Giustizia: nelle celle detenuti pigiati come eco-balle umane da smaltire di Adriano Sofri Il Foglio, 17 dicembre 2010 Dunque le agenzie hanno battuto ieri la notizia su un altro detenuto, un trentacinquenne di origine maghrebina, che si è ammazzato, col gas della bomboletta, a Sollicciano - sono 63, nelle nostre carceri, dall’inizio dell’anno - dopo che tre giorni prima si era suicidato un agente della polizia penitenziaria dello stesso carcere fiorentino. Pochi giorni prima un altro giovane detenuto si era impiccato ed era stato salvato dai compagni rientrati dall’aria, e ricoverato in extremis. Per la condizione di Sollicciano era in corso da settimane, e continuerà fino a Natale, uno sciopero della fame a staffetta di volontari, amministratori locali, e del garante dei diritti dei detenuti. L’ultima puntata del programma di Radio radicale, Radio carcere, ha ospitato il lungo dettagliato e impressionante racconto di un detenuto appena uscito da Sollicciano, dove le celle di 12 metri quadri tengono tre persone, e quelle di 18 metri quadri ne tengono sei su tre brande a castello doppie: non c’è spazio per stare in piedi. In questi cubicoli stanno reclusi ventidue ore su ventiquattro. Si trema di freddo, si fa una doccia calda se si è i primi della fila, poi finisce. Chi vuole suicidarsi si misura col problema di trovare un angolo e un momento in cui gli occhi degli altri, detenuti o agenti, non gli stiano addosso: come decidere dì impiccarsi in un autobus nell’ora di punta. Parliamo di Sollicciano, ma è la condizione delle galere italiane, che schiacciano in questo modo 70 mila persone, eco-balle umane da smaltire. In questa situazione, come ha denunciato ieri Franco Corleone, e come sanno tutti coloro che frequentano, da qualunque lato, il carcere, e che non hanno venduto l’anima, l’annuncio della “liberazione” di migliaia di persone per effetto della leggina che manda, non liberi, ma alla detenzione domiciliare, i detenuti che hanno meno di un anno da scontare, è destinato a suscitare allarmi insensati e pretestuosi e, in quelle celle, speranze illusorie e micidiali. Ieri, per esempio, i giornali annunciavano unanimi che a Sollicciano starebbero per uscire 360 detenuti: la cifra prevista dal ministero va invece dai 50 ai 70 detenuti. Ma di questa indecente campagna di ignoranza o di manipolazione forcaiola, che riproduce i nefasti della campagna sull’indulto, riparleremo. Intanto aggiorniamo il conto dei suicidi e delle altre tabelline. Presenti a Sollicciano ieri, 1005. Capienza regolamentare: 476. Bambini presenti ieri a Sollicciano: 5 (cinque). P.S. Il detenuto suicida di ieri era condannato in primo grado per spaccio, avrebbe dovuto uscire nel 2011, Rileggete: nel 2011. Lui ha provveduto da sé a svuotare il carcere. Giustizia: partono i saldi di fine pena... intanto sale a 63 il numero dei suicidi di Dina Galano Terra, 17 dicembre 2010 Entra in vigore la legge che permette di scontare ai domiciliari l’ultimo anno di reclusione. Ma saranno appena 6.000 a beneficiarne. Intanto sale a 63 il numero dei suicidi. Nel carcere fiorentino di Sollicciano nella notte di ieri si è tolto la vita un detenuto di origini maghrebine. Ha inalato gas da una bomboletta ad appena trentacinque anni. Portando così a 63 il numero dei suicidi avvenuti quest’anno dietro le sbarre. Era uno dei 2.300 stranieri presenti nelle carceri nella regione toscana, uno degli oltre 25.300 della Penisola. Pari a quasi un terzo della popolazione ristretta, sono soprattutto albanesi, marocchini, rumeni, egiziani, tunisini e nigeriani a finire in galera. Rei di illeciti minori, sempre più spesso colpevoli della condizione di irregolarità innalzata a reato penale dal primo pacchetto sicurezza, costituiscono quella categoria di reclusi che con maggiore facilità passa per la porta del carcere e con speculare difficoltà riesce a uscirne. Recentemente se ne è accorto anche il Guardasigilli che, intervenendo a un convegno sul tema, ha così ridotto il problema delle celle sovraffollate: "Se togliamo dai circa 70mila detenuti nelle carceri italiane i 24mila stranieri abbiamo la capienza regolamentare degli istituti. Vuol dire che le carceri italiane sono attrezzate per i detenuti italiani". Per rafforzare il suo pensiero Alfano ha poi aggiunto che lo straniero "ha fatto pagare al nostro Paese un costo in termini di sicurezza, di ingolfamento del processo", per cui secondo il ministro "almeno vitto e alloggio se lo dovrebbe far pagare dal proprio Paese". Potesse quello straniero almeno beneficiare del decreto legislativo sulla detenzione domiciliare, sempre voluto da Alfano ed entrato in vigore ieri (legge 199/2010), forse i penitenziari sarebbero davvero meno affollati. Tuttavia la normativa che prevede che gli ultimi dodici mesi di pena siano scontati all’esterno pone dei requisiti stringenti, primo fra tutti il domicilio "effettivo e idoneo" presso cui scontare la residua sanzione, di cui l’extracomunitario spesso risulta sprovvisto. Altre preclusioni sono connesse alla gravità del reato commesso (nulla da fare per l’omicida, il sex offender, il terrorista o il mafioso) ma anche alla dichiarazione di delinquenza abituale o professionale (che ricorre spesso nei casi di reati di droga, ad esempio). Sul singolo caso interverrà da oggi la decisione del magistrato di sorveglianza, non potendo la legge ammettere automatismi indiscriminati. Al conteggio di circa 9.600 interessati dalla misura deflattiva presentato dal Dap, gli operatori hanno concluso che la misura domiciliare coinvolgerà al massimo 6mila detenuti. E, trattandosi di una misura provvisoria e a termine (scadrà nel 2013), inidonea a contrastare il sovraffollamento che porta in carcere 600/700 persone ogni mese. Ma per Alfano la legge non poteva che essere necessaria: con la fine del 2010, infatti, scade anche il decreto che ha dato il via libera allo stato di emergenza penitenziaria e al cosiddetto Piano per l’edilizia carceraria. Senza che un mattone sia stato piantato. Giustizia: può accadere anche da noi una strage in carcere, come successo in Cile? di Franco Corleone Oggi, 17 dicembre 2010 L’8 dicembre oltre ottanta detenuti in un grande carcere alla periferia di Santiago del Cile sono morti a causa di un terribile incendio. Potrebbe accadere anche in Italia? Purtroppo sì. D’altronde, anche se pochi lo ricordano, il 3 giugno 1989 nel carcere delle Vallette di Torino undici donne (nove detenute e due agenti) morirono intossicate per l’incendio di una catasta di materassi ammassati sotto le finestre della sezione femminile. Nessuno aprì le celle e i pompieri arrivarono 45 minuti dopo l’allarme lanciato dai detenuti del braccio di fronte. Il processo non individuò responsabilità, come se le vittime fossero cittadine di serie B non meritevoli di giustizia. Ora i materassi in carcere sono ignifughi, ma un incendio può svilupparsi in molti modi e per molte ragioni. Magari una protesta sfuggita di mano o un banale incidente. Di certo il sovraffollamento rende la situazione esplosiva in ogni momento. Il presidente cileno ha attribuito proprio al sovraffollamento la causa del disastro e ha riconosciuto che “il sistema delle prigioni è assolutamente disumano” e ha promesso “la realizzazione di un sistema nuovo, più dignitoso, degno di un paese civile”. In carcere, le regole di controllo non devono impedire gli interventi tempestivi di soccorso e