stessa esistenza su un determinato suolo non venga considerata reato. Questo è ciò che accade, con buona pace del rispetto dei diritti umani e della dignità della persona. Giustizia: Sappe; nelle carceri la gara dei presepi la vince sempre la sezione 41-bis Adnkronos, 24 dicembre 2010 È quasi sempre la sezione del ‘41bis’, quella in cui sono detenuti sottoposti al carcere duro, a vincere la gara dei presepi che si tiene ogni anno nelle carceri italiane. I detenuti hanno due mesi di tempo per costruire le statuette di cartapesta e presentare la loro rappresentazione. “Due mesi prima di Natale vengono consegnati materiali e poi una commissione interna sceglie il presepe più bello. Anche quest’anno a Rebibbia ogni reparto ha fatto il presepe - ha detto all’Adnkronos Donato Capece, segretario generale del Sappe - e ha vinto la sezione del 41 bis. Ma quasi sempre si aggiudicano il primo posto anche nelle altre carceri, spesso si tratta di detenuti molto legati a certi temi della religiosità tradizionale”. Per la cena della vigilia e per il giorno di Natale è previsto che i detenuti meritevoli e più affidabili, quando non ci siano condizioni di incompatibilità giudiziarie o di altro genere, e sentito il parere del comandante di reparto, possano ottenere due ore di socialità per consumare i pasti insieme ai detenuti di un’altra cella. Possono poi acquistare cibi tradizionali, se hanno possibilità economiche, nel negozio del carcere. E per il brindisi lo spumante viene distribuito nelle bottiglie di plastica. “Se ne hanno la possibilità possono fare acquisti attraverso lo spesino, un addetto del carcere che passa per le ordinazioni, nei limiti del regolamento”. “Quando i detenuti hanno i familiari vicino che gli portano alimenti da fuori - aggiunge Capece - dobbiamo tenere gli occhi bene aperti per evitare che, nel caso in cui distribuiscano i cibi ad altri detenuti con minori possibilità economiche, non si instauri un meccanismo di sottomissione”. “Quelli di Natale sono giorni particolari - aggiunge il segretario generale del Sappe - i detenuti si rendono conto che fuori c’è una vita diversa, dove ci può essere divertimento e una vita che loro non hanno, sentono di più la lontananza degli affetti familiari. Allora subentra lo scoramento e la depressione. Al loro fianco c’è la polizia penitenziaria, che ne garantisce l’incolumità”. “Accentuiamo i controlli nei casi più a rischio - conclude - e cerchiamo di non far mancare il calore umano. Voglio sottolineare il duro lavoro che svolge la polizia penitenziaria che è quella che sta vicina ai detenuti e che più si sacrifica”. Giustizia: il Si.N.A.P.Pe interviene sull'intervista rilasciata da Franco Ionta a Polpen www.polpen.it, 24 dicembre 2010 L'intervista rilasciata in esclusiva a Polpen dal capo del Dap Franco Ionta ha scatenato un dibattito interno al Corpo di Polizia Penitenziaria. Oltre ai numerosi commenti è arrivata in redazione una nota del Si.N.A.P.Pe a firma del Segretario Generale Roberto Santini che solleva altri interrogativi sugli argomenti trattati da Ionta. Per approfondire il dibattito abbiamo deciso di pubblicare il testo del Si.N.A.P.Pe: “A fronte delle risposte troppe evasive e poco soddisfacenti del Presidente, credo sia il caso di effettuare un excursus pedissequo, integrando gli interrogativi che sono stati prospettati. Razionalizzazione del Personale Pare estremamente riduttivo parlare esclusivamente del “progetto spacci” quando si parla di razionalizzazione del personale. Un recupero di 562 unità sono una goccia nel mare, e costituiscono un risultato irrisorio per chi, come noi, si auspicava soluzioni concrete. A fronte del “recupero” di una così irrisoria quantità di personale tuttavia si apre uno scenario che definirei apocalittico per gli spacci delle piccole realtà. Quale ditta esterna avrà interesse a mantenere aperta una struttura commerciale all’interno di un penitenziario che conta 100 dipendenti? E gli esiti del bando di gara ci danno ragione. Qualche lungimirante penserebbe che forse nei progetti del nostro Capo DAP ci sia l’idea di affidare, a coda di questo progetto fallimentare, la gestione degli spacci ai pensionati del Corpo visto che un’apertura in questo senso è stata ampiamente dimostrata dai vertici della nostra amministrazione e da noi ampiamente condannata. Gradiremmo poi sapere cosa si intende per “grosso lavoro” operato sui distacchi. Ci auguriamo che ogni qual volta viene concesso un distacco vengano ben valutati i motivi sottesi alla richiesta; di talché non si riesce a comprendere il senso dell’affermazione che pare possa trovare un’unica lettura nella revoca dei distacchi già concessi a tutto discapito del personale. Disposizioni governative in favore del Corpo 9000 posti detentivi in più! Con quale personale sarà assicurato il servizio presso tali strutture? Ovvio sarebbe provvedere anzitutto ad una massiccia integrazione dell’organico e solo dopo costruire nuovi spazi detentivi. Se (mi si passi l’ironia) escludiamo l’autogestione delle strutture, è facile pensare che, anche qualora le nuove carceri dovessero essere costruite, rimarrebbero inattive per mancanza di personale cui affidarne la gestione. L’attenzione del Governo si concentra quasi esclusivamente sul sovraffollamento e ci si dimentica che questo è solo una delle smerigliate facce del prisma dei problemi. Continuiamo a insistere che servono uomini di ogni ordine e grado prima ancora che posti detentivi. Quanto al blocco della prima sede di assegnazione per 5 anni, ricordiamo che una manovra simile è già stata attuata (senza risultato alcuno) nell’anno 1996 con riferimento al 135° corso. “Historia docet” dicevano i latini: ancora fumo negli occhi! In relazione al carcere di Trento (aperto con i soldi della provincia autonoma) il Presidente si pregia di aver mandato 20 agenti neo assunti del 161° corso per gestire l’informatica (…e con una permanenza di 5 anni nella sede di assegnazione la struttura può essere gestita al meglio). A fronte di tali affermazioni, sicuramente si darà contezza di questa assegnazione “fuori dagli schemi”: 20 unità per gestire l’informatica! Come sono state scelte queste unità con compiti specifici e predeterminati? Come mai le OO.SS. non sono a conoscenze di bandi in tal senso? Commissario straordinario per l’emergenza Carceri Nell’ottica del Capo del Dipartimento, tutto il sistema si dovrebbe muovere per la proroga dei poteri del Commissario Straordinario. Tuttavia spiace ricordare che le compagini sindacali (parte integrante dell’intero sistema) non sono state in alcun modo coinvolte in tale progetto. Le Organizzazioni Sindacali sconoscono i fondi stanziati, sconoscono il loro utilizzo, sconoscono la scala delle priorità degli interventi. E soprattutto, si concorderà, non notiamo alcun miglioramento nel sistema dalla nomina del Commissario Straordinario. Perché dunque muoversi, tutti, per la proroga dei poteri? 