Giustizia: così il “carcere duro” aumenta il rischio di suicidi Redattore Sociale, 20 dicembre 2010 Il nuovo studio dell’Osservatorio permanente sulle morti in carcere: i regimi speciali riguardano il 10% della popolazione detenuta, ma assommano il 60% dei suicidi nel 2010 Più il regime è duro, più aumenta il rischio suicidario in carcere: a pochi giorni dalla ricerca che ha individuato una relazione tra sovraffollamento e suicidi, oggi un nuovo studio dell’Osservatorio permanente sulle morti in carcere traccia un ulteriore parallelo. I dati del 2010, infatti, dimostrano che i suicidi di detenuti comuni (cioè il 90% della popolazione carceraria) sono “solo” il 40% del totale. Il restante 60% è concentrato nel 10% dei detenuti sottoposti a regimi speciali. Questo il dettaglio: dei 65 suicidi totali 26 sono avvenuti in regime “comune”, 10 in isolamento, di cui 2 in celle “lisce” (prive di mobili e suppellettili per evitare episodi di autolesionismo), 5 tra i collaboratori (o ex) e altrettanti in reparto infermeria. Quattro detenuti si sono tolti la vita nel reparto “protetti”, 3 in alta sicurezza e altrettanti in grande sorveglianza e nel reparto internati. Infine, 2 in reparto transito - isolati, 2 in regime di “41 - bis” e uno in reparto transessuali. “Al regime di 41 - bis - si spiega dall’Osservatorio - è sottoposto l’1% della popolazione detenuta, che però contribuisce per quasi il 4% al bilancio dei suicidi. Nel quinquennio 2004 - 2008 i suicidi di questi detenuti sono stati il 4,86% del totale”. Il tasso suicidario in regime di isolamento è invece del 16%, in calo rispetto al periodo 2004 - 2008, quando fu del 26%. Nei reparti “protetti” è avvenuto il 7% del totale dei suicidi. Un capitolo a parte è quello sul “reparto internati” del carcere di Sulmona, dove si sconta il cosiddetto “ergastolo bianco”, dove cioè “sono rinchiuse persone che hanno scontato per intero la pena ma restano in carcere per una misura di sicurezza detentiva - riferiscono dall’Osservatorio - : internati a tempo indeterminato, finché un’apposita commissione riterrà che non siano più pericolosi per la società. Questa condizione è particolarmente alienante e ha determinato il 5% di tutti i suicidi, in un gruppo di sole 200 persone, pari allo 0,25% della popolazione detenuta”. Dopo aver analizzato i dati, il passo successivo è chiedersi cosa fare per porre rimedio alla situazione. L’Osservatorio ha perciò stilato un elenco di buone pratiche: ad esempio, un detenuto a rischio non va messo nella cella “liscia” né deve essere privato di tutto ciò che potrebbe usare per suicidarsi: la cronaca dimostra che un modo lo si trova sempre. Non bisogna nemmeno essere ossessivi nei controlli né usare la minaccia di invio in “osservazione” all’Opg. In generale con tutti i detenuti è opportuno non creare “sezioni ghetto”, non aspettare che chiedano aiuto, non sottovalutare né dare giudizi morali sui tentativi di suicidio o sulle autolesioni. Al contrario, è importante prestare attenzione alla persona in modo continuativo, aumentare le possibilità di lavoro e di attività intramurarie, promuovere l’ascolto e la mediazione e favorire una progettualità del detenuto. Giustizia: tre persone si sono tolte la vita in meno di 48 ore nelle carceri italiane Redattore Sociale, 20 dicembre 2010 I detenuti di 41, 31 e 24 anni si sono tolti la vita a L’Aquila, Como e Genova. Sarno (Uil Pa). “È l’ennesimo fatto drammatico che testimonia ancora una volta l’urgente necessità di intervenire sull’organizzazione e la gestione delle carceri”. Tre persone si sono tolte la vita in meno di 48 ore nelle carceri italiane, portando così a 65 il numero di detenuti che, nel corso del 2010, si sono suicidati. Pietro Salvatore Mollo, 41 anni, detenuto in regime “duro” (41 bis) nel super carcere “Le Costarelle” di Preturo (Aquila), si è impiccato sabato pomeriggio a una delle inferiate della sua cella. Sempre nella mattinata di sabato, nel carcere “Bassone” di Como, si è tolto la vita Carlo Carroccia, 31 anni, in carcere da settembre per una scontare una condanna legata alla detenzione e allo spaccio di sostanze stupefacenti. L’uomo si è suicidato mettendosi sulla testa un sacchetto di plastica. Domenica sera, intorno alle 20, Marco Fiori (24 anni) si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo, all’interno del bagno della sua cella, nel reparto “protetti” del carcere di Genova Pontedecimo. “Fiori aveva già tentato il suicidio. Ed era ristretto nella stessa cella di Fabrizio Bruzzone, l’ex maresciallo dei Carabinieri salvato in extremis da un tentato suicidio venerdì sera dagli agenti”, spiega Eugenio Sarno, segretario generale della Uil - Pa Penitenziari. “È l’ennesimo fatto drammatico che testimonia ancora una volta l’urgente necessità di intervenire sull’organizzazione e la gestione delle carceri, dove il numero esorbitante dei detenuti ricade pericolosamente sulle condizioni lavorative degli agenti di polizia”, sottolinea il segretario della Uil - Pa. La situazione del carcere di Genova Pontedecimo è particolarmente critica: “Circa 180 persone sono ammassate in spazi pensati per ospitarne la metà”. denuncia Donato Capece, segretario generale del Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria). Per questo motivo il sindacato chiede “provvedimenti deflattivi efficaci, che non restino sulla carta. Occorre una riforma profonda del sistema penitenziario - spiega Capace - con la depenalizzazione di alcuni reati e l’introduzione di più misure alternative. Il carcere non può essere una discarica sociale”. E il numero di detenuti che si tolgono la vita potrebbe essere molto più alto “se non fosse per il lavoro degli agenti che, in media, sventano ogni mese dieci tentativi di suicidio - conclude il segretario del Sappe. La percentuale stessa di suicidi in carcere in questi ultimi anni è attestato attorno ad un tasso del 9% calcolato su 10 mila detenuti, tasso che nel periodo 1997 - 2001 fluttuava invece tra il 10 ed il 12,5%.” Giustizia: Manconi; dal Governo solo promesse mirabolanti non mantenute www.cnrmedia.com, 20 dicembre 2010 Un altro suicidio nelle sovraffollate carceri italiane. Un detenuto italiano 24enne si è impiccato nel penitenziario di Genova Pontedecimo. Il ragazzo aveva già tentato di togliersi la vita la settimana scorsa. I sindacati degli agenti penitenziari ribadiscono la gravita della situazione: nell’istituto in questione, ad esempio, ci sono circa 180 detenuti a fronte di 90 posti letto e tra il personale mancano 50 agenti. “Una ricerca fatta proprio negli ultimi giorni ha dimostrato in maniera inequivocabile come esista una fortissima correlazione tra sovraffollamento e autolesionismo ovvero, ci si ammazza con maggiore frequenza all’interno dei istituti penitenziari dove è massimo il livello di sovraffollamento”. Così, ai microfoni di Cnr Media, Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto. “La spiegazione è semplice: il sovraffollamento - continua l’ex parlamentare - per un verso esalta la condizione di promiscuità e peggiora le condizioni di vita quotidiana, di relazione, di rapporto con gli altri, di sopravvivenza vera e propria, di spazi fisici nei quali muoversi e per l’altro verso abbassa drasticamente gli standard di tutti i servizi offerti, dall’assistenza sanitaria alle possibilità di trattamento”. “Per quanto riguarda il piano carceri - prosegue Manconi - siamo al quindicesimo annuncio, per quindici volte è stato reso pubblico un comunicato o sono state fatte dichiarazioni ufficiali nelle quali venivano annunciate mirabolanti promesse. Di queste promesse non è stato realizzato pressoché nulla, tranne il riadattamento di alcuni padiglioni, che però non sono stati aperti, e poi il cosiddetto provvedimento svuota carceri”. “Ebbene - spiega - i calcoli fatti da numerose direzioni di carceri e numerosi settori dell’amministrazione penitenziaria ci dicono che quel provvedimento forse porterà alla detenzione domiciliare circa duemila persone, cioè