Giustizia: dei delitti e delle pene alternative, aspettando nuove leggi e nuove carceri di Tommaso Rafaraci La Sicilia, 16 dicembre 2010 Di fronte al cronico sovraffollamento delle carceri c’è chi pensa che sono troppi i detenuti e c’è chi invece pensa che sono pochi i posti in cella. È un caso emblematico di quanto sia decisiva la diversità di punti di vista su uno stesso oggetto. Chi pensa nel primo modo, auspica meno carcere e più ricorso alle pene alternative alla detenzione. Chi pensa nel secondo modo ritiene che il carcere sia la risposta ordinaria e migliore, aspettandosi quindi nuovi penitenziari affinché la pena sia scontata in condizioni dignitose, evitando al nostro Paese la vergogna delle condanne della Corte europea di Strasburgo. Ma, al di là delle opzioni “ideologiche”, preme, eloquente più di ogni discorso, la realtà. Il buon senso indica la necessità di nuove carceri quanto l’adeguamento di quelle esistenti e, insieme, l’insostenibilità di politiche penali che - magari per trasmettere rassicuranti messaggi simbolici - prevedano la reclusione o l’arresto per fatti di scarsa o trascurabile gravità. Benché sotto quest’ultimo profilo proprio i governi di centro - destra portino non poche responsabilità (si pensi, solo per fare un esempio, al peso restituito alla recidiva dalla legge “ex Cirielli”), un buon equilibrio mostrava il disegno di legge presentato dal ministro Alfano nel maggio scorso. Il testo puntava, da un lato, a un ambizioso piano - carceri e, dall’altro, a interessanti soluzioni alternative al carcere, come, ad esempio, per pene non superiori a tre anni, la sospensione del processo con “messa alla prova”, secondo un modulo già collaudato nel processo minorile. Sennonché la parte più cospicua del piano - carceri si è presto scontrata con le difficoltà finanziarie del momento, mentre l’idea di un’organica riforma delle misure alternative alla detenzione (che pure sarebbe stato tema certamente “caldo” e di non facile approccio) non si è neppure consolidata per il riacutizzarsi dell’emergenza sovraffollamento. In questo contesto, non è sorprendente che l’unico concreto esito normativo sia costituito da una legge - la 199 del 2010, in vigore dal 16 dicembre - che facilita l’accesso all’esecuzione della pena detentiva - purché non superiore a dodici mesi (anche quale residuo di pena più lunga) - presso l’abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza (cioè presso il “domicilio”). Si tratta di una nuova forma di detenzione domiciliare, per alcuni versi semplificata e più accessibile rispetto alle analoghe figure già previste dall’art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario (il beneficio sarà applicabile, ad esempio, anche ai condannati recidivi), ma non per questo priva di limiti o addirittura automatica. Resta infatti fermo che la detenzione domiciliare (un regime di esecuzione della pena che riproduce in sostanza quello della misura cautelare degli arresti domiciliari disposta in corso di processo) non può essere applicata ai condannati per gravi delitti (terrorismo, criminalità organizzata, omicidio volontario, rapina od estorsione aggravata, violenza sessuale di gruppo, etc.), ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, né ai detenuti sottoposti alla sorveglianza particolare prevista dalla legge penitenziaria. L’applicazione in ogni caso non sarà automatica, ma sarà disposta dal magistrato di sorveglianza (in tempi quindi più celeri di quelli richiesti per l’intervento del tribunale di sorveglianza), che potrà negarla quando vi sia la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga o vi siano motivate ragioni per ritenere che possa commettere altri delitti. L’applicazione potrà essere altresì negata se non risulti idoneo o effettivo il domicilio in cui scontare la pena: requisito che potrà verosimilmente porre problemi quanto ai cittadini stranieri. L’automaticità, prevista nell’originario disegno di legge per rendere più immediati gli effetti di scarcerazione, ha lasciato il posto a margini significativi di controllo da parte del magistrato di sorveglianza. Ciò anche per le pressanti richieste fatte in tal senso della stessa magistratura, peraltro sulla scorta della giurisprudenza costituzionale contraria ad ogni automatismo in materia. Nulla a che vedere, dunque, con “l’indulto