219 assunzioni Una piccola quota di unità a fronte di quanti pensionamenti? Gradiremmo conoscere i numeri. Quanto personale è attualmente sottoposto al giudizio delle competenti CMO? Per quante unità si prevede nel prossimo anno il sopraggiungere del giudizio di inidoneità? Quanti poliziotti sono precauzionalmente sospesi dal servizio? e soprattutto quante unità di personale effettivamente presta servizio all’interno degli istituti? Le assunzioni a singhiozzo a cui si assiste servono solo a fare rumore, ma non bastano nemmeno per assicurare il turnover del personale. Concorso ispettori bandito nell’anno 2003 Procedure concorsuali la cui durata farebbe impallidire anche Ulisse. Ma nella visione del Capo del Dipartimento, la conclusione di quel concorso deve lasciare il posto alle altre priorità di una sana gestione amministrativa. A parere di chi scrive basterebbero solo i giusti input alle commissioni esaminatrici sia per non disperdere nel vuoto il lavoro fin qui svolto, sia per realizzare le legittime aspettative degli aspiranti ispettori. Problema traduzioni Incredulità e sconcerto sono i sentimenti che seguono alla lettura della risposta in merito al problema delle traduzioni. L’intervistatore pone l’accento sul mancato pagamento delle missioni e il Presidente abilmente dribbla la domanda cercando di affascinare i lettori con il fantasmagorico progetto di una “flotta aerea” per la gestione delle traduzioni. Ogni progetto, per quando ambizioso possa essere, è sempre bene accetto, ma suona come una sonora presa in giro quando a leggere le risposte è il personale che, per carenza di fondi, non vede assicurati i propri diritti economici ed effettua traduzioni con mezzi fatiscenti e sotto scorta. Mentre attendiamo il realizzarsi degli ambiziosi progetti dell’Amministrazione ricordiamo che collaboratori di giustizia, detenuti AS, detenuti sottoposti al regime di 41 bis vengono tradotti sottoscorta augurandoci che mai succeda l’irreparabile". Giustizia: inchiesta revoche 41-bis; magistrati chiedono al Dap documenti anni ‘92 - ‘93 Ansa, 24 dicembre 2010 Sembra ormai giunta a una fase cruciale l’inchiesta dei pm di Palermo sulla trattativa tra Stato e mafia. E le vicende alterne sul carcere duro per i boss si rivelano sempre più lo snodo centrale dell’indagine. Tanto che ieri, a sorpresa, i magistrati della dda Nino Di Matteo e Antonio Ingroia, sono andati al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per notificare un ordine di esibizione atti. Al Dap i pm hanno chiesto tutta la documentazione relativa al 41 bis degli anni ‘92 e ‘93, il periodo clou della trattativa, quello in cui l’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso decise - autonomamente, ha detto lui ai magistrati e all’Antimafia - di revocare, in un caso, e non prorogare, in un altro, il regime carcerario speciale a oltre 300 mafiosi. Una parte del materiale è stata già acquisita dal personale della polizia giudiziaria che ha accompagnato i pm nella sede romana del Dipartimento. Il resto verrà messo a disposizione e sequestrato nelle prossime settimane. Oltre ai provvedimenti, ministeriali, agli atti del fascicolo sulla trattativa, in cui sono indagati esponenti del Ros dei carabinieri come il generale Mario Mori, e capimafia come Totò Riina e Bernardo Provenzano, la Procura vuole consultare informative interne e documenti diretti ad altri esponenti istituzionali che abbiano avuto ad oggetto il 41 bis. L’ipotesi che al centro del “dialogo”, aperto dopo l’eccidio di Capaci tra Cosa nostra e pezzi dello Stato, ci fosse l’eliminazione del carcere duro per i capimafia, nelle scorse settimane ha spinto i pm di Palermo a interrogare sia Conso, che ha ribadito di avere deciso senza alcun input esterno le revoche, sia l’ex capo del Dap Nicolò Amato, che ha invece parlato di pressioni del Viminale volte a ottenere l’eliminazione del 41 bis per alcuni boss. Sulla vicenda sono stati sentiti anche funzionari del Dipartimento come Edoardo Fazioli che ha ricordato come tra dicembre e luglio del ‘93 si parlò di una possibile estensione ai capimafia dissociati del regime carcerario speciale previsto per i brigatisti che prendevano le distanze dall’organizzazione. Una rivelazione che ha molto colpito la Procura, che ha chiesto di sentire Fazioli al processo per favoreggiamento al generale Mori, perché sembra citare quasi alla lettera uno dei punti del papello, l’elenco delle condizioni poste da Riina per far cessare le stragi. Presta fede a Conso, invece, il presidente dell’Antimafia Beppe Pisanu che, in un’intervista all’Ansa, sottolinea il rigore e il senso dello Stato dell’ex Guardasigilli, garanzie della sincerità delle sue affermazioni che di fatto negano la trattativa. Pisanu fa notare come le revoche del 41 bis del ‘93 non riguardarono capimafia “eccellenti”. Argomentazioni confutate dalla Procura che fa notare che tra i boss a cui venne tolto il carcere duro c’erano personaggi del calibro di Diego Di Trapani, Vito Vitale e Giuseppe Farinella, pezzi da novanta di Cosa nostra. Infine, dicono i pm, Conso, sentito specificamente sul 41 bis, otto anni fa, dal pm della Dna Gabriele Chelazzi, non fece cenno ai provvedimenti presi nel ‘93. Una dimenticanza? Su questo e su tanti altri punti oscuri tenta di far luce la procura di Palermo. Lettere: Buon Natale detenuti… di Maurizio Artale* Ristretti Orizzonti, 24 dicembre 2010 State tranquilli: ora a voi ci penseranno Papa Benedetto XVI e il Ministro della Giustizia Angelino Alfano. Il Papa acquisterà i panettoni prodotti dai detenuti per regalarli ai Dignitari Vaticani e il Ministro della Giustizia comprerà i manufatti realizzati dai detenuti per donarli agli amici e parenti. “Se ognuno fa qualcosa”: così diceva Padre Pino Puglisi, ma non intendeva questo. Il “qualcosa” a cui faceva riferimento Puglisi ero lo specifico di ognuno di noi. Lo specifico del Papa è essere di supporto e sollievo nella fede anche dei cittadini detenuti. E quale grande gioia può essere sostitutiva di una visita del Papa ai carcerati? Ricorderemo Giovanni Paolo II° per tante cose, ma soprattutto per i suoi viaggi per il mondo. Benedetto XVI sarà ricordato per il suo elevato sentimento