Giustizia: le carceri sono sovraffollate perché riempite di persone senza pericolosità sociale Dire, 23 dicembre 2010 A 74 anni, un pensionato di origini siciliane trascorrerà il Natale in carcere, a Rebibbia Nuovo Complesso, per scontare una condanna ad 11 mesi di reclusione relativa a un reato commesso quattro anni fa. Protagonista di questa vicenda, segnalata dal Garante regionale dei detenuti Angiolo Marroni, Vittorio D.P., da tempo residente a Roma. L’uomo, a quanto appreso dai collaboratori del Garante, era stato arrestato nel 2006 con mezzo grammo di cocaina e, per questo condannato a 11 mesi di carcere. Arrestato il 9 dicembre scorso, l’uomo non ha la possibilità di accedere alle misure alternative al carcere e dovrà scontare per intero la sua condanna in una cella, perché non ha un’abitazione dove risiedere, visto che, fino ad oggi, ha alloggiato in una stanza pagando l’affitto in nero. “Anche quest’anno sono diverse le persone anziane che, pur non avendo una reale pericolosità sociale, passeranno il Natale in carcere - ha detto Marroni - Ciò che colpisce della storia di quest’uomo è l’età avanzata e la sproporzione fra il reato commesso e la pena comminata. In una condizione di estrema criticità del sistema carcerario come quella attuale, non si trova di meglio che affollare le celle con persone senza una effettiva pericolosità per la società. Nonostante gli appelli al buon senso assistiamo quotidianamente ad un sistema che ha imboccato una via pericolosa, punendo con il carcere ogni condotta contraria alla legge”. Giustizia: allarme per la situazione degli Opg; strutture fatiscenti e detenuti in condizioni estreme di Alfonso Bianchi Terra, 23 dicembre 2010 L’associazione Antigone: “Strutture fatiscenti e poco personale. A Napoli un uomo condannato a 2 anni è ormai detenuto da 25. Subito interventi”. A lanciare l’allarme sulla situazione degli Ospedali psichiatrici giudiziari è l’associazione Antigone, impegnata nell’assistenza ai detenuti italiani. Secondo la recente indagine sulle condizioni dei 1.452 reclusi nei sei Opg di Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stivere, Montelupo Fiorentino e Reggio Emilia, emergono dati preoccupanti. La fotografia del sistema è, difatti, chiara: strutture fatiscenti e detenuti in condizioni estreme. Nell’istituto siciliano, ad esempio, per 336 internati ci sono solo 28 infermieri e 6 consulenti psichiatrici con un monte ore di lavoro che permette loro di dedicare solo 48 minuti al mese per ogni detenuto. Scalpore, poi, fece la visita della Commissione guidata da Ignazio Marino (Partito democratico) che si trovò di fronte ad un internato nudo, legato al letto con della garza e con un foro nel materasso per far cadere gli escrementi in un pozzo. “Ma il problema - spiega Dario Dell’Aquila di Antigone - è che per questi soggetti definiti “incapaci di intendere” vi è anche l’impossibilità di sperare in una vita fuori le mura”. Per molti, infatti, brevi condanne si trasformano in un “ergastolo bianco”. Le pene non sono fisse e le misure di sicurezza possono essere prorogate se un medico rileva ancora pericolosità o se nessun servizio psichiatrico territoriale si prende carico del soggetto. Le proroghe solo dal 2000 al 2004 sono state 3.387. Eclatante il caso di Marco Leonardo: condannato a 2 anni è detenuto nell’Opg di Napoli da 25. “ Gli Opg vanno chiusi e superati, nel frattempo dovrebbero servire a far scontare la pena avviando i soggetti ad un percorso di recupero che ne garantisca il reinserimento sociale - conclude Dell’Aquila - La riforma invece va a rilento. Lanciamo un appello affinché le Istituzioni intervengano”. Sembra, intanto, che nei prossimi giorni verranno scarcerati circa 300 detenuti. Staremo a vedere. Giustizia: Uil-Pa Penitenziari; uno strazio vedere bambini nelle celle Il Velino, 23 dicembre 2010 “Visitare un carcere che ospita sezioni per mamme detenute, con annessi nidi, è uno strazio”. Questo il commento di Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari, al termine della visita effettuata questa mattina alla casa circondariale di Avellino - Bellizzi, dove sono ospitate cinque donne con bambini in cella. “Tra gli innumerevoli impegni disattesi dal governo e dal Parlamento c’è anche la mancata legiferazione in materia di bimbi detenuti. Un Paese non può considerarsi civile se costringe i bambini a una ingiusta detenzione. Mi appello con fervore - continua Sarno - agli amministratori di Avellino perché possano sinergicamente individuare con l’amministrazione penitenziaria una soluzione che liberi quegli innocenti dall’affronto delle sbarre”. Le norme - spiega Sarno - “consentono di delocalizzare in ambienti esterni, sebbene protetti, le mamme detenute. Già a Milano è stato sperimentata con successo un’iniziativa per la quale un appartamento messo a disposizione dagli Enti è stato trasformato in locale di detenzione per alcune mamme detenute. Auspico che ciò possa avvenire anche per la mia città. Sarebbe bello che in questi giorni di festa ci si possa ricordare anche di questa sofferenza imposta”. La visita della Uil a Bellizzi ha confermato il degrado della struttura, il sovrappopolamento e l’emergenza per le scarse dotazioni organiche. “Purtroppo - prosegue il segretario generale della Uil Pa Penitenziari - i tagli lineari di Tremonti determinano l’impossibilità di procedere agli interventi ordinari di manutenzione dei fabbricati, che si consegnano in tal modo all’inevitabile degrado per usura. Il nuovo padiglione in via di consegna potrebbe essere l’occasione per un piano di ristrutturazione generale” anche se “senza personale disponibile per attivare quello che, nei fatti, è un nuovo istituto (capienza circa 400 posti), si rischia di aver edificato l’ennesima cattedrale nel deserto”. Grave risulta la situazione degli organici della Polizia penitenziaria. “L’organico della polizia penitenziaria, fissato per decreto ministeriale, dovrebbe assommare a 350 unità - spiega Sarno - . Ne sono presenti invece 258, di cui 62 al Nucleo Traduzioni e piantonamenti. Al netto delle unità impiegate in servizi sussidiari, complementari e d’ufficio, le unità preposte alla sorveglianza sono poco più di 100. Le donne invece dovrebbero essere 45, ma ne sono presenti in servizio solo 18, ed è tutto dire”. Giustizia: detenuti rischiano di restare senz’acqua, perché carceri non pagano la bolletta Ansa, 23 dicembre 2010 Per quasi tutto il 2010 il carcere di Taranto non avrebbe pagato le bollette per la fornitura idrica all’Acquedotto pugliese: per questo potrebbe subire il taglio dell’erogazione del servizio. Lo denuncia in una nota il vice segretario nazionale dell’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (Osapp), Domenico Mastrulli. “L’evento provocherebbe un gravissimo disagio all’intera struttura - afferma Mastrulli - sia per l’utenza detenuta, che a Taranto supera le 650 unità, sia per la polizia penitenziaria che, benché sott’organico, vanta trecento poliziotti, già costretti a soggiornare in una caserma pericolante e pericolosa per le infiltrazioni di acqua piovana”. L’Osapp chiede che siano stanziati nel più breve tempo possibile i fondi necessari per intervenire e sanare il problema dell’acqua. Problema simile in Toscana, come segnala il quotidiano “La Repubblica” nelle pagine locali. Il carcere di Ranza a San Gimignano, in provincia di Siena, si è infatti visto razionare l’acqua: la decisione, presa alcuni giorni fa dalla Direzione della casa di reclusione, è stata resa nota da un comunicato della Fp Cgil di Siena. Per il sindacato, il provvedimento è stato preso dopo che l’amministrazione penitenziaria si è prima rifiutata di contribuire all’allacciamento all’acquedotto del Comune e poi non ne ha attuato un progetto. La Fp Cgil chiede che siano stanziati “nel più breve tempo possibile i fondi necessari per intervenire e sanare il problema dell’acqua”. Giustizia: nel 2007 manifestarono