mascherato” che i critici di questa legge hanno evocato anche per accentuare, al di là del segno, una pur percepibile linea di incoerenza tra politiche governative di rigore securitario e politiche penitenziarie di marca indirettamente indulgenzialista, promosse per ragioni ultime di emergenza carceraria. Di indulto, per quanto “mascherato”, davvero non sembra comunque potersi parlare, se non altro per il fatto che il condannato non è rimesso in libertà ma sconta la pena (o un residuo di essa) in regime domiciliare. Resta però evidente l’approccio emergenziale, confermato dal carattere temporaneo della legge, destinata a valere soltanto “fino alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario nonché in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2013”. Nella legge figurano poi a parte, non essendo specificamente riferiti al tema della detenzione domiciliare, gli inasprimenti delle pene stabilite per il delitto di evasione. È tuttavia per effetto di questo generale aumento delle pene edittali risulta corrispondentemente modificata in aumento la pena prevista per quella specifica figura di evasione costituita dall’allontanamento del condannato dal domicilio in cui sta scontando la pena. Di rilievo, inoltre, la introduzione di una nuova circostanza aggravante comune (art. 61 c.p.) per chi abbia commesso un delitto non colposo durante il periodo in cui era ammesso ad una misura alternativa alla detenzione in carcere. Anche questa previsione, com’è evidente va oltre il caso della detenzione domiciliare, coprendo l’intera gamma delle misure alternative. Queste ultime modifiche, per quanto di rilievo, non fanno tuttavia “sistema” nella legge, al centro della quale resta soprattutto la nuova forma di detenzione domiciliare. Si tratta però sotto più di un aspetto - non ultimo quello della misura in cui inciderà in concreto il controllo giudiziale - di una figura sfocata, che suscita i più seri interrogativi proprio in ordine alla sua capacità di realizzare in misura apprezzabile le attese finalità di scarcerazione che l’hanno ispirata. Giustizia: l’ultimo anno… meglio a casa di Maria Lucia Di Bitonto Il Riformista, 16 dicembre 2010 Oggi entra in vigore la legge a 199/2010, che consentirà a molti detenuti di finire di scontare la pena presso il proprio domicilio o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza o accoglienza, sempre che tale pena residua non superi l’anno; e sempre che non si tratti di persone nei cui confronti non si applicano gli ordinari benefici penitenziari, o di detenuti per i quali non è possibile effettuare una prognosi favorevole circa la loro condotta futura. L’obiettivo è quello di portare sotto controllo il sovraffollamento nelle carceri, in attesa della costruzione dei nuovi istituti penitenziari - tale forma di esecuzione domiciliare della pena avrà luogo fino alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario, e comunque non oltre il 31 dicembre 2013. Sia pure con ritardo la maggioranza, con il sostegno dell’opposizione, ha così dato seguito a quanto più volte preannunciato dal ministro della Giustizia, quando denunciava che il nostro sistema carcerario è fuori dalla Costituzione proprio perché l’asperità delle condizioni in cui versano i detenuti a causa del sovraffollamento nega effettività alla funzione rieducativa della pena. Dunque, questo provvedimento merita apprezzamento: nessun governo avrebbe potuto sottrarsi alla necessità di offrire soluzioni concrete e non più differibili per superare una situazione di emergenza conclamata, indegna di un paese civile. Allo stesso tempo, non si può fare a meno di stigmatizzare la prospettiva asfittica che tale legge esprime, in palese contraddizione con la fisionomia rivendicata da un esecutivo che - solo a parole - individua nella riforma della giustizia uno degli aspetti più qualificanti della propria azione di governo. Se questa riforma servisse davvero a innalzare il livello di tutela dei diritti dei cittadini, la priorità politica dei riformatori - tanto più se pressati da un sovraffollamento carcerario diffì - cilmente governabile - non potrebbe che essere la revisione della disciplina delle misure cautelari detentive applicate nel corso del procedimento penale prima che sia stata pronunciata una sentenza di condanna divenuta irrevocabile. È noioso