Giustizia: Serracchiani (Pd); stillicidio suicidi in carcere pone problema alla coscienza civile Ansa, 21 dicembre 2010 Per l’europarlamentare del Pd, Debora Serracchiani, “il carcere deve essere il luogo in cui si sconta una pena, non un posto dove si rischia la vita. Sono stata pochi mesi fa in visita al carcere di Trieste - ha ricordato Serracchiani in una nota, commentando il tentato suicidio di un detenuto polacco, salvato oggi a Trieste da un agente della Polizia penitenziaria - e ho constatato la professionalità e umanità dei sorveglianti e degli educatori, pur in un ambiente difficile e sovraffollato: oggi a Trieste sono riusciti a salvare una vita, ma ieri a Genova purtroppo è andata diversamente”, ha aggiunto riferendosi al suicidio di un detenuto al carcere di Genova Pontedecimo . “Dall’inizio dell’anno in Italia sono 65 i detenuti morti in carcere - ha sottolineato Serracchiani - e la maggior parte di loro sono suicidi: uno stillicidio di vite che dovrebbe porre un problema enorme alla coscienza civile e morale dei legislatori. L’esistenza di una relazione tra il sovraffollamento e i suicidi nelle carceri infatti - ha concluso - è verosimilmente qualcosa di più che un’ipotesi”. Giustizia: il Pentothal prodotto in Italia non deve servire per esecuzioni, ma a scopi medici 9Colonne, 21 dicembre 2010 Domani l’Onu approva la terza risoluzione sulla moratoria della pena di morte e nello stesso giorno si avvia alla Camera la discussione di una mozione presentata da Zamparutti sulla possibile esportazione negli Usa, da parte della filiale italiana della multinazionale americana Hospira, di Pentothal, anestetico utilizzabile anche nei protocolli per le esecuzioni capitali tramite iniezione letale. L’Italia è da sempre in prima linea nella battaglia contro la pena di morte ed ha contribuito in modo determinante al consenso consolidatosi alle Nazioni Unite a favore della moratoria. Anche nello specifico caso del Pentothal, quindi, il Ministro degli Esteri Frattini, che nei giorni scorsi ha incontrato il Segretario Generale di Nessuno Tocchi Caino, Sergio D’Elia, Zamparutti e il Portavoce della Comunità di Sant’Egidio Marazziti, ha prontamente coinvolto i Ministri della Salute e dello Sviluppo economico, per favorire un tempestivo interessamento presso l’impresa produttrice e giungere ad una soluzione in linea con quanto richiesto dalla mozione e con la tradizionale sensibilità italiana sul tema della pena di morte. In questo contesto, si è svolto oggi alla Farnesina un incontro cui hanno partecipato i vertici italiani della Hospira e i dirigenti dei Ministeri tecnici coinvolti. L’azienda ha dato ampia disponibilità a collaborare con le autorità italiane accettando che la produzione e la vendita di Pentothal siano autorizzate esclusivamente per scopi medici, si è impegnata a non vendere il prodotto ad istituti penitenziari all’estero e ad inserire nei contratti con i distributori una clausola che specifichi che la distribuzione del prodotto non è consentita per la pratica dell’iniezione letale, pena la risoluzione degli accordi. Hospira accetta vendita Pentothal solo a scopi medici La produzione e la vendita di Pentothal, anestetico utilizzabile anche nei protocolli per le esecuzioni capitali tramite iniezione letale, saranno autorizzate esclusivamente per scopi medici. Lo ha stabilito la filiale italiana della multinazionale americana Hospira, i cui vertici hanno avuto oggi alla Farnesina un incontro dei ministeri tecnici coinvolti. L’azienda, ha annunciato il ministero degli Esteri italiano in una nota, ha dato ampia disponibilità a collaborare con le autorità italiane e si è impegnata a non vendere il prodotto a istituti penitenziari all’estero e a inserire nei contratti con i distributori una clausola che specifichi che la distribuzione del prodotto non è consentita per la pratica dell’iniezione letale, pena la risoluzione degli accordi. Domani, ha ricordato la Farnesina nella nota, le Nazioni Unite approvano la terza risoluzione sulla moratoria della pena di morte e nello stesso giorno si avvia alla Camera la discussione di una mozione presentata dall’onorevole Zamparutti sulla possibile esportazione negli Stati Uniti, da parte della filiale italiana della multinazionale americana Hospira, di Pentothal. L’Italia, ha concluso la Farnesina in una nota, è da sempre in prima linea nella battaglia contro la pena di morte e ha contribuito in modo determinante al consenso consolidatosi alle Nazioni Unite a favore della moratoria. Anche nello specifico caso del Pentothal, quindi, il ministro degli Esteri Frattini, che nei giorni scorsi ha incontrato il Segretario Generale di Nessuno Tocchi Caino, Sergio D’Elia, l’onorevole Zamparutti e il portavoce della Comunità di Sant’Egidio Marazziti, ha prontamente coinvolto i Ministri della Salute e dello Sviluppo Economico, per favorire un tempestivo interessamento presso l’impresa produttrice e giungere ad una soluzione in linea con quanto richiesto dalla mozione e con la tradizionale sensibilità italiana sul tema della pena di morte. Nessuno tocchi Caino: bene Frattini sul caso Pentotal “Prendiamo atto con soddisfazione dell’impegno del Ministro Frattini volto a impedire che il Pentotal prodotto in Italia finisca nei penitenziari americani per la pratica dell’iniezione letale”. Lo hanno dichiarato il Segretario di Nessuno tocchi Caino, Sergio D’Elia e la Deputata Radicale e Tesoriera dell’Associazione Elisabetta Zamparutti. Per i due esponenti Radicali, “si tratta ora di formalizzare l’impegno tra le autorità italiane e la casa farmaceutica Hospira di Liscate, nel senso che sia l’autorizzazione italiana all’immissione in commercio sia i contratti di compravendita di Hospira devono chiaramente prevedere che l’utilizzo del prodotto è consentito solo in strutture ospedaliere ed escluso dalla pratica dell’iniezione letale”. È quanto chiede la mozione parlamentare presentata alla Camera da Elisabetta Zamparutti e sottoscritta da esponenti di tutti i gruppi politici, il cui voto è previsto per mercoledì prossimo. Lazio: Garante; protocollo d’intesa