teologico, ma anche per lo scandalo della pedofilia che ha dovuto affrontare. Perché non dedica un po’ del Suo tempo alla visita a tutti gli istituti penitenziari del mondo, mettendo in pratica il detto evangelico? In questo modo sarebbe ricordato come il Papa che volle essere presente in tutte le carceri, portando personalmente una parola di conforto ai detenuti. Ma, soprattutto, in questo modo farebbe vergognare qualche capo di stato, gridando, con la sua presenza, le condizioni disumane in cui fanno vivere i loro cittadini detenuti. Lo specifico del nostro Ministro Angelino Alfano è occuparsi seriamente delle persone recluse nelle carceri, e non solo con i proclami. È assolutamente incomprensibile sentire che il carcere di Gela è pronto, ma che verrà messo in funzione a dicembre 2012. Abbiamo avuto circa 70.000 reclusi quest’anno in carcere e 65 suicidi. Credo che sia un lusso che non possiamo permetterci, a meno che il carcere di Gela non sia servito solo a fare arricchire qualche imprenditore colluso con la mafia e con la sporca politica. Comprare i panettoni e l’oggettistica dei detenuti è un gesto che va fatto e lo dovrebbero fare tutti, ma penso che questa attenzione da parte del Papa e del Ministro siano, non solo insufficienti, ma offensive della dignità dell’uomo. Essendo anch’io un cristiano, so che questa mia lettera non sarà letta con lo spirito di una critica politica, ma di un suggerimento fraterno. Buon Natale anche a voi. * Presidente della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Sicilia e Presidente del Centro di Accoglienza Padre Nostro Lettere: un ragazzo nervoso… di Stefano Anastasia* Terra, 24 dicembre 2010 “Un ragazzo nervoso”: è quello che ripete continuamente di essere, come a giustificare i suoi discorsi a tratti, i gesti irrequieti che accompagnano un flusso di parole a getto continuo, alcune mangiate da un dialetto stretto, antico, pronunciato in modo quasi infantile. “Un ragazzo nervoso”: è quello che ripete continuamente di essere, come a giustificare i suoi discorsi a tratti, i gesti irrequieti che accompagnano un flusso di parole a getto continuo, alcune mangiate da un dialetto stretto, antico, pronunciato in modo quasi infantile. Dietro arriva un altro ragazzo: non è un “piantone”, il detenuto pagato per aiutarne un altro disabile; è un suo compagno di cella, dove i tre più giovani - sono in sei - hanno deciso di fare i turni per sorvegliare Salvatore che di notte ha crisi terribili, delle quali probabilmente hanno tutti paura. Non è solo solidarietà, è che è meglio soccorrerlo al primo accenno di contrazioni, al primo lamento, se ci si riesce. Quest’estate è stato in coma per un mese, ricoverato in più ospedali romani, non sa quali: era totalmente privo di conoscenza. L’unica che viene a trovarlo è sua madre. Ha 50 anni, ma si sta ammalando. Lavora tanto e da sola mantiene la famigliola di Salvatore: la moglie di 16 anni, un bimbo di due. Perché gli altri sono tutti in carcere: il padre, i suoi numerosi fratelli, sparsi tra le carceri della Calabria, di Poggioreale, di S. Angelo dei Lombardi, dove Salvatore vorrebbe andare, perché c’è un centro clinico e per sentirsi meno solo, e anche perché è più vicino da raggiungere per i suoi. Lui è in carcere per la prima volta. Prima aveva avuto solo arresti domiciliari, ma i maschi della famiglia sono tutti in carcere. E tutti malati di epilessia. Il “caso” ce lo ha segnalato il bibliotecario del reparto, che ne ha pena: a volte ha visto Salvatore durante le crisi; ora pare che le sue condizioni stiano peggiorando, da dieci giorni circa si sente più debole, ha i piedi gonfi e dolori alle ginocchia; non riesce a stare eretto e per questo sta sulla sedia a rotelle. Mentre ascoltiamo questa storia che sembra letteraria per la sua esemplarità, mandiamo a chiamare il medico che lavora con noi allo sportello: per capire di che stiamo parlando, perché un ragazzo di 22 anni soffre così tanto - da sempre, dice - senza poter fare niente. Il dottore verifica quali farmaci assume Salvatore e in effetti sono quelli classici per l’epilessia. Servono indagini per capire perché è così resistente alla terapia. Ma Salvatore dice che ne ha fatte tante, di indagini, da sempre, e che non c’è niente da fare, e che ha forti dolori alla testa. Per questo prende l’Aulin, (anche otto pasticche al giorno) e, quando va bene, il dolore passa dalla testa allo stomaco. *Difensore civico dell’Associazione Antigone Lettere: il suicidio in carcere e il ruolo degli agenti di Roberto Martinelli* Secolo XIX, 24 dicembre 2010 Il suicidio in carcere è sempre - oltre che una tragedia personale - una sconfitta per lo Stato. Il comitato nazionale per la bioetica ha recentemente sottolineato che il suicidio costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze. La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere, argomento rispetto al quale il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, è da tempo impegnato nonostante la colpevole indifferenza di vasti settori della politica nazionale. Abbiamo tutti il massimo rispetto per il dolore dei familiari del detenuto Marco Fiori, morto suicida nel carcere di Pontedecimo. A mio avviso si rischia così, ancora una volta, di perdere di vista la realtà dei fatti e il senso dell’equilibrio, fornendo all’opinione pubblica un’immagine dell’Istituzione penitenziaria e in particolare degli appartenenti al corpo di Polizia Penitenziaria non rispondente alla realtà. A Genova Pontedecimo, e nelle oltre 200 carceri italiane, le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria lavorano ogni giorno con professionalità, zelo, pieno rispetto delle leggi, umanità ed abnegazione. Il carcere è un ambiente in cui vigono le leggi dello Stato, non “anarchia criminale” o “libertà di uccidere” in cui può accadere di tutto e di più. Il solo pensarlo è offensivo e inaccettabile, per tutti gli operatori penitenziari ma soprattutto per chi lavora 24 ore al giorno nella prima linea delle sezioni detentive. Pontedecimo è un carcere sovraffollato, con buona pace di chi dice il contrario sapendo di non dire la verità, perché i posti letto regolamentari accertati dall’Amministrazione penitenziaria sono 96 (43 per donne e 53 per uomini) ed i detenuti presenti sono invece 177 (96 uomini e 81 donne, con una percentuale del 55% di stranieri). I poliziotti e le poliziotte penitenziarie di Pontedecimo, che dovrebbe essere 167 ed in forza sono invece 115 (52 in meno), nel solo 2009 sono intervenuti tempestivamente a Pontedecimo salvando la vita a 9 