ripeterlo, ma il numero dei detenuti presunti innocenti attualmente è di poco inferiore alla metà del numero complessivo di persone in vinculis, e non di rado ha superato questa proporzione. Ciò significa che l’applicazione della più afflittiva delle misure cautelari non rappresenta affatto una extrema ratio nella prassi giurisprudenziale. Nel nostro paese, quanto più gravi sono i fatti e le responsabilità penali da accertare, tanto più forti diventano le istanze repressive, che determinano una torsione dello strumento cautelare in funzione anticipatoria della futura sanzione. Nonostante la riforma del codice di procedura penale che stabilisce a chiare lettere che le misure cautelari non possono mai avere la funzione di anticipare la pena, in materia di libertà personale dell’imputato continua a essere imperante la tradizione inquisitoria imperniata sulla tendenziale identificazione dell’imputato con il colpevole, che giustifica la confusione tra finalità cautelari e finalità preventive della detenzione ante iudicatum. Anche se il nodo è culturale prima che normativo, nondimeno sarebbe necessario che il legislatore prendesse atto di un fatto elementare: se i presupposti delle misure restrittive della libertà personale non sono tali da impedire l’ipertrofia applicativa che affligge il sistema cautelare - sovraffollando le carceri - ciò accade perché nel relativo procedimento non vi sono antidoti adeguati a prevenire e a scoraggiare prassi elusive. Molto probabilmente la ragione di queste ultime si annida nell’assenza della partecipazione difensiva prima dell’esercizio del potere coercitivo da parte del giudice penale. Per questo, un utile punto di partenza per avviare un ripensamento delle regole sulle misure restrittive della libertà personale potrebbe essere quello di valorizzare, con un ritardo più che decennale, la riforma costituzionale del giusto processo, rimasta finora pressoché inapplicata in ambito cautelare. Se il contraddittorio tra le parti poste in condizioni di parità davanti a un giudice terzo e imparziale costituisce l’unico possibile modo di essere della giurisdizione, non è ammissibile che tale schema procedi - mentale sia escluso proprio in una materia, quella delle restrizioni della libertà personale, in cui la riserva di giurisdizione rappresenta la più qualificante delle guarantigie costituzionali. Il rilievo di questa istanza riformista è enorme non solo sul piano ideale, ma soprattutto su quello strategico. Se l’ordinamento non riesce a salvaguardare efficacemente un diritto inviolabile come la libertà personale, vale a dire quel diritto che - insegnava il compianto prof. Grevi - “è presupposto di tutti gli altri diritti di libertà, in quanto logicamente li precede e li condiziona a livello operativo”, come si può pensare, solo per fare un esempio, che quello stesso ordinamento possa mai assicurare tempi brevi per la risoluzione delle controversie tra privati e per il recupero dei crediti, entrambi essenziali alla crescita economica? Giustizia: Napolitano; agenti penitenziari in contesto reso difficile da sovraffollamento Adnkronos, 16 dicembre 2010 Gli appartenenti al Corpo della polizia penitenziaria “operano in un contesto reso oggi ancora più difficile e problematico dal sovraffollamento degli istituti”. Lo afferma il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, e a tutti gli appartenenti del Corpo della polizia penitenziaria, in occasione della cerimonia di celebrazione del ventennale della riforma del Corpo. Nonostante le difficoltà in cui gli agenti penitenziari operano, ha aggiunto il capo dello Stato, essi “partecipano egualmente, con assiduità, accanto alle figure professionali degli operatori e assistenti sociali, alle attività di osservazione e trattamento rieducativo dei detenuti e dimostrano di essere in grado di offrire risposte differenziate ai detenuti stranieri, numerosi e di diverse etnie, presenti nel circuito carcerario, affrontando in modo flessibile ed efficace le situazioni di disagio e di tensione”. Nel suo messaggio Napolitano ha voluto esprimere “sentimenti di apprezzamento e gratitudine per l’impegno delle donne e degli uomini della polizia penitenziaria quotidianamente compiono nell’esercizio dei loro delicati compiti”. Il capo dello Stato ha ricordato come “la riforma del 1990 ha affidato alla