contro il 41-bis, nuove condanne a L’Aquila Agi, 23 dicembre 2010 Il 3 giugno del 2007 attraversarono il centro dell’Aquila in occasione di una manifestazione nazionale contro il carcere duro. Un’ iniziativa che voleva appoggiare le proteste della brigatista rossa, Nadia Desdemona Lioce, detenuta nel carcere dell’Aquila e sottoposta al carcere duro dopo la sentenza passata in giudicato per gli omicidi dei giuslavoristi Massimo D’Antona e Marco Biagi. Questa mattina il Tribunale dell’Aquila ha posto la parola fine al secondo troncone del processo. Il primo si era chiuso con le condanne a due anni di reclusione, di giovani, soprattutto veneti ed emiliani per apologia di reato ed imbrattamento delle mura dei palazzi del centro storico. Le ultime condanne stamane nei riguardi di altri 12 manifestanti, tutti giovani, accusati di aver rotto le recinzioni sistemate fuori il super carcere di Preturo per far sentire la loro voce ai detenuti in regime “duro”. Si tratta di: Antonio Secondo (Sulmona) 8 mesi di reclusione; David Santini (Viterbo) 4 mesi di reclusione; Pasquale Gentile (Napoli), 7 mesi di reclusione; Francesco Benedetti, (Terni) 4 mesi di reclusione; Michele Del Sordo (Foggia), posizione stralciata. Verrà discussa il 30 dicembre; Stefania Carolei, (Ferrara) 7 mesi di reclusione; Maria Emma Musacci (Bologna); Anna Pistolesi (Bologna); Maurizio Ugolotti (Parma); Francesca Suppini; Sirio Manfrin Trento); Robert Ferro (Bolzano) e Mattia Boscaro (Padova), questi ultimi condannati a 7 mesi di reclusione. Nell’ambito dello stesso procedimento è stato assolto l’aquilano Marco D’Antonio. Il Pm aveva chiesto per tutti la condanna a 8 mesi di reclusione ciascuno. Nella prima sentenza erano stati condannati con l’accusa di istigazione a delinquere con riferimento alla apologia di reato: Chiara Alessi di 30 anni di Padova, Valentina Masiero di 25 anni di Padova, Angelo Adolfo Tomaselli di 47 anni di Verona ma residente a Venezia, Michele Magon di 27 anni di Venezia ma residente a Padova, Luca Geroin di 36 anni di Verona, Mattia Boscaro di 30 anni di Padova, Dario Nardin di 30 anni di Vigonza (Padova), Mario Ronzani di 29 anni di Padova, Alessandro Salotto di 32 anni di Padova, Domenico Tavani di 38 anni di Genova e Andrea Toniolo di 27 anni di Venezia. Il pubblico ministero Fabio Picuti aveva chiesto per gli imputati 5 anni di reclusione. Il corteo nonostante slogan provocatori non causò i disordini temuti. Durante il passaggio per il centro dell’Aquila, però, i muri di palazzi storici vennero imbrattati con bombolette spray prima di danneggiare la rete di recinzione del carcere delle Costarelle, dove è rinchiusa la Lioce. Giustizia: pacco-bomba all’ambasciata svizzera, sospetti legami con anarchici detenuti Ansa, 23 dicembre 2010 Anarchici italiani che avrebbero legami con alcuni detenuti del nostro paese rinchiusi nelle carceri svizzere. Sarebbe questa la pista privilegiata seguita dagli investigatori che stanno indagando sul pacco bomba esploso all’ambasciata svizzera di Roma. Analisti ed esperti di antiterrorismo e intelligence, dalle prime informazioni raccolte, sembrerebbero infatti non avere dubbi sulla matrice anarchica dell’attentato. Anche se al momento non risulterebbe esserci alcuna rivendicazione né vi sarebbero legami con i precedenti pacchi bomba spediti alle principali cancellerie europee. In particolare, viene fatto notare da fonti qualificate, nelle carceri svizzere sono detenuti diversi anarchici italiani: tra questi Costantino Ragusa, Silvia Guerini e Luca Bernasconi, uno svizzero ticinese ma residente in Italia. I tre sono stati arrestati dalle autorità svizzere lo scorso 15 aprile con l’accusa di preparare un attacco contro una sede svizzera dell’Ibm. I tre, secondo le autorità svizzere, farebbero parte di un gruppo di eco-terroristi denominato “Il silvestre” e nella loro auto sarebbero state trovate ingenti quantità di esplosivo. Nelle carceri elvetiche è detenuto anche Marco Camenish, lo storico anarco-insurrezionalista svizzero arrestato proprio in Italia, nel 1991, dopo un conflitto a fuoco con la polizia. E proprio nei giorni scorsi Camenish ha fatto nel carcere dove è detenuto uno sciopero della fame in solidarietà ai tre arrestati il 15 aprile. Bologna: 1.200 presenze rispetto alle 500 previste; Natale difficile per i detenuti della Dozza Redattore Sociale, 23 dicembre 2010 Con 1.200 presenze rispetto alle 500 previste, il carcere di Bologna rimane il più sovraffollato d’Italia. Volontari e guardie spiegano come saranno le feste dietro le sbarre. Durante (Sappe): “Solo in Emilia mancano 650 agenti”. Un altro Natale difficile per i detenuti della Dozza. La casa circondariale di Bologna rimane il carcere più sovraffollato d’Italia, e l’assenza da settembre della figura del garante (ora il ruolo è ricoperto dal difensore civico del comune) ha privato i detenuti di un importante canale di comunicazione con l’esterno. “È negativo che non esista più una figura incaricata esclusivamente di occuparsi dei diritti dei detenuti - spiega Giuseppe Tibaldi, presidente di Avoc (Associazione volontari in carcere) - . Il difensore civico ha già altri compiti ed è difficile che riesca a dedicare molto tempo ai problemi dei carcerati”. La questione del sovraffollamento, spiega Tibaldi, “rimane irrisolta: su una capienza di 494 persone sono 1.200 i detenuti effettivi”. Gestirli non è affatto facile, data la cronica carenza di agenti della polizia penitenziaria. “A livello nazionale mancano all’appello circa 6.500 agenti di cui 650 solo in Emilia - Romagna - spiega Giovanni Battista Durante, segretario aggiunto del Sappe (Sindacato di polizia penitenziaria) - : siamo spesso costretti a fare 2 o 3 turni di seguito”. Durante aggiunge anche che in tutta Italia ci sono 6 mila spazi detentivi che potrebbero ridurre il sovraffollamento, che però rimangono chiusi perché non ci sono agenti per controllarli. “A Forlì è in costruzione un nuovo carcere da 400 posti - spiega - ma in organico, per ora, non ci sono gli agenti necessari per tenerlo aperto una volta che sarà terminato”. La carenza di personale incide negativamente sull’attività di recupero dei detenuti, privando il carcere della funzione educativa che gli attribuisce la Costituzione. “Riusciamo a occuparci solamente della sorveglianza - afferma Durante - ma non a fare fronte ai tentativi di suicidio, agli atti di auto ed etero-lesionismo che in carcere sono molto frequenti: in tutta Italia ne avvengono 250 ogni giorno”. Nonostante le difficoltà, sono diverse le iniziative organizzate per alleviare la situazione di disagio che vivono i detenuti in regione nel periodo natalizio. L’Avoc ha messo a disposizione degli ospiti indigenti della casa circondariale (circa il 50%) un fondo di 5 mila euro per telefonare ai propri cari durante il periodo di festa. La notte di Natale, il cardinale Carlo Caffarra ha annunciato che celebrerà la tradizionale messa presso la casa circondariale della Dozza. Al carcere minorile del Pratello, invece, la Uisp ha organizzato “Nuvole in viaggio 2010” una serie di iniziative tra cui un triangolare di calcio e due momenti di festa il giorno di Natale e il 31 dicembre. Milano: il carcere di San Vittore come una polveriera, c’è un agente ogni due piani Il Giornale, 23 dicembre 2010 Le porte delle celle di San Vittore restano chiuse tutto il giorno: si aprono solo per consentire ai detenuti di recarsi all’ora d’aria, poi si richiudono per lunghe ore. Si tratta di una scelta - visto il sovraffollamento delle celle - che rischia di aumentare la costrizione fisica e psicologica dei detenuti e di innescare tensioni e violenze: ma che è resa inevitabile dalla carenza di personale di custodia. Il rapporto numerico è tale per cui, soprattutto nei turni pomeridiani e notturni, un solo agente vigila su due piani di carcere, ovvero su circa trecento detenuti. Uniche eccezioni, il centro clinico e l’ex