davvero meno che la classica goccia nel classico mare del sovraffollamento”. “So che sono stati creati nuovi posti per ospitare i detenuti, pochissimi rispetto alle promesse mirabolanti fatte. Ma questi nuovi padiglioni non sono stati aperti perché manca il personale che lì deve operare. Questo dimostra per l’ennesima volta - prosegue ancora l’ex parlamentare - che la soluzione al problema delle carceri sovraffollate non è di costruirne di nuove, ma è far sì che dentro le carceri non vi siano persone che non vi debbano stare. Per capirci: dentro le carceri italiane c’è un buon 30% costituito da tossicomani - conclude Manconi - che ovunque dovrebbero stare tranne che in una cella chiusa”. Giustizia: Terre des Hommes; troppi bambini in carcere insieme alle mamme detenute Il Velino, 20 dicembre 2010 Sarebbe stato meglio il camino di una casa, possibilmente la loro casa, ma così non sarà. Per molti bambini, infatti, anche quest’anno, Babbo Natale porterà i regali dietro le sbarre di un istituto penitenziario. Sono 58 i bambini che ad oggi in Italia si trovano ancora in carcere, insieme alle proprie mamme detenute, nonostante che ciò costituisca una violazione evidente e grave della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo. Molte di queste donne avrebbero diritto agli arresti domiciliari speciali e potrebbero uscire dal carcere. Ma così non è. Le attuali norme di legge, infatti, lo impediscono, con la conseguenza che a pagare il prezzo più alto di questo divieto siano i bambini che nascono e crescono negli istituti penitenziari italiani, per poi essere separati dal loro unico affetto al terzo anno di età. Molti di loro hanno fratelli e sorelle più grandi che li attendono a casa, anch’essi privati della presenza e delle cure di una mamma. Si stima siano almeno cinquemila i bambini in questa condizione, perché l’attuale normativa impedisce non solo ai più piccoli di nascere e crescere fuori dal carcere, ma anche ai loro fratelli e sorelle di vivere accanto alla propria mamma. Basterebbe poco per rimediare a tutto questo. Basterebbe che il testo di legge fermo da tempo in Commissione Giustizia della Camera venisse discusso e approvato dal Parlamento per essere finalmente approvato entro Natale. Per queste ragioni Terre des Hommes, assieme a “A Roma, Insieme” e Bambini senza sbarre, chiede a gran voce che siano apportate con urgenza alcune modifiche chiave al testo unificato ancora in discussione dalla Commissione Giustizia, perché davvero si realizzi l’obiettivo, che a parole tutti condividono, che: “nessun bambino varchi più la soglia di un carcere”. Pertanto chiediamo di evitare il Carcere per le madri con bambini da zero a tre anni, anche come misura cautelare; far accedere le mamme agli arresti domiciliari speciali portando finalmente fuori dal carcere i propri bambini; permettere alle mamme di accompagnare e di restare con il proprio figlio/a per tutta la durata del trattamento qualora esso/a abbia urgenza di essere portato al pronto soccorso, necessiti di ricevere cure specialistiche o ci sia la necessita di un ricovero ospedaliero. Inoltre, Terre des Hommes chiede di tutelare anche le straniere detenute, in quanto madri recluse con i propri figli evitando, a fine pena l’espulsione automatica senza alcuna verifica, e di affrontare il problema della detenzione delle donne con bambini con l’ottica prioritaria del bambino, come detta la Convenzione Onu, evitando, comunque, il più possibile il carcere e consentendo alla madre di scontare la pena in luogo diverso dal carcere, anche se attenuato. Giustizia: il ministro Frattini; possibile stop per la produzione in Italia del Pentothal Corriere della Sera, 20 dicembre 2010 Settimana cruciale per il farmaco della morte, il Pentothal, utilizzato da alcuni stati americani per le iniezioni letali ai condannati. Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha convocato i dirigenti dell’azienda produttrice, l’Hospira di Liscate, in provincia di Milano. Saranno presenti anche i tecnici della Salute e delle Attività produttive. L’obiettivo del governo italiano è convincere Hospira ad accettare il controllo delle esportazioni di Pentothal, richiedendone di volta in volta autorizzazione. Se la proposta venisse respinta il governo potrebbe decidere di imporre lo stop, secondo la linea adottata di recente dal governo inglese. Secondo Sergio D’Elia, presidente dell’associazione Nessuno tocchi Caino “la posta in gioco è significativa. La penuria di Pentothal negli Stati Uniti ha di fatto determinato una moratoria delle esecuzioni perché molti penitenziari ne sono sprovvisti. Sarebbe paradossale che proprio l’Italia, che sostiene la politica contro la pena di morte, non bloccasse i rifornimenti della sostanza letale”. Il caso è al centro di una mozione presentata dalla deputata radicale Elisabetta Zamparutti. La mozione verrà presentata martedì alla Camera e votata il giorno successivo. In questi giorni intanto l’Onu licenzierà la terza risoluzione per la moratoria universale delle esecuzioni capitali. La battaglia anti Pentothal è stata portata avanti con successo già in Gran Bretagna dall’associazione Reprieve, collegata a Nessuno tocchi Caino. Con un’azione legale gli inglesi hanno evitato che il farmaco (Sodio Tiopentale il nome chimico) venisse venduto all’estero, in particolare all’Arizona. Il governo inglese ha infatti imposto il controllo. Ora si sta tentando di fermare anche la Hospira italiana che ha ricevuto dalla casa madre americana, con base a Lake Forrest in Illinois, di produrre la sostanza destinata ai condannati americani. Dopo lo stop della Gran Bretagna, l’Italia è rimasta l’unica fonte di approvvigionamento. Il Sodio Tiopentale, noto come Pentothal, è il barbiturico presente in tutti i protocolli di iniezione letale dei vari stati Usa. La Hospira è l’unica azienda autorizzata a commercializzare il Pentothal ma la scorsa estate ha annunciato che non sarebbe più stata in grado di distribuirlo per penuria di materie prime. Ecco allora il coinvolgimento della sede italiana che avrebbe dovuto cominciare a esportare il prossimo gennaio. La mozione Zamparutti impegna il governo “ad assumere ogni iniziativa per garantire che, nel pieno rispetto delle leggi interne e delle norme europee che vietano di cooperare in qualsiasi modo alla pratica della pena capitale, della tortura o di altri trattamenti crudeli e inumani, la produzione e la vendita all’estero di Sodio Tiopentale siano autorizzate esclusivamente per fini medici prevedendo che nella licenza a produrre, sull’etichetta e nei contratti di compravendita sia specificato che l’uso del prodotto non è consentito per la pratica dell’iniezione letale”. Giustizia: ci sentiamo traditi dal Governo; poliziotti protestano ancora davanti a Arcore Apcom, 20 dicembre 2010 Nuovo sit - in ad Arcore, davanti la residenza milanese del premier Silvio Berlusconi, dei sindacati del comparto sicurezza (polizia, penitenziaria, forestale e vigili del fuoco: in totale 21 sigle) per protestare contro i tagli al settore. Un presidio era stato organizzato già lo scorso 9 dicembre, preludio della manifestazione di Roma del 13, e oggi in circa 200 sono tornati sotto Villa San Martino per protestare contro il governo che “da due anni e mezzo non mantiene gli impegni”. “Il pacchetto sicurezza è stato convertito in legge, ma purtroppo il nostro emendamento è stato ritirato: permangono quindi i disagi e i tagli alla sicurezza, per questo siamo tornati”, dice Santo Barbagiovanni, segretario regionale della Silp Lombardia. “Abbiamo anche inviato delle letterine al premier per chiedergli che ci regali qualcosa di buono. La categoria è preoccupata - spiega Barbagiovanni - soprattutto di fronte alla possibilità che dopo il 31 dicembre i nostri straordinari rischieranno di non essere pagati. Non è un buon regalo alla categoria e c’è un forte disagio”. “I nostri colleghi stanno tutti i giorni a prendere le botte in piazza o essere additati