polizia penitenziaria, accanto al tradizionale compito di garantire la sicurezza all’interno degli istituti, anche la partecipazione al trattamento rieducativo previsto dall’articolo 27 della Costituzione”. Per Napolitano, inoltre, “è doveroso dare atto agli appartenenti al Corpo di aver contribuito, con entusiasmo e senso di responsabilità, grazie anche alla intensa attività di formazione svolta in questi anni, al raggiungimento degli obiettivi della riforma”. Giustizia: il ministro Romani; carceri galleggianti, problema ancora da approfondire Agi, 16 dicembre 2010 “Quello delle carceri galleggianti, io l’ho trovato sul tavolo come problema e come una possibilità. Ne ho parlato con il ministro della Giustizia, ma è un problema ancora da approfondire perché se quello delle carceri galleggianti può risolvere i problemi di un sito produttivo, ci sono poi delle altre questioni che emergono”. Lo ha detto il ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani a margine del varo a La Spezia di Rossita, la prima nave europea per i trasporto di materiali radioattivi derivanti dallo smantellamento dei sommergibili nucleari russi. Giustizia: Ferranti (Pd); trascorso quasi un anno dal decreto emergenza… e tutto tace Agenparl, 16 dicembre 2010 È trascorso quasi un anno, ormai, da quando il Consiglio dei Ministri ha annunciato il nuovo Piano Carceri varando, con apposito decreto, lo stato d’emergenza per le carceri italiane. Il decreto scade il prossimo 31 dicembre e, a quanto pare, delle tante proposte annunciate, è stato fatto poco o niente. Abbiamo sentito l’on. Donatella Ferranti (Pd) che più volte, a tal proposito, ha presentato delle interrogazioni al Ministro della Giustizia Angelino Alfano, nonché al Governo. Cosa è cambiato da gennaio ad oggi? Niente. Tutto generico e niente nello specifico. Più volte abbiamo chiesto chiarimenti in Commissione Giustizia alla Camera, ma, ad oggi, non abbiamo mai ricevuto una risposta precisa. Neanche dallo stesso Franco Ionta, Presidente del Dipartimento d’ Amministrazione Penitenziaria. Il piano prevede quattro pilastri di interventi. Il primo, appunto, prevede la costruzione di 47 padiglioni nuovi. Sono stati realizzati? A noi non risulta. Noi abbiamo fatto 30 interrogazioni, una per ciascun carcere indicato dal piano. Ad oggi non c’è nessuna risposta formale. E non ci risulta come stanno realizzando il piano carceri, soprattutto dal punto di vista della localizzazione delle aree, degli espropri, delle deroghe alla normativa generale sugli appalti e della finalizzazione anche dei soldi. Con il piano carceri si è prevista la nomina di Ionta a Commissario delegato, con la funzione di velocizzare e semplificare le procedure delle gare d’appalto. Noi questo l’abbiamo chiesto formalmente. E lui in Commissione , sempre in termini generali, ha detto che c’erano state delle consulenze, degli incarichi di progettazione. Ma, concretamente, non è mai stato reso noto e trasparente quale criterio sia stato utilizzato per la localizzazione delle aree. Questo perché sia per i padiglioni che per i nuovi carceri, si può derogare ai vigenti strumenti urbanistici. La deroga però non vuol dire arbitrio, perché bisogna sempre tener conto di quello che è l’interesse pubblico. Lui genericamente ha detto che si trattava ancora di progettazione, di interventi, insomma di una fase ancora di incarico preliminare. Ad oggi non mi sembra ci sia stata alcuna inaugurazione di padiglioni o di nuovi carceri, tanto più che tra l’altro ci sono nuovi padiglioni o nuovi carceri chiusi, che non si possono utilizzare perché non c’è personale. Il nuovo piano, tra i suoi pilastri, prevedeva anche l’assunzione di 2 mila agenti? Si, ma su quello non se ne parla assolutamente. L’unica cosa che adesso va monitorata è la legge 199 del 26 novembre 2010 relativa all’esecuzione domiciliare delle pene detentive non superiore a un anno. Questo vuol dire che, chi deve scontare una pena non superiore ad un anno e non è un soggetto pericoloso, né un delinquente recidivo e/o abituale, può fare l’ultimo anno in detenzione domiciliare. In questa legge c’è un articolo che abbiamo aggiunto noi del Pd che prevede l’assunzione di un certo numero di agenti di polizia penitenziaria. Quella è l’unica previsione vera di assunzione, che non riguarda però 2 mila agenti. Quindi, di tutto