sezione penale, dove è stato istituito un reparto sperimentale “Giovani adulti” in cui durante il giorno la circolazione è libera. Pagano: ora il pericolo è il proselitismo Una rivoluzione straordinariamente rapida del pianeta carcere, che ha invertito i rapporti numerici tra italiani e stranieri: Luigi Pagano l’ha vissuta in diretta, prima come direttore di San Vittore e ora come provveditore regionale alle carceri. “Fino a pochi anni fa - spiega Pagano - quando in carcere arrivava uno straniero dovevamo chiederci: e adesso questo dove lo mettiamo? Adesso abbiamo semmai il problema opposto, gli italiani sono una minoranza e a volte facciamo fatica a collocarli tutti insieme”. La trasformazione ha trasformato San Vittore nella più grande concentrazione islamica di Milano, ma questo non giustifica - secondo Pagano - il timore che nel carcere di piazza Filangieri prenda piede una deriva integralista: “Il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria - spiega - ha disposto che tutti i detenuti per fati di terrorismo internazionale vengano destinati alle carceri che noi definiamo “S2”, che sono comunque carceri a custodia speciale. Non a San Vittore, dunque. Credo che, oltre che per motivi di sicurezza, questa decisione sia stata presa sulla base dell’esperienza degli anni di piombo, quando nel circuito carcerario si realizzò una saldatura tra criminalità politica e delinquenza comune. Bisogna aggiungere che allora il terrorista era immediatamente riconoscibile, perché era lui stesso a proclamarsi prigioniero politico. Oggi, con gli estremisti islamici, questo non accade. E quindi l’assegnazione al circuito speciale viene fatta unicamente sulla base della posizione giuridica, cioè del reato che viene contestato al detenuto”. All’interno di San Vittore vige una separazione abbastanza rigida per etnia: i marocchini con i marocchini, gli albanesi con gli albanesi, eccetera. Perché questa scelta? Non era preferibile lavorare anche dentro il carcere per reparti multirazziali e multiculturali? “Non è stata una scelta fatta a tavolino. Sono i detenuti stessi che manifestano il desiderio di stare con i loro connazionali. Noi, nei limiti del possibile, cerchiamo di venire incontro a queste richieste. Anche in carcere si può scegliere”. Quanto pesa agi detenuti italiani essere divenuti una minoranza? “Gli italiani hanno percorsi abbastanza a sé, anche perché di fatto sono quasi gli unici a poter puntare a misure alternative”. Colpiscono, nelle ultime statistiche, i numeri - che iniziano ad essere significativi - dei detenuti per il reato di clandestinità. Quanto incidono sul sovraffollamento? “A San Vittore parliamo mediamente di 50 o 60 detenuti, che indubbiamente contribuiscono a aumentare i numeri complessivi. Ma il dato eloquente è un altro: a San Vittore il 50 per cento di chi entra, esce nel giro di pochissimo tempo, spesso una settimana. Questo, come si può immaginare, rende impossibile avviare qualunque tipo di trattamento rieducativo”. Oristano: interrogazione Pd per il detenuto sardo trasferito a Taranto Agi, 23 dicembre 2010 È stato segnalato al ministro della Giustizia Angelino Alfano, con un’interrogazione di due deputati del Pd, il caso di Graziano Congiu, bracciante agricolo di Milis (Oristano) detenuto per rapina, trasferito dal carcere di Oristano a quello di Taranto. I parlamentari Amalia Schirru e Guido Melis sottolineano che il difensore di Congiu ha lamentato di non poter svolgere nel migliore dei modi il proprio lavoro, a causa del trasferimento del suo assistito. A segnalare il caso del bracciante, nei giorni scorsi, era stata l’associazione Socialismo Diritti Riforme, presieduta dall’ex consigliera regionale, Maria Grazia Caligaris. “Le distanze dalla Sardegna - si legge nell’interrogazione dei due deputati sardi - creano di fatto problemi insormontabili che ledono il diritto della difesa sancito dalla Costituzione italiana. Senza entrare nel merito della decisione sull’applicazione dell’articolo 14 - bis della legge sull’ordinamento penitenziario secondo cui veniva applicato il regime di sorveglianza particolare, di fatto, il detenuto è stato privato di ogni minima possibilità di difesa in ordine al procedimento penale per il quale è stato tratto in arresto”. “Questa fase pre-dibattimentale, particolarmente delicata, richiede - si precisa nell’interrogazione - un confronto diretto tra il difensore ed il proprio cliente al fine di poter nel modo migliore possibile e senza alcuna limitazione, tutelare gli interessi dell’imputato ed approntare, in comune accordo con il difeso, tutte le migliori strategie processuali volte a preservare e garantire quel diritto alla difesa garantito dalla Carta costituzionale e dalla legge”. “In Sardegna - ricorda Caligaris, ribadendo la necessità del rispetto del principio della territorialità della pena - esistono altre strutture idonee ad ospitare detenuti sottoposti all’articolo 14 - bis della legge sull’ordinamento penitenziario (come Macomer, in provincia di Nuoro), facilmente raggiungibili dal difensore per poter adempiere al mandato professionale”. Bollate (Mi): il recupero dei detenuti? passa dall’arte del riciclo Affari Italiani, 23 dicembre 2010 Il carcere di Milano - Bollate - che ospita attualmente circa 1.200 detenuti - rappresenta in Italia un modello sperimentale innovativo centrato sul percorso di reinserimento delle persone detenute tramite la promozione di una cultura del lavoro, dell’autodisciplina, dell’autogestione e della partecipazione in contrasto con la passivizzazione che una detenzione inattiva inevitabilmente comporta. Gli obiettivi di sicurezza non si realizzano infatti buttando via la chiave, bensì costruendo all’interno degli istituti penitenziari percorsi che possano condurre a positivi cambiamenti negli autori di reato. L’idea di fondo è quella di offrire ai detenuti - nel tempo della detenzione - opportunità di apprendimento, di formazione, di crescita personale oltre che spazi di riflessione e creatività anche e soprattutto grazie allo scambio con la società civile che a vario titolo partecipa nell’organizzazione delle attività quotidiane dell’Istituto: lavoro, corsi scolastici e di formazione, teatro, poesia, sport, musica, pittura, scrittura. Il tempo della condanna a Bollate non è quindi un tempo vuoto, un tempo di ozio bensì un tempo in cui si sperimentano esperienze costruttive, nuove, diverse che - in un clima di legalità e trasparenza - vedono il detenuto soggetto di diritti e attore del proprio percorso. Il fine della rieducazione - su cui è fondata la pena detentiva secondo la nostra Costituzione - può infatti realizzarsi solo attraverso il riconoscimento e la garanzia del rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo, tra cui la dignità, la libertà di critica ed espressione. La libertà di espressione artistica - unita alla promozione di una cultura del riuso e del rispetto per l’ambiente - ha trovato nella proposta del laboratorio di “Riciclarte” un’ottima occasione di realizzarsi. Questa mostra inoltre rappresenta per i detenuti artisti un’importante occasione di uscire dal carcere portando oltre il muro insieme alle opere prodotte, anche concetti e principi che stanno alla base di una cultura civile da cui il carcere non può e non deve sentirsi estraneo. Si tratta di un’opportunità di scambio tra dentro e fuori fondamentale per rompere il pericoloso isolamento e l’autoreferenzialità dell’universo penitenziario. Il lavori esposti sono stati realizzati da un gruppo di detenuti dell’Istituto che - sotto la guida di Gianfranco Brambati - hanno riutilizzato gli avanzi di galera restituendo loro una nuova forma, un nuovo valore ed una nuova dignitosa collocazione. “Una lattina che diventa una lampada, un vecchio libro senza qualche pagina che diventa una nuova scatola, gli avanzi di falegnameria si trasformano in originali statuine del Presepe: nuove idee per vecchi