per migliorare condizioni di vita dei detenuti marocchini Ristretti Orizzonti, 21 dicembre 2010 Migliorare le condizioni di vita dei detenuti marocchini reclusi nelle carceri del Lazio attraverso il monitoraggio delle situazioni e l’intervento nei casi di maggior disagio. Sono questi gli scopi del Protocollo d’Intesa firmato dal Garante dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni e Tilouani Eddaoudi, presidente dell’associazione volontaria “Alternativa Culturale dei Marocchini d’Italia”. “Alternativa Culturale dei Marocchini d’Italia” ha, tra i suoi compiti, quello unire la comunità marocchina, tenendo vive le tradizioni culturali e religiose e operando per inserire i suoi componenti pacificamente e produttivamente nella realtà locale. Nelle 14 carceri della Regione, compreso l’Istituto Minorile di Casal del Marmo, sono presenti 159 fra detenuti e detenute marocchini; a livello nazionale, i detenuti marocchini costituiscono la comunità più presente in carcere, rappresentando il 21% del totale dei detenuti stranieri in Italia. “Nell’ambito della nostra attività istituzionale nelle carceri - ha detto il Garante Angiolo Marroni - affrontiamo quotidianamente le difficoltà che vivono i detenuti stranieri. Si tratta di persone spesso sole, che comprendono pochissimo la nostra lingua e che hanno scarsissimi contatti sia con le loro famiglie nei Paesi di origine che con le rispettive rappresentanze diplomatiche e, per questo, scontano la pena in condizioni di estremo disagio materiale, spirituale e affettivo”. Nel Protocollo è previsto il monitoraggio dei detenuti e delle detenute marocchine e la raccolta di materiale statistico e documentale. I collaboratori del Garante si impegnano a segnalare eventuali situazioni di disagio legate alla distanza dalle famiglie e a difficoltà linguistiche e culturali. Un comune impegno è previsto per i cittadini marocchini trattenuti nel Centro di Identificazione e Espulsione di Ponte Galeria, qualora venga richiesto il contatto con Consolato o Ambasciata. “La nostra Associazione - ha detto Tilouani Eddaoudi, presidente di “Alternativa Culturale dei Marocchini d’Italia” - si impegna a sostenere le richieste dei detenuti sui contatti con le autorità diplomatiche e a favorire l’invio di atti anagrafici e certificazioni di reddito indispensabili per il patrocinio gratuito. Cureremo anche il monitoraggio degli interpreti nei Tribunali, per garantire il servizio di traduzione che costituisce un diritto fondamentale”. Un punto importante riguarda la disponibilità del Garante a sostenere iniziative culturali, sociali e inerenti la formazione dei detenuti . In tale ambito, lo scorso agosto il Garante ha collaborato con l’associazione per organizzare i pasti e la preghiera, nel Ramadam, nelle carceri della Regione. Basilicata: proposta di legge di Radicali e Socialisti per istituzione Garante dei detenuti Ansa, 21 dicembre 2010 La pdl sarà presentata nel corso di una conferenza stampa congiunta dei Socialisti e dei Radicali lucani. Giovedì 23 dicembre, alle ore 10.30, presso la sala 3 del Consiglio regionale, si svolgerà la conferenza stampa per illustrare obiettivi e contenuti della proposta di legge sulla “Istituzione dell’Ufficio del Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale”. Interverranno il presidente del gruppo regionale del Psi in Consiglio regionale e firmatario della pdl, Rocco Vita, il segretario regionale del Partito socialista italiano, Livio Valvano ed il segretario regionale dei Radicali di Basilicata, Maurizio Bolognetti. “Salvaguardare la persona umana anche nella sua condizione di detenuto e sollecitare la risoluzione dei problemi legati al sovraffollamento carcerario che affligge anche la Basilicata. È l’obiettivo che si propongono i Socialisti e i Radicali lucani - si legge in una nota congiunta - con la presentazione di una proposta di legge in Consiglio regionale in cui si chiede l’istituzione della figura del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale”. L’Aquila: Petrilli (Pd); il 41-bis è una tortura, anche per questo i detenuti si suicidano Il Centro, 21 dicembre 2010 “Un altro detenuto si è suicidato nelle carceri italiane il 64esimo dall’inizio dell’anno”. Così esordisce Giulio Petrilli del Pd, commentando il suicidio di Pietro Salvatore Mollo, recluso alle Costarelle. “Un carcere” aggiunge “che proprio in questi giorni è stato trasformato per ospitare solo detenuti sottoposti al 41 bis”. “Pietro Salvatore Mollo era sottoposto a questo regime carcerario” scrive Petrilli. “Un regime durissimo, nel quale secondo me vengono meno i principi fondamentali del diritto e dell’umanità, necessari anche per le persone recluse. La lotta alla mafia, alla criminalità organizzata, al terrorismo non può superare i limiti giustamente imposti da uno stato di diritto. Il 41 bis è una tortura bianca”. Per Petrilli “sottoporre una persona 23 ore su 24 all’isolamento totale, per anni, non ha nulla a che vedere con la sicurezza, ma è un applicazione vendicativa della pena. Il 41 bis è stato approvato con il voto quasi unanime del Parlamento, difeso strenuamente dal partito nel quale milito, il Partito democratico. Ma io non condivido questa posizione. Il 41 bis è l’altra faccia della medaglia del sovraffollamento inumano che si registra in tantissimi penitenziari italiani e causa anch’esso dei tanti suicidi. Ridefinire una politica penitenziaria, improntata sul rispetto dei diritti anche per le persone recluse, penso sia un dovere e un caposaldo di una società civile. I luoghi della pena e della reclusione devono sempre concorrere al recupero e il reinserimento del detenuto come da dettato costituzionale. Chi è già privato della libertà personale” conclude Petrilli, che è responsabile provinciale del dipartimento diritti e garanzie del Partito democratico, “non può vivere in luoghi infernali”. Mollo, calabrese di 41 anni, si è tolto la vita sabato, fra le 14 e le 15, impiccandosi nella sua cella alle Costarelle. L’uomo era stato arrestato a luglio a Corigliano Calabro, in provincia di Cosenza. Como: undici detenuti