la sicurezza non deve prevalere sul diritto alla vita. È quanto prevede la Costituzione. Oggi, con quasi 70.000 detenuti, le prigioni italiane non sono tanto diverse da quelle sudamericane. Per avere una riforma che rispetti la dignità umana, bisogna aspettare un rogo anche in Italia? Giustizia: le tre”colpe”; nero di pelle, disoccupato e malato… di Marco Pacciotti L’Unità, 17 dicembre 2010 Se sei nero di pelle, disoccupato per via della crisi e malato, oggi in Italia rischi molto. Un paradosso, una forzatura? Forse si, ma non tanto guardando a quanto è avvenuto a Brescia. Un uomo di 36 anni che camminava tranquillamente per la città in cui viveva da circa 15, e che forse riteneva la sua città adottiva, viene fermato per accertamenti senza una ragione, l’unica plausibile è il colore della sua pelle, è nero. Evidentemente un indizio di reato per alcuni, quasi una colpa. La seconda colpa, ancora più incredibile in una Repubblica fondata sul lavoro, è quella di aver perso la propria occupazione per la crisi economica e di non aver trovato lavoro entro i sei mesi previsti dalla Bossi-Fini. Scaduto questo termine infatti, a rigor di legge, lo straniero perde il diritto di soggiornare in Italia. Una irregolarità che in base al successivo famigerato pacchetto sicurezza Maroni del 2009, diventa un crimine e come tale perseguibile penalmente. Tant’è che il nero disoccupato viene portato alla stazione dei carabinieri e qui trattenuto per le procedure previste. A queste due colpe, si aggiunge la terza, quella di essere anche malato, un banale asma che diventa crisi respiratoria. Il ricovero, forse tardivo, risulta inutile. Elhdy Seyou Gadiaga non ce la fa, muore. E solo con la sua morte questo storia, comune per il resto a quella di decine di migliaia di stranieri , arriva ad ottenere l’attenzione dei mezzi di informazione. Quello che altrimenti sarebbe rimasto un “normale” caso di controllo di documenti da relegare in qualche anonima statistica, diviene invece un tema che deve interrogarci su cosa è accaduto nel paese di quella che forse è la più bella costituzione al mondo. Quale deriva ha reso possibile che le persone divenissero per il legislatore solo braccia da lavoro e criminali in assenza di occupazione? La tragedia di una morte assurda e vergognosa, e la giusta indignazione che ne segue, non deve impedirci però di vedere una cosa ancor più grave. L’aberrazione di un meccanismo che stritola la dignità della persona e la rende vulnerabile, in balia degli eventi e perseguibile senza che abbia commesso reati contro persone,o il patrimonio o la pubblica morale. Questa è l’ideologia di matrice leghista che ispira la Bossi-Fini e il pacchetto sicurezza, leggi dello Stato che stravolgono la filosofia e lo spirito alla base della nostra Costituzione, che instillano la cultura della paura e della divisione, che vogliono i cittadini stranieri invisibili e silenti. Una idea di società chiusa, impaurita, a compartimenti stagni. Non so quanto durerà l’attuale maggioranza, spero non molto. Sono invece certo che quando il Pd tornerà a governare, fra le prime cose, dovrà cancellare le due vergognose leggi qui citate; sanando finalmente la ferita aperta nella Costituzione e restituendo dignità e serenità perdute alle centinaia di migliaia di nuovi cittadini che hanno scelto l’Italia come seconda patria, contribuendo al suo arricchimento culturale ed economico. Giustizia: Anm; legge svuota-carceri apra strada a maggiore utilizzo pene alternative Ansa, 17 dicembre 2010 La legge svuota-carceri, entrata in vigore ieri, trova il consenso nell’Associazione nazionale magistrati. In un comunicato diffuso dalla Giunta e firmato dal presidente Luca Palamara, si legge: “Il provvedimento, con non poche timidezze e contraddizioni, sembra aprire la strada al criterio secondo il quale le pene brevi o il breve residuo finale possono essere espiati fuori del carcere nel senso auspicato dall’Anm di favorire il superamento della concezione pancarceraria della pena”. Palamara parla però di dubbi e perplessità, anzitutto per quella che definisce “schizofrenia legislativa, evidenziata dalla contraddizione di un legislatore che, da un lato, criminalizza fatti di dubbia offensività e, dall’altro, sopraffatto dall’emergenza, si preoccupa di svuotare le carceri”. In base alla legge entrata in vigore il 17 novembre, si calcola che dovrebbero uscire circa 9mila detenuti agli arresti domiciliari. La drammaticità della situazione è evidente. Oggi la popolazione carceraria è costituita da circa 69mila detenuti, un terzo dei quali tossicodipendenti e più di un terzo stranieri. “Mai - continua l’Anm - nella storia della Repubblica, ce ne sono stati tanti. La capienza dei 206 istituti italiani è di circa 44mila posti letto. A ciò si aggiungono le pesanti carenze di organico degli agenti di polizia penitenziaria”. Per l’Anm la soluzione al sovraffollamento non può essere la costruzione di nuove carceri, ma l’introduzione di pene alternative: “Non limitare l’affidamento in prova che pure ha dato buoni risultati, mitigare le restrizioni previste per i recidivi al godimento dei benefici penitenziari”. E non manca la risposta alle critiche mosse da Gianni Alemanno, sindaco di Roma, in merito alla scarcerazione dei black block, responsabili degli scontri a Roma dopo il voto sulla fiducia: “Non possiamo che ribadire - conclude Palamara - che sono illegittime gli insulti ai giudici e all’istituzione”. Giustizia: il detenuto rom che sceglie il carcere per poter mandare il figlio a scuola di Fiorentina Barbieri Terra, 17 dicembre 2010 Un’intervista televisiva ad alcune maestre di una scuola dell’hinterland milanese descriveva giorni fa i cambiamenti dei loro alunni rom: una progressiva affezione al lavoro scolastico li andava legando al territorio, nel quale i bambini, ma anche le loro famiglie, iniziavano ad inserirsi, a tessere legami, a costruire progetti di vita stanziale. Diligenti, andavano prendendosi sempre più cura del loro corredo scolastico, per la prima volta qualcosa di proprio, e i quaderni, sottratti alla promiscuità e arricchiti ogni giorno attraverso un paziente lavoro individuale e di collaborazione con le maestre, erano diventati oggetti preziosi, un simbolo di stabilità che attestava un nuovo status, quello di studenti, come gli altri. Questo fino allo sgombero dei campi nomadi intrapreso dal comune milanese. Uno dei più strani elenchi di “Vieni via con me” è stato quello letto da una maestra: la lista degli sgomberi, circa 15, subiti nell’ultimo anno da una sua piccola alunna rom di 10 anni. A un certo punto le maestre stesse si erano impegnate a salvare almeno le cartelle dei ragazzi, a tenere a scuola i loro quaderni, per sottrarli alle ruspe. Non so se Seryan, rom bosniaco detenuto a Rebibbia, abbia visto quel servizio. In tre, venerdì scorso, tentavamo di capire il suo problema: perché esclude di usufruire della nuova legge sulla detenzione domiciliare, per risparmiarsi gli ultimi mesi di pena? Ha precedenti, ma li ha scontati e non ha altre condanne. Seryan è di Mostar. E a Roma dove risiedeva? “In una roulotte, ma grande”, precisa, come a giustificare l’informazione successiva, che nella roulotte viveva con la moglie e sette bambini. Li immaginiamo in un campo rom della periferia romana, di quelli che il sindaco Alemanno e la sua giunta hanno preso di mira, peraltro disperdendo rom per tutta