oggetti, nuovi utilizzi per vecchie funzioni - spiega la curatrice della mostra Elena Tagliaferri - . Le risorse si risparmiano e le “cose” si “personalizzano” e si …..!”valorizzano”! Gli ospiti dell’Istituto Penitenziario di Bollate ci raccontano la loro realtà, quella realtà in cui mancano le risorse ed bisogni “creano”, in un circolo virtuoso che fa bene alla terra e soddisfa le necessità che gratificano i suoi ospiti “uomini”. “Voglio esprimere il mio apprezzamento nei confronti di un Progetto che, in un momento non facile per la vita delle persone e per la tenuta delle imprese, coniuga gli aspetti economici strettamente legati al risparmio delle risorse, con quelli legati alla socialità intesa come incontro di bisogni - afferma Maurizio Cadeo, assessore all’Arredo, Decoro Urbano e Verde del comune di Milano. A tutto ciò, nell’edizione di quest’anno, si aggiunge un ulteriore allargamento di orizzonti: Riciclarte diviene anche “voce” per quella parte di cittadini che, pur in situazione di reclusione, si adoperano per essere comunque presenti attraverso la condivisione di valori così importanti e significativi quali quelli del lavoro e delle energie pulite. Mondi che si contaminano attraverso sinergie d’intenti, arricchendosi l’un l’altro nella reciproca collaborazione. Così si parla di integrazione che abbatte il pregiudizio verso un modello di nuove sensibilità, sia umane che ambientali, che valorizzano la persona e rispettano l’ambiente favorendo un ritorno alla ciclicità dei percorsi delle materie prime che non possono riformarsi dal nulla, né tantomeno auto rigenerarsi, ma bensì devono essere rimessi il più possibile in un circolo virtuoso che altro non è che il cerchio della vita che vede, nell’ottimizzazione di ogni sua fase , salire l’indice della propria qualità”. Riciclarte, fino al 31 dicembre 2010. Piazza Amati, 3 - Milano - Inizio via Novara. Apertura: tutti i giorni dalle 10.00 alle13.00 e dalle 15.30 alle 19.30. Promossa dalla Cooperativa Sociale Articolo 3, con il patrocinio del comune di Milano - assessorato all’Arredo, decoro urbano e verde; di Legambiente circolo Milano ovest. Curatrice della mostra: Elena Tagliaferro. Ha guidato il laboratorio: Gianfranco Brambati. Reggio Emilia: Sappe; contro sovraffollamento tossicodipendenti in comunità e stranieri espulsi Il Resto del Carlino, 23 dicembre 2010 “Un provvedimento che fa cilecca. Per certi detenuti serve un’alternativa alla prigione, come i lavori socialmente utili. Così da restituire alla società una persona recuperata e non un nuovo potenziale delinquente”. Michele Malorni, segretario provinciale del Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria), è duro nei confronti della legge che entra in vigore oggi e che “sconta” il carcere ai detenuti con un anno o meno di pena residua con gli arresti domiciliari. “Le misure da adottare sarebbero ben altre. Una prima soluzione sarebbe quella di estradare gli stranieri condannati e fargli espiare la pena nel loro Paese. Non deve più contare la volontà dei detenuti che ora possono scegliere se scontare la pena in Italia o nella nazione di origine. Gli stranieri negli istituti penitenziari italiani sono il 73%. A Reggio, su 320 carcerati, sono 214. Un’azione simile sarebbe veramente efficace. Come quella di pensare a un’alternativa al carcere per i tossicodipendenti, anch’essi numerosi. A loro cosa serve stare dentro? Rubano per procurarsi la droga, hanno bisogno di una comunità di recupero e di trattamenti psico-farmacologici adeguati. Quando escono dal carcere, si restituisce alla società un tossicodipendente che tornerà a commettere un reato. Dunque, escludendo gli extracomunitari e i tossicodipendenti, gli istituti penitenziari tornerebbero a respirare. Per non parlare di quanto si risparmierebbe. Sapete quanto costa, per un giorno, allo Stato, un singolo detenuto? 300 euro. Se viene ricoverato in ospedale, invece, la cifra raddoppia. Insomma, è ora di trovare altri criteri per far scontare la pena. Per esempio si può pensare ai lavori socialmente utili per chi compie certi tipi di reato e ha una residenza sul luogo”. Un altro problema molto sentito - che deriva dal sovraffollamento delle carceri - è la carenza di personale di Polizia penitenziaria. Che provoca un maggior rischio di incolumità per gli agenti, ma anche peri cittadini “I tagli del Governo e le continue riduzioni d’organico fanno sì che il corpo di polizia penitenziaria - continua Malorni - sia ridotto all’osso e assai usurato. A Reggio, se contiamo anche le forze che arrivano dall’ospedale psichiatrico, siamo sotto alle cento unità. Non potendo considerare le 122 unità distaccate che sono sotto il comando della Casa circondariale di Reggio, ma in servizio fuori dalla provincia. Tra l’altro, qualche tempo fa, avevo chiesto al Prefetto un ispettore e tre sovrintendenti da destinare al completamento dell’organico Lecce: la Provincia presenta il Progetto “Genitori Sempre”… anche se detenuti www.iltaccoditalia.info, 23 dicembre 2010 Presso la Casa Circondariale di Borgo San Nicola, a Lecce, l’assessore provinciale alle Politiche Sociali, Filomena D’Antini Solero, ha presentato il progetto “Genitori sempre”, realizzato dall’assessorato alle Politiche Sociali e Pari Opportunità della Provincia, in collaborazione con il Centro Risorse per la Famiglia. Sono intervenuti anche la direttrice del carcere, Maria Rosaria Piccinni, e il dirigente del Servizio Politiche Sociali, Gilberto Selleri. “L’attività che abbiamo presentato oggi - ha dichiarato l’assessore D’Antini - si innesta nel più ampio progetto di mediazione familiare, un servizio attivato dall’amministrazione Gabellone che ancora una volta si contraddistingue per le attività a supporto delle famiglie salentine. Questa volta la Provincia vuole essere vicina ai detenuti e alle detenute della Casa Circondariale di Borgo San Nicola di Lecce per aiutare queste persone che, per vari drammi della loro vita, si trovano a vivere in reclusione, ed hanno difficoltà a relazionarsi con i loro figli. L’obiettivo è quello di far recuperare il ruolo genitoriale, affinché i figli dei detenuti si sentano sempre meno sfortunati rispetto a quanto la vita gli ha riservato”. Scheda del progetto 1. Mission. L’Assessorato alle Politiche Sociali e Pari Opportunità della Provincia di Lecce, avvalendosi del Centro Risorse per la Famiglia, servizio per la promozione delle politiche familiari, il sostegno alla genitorialità, e la mediazione familiare, civile e penale, promuove il progetto “Genitori Sempre”. Attraverso esso, punta alla promozione di azioni educative per la ricostruzione e consolidamento delle relazioni affettive tra genitori detenuti e figli, sia che essi vivano con la madre nella struttura carceraria, sia che incontrino il genitore durante i colloqui programmati. La separazione fisica e relazionale, nel rapporto con i figli, infatti, può innescare dinamiche, da scongiurarsi energicamente, di isolamento, rifiuto, impotenza del proprio ruolo genitoriale, tali da provocare gravi ricadute sia nello sviluppo psico-affettivo dei figli coinvolti, che nel processo riabilitativo carcerario in atto. 2. Destinatari - Donne detenute con figli presenti nella struttura carceraria e detenuti. Uomini e donne, con figli non presenti nella stessa. 3. Obiettivi - Sostegno alla genitorialità, mirato a padri e madri detenuti, per i quali si prevede un percorso di recupero del proprio ruolo e delle responsabilità connesse ad esso, contestualmente alla situazione di privazione della libertà. Recupero di canali comunicativi e relazionali, nella prospettiva del raggiungimento di un equilibrato rapporto emozionale tra padre/madre e figlio, di una capacità di gestione della sofferenza del distacco fisico, e di un conseguente superamento di quelle condizioni di disagio, di smarrimento, di vergogna o umiliazione, che la detenzione comporta. Individuazione di modelli di supporto psico - pedagogico per i figli, per sostenerli nel rapporto affettivo con i genitori, far conoscere e non occultare le cause reali del vissuto del genitore, in chiave narrativa, e attraverso una lettura dei bisogni e dubbi, insiti in ogni bambino. Rilevazione, a seguito di attenta osservazione, dei nodi problematici delle relazioni, e definizione di percorsi individualizzati di sostegno, mediativi nelle stesse relazioni, e ricostruttivi dei tessuti relazionali concreti, attraverso l’instaurarsi di un ponte comunicativo tra figlio e genitore. 