quello che è stato annunciato, nei fatti non si è realizzato nulla. E il prossimo 31 dicembre il decreto scade. Cosa accadrà? Non si è realizzato nulla, però, con il mille proroghe prevederanno la proroga dei poteri. E noi nel frattempo aspettiamo una risposta. Perché, se solo si rispondesse alle nostre interrogazioni, quanto meno potremmo sapere con certezza cosa è stato fatto per quelli che sono stati individuati come nuovi istituti e nuovi padiglioni, indicando anche genericamente la cifra. Se le misure del piano carceri fossero state reali e concrete, avrebbero risolto l’emergenza o serve altro? Sicuramente non sono risolutive al 100 per cento perché il problema del sovraffollamento carcerario non è solo la creazione di nuove carceri. I problemi sono anche la tipologia delle carceri, ossia come vengono costruite. Controllare il recupero del detenuto. Altro problema è quello del personale, compreso quello civile, vedi educatori e psicologi. Poi c’è un altro problema, ben più complesso, che è quello del ‘come concepirè la pena, quali sono i reati per i quali si prevede il carcere e quali, invece, devono essere previste pene diverse, ma sempre afflittive. Non basta parlare di depenalizzazione. In alcuni casi ci vorrebbero pene sostitutive al carcere. Per questo si crea il sovraffollamento, perché in carcere ci finiscono anche persone che non possono usufruire di misure alternative. Non è soltanto una questione di capienza è anche una questione dovuta ad altro. Sono sempre di più, infatti, le norme che creano nuovi reati, alzano le pene e poi alla fine sono dirette soprattutto verso la marginalità della società. Andrebbe studiato un sistema che vada ad affrontare le problematiche in base alla tipologia di reato. L’ amnistia, proposta dai radicali, potrebbe essere una possibile ‘alternativà? L’abbiamo visto con l’indulto. Quando è stato fatto i detenuti erano 39 mila, nell’arco di due anni, poi, si è ritornati a 70 mila. Non si risolve il problema. L’amnistia è un atto di clemenza che viene fatto in un certo momento. E poi di solito l’amnistia riguarda quelli che sono a piede libero, i piccoli reati. Quello che riguarda proprio i carceri è il provvedimento di Mastella sull’ indulto. Ma si tratta sempre di un provvedimento emergenziale. Andrebbero ripresi tutti i progetti che ci sono presso il Ministero della Giustizia fatti da Commissioni autorevoli, sia di destra che di sinistra, che prevedono un sistema diverso per affrontare le fattispecie di reato e la pena. Non per tutti i reati è necessario prevedere il carcere. Ci sono altre misure interdittive, previste dal giudice, e che lasciano il carcere per i reati più gravi e per quelle persone che hanno bisogno del carcere. Il problema è che il carcere è un momento transitorio dove il detenuto deve scontare la sua pena, ma al tempo stesso prepararsi a tornare a ‘fare il cittadinò. Oggi tutto questo no c’è. C’è, piuttosto, una ghettizzazione di persone che sono ai margini della società. Va attualizzato il nostro codice penale, risalente all’epoca fascista. Il carcere non dev’ essere un fortino, ma deve consentire il recupero del soggetto. Lettere: decreto “svuota-carceri”… ennesima bufala Liberazione, 16 dicembre 2010 Oggi entra in vigore la legge 199/2010, impropriamente soprannominata come “svuota-carceri” che permetterà ai detenuti ai quali mancano pochi mesi al fine pena (fino a 12 mesi) di usufruire degli arresti domiciliari. Dati alla mano sono circa 9.600 i detenuti che potrebbero beneficiare dei domiciliari, a fronte di una popolazione carceraria che a fine anno sforerebbe il record storico di 70mila unità, a fronte di una capienza massima non superiore ai 44mila posti. Nella realtà, e fuori dalla propaganda governativa, moltissimi tra i detenuti che rientrano nelle categorie idonee per tale provvedimento, non potranno in pratica beneficiare di esso perché privi di residenza, e non potranno nemmeno passare questo anno nelle strutture di assistenza ed accoglienza che sono già al collasso, colpite dai tagli del governo nazionale e dai tagli regionali. Quanti saranno allora i detenuti immigrati o tossicodipendenti che pur avendo la possibilità della misura alternativa al carcere non avranno famiglia o struttura per riceverli? Il provvedimento non si applica poi ai cosiddetti delinquenti abituali, alla