morti in cinque anni, tra suicidi e mori per cause mai accertate Provincia di Como, 21 dicembre 2010 Il suo ultimo giorno di libertà se l’era giocato proprio male, con due auto rubate e altrettanti incidenti nell’arco di una manciata di minuti. Giusto il tempo per far scattare l’allarme e far intervenire i carabinieri, che lo hanno arrestato. Da allora era rinchiuso nel Bassone. Sarebbe uscito di carcere nel 2012, non avesse deciso di farla finita in un modo terribile. Seconda tragedia in meno di un anno nella casa circondariale comasca, dove venerdì sera un detenuto 31enne s’è tolto la vita approfittando di un momento di assenza del compagno di cella. È stato un agente della polizia penitenziaria a trovarlo ormai esanime, con un sacchetto di plastica in testa e la bomboletta del gas accanto al corpo. Un gesto tragico ad appena una settimana dal Natale per un giovane che da anni era alle prese con problemi e affanni con la giustizia. Guai legati a problemi di tossicodipendenza e piccoli reati che, ammonticchiati l’uno sull’altro, ne hanno causato la carcerazione. Il 31enne era detenuto nel braccio pene definitive del Bassone. Era in cella dal maggio scorso, da quando cioè era stato arrestato dai carabinieri di Erba. Condivideva la detenzione con un altro “ospite”, pure lui con oltre un anno da scontare. Venerdì sera quest’ultimo si è allontanato dalla cella. Il 31enne ha usato il gas di una bomboletta e un sacchetto di plastica per dire addio a un’esistenza difficile. Il 6 maggio scorso un’identica sorte era toccata a un rapinatore di professione, trent’anni dentro e fuori dal carcere. Si era tolto la vita impiccandosi con il laccio delle scarpe. Sul calendario all’interno della sua cella, sulla giornata del 6 maggio, aveva annunciato il suo suicidio scrivendo: “fine”. Era da quattro anni che nel carcere comasco non si registravano suicidi. L’anno orribile del Bassone è stato il 2004. Quando tra settembre e novembre ben tre detenuti persero la vita. Undici in tutto le vittime negli ultimi cinque anni: è il dato relativo ai decessi avvenuti al Bassone e raccolti dall’Osservatorio permanente sulle morti in carcere. Il primo caso risale alla fine dell’inverno del 2004 quando il 25enne Oscar venne trovato ormai esanime della sua cella. L’autopsia rivelò: overdose. Sergio, 28 anni, morì che era invece l’estate dello stesso anno e il referto parlò di malattia. Quindi ebbe inizio la serie di suicidi: tre di fila da quello di un detenuto rumeno di 40 anni, trovato privo di vita il 2 settembre del 2004, fino alla 34enne Maria, morta il 7 novembre. Tre le morti nel 2005: a febbraio Carlo, 54 anni, per malattia; a ottobre Patrick, 23 anni, per suicidio; a Santo Stefano un 37enne per overdose. L’ultimo decesso accertato al Bassone, prima di quelli di quest’anno, risale al luglio 2006 quando il 36enne Vincenzo morì per cause mai accertate con chiarezza. Gela (Ct): il Comune contro il ministero della Giustizia; inaccettabile il carcere ancora chiuso La Sicilia, 21 dicembre 2010 Mentre le condizioni carcerarie in Italia, a detta delle organizzazioni che si occupano del tema, continuano a peggiorare, anche a causa dell’assenza di nuove strutture, a Gela un penitenziario da almeno cento posti continua a rimanere chiuso. “Il Comune di Gela - dice l’assessore all’Edilizia e Urbanistica Giuseppe D’Aleo - ha da tempo consegnato l’immobile direttamente al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ma le novità non arrivano”. Quella che dovrebbe essere la futura casa circondariale della città nissena, infatti, non apre i suoi cancelli. Qualche mese addietro, il sotto - segretario alla Giustizia Antonio Caliendo, in Senato, aveva fissato la definitiva conclusione dei lavori per gli ultimi mesi del 2010, al contempo, però, un documento ufficiale firmato da Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, sposta la partenza del penitenziario gelese al dicembre del 2012. “Non riesco a capire - continua l’assessore D’Aleo - come si possa accettare, in un momento di devastante crisi economica, la presenza di un carcere già pronto ma chiuso, al punto da retribuire anche due agenti penitenziari in servizio in una struttura priva, però, di detenuti”. La delusione dell’amministrazione comunale gelese sorge, inoltre, dall’imminente apertura del nuovo tribunale, distante solo qualche centinaia di metri dalla sede della casa circondariale. “Se tutto fosse andato secondo i piani - continua l’esponente della giunta Fasulo - tra pochi giorni avremmo potuto avere un tribunale e un carcere efficienti, pronti a tutelare le esigenze dei molti detenuti gelesi sparsi sull’intero territorio nazionale”. L’assessore comunale, inoltre, non nasconde che la presenza di un carcere già attivo potrebbe assicurare un notevole risparmio per le casse statali, “molti detenuti verrebbero trasferiti dal locale carcere al tribunale, senza particolari esborsi che, invece, oggi, sono sempre più ingenti, senza parlare delle spese sostenute dalle famiglie per visitare i loro cari in giro per l’Italia”. Intanto, nulla di nuovo giunge da Roma: il carcere di Gela continua ad essere presidiato in attesa dei detenuti. Trieste: detenuto 33enne tenta il suicidio, salvato dagli agenti Adnkronos, 21 dicembre 2010 Un detenuto polacco di 33 anni, appena arrivato dal carcere di Brescia, ha tentato il suicidio tramite impiccamento nell’istituto penitenziario di Trieste. Alle tre e mezza di questo pomeriggio il personale di Polizia penitenziaria che opera nella sezione detentiva dell’Istituto ha infatti sventato il gesto disperato del detenuto, che ha tentato di impiccarsi con i lacci del lenzuolo. Ne dà notizia Donato Capece, segretario generale del Sappe, il Sindacato autonomo polizia penitenziaria. “Il detenuto era appena arrivato a Trieste da Brescia, per sostenere una udienza, e già nel carcere lombardo il nostro personale lo aveva trovato in possesso di una rudimentale corda con la quale probabilmente voleva già porre in essere l’insano gesto - afferma Capece - è ancora una volta solo grazie alla professionalità, al tempestivo intervento, alle