la città. In quale? “No, la roulotte è parcheggiata davanti alla scuola dei bambini, così sono comodi”, spiega. Ecco perché Seryan non vuole la detenzione domiciliare: teme che, se esce dal carcere, possa essere espulso, subito, nei primi mesi del nuovo anno, mentre l’anno scolastico è ancora in corso e teme, quindi, che i suoi bimbi siano costretti a lasciare la scuola anzitempo. Per questo preferisce restare in carcere. Il più possibile. Mentre l’avvocato gli spiega che a fine pena potrebbe provare, seppure con scarse speranze, a chiedere la revoca dell’espulsione, Seryan già non ci ascolta più, pensa a dove portarli, in un’altra città, in un’altra scuola. Giustizia: artigiano in carcere per omesso versamento di 134 euro di contributi inps L’Adige, 17 dicembre 2010 Era recidivo, in passato era stato condannato per un’analoga omissione di 84 euro. L’artigiano pensava si trattasse dello stesso procedimento. In galera per aver omesso di versare 134 euro di contributi Inps. Siamo il Paese dove i grandi evasori fiscali quasi mai finiscono dietro alle sbarre, dove in Parlamento siedono liberi deputati e senatori condannati per mafia, dove le pene sono più teoriche che effettive fatta eccezione per i poveracci e gli sbadati. Lo sa bene l’artigiano trentino che per una micro evasione contributiva ora rischia di passare il Natale in carcere, benché certo non sia un delinquente. I suoi avvocati, Marcello Paiar e Andrea Depilati, incaricati tardivamente di seguire il caso ora stanno cercando una via d’uscita, ma l’operazione ritorno in libertà non è semplice e neppure breve. Il caso non è frutto di alcun accanimento giudiziario. Forze dell’ordine e magistratura si sono limitati ad applicare la legge e non potevano fare altrimenti. La colpa semmai è dell’arrestato che non ha dato troppo peso alle notifiche arrivate a casa finché i carabinieri non lo hanno accompagnato in via Pilati. Cosa era accaduto? L’uomo, in passato titolare di una ditta individuale, nel 2006 omise un versamento contributivo da 134 euro. Una cosa di poco conto insomma che poteva essere sanata con il pagamento e una piccola sanzione. Per qualche ragione ciò non avvenne e quella che era una bagatella si trasformò in un procedimento penale. All’inizio di quest’anno l’artigiano venne processato e l’8 febbraio del 2010 fu condannato in contumacia a tre mesi e 300 euro di multa. Non beneficiò della sospensione condizionale forse perché aveva avuto un’altra condanna simile: un mese per un altro mancato versamento di contributi Inps da 68 euro. Per quella prima condanna l’uomo - padre di famiglia con moglie e una figlia piccola - aveva intrapreso un percorso di “riabilitazione” seguito dall’Ufficio esecuzione pene esterne. Al passaggio in giudicato della seconda condanna - quella più pesante a 3 mesi - all’artigiano venne notificato un ordine di esecuzione pena con sospensione di 30 giorni per permettergli di ricorrere al medesimo servizio. L’uomo però, che in quel momento non era seguito da un avvocato, ha erroneamente creduto che gli avvisi si riferissero sempre al primo procedimento per cui era già seguito dall’Ufficio esecuzione. Certo l’artigiano ha commesso una grave leggerezza, che ora sta pagando molto cara. La sera di martedì scorso, infatti, ha ricevuto una telefonata da parte dei carabinieri che gli dovevano notificare degli atti. Dopo aver salutato moglie e figlia convinto di dover solo ritirare una carta, ha scoperto in caserma che per lui si stavano aprendo le porte del carcere. Solo a questo punto è stato chiesto l’intervento di due avvocati di fiducia, ma la “frittata” era ormai fatta: gli avvocati ora potrebbero chiedere al Tribunale di sorveglianza una misura alternativa come gli arresti domiciliari, oppure la temporanea sospensione dell’ordine di esecuzione. In ogni caso i tempi non saranno brevissimi. Morale? Mai sottovalutare gli atti giudiziari anche se avete commesso una bagatella. Giustizia: diritti umani in Italia? Impossibile occuparsene in Parlamento di Furio Colombo www.linkontro.info, 17 dicembre 2010 Da presidente del Comitato permanente per i diritti umani della Camera dei deputati vi porto una testimonianza desolata di un qualcosa che non si fa e di un impegno che non si mantiene nel nostro Paese. Al primo cenno in cui ho mostrato l’intenzione di occuparmi, con il Comitato che presiedo, di quanto accade in Italia riguardo i diritti umani sono stato fermato: ci dovevamo occupare solo dei diritti umani nel resto del mondo, perché dell’Italia si occupa la Commissione Affari Costituzionali. Ciò appare già bizzarro dal punto di vista della definizione. Ovviamente se ne occupa, ma manca di una struttura organica e della possibilità di affrontare il problema situazione per situazione (…). Quel che sto per raccontare è segno di una tipica prevaricazione del potere esecutivo sul potere legislativo che avviene costantemente in Italia. Il Parlamento è secondario rispetto al Governo. Né ho mai trovato, nelle tre volte che sono stato eletto, un reclamo da parte del Parlamento della propria autonomia e della propria totale auto-definizione di competenze. Su questo sfondo è intervenuto il ministro degli Esteri a proporre un Osservatorio sui diritti umani che opera attraverso incontri periodici tra il Comitato diritti umani della Camera, la Commissione diritti umani del Senato e un gruppo di diplomatici che ha varie dislocazioni nel Ministero degli Esteri. Tale Osservatorio è umiliante, perché serve esclusivamente a far sì che il Governo venga ascoltato mentre racconta di se stesso. Ora, questo raccontare di se stesso è tipico, certo, del particolare momento che l’Italia sta attraversando, ma non escluderei che sarebbe avvenuto anche in situazioni diverse. Non lo attribuisco alla situazione politica che l’Italia sta attraversando ma piuttosto a una curiosa persuasione di supremazia dell’esecutivo sul legislativo che ho vissuto in due legislature precedenti in cui i protagonisti erano diversi. Sempre, anche allora, toccava all’esecutivo di stabilire che cosa è bene e che cosa è giusto, in un rapporto come quello tra preside e scolaresca. Il percorso del Paese viene indicato dall’esecutivo tramite il confluire su di esso delle segreterie dei partiti che lo compongono. È una situazione che credo abbia delle radici profonde nel passato italiano, radici rinnovate e forse rinforzate in quella che chiamiamo la seconda Repubblica (…). Nel Comitato da me presieduto potete occuparvi immediatamente della situazione iraniana, e troverete un sostegno bipartisan molto caloroso. Ma tale sostegno cesserà immediatamente se solleverete il problema dei rom, che pure sono un problema anche di relazioni internazionali, o se solleverete il problema dell’immigrazione e il problema dei respingimenti in mare (…). Chiunque svolga un’attività ad esempio nella Commissione Esteri, come è il mio caso, si trova di fronte a violazioni continue dei diritti umani che avvengono nello stesso tempo nel nostro Paese e fuori, a carico di cittadini italiani e a carico di cittadini non italiani, e persino la parte che riguarda cittadini non italiani e che quindi tipicamente fa riferimento immediato ai trattati che l’Italia ha firmato e agli impegni che l’Italia ha preso viene travolta dal dato che essa appare di competenza di altri Ministeri, dove non esiste alcuna ombra di tutela dei diritti. E qui troneggia in questo periodo