reiterazione di piccoli reati; le misure alternative alla detenzione non valgono neppure per i reati inscritti nell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario (vedi i reati associativi e di natura politico ideologica, ai quali viene chiesta in cambio, secondo una logica mercantilistica, la collaborazione con lo Stato). Basta poi un semplice parere negativo del magistrato di sorveglianza, per non concedere la misura alternativa al carcere. Insomma, manca un percorso serio e credibile di reinserimento dei detenuti nel tessuto civile e sociale, non ci sono i soldi per i centri di accoglienza e di recupero e il governo ha, in modo assolutamente irresponsabile e criminogeno, tagliato i fondi destinati agli sgravi fiscali per la occupazione e la assunzione di ex detenuti. Insomma, la nostra classe politica, e neppure la cd opposizione pare differenziarsi in questo, à come imbrigliata nelle maglie e nelle gabbie che essa stessa ha costruito: questo uniforme giustizialismo e sicuritarismo che pervade la nostra società e di cui le leggi vergogna sull’immigrazione, sul possesso di sostanze psicotrope anche leggere, il concetto che ogni emergenza e dialettica sociale vada affrontata con la forza della repressione e del carcere, rappresentano ciò da cui smarcarsi per costruire un progetto di cambiamento e di alternativa all’attuale stato di cose. Questa legge lascia insoluti tutti i problemi e non affronta le cause del sovraffollamento, frutto non di un aumento della cd criminalità, ma soprattutto frutto di leggi, insensate e perverse, partorite da una classe politica fautrice e ormai schiava di un assurdo securitarismo. Associazione “Zone Del Silenzio” Veneto: dalla Regione 100mila euro per il inserimento lavorativo detenuti Redattore Sociale, 16 dicembre 2010 L’assessore alle Politiche sociali del Veneto Remo Sernagiotto ha confermato che questa è la cifra che si è riusciti a racimolare in fase di assestamento del bilancio regionale 2010, con la promessa che nel 2011 l’attenzione su questi temi sarà massima. Centomila euro per progetti di inserimento lavorativo per i detenuti dentro e fuori il carcere: è questa la cifra che si è riusciti a racimolare in fase di assestamento del bilancio regionale 2010, con la promessa che nel 2011 l’attenzione su questi temi sarà massima. Lo ha confermato oggi l’assessore alle Politiche sociali del Veneto Remo Sernagiotto, che ha incontrato questa mattina Alessandra Venezia, la responsabile dell’ufficio Detenuti e trattamento del Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria del Triveneto, Giuseppe Lapomarda del Centro di Giustizia Minorile di Venezia, il Direttore dell’Istituto penale per i minorenni Alfonso Paggiarino e i rappresentanti della Lega delle cooperative, dell’Associazione generale cooperative italiane (Agci), della Confcooperative. “È un argomento che mi sta molto a cuore - ha spiegato l’assessore - e ho informato che il recente assestamento di bilancio 2010 ci ha permesso di mettere a disposizione del sistema carcerario un finanziamento iniziale di 100 mila euro come segnale per favorire la formazione al lavoro all’interno delle carceri e l’inserimento al lavoro fuori nella società“. E ha aggiunto: “Nel bilancio 2011 insisteremo molto su questo percorso, mettendo a disposizione molte più risorse per progetti di lavoro nel carcere e fuori del carcere che saranno realizzati dalle cooperative, vagliati dai responsabili dell’amministrazione penitenziaria e controllati dalla regione”. Oltre che per il rispetto di quanto previsto dalla Costituzione, la decisione di dedicare energie e risorse al reinserimento nasce anche da alcune considerazioni pratiche: “Ricordo che mantenere un detenuto in carcere costa ogni giorno allo stato, cioè a tutti noi, tra i 600 e i 700 euro - riferisce Sernagiotto - , mentre costerebbe molto ma molto meno far sì che una volta uscito si guadagni da vivere, magari con un percorso protetto, e non ritorni in galera. Attualmente, come sappiamo è l’87% che ritorna in carcere dopo essere stato rilasciato. La nostra scommessa per questa legislatura regionale è di approntare un modello veneto del carcere per riconsegnare cittadini attivi alla società“. Umbria: Casciari (Regione); la legge svuota-carceri graverà sui comuni Agi, 16 dicembre 2010 Sono 25 tra Orvieto e Perugia e due