capacità, all’umanità ed all’attenzione del personale di Polizia Penitenziaria che un detenuto è stato salvato da un tentativo di suicidio”. “Un gesto particolarmente importante e da mettere in evidenza - sottolinea Capece - che avviene a poche ore dal suicidio purtroppo concretizzatosi di un detenuto a Genova Pontedecimo, tanto che il Sappe chiederà all’Amministrazione penitenziaria di Roma una adeguata ricompensa, lode o encomio, all’agente che è intervenuto per salvare la vita al detenuto”. Catanzaro: Corbelli (Diritti Civili); detenuto malato di tumore rischia di morire in carcere Ansa, 21 dicembre 2010 Il leader di Diritti Civili, Franco Corbelli, ha rivolto un appello per un giovane detenuto calabrese G. A., di 27 anni, malato di tumore. “Il giovane è recluso da oltre due anni in un carcere della regione - sostiene Corbelli - ed è in fin di vita. Il padre del giovane ha telefonato mi ha telefonato per raccontare il dramma e la grande ingiustizia che stanno vivendo e subendo e per chiedere l’intervento di Diritti Civili per scarcerare e salvare quel giovane prima che sia troppo tardi. Il giovane è in attesa del processo di appello. In primo grado è stato condannato a 6 anni di reclusione”. “Non conosco questo giovane, né il padre - afferma Corbelli - ma di fronte al dramma umano, alla ingiustizia, alla indicibile sofferenza, alla disumanità di un giovane di 27 anni, malato di tumore, abbandonato e condannato a morire in carcere, ho il dovere civile e morale di intervenire, di chiedere giustizia per questo ragazzo, un atto di giustizia giusta e umana. Non si può lasciare morire in carcere, in attesa del processo di appello, un ragazzo malato di tumore, che sopravvive al dolore e alla malattia solo grazie alla morfina che gli viene iniettata ogni giorno. Nei giorni scorsi il giovane, nel corso di una udienza del processo di appello, si è sentito male in aula ed è stato trasportato in autoambulanza in carcere. Si può tollerare che accada un cosa del genere?”. Padova: il carcere consigliato… dal Gambero Rosso di Laura Zangarini City, 21 dicembre 2010 Nicola Boscoletto è il presidente della Cooperativa Sociale Giotto, che sforna uno dei migliori panettoni d’Italia. Preparato dai detenuti pasticcieri del carcere di Padova. Ci racconta un po’ come è nata l’idea di far preparare un panettone da Oscar ai detenuti? In realtà non siamo partiti con quest’idea in cantiere. L’iniziativa si è sviluppata un pò per caso partendo da lontano. Ovvero? Abbiamo cominciato nel 1986, io ed altri amici come me laureati in scienze agrarie e forestali, con una cooperativa operante nel settore del verde: progettazione e manutenzione di parchi e giardini. L’idea era di fare in modo che l’amicizia vissuta negli anni dell’università potesse continuare anche nel lavoro. Come avete incrociato il carcere? L’occasione fu l’apertura del nuovo istituto penitenziario di Padova: la casa di reclusione “Due Palazzi” si sostituiva al vecchio carcere di Piazza Castello. Il bando per un lavoro di appalto per il recupero, la bonifica e la ristrutturazione dell’area verde sembrava una buona opportunità. Che voi coglieste al volo... Si, ma i risultati della gara di appalto non arrivavano. A quel punto abbiamo avuto un’idea. Quale? Abbiamo pensato che in quel carcere c’erano centinaia di persone che non facevano nulla: forse avremmo potuto coinvolgerle. Così proponemmo un corso di giardinaggio per venti detenuti. Quel corso oggi è alla ventesima edizione, ha dato vita al primo parco didattico interno a un carcere dove si svolgono lezioni pratiche, col risultato che oltre duecento detenuti sono stati inseriti al lavoro. Chapeau! Non solo. Dopo dieci anni abbiamo visto che, tra chi usufruiva delle misure alternative, si preparava cioè con un percorso accompagnato al rientro nella società libera, la recidiva scendeva dal 90% al 15%. Così ci siamo detti: se riusciamo a farli lavorare anche durante il periodo di detenzione, questo dato migliorerà ancora. Senza dimenticare che la punizione senza redenzione non solo porta a insicurezza sociale, ma ha anche costi sociali ed economici esorbitanti. E... E così, dal 2001, è partita l’avventura delle lavorazioni all’interno del carcere di Padova. Come avete iniziato? Abbiamo trasformato un capannone inutilizzato del carcere in un laboratorio per la produzione di manichini di cartapesta per l’alta moda, destinati per il 90% all’estero. Poi abbiamo iniziato a portare in carcere lavori di assemblaggio della gioielleria Morellato e della valigeria Roncato, un call center, lavorazioni di cartotecnica. E sa quel è stata una delle mie più grandi soddisfazioni? Dica... Dopo l’ingresso della lavorazione in carcere, la Roncato ha chiuso due laboratori che aveva aperto nei paesi dell’Est, riportando in Italia il lavoro che aveva delocalizzato. Come siete arrivati alla ristorazione e al miglior panettone d’Italia? Nel 2004 il Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ha deciso di dare in gestione alle cooperative sociali il polo ristorativo del carcere, ovvero la preparazione dei pasti per i detenuti. Subito dopo abbiamo deciso di trasferire dall’esterno a dentro il carcere un piccolissimo laboratorio di pasticceria. Lanciando una sfida di qualità. Sfida pienamente vinta direi. Il vostro panettone ha vinto una sfilza di premi, oltre a essere entrato nella top ten del Gambero Rosso. La lavorazione della pasticceria è senz’altro quella che ci ha reso più noti (www.idolcidigiotto.it). Biscotti, panettoni, veneziane, colombe e ora anche “I dolci di Antonio” (in onore di Sant’Antonio da Padova): la “Noce del Santo”, una torta medievale a base di noci, frutta secca, farine speciali e miele, è stata selezionata da una commissione del Gambero Rosso fra i prodotti del made in Italy da offrire ai grandi della Terra al G8 dell’Aquila. La vostra arma vincente? La qualità degli ingredienti e la lavorazione. Il nostro panettone lievita per 70 ore e lasciato riposare per oltre 12 ore. Escono dal carcere anche i 232 panettoni che Benedetto XVI donerà a collaboratori, benefattori, alti prelati e