la supremazia del Ministero dell’Interno, che spande la propria attività attraverso la violazione di una serie di trattati e di impegni internazionali dell’Italia. E quando non lo fa come Ministero dell’Interno lo fa, in una sorta di curiosissima violazione di fondamenti costituzionali del governare democratico, attraverso la sua estensione come partito. Per cui ciò che non fa il ministro dell’Interno violando e invitando le polizie a violare i diritti degli immigrati viene realizzata da autorità locali che in base al pacchetto sicurezza sono investite di un’autorità di intervento che non hanno sulla vita dei cittadini non italiani che vivono e lavorano nelle loro aree. Lettera di Natale di un ergastolano ostativo a Dio di Carmelo Musumeci (detenuto a Spoleto) Ristretti Orizzonti, 17 dicembre 2010 Dio, lo so, non ti dovrei scrivere perché sono ateo e non credo che tu esista, ma ho scritto un po’ a tutti e nessuno mi ha mai risposto e ho pensato di rivolgermi anche a te. Dio, siamo i cattivi e colpevoli per sempre, siamo gli ergastolani ostativi ad ogni beneficio, quelli che devono vivere nel nulla di nulla, a marcire in una cella per tutta la vita. Dio, diglielo tu agli umani che la pena dovrebbe essere buona e non cattiva e che dovrebbe risarcire e non vendicare. Dio, l’ergastolano ostativo non vive, pensa di sopravvivere, ma in realtà non fa neppure quello, perché l’ergastolo tiene solo in vita. Dio, diglielo tu agli umani che la pena dell’ergastolo non potrà mai essere una pena giusta, perché una pena giusta ha un inizio e una fine. Dio, nessun umano o disumano meriterebbe di vivere con una punizione senza fine, tutti dovrebbero avere il diritto di sapere quando finisce la propria pena. Dio, diglielo tu agli umani che una pena che ti prende il futuro per sempre ti leva il rimorso per qualsiasi male che uno abbia commesso. Dio, nelle carcere italiane, ci sono uomini che sono solo ombre, che vedono scorrere il tempo senza di loro e che vivono aspettando di morire. Dio, diglielo tu agli umani che gli ergastolani ostativi non hanno paura della morte perché la loro vita non è poi così diversa della morte. Dio, nessun’altra specie vivente tiene un animale dentro una gabbia per tutta la vita, una pena che non finisce mai non ha nulla di umano e ti fa passare la voglia di vivere. Dio, diglielo tu agli umani che solo il perdono fa nascere nei cattivi il senso di colpa mentre le punizioni crudeli e senza futuro fanno sentire innocenti anche i peggiori criminali. Dio, come fa rieducare una pena che non finisce mai? Dio, diglielo tu agli umani che la migliore difesa contro l’odio è l’amore e la migliore vendetta è il perdono. Dio, se neppure tu puoi fare qualcosa, facci morire presto per aiutarci a finire di scontare la nostra pena. Dio, diglielo tu agli uomini che dopo tanti anni di carcere non si punisce più quella persona che ha commesso il crimine, ma si punisce un’altra persona che con quel crimine non c’entra più nulla. Dio, molti ergastolani, dopo venti anni di carcere, camminano, respirano e sembrano vivi, ma in realtà sono morti. Dio, diglielo tu agli umani che l’ergastolo ostativo è una vera e propria tortura che umilia la vita e il suo creatore. Padre, non so pregare, ma ti prego lo stesso: se proprio non puoi aiutarci o se gli uomini non ti danno retta, facci almeno morire per questo Natale. Sardegna: Consiglio regionale approva istituzione Garante infanzia e detenuti Adnkronos, 17 dicembre 2010 La commissione Politiche comunitarie e Diritti civili del Consiglio regionale della Sardegna, presieduta da Silvestro Ladu (Pdl), ha approvato le proposte di legge che prevedono l’istituzione del Garante per l’infanzia e l’adolescenza e del Garante dei detenuti. “Si tratta di due provvedimenti molto attesi - ha dichiarato Ladu -, sia per quanto riguarda il settore giovanile che per le persone sottoposte a restrizione della libertà personale. Con l’approvazione definitiva da parte del Consiglio regionale si colmerà un vuoto normativo e, finalmente, la Sardegna si equiparerà alle regioni più avanzate d’Italia che ormai da tempo hanno legiferato in materia”. Le due norme saranno iscritte all’ordine del giorno del Consiglio regionale subito dopo l’approvazione della finanziaria. Bollate (Mi): fateci restare in carcere… la libertà ci toglie il lavoro di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 17 dicembre 2010 Giuseppe, Salim, Anna non ne vogliono sapere di tornare a casa. Preferiscono restare in galera. Non è uno scherzo, accade a Bollate, carcere alla periferia di Milano immune da sovraffollamento, celle aperte fino a sera, con 1.110 detenuti, metà occupati a lavorare, dentro o fuori il muro di cinta, metà impegnati nello studio, in attività culturali, sportive, giuridiche, musicali. Giuseppe, Salim e Anna sono 3 dei 35 “fortunati” che, grazie alla legge “svuota carceri” da oggi in vigore, potrebbero consumare il resto della condanna in “detenzione domiciliare”. A casa. Hanno le carte in regola: meno di 12 mesi da scontare per reati gravi (omicidio, spaccio) ma non gravissimi; un’abitazione “idonea”; non sono delinquenti incalliti, non c’è rischio che scappino. Eppure, vogliono restare “dentro”. E così altri 9 detenuti. Possibile? A Bollate - spiegano - hanno un lavoro ben pagato, sono indipendenti, aiutano la famiglia, misurano la propria capacità di fare. Ed escono in permesso. Giuseppe fa l’operatore ecologico a 850 euro al mese; Salim tratta l’amianto e guadagna 500 euro; Anna lavora in sartoria. Con la detenzione domiciliare perderanno lavoro, soldi, autonomia e possibilità di uscire, se non da evasi. Meglio Bollate, dicono. Paradossi da galera, di quella che funziona. Trento: avviato il trasferimento dei detenuti nel nuovo carcere Ansa, 17 dicembre 2010 È iniziato questa mattina il trasferimento dei detenuti dal vecchio carcere di Trento di via Pilati alla nuova sede di Spini di Gardolo. Le operazioni, coordinate dalle forze dell’ordine, dovrebbero esaurirsi in giornata. Giovedì scorso era avvenuto il passaggio del nuovo immobile allo Stato con un accordo siglato fra la Provincia di Trento e l’Agenzia del Demanio. La consegna provvisoria era avvenuta il 14 luglio scorso. I lavori per la casa circondariale erano iniziati il 25 ottobre 2006. Firenze: a gennaio un Consiglio comunale straordinario dentro Sollicciano La Nazione, 17 dicembre 2010 Nel giorno in cui il numero di detenuti a Sollicciano e sceso a quota mille, il garante dei detenuti Franco Corleone tira le somme del lavoro svolto quest’anno, annunciando proposte e obiettivi futuri. Nonostante il provvedimento cosiddetto svuota carceri, il problema del sovraffollamento resta, perche il lì mite di capienza regolamentare risulta doppiato, ma è comunque un passo in avanti. “Ho sottoposto all’amministrazione comunale varie questioni - ha spiegato Corleone - che vanno dall’individuazione di una sede per la semilibertà al centro di accoglienza femminile. La disponibilità c’è. Tanto che a metà gennaio, proprio qui a Sollicciano, sì terrà un consiglio straordinario”. Inoltre, con la Regione c’è già l’accordo sull’applicazione della riforma sanitaria e sul completamento della distribuzione di materassi nuovi, ricevuti finora da soli 400 detenuti. “Resta però da lavorare sul progetto per tossicodipendenti e per la nomina di un garante regionale. Ogni giorno rispondo alle lettere che mi giungono