4. Azioni - Il progetto prevede una programmazione articolata e mirata sui detenuti e sui loro figli. 4.1 Programma Genitori a) Incontri di gruppo formati da padri e madri detenuti in cui si affrontano e chiarificano temi che interessano la sfera familiare e genitoriale, con la partecipazione di esperti educatori, psicologi, assistenti sociali; b) colloqui individuali, d’intesa, e su indicazione, della direzione. 4.2 Programma spazio gioco. Inaugurata il 9 gennaio 2009, la Sala Giochi, per attività ludico - formative dei bambini delle detenute della sezione femminile della casa circondariale Borgo San Nicola di Lecce, si offre sia come servizio di accoglienza per i figli dei detenuti, in attesa di incontrare i genitori nei colloqui settimanali, sia come luogo neutro di incontro, in cui i genitori possono vivere esperienze di relazione con i propri figli, quali il gioco, il raccontare e il raccontarsi attraverso la verità narrabile, lo studiare e aiutare i figli nello svolgimento dei compiti scolastici, in presenza di educatori e psicologi di supporto alle attività pratiche. 5. Risorse umane - Educatori/mediatori. Psicologo/mediatore. 6. Tempi e accesso - Si prevedono uno o due incontri settimanali, concordati con la Direzione e l’area pedagogica interna. I genitori detenuti possono fare richiesta di partecipare al progetto intervento liberamente. 7. Costi - Il progetto non comporta alcun onere. Sciacca (Ag): 3 anni per il nuovo carcere, ma senza manutenzione l’attuale dovrà chiudere prima La Sicilia, 23 dicembre 2010 Una nuova struttura entro tre anni, ma senza una regolare manutenzione la Casa circondariale rischia di chiudere prima. Ulteriori e importanti novità per il nuovo carcere saccense, inserito nel piano predisposto dal Governo. “I soldi sono già disponibili e quello di Sciacca verrà realizzato per primo insieme a quello di Catania”. Lo afferma il vice presidente della Commissione Bilancio della Camera dei deputati, Giuseppe Marinello, il quale aggiunge ulteriori dettagli alla positiva notizia dell’intesa Stato - Regione per la realizzazione di quattro nuove strutture di detenzione in Sicilia. Marinello specifica che 200 milioni di euro sono già stati messi da parte e che mai come questa volta l’iter per i nuovi istituti di pena è così avanti: “A Sciacca e Catania ci sono situazioni di precarietà che occorre colmare immediatamente - continua - sono già disponibili 40 milioni di euro per il carcere di Sciacca, che sarà costruito con tecnologia modulare, uguale a tutti gli altri. Nel piano hanno ottenuto la priorità una struttura nella Sicilia occidentale e una nella parte orientale, penso che in tre anni, se non ci saranno intoppi, la nuova Casa circondariale sarà una realtà”. Tutte le strutture saranno edificate in tempi rapidi secondo le disposizioni urgenti per la realizzazione di istituti penitenziari stabilite per il piano carceri. La situazione del carcere saccense è stata etichettata come “emergenza” alla luce dello stato di degrado strutturale in cui versa l’ex convento di via Gerardi, dove detenuti e personale affrontano evidenti disagi. Allo stato attuale non c’è un problema di sovraffollamento, i detenuti sono poco meno di 100, di poche unità oltre il limite previsto, ma è la fatiscenza dell’immobile e il mancato finanziamento di interventi di manutenzione a determinare una situazione di vivibilità difficile. A Sciacca non arrivano fondi ormai da anni, e di soldi ce ne vorrebbero tanti per un minimo piano di adeguamento dell’edificio. “Io spero che le buone notizie circa il nuovo carcere - dice il direttore, Fabio Prestopino - non facciano dimenticare che in questo momento c’è una struttura che richiede attenzione”. Il direttore parla di emergenza continua e racconta, come esempio, del recente guasto all’autocisterna che ha provocato assenza per mezza giornata di approvvigionamento idrico. Alcuni mesi fa c’è stato un sopralluogo dell’amministrazione penitenziaria nell’ambito dell’iter per la realizzazione del nuovo istituto penitenziario. Il Comune ha fornito tutta la documentazione utile con le planimetrie delle aree visitate, dove sono stati fatti anche dei rilievi fotografici. Trapani: detenuti e anche mastri d’ascia, con il Progetto del Consorzio Solidalia La Sicilia, 23 dicembre 2010 L’obiettivo l’ha annunciato il presidente del Consorzio Solidalia Maurizio Sturiano: “Intendiamo recuperare una tradizione ed insegnare un mestiere”. La tradizione è quella dell’attività navale, il maestro d’ascia è il mestiere. Un corso di formazione permetterà a detenuti ed ex detenuti di poter imparare un lavoro che i cantieri navali rischiano di perdere. L’assessore provinciale alla Solidarietà Sociale Giovanni Lo Sciuto ha sottolineato “l’impegno della Provincia che ha voluto partecipare al recupero di questi soggetti. Chi ha sbagliato ed ha pagato per le sue responsabilità può essere recuperato alla società con un lavoro. È la soluzione migliore per tornare ad essere cittadini”. Più di un cantiere navale ha mostrato la sua disponibilità all’assunzione. Per Turano si tratta di “una grande opportunità per aiutare chi ha qualche difficoltà a rientrare nei meccanismi della società”. Oltre a Provincia, Consorzio, Prefettura, Dap ed Università di Bologna, con Archeologia Navale, hanno voluto fare la loro parte per un progetto finanziato con fondi europei dall’assessorato regionale alla Famiglia. Fermo (Ap): dal carcere ai campi da calcio, quindici detenuti al corso per arbitri Corriere Adriatico, 23 dicembre 2010 Una quindicina di ospiti dell’istituto penitenziario di Fermo, da gennaio, due volte a settimane, per 40 ore, saranno avviati a un corso per arbitri di calcio. La formazione avverrà durante il periodo detentivo: l’iniziativa, per la quale hanno unito le energie i vertici della Uisp locale e quelli della casa circondariale, ha il sostegno della Provincia; ieri il progetto è stato presentato alla stampa. Hanno partecipato il presidente della Provincia Fabrizio Cesetti e l’assessore allo Sport Gaetano Massucci; la direttrice delle carceri, Eleonora Consoli, il comandante Nicola De Filippis; il presidente della Uisp Umberto Cingolani; l’istruttore Maurizio Tardella e l’educatore Nicola Arbusti. Massucci ha avviato i discorsi, parlando di una Provincia che non fa mancare senso educativo alle iniziative. Pena significa riabilitazione - ha detto Cesetti - cosa giusta che attiene ai nostri principi, ai veri valori e alla coesione sociale. La Consoli ha sottolineato l’importanza del progetto e ha ringraziato la Provincia: Auspichiamo che questo sia un inizio. Le famiglie dei detenuti hanno bisogno di risorse e spesso ci si è trovati a dare giustificazioni. In realtà si collabora tutti, anche se dobbiamo reperire persone e strutture esterne per andare incontro al cittadino che, saldato il conto con la società, deve essere messo in grado di recuperarsi. De Filippis si è detto certo che il progetto andrà avanti, nonostante la carenza di fondi e di personale. Arbusti ha sottolineato la particolarità del corso: I detenuti dovranno cercare di fare rispettare le regole; aspetto interessante. Cesetti ha lanciato l’idea di imprese lavorative (Progetto Colombo) anche all’interno del carcere. Un progetto che può essere rilanciato. Roma: concerto gospel per detenute di Rebibbia Dire, 23 dicembre 2010 “Continua il successo