autorità in occasione delle festività natalizie… Sì, ed è per noi motivo di orgoglio. Vorrei anche aggiungere che parte del ricavato della vendita dei nostri panettoni andrà a due realtà no profit: l’associazione Giuseppe e Margherita Coletta “Bussate e vi sarà aperto”, intitolata al brigadiere dei carabinieri morto a Nassiriya, e alla fondazione banco alimentare, che distribuisce ai poveri l’eccedenza dell’industria alimentare. Senta, qual è la frase più bella con cui l’hanno “ripagata” i detenuti? La parola che usano più spesso è “rinascita”. E, mi creda, fa un certo effetto sentire dire a banditi con mandato di cattura internazionale, ad assassini, a pluriomicidi, a ergastolani, che, grazie al lavoro e al sentirsi di nuovo amati, sono rinati. Spoleto (Pg): intervista ad Alfredo Cosco, del blog “Informacarcere” di Roberta Mazzacane www.clandestinoweb.com, 21 dicembre 2010 Per la rubrica “la voce dietro le sbarre” Clandestinoweb ha intervistato Alfredo Cosco, una delle “menti” che hanno ideato il blog “Informacarcere”. Come è nato e ad opera di chi è nato il vostro blog? è online da quando? “Allora, il Blog è online ufficialmente dal 13 agosto 2009. La nascita è stata singolare. Proverò a delineare la vicenda che vi sta dietro. In sostanza fino a un tre anni fa io neanche sapevo cosa erano gli ergastolani ostativi, e, in senso più ampio, il mondo del carcere era per me un mondo lontano. Certo, provavo verso i detenuti una istintiva “simpatia”, ma di quel tipo di sentimento o attenzione che tu puoi avere per cause lontane (ad es. “i bambini del terzo mondo” ), ma che non ti coinvolgono concretamente nel tuo quotidiano. Un giorno lessi un racconto bellissimo.. Lo lessi nei “viaggi” che di tanto in tanto intraprendevo su internet... il racconto si intitolava “esame di filosofia del diritto”, l’autore era un certo Carmelo Musumeci. Il testo descriveva la vicenda di un esame universitario tenuto da un detenuto, lo stesso Carmelo, ma non era semplice descrizione. Il racconto si “apriva” diventando metaforico, surreale, drammatico, filosofico, coinvolgente. Un vero “pezzo” di valore. Io conservai quel racconto in un archivio dove ho sempre custodito le cose che avevo più a cuore. E una abitudine che avevo e che ho è quella di condividere le cose belle che raccolgo con persone con le quali stringo rapporti particolari. Poco più di un due anni fa incontro una certa Maria, nasce un bello scambio, condivido con lei molto del mio materiale. Compreso il racconto di Carmelo Musumeci. Lei fa una cosa a cui non avevo pensato.. gli scrive. Questo stimola anche me a scrivergli. Scrivendo a lui comincio ad entrare nel mondo degli ergastolani, in particolare di quelli “ostativi” (che rischiano di non uscire mai dal carcere). Sempre tramite Maria, incontro Nadia Bizzotto. Nadia è una persona eccezionali. Sebbene è sulla sedia rotelle ha una forza, una vitalità, una energia che farebbero invidia a un esercito. Lei gestisce una delle case accoglienza della Papa Giovanni XXIII (l’insieme di comunità create da Don Oreste Benzi). Lei svolge anche attività di volontariato e sostegno verso i detenuti, in particolare per quelli del carcere di Spoleto, tra i quali si trova lo stesso Carmelo… Con Carmelo ha un rapporto speciale, tanto che lui la definisce “il mio angelo”. Comunque, un giorno Nadia mi chiede se avevo qualche idea per la causa degli ergastolani. Io semplicemente dico.. “E io già non ci pensavo più. Ma avevo sottovalutato il vulcanico Carmelo Musumeci (persona assolutamente traboccante, che negli anni della detenzione è passato dalla quinta elementare alla laurea, che ha lottato sempre per i diritti dei detenuti, subendo per questo costanti rappresaglie e punizioni, che ha scritto racconti, ballate, libri, che tiene centinaia di corrispondenze,ecc...). Carmelo comincia a “bombardarmi” con lettere entusiaste. “Allora, lo hai già creato questo Blog...?” A quel punto non posso più tirarmi indietro. E io, che ero una capra informatica, “costringo” un mio amico che se ne intende di più, a seguirmi passo passo nella creazione del Blog. Era estate. E il Blog fece la sua comparsa ufficiale on-line il 13 agosto 2009. Gli amministratori siamo noi tre... io, Maria e Nadia. Ma il gruppo dei “collaboratori” è ben più ampio”. Siete molto attivi nel tenere impegnati i detenuti, potete illustrarci i vostri progetti e le vostre attività? “Ti premetto subito che da un mesetto abbiamo costituito anche una associazione: Fuori dall’Ombra, a cui presto ci si potrà anche iscrivere. Allora... ti descrivo le nostre attuali attività: in primo luogo, come avete visto, la raccolta di materiale proveniente dai detenuti. Testi di ogni genere. Racconti, testimonianza, denunce, poesie... anche disegni e foto di quadri. Il nostro non è un approccio esclusivamente informativo, né esclusivamente “di denuncia”. Ma c’è anche un aspetto “umanistico” e di “valorizzazione”, volto a dare strumenti e occasioni all’espandersi del “potenziale” della persona ristretta. Insomma dare ad essa una occasione per fare uscire “dall’ombra” le sue spinte interiori, i suoi talenti, le sue creazioni, le sue ispirazioni.. e cos realizzare confronti con l’esterno, spingerla a credere in se stessa, fare crescere autostima e incentivare il percorso di rigenerazione. In alcune carceri poi, mandiamo periodicamente una selezione dei post stampati perché siano leggibili a tutti i detenuti di quel carcere. Da giugno è in corso anche il progetto Porte Aperte: in sostanza di tratta dell’impegno, che prende ciascun partecipante al progetto, di scrivere almeno una lettera al mese a tre detenuti. In tal modo, aumentando i partecipanti al progetto, aumentano anche i detenuti che vengono “toccati”. Così che molte persone, magari del tutto abbandonate o con pochissimi contatti, possano avere l’occasione empatica di uno scambio umano. Noi crediamo del valore curativo delle relazioni. Inoltre, nell’ambito di questo progetto è previsto che copia delle lettere che i detenuti invieranno ai partecipanti saranno conservate in un archivio (sempre che il singolo detenuto non abbia