come comunisti e il governo li ripaga così: i carabinieri poi la pensano esattamente come noi, ma non possono dare voce ai loro disagi. Non si tratta di politica o ideologie, ma di impegni che il governo ha sottoscritto con il comparto e che non ha onorato. Sono fatti oggettivi”, conclude il sindacalista, che poi fa un riferimento alle polemiche di questi giorni sulle misure preventive ipotizzate per scongiurare incidenti durante i cortei studenteschi: “Non condividiamo nessun tipo di Daspo, la piazza è giusto che esprima la propria opinione. Il bavaglio non è segno di una democrazia vera come quella del nostro paese”. Lettere: esce solo chi ha un domicilio “idoneo”… perché nelle carceri le celle sono “idonee”, vero!? di Riccardo Polidoro (Associazione Il Carcere Possibile Onlus) Ristretti Orizzonti, 20 dicembre 2010 Mentre la fantomatica legge “svuota carceri” è entrata in vigore, disponendo che per i pochissimi detenuti che ne potranno beneficiare, dovrà essere accertata “l’idoneità” del domicilio, negli istituti di pena italiani i detenuti preferiscono togliersi la vita, pur di non continuare a subire le illegali condizioni della permanenza in carcere, che minano giorno dopo giorno la loro salute e la loro dignità. Si tolgono la vita anche gli agenti di polizia penitenziaria, costretti a lavorare in clima spesso incandescente. Dato ormai certo e ampiamente documentato, nonché affermato dallo stesso Ministro della Giustizia, è che la maggior parte delle celle non sono affatto “idonee” ad ospitare i detenuti. La stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per tale vergognosa situazione. Ed allora ,quali sono i parametri che muovono il Legislatore ? Si può entrare in carcere - da condannato o da indagato sottoposto a misura cautelare (presunto innocente) - e trovare una cella “non idonea” agli standard normativi, un Istituto “non idoneo” al rispetto dei principi costituzionali del diritto alla salute e alla rieducazione, ma per uscire è necessario disporre di un domicilio “idoneo”, altrimenti niente beneficio, pur se le condizioni oggettive e soggettive lo consentirebbero. I due concetti “d’idoneità” sono evidentemente diversi, ma resta il fatto che in termini di condizioni necessarie - sicurezza e opportunità per il domicilio; spazio, igiene e salubrità per le celle - lo Stato pretende dal privato, ciò che il pubblico non è in grado di assicurare. Lettere: a Caserta l’Opg è sovraffollato e le strutture d’accoglienza sono vuote dal Consorzio di Coop. Sociali “Icaro” Ristretti Orizzonti, 20 dicembre 2010 Gli ex manicomi in allarme sovraffollamento e le strutture d’eccellenza disposte ad accogliere e riabilitare i detenuti psichiatrici prive di utenti, questo un paradosso della provincia di Caserta. Mentre da più parti giunge l’allarme relativo al sovraffollamento degli istituti psichiatrici di detenzione e delle pessime condizioni di vita cui spesso sono costretti i reclusi, splendide realtà del nostro territorio sono pressoché vacanti e molti utenti che potrebbero riavere una vita sono destinati a restare internati. Il Terzo Settore ha realizzato negli anni significative iniziative di reinserimento sociale e lavorativo di utenti psichiatrici, possedendo una ricettività complessiva elevata e varia. Tuttavia tali opportunità, troppo spesso, non vengono colte dalle istituzioni con il conseguente protrarsi della permanenza degli utenti negli ospedali psichiatrici giudiziari. Un esempio su tutti è rappresentato dal Consorzio Icaro, presieduto da Gabriele Capitelli, in grado, con le sue strutture, di dare ospitalità a oltre 100 persone con l’ausilio di operatori altamente qualificati e dalla notevole esperienza, consentendo, tra l’altro, percorsi di reinserimento sociale e lavorativo differenti a seconda delle diverse esigenze e patologie. Dimostrazione tangibile di tale opportunità è rappresentata dalla fattoria sociale e didattica “Aria Nuova”, associata al Consorzio, sita su un bene confiscato alla camorra a Pignataro Maggiore, grazie alla quale diversi ex utenti di Opg sono riusciti a riconquistare una vita normale e a tornare a vivere in società. “Appare assurdo e paradossale” - afferma Capitelli - “che non si faccia il possibile per restituire una vita a chi, pur avendo scontato la propria pena, è costretto a rimanere all’interno degli Opg. Ci sono strutture all’interno delle quali per queste persone c’è una effettiva possibilità di riabilitazione e reinserimento sociale, eppure queste realtà spesso restano vuote. Auspichiamo che con il cambio dei vertici dell’Azienda Sanitaria Locale inizi una nuova fase caratterizzata da una maggiore sensibilità verso il problema e da una reale attenzione alle risorse del Terzo Settore”. Sicilia: proposta di legge Pdl; 30mila euro ai detenuti che vogliono avviare impresa Adnkronos, 20 dicembre 2010 Un contributo di 30mila euro a fondo perduto ai detenuti che vogliono avviare un’attività lavorativa durante l’espiazione della pena. Lo prevede una proposta di legge del Pdl, che vede come primo firmatario Salvatore Torrisi, presidente dell’Ordine degli avvocati di Catania. L’obiettivo, spiega il parlamentare del centrodestra, è di creare le condizioni per un effettivo recupero del detenuto, “privilegiando l’attività lavorativa come un nuovo modo di espiare la pena, precostituendo le basi per un efficace reinserimento sociale”. Troppo spesso, sottolinea Torrisi, il pregiudizio impedisce a molti imprenditori di assumere chi è stato in carcere, “vanificando così le pur poche possibilità di reinserimento nella società di queste persone”. Ecco perché occorre pensare a possibilità alternative al lavoro dipendente, sostenendo “l’avvio di una libera attività di tipo professionale, culturale o di piccola imprenditoria”, attraverso una sovvenzione a fondo perduto di 30mila euro, che può essere concessa, a determinate condizioni, una volta soltanto e che va utilizzata per l’acquisto di attrezzature e materie prime o per l’avvio dell’attività imprenditoriale. La proposta prevede inoltre che vengano riconosciute le qualifiche professionali che il detenuto può conseguire non solo a conclusione di un ciclo completo di formazione, ma anche superando uno specifico esame di idoneità. A concedere il contributo, secondo la proposta, il ministero della Giustizia attraverso i garanti regionali dei diritti dei detenuti o le stesse Regioni. La ripartizione dei fondi (10 milioni di euro in tre anni) viene effettuata su base regionale, tenendo conto della popolazione carceraria delle singole regioni. Ai detenuti, che devono comunque essere residenti in Italia, non è richiesto il titolo di studio per l’iscrizione agli albi e nei registri delle attività di impresa istituiti presso le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura competenti per territorio per le diverse categorie. Il costo delle attrezzature e delle materie prime non può superare il 30% del costo complessivo. Il contributo può essere concesso a patto che il detenuto si impegni a proseguire l’attività per almeno cinque anni e a non alienare, per lo stesso periodo, le attrezzature acquistate attraverso la sovvenzione, a meno che le stesse non debbano essere rinnovate. Il garante regionale dei detenuti, su richiesta del beneficiario del contributo, può nominare un ‘tutor’ che assista il detenuto nelle fasi di progettazione e avvio dell’attività lavorativa. Modena: gli internati della Casa di lavoro; questo è come un carcere, anzi peggio La Gazzetta di Modena, 20 dicembre 2010 Grande festa quella organizzata dal Csi e dalla cooperativa sociale Mediando alla casa di lavoro Saliceta San Giuliano, in occasione dell’arrivo del Natale. Gli internati hanno organizzato lo spettacolo “Evasioni mentali”, durante il quale - con racconti e poesie, balli, canzoni e un monologo - hanno espresso le speranze e la desolazione che caratterizzano la realtà detentiva. “Che bello sapere che qualcuno ci pensa” sono state le parole di benvenuto di un