dell’iniziativa organizzata dalla Regione Lazio “È Natale per tutti” che prevede grandi interpreti della musica, in concerto negli Istituti di detenzione nel territorio regionale”. Lo dice, in una nota, l’assessore agli Enti locali e Sicurezza della Regione Lazio, Giuseppe Cangemi, che nel portare i saluti e gli auguri della presidente Renata Polverini nel carcere di Rebibbia ha presentato una serie di programmi negli Istituti di Pena che “non si limiteranno solo per le festività natalizie ma si tratterà di una azione duratura ed omogenea per i prossimi anni”. Cangemi spiega che “anche oggi si è andati oltre ogni positiva previsione, è stato un enorme successo tra le 250 detenute della casa circondariale di Rebibbia per il concerto del Coro Gospel New York State Choir, corale composta da 30 elementi, cantanti e musicisti professionisti proveniente direttamente dagli Stati Uniti. Gruppo famoso conosciuto per il proprio impegno nell’obiettivo dichiarato di rendere ogni concerto un momento di grandissima condivisione spirituale, infatti è riuscito a suscitare grande entusiasmo fra le 250 detenute autorizzate dalla Direzione del carcere a partecipare al concerto. È stato per me un piacere vedere il grande consenso e soddisfazione delle ragazze che ballavano con entusiasmo, ed a tratti molto emozionate”. Con questa manifestazione, che si è articolata su varie direttrici, in particolare sulla musica, sul cinema e sulla lettura, “si è concepita in maniera attenta la possibilità per chi vive dietro le sbarre di aprire uno spiraglio verso il mondo esterno. Più che una serie di eventi, vogliamo creare un percorso permanente reso possibile grazie alla collaborazione di molti artisti che, rappresentano preziose risorse, che mettono a disposizione il loro talento”. Cangemi, in conclusione, si dice “sicuro che nel tempo, a seguito del successo continueranno ad aumentare dando la loro adesione per regalare un motivo di svago a chi vive recluso in una cella. Oggi a Rebibbia ne è la prova l’accoglienza e la gratitudine manifestata al termine del concerto del Gospel statunitense da moltissime detenute che si sono volute intrattenere per ringraziarmi per aver creato loro dei momenti che hanno permesso di alleviargli momenti di difficoltà personale che si vivono quando si è in regime di detenzione”. Rovereto: i detenuti, al fianco di Modigliani, espongono al Mart Il Trentino, 23 dicembre 2010 I detenuti del carcere di Rovereto, al fianco di Modigliani, espongono al Mart. Proprio così, né più né meno: i quadri e le opere in ceramica realizzati durante l’anno da un gruppo di 52 detenuti e detenute della casa circondariale saranno in mostra dal 18 al 30 gennaio, in uno dei piani intermedi del museo. Il Mart è tra i primi musei di livello internazionale (se non il primo in assoluto) ad ospitare opere artistiche provenienti da un laboratorio di per detenuti. La mostra si chiama, significativamente, “Liberamente al Mart”, e viene da una collaborazione tra tre enti, che dura già da alcuni anni. Accanto al museo (in particolare la sezione didattica) ed al carcere, c’è anche la Fondazione “Contessa Lene Thun” di Bolzano, che ha curato la formazione nella ceramica. Le opere, sia di pittura che di ceramica, hanno raggiunto un buon livello qualitativo, pienamente degne quindi di comporre una mostra. Per la casa circondariale non si tratta della prima mostra; già l’anno scorso infatti le opere di ceramica vennero esposte negli spazi della sede circoscrizionale del Centro. Esporre al Mart è però tutta un’altra cosa, tanto più che in questo periodo il museo accoglie l’importantissima mostra su Modigliani. Come la stessa Costituzione afferma, l’obiettivo del carcere non è punitivo, bensì educativo e volto al reinserimento. La direttrice Antonella Forgione ha sempre cercato di attivare progetti formativi e di reinserimento della persona. “In questo senso - spiega Giuseppe Stoppa, educatore che ha seguito la formazione artistica - anche delle attività ludico ricreative possono favorire la promozione della persona, rinforzandone l’autostima, stimolandone gli interessi. Cerchiamo di trarre gli aspetti positivi da persone, che per un vissuto difficile e faticoso, hanno espresso molte negatività. Vedere poi esposti al museo i prodotti dei laboratori, che hanno dato esiti più che positivi, è una grande soddisfazione per i detenuti ed anche per noi”. Il laboratorio artistico dedicato alla pittura - condotto assieme alla sezione didattica del Mart - si è tenuto da giugno ed agosto, mentre quello sulla ceramica, frutto della collaborazione tra casa circondariale e Fondazione Thun, è durato da giugno a dicembre. “L’educazione artistica - spiega Denise Bernabé della didattica - è diventata strumento di crescita e valorizzazione della persona, attraverso interventi di tipo artistico - espressivo, indirizzati alla consapevolezza del detenuto”. Oltre ad imparare a modellare o dipingere, insomma, si è puntato alla crescita culturale ed allo stimolo dell’emotività, oltre che della manualità. E chi sembrava fosse ai margini della società, ha dimostrato di avere ottime capacità artistiche. Pordenone: la Scuola Alberghiera porta pasticcini e biglietti di auguri ai detenuti www.pordenoneoggi.it, 23 dicembre 2010 Una classe seconda ha preparato deliziosi dolcetti e i ragazzi della prima hanno confezionato originali bigliettini di auguri. Una delegazione di dodici alunni accompagnati dai docenti Patrizia Console e Stefano Bertolo hanno consegnato i preziosi doni al personale del carcere di Pordenone che li ha prontamente recapitati ai detenuti. Un’esperienza indimenticabile. Quattro studenti della scuola alberghiera, Gloria Borgobello, Soraya Corba, Georgette Ennin, Keyla Anderson hanno raccontato in questo modo la particolare iniziativa natalizia. “Abbiamo vissuto un’esperienza unica, abbiamo portato dei dolci e biglietti d’auguri ai detenuti del carcere di Pordenone. Sarebbe stato più interessante poter parlare direttamente con i detenuti per farci un’idea di come ci si sente davvero a vivere lì dentro, isolati dal mondo, privi di libertà, però abbiamo incontrato le guardie, il cappellano e l’educatrice che comunque hanno cercato di rendere l’idea”. “È stato interessante sentire che i detenuti fanno dei corsi di alfabetizzazione e hanno momenti di intrattenimento, questo ci fa sperare che il carcere sia meno disumano. Abbiamo anche discusso su come una persona possa arrivare a commettere un reato. Abbiamo saputo che ci sono persone innocenti in attesa di giudizio, questo ci ha fatto riflettere… forse tra chi ha commesso dei reati c’e anche della brava gente. La parte migliore, per noi, è stato sentirsi dire di aver contribuito anche con poco a dare affetto a chi non ne riceve chissà da quanto. Ci siamo sentiti delle persone migliori”. Reggio Calabria: con l’Associazione “Libera…mente”, l’arte dei detenuti esce di prigione Dire, 23 dicembre 2010 Anche quest’anno la Direzione dell’Istituto Reggino ha voluto promuovere l’iniziativa di esposizione delle piccole opere di arte Sacra realizzate dalle Detenute della Sezione femminile. La manifestazione si è svolta su un affollatissimo Corso Garibaldi che si presentava addobbato per le prossime festività di Natale; il luogo la suggestiva Piazza San Giorgio, con l’eccezionale cornice dell’antico Tempio della Vittoria. L’esposizione e la vendita dei prodotti realizzati dalle detenute è stata curata dai volontari dell’associazione “Libera…mente” che opera ormai da diverso tempo presso la struttura penitenziaria e promuove continue iniziative per assicurare alle detenute ed ai detenuti l’utilizzo del “tempo positivo”. Lo stand è stato visitato da moltissime persone, in special modo dai giovani, attratti dal senso di quello che vedevano esposto più che dall’opera in sé, in particolare modo dal pieno significato di libertà che le opere stesse esprimono: un modo originale per creare la