dagli altri istituti, dove però non ho competenza. Per questo occorre, e al più presto, una figura che se ne occupi”. Tra le urgenze: la predisposizione di una seconda cucina, l’allargamento dei passaggi, la manutenzione del tetto per evitare altre infiltrazioni. “Il direttore di Sollicciano non sarebbe contrario ai colloqui senza l’accompagnamento degli agenti, ne all’attivazione di una tessera telefonica per chiamate autonome”. Tra le altre proposte, anche un piccolo supermercato all’interno della struttura: “Perché finora, anche per una bottiglia d’olio o una scatola di pelati si deve fare richiesta scritta. I detenuti, è bene ricordarlo, qui a Sollicciano non hanno neanche l’acqua calda”. Livorno: Romiti e Solimano in tribunale per la querelle sul Garante dei detenuti Il Tirreno, 17 dicembre 2010 Dopo mesi di botta e risposta in consiglio comunale, stamani si affrontano sui banchi del tribunale civile Marco Solimano, nominato ad agosto garante dei detenuti, e Andrea Romiti, consigliere comunale del Pdl. A maggio Romiti si era opposto duramente all’intenzione del sindaco Cosimi di nominare proprio Solimano come garante. Il consigliere di centrodestra contestava la decisione di affidare l’incarico a un uomo che in passato ha militato nell’associazione eversiva Prima Linea: militanza costata una condanna da cui è stato tuttavia riabilitato. In un comunicato stampa Romiti definì il futuro garante “ex-terrorista di Prima Linea, colpevole di reati gravissimi e perpetrati oltretutto contro l’ordine democratico italiano, compagno di persone che hanno ucciso Aldo Moro e Marco Biagi”. E proprio questa affermazione ha scatenato la bufera. Solimano ha citato in giudizio Romiti chiedendogli un risarcimento di 50mila euro. Il consigliere, di comune accordo con il suo avvocato, Gabriella Giubbilei, tiene oggi a precisare che “il termine “compagno” non vuole essere sinonimo di amico o complice, ma è stato utilizzato nella sua accezione politica, indicando una persona formata nei valori e nell’ideologia marxista e di sinistra. La frase non ha alcun carattere diffamatorio e non intendeva addebitare accuse di omicidio a Solimano”. Stamani il giudice Urgese tenterà di raggiungere un accordo tra le parti. Il risarcimento di 50mila euro richiesto da Solimano è stato suddiviso in due sezioni: una dovuta al carattere diffamatorio dell’affermazione, l’altra per perdita di chance. “Capo che già non sussiste più - sostiene Giubbilei - avendo Solimano ottenuto comunque la nomina a garante”. Se la domanda di Solimano fosse respinta perché giudicata pretestuosa, la decisione circa il risarcimento danni sarebbe rimessa al giudice in equità. “Se il giudice dovesse darmi ragione - chiude Romiti - devolverei il denaro alle associazioni a sostegno delle vittime del terrorismo”. Reggio Calabria: parenti detenuti protestano in Municipio, chiedono incontrare stampa Ansa, 17 dicembre 2010 Non hanno una tanica di benzina e non minacciano di darsi fuoco per protesta, come si era appreso in precedenza, i parenti di Carmelo, Santo e Leo Pasquale Modafferi e di Santo Glicora, condannati a trent’anni perché ritenuti responsabili del sequestro di Adolfo Cartisano fotografo di Bovalino (Reggio Calabria). A riferirlo sono i carabinieri. I parenti dei quattro detenuti stanno protestando all’interno Municipio di Africo e chiedono di poter incontrare la stampa. Da tempo i familiari dei quattro detenuti chiedono la revisione del processo a carico dei loro familiari. Il fotografo Adolfo Cartisano venne sequestrato nel luglio del 1993. La famiglia Cartisano pagò un riscatto di 200 milioni, ma il loro congiunto non fu liberato ed i suoi resti vennero trovati dieci anni dopo il rapimento. Lamezia Terme: detenuto semilibero vittima di un agguato muore in ospedale www.lameziaweb.it, 17 dicembre 2010 È morto Nicola Gualtieri, 29 anni, ferito gravemente la sera del 25 novembre scorso in un agguato di stampo mafioso. Ha smesso di vivere ieri pomeriggio intorno alle 16 nel reparto di rianimazione del “Pugliese” di Catanzaro, dov’era stato trasferito subito dopo le prime cure che gli erano state prestate dai medici del pronto soccorso del nosocomio cittadino. Le sue condizioni che al momento del ferimento non apparivano gravi sono precipitate qualche settimana. Posto in coma farmacologico dai medici della rianimazione per le difficoltà respiratorie causate dalle ferite ad un polmone, Gualtieri non è riuscito a superare la crisi. Nella mattinata di ieri le sue condizioni si sono aggravate e il suo cuore ha cessato di battere intorno alle 16. Il suo corpo, scortato dalla polizia di Stato, è stato trasferito nel centro di medicina legale dove probabilmente oggi sarà sottoposto autopsia da parte del perito incaricato dalla procura distrettuale antimafia, che dovrà stabilire le cause che ne hanno determinato la morte. Tutto questo ai fini delle indagini che si presentano complesse, anche se gli investigatori ritengono che l’omicidio di Gualtieri è da inquadrare in un contesto criminale. L’agguato infatti fu immediatamente classificato mafioso. E tre giorni dopo gli atti furono trasmessi dalla procura lametina alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Gualtieri, che gli inquirenti ritenevano organico all’omonima famiglia inglobata a quella dei Torcasio, era stato colpito da quattro proiettili 9x21, due dei quali l’avevano raggiunto alle spalle perforando i polmoni ed altri due alle gambe. L’agguato mentre il giovane stava attraversando a piedi Via Conforti per rientrare nel carcere di San Francesco dov’era detenuto in regime di semilibertà. Arrivava dalla vicina Via Trempa dove abitava con la famiglia. Nicola Gualtieri era stato arrestato lo scorso settembre per un ordine di esecuzione emesso dalla procura generale di Catanzaro: doveva espiare un residuo di pena di un anno e 11 mesi di reclusione per reati di droga. Il killer o il commando entrò in azione qualche minuto prima delle 20, approfittando del buio. Dopo l’agguato fecero perdere le loro tracce. Secondo una prima ricostruzione che fu compiuta dai carabinieri a sparare contro Gualtieri furono due persone a bordo di una moto che esplosero contro il giovane 14 colpi di pistola, quattro dei quali lo raggiunsero al torace e alla gamba. Sul piano investigativo a distanza di tre settimane non ci sono particolari sviluppi nell’inchiesta della Dda . Proseguono in ogni modo le indagini da parte dei carabinieri e della Squadra mobile della questura catanzarese. Non è stata la prima volta che il presunto esponente del clan Gualtieri finisca sotto il tiro delle cosche rivali per il controllo della zona di Nicastro centro. Potenza: un Natale di solidarietà nelle carceri lucane Agi, 17 dicembre 2010 “Non 100, ma 102 Comuni”. Partendo da questa idea di forte integrazione e vicinanza al mondo dei detenuti, la Provincia di Potenza, in collaborazione con le associazioni Psy & Co La Minerva di Potenza e l’Arcadia di Tito, organizza una serie di iniziative nelle carceri di Potenza e Melfi. Da lunedì 20 dicembre a mercoledì 22 dicembre, nella sala d’attesa della struttura penitenziaria del capoluogo, saranno accolti un centinaio di bambini, figli di detenuti, cui saranno offerti dei giochi natalizi. Inoltre, verrà organizzata una tombolata nel carcere e sarà regalato un piccolo panettone a ciascun detenuto. La tre giorni verrà aperta dal saluto, previsto per lunedì, del