internato che ha condotto lo spettacolo. Una festa che ha rappresentato un momento ricco di umanità. “Molti penseranno che il carcere ‘ce lo siamo meritatò, ma forse non sanno che la Casa di lavoro non dovrebbe essere un carcere, ma un luogo dove persone che hanno già pagato con la detenzione i loro errori, fanno un percorso per reinserirsi nella società. Ma quale percorso può essere fatto in un luogo che altro non è che di nuovo un carcere? Il lavoro all’esterno è poco o nullo per l’ovvio motivo che siamo ex detenuti, il lavoro all’interno è poco perché siamo troppi” hanno scritto in una lettera gli internati della Casa di lavoro. Hanno esprimendo un grazie sentito alla loro direttrice Federica Dallari perché lascia entrare volontari dall’esterno e, come scrivono, ciò “ci fa intravvedere che qualcuno ha capito il nostro bisogno di non essere considerati solo criminali senza possibilità di cambiamento”. Altre parole toccanti e forti sono state espresse nei pensieri scritti, letti dagli internati durante questa festa: “Ora, pagate tutte le mie condanne, mi trovo internato in questo posto che non è molto diverso da tutte le carceri italiane, ma dove la differenza è che qui non ho la certezza della data in cui la pena finirà definitivamente”. Sì, perché l’uscita da questo luogo è sottoposta a una serie di condizioni: questi uomini devono dimostrare di avere un lavoro, una famiglia e una residenza, condizioni che, come hanno detto, molti di loro avevano ma che hanno perso per ovvi motivi. “Ma con tutto il cuore non era meglio se lo Stato mi lasciava dove stavo, senza creare nuove aspettative che tanto non può garantire?” scrive un altro internato. E tra una canzone di Frank Sinatra e una di Vasco Rossi, interpretate con calore dal conduttore dello spettacolo, vengono regalate anche parole di speranza da questi uomini, di tutte le età e di tutte le provenienze, di cui sorprende la profondità del linguaggio utilizzato nell’esprimere i loro pensieri e la sensibilità artistica fortissima: “Non sono stato amato? Va bene, amerò gli altri come vorrei essere amato io. I miei prossimi combattimenti saranno vivere ciò che mi è stato impedito di vivere”. E un pensiero è stato anche indirizzato al presidente della Repubblica: “Avrei voglia di scrivere al presidente Napolitano per chiedergli di mandarmi a fare la guerra, almeno saprei di che morte devo morire e mi renderei conto, e saprei che servo a qualcosa e sarei stato di aiuto a qualcuno”. Sul finire della festa natalizia, la premiazione dei tornei di calcetto che il Csi ha organizzato tra due squadre di internati e quattro esterne e il rinfresco ricco di prelibatezze preparate dai ragazzi. Trento: il giorno del maxitrasloco, 154 detenuti vanno nel nuovo carcere di Spini di Gardolo Il Trentino, 20 dicembre 2010 Sveglia anticipata venerdì mattina per i 154 detenuti di via Pilati, e tutti sul piazzale pronti a partire per il nuovo carcere di Spini di Gardolo, un po’ intirizziti e con i capelli arruffati, in attesa di salire sugli speciali pullman della polizia penitenziaria. La mastodontica struttura di via Cesare Beccaria, circondata da un imponente muro su cui svettano le garitte, li aspettava. Il trasloco in realtà è iniziato da qualche giorno, con il trasferimento degli uffici e dei primi faldoni. L’addio ufficiale a via Pilati verrà dato solo a fine dicembre, quando l’ultimo fascicolo lascerà gli uffici e il vecchio carcere, ormai svuotato, verrà consegnato al demanio dello Stato, che lo assegnerà ad una nuova funzione. Ma ieri era il momento più importante e scenografico, almeno per chi la vita del carcere la immagina solo da fuori. Tra due cordoni di poliziotti e carabinieri, per evitare improbabili rischi di fuga, i detenuti sfilavano trenta alla volta per salire sugli speciali pullman provvisti di celle, due automezzi di colore blu scuro con le insegne della polizia penitenziaria. Vigilate da un imponente presidio delle forze dell’ordine, le operazioni sono proseguite fino alle undici e mezza, con cinque viaggi tra via Pilati e il carcere di Spini. La storica casa circondariale straboccava. In celle per quattro persone, pochi metri quadrati, convivevano dai sei ai dieci detenuti. I 154 ospiti di via Pilati sono tutti detenuti “comuni”, come si dice in gergo. Cioè condannati per modesto spaccio, furtarelli o altri piccoli reati, spesso portate in cella perché recidivi, oltre che sprovveduti. In gran parte - circa il 45% - sono stranieri. Povera gente, quasi senza eccezioni. In ogni caso, non criminali pericolosi. Schierati in fila nel freddo glaciale di ieri mattina e pronti per il trasferimento, qualcuno un po’ male in arnese, fanno più tenerezza che paura. Spini di Gardolo è una struttura nuovissima e confortevole. Sembra un carcere americano, con le garitte protette da vetri antiproiettile azzurrati. Inquieta un po’ il muro di cinta, severo, grigio, quasi minaccioso, ma il largo piazzale mostra un altro lato dell’istituto di pena. Luminoso, modernissimo, con uffici spaziosi e mobilia nuova, non dà l’idea di essere ciò che è. Più che un istituto di pena pare un ufficio pubblico di ultima generazione, spazioso e persino accogliente, se non fosse irrispettoso definirlo tale per quelle persone che, potendo scegliere, farebbero volentieri a meno di esservi accolte. Ogni cella è dotata di due letti (non a castello), toilette e doccia, impianto tv con schermo ultrapiatto (più che una cortesia è una scelta obbligata: i vecchi tubi catodici non si trovano sul mercato perché non li vuole più nessuno). Un comfort che in via Pilati era sconosciuto. Spini ha una capacità di 210 posti, i detenuti arrivati ieri ne occupano circa il 75%, e in due per cella - al massimo - il rischio dell’affollamento pare uno scenario lontano e improbabile. Anche perché - almeno per ora - il carcere di Rovereto, che ospita anche la sezione femminile, rimane attivo. Gli spazi a Spini comunque non mancano, ci sono diverse sale per i laboratori e i corsi di formazione, per imparare almeno un mestiere in attesa della libertà, e persino un campetto da calcio. Tuttavia gli agenti di polizia penitenziaria dovranno attendere altri due o tre mesi per entrare negli alloggi loro destinati. Il tempo di istruire le graduatorie. Nel frattempo, restano nella caserma di via Pilati. Nel ringraziare tutto il personale, in particolare il coordinamento e gli agenti del nucleo traduzioni, Andrea Mazzarese della segreteria locale del Sinappe, il principale sindacato del settore, torna sul problema delle risorse umane: “Rispetto alle stime del dipartimento Triveneto, possiamo abbassare a 250 unità il livello minimo per gestire la struttura. Ma di fatto restiamo in poco più di 100”. Verona: il Pd attacca la legge “svuota-carceri”; indulto mascherato, da Montorio fuori 70 detenuti L’Arena, 20 dicembre 2010 Il “decreto svuota carceri” del governo, accusa il Pd, prevede la scarcerazione con la formula degli arresti domiciliari per tutti i detenuti che debbano ancora scontare una pena inferiore a un anno di reclusione purché abbiano una dimora presso la quale scontare il residuo di pena. “Il governo “libera” almeno 70 detenuti per furti e rapine dal carcere di Montorio. Nel silenzio generale e con l’Italia distratta dal voto di fiducia, il governo ha approvato un indulto mascherato: solo da Montorio saranno scarcerate almeno 70 persone, detenute per furti e rapine!”