necessaria osmosi tra il carcere e il mondo esterno. La mostra di icone rappresenta, per ogni detenuta che l’ha realizzata, un momento di contatto con sé stessa, con il proprio io, un momento di riflessione nella solitudine della cella, ma rappresenta soprattutto una proiezione verso la società esterna. La società civile ha in mente purtroppo un modello di carcere che rappresenta il detenuto solo ed esclusivamente in senso negativo, inoperoso, e povero di espressività; viceversa le icone esposte sulla bancarella parlano da sole e rappresentano un mondo di sentimenti e di emozioni e il desiderio di volare, di dare alla vita un respiro grande, molto più grande della miseria e del limite che ogni uomo porta con sé, insieme alle sue straordinarie, nascoste ricchezze. I visitatori della mostra osservando i manufatti hanno avuto modo di non pensare al detenuto ma al cittadino; non pensare al rifiuto ma all’accettazione , e pensare soprattutto ad un uomo o donna che incomincia a vivere per riconquistare la propria vita. Un particolare grazie agli operatori del “Centro di Aggregazione Giovanile SottoSopra”, che attraverso la disponibilità dei Responsabili Angela Campolo, Carlo Gaeta e Andrea Giordano, hanno fatto si che l’idea stessa si concretizzasse e non si sono risparmiati a condurre in porto l’iniziativa per le due giornate di esposizione. Immigrazione: l’Italia non è un Paese per immigrati… ma dovrà diventarlo di Giorgio Pagano Il Secolo XIX, 23 dicembre 2010 Il presidente della Repubblica, in occasione della Giornata internazionale dei migranti indetta dall’Onu, ha parlato degli immigrati come risorsa: il loro, ha detto, “è un contributo imprescindibile per famiglie e imprese”. Quanto sia importante questo contributo lo spiega bene il libro di Riccardo Staglianò “Grazie. Ecco perché senza gli immigrati saremmo perduti”, che si sofferma sui tre motivi della loro indispensabilità: quello demografico, cioè il fatto che siamo in riserva di giovani; quello fiscale, vale a dire il saldo attivo per il Paese di 5 milioni di euro, calcolando quello che gli immigrati pagano di tasse e contributi e quello che lo Stato spende per loro; infine l’occupazione: gli immigrati non “ci rubano il lavoro”, ma vanno a riempire le caselle basse della piramide professionale e aprono maggiori opportunità per gli italiani per incarichi meno faticosi e meglio pagati. È vero che la crisi economica ha rallentato i flussi e fatto calare gli arrivi. Lo dice il nuovo rapporto della Fondazione Ismu presentato nei giorni scorsi: nel primo semestre di quest’anno sono arrivati 100.000 stranieri in meno rispetto allo stesso periodo del 2007 (meno 40%). Diminuisce la quota di chi sceglie l’Italia, aumenta il numero di quelli che se ne vanno: è una tendenza che inizia nella primavera del 2008, con i primi effetti della crisi. E tuttavia non si può parlare di un calo assoluto degli immigrati nel nostro Paese. L’Ismu li stima comunque in 5,3 milioni, di cui gli irregolari sarebbero 544.000, 18.000 in meno rispetto al primo agosto del 2009. Chi rimane è anche più radicato, meglio inserito, e ha portato in Italia coniuge e figli. Grazie ai ricongiungimenti aumentano i nuclei familiari (5% in più tra 2005 e 2009) e crescono i bambini stranieri, che sono oltre un milione, triplicati rispetto al 2003. Il rapporto rivela che l’occupazione degli stranieri nel 2009 e nel 2010 ha comunque conosciuto un andamento opposto a quello complessivo del Paese. Mentre l’occupazione degli italiani registra una contrazione, gli occupati stranieri sono aumentati del 10% e addirittura del 14% per quanto riguarda la componente femminile. Non perché “ci rubano il lavoro”, ma perché esistono in Italia mercati del lavoro separati e sbocchi “etnicizzati”. Ci sono cioè i “lavori da immigrati”. Ciò vale soprattutto per le donne: cresce sempre più la propensione delle famiglie italiane a ricorrere al “welfare parallelo” costituito dal lavoro di cura svolto da badanti e colf, che lo Stato non garantisce e che gli italiani non vogliono fare. Ma è diminuito anche il numero di italiani disposti a fare lavori manuali nell’industria e nell’agricoltura, che sono sempre più svolti da lavoratori stranieri. Il rallentamento che ci descrive l’Ismu non è quindi un segno del progressivo esaurirsi della spinta immigratoria. Avremo sempre bisogno di stranieri, tanto più se si supererà la crisi. Nei prossimi vent’anni in Italia, senza immigrazione, ogni quattro persone che compiranno 65 anni ci saranno solo tre persone che ne compiranno 20, e queste ultime saranno in gran parte diplomate e laureate. Quindi l’Italia sarà sempre più multietnica. Ed è bene che la classe dirigente si attrezzi. Si può cominciare rimediando ad aberrazioni legislative e dando risposte all’istanza di regolarizzazione. Il governo ha preparato il “decreto flussi 2010” che prevede l’ingresso dall’estero di 100.000 lavoratori. Ripartirà la “sanatoria mascherata” cui parteciperanno altissime percentuali di stranieri impiegati in nero. E anche questa volta dovranno attendere mesi prima di ottenere il nullaosta all’ingresso. Ma solo 100.000 fortunati riusciranno a farlo, e certamente non tutta la domanda di regolarità verrà soddisfatta. Né lo sarà il fabbisogno di manodopera delle nostre imprese. Insomma, è proprio “il sistema” che non funziona. E tra le riforme più urgenti c’è anche questa. Immigrazione: da domani più difficili le espulsioni, un mese per “l’allontanamento volontario” Corriere della Sera, 23 dicembre 2010 La nuova direttiva europea sull’immigrazione, che entrerà in vigore domani, rischia di stravolgere l’intero meccanismo delle espulsioni dall’Italia. E di “azzerare” un decennio di leggi nazionali sulla “clandestinità”, riportando l’intera materia alla fase precedente al 2002, quindi prima che venisse promulgata la “Bossi-Fini”. I punti chiave di incompatibilità tra la direttiva europea e l’attuale legge italiana: invece dell’immediato accompagnamento alla frontiera o, in alternativa, di una “detenzione” in un centro per l’espulsione (Cie), secondo la Ue allo straniero “clandestino” dovrà essere assicurato un periodo da 7 a 30 giorni per “l’allontanamento volontario” dall’Italia; il divieto di reingresso nel nostro Paese per uno straniero già espulso non potrà superare i 5 anni (la legge italiana oggi ne prevede 10); in caso di ricorso giudiziario, l’espulsione dovrebbe essere sospesa (blocco oggi non previsto). La direttiva europea 115 risale al 2008 e avrebbe dovuto essere recepita dall’Italia entro domani. Ciò non è avvenuto. Conseguenza: in base al principio del primato delle norme comunitarie, le regole nazionali dovrebbero essere sostituite e quelle incompatibili non dovrebbero essere più applicate. Qualcuno lo ha definito “un regalo di Natale” per gli immigrati. Di fatto i tribunali e i giudici di pace italiani sono da giorni impegnati ad approfondire la materia per capire come dovranno comportarsi. Ai giudici di pace di Milano è arrivata qualche giorno fa una comunicazione per ricordare che “l’attuazione della direttiva comunitaria… stravolgerà l’attuale sistema di espulsione”. È probabile che il tema esploderà dopo la metà di gennaio, quando i magistrati si troveranno ad esaminare procedimenti di espulsione scattati da domani in poi, e che quindi non siano già partiti sotto il “vecchio” sistema di regole. Di certo i 18 giudici di pace milanesi hanno avuto disposizione dal coordinatore dell’ufficio, Vito Dattolico, di applicare la nuova direttiva europea. “Viene introdotta una considerazione verso la persona - spiega Dattolico - che in passato spesso non c’è stata, in molti casi lo straniero era considerato niente più che un numero. Va ricordato che anche noi siamo stati un popolo di migranti”. E probabile che nelle prossime settimane il conflitto tra le legge italiana e quella comunitaria possa essere sollevato davanti alla Corte Costituzionale. Spiega l’avvocato