a Spoleto i detenuti che potrebbero finire di scontare la pena ai domiciliari grazie all’entrata in vigore della cosiddetta legge svuota carceri. È quanto emerso oggi in un incontro tra la vicepresidente della Regione Umbria, Carla Casciari, il dirigente del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria per l’Umbria, Settimio Monetini, Laura Borsani dell’Uepe (Ufficio per l’esecuzione penale esterna) di Perugia, i rappresentanti dei Comuni di Spoleto, Perugia, Terni e Orvieto. “Scopo dell’incontro, puramente interlocutorio”, ha spiegato l’assessore, “era fare il punto sulla situazione umbra e capire quali servizi i Comuni potranno offrire a coloro che lasceranno il carcere”. Durante il colloquio, ha precisato la vicepresidente, “è emersa la problematicità per i Comuni che già faticano per i tagli apportati dalla Finanziaria”. La vicepresidente ha infine espresso “perplessità per una misura meramente deflattiva che, di fatto, non ha nessun altro fine se non quello di liberare le carceri”. In pratica, ha commentato, “si tratta di un’altra forma di detenzione che pone in carico all’ente locale l’esecuzione penale dell’ultimo anno di carcere dispensando di fatto lo Stato”. Inoltre, ha concluso, “si apre tutta una problematica che coinvolge i detenuti senza una residenza e quelli stranieri, che spesso già da ristretti manifestano la necessità di trovare un alloggio al momento della dimissione dal carcere”. Liguria: il Provveditore alle carceri invita i Sindaci a trovare una casa per chi esce Ansa, 16 dicembre 2010 Il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria della Liguria Giovanni Salamone ha scritto ai sindaci liguri e al presidente della giunta regionale Burlando per sollecitarli a reperire alloggi per i detenuti che, da domani, usufruiranno della legge 299. La norma, varata dal Guardasigilli Alfano, prevede che i detenuti che abbiano meno di un anno ancora da scontare possano farle al proprio domicilio o in strutture protette. “Ho scritto ai primi cittadini - ha detto Salamone stasera, nel corso di un convegno sulle carceri presenziato dal sindaco di Genova Marta Vincenzi - perché i detenuti, soprattutto stranieri, che usufruiranno di questa legge e che non hanno un posto dove andare trovino una qualche opportunità”. Emilia Romagna: Barbati (Idv); interrogazione su esiti ddl Alfano nella Regione Adnkronos, 16 dicembre 2010 “Il ddl Alfano approvato il 17 novembre scorso e che entra in vigore oggi, prevede che i detenuti che scontano condanne definitive possano trascorrere tra le proprie mura domestiche l’ultimo anno di reclusione. Il dato particolarmente rilevante della vicenda è che i detenuti in Italia potevano già scontare gli ultimi due anni di pena ai domiciliari e gli ultimi tre in affidamento ai servizi sociali. Tradotto in soldoni, chi deve scontare condanne fino a 3 anni non farà mezza giornata di carcere e chi ha commesso reati prima dell’indulto del 2006 non farà un giorno di galera neanche se condannato a 6 anni”. Lo rileva Liana Barbati, presidente del gruppo consiliare Idv in Regione Emilia Romagna. Barbati annuncia in proposito un’interrogazione “che - spiega - presenteremo in Consiglio regionale per sapere quali saranno le ripercussioni di questo indulto sull’Emilia Romagna e, soprattutto, quanti criminali torneranno in libertà sul territorio grazie al nostro lungimirante ministro della Giustizia Angelino Alfano”. Barbati evidenzia che “come se non bastasse, le condizioni disumane dei carcerati dovute al sovraffollamento degli istituti penitenziari resteranno pressoché invariate. Indi per cui, la legge svuota carceri voluta dal governo Berlusconi altro non è che un indultino mascherato, per non dire l’ennesima legge porcata di questa destra che continua a predicare bene e razzolare malissimo”. Toscana: Radicali; non rimandare oltre la nomina del Garante regionale dei detenuti Apcom, 16 dicembre 2010 L’appello dei radicali al presidente del Consiglio regionale Monaci in merito alla situazione del carcere di Sollicciano: “Come a Lei noto dall’11 novembre è in atto uno sciopero della fame per la situazione, di invivibilità non più controllabile, nel carcere di Sollicciano, portato avanti dal Garante dei Detenuti, on. Franco Corleone, della stessa struttura, da consiglieri comunali, giornalisti, componenti di associazioni