presidente del Consiglio provinciale Palmiro Sacco. Il giorno successivo consiglieri e assessori faranno visita ai detenuti, mentre mercoledì prossimo sarà la volta del presidente della Provincia di Potenza Piero Lacorazza. L’iniziativa verrà replicata giovedì 23 dicembre nell’istituto penitenziario di Melfi, dove la Provincia di Potenza regalerà un piccolo panettone ad ogni detenuto. “Queste iniziative mostrano l’attenzione che l’Ente riserva alle carceri lucane, considerate non già come strutture separate dal contesto sociale - commenta il presidente Sacco - ma come due vere e proprie comunità, che si aggiungono alle 100 del territorio provinciale. Ringrazio i direttori e tutto il personale di vigilanza degli istituti penitenziari di Potenza e Melfi per la disponibilità e la sensibilità manifestate”. Parma: una giornata “normale” per i figli dei detenuti Gazzetta di Parma, 17 dicembre 2010 C’è chi si vede per la prima volta. C’è chi riceve il primo vero abbraccio. C’è chi addirittura si rende conto che la mamma e il papà per Natale possono mangiare insieme e donargli mille attenzioni. Una giornata di “normalità” è stata regalata ieri mattina ai bambini figli dei detenuti del carcere di via Burla, grazie all’associazione “Crescere con noi”. Un’iniziativa che si ripete da 5 anni e che la presidente, Layla Cervi, insieme al suo vice, Giorgio Stacchi, continua a portare avanti con impegno: per un giorno, infatti, all’interno del carcere è stato allestito un buffet con mille leccornie, festoni, animatori e clown per i bambini. E la sala di una prigione è diventata un parco divertimenti per famiglie. Per regalare anche ai piccoli un Natale pieno di affetto e regali. Un’atmosfera molto lontana dalle camere in cui normalmente avvengono i colloqui, dove genitori e bambini devono stare separati da un tavolo e si respira un’aria di rigore. “Abbiamo voluto dare vita a un ambiente natalizio caldo ed accogliente - spiega Stacchi - per promuovere la genitorialità e aiutare questi bambini che spesso crescono senza la presenza del padre in famiglia”. “Abbiamo arredato questo salone, anche con l’aiuto dei detenuti, con festoni, giochi, buffet e ogni cosa che piace ai bambini - spiega la Cervi -. In questo modo i piccoli si possono sentire a casa almeno per un giorno, divertirsi e vedere una famiglia unita. Spesso, infatti, sono molto timorosi quando entrano in carcere, vedendo le guardie, le forze dell’ordine, le pistole. Così invece parlare con i genitori è più facile”. Un’iniziativa importante, per cui sono arrivati i complimenti del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, alla presidente dell’associazione. “È importante favorire la genitorialità all’interno del carcere - spiega la vicedirettrice della struttura di via Burla, Lucia Monastero -. Circa il 70% dei detenuti, infatti, ha dei figli e vogliamo aiutarli a mantenere i rapporti con la famiglia. Si tratta comunque di iniziative che chiedono un grande impegno, sia da parte del personale, sia organizzativo e ringrazio l’associazione ‘Crescere con noì per l’aiuto”. Non è l’unica iniziativa che l’associazione ha messo in campo per aiutare i figli dei detenuti: “Nel 2006 abbiamo realizzato un parco giochi, sia interno sia esterno, per far giocare i bimbi che venivano in visita - spiega Layla Cervi -. Inoltre, stiamo agendo anche su altri fronti, ad esempio per aiutare i bambini malati: da Genova abbiamo portato a Viareggio il peschereccio ‘Speranzà, dove le scuole e i bambini meno fortunati in termini di salute possono fare una vacanza. Qui, apprenderanno nozioni di educazione alimentare, soprattutto riguardo il pesce incontrando e conoscendo i pescatori, e scopriranno la gioia del mare come terapia”. “Crescere con noi” è un’associazione onlus che si auto sostiene economicamente: “Volevo però ringraziare gli sponsor che hanno permesso questa giornata in carcere - conclude la Cervi - e quindi Roberto Giacomazzi per il buffet e Toyland per i giocattoli”. Roma: “È Natale per tutti”… film, concerti e libri nelle carceri Asca, 17 dicembre 2010 Si chiama “È Natale per tutti”, l’iniziativa che da domani porterà, negli ospedali e nelle carceri della regione Lazio, attori, registi e cantanti per una serie di concerti e proiezioni di film dedicati alle persone costrette a vivere le festività in una condizione di disagio. Primo appuntamento è fissato alle ore 13,30 presso l’istituto penitenziario di Regina Coeli con Enrico Ruggeri che suonerà dal vivo per i detenuti del carcere romano. Alle ore 16,00 il cinema diventerà protagonista con la proiezione del film “Io, loro e Lara” presentato ai degenti del Policlicnico Gemelli dall’attore e regista Carlo Verdone. L’iniziativa verrà presentata dalla Presidente della Regione Lazio Renata Polverini, assieme agli assessori alla Cultura Fabiana Santini e alla Sicurezza Giuseppe Cangemi, accompagnati dai testimonial dell’iniziativa: Giovanni Veronesi, Riccardo Scamarcio, Piera Degli Esposti, Sabrina Impacciatore, Valentina Lodovini, Elena Sofia Ricci, Riccardo Pannofino e molti altri. Nei prossimi giorni “È Natale per tutti” proseguirà con una serie di appuntamenti musicali e cinematografici nelle carceri di Rebibbia, Civitavecchia e Viterbo e negli ospedali San Pietro, Bambino Gesù, Grassi e Sant’Eugenio di Roma e in quelli di Viterbo, Frosinone e Fondi. Catania: concerto di Natale per i detenuti del carcere di Piazza Lanza Comunicato stampa, 17 dicembre 2010 Concerto di Natale per i detenuti del carcere di Piazza Lanza offerto per i detenuti dall’Associazione Musicale “Musicultura Bronte”. In data odierna, organizzato dall’Area Trattamentale, si è svolto nella locale Cappella della Casa Circondariale di Catania “Piazza Lanza” un concerto musicale per pianoforte e clarinetto. Si è esibito il giovane diciassettenne, talento della musica, Andrea Fallico, clarinettista, accompagnato magistralmente al pianoforte da Carmelo Melardi. Sono stati eseguiti brani di C. Nielsen, R. Schumann, F. Poulenc, N. Paganini e, in conclusione, alcuni motivi natalizi. Attenta e numerosa la partecipazione dei detenuti che hanno saputo apprezzare, dispensando lunghi applausi e richiesta del bis, i virtuosismi del Giovane Andrea Fallico. Quest’ultimo, diplomatosi all’età di 16 anni in clarinetto nell’istituto musicale “V. Bellini” di Catania, é vincitore di numerosi concorsi nazionali ed internazionali e componente della “Cei Youth Orchestra” diretta dal Maestro Igor Coretti. La manifestazione, di carattere ricreativo-culturale, ha suscitato nei detenuti momenti di emozioni e di sana evasione dalle problematiche personali e familiari ancor più sentite nel periodo natalizio. Con emozione è stata pure vissuta questa esperienza dai concertisti che, a fine esibizione, si sono congedati formulando gli auguri di Natale ai detenuti e alle loro famiglie. Il Direttore dell’Istituto, Dirigente Penitenziario Dott. Tortorella, insieme al Comandante di Reparto in conclusione ha ringraziato personalmente i concertisti e l’Associazione Musicale “Musicultura Bronte” per aver offerto a titolo gratuito la loro prestazione a favore della popolazione detenuta, complimentandosi in special modo con il giovane Andrea Fallico per la sua talentuosa interpretazione. In ultimo il Direttore ha colto l’occasione per esprimere gli auguri di buon Natale, ringraziando tutto il personale, di polizia penitenziaria e dell’Area