detenuti che hanno tentato di suicidarsi ed impedendo che i 57 atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. E spesso questi nobili gesti delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria, che quotidianamente lavorano con grande professionalità nelle carceri genovesi, liguri e nazionali, non hanno il risalto che invece meriterebbero. Sono dunque certo che i colleghi della Polizia penitenziaria del carcere genovese di Pontedecimo attenderanno con serenità gli esiti dell’inchiesta della Magistratura sulla presunta “istigazione al suicidio” di Marco Fiori. Perché il nostro è un lavoro duro e difficile ma svolto ogni giorno nel pieno rispetto delle leggi e dei regolamenti con passione, competenza, professionalità ed umanità. *Segretario generale aggiunto Sappe Genova: 24enne suicida in carcere; sequestrate lettere e interrogato il compagno di cella Agi, 24 dicembre 2010 Il pubblico ministero Alberto Lari ha disposto stamani il sequestro, all’interno del carcere di Genova Pontedecimo, delle lettere e dei documenti relativi alla detenzione di Marco Fiori, il ragazzo di 24 anni che stava scontando una pena per rapina e che domenica sera si è impiccato utilizzando per cappio un lenzuolo. Il giovane, infatti, aveva già tentato due volte di togliersi la vita e, in più circostanze, aveva dichiarato in lettere al suo avvocato e, forse, in altri carteggi, la sua disperazione e l’incapacità di vivere in carcere la condizione di detenuto. Il pm aveva aperto un fascicolo subito dopo la tragedia ipotizzando il reato, a carico di ignoti, di induzione al suicidio. Fiori, in cella dal maggio scorso, durante la detenzione aveva tentato di suicidarsi con il gas e tagliandosi il collo con una lametta da barba che poi aveva ingurgitato. In una lettera al suo legale, l’avvocato Carlo Contu, aveva, inoltre, asserito di non reggere la carcerazione. Il legale aveva chiesto il trasferimento in un ospedale psichiatrico giudiziario. Il trasferimento era stato autorizzato, Fiori era in lista d’attesa per l’Opg di Torino. In cella con lui c’era Fabrizio Bruzzone, il maresciallo dei carabiniere uxoricida che venerdì aveva tentato di suicidarsi mettendosi un sacchetto di plastica in testa e riempiendolo con il gas di una bombola per un fornelletto. Bruzzone non era riuscito nel suo intento, salvato dallo stesso Fiori. Stamani, intanto, nella chiesa di San Giovanni Battista di Paverano, si sono tenuti di fronte a una folla commossa i funerali della giovane vittima. Indagine per “istigazione”, il pm accelera (Il Secolo XIX) Il carabiniere -assassino dovrà spiegare. Dovrà dire di cosa ha parlato con il compagno di cella ventiquattrenne Marco Fiori, nelle ore che hanno preceduto i tentativi di suicidio di entrambi; dovrà fugare il sospetto che ci sia una relazione fra qualcosa che hanno fatto, o di cui hanno discusso alla fine della scorsa settimana, con il gesto che Fiori ha compiuto domenica sera, quando s’è impiccato con una corda in bagno nel carcere di Pontedecimo. È la seconda svolta, forse la più significativa, nell’inchiesta che il sostituto procuratore Alberto Lari sta conducendo per “istigazione al suicidio”. Il pm ha ufficialmente “convocato” Fabrizio Brazzone, il militare che nell’agosto scorso ha ucciso a coltellate la moglie Mara Basso nella loro abitazione di Pegli, ovvero l’uomo con cui la vittima ha diviso il giorno e la notte prima di ammazzarsi. L’interrogatorio avrebbe dovuto svolgersi ieri mattina in carcere, ma il quadro psicologico del maresciallo era talmente problematico che è stato rinviato. E il colloquio potrebbe avvenire oggi. Contemporaneamente, il magistrato ha ordinato il sequestro di tutti documenti che, in un modo o nell’altro, possono aiutare a definire meglio le ultime ore di vita di Fiori: sia i registri che documentano i vari trasferimenti e l’esito delle visite psichiatriche, sia soprattutto le lettere che aveva scritto fra ottobre e novembre, una sorta di preludio a quanto avvenuto domenica scorsa. Non è un mistero che, da subito, il caso di Fiori fosse stato considerato anomalo. Il giovane era infatti agli arresti dal 7 maggio, quando fu bloccato a San Fruttuoso dopo aver rapinato un supermercato per pagarsi debiti di droga. Sulle prime era stato dipinto come il bandito che aggrediva e derubava le anziane del quartiere, e per questo “punito” con una violentissima aggressione a Marassi. In altre due occasioni era stato picchiato perché aveva contribuito con le sue dichiarazioni a incastrare una banda di spacciatori, o per aver semplicemente incrociato un folle durante l’ora d’aria. Fatto sta che, profondamente depresso, era stato trasferito a Pontedecimo dove aveva cercato la morte. La direttrice Maria Milano aveva chiesto che fosse accompagnato in una struttura protetta, a Torino. La sua pratica era già al vaglio del tribunale di sorveglianza, ma evidentemente non s’è fatto in tempo. Sicilia: 4 nuove carceri, ma quello di Villalba è chiuso da 20 anni “per ristrutturazioni” La Sicilia, 24 dicembre 2010 Continua a rimanere fuori dai circuiti di riconversione il carcere di Villalba (Ct), tagliato fuori ancora una volta dall’intesa firmata l’altro ieri a Roma tra l’assessore regionale alle Autonomie locali Caterina Chinnici e il Commissario delegato per il Piano carceri, Franco Ionta. In Sicilia sorgeranno quattro nuovi carceri a Catania, Marsala, Mistretta e Sciacca per assicurare 2.400 posti. Risale appena allo scorso anno l’ennesimo tentativo di riportare in auge la struttura carceraria, quando il comitato cittadino presieduto dall’ing. Salvatore Bordenga (oggi presidente del Consiglio comunale), scrisse al ministro di Grazia e Giustizia Angelino Alfano e per conoscenza al Sen. Salvo Fleres che, facendo proprio l’appello partito da Villalba, scrisse al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria richiamando le potenzialità del carcere: “Ricevo copia dell’istanza popolare con la quale i cittadini di Villalba, territorio in provincia di Caltanissetta, chiedono che venga riaperta l’ex casa mandamentale. Quando la struttura funzionava tra il 1985 e il 1990, ospitava circa 70 detenuti. Dopo la chiusura lo stabile è stato ceduto al Comune di Villalba che, nonostante i diversi tentativi di affidamento all’esterno, non è riuscito ad utilizzarla, considerata la tipologia esclusiva della struttura. Ogni tentativo di riconversione dello stabile è di fatto impensabile, mentre, pare che dai sopralluoghi effettuati dal personale tecnico di codesto Ministero, sia emersa la possibilità che con una spesa modesta (considerato che i servizi comuni sono già realizzati), si possa ampliare la struttura con una sopraelevazione portandola a 150 - 200 posti letto. Si chiedono a codesto Ministero - conclude Fleres - notizie in merito allo stabile, ad una sua possibile utilizzazione immediata o ad un suo ampliamento che consentirebbe di utilizzare al meglio quello che è diventato solo un ammasso di cemento”. I problemi del carcere iniziarono quando il ministero di Grazia e Giustizia chiuse la casa mandamentale e l’immobile diventò di pertinenza del Comune. Il carcere di Villalba si compone di 32 celle a due posti, servizi igienici e docce annesse, la cucina per 250 pasti, la lavanderia, la mensa e spazi verdi per i detenuti, nonché padiglioni per gli uffici, la matricola e gli alloggi del personale. Tutto disponibile, ma tutto chiuso. Nei magazzini sotterranei si trovano riserve idriche per 350.000 litri e una bonza per il cherosene (è stato anche realizzato l’impianto di metano). La zona lavanderia è ancora funzionante, l’attrezzatura della sala cucina è stata invece smontata e rimontata nell’asilo nido. Nel braccio dove sono ubicate le celle, sez. A e sez. B, si trovano 16 celle a due posti per ogni sezione, dotate di servizi igienici, armadi e comodini a muro, letti a castello fissati al pavimento, impianto di riscaldamento e antenna tivù. Ogni cella misura circa 4 metri per 2.20 ed è chiusa da due porte ferrate: una a giorno e una per la notte, dotata di spioncino. Ogni sezione è dotata di docce. C’è anche una grande sala adibita a cappella. La zona per l’ora d’aria, si compone di circa 600 mq di spazi aperti delimitati da alte mura (circa 20 metri). Al piano superiore del carcere si trovano due appartamenti per il personale, ogni appartamento attrezzato di tutto punto misura circa 100 mq. Ma è tutto chiuso e abbandonato e l’indignazione continua a crescere nell’osservare uno spreco tanto sfacciato. Aosta: la Regione punta su formazione e reinserimento detenuti Ansa, 24 dicembre 2010 Nella casa circondariale di Brissogne, in Valle d’Aosta, si scommette su lavoro e formazione per offrire ai detenuti una possibilità di riscatto. Non attività per riempire il tempo della casa circondariale, ma iniziative che puntano sulla rieducazione cercando di offrire opportunità di reinserimento professionale attraverso una adeguata formazione spendibile successivamente anche all’esterno. A contribuire a queste iniziative sono la Regione autonoma Valle d’Aosta, che nel suo piano triennale di politica del lavoro prevede incentivi per l’assunzione di soggetti svantaggiati tra cui detenuti ed ex detenuti, il ministero del lavoro e l’Unione europea. Quattro i progetti di recente approvazione. Il primo, “Fare, creare, imparare”, coinvolge 80 detenuti ma anche gli agenti di polizia penitenziaria e propone percorsi di comunicazione ed espressione artistici per favorire la socializzazione dei reclusi. Una seconda iniziativa, rivolta a 8 detenuti, prevede invece un corso di formazione di 100 ore con altre 300 ore di laboratorio per diventare muratori e imbianchini. Altri 16 posti sono messi a disposizione per un corso di 400 ore per la formazione di manutentori di alberghi e di aiuto cuoco. Il quarto progetto, infine, è un corso (400 ore di cui 165 di teoria, 100 di pratica in carcere e 135 all’esterno), giunto alla sua seconda edizione, per addetti alle aree verdi e alle piccole manutenzioni, riservato a 8 detenuti. Tra le attività già avviate e in fase di conclusione, laboratori di apicoltura, di scultura, di scrittura autobiografica, di ginnastica e di grafica. Tra le iniziative anche un laboratorio di giornalismo, con la redazione di un mensile di 16 pagine realizzato da 8 detenuti con la supervisione di una docente e due volontarie. È nata lo scorso maggio la prima vera iniziativa lavorativa all’interno del carcere valdostano di Brissogne. Si tratta di una lavanderia ad acqua, gestita dalla cooperativa sociale Les Jeunes Relieurs di Aosta, nella quale sono impiegati tre detenuti regolarmente assunti con un contratto subordinato e inquadramento nel contratto nazionale di lavoro della cooperative sociali. Il progetto è stato seguito e accompagnato nella sua elaborazione dall’Agenzia regionale del lavoro, struttura dell’amministrazione regionale che svolge attività di programmazione, progettazione, sperimentazione, valutazione e monitoraggio delle politiche del lavoro e della formazione professionale e che gestisce le attività di formazione del personale regionale. Per la realizzazione della lavanderia l’Agenzia del lavoro si è avvalsa del Programma di Iniziativa Comunitaria Equal e ha attivato, prima della sua apertura, un corso formativo cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo (Fse). La lavanderia è al servizio della casa circondariale per il lavaggio delle coperte, delle lenzuola, dei grembiuli da cucina e degli indumenti personali dei detenuti, ma offre servizi anche a clienti pubblici e privati esterni. Una delle prime commesse acquisite, ad esempio, è quella relativa al lavaggio degli indumenti degli anziani utenti del servizio di assistenza domiciliare del Comune di Aosta, mentre con l’associazione degli albergatori valdostani (Adava) è stata avviata una collaborazione che potrebbe portare in tempi relativamente brevi all’avvio di un servizio di lavanolo per alcune strutture ricettive. I lavoratori della lavanderia operano con tre macchine lavatrici di proprietà della casa circondariale, mentre la cooperativa che gestisce il servizio ha acquistato una asciugatrice - centrifuga, una calandra e una impacchettatrice. Bologna: mediatori culturali aiutano i medici del carcere sulla prevenzione sanitaria Dire, 24 dicembre 2010 In carcere, a Bologna, abbondano gli stranieri ma non la salute. Ecco perché l’Ausl di Bologna ha deciso di mettere a disposizione del personale medico della Casa circondariale due mediatori culturali di lingua araba, che però conoscono anche l’inglese e francese. I mediatori, una donna algerina e un uomo palestinese, assistono dunque da qualche settimana il personale sanitario nelle funzioni cliniche e assistenziali a favore dei detenuti, il 72% dei quali è straniero. I due collaboratori si occupano anche di promozione dei programmi di screening e, assieme al medico della Casa Circondariale, coordinano gruppi di educazione alla salute su temi come la trasmissione delle malattie infettive, l’igiene, la prevenzione, l’educazione alimentare. La consulenza del mediatore viene richiesta anche su casi a rischio di autolesionismo. I