. Questa è l’accusa che il Pd fa al governo, dicendo che se da una parte, a beneficio di telecamere e giornalisti, annuncia politiche “legalitarie” a ritmo continuo, elle pieghe del burocratismo legislativo approva la “liberazione” di migliaia di detenuti per gravi reati”. Il “decreto svuota carceri” del governo, accusa il Pd, “prevede la scarcerazione con la formula degli arresti domiciliari per tutti i detenuti che debbano ancora scontare una pena inferiore a un anno di reclusione purché abbiano una dimora presso la quale scontare il residuo di pena”. “Il governo ha “liberato” migliaia di detenuti in Italia!” “E a Verona”, dice, “secondo le stime del Direttore del carcere di Montorio, presto usciranno da quel penitenziario non meno di 70 detenuti - ma potrebbero essere ben di più - tutti con precedenti per reati contro il patrimonio, ossia per furti o rapine”. “Ci sarà un sovraccarico di lavoro per la Polizia veronese?”, si domanda il Pd. “Sì, perché dovrà controllare il rispetto della detenzione domiciliare degli scarcerati. Per questo non sfugge la denuncia pubblica dei rappresentanti dell’Ugl della Polizia di Verona, non certo un sindacato di sinistra: a Verona non sono mai arrivati i rinforzi promessi!. Se era vero quello che le destre dicevano sul precedente indulto, adesso gli scarcerati non dovrebbero tardare a commettere nuovi reati! Sempre pronti ad accusare di lassismo i magistrati”, conclude la nota del Pd, “ma quando sono loro che li scarcerano non dicono nulla”. Messina: un progetto per “orientare” i detenuti e dare loro una nuova opportunità Gazzetta del Sud, 20 dicembre 2010 Si chiama “Progetto Bussola” ed è stata presentata a Messina, alla Camera di Commercio, l’iniziativa promossa dall’associazione “Team Project” insieme alla Regione Siciliana (assessorato alla Famiglia e le Politiche Sociali), col patrocinio dell’Unione Europea e del ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali. Nel corso del convegno sono stati, dunque, approfonditi i contenuti, le finalità e i molteplici aspetti di rilievo del progetto, che riguarderà “l’Orientamento e l’inserimento socio - lavorativo per adulti in esecuzione penale”, per i reclusi della Casa circondariale di Messina, dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto e dell’Ufficio esecuzione penale esterna di Messina. Nell’arco di un periodo di 18 - 24 mesi verranno quindi effettuate attività di orientamento professionale e work experience, azioni formative, in sinergia con le aziende del territorio, per l’integrazione dei detenuti. Ai lavori introdotti e moderati da Giovanni Lucentini, presidente di Team Project, sono intervenuti Antonino Messina, presidente della Camera di Commercio di Messina, Calogero Tessitore, direttore della Casa circondariale di Gazzi, Nunziante Rosania, direttore dell’Opg di Barcellona, Giuseppa Carbone, direttore dell’Uepe, Cinzia Zummo, psicologa dell’associazione Team Project. La chiusura dei lavori è stata affidata a Orazio Faramo, provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria. “Oggi c’è un forte sovraffollamento carcerario - ha sottolineato Faramo - e sono circa 8 mila i detenuti in Sicilia. Problema al quale si aggiunge una forte carenza di organico di almeno 500 unità di personale di Polizia penitenziaria. Ovviamente ciò ci costringe a svolgere il nostro ruolo istituzionale con qualche affanno. C’è una carenza di mezzi e di presenze umane, il che aggrava le difficoltà gestionali”. Il carcere di Gazzi, ad esempio, dovrebbe avere una capienza di 233 detenuti, potrebbe tollerarne sino a 387 ma oggi ne conta 420. “L’istituto di Gazzi - dichiara Tessitore - presenta un tasso di sovraffollamento particolarmente consistente. Al momento abbiamo delle presenze che oscillano attorno alle 400 unità e, per altro, registriamo la chiusura di un grosso reparto detentivo, che da solo ha ospitato anche 200 detenuti. L’Amministrazione penitenziaria sta cercando in tutti i modi di porre adeguato rimedio. È già stata stipulato un contratto per il recupero e la ristrutturazione proprio di quel reparto detentivo. Intanto, è entrata in vigore la norma 199 del 26 novembre scorso che darà modo di far uscire a livello nazionale circa 7 mila detenuti. A Messina, secondo i dati in nostro possesso, sarebbero 29 detenuti beneficiari di questa misura. Nonostante il sovraffollamento, nel complesso, il 60 per cento dei detenuti a Gazzi, sarà impegnato in attività di recupero sociale, a riprova del nostro assoluto impegno per il rispetto dell’aspetto umano e a sostegno del reinserimento nella società stessa”. “Le misure alternative al carcere - spiega Giuseppa Carbone - se valorizzate, potrebbero costituire una risposta al sovraffollamento. È importante il concetto di differenziazione della sanzione penale. Va sperimentato il comportamento dei detenuti, non solo in carcere ma anche sul territorio, sperimentando ciò in modo oculato e graduale”. Secondo Rosania “siamo di fronte a una situazione critica che va affrontata a più livelli e questo mondo viene spesso emarginato. Ci sono persone che hanno diritto ad un’altra chance. I progetti di formazione e studio, e di carattere lavorativo, intendono perseguire questi risultati riabilitativi. Anche i soggetti malati vanno curati”. Sassari: caso di tubercolosi a San Sebastiano, detenuto messo in isolamento sanitario La Nuova Sardegna, 20 dicembre 2010 L’allarme è scattato all’improvviso, anche se quel detenuto da alcuni giorni aveva manifestato uno strano malessere con dolori in tutto il corpo. E poi, quella tosse: sempre più forte e persistente. I medici del carcere si sono insospettiti e l’hanno messo in isolamento. Tubercolosi. Una parola che ha fatto il giro di San Sebastiano in un amen e che alcune settimane fa ha seminato il terrore tra gli oltre 200 detenuti. Una parola pronunciata quando ancora non c’era neppure la certezza sul motivo per il quale quel detenuto sardo fosse stato trasferito d’urgenza dall’infermeria di San Sebastiano alla Clinica di malattie infettive. Dove è stato sottoposto a tutti gli accertamenti diagnostici necessari, anche se già dal primo sommario esame il quadro clinico del paziente era sembrato abbastanza chiaro agli specialisti. La situazione all’interno del penitenziario di via Roma è stata comunque gestita con grande professionalità dalla direttrice Teresa Mascolo con l’equipe medica del carcere, affiancata dagli specialisti della Clinica di malattie infettive dell’università. Tanto che dopo alcuni giorni, l’allarme è rientrato e la vita ha continuato a scorrere tranquilla dentro le mura del carcere. Qualche preoccupazione in più per i parenti del detenuto e per i reclusi che avevano avuto contatti direttamente con lui e che sono ristretti nel suo braccio. Ma non appena è balenato il sospetto che potesse trattarsi di tubercolosi, tutti i detenuti e gli agenti di polizia penitenziaria sono stati sottoposti alla profilassi prevista in questi frangenti. Naturalmente, il caso di tubercolosi è stato anche segnalato all’ufficio igiene dell’Asl 1 che ha immediatamente provveduto a sottoporre a profilassi anche i parenti del detenuto e gli amici che potevano aver avuto contatti con loro e con il recluso. Dopo alcuni giorni di preoccupazione, la situazione è comunque tornata alla normalità. Anche perché gli specialisti della Clinica di malattie infettive insieme agli ispettori di igiene dell’Asl 1 avrebbero accertato che la tubercolosi del detenuto risalirebbe a molto tempo prima, almeno per quanto riguarda la presenza nel suo organismo ed è esplosa in occasione di un malessere forse causato dal cambiamento del tempo: il freddo pungente di alcune settimane fa seguito poi da un’anomala ondata di caldo. Il carcere di San Sebastiano è sicuramente una struttura inadeguata per accogliere detenuti e anche soltanto per lavorarci, ma ormai le sofferenze di agenti, operatori e detenuti stanno per concludersi visto che sono in fase molto avanzata i lavori di costruzione del nuovo carcere a Bancali. Ma dal punto di vista sanitario, San Sebastiano è forse uno tra quelli più all’avanguardia in Italia visto che da anni c’è un equipe della Clinica di malattie infettive che ha predisposto un rigido protocollo di prevenzione sia per i reclusi, sia per le guardie, sia per tutti gli operatori penitenziari. E segue puntualmente tutti i detenuti per evitare l’insorgenza di qualsiasi epidemia. Come è successo in questa occasione. La situazione sanitaria è sempre stata sotto controllo e alcuni momenti di forte preoccupazione sono stati superati