Trattamentale, per il prezioso impegno quotidiano. Milano: le opere di Sebastiano Bonello per il recupero dei detenuti Ansa, 17 dicembre 2010 Ecolab, cooperativa di sostegno per il recupero dei detenuti, si trasforma in galleria d’arte, con la personale di Sebastiano Bonello. Opere d’arte nel capannone di via Cucchiari dove solitamente vengono cucite borse nei più disparati materiali compresi vecchi striscioni pubblicitari. Qualche mese fa ha conosciuto un’inattesa popolarità quando è arrivato anche Renato Vallanzasca. E da questa sera alle 20 la cooperativa diventa galleria d’arte con le opere di Sebastiano Bonello: dipinti, foto emulsionate su tela e video. “I Quadri rappresentano un ritorno al luogo dove si compie il sogno di universalità. Colori dei cerchi ipnotici. Ritmano il silenzio proprio là dove la macchina non smette il suo incedere frastornante”. Come spiega Manuela Gandini. Napoli: un presepe realizzato da 15 detenuti nel corso di artigianato artistico La Repubblica, 17 dicembre 2010 Un presepe in stile ‘700 è stato realizzato da 15 detenuti nel corso di artigianato artistico finanziato dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria in collaborazione con la scuola carceraria del 76esimo circolo didattico Mastriani. Il presepe sarà inaugurato domani nella chiesa del carcere di Poggioreale alla presenza del direttore dell’istituto, Cosimo Giordano, del provveditore Tommaso Contestabile e di don Antonio Romano, vicario del cardinale Crescenzio Sepe. Sarà presentato anche il corso dedicato alle tradizioni eno-gastronomiche napoletane. All’arte presepiale è dedicata anche la mostra organizzata a Castel dell’Ovo dei lavori realizzati dai minori reclusi nell’istituto di Nisida diretto da Gianluca Guida. Immigrazione: Libia e Malta, l’inferno dei migranti in fuga da guerre e disperazione di Umberto De Giovannangeli L’Unità, 17 dicembre 2010 Le sue parole valgono più di mille trattati nel mettere in luce una tragedia annunciata. E da molti, troppi, colpevolmente dimenticata: “È meglio morire in mare che tornare in Libia”. A pronunciarle è Farah Anam, una donna somala arrivata a Malta nel luglio 2010 attraverso la Libia. I migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo in fuga dalla persecuzione e dai conflitti armati vanno incontro alla tortura e al carcere a tempo indeterminato nel loro tentativo di arrivare in Europa attraverso la Libia. A denunciarlo è Amnesty International in un nuovo rapporto dal titolo “Cercare salvezza, trovare paura: rifugiati, richiedenti asilo e migranti in Libia e a Malta”. Il rapporto mette in luce la sofferenza di quanti cercano di raggiungere l’Unione europea, molti in cerca di asilo e protezione, e le violazioni dei diritti umani che subiscono in Libia e a Malta. “In Libia i cittadini stranieri, compresi i rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti, si trovano in una condizione di particolare vulnerabilità e vivono nella costante paura di essere arrestati e detenuti per lunghi periodo di tempo, torturati e sottoposti a ulteriori violazioni” - rimarca Malcolm Smart, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. “Inoltre, molti di essi temono di essere espulsi verso i Paesi di origine, senza alcuna considerazione per il concreto rischio di subire persecuzioni una volta fatti rientrare”. Per le autorità di Tripoli, vi sono oltre tre milioni di “migranti irregolari” in Libia. Molti provengono da altre parti dell’Africa eppure le autorità locali continuano a dire che nessuno di essi sia un rifugiato. Decine di migliaia di persone lasciano la Somalia ogni anno per iniziare un lungo e pericoloso viaggio attraverso nazioni quali la Libia per fuggire al conflitto che sta devastando il loro Paese dal 1991. Molte spendono tutti i loro risparmi per intraprendere una pericolosa traversata del Mediterraneo. I rifugiati e i richiedenti asilo in Libia vivono in un limbo legale che non tiene conto del loro bisogno di protezione. La Libia non ha firmato la Convenzione Onu sullo status di rifugiato del 1951 e non ha un sistema d’asilo in vigore. Quest’anno a novembre il governo ha pubblicamente respinto la raccomandazione di ratificare la Convenzione e sottoscrivere un memorandum d’intesa con l’agenzia dell’Orni per i rifugiati, l’Unhcr, per consentire a quest’ultima di assistere i rifugiati e i richiedenti asilo in Libia. “I richiedenti asilo e i rifugiati in Libia non hanno nessuno cui chiedere aiuto e sono diventati ancora più vulnerabili da quando, a giugno, le autorità di Tripoli hanno ordinato all’Unhcr di sospendere le attività. Il minimo che il governo libico dovrebbe fare invece è proteggere dagli arresti, dalla violenza e dagli abusi coloro che fuggono da persecuzione e conflitti e garantire che non siano rinviati in luoghi dove potranno correre il rischio concreto di subire gravi danni e persecuzione”, afferma Smart. È l’odissea di Ahmed Mahmoud e Miriam Hussein, una coppia somala fuggita dal loro Paese in Libia: hanno vissuto nel costante pericolo di essere arrestati, non hanno potuto trovare un lavoro e sono stati rapinati ripetutamente, fino a quando hanno deciso di tentare di raggiungere l’Europa via mare. Miriam era incinta di sette mesi. Il 17 luglio di quest’anno i due, facenti parte di un gruppo di 55 somali a bordo di un’imbarcazione in avaria, sono stati intercettati e soccorsi da vascelli libici e maltesi. Miriam Hussein e altre 26 persone sono state immediatamente riportate in Libia mentre le altre 28, compreso Ahmed Mahmoud, sono state condotte a Malta. In Libia, il gruppo di cui faceva parte Miriam Hussein è stato immediatamente portato in carcere. Gli uomini hanno fatto sapere di essere stati picchiati e torturati con scosse elettriche. Due mesi dopo, Miriam Hussein ha partorito un feto morto. Torture e altre violazioni ai danni di rifugiati, richiedenti asilo e migranti sono un fatto sistematico in Libia. I guardiani delle carceri prendono spesso a pugni i detenuti o li colpiscono con tubi di metallo o bastoni. Chi osa protestare per le condizioni di detenzione o chiede assistenza medica rischia di subire ulteriori aggressioni o punizioni. Ciò nonostante, a ottobre, la Commissione europea ha sottoscritto con le autorità libiche una “agenda per la cooperazione” sulla “gestione dei flussi migratori” e sul “controllo alle frontiere”, valida fino al 2013 e in base alla quale l’Ue metterà a disposizione della Libia 50 milioni di euro. Nel frattempo, Unione europea e Libia stanno negoziando un più ampio “Accordo quadro” che consentirebbe, tra l’altro, la “riammissione in Libia di cittadini provenienti da “Paesi terzi” entrati in Europa dopo aver transitato in Libia. “La cooperazione tra Ue e Libia deve avere al centro i diritti umani e la condivisione delle responsabilità, ovvero i principi fondamentali della protezione internazionale. Mentre cercano la cooperazione con la Libia per contrastare l’arrivo di persone dall’Africa, l’Unione europea e i suoi Stati membri non devono chiudere gli occhi di fronte alle costanti violazioni dei diritti umani in Libia”, ammonisce Smart. Tra il 2002 e il 2009 si stima che 13.000 persone siano arrivate a Malta dalla Libia. Malta, tuttavia, non si è rivelata il rifugio sicuro che speravano di raggiungere. Sulla base delle leggi maltese, ogni persona che arriva per la prima volta sul territorio, compresi i richiedenti asilo, viene considerata “migrante proibito” e rischia la detenzione obbligatoria a tempo indeterminato, in pratica fino a 18 mesi. I rimedi legali esistenti per opporsi alla detenzione sono stati giudicati “inefficaci” dalla Corte europea dei diritti umani. “Le autorità maltesi devono garantire che le operazioni d’intercettazione e di soccorso in mare non determinino il rinvio forzato o l’espulsione di persone già in condizioni di vulnerabilità verso la Libia o verso altri Stati dove si troverebbero nel rischio concreto di subire gravi violazioni dei diritti umani”, rileva Smart. Amnesty ha lanciato un appello alla Commissione europea e all’Italia chiedendo che i diritti umani e le garanzie per i rifugiati, richiedenti asilo e migranti siano al centro della cooperazione con la Libia. Farlo vorrebbe dire entrare in rotta di collisione con il Rais di Tripoli, Muammar Gheddafi. Il grande amico di Silvio Berlusconi. Usa: pena di morte; in Oklahoma prima esecuzione con sedativo utilizzato per animali Agi, 17 dicembre 2010 Prima esecuzione in Usa con il sedativo normalmente utilizzato per l’eutanasia di animali. Esaurito da mesi l’anestetico normalmente usato nelle esecuzioni, John Duty, 58 anni - che nel 2001, in prigione per scontare tre ergastoli, strangolò il compagno di cella 22enne - è stato giustiziato con il pentobarbital, normalmente utilizzato dai veterinari. Duty, che è stato giustiziato nel centro penitenziario di massima sicurezza di Oklahoma City, è morto sei minuti dopo l’iniezione letale. “Grazie, Signore Gesù, sono pronto per andare a casa”, sono state le ultime parole prima di morire. Duty ha anche chiesto perdono a famigliari ed amici della vittima, alcuni dei quali erano presenti all’esecuzione. Per mesi, diversi Stati Usa hanno cercato di trovare i quantitativi di tiopentale di sodio - il primo e il più importante dei tre componenti chimici utilizzati per anni nelle iniezioni letali - dopo che l’unico produttore, l’azienda farmaceutica Hospira, l’aveva esaurito. L’azienda riprenderà la produzione del farmaco all’inizio del prossimo anno, ma la penuria di sostanza ha costretto alcuni Stati a sospendere le esecuzioni, altri a importarlo dall’estero. La decisione dell’Oklahoma di utilizzare il pentobarbital è stata approvata il mese scorso, con una sentenza che potrebbe indurre altri Stati ad adottare la procedura. La Corte d’Appello ha constatato che la quantità di pentobarbital da utilizzare “è sufficiente a indurre lo stato di incoscienza in un detenuto e che anzi probabilmente potrebbe essere letale in molti casi (se non tutti)”. Ma non tutti sono d’accordo, di qui le polemiche e la denuncia che si tratti di un trattamento inumano. Secondo molti esperti, tra cui le organizzazioni contro la pena di morte, il farmaco non è stato sottoposto a tutti i dovuti controlli e potrebbe non rendere incosciente i detenuti durante le successive iniezioni letali; durante una delle udienze del processo, un anestesiologo ha spiegato che il pentobarbital aumenta il rischio che il paziente rimanga paralizzato ma cosciente, quando gli verrà somministrato il terzo farmaco, molto doloroso, per paralizzarli il cuore. Grecia: situazione carceri si sta normalizzando, dopo due settimane di proteste Asca, 17 dicembre 2010 Secondo il ministero della Giustizia greco, la situazione delle carceri del paese è in via di normalizzazione, dopo più di due settimane di proteste dei detenuti che reclamavano un sistema più umano. “Non ci vengono più segnalati né scioperi della fame né assenteismo nei refettori, la crisi sta finendo”, riferisce un portavoce del ministero, citando una visita effettuata venerdì scorso dal ministro della Giustizia, Haris Kastanidis, nella prigione di Korydallos, vicino Atene, la principale della Grecia. Iniziata a fine novembre, la protesta ha coinvolto 9 mila carcerati e fatto seguito alla prima del paese, organizzata nel 2008. Due anni fa il governo conservatore aveva promesso di migliorare le condizioni delle carceri, ma i cambiamenti sono stati pochi. Cile: violento scontro tra reclusi e poliziotti, ha lasciato “sul campo” 66 feriti Prensa Latina, 17 dicembre 2010 Uno scontro tra reclusi e poliziotti ha lasciato 66 feriti in un carcere della capitale, ha confermato il direttore nazionale della Gendarmeria, Luis Masferrer. In una dichiarazione alla stampa, Masferrer ha segnalato che l’incidente ieri sera è avvenuto durante una perquisizione abituale nelle cellule dell’ex Penitenziario di Santiago, al fine di sequestrare articoli vietati. Anche se ha riconosciuto che il livello di violenza degli avvenimenti ha provocato 54 prigionieri e 12 poliziotti feriti, ha rifiutato di qualificare l’incidente come un ammutinamento, dal momento che non era legato ad un tentativo di fuga. Dopo il recente incendio in un carcere cileno, con un tragico saldo di 81 morti, le autorità giudiziarie del paese hanno avvertito che le condizioni carcerarie esistenti costituiscono una bomba a orologeria. Secondo la procuratrice Monica Maldonado, il sovraffollamento, la precarietà istituzionale e la disposizione dei detenuti favoriscono un clima turbolento nelle carceri. L’antropologo Andres Aedo ha ricordato che il Cile presenta un’alta popolazione carceraria, oltre al livello di sovraffollamento superiore al 200%, cifre che sono il risultato, ha detto, di un discorso di terrore in materia di sicurezza cittadina. Secondo i dati ufficiali, il sistema carcerario cileno ha 54 mila detenuti. India: la Croce Rossa denuncia; nelle carceri del Kashmir uso sistematico della tortura Apcom, 17 dicembre 2010 I dispacci dell’ambasciata statunitense a New Delhi ottenuti da Wikileaks e pubblicati ieri sera sul sito del quotidiano britannico Guardian confermano le vecchie denunce secondo le quali l’India ha fatto un uso sistematico della tortura contro civili in Kashmir. Un cablogramma inviato dall’ambasciata americana nel 2005 cita un rapporto della Croce Rossa Internazionale in cui emergono violazioni e abusi di ogni tipo ai danni di centinaia di detenuti delle carceri indiane. Le rivelazioni confermano le denunce di diverse associazioni di difesa dei diritti umani e rischiano di mettere in imbarazzo il governo indiano. La politica di New Delhi è sempre stata quella di non ammettere alcuna interferenza sulla questione del Kashmir, la regione mussulmana che controlla con un vasto esercito. In un dispaccio di tre anni fa, l’ambasciata Usa si diceva frustrata con il governo indiano per il continuo maltrattamento dei detenuti. Secondo la Croce Rossa l’India ha tollerato la tortura e le vittime erano civili, in quanto i militanti erano di norma uccisi. Il rapporto della Croce Rossa, documento strettamente riservato per garantire la neutralità dell’organizzazione, è basato su 177 visite in carceri dello stato di Jammu e Kashmir e di altre parti dell’India tra il 2002 e 2004. Su oltre 1.200 prigionieri intervistati, sono stati riportati 852 casi di abusi. In particolare, 171 sono stati picchiati e 681 torturati in sei modi diversi, tra cui con l’elettricità, violenze sessuali e altri crudeli sofferenze fisiche. Gli abusi di solito avvengono alla presenza di ufficiali e solo raramente le vittime sono militanti, ma sono persone sospettate di avere informazioni sui ribelli, spiega il Guardian precisando che la Croce Rossa non ha mai avuto accesso al famigerato centro di detenzione Cargo Building del capoluogo di Sinagar.