mediatori del carcere hanno già avuto esperienze professionali inerenti: il palestinese ha lavorato dal 2004 al Tribunale di Bologna Sezione penale, la Corte d’Appello, il Tribunale di Porretta Terme e di Imola; la mediatrice di origine algerina ha lavorato invece al Servizio immigrazione del Comune di Bologna e nelle strutture sanitarie dell’Ausl del S.Orsola Malpighi. L’attività nella Casa Circondariale si aggiunge ai servizi di mediazione culturale che l’Ausl di Bologna mette a disposizione degli stranieri da circa dieci anni. In particolare all’Ospedale Maggiore e in quello di Bentivoglio, nell’area materno - infantile, al Centro per la salute delle donne straniere e dei loro bambini, al Poliambulatorio Zanolini a Bologna, e nei diversi consultori familiari presenti in tutti i distretti sanitari dell’Azienda. I mediatori svolgono un ruolo importante anche all’interno delle strutture psichiatriche. Venezia: il Comune favorevole alla costruzione di un nuovo carcere, ma in terraferma La Nuova Venezia, 24 dicembre 2010 Sarà anche un’ipotesi di progetto ancora in fase germinale, fatto sta che il nulla osta del primo cittadino è arrivato e la prossima settimana ci sarà un incontro a Roma tra Regione e Ministero per definire la questione del carcere circondariale che dovrebbe essere trasferito a Campalto, in via del Cimitero. L’argomento è destinato a far discutere. Il vicepresidente del Consiglio comunale, Saverio Centenaro, propone di spostare il sito individuato da Campalto a Cà Noghera, all’interno del perimetro di forte Pepe, struttura militare abbandonata da anni ed anni nascosta da erbacce alte anche due metri. Il consigliere del Pd Gabriele Scaramuzza pensa piuttosto provocatoriamente all’ex compendio Matter. L’assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso è concorde con uno spostamento nei terreni liberi della zona del forte, tra Cà Noghera e Montiron. “Sarebbe un luogo sicuramente più idoneo che non Campalto - precisa - del resto si tratta di una struttura militare”. “Una decisione di tale portata, con tutte le implicazioni del caso - scrive Centenaro in un’interpellanza - avrebbe dovuto trovare subito un immediato coinvolgimento del Consiglio comunale, non solo per le già disastrose scelte urbanistiche e di mobilità che la città subisce e subirà, ma anche per il fatto che la destinazione urbanistica di un’area di tale pregio deve essere valutata sulla base di una visione di pianificazione complessiva. Da alcune indiscrezioni - prosegue Centenaro - sembra che nei prossimi giorni sia stata convocata una riunione a Roma tra il Ministero e la Regione per definire le basi della realizzazione della nuova struttura: ne chiederemo conto”. Nel merito interviene anche il consigliere Scaramuzza: “È fuori dubbio che occorra trovare soluzioni in grado di risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri e il dibattito sulla collocazione di nuove case circondariali è questione delicata che genera legittime preoccupazione negli ambiti urbani potenzialmente interessati. Proprio per questo è necessario ricondurre sui giusti binari una discussione che rischia di non lasciare che scontento. Non vorremmo assistere - scrive Gabriele Scaramuzza - al ripetersi di un cattivo pregiudizio che presupponeva la collocazione nelle cinture più esterne delle funzioni di maggiore criticità. Così facendo quelle che erano periferie solo geografiche lo sono divenute anche dal punto di vista sociale, generando fenomeni di marginalità. Il sindaco Orsoni - conclude - ha vinto la propria sfida elettorale sotto le insegne dello sviluppo armonico. Confermi quella scelta dichiarando che nessuna decisione è presa e che si avvia un percorso di riflessione con tutta la città sul sito migliore dove collocare una nuova casa circondariale. Il territorio di Favaro si è fatto carico nel passato recente di interventi discussi e criticati. Ciò non fosse, risponderemmo provocatoriamente che anche i 17 ettari dell’ex compendio militare Matter si potrebbero benissimo prestare alla nuova struttura”. Infine Scaramuzza bacchetta il consigliere del Pdl Renato Boraso “preoccupato - scrive il consigliere Pd - di recuperare una visibilità ormai malconcia”. Bolzano: il carcere si trasferisce in periferia, nuove aree in centro per case e università Alto Adige, 24 dicembre 2010 La Provincia finanzierà la costruzione del carcere a Bolzano sud e otterrà dallo Stato il sedime di via Dante. Un terreno prezioso in centro. Il sindaco Luigi Spagnolli chiede alla Provincia: “Decidiamo insieme cosa fare in quell’area”. Il presidente Luis Durnwalder anticipa: “La destineremo a funzioni pubbliche, probabilmente la Lub”. L’accordo firmato venerdì a Roma dal presidente provinciale Luis Durnwalder e il commissario governativo delegato per il piano carceri Franco Ionta sblocca finalmente la situazione della casa circondariale di via Dante, le cui condizioni sono gravemente al di sotto degli standard accettabili sia per i detenuti che per gli operatori. La cerimonia natalizia di ieri con il vescovo Karl Golser lo ha ricordato a tutti gli ospiti esterni che ieri sono entrati nella struttura. Chiuso l’accordo, la Provincia ha fretta. I fondi per la costruzione ci sono già, verranno prelevati dal fondo di cento milioni che la Provincia dovrà garantire in base all’accordo di Milano per lavori pubblici di interesse locale o nazionale (come forma di partecipazione alla manovra di contenimento della spesa). È prevista anche una formula di partenariato pubblico - privato. “Vorremmo iniziare i lavori l’anno prossimo e terminarli nel 2013”, spiega Durnwalder. Il carcere verrà costruito nei dintorni dietro via Einstein, in direzione dell’aeroporto. Tra tre, quattro anni verrà dunque liberato l’attuale carcere. La discussione sul futuro di quell’area è quindi di stretta attualità. Soprattutto in una città in sofferenza di terreni. Ne ha parlato ieri il sindaco Luigi Spagnolli, a margine della cerimonia nel carcere. Spagnolli pensa a una operazione che può andare dal solo carcere a un’area più estesa: “Si dovrebbe ideare una operazione allargata, magari un piano di recupero unitario. Si libereranno di sicuro il carcere e da tempo è stata venduta a privati l’area dell’Enel, a pochi passi dal carcere. Periodicamente si parla anche di un trasferimento della questura e chissà, magari lo Stato potrebbe decidere di spostare anche il comando provinciale dei carabinieri, che sta proprio tra carcere ed Enel in via Dante. In quel caso l’area sarebbe consistente, circa due ettari in centro. Per quanto di