Tommaso Cataldi, referente della sezione penale e immigrazione dei Giudici di pace milanesi: “In sostanza si torna all’antico, a prima della legge Bossi-Fini. Lo straniero sarà più tutelato, perché non potrà essere imbarcato su un aereo tanto facilmente e non potrà essere trattenuto nei Cie senza che ci sia pericolo di fuga o un rischio accertato per l’ordine pubblico. La direttiva europea considera solo come extrema ratio la limitazione della libertà personale e favorisce l’allontanamento volontario”. Un elemento centrale per capire come sarà applicata la direttiva ruota intorno al reato di clandestinità, introdotto dal “pacchetto sicurezza” del 2009. Le norme europee non si applicano infatti a espulsioni che siano conseguenza di una sanzione penale e quindi, alla lettera, non dovrebbero toccare l’Italia. Alcuni giuristi ritengono però che il reato di clandestinità sia stato introdotto proprio con l’obiettivo di “aggirare” la direttiva e che quindi non ne potrà limitare l’applicazione. Stati Uniti: pena di morte; esecuzioni in calo negli ultimi 10 anni Avvenire, 23 dicembre 2010 Negli Stati Uniti è in calo il numero delle esecuzioni capitali, grazie ad una convergenza di fattori sociali ed economici, non ultima la scarsità di uno degli ingredienti dell’iniezione letale. Quest’anno le esecuzioni sono state 46 contro le 52 del 2009 e il Texas si è confermato lo Stato con il maggior numero di uccisioni legali: 17. Il rapporto annuale dell’organizzazione non governativa Death Penalty Information Center sottolinea che i numeri rappresentano una calo del 12 per cento rispetto all’anno precedente, confermando una tendenza al ribasso in corso dal 2000, quando le esecuzioni furono 85. “Che sia dovuto alla preoccupazione per l’alto costo della pena capitale in tempo di tagli di bilancio, al rischio di mettere a morte degli innocenti, alla sua ingiustizia o ad altre ragioni, nel 2010 la nazione ha continuato ad allontanarsi dalla pena capitale”, ha detto Richard Dieter, direttore del centro e autore del rapporto. I fattori economici non devono, però, essere i soli a pesare, vista la maggiore riluttanza con cui le giurie comminano la pena di morte. Nel corso del 2010, sono state 114 le persone condannate a morte negli Stati Uniti, fra i più bassi livelli da quando la pena capitale fu reintrodotta nel 1976. In tutti gli Stati Uniti vi sono ancora 3.200 detenuti in attesa nel braccio della morte. La maggior parte è reclusa in California. A rallentare l’attività dei boia è stata anche la scarsità dell’anestetico usato nel cocktail letale normalmente somministrato ai condannati, il Pentothal, che ha costretto cinque Stati ad annullare o rimandare alcune esecuzioni. Ma la società che lo fornisce alle carceri, l’americana Ho - spira, ne riprenderà la produzione nei primi mesi del prossimo anno. E proprio ieri, dopo un incontro alla Farnesina fra i vertici italiani della Hospira e i dirigenti dei ministeri coinvolti, la filiale italiana della multinazionale ha accettato che la produzione di Pentothal sia limitata a scopi medici, e si è impegnata a non vendere il prodotto ad istituti penitenziari all’estero e a specificare nei contratti che la distribuzione del prodotto non è consentita per l’iniezione letale. Cile: trecentodiciotto detenuti ogni 100 mila abitanti.. e il sistema carcerario è al collasso Ansa, 23 dicembre 2010 Trecentodiciotto detenuti ogni 100 mila abitanti: è il dato record che ha trasformato il Cile nel Paese con più popolazione carceraria di tutta l’America Latina, più di Brasile e Messico. Una situazione diventata adesso insostenibile e “vicina al collasso” come denunciato da Amnesty International. Nelle ultime settimane, infatti, dopo l’incendio che lo scorso 8 dicembre ha causato la morte di 81 carcerati nel carcere San Miguel a Santiago, come un effetto domino le proteste si sono sparse a macchia d’olio a decine in tutte le carceri dello Stato. L’ultima è avvenuta nel centro di detenzione di Antofagasta, nel nord, dove una rivolta interna ha lasciato 6 feriti tra le guardie e 13 in cella d’isolamento tra i detenuti. Per non parlare poi del maxisciopero della fame cui più di 2.500 detenuti si stanno sottoponendo da giorni in un’altra prigione di Santiago per protestare contro le dure condizioni carcerarie. Sotto accusa finisce soprattutto il sovraffollamento, con tutte le conseguenze che esso genera: violenza, scarse condizioni igieniche, promiscuità. La popolazione carceraria cilena - tanto per avere un’idea delle proporzioni - si attesta sui 54 mila individui ma i posti letto a disposizione sono solo 34 mila. Le rivolte dunque degli ultimi giorni, secondo Hernán Vergara, presidente di Amnesty International in Cile “sono servite a richiamare l’attenzione pubblica e a rendere visibili i gravi problemi del sistema carcerario. Non c’è davvero tempo da perdere”, ha aggiunto Vergara. Per Liza Zúniga, del Flacso, il programma di sicurezza della facoltà latinoamericana di scienze sociali del Cile, a monte dell’emergenza ci sarebbe la politica del governo nei confronti dei criminali che “privilegia la privazione della libertà come pena principale”. Al contrario, prosegue la Zúniga, “la vera soluzione sarebbe quella di istituire pene alternative come i lavori in comunità, gli arresti domiciliari o l’uso di braccialetti elettronici”. Argentina: condannato all’ergastolo l’ex dittatore Jorge Videla Ansa, 23 dicembre 2010 L’ex dittatore argentino Jorge Rafael Videla, 85 anni, è stato condannato all’ergastolo perché riconosciuto colpevole di aver fatto sequestrare, torturare e fucilare 31 detenuti politici che erano in balia regime in un carcere di Cordoba tra l’aprile e l’ottobre del 1976, cioè poco dopo il golpe da lui guidato il 24 marzo dello stesso anno. Nella sentenza è stato stabilito anche che l’ex generale venga “trasferito immediatamente” in un penitenziario civile. In uno storico processo, nel 1985 Videla era già stato condannato all’ergastolo insieme agli ex generali che si erano succeduti nelle Giunte militari che hanno governato l’Argentina fino al 1983. Cinque anni dopo, era però tornato in libertà in seguito all’indulto decretato dall’allora presidente Carlos Menem, beneficio che ha però perduto quando, nel 2005, la Corte suprema lo ha dichiarato incostituzionale. Da allora è stato accusato per vari reati di “lesa umanità” in diverse cause e quello di Cordoba è il primo processo contro di lui ad essersi concluso. Con Videla è stato condannato all’ergastolo anche l’ex generale Luciano Benjamin Menendez, sebbene per lui è stata chiesta una visita medica per sapere se può essere trasferito in un carcere civile. Sia l’ex dittatore che Menendez, intervenendo prima della sentenza, hanno assicurato che hanno agito nell’ambito di “una guerra giusta” e che l’hanno combattuta contro “i sovversivi marxisti che, per ordine dell’Unione Sovietica, e di Cuba, la sua succursale latinoamericana, volevano sottoporre il Paese al loro sistema ideologico”. “Prima del golpe lo Stato aveva perso il monopolio della forza e si viveva in un far west locale”, aveva sostenuto ieri Videla in un’ultima perorazione riferendosi ai sanguinosi scontri tra la Triplice A, squadroni della morte di ultradestra, e “gruppi di sovversivi” che “addestrati a Cuba e appoggiati economicamente dalla Russia scesero in campo per uccidere”. “Assumo pienamente le mie responsabilità ed i miei subordinati si sono limitati a obbedire agli ordini di una guerra interna”, aveva anche ribadito l’ex dittatore che, per quasi 50 minuti, aveva letto in piedi il testo che aveva preparato. Oltre al processo conclusosi a Cordoba, se ne stanno celebrando altri due: uno a Buenos Aires ed un altro a Mar del Plata, in cui almeno una cinquantina di repressori della passata dittatura (1976 - 1983) dovrebbero venire condannati a dure pene per i reati commessi. La maggior parte di essi non sono mai stati né giudicati né detenuti.