nulla in contrario a che questo avvenga), che sarà una sorta di memoria storica sulla situazione dell’ergastolo in Italia, oltre a dare ulteriore materiale per la battaglia per i diritti e per un carcere più umano. Altre attività sono in fase di ipotesi e progettazione..e magari ne riparleremo quando saranno poste in essere”. Messina: al carcere di Gazzi la Polizia penitenziaria inizia lo “sciopero bianco” La Sicilia, 21 dicembre 2010 Vigilia di Natale all’insegna delle proteste per il sottodimensionamento dell’organico. La decisione adottata al termine della riunione sindacale di ieri pomeriggio. Revocata invece l’astensione dalla mensa. Di seguito riportiamo alcuni esempi che permettono di capire, in termini “pratici” cosa rischia di determinare la protesta. Il 10 gennaio sit - in alla Prefettura È durata all’incirca un’ora l’incontro tra le sigle sindacali del settore penitenziario che ieri pomeriggio si sono riunite presso il carcere di Gazzi per fare il punto della situazione, a quanto pare definitivo, sulle forme di protesta da attuare contro i problemi di sottodimensionamento dell’organico. Come anticipato nei precedenti articoli e come dichiarato dagli stessi rappresentanti di Osapp, Sappe, Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Cnpp nel corso del sit - in di giovedì scorso di fronte la casa circondariale, la strada che verrà seguita sarà quello dello sciopero bianco con applicazione alla lettera del regolamento. Il tutto a partire dal 23 dicembre, stesso giorno in cui, sempre secondo quanto riportato nel verbale d’assemblea, è stata altresì decisa la sospensione della prima forma di protesta iniziata lo scorso 7 dicembre, ovvero l’astensione dal consumare pasti alla mensa di servizio. Confermato anche il sit - in di fronte la Prefettura il prossimo 10 gennaio. Il personale operante a Gazzi è dunque intenzionato a fare sul serio, ciò anche a causa, come in più occasioni denunciato, della perdurante indifferenza mostrata dalle istituzioni locali, regionali e nazionali. Pur riconoscendo infatti che le carenze di organico siano un male comune alle maggior parte delle carceri del paese, i lavoratori della struttura penitenziaria messinese non ritengono più quest’ultima una giustificazione sufficiente. Per capire però meglio come si tradurrà, in termini concreti, l’avvio dello sciopero bianco da parte degli agenti, riportiamo qualche esempio “pratico”. Come detto le forme di protesta consisteranno nell’applicazione alla lettera del regolamento, ossia il totale rispetto delle tabelle di consegne (che sono delle disposizioni interne per ogni posto di servizio) e dei vari Ordini di servizi. Servizi che, come ci spiega un rappresentante sindacale, verranno comunque garantiti, ma con i dovuti rallentamenti proprio perché si rispetterà quanto previsto su “carta”. Le principali difficoltà potrebbero essere riscontrate nelle aule di giustizia o nel caso di uscita di un detenuto (ad esempio trasferimento in altra sede). Secondo i vigenti regolamenti, infatti, è previsto un certo numero di uomini in base alla tipologia del detenuto, ad esempio la regola del 2+1: se si devono cioè trasportare 4 detenuti presso il tribunale servirebbero almeno dieci uomini di scorta. Per cui se gli uomini di scorta sono ad esempio solo 5 (come accade attualmente) significa che il trasporto avverrà in due viaggi, quindi con conseguente ritardo per l’inizio delle varie udienze. Disagi potrebbero verificarsi anche in sede di colloqui tra detenuti e familiari: anche in questa circostanza, infatti, se non vi sarà il giusto numero di personale - ci spiega ancora il sindacalista - non si potrà lavorare inserendo contemporaneamente i detenuti in 4 sale diverse, ma si lavorerà solo in due, non effettuando quindi 26/28 colloqui - come attualmente si verifica - ma non più di 16. Discorso analogo per gli incontri tra detenuti e avvocati: il regolamento prevede che il detenuto vada prelevato all’interno della sezione detentiva, accompagnato alla sala avvocati ed alla fine del colloquio riaccompagnato in sezione, mentre attualmente per accelerare la prassi ci si serve del telefono chiamando un collega della sezione e invitando il detenuto a raggiungere la sala in questione . Inoltre, se durante i colloqui arrivano altri avvocati che chiedono di vedere i proprio assistiti, rispettando il regolamento sarà necessario attendere la fine dei precedenti incontri in modo che gli agenti possano riaccompagnare i detenuti in cella e condurre gli altri in sala avvocati. Verranno altresì rallentate tutte le visite mediche e specialistiche all’interno della struttura poiché bisognerà trovare il personale che vigili durante queste operazioni, così come le attività trattamentali all’interno della struttura. Esempi, quelli elencati attraverso il supporto di un “addetto ai lavori”, che permettono di capire bene quanto alto sia il rischio di mettere in ginocchio l’intero sistema carcerario, dove finora, proprio a causa delle carenze numeriche, è stato garantito un livello minimo di sicurezza rispetto agli standard massimi previsti da regolamento. Giarre (Ct): nasconde droga in un’aiuola fuori dal carcere per farla pervenire a un detenuto La Sicilia, 21 dicembre 2010 Una persona che si apprestava ad avere un colloquio con un detenuto della Casa Circondariale di Giarre ha occultato una grossa dose di sostanza stupefacente in un’aiuola vicina la struttura carceraria di via Foscolo “probabilmente in attesa che i detenuti addetti ai lavori di pulizia prendessero la predetta sostanza stupefacente per poi introdurla all’interno delle sezioni detentive”. A rendere noto l’episodio, avvenuto sabato scorso, è stato il vice segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Mimmo Nicotra, che però non ha specificato il tipo di sostanza stupefacente né la quantità. Nicotra, che aveva già sospettato il metodo con il quale la droga sarebbe stata introdotta all’interno del carcere giarrese, ha sventato l’azione in pieno svolgimento. Dopo essersi nascosto sui tetti dell’Istituto e aver ripreso tutta l’operazione, ha bloccato all’ingresso del penitenziario un addetto al lavoro di pulizia sequestrandogli lo stupefacente. L’uomo è stato denunciato. La vicenda è confermata dal direttore del carcere, dott. Aldo Tiralongo che ha avviato tutti gli accertamenti del caso. “Ogni eventuale giudizio sull’accaduto, al momento, è prematuro - afferma Tiralongo - la presunta sostanza sequestrata dovrà essere analizzata da un apposito laboratorio per fugare ogni dubbio sul fatto che si tratti di droga. In questa prima fase è stata avviata una indagine amministrativa interna, mentre gli atti sono stati trasmessi alla Procura di Catania. Occorrerà anche verificare le eventuali responsabilità del detenuto e per tale ragione è previsto a breve un interrogatorio per capire che cosa è realmente accaduto”. Mantova: il vescovo Roberto Busti sprona i detenuti ad essere forti La Gazzetta di Mantova, 21 dicembre 2010 “Qual è lo spirito che il Natale può portare a voi che vivete in carcere? Deve essere l’elemento della fiducia che nasce in voi, e che non può essere solo il frutto di ciò che gli altri vi danno. Dovete trovare la forza per rendere giusta la vita per voi, e sono sicuro che abbiate questo dono”. Sono parole piene di calore quelle che il vescovo Roberto Busti ha rivolto a detenuti e detenute della casa circondariale di via Poma durante la messa in occasione delle feste natalizie. Complice la consuetudine dell’incontro, i toni sono ben lontani dalle tradizionali solennità liturgiche. Il vescovo spiega con parole semplici e porta un messaggio per fare breccia anche in chi professa altre religioni. E così, la narrazione della Natività passa attraverso la disamina in chiave contemporanea con il Vangelo di Matteo e la figura di Giuseppe, “un padre che voleva mettere su famiglia con la donna che amava e che portava in grembo un figlio non suo. Credete sia stato facile per un uomo di buon cuore? Solo la parola di Dio ha potuto invitarlo a non avere paura e a fare la sua parte come papà”. Ulteriore messaggio di coraggio e speranza nel futuro per chi vive dietro le sbarre è, secondo il vescovo, il fatto che “Gesù non ha la vita del figlio del padrone, che ha tutto facile e a propria disposizione: viene dal grembo di una donna e torna a quello della terra, come ciascuno di noi”. A inframmezzare riti liturgici e omelie, i canti del coro della casa circondariale, accompagnati dalla chitarra acustica. A concludere la cerimonia non sono mancati i saluti delle autorità giudiziarie, vecchie e nuove, dal sapore tutt’altro che formale. “Mettetemi in condizione ogni giorno di poter dire sì alla vostra libertà - ha affermato il magistrato di sorveglianza Luigi Fasanelli, rivolgendosi ai detenuti - trovate ogni giorno la forza di essere migliori”. A toccare forse le corde più profonde e dolenti sono state le parole dell’ex giudice Giovanni Scaglioni: “Mi risulta difficile parlarvi di gioia di fronte al vostro dolore e alla vostra povertà, perché so che per voi il tempo della pena è infinito, ma dovete riuscire ad andare al fondo della debolezza che vi ha portati in questo luogo di pena - ha affermato prima di un vibrante mea culpa sull’emergenza carceri - la vostra condizione è del tutto inadeguata, vivete in celle sovraffollate e in condizioni igieniche precarie, che portano ad alcuni gesti estremi. Il suicidio di uno di voi è la nostra sconfitta. Per cui non dico Dio perdonali perché non sanno quello che fanno, ma Dio perdonaci perché sappiamo e non abbiamo saputo fare abbastanza”. - Margherita Grazioli Televisione: domani su Rai Radio 2 Chiara Gamberale in onda dal carcere di Rebibbia Adnkronos, 21 dicembre 2010 Domani e dopodomani, dalle ore 10 alle 11, su Radio2, Chiara Gamberale sarà in onda dalla Casa Circondariale maschile Rebibbia nuovo complesso. La terapia di gruppo radiofonica portata avanti dalla scrittrice Chiara Gamberale nel programma di Radio2, “Io, Chiara e l’Oscuro”, alla vigilia di Natale si sposta per due giorni nel carcere di Rebibbia, per indagare sul senso che per i detenuti assumono il passato e il futuro. Due puntate esclusive, alla vigilia di una data speciale e il sottofondo musicale (nella puntata del 22 dicembre), di Alessandro Mannarino, che con la sua chitarra, da moderno cantastorie, riproporrà le strampalate vicende dei suoi mondi immaginati divenuti protagonisti del primo album, “Bar della rabbia”. Droghe: in crescita i tossicodipendenti in cura nei Sert; meno per eroina, più per cocaina Notiziario Aduc, 21 dicembre 2010 Sono aumentati costantemente, negli ultimi anni, gli utenti dei Sert, i servizi pubblici per le tossicodipendenze; ma, mentre è diminuita la percentuale di persone con problemi di eroina, è aumentata quella di utenti con problemi di cocaina. È quanto si rileva dal primo Rapporto sulla coesione sociale 2010, frutto della collaborazione tra l’Inps, l’Istat e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, pubblicato oggi. Dal 1999 al 2007, infatti, gli eroinomani che si sono rivolti ai Sert sono passati dall’83,6% al 71,5% degli utenti totali, mentre quelli con problemi legati al consumo di cocaina sono aumentati dal 4,3% al 14,2%. Stabile la progressione degli utenti con problemi di cannabis, passati dall’8% all’8,6%. Complessivamente, gli utenti dei Sert sono passati dai 142.651 del 1999 ai 172.303 del 2007. Messico: turista italiano morì in carcere, otto cittadini messicani a giudizio in Italia per tortura di Marina Castellaneta Il Sole 24 Ore, 21 dicembre 2010 Otto messicani, tra magistrati e poliziotti, saranno processati a Lecce per la morte di un bancario salentino deceduto nel paese sudamericano mentre era in vacanza: è stata applicata, per la prima volta in Italia, per individuare la giurisdizione dei giudici italiani, la convenzione Onu che prevede, in caso tortura odi trattamenti disumani e degradanti, la competenza del Paese della vittima dei soprusi. La novità è appunto l’esordio nel panorama giudiziario italiano della Convenzione Onu contro la tortura ed altre péne o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, adottata a New York il 10 dicembre 1984 e ratificata dall’Italia con legge 3 novembre 1988 n. 498 (anche se manca ancora l’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento, come richiesto invece dalla Convenzione). Gli otto messicani sono accusati dell’omicidio di Simone Renda. Leccese, 34 anni, Renda (difeso dagli avvocati Pasquale Corleto e Fabio Valente) era a Playa del Carmen, in Messico, per una breve vacanza. Proprio alla vigilia del rientro in Italia era stato arrestato per una presunta infrazione amministrativa. Condotto in carcere era rimasto in cella per 42 ore senza un provvedimento del giudice, senza cibo, acqua e assistenza medica malgrado avesse accusato sin dall’inizio un malore. Una situazione che ne aveva causato la morte durante la detenzione senza aver potuto comunicare con le autorità consolari italiane. Il rinvio a giudizio degli agenti messicani e del giudice qualificatore è stato deciso ieri dal giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Lecce Vincenzo Brancato che ha accolto le richieste del pubblico ministero Angela Rotondano e che ha dato il via libera al processo in Italia. Una possibilità consentita grazie alla prima applicazione della Convenzione Onu (ratificata anche dal Messico) che permette, proprio per garantire un’adeguata punizione dei responsabili, l’esercizio della giurisdizione anche ai giudici di cui la vittima ha la cittadinanza. Con l’obiettivo di evitare che le autorità nazionali del luogo in cui è stato commesso il reato non assicurino un’adeguata punizione. Una scelta, quella del gup di Lecce, che potrebbe aprire uno spiraglio per altri casi analoghi di cittadini italiani morti all’estero dopo trattamenti disumani in carcere. La Convenzione, infatti, oltre a definire la tortura, si occupa di stabilire che le vittime e i loro familiari abbiano un’adeguata tutela giurisdizionale. Di conseguenza, la Convenzione fissa precisi links giurisdizionali ai quali gli Stati contraenti devono attenersi, inserendo il caso della giurisdizione passiva, accolta in Italia dall’articolo 3 della legge n. 498. Di qui il riconoscimento della competenza dei giudici italiani, vista anche la richiesta del ministro della Giustizia in base all’articolo 7 del Codice penale, e il via al processo secondo la legge italiana che potrebbe portare all’ergastolo per l’applicazione delle aggravanti previste nei casi di omicidio volontario. Senza escludere, poi, un’eventuale azione di responsabilità nei confronti del Messico che non avrebbe permesso alcun contatto del cittadino italiano con il proprio console. Resta da valutare, naturalmente, se, nel processo che si aprirà nella prossima primavera, gli imputati saranno effettivamente presenti e, se condannati, tradotti in Italia per scontare la pena. Intanto per Cecilia Renda Greco, la madre del giovane, quella del tribunale pugliese è una decisione importante, destinata a fare scuola “cui da adesso in poi potranno appellarsi i tanti che cercano giustizia”. Bielorussia: hanno manifestato contro il Governo, in 600 condannati a 15 giorni di carcere Ansa, 21 dicembre 2010 In Bielorussia circa 600 manifestanti dell’opposizione, che erano scesi in piazza domenica sera a Minsk per protestare contro la rielezione a presidente di Alexander Lukashenko, sono stati condannati a pene detentive fra i 5 e i 15 giorni di carcere. Lo ha comunicato il capo della polizia di Minsk, Leonid Farmaguei, citato dall’agenzia russa Interfax. Ieri lo stesso Lukashenko aveva fatto la cifra di 639 manifestanti arrestati. Iran: sei anni di carcere al regista dissidente Panahi, accusato di voler fare un film contro il regime Il Velino, 21 dicembre 2010 “Jafar Panahi condannato a sei anni di carcere, a non girare film, a non lasciare l’Iran, a non avere contatti con i media nazionali e stranieri per vent’anni. L’odissea del celebre regista iraniano che già aveva fatto piangere Juliette Binoche al festival di Cannes, dove la sua sedia di giurato era rimasta vuota perché in carcere a Teheran, continua. Sempre più drammatica. “Mi hanno consegnato il verdetto sabato scorso, abbiamo 20 giorni per fare appello, che faremo”, ha dichiarato ieri ai media iraniani il suo avvocato difensore, Farideh Gheyrat. Identica condanna per il giovane regista e suo collaboratore Mohammad Rasoulof. Panahi, 50 anni, è famoso in Europa fin dal suo primo film premiato a Cannes nel 1995 (Il palloncino bianco), a cui sono seguiti Il Cerchio (Leone d’oro a Venezia, 2000), L’oro rosso (altro premio a Cannes, 2003), Offside (Berlinale 2006). Impegnato e rigoroso, ha appoggiato l’Onda Verde seguita alle elezioni farsa nel giugno 2009. La repressione che poi ha messo (quasi) a tacere il dissenso ha colpito anche lui. Arrestato una prima volta nel luglio 2009 nel cimitero dov’era sepolta Neda, la ragazza simbolo delle proteste, rilasciato ma privato del passaporto. Riarrestato nel marzo 2010 con l’accusa irreale di “preparare un film contro il regime”. Il mondo intero del cinema (e non solo) si era mobilitato per salvarlo, lui aveva iniziato lo sciopero della fame. E tre mesi dopo era tornato a casa. Sembrava che il regime avesse scelto un compromesso: Panahi non va ai festival all’estero, non lavora più, ma resta libero. Ora questa condanna. “È durissima, sei anni sepolto in una cella. Da settembre sapevamo che il rischio era grande, lo accusano di essere un nemico della Repubblica islamica”, racconta Abbas Bakhtiari, amico fraterno di Panahi, musicista ed ex militante marxista, da 30 anni esule a Parigi. “Sono in continuo contatto con Jafar, ci siamo appena sentiti. Lui spera molto nell’appello e chiede che ci sia una mobilitazione internazionale perché forse questo peserà sul giudizio. Jafar non è un politico, non è nemmeno un caso alla Sakineh: è un artista e con lui si vogliono colpire tutti gli artisti e gli spiriti liberi d’Iran. Da anni noi amici all’estero e perfino la sua famiglia insistevamo perché se ne andasse dall’Iran, aveva offerte di lavoro qui in Francia. Ma lui ha sempre rifiutato: non lascio il mio Paese che è tutta la mia vita, anche a costo di pagare, ripeteva. Ora il mondo si deve mobilitare per salvarlo”.