con interventi mirati tesi a tranquillizzare la popolazione carceraria. Torino: detenuta incendia la cella, 4 poliziotte intossicate dal fumo e ricoverate in ospedale Ansa, 20 dicembre 2010 Quattro agenti di polizia penitenziaria sono rimaste intossicate dal fumo sprigionatosi da un incendio. È successo la notte scorsa nel carcere delle Vallette a Torino. Si trovano ricoverate al pronto soccorso dell’ospedale Maria Vittoria. Le loro condizioni non sono gravi. Il fatto è avvenuto dopo le due, in seguito a un incendio appiccato in una delle celle da una detenuta. Tutte le altre 120 ospiti del padiglione femminile del penitenziario sono state evacuate nell’area ricreativa esterna, mentre le poliziotte non hanno potuto fare altro che respirare il fumo e restare intossicate. A darne notizia è stata la segreteria nazionale dell’Osapp, sindacato autonomo polizia penitenziaria. “Stiamo verificando - dichiara Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp - se all’interno di quel carcere fossero presenti presidi di sicurezza quali le mascherine antifumo. Se così non fosse vi sarebbero responsabilità gravi”. Saranno dimesse in giornata dall’ospedale Maria Vittoria di Torino, dove sono ricoverate, le quattro poliziotte penitenziarie rimaste intossicate la notte scorsa in seguito all’incendio appiccato da una detenuta nel padiglione femminile del carcere delle Vallette. Le loro condizioni, infatti, non sono gravi, anche se il personale medico dell’ospedale ha preferito trattenerle in osservazione. Un caso analogo a quello torinese si era verificato ieri pomeriggio nel carcere di Alba (Cuneo). Anche qui vi era stato un incendio appiccato da un detenuto in una cella e due agenti di polizia penitenziaria erano rimasti intossicati durante le procedure di evacuazione. A darne notizia è sempre l’Osapp. “Ancora una volta - precisa il segretario generale Leo Beneduci - è stata soltanto l’abnegazione degli agenti di polizia penitenziaria a evitare un disastro in una situazione di evidenti carenze strutturali e di personali”. I due agenti sono stati ricoverati nell’ospedale di Alba e non versano in gravi condizioni. Alba (Cn): detenuto dà fuoco ad un materasso, due gli agenti intossicati Ansa, 20 dicembre 2010 Tensione sempre più palpabile nelle carceri. E la situazione è stata più volte denunciata dall’Osapp, organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria. Non sono esenti le strutture della nostra provincia. L’ultimo episodio nella giornata di ieri, quando, intorno alle 17, presso la casa circondariale di Alba, un detenuto di nazionalità irachena ha dato fuoco al materasso della sua cella e si è barricato nel bagno. Fumo acre si è sprigionato in tutto il “reparto transito”, dove è avvenuto il fatto. Agenti di polizia penitenziaria sono immediatamente intervenuti per tirare fuori il detenuto dal bagno, evitando il peggio grazie anche al lavoro dei vigili del fuoco di Alba. Due agenti sono però rimasti intossicati per le inalazioni e sono stati ricoverati per accertamenti presso il nosocomio albese. È Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, a commentare la vicenda: “Non sappiamo se il detenuto di Alba stesse provando a suicidarsi. La questione per noi è che tutti i problemi delle carceri e dei detenuti ricadono sulla polizia penitenziaria, che sta reggendo uno stress davvero insostenibile”. Soluzioni a breve termine? Beneduci evidenzia il fallimento delle carceri come modello di rieducazione in vista di un reinserimento sociale e sottolinea come ci sia in previsione la costruzione di nuovi istituti di detenzione entro la fine del 2012, con un possibile aumento di posti pari a 9900. “Attualmente ci sono 69mila detenuti a fronte di poco meno di 45mila posti. Se il trend di crescita della popolazione carceraria resta quello attuale, entro fine del 2012 avremo 10mila detenuti in più. Per cui non si risolverebbe niente”. Una situazione, insomma, destinata a rimanere esplosiva. Potenza: la Provincia e l’associazionismo; tre giorni di solidarietà per i detenuti Gazzetta del Sud, 20 dicembre 2010 È cominciata oggi, nell’istituto penitenziario di Potenza, la tre giorni di solidarietà organizzata dalla Provincia di Potenza, in collaborazione con le associazioni Psy&Co La Minerva di Potenza e l’Arcadia di Tito. In rappresentanza dell’intero Consiglio provinciale, questa mattina, il presidente del Consiglio Palmiro Sacco e i consiglieri Tommaso Samela e Gerardo Ferretti hanno fatto visita alla struttura, per dare un segnale di vicinanza morale e di solidarietà non solo ai detenuti, ma soprattutto ai loro familiari. In un clima di festa, volontari delle due associazioni hanno distribuito ad un centinaio di bambini materiale didattico e piccoli doni natalizi, offerti dalla Provincia di Potenza. “Questa iniziativa si pone in continuità con le altre già organizzate nelle carceri di Potenza e Melfi - hanno spiegato i consiglieri Samela e Ferretti - considerate vere e proprie comunità, inserite nel contesto territoriale. La Provincia di Potenza intende rafforzare questo impegno per il prossimo anno, in raccordo con le direzioni dei due istituti penitenziari, promuovendo nuovi progetti e momenti di incontro”. Il presidente Sacco e i consiglieri Samela e Ferretti hanno, infine, ringraziato il direttore e tutto il personale di vigilanza dell’istituto penitenziario di Potenza per la disponibilità e la sensibilità manifestate. Roma: “Giorni Scontati”, le detenute protagoniste di uno spettacolo teatrale Agi, 20 dicembre 2010 Forse è il segnale che qualcosa sta cambiando nell’aria, che l’impegno sociale e la cultura tornano di attualità, perché, senza facile moralismo, ci piace dirlo, se ne sentiva la mancanza. Fatto è che anche il carcere va in scena, in una commedia dolceamara, Giorni Scontati, scritta da Daniela Scarlatti e Antonella Fattori, con la regia di Luca De Bei. Dopo l’anteprima del 16 dicembre, nel teatro del carcere maschile di Rebibbia, dove ha incassato l’applauso sincero e commosso dei detenuti e di quattro delle otto detenute, che hanno riletto e integrato il testo con le attrici, Giorni Scontati, inizierà la tournee l’8 gennaio, dal Cineteatro di Tolentino, per poi fare rotta sul teatro Puccini di Merano, il 18 gennaio e proseguire per Milano. Quattro donne, molto diverse tra loro, si trovano a convivere, in una cella di 9 metri, da agosto a Capodanno. In quei mesi, scanditi dalla radio,dalla Tv, dal rumore sordo dei chiavistelli e dalle gocce d’acqua dei tubi di stagno, dalla moka per fare il caffè e dalle loro emozioni: dagli scontri alle risate, dai dolorosi ricordi agli immancabili sogni, si racconta il carcere, a chi non ricorda mai neanche che esiste. Si smaschera il silenzio del carcere e si apre il sipario sul carcere, ma soprattutto si pone la domanda sul dopo: le vie d’uscita e il recupero possibile, che in questo testo, ognuna delle quattro donne detenute, a modo suo, saprà attivare, nonostante tutto. Giorni Scontati, ci è piaciuto molto. Ha saputo restituire ai detenuti del carcere, dove è stato realizzato il progetto, a Rebibbia, la loro storia di tutti i giorni, tentando la strada non facile, ma opportuna, che riteniamo però di successo, la commedia. Ogni tinta fosca, ogni tono tragico, riesce ad essere smorzato, al momento giusto con un cambio di passo, che fa tirare un sospiro di sollievo allo spettatore, senza far dimenticare il dramma da cui origina. Questo testo, ricco di parole che pesano come pietre, rese in scena, attraverso piccoli gesti quotidiani e alcune felici invenzioni, funziona molto in scena. Bravo il regista e azzeccata la scelta dei ruoli rispetto alle attrici: Daniela Scarlatti (l’algida e misteriosa Viviana), Antonella Fattori (Maria Pia, l’imprenditrice edile), Giusy Frallonardo (Lucia, l’omicida, ora autolesionista) e Lia Zinno (Rosa, napoletana, ladra ed ex tossica). Appassionate interpreti anche teatrali, nonostante che per alcune di loro la notorietà, negli ultimi anni, sia