sua competenza, la Provincia vendendo i terreni potrebbe ricavare cifre importanti da utilizzare per le proprie funzioni”. L’operazione potrebbe fare gola a investitori privati. Durnwalder per il momento esclude di avere in mente un business delle aree. L’idea, spiega il presidente provinciale, “è di realizzare una struttura pubblica al posto del carcere. Potrebbe essere una struttura legata all’università, ad esempio un convitto”. Che la destinazione dell’ex casa circondariale di via Dante sarà per opere pubbliche è stato specificato nell’intesa firmata con Ionta. Nell’accordo è previsto inoltre che, in base alla disponibilità dei fondi assegnati dallo Stato alla Provincia, sia possibile “applicare schemi contrattuali di partenariato pubblico - privato sia per la realizzazione dell’opera sia per una gestione più efficiente della struttura, la cui manutenzione sarà a carico del privato”. Pisa: detenuto 50enne tenta il suicidio impiccandosi, viene salvato dagli agenti Il Tirreno, 24 dicembre 2010 L’uomo, un cinquantenne italiano, è stato soccorso da un assistente della polizia penitenziaria e poi da un medico del Centro clinico del Don Bosco, intervenuti in tempo per strapparlo alla morte. In preda ad un momento di abbattimento, l’uomo si è impiccato nel primo pomeriggio di sabato scorso con un lenzuolo nella sua cella. Lo ha scoperto quasi subito l’assistente Michele Vignali e sul posto è arrivato immediatamente un medico del centro clinico del Don Bosco, il dottor Mario Caporale. In pochi minuti hanno sciolto l’uomo dal cappio e sono riusciti a rianimarlo. È stata quindi chiamata un’ambulanza e l’uomo è stato portato in ospedale, dove si trova tuttora ricoverato: le sue condizioni però non destano preoccupazioni e la prognosi è confortante. Sollevati la moglie e i figli del detenuto, disperati per la situazione e per questo suo gesto, avvenuto a pochi giorni dalle festività, un classico nelle storie di solitudine e abbattimento morale. Lunedì scorso si è tolto la vita, uccidendosi brutalmente a coltellate, con una determinazione senza precedenti, un ricercatore di appena 29 anni, sconvolto da un esaurimento che lo inseguiva da tempo. Il detenuto, in carcere con una pesante pena, era afflitto anche lui da una forte depressione. “Ringrazio il medico e l’assistente - ha detto il direttore del carcere, Vittorio Cerri - per il loro tempestivo intervento, per la professionalità e l’umanità che hanno dimostrato nei confronti del detenuto. È merito loro se è stato possibile intervenire in tempo e fare di tutto per poter salvare la vita di questa persona”. Sul caso è stata aperta un’inchiesta che è coordinata dal viceprocuratore, il dottor Antonio Di Bugno. Purtroppo i suicidi in carcere sono molti ed anche la Toscana è vittima di un triste primato. Volterra (Si): visita il padre detenuto e l’arrestano per una vecchia condanna a 3 mesi Il Tirreno, 24 dicembre 2010 Va in carcere a trovare il padre, che sta scontando una lunga condanna al Maschio, ma quanto esce trova i carabinieri ad attenderlo. È successo a un giovane di Roma arrivato nella città degli etruschi insieme alla madre e a un fratello. Il personale del carcere ha verificato che il giovane doveva scontare una condanna definitiva a tre mesi e 4 giorni di carcere per furto aggravato. E così all’uscita del carcere il giovane ha trovato i carabinieri ad attenderlo. È stato arrestato e trasferito in carcere a Pisa. Vibo Valentia: detenuto palestinese tenta l’evasione scavalcando il muro dei passeggi Agi, 24 dicembre 2010 Oggi pomeriggio un detenuto di nazionalità palestinese ha tentato di evadere dal carcere di Vibo Valentia, scavalcando il muro dei passeggi, dove stava effettuando la prevista ora d’aria, all’esterno della cella detentiva. Si tratta di un soggetto pericoloso, imputato di omicidio. Lo stesso si era reso responsabile di altri eventi critici, come un tentativo di suicidio. L’uomo è stato bloccato dagli agenti della polizia penitenziaria, prima che riuscisse ad uscire fuori dal carcere. Lo rendono noto Giovanni Battista Durante e Damiano Bellucci, rispettivamente segretario generale aggiunto e segretario regionale del Sappe. “Nel carcere di Vibo Valentia - affermano i due sindacalisti - ci sono 450 detenuti, a fronte di una capienza di 256 posti, con un sovraffollamento del 175%. Gli stranieri, pari a 160, quindi al 35,55%, superano di circa il 10% la media regionale. Il personale di polizia penitenziaria è di 157 unità, a fronte di una pianta organica di circa 200. Sarebbe opportuno un immediato incremento dell’organico di polizia penitenziaria, vista la continua crescita dei detenuti. Chiediamo che l’amministrazione proceda al più presto con le assunzioni previste dalla legge Alfano, di recente approvata dal Parlamento”. Palermo: Faraone (Pd) a Natale visita il carcere minorile di Malaspina Il Velino, 24 dicembre 2010 “Ho scelto domani mattina, giorno di Natale, per recarmi al carcere minorile Malaspina di Palermo per ascoltare i sogni e le aspirazioni di tanti giovani che stanno scontando la pena e sentono l’esigenza di una ripresa, di una speranza e di un futuro migliore”. Lo dice Davide Faraone, deputato regionale del Pd. “La società spesso - aggiunge - tenta di rimuovere dalla coscienza o di nascondere alla quotidianità una realtà a cui bisogna prestare attenzione e interrogarsi. Si devono interrogare le istituzioni e la politica deve impegnarsi per offrire una possibilità di riscatto a chi ha voglia di voltare pagina. Un’idea potrebbe essere quella di istituire - conclude Faraone - borse lavoro di un anno per gli ex detenuti, dimostrando che si può far uscire una persona dalla delinquenza con solo 500 euro al mese, così da strapparla alla criminalità”. San Cataldo (Cl): ex detenuti protestano; per un mese di lavoro ci hanno dato 100 euro! La Sicilia, 24 dicembre 2010 Sono tornati “alla carica” i 10 ex detenuti, che ieri mattina si sono recati al Comune di San Cataldo, stavolta non per chiedere lavoro, ma per un adeguamento del trattamento economico dopo quattro settimane di attività presso una cooperativa locale. Negli scorsi mesi, i soggetti svantaggiati, molti di loro con un passato difficile alle spalle, avevano dato vita a diverse manifestazioni di protesta tese ad ottenere l’attenzione dell’amministrazione comunale in termini di occupazione. Plateali alcuni gesti, tra cui lo sciopero della fame durante l’ultima fiera merceologica d’ottobre e la rimostranza direttamente dalla terrazza di Palazzo delle Spighe, cessata solo dopo aver ricevuto rassicurazioni da parte della Giunta circa l’impiego per 30 giorni lavorativi presso una cooperativa. Proprio il trattamento economico da parte della ditta non ha soddisfatto gli operai, che hanno interrotto una riunione del sindaco Giuseppe Di Forti: “Ci hanno dato appena 100 euro d’acconto, mentre il resto del salario lo avremo dopo metà gennaio, è una vergogna! - hanno detto. Tutti hanno il diritto di passare il Natale in maniera dignitosa, anche noi. Abbiamo ripulito un’intera città e desideriamo essere trattati come veri lavoratori, pagati come meritiamo e con un orario lavorativo adeguato”. Per controllare la situazione e calmare gli animi, sono intervenuti gli agenti di Polizia municipale e, successivamente, anche i Carabinieri. Al termine della mattinata, la situazione si è risolta e gli ex detenuti hanno sciolto la protesta. Cagliari: la pioggia non ferma la fiaccolata di solidarietà per i detenuti di Buoncammino L’Unione Sarda, 24 dicembre 2010 Se volete ricominciare, c’è chi crede in voi: è un regalo di Natale incorporeo eppure gradito quello che ieri la città ha fatto ai detenuti del carcere di Buoncammino. Un regalo portato in anticipo, visto che è arrivato ieri sera, al termine della decima fiaccolata “Stella di Natale del Buoncammino”, organizzata da numerose associazioni e comunità. Nonostante la pioggia, il serpente luminoso si è ritrovato davanti alla Cattedrale da dove, percorrendo via Martini, piazza Indipendenza e viale Buoncammino, ha raggiunto il carcere. A organizzare la manifestazione, tra gli altri, il convento dei Cappuccini, la Caritas con don Marco Lai, Mondo X Sardegna di padre Morittu, Oltre le sbarre, La Collina di don Ettore Cannavera, l’Oftal, l’Azione Cattolica e la comunità parrocchiale di Sant’Elia. Il corteo, guidato da padre Cristiano Raspino, è stato animato dal Tlc (Testimonianza laico cristiana) musicale. I momenti più toccanti, come avviene da dieci anni, all’arrivo al carcere. Luci spente, le finestre erano illuminate dalle candele messe lì dai detenuti. Una risposta simbolica alle centinaia di fiaccole portate dai partecipanti. Ed è cominciato lo scambio di auguri attraverso i megafoni: i parenti dei reclusi hanno abbracciato idealmente i loro congiunti, cercando, attraverso i messaggi lanciati nell’aria, di rendere loro meno amare le festività trascorse dietro le sbarre. Ma a inviare gli auguri ai detenuti anche altri cittadini, andati lì per testimoniare la vicinanza della società civile a chi vive situazioni difficili. Non è stato un monologo dei partecipanti alla fiaccolata: anche i detenuti hanno avuto a disposizione un megafono con il quale hanno risposto ai messaggi dei partecipanti. Così genitori e figli, fratelli e sorelle si sono potuti scambiare gli auguri senza dover aspettare i canonici colloqui. Como: stato di agitazione della Polizia penitenziaria al carcere del Bassone Ansa, 24 dicembre 2010 Carenze di organico, pesanti contrasti con la direzione, problemi di ogni genere. Il personale del carcere del Bassone è in stato di agitazione. Lo ha comunicato ieri Massimo Corti, segretario provinciale della Federazione sicurezza della Cisl e sovrintendente di polizia penitenziaria al Bassone. Al carcere lariano, dicono i sindacati, mancano ancora 80 agenti di polizia penitenziaria. “Lavorare in queste condizioni non soltanto è massacrante, ma riduce al minimo anche tutte le condizioni di sicurezza”. Sempre dalla Cisl, si apprende che nei giorni scorsi - in seguito all’esposto di un detenuto - il nucleo antisofisticazione dei carabinieri ha ispezionato le cucine delle carceri, riscontrando “diverse anomalie” in quelle che preparano i pasti per i detenuti. Libri: “Il picciotto e il brigatista”, di Roberto Gugliotta e Giovanna Vizzaccaro di Emanuela Meucci Libero, 24 dicembre 2010 “Ti sto dicendo che facciamo la stessa cosa, Professore. Combattiamo perché siamo convinti di avere ragione. Combattiamo per ottenere obbedienza”. Si può riassumere con questa frase Il picciotto e il brigatista (Fazi, pp. 220, euro 16,50) del giornalista Roberto Gugliotta e dell’editor Giovanna Vizzaccaro. Un’opera a metà fra il saggio e il romanzo, dove gli autori ricostruiscono la storia italiana degli Anni 70 attraverso l’amicizia fra Francesco, “il Professore”, brigatista arrestato dopo una rapina, e Vincenzo, boss della mafia siciliana. Un racconto sospeso fra la fiction e la cronaca, nato grazie agli incontri con un pentito e un ex terrorista e alle rivelazioni di Gaetano Costa, killer pentito che nel 1997, in un’intervista a Sette, parlò di un presunto patto fra Stato e uomini d’onore per eliminare i capi brigatisti in carcere. Un accordo che sarebbe saltato proprio per il senso di lealtà verso altri compagni di cella. Quando vengono rinchiusi insieme nel carcere di Cuneo, tutto dovrebbe dividere i protagonisti del romanzo. Ma col tempo fra i due nasce una sincera amicizia che culmina nella decisione di creare una commissione per l’autogoverno dei detenuti. Perché dietro le sbarre i veri nemici sono i secondini, e per sfuggire a botte e soprusi tutto quello che i carcerati possono fare è cercare di allearsi per ottenere migliori condizioni di vita. Una lotta che diventa ancora più violenta quando vengono istituiti penitenziari speciali come l’Asinara, Pianosa e Fossombrone, e negli istituti di pena italiani inizia una lunga stagione di rivolte per modificare le regole del regime di carcere duro. Il percorso fatto insieme cambia sia Vincenzo, che decide di pentirsi, sia Francesco, che si dissocia dal terrorismo. Il Professore, che all’inizio si sente migliore rispetto ai mafiosi, con il tempo fa sempre più fatica a riconoscersi negli ideali a cui ha sacrificato tutto e ad accettare che i suoi vecchi amici si siano trasformati in assassini. Solo le parole di un “picciotto” riescono ad aprirgli gli occhi. “Sembra che le pallottole escono da sole, e voi siete i buoni che cercate di fargli cambiare direzione, e se non muore nessuno è merito vostro. Ma io credo che quando sparate prendete la mira, e se non cogliete nessuno… quello è merito di Dio. Allora tanto vale dirlo, che fra le altre cose che fate c’è anche sparare”. Io capivo che intendeva dire che se non avevano ucciso nessuno era stato loro malgrado, ma non riusciva a dirlo con parole chiare. Per fortuna, perché nei nostri cuori quella considerazione avrebbe aperto una breccia di vergogna molto profonda”. “Comunque si rigirasse la questione, il punto era sempre lo stesso: eravamo degli ipocriti. E me l’aveva fatto notare un sicario della mafia, pensai amaramente”.