passata soprattutto per il (si fa per dire) piccolo schermo. Fermo (Ap): al via un corso per arbitri rivolto ai detenuti dell’Istituto penitenziario Ansa, 20 dicembre 2010 È convocata per domani 21 dicembre alle ore 11, presso la presso la Sala Giunta della Provincia di Fermo, la conferenza di presentazione del Corso di formazione per arbitri di calcio rivolto ai detenuti di breve durata nell’Istituto Penitenziario di Fermo, organizzato in collaborazione con la Uisp di Fermo. Parteciperanno all’incontro: Fabrizio Cesetti Presidente della Provincia di Fermo, Gaetano Massucci Assessore alle Politiche Sociali e allo Sport della Provincia di Fermo, Umberto Cingolani Presidente della Uisp Comitato di Fermo, Maurizio Tardella Istruttore, Eleonora Consoli Direttrice dell’Istituto Penitenziario di Fermo, Nicola Arbusti Educatore. Viterbo: dal 19 dicembre al 9 gennaio mostra di beneficienza offerta dai detenuti Ristretti Orizzonti, 20 dicembre 2010 Per i credenti il Natale ci ricorda ogni anno l’inizio della storia del riscatto degli uomini di buona volontà; per i non credenti costituisce l’occasione per riflettere sulle capacità dell’animo umano di essere attento al suo prossimo. Noi che cerchiamo di portare il Natale anche dentro il carcere non siamo in grado di offrire certezze, ma di sicuro abbiamo il dovere di alimentare le speranze delle persone recluse: la speranza di ricostruire la storia spezzata della propria vita, la speranza di comprendere fino in fondo i propri errori e tutte le sue conseguenze, la speranza di essere un giorno perdonati. Ma il rischio del clima natalizio è il “buonismo” a buon mercato ed è per questo che alcuni detenuti della casa circondariale di Viterbo Mammagialla hanno pensato di dover offrire anch’essi il loro contributo verso i più fragili e i più deboli e uscire in tal modo dalla dinamica del facile vittimismo. Grazie alla collaborazione di alcuni agenti della Polizia penitenziaria e di alcuni volontari, i detenuti hanno preparato una serie di oggetti di artigianato e di dipinti per allestire una mostra presso la Chiesa Sant’Andrea a Pianoscarano: l’intero ricavato della vendita della mostra verrà devoluto alla vicina casa di accoglienza che ospita i bambini delle famiglie in difficoltà. Riteniamo che queste iniziative vadano incoraggiate in quanto rappresentano un modo per costruire un ponte immaginario tra chi è dentro e chi è fuori e consentire a chiunque di essere utile alla società e di essere vicino alle persone meno fortunate. Per questo vi preghiamo di venire a visitare la mostra (da domenica 19 dicembre a domenica 9 gennaio) e di offrire il vostro contributo a questa catena della solidarietà. Gavac - Gruppo assistenti animatori volontari carcerari Torino: l’arcivescovo in visita ai carcerati; vivete in condizioni poco umane La Stampa, 20 dicembre 2010 Il benvenuto all’arcivescovo, prima dell’inizio della messa di Natale nella sezione maschile della Casa circondariale Lorusso e Cotugno, lo ha dato un detenuto musulmano: Karim, scelto dalla sua comunità per pronunciare parole come “rispetto”, “unione”, “pace” nella chiesa di questo pezzo di città che oggi conta 1.605 reclusi e che monsignor Cesare Nosiglia ha voluto conoscere a meno di un mese dal suo arrivo. “Cari amici - ha detto l’arcivescovo - vi sono vicino come vescovo, come padre e come amico per testimoniarvi l’attenzione della Chiesa di Torino per il carcere. “Ero carcerato e mi avete visitato” è scritto nel Vangelo. Qui, oggi, viviamo un anticipo di Natale: vedo Gesù nei vostri occhi, lo sento nella vostra attesa. Il suo popolo è fatto prima di tutto di sofferenti, di emarginati dalla società, siete voi”. La chiesa è piena di adulti dall’aspetto “qualsiasi” e di giovani che invece hanno addosso i segni di un’esistenza precaria. In prima fila c’è il procuratore capo della Repubblica Giancarlo Caselli con il direttore della Casa circondariale Pietro Buffa, il comandante della polizia penitenziaria Gianluca Colella, poi, agenti, volontari. “Gesù vi ama così come siete - dice l’arcivescovo, che parla in un silenzio attento e partecipe - , facciamo di questo Natale un evento di speranza. Anche se non è facile, qui, farvi sentire la speranza”. Nosiglia ha in mente il sovraffollamento che toglie dignità. Gliene hanno parlato i cappellani, don Piero Stavarengo e don Alfredo Stucchi. “Sono preoccupato per le condizioni difficili in cui vivete, spesso non degne di persone. Condizioni che sollevano dubbi anche sul nostro Paese, sulle sue strutture istituzionali. E che mettono concrete ipoteche sulla possibilità che la pena possa servire e sia veramente riabilitativa”. Con un sorriso aggiunge: “Ho un sogno: sogno che la società sia in grado di trovare modi diversi da questo per riabilitare chi ha sbagliato”. L’arcivescovo usa parole che arrivano al cuore di chi ha di fronte. “Mi impegno a fare il possibile - dice - perché la vostra vita possa essere dignitosa, perché abbiate un futuro diverso. Vorrei essere la vostra voce nella comunità. A voi chiedo amicizia”. Poi, rivolto agli agenti: “Restare accanto alle persone, attenti alla piccole cose. Guardate i detenuti come fratelli”. Ai volontari: “Siate portavoce nei vostri ambienti affinché il carcere sia parte della società, perché ci sia chi sostenga il reinserimento di chi esce”. Parole simili le dirà più tardi al reparto femminile, dove lascerà che il piccolo Alex (uno dei cinque bimbi che oggi crescono alle Vallette) giochi con la sua croce, dove sarà accolto dallo straordinario coro gospel di donne africane, la Tee Dee Band che ieri ha avuto la proposta di esibirsi fuori. Il direttore Buffa ringrazia l’arcivescovo: “Le sue parole hanno colto la nostra vita qui, complessa e difficile, spesso non conforme alle regole giuridiche e umane. In questo momento storico è così, ma lei ci ha dato speranza perché è con noi”. Qualcuno (e non è la prima volta che accade), dice che la serenità che l’arcivescovo trasmette pare quella di Giovanni XXIII, e ricorda la celebre visita del Papa a Regina Coeli. Un volontario “storico” aggiunge: “Fa pensare a padre Pellegrino”. Monsignor Nosiglia assicura: “Tornerò ancora, fuori dall’ufficialità e dalle feste comandate”. E prima di lasciare il reparto maschile si ferma davanti alla monumentale chiesa “in miniatura” con presepe costruita con minuscole pietre da Antonio e Antonino. Entrambi hanno figli, per Natale li vedranno. E riferiranno loro le parole non scontate del “vescovo Cesare”. Immigrazione: Cie di Milano; quattro immigrati fuggono dopo aver annodato le lenzuola La Repubblica, 20 dicembre 2010 In undici hanno segato le sbarre con piccole lame, hanno raggiunto il cortile del Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli e poi si sono arrampicati sul muro di cinta servendosi di lenzuola legate a formare una corda. Due sono stati fermati dai militari che avevano notato i movimenti del gruppo dai monitor del servizio di sicurezza, cinque sono rimasti all’interno del Cie, quattro sono riusciti a scappare. L’ennesimo tentativo di fuga dal Centro di via Corelli - per il freddo ma anche per i lunghi tempi di detenzione, fino a sei mesi - si consuma alle 5 di domenica mattina, quando le guardie si accorgono dei movimenti nel reparto C. Nei monitor una decina di ospiti della struttura sta tentando di segare le sbarre di ferro e forzare le uscite. Scatta subito l’allarme, un algerino di vent’anni viene bloccato subito insieme a un palestinese. Altri cinque rientrano. Ma mentre le forze dell’ordine arrivano all’interno dei reparti per sedare la rivolta, in quattro riescono a fuggire: sono un algerino, un tunisino, un palestinese e un marocchino, tutti di età compresa tra i 18 e i 25 anni. Una evasione a una settimana esatta dall’ultimo tentativo, quando extracomunitari e agenti erano rimasti feriti nei disordini in tre settori riservati normalmente ai nordafricani. La settimana scorsa il gruppo di ospiti aveva cercato di raggiungere il tetto della struttura per scappare, ma tutti erano stati bloccati. Preclusa la fuga, i nordafricani avevano divelto termosifoni, porte, lanciato sedie e tavoli, tanto da rendere i reparti inagibili. Ieri erano sessanta gli ospiti del Centro, che sempre più spesso aspettano la tarda notte per tentare di evadere, approfittando del fatto che i sensori sui tetti collegati agli allarmi, che avvisano le forze dell’ordine di presenze anomale, sono rotti. Per questo i tentativi di fuga si concentrano quasi sempre tra la mezzanotte e le 5 del mattino. “Ma il problema della gestione della sicurezza all’interno del Cie nasce dall’ambiguità di queste strutture - denuncia Mauro Guaetta, segretario milanese del Siulp, il più importante sindacato di polizia. Non sono carceri, le forze dell’ordine non entrano, ma poi quando è necessario garantire la sicurezza e impedire le fughe, gli agenti non possono operare con immediatezza. Nel tempo necessario a organizzarsi per intervenire, all’interno succede di tutto. Il ministro Maroni deve decidere cosa vuol fare di questi posti. È necessario rivedere le regole di gestione che oggi sono poco funzionali”. Brasile: evasi 35 dei detenuti più pericolosi, che avevano ottenuto la semilibertà Ansa, 20 dicembre 2010 Molti dei detenuti più pericolosi di Rio de Janeiro, tra i quali il boss del narcotraffico che fece abbattere un elicottero della polizia un anno fa, non sono più tornati in cella una volta ottenuto il regime di semilibertà dopo aver scontato parte della pena. Secondo la legge brasiliana, scontati quattro anni di pena senza sanzioni disciplinari, qualsiasi detenuto, anche un pluriomicida, può chiedere di scontare il resto della pena in regime di semilibertà, in virtù del quale ha l’obbligo solo di trascorrere la notte in carcere, anche se non può allontanarsi dalla città. Dei cento detenuti più pericolosi di Rio, tutti condannati a pene di oltre vent’anni, 35 non hanno fatto ritorno in cella non appena ottenuto il regime semiaperto, rivela oggi un’inchiesta del quotidiano carioca O Globo. Tra gli altri, si è avvalso della semilibertà per scomparire anche Fabiano Atanasio, detto Puido, uno dei boss che controllavano il traffico nel Morro do Alemao, la favela che la polizia ha riconquistato in novembre dopo vent’anni di dominio assoluto del territorio da parte delle cosche. Un altro evaso è Evanir ‘Metralhà dos Santos, un noto killer con a carico una trentina di assassinii ed esecuzioni a pagamento. Il quotidiano riporta reazioni sull’evasione dei 35 detenuti ad alta pericolosità destinati a suscitare non poche polemiche. “È chiaro che è ormai venuta l’ora di cambiare a fondo il nostro codice penale”, ha commentato Paulo Henrique de Moraes, comandante del corpo di elite della polizia di Rio. “I malviventi più pericolosi e violenti non possono essere trattati alla stregua dei delinquenti comuni. Questo vuol dire premiare proprio chi dovrebbe essere tenuto lontano dalla società”. Il codice penale brasiliano risale al 1940, all’epoca della dittatura di Getulio Vargas. Da domani sarà lanciato un numero verde e un sito su internet con le foto segnaletiche e le fedine penali degli evasi, con i quali l’utente potrà dare informazioni sui fuggiaschi con ricompense che arrivano fino a 10 mila real (6 mila euro). “L’agente si fa sparare addosso, riesce a catturare il malvivente nonostante tutto, e poi la giustizia lo lascia andare così”, commenta l’autore del sito, il tenente Zeca Borges, una specie di portavoce della categoria. Iran: impiccata donna condannata per 5 omicidi Aki, 20 dicembre 2010 È stata giustiziata per impiccagione una donna iraniana giudicata colpevole di più omicidi. Lo rivela questa mattina l’agenzia Irna, spiegando che l’esecuzione è avvenuta ieri in un carcere vicino alla città di Qavin, nell’Iran centrale, dopo che la sentenza di condannata emessa in primo grado è stata confermata dalla Corte Suprema. La donna, Mahin Q., è stata giudicata responsabile dell’omicidio di almeno cinque donne. L’omicidio, lo stupro, la rapina a mano armata, il traffico di droga in quantità eccedenti i cinque chilogrammi sono tra i reati che la legge islamica, in vigore in Iran, punisce con la pena capitale. Brasile: presidente Lula rifiuta estradizione di Cesare Battisti, potrebbe tornare libero per Natale Ansa, 20 dicembre 2010 Cesare Battisti potrebbe tornare libero prima di Natale. Secondo il quotidiano brasiliano O Globo, l’ex terrorista italiano detenuto nel Paese sudamericano sarebbe sul punto di riacquistare la sua libertà. L’avvocatura generale dello Stato avrebbe già consegnato al presidente Lula il documento sul caso in cui vengono indicati i termini che permettono di rifiutare l’estradizione nonostante l’accordo bilaterale con l’Italia. Il quotidiano brasiliano O Globo scrive inoltre che, secondo le voci che circolano nei palazzi del potere, Lula potrebbe annunciare la sua decisione già giovedì prossimo. in modo che ci sia il tempo tecnico affinché Battisti possa essere rilasciato a tempo per passare le feste natalizie con la famiglia. Ma fonti dell’Avvocatura dello stato precisano di non aver ancora consegnato a Lula il proprio parere, confermando comunque che il destino di Battisti sarà deciso nei prossimi giorni. Ad inizio dicembre il presidente brasiliano aveva affermato in un’intervista alla televisione di stato Tv Brasil che: “Quella di Cesare Battisti è una questione sulla quale io posso prendere una decisione ora o lasciarla alla presidente Dilma Rousseff, ma preferirei prenderla ora”. “Se il parere dell’avvocatura generale è pronto, io decido ora, per non lasciare a Dilma questa questione che è sempre amara”, affermava ancora nell’intervista spiegando che: “C’è gente che vuole che Battisti resti qui, c’è gente che vuole che lui vada via. Non voglio lasciare nessuna confusione alla nuova presidente”. In merito, in campagna elettorale, il neo presidente eletto Dilma Rousseff ha mostrato invece, di avere le idee chiare e aveva fatto capire di essere disponibile a concedere l’estradizione di Battisti. Lula ha dunque aspettato la fine del suo incarico, che scade a fine anno, per ignorare platealmente la decisione del Supremo Tribunal Federal (la Corte Costituzionale brasiliana), che nel novembre del 2009 decise a favore dell’estradizione dell’ex terrorista rosso, e anche l’opinione pubblica brasiliana, chiaramente contraria all’asilo politico. Iran: premio Nobel per la pace Shirin Ebadi lancia sit-in per liberazione donna avvocato detenuta Ansa, 20 dicembre 2010 Il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi ed altre militanti iraniane per i diritti umani hanno dato il via oggi a Ginevra a un sit - in davanti alla sede delle Nazioni Unite per chiedere la liberazione dell’iraniana Nasrin Sotudeh, avvocato, impegnata nella difesa di dissidenti. La donna è stata arrestata il 4 settembre 2010 con l’accusa di propaganda contro lo Stato e di aver agito contro la sicurezza nazionale. È detenuta da oltre 100 giorni, è in isolamento e conduce uno sciopero della fame, ha detto Ebadi. “Da 15 giorni, Nasrin Sotudeh conduce uno sciopero della fame completo (né solidi, né liquidi) e da cinque giorni è in ospedale”, ha detto il Premio Nobel ai giornalisti, convocati nella piazza davanti al Palazzo dell’Onu. ‘Siamo preoccupati per la sua vita. Siamo qui per far sentire la sua voce al mondò, ha aggiunto denunciando l’illegalità della detenzione. “Non c’è posto per i difensori dei diritti umani in Iran, ma la voce dei diritti umani non sarà messa a tacere. Siamo venuti qui per gridare davanti all’Onu”, ha ancora insistito Ebadi sfidando le temperature invernali e il vento Oltre a Shirin Ebadi - ha riferito la Federazione internazionale dei diritti umani - hanno aderito alla mobilitazione le attiviste, avvocatesse, scrittrici e giornaliste iraniane Shadi Sadr, Parvin Ardalan, Asieh Amini, Khadijeh Moghaddam, Mansoureh Shojaee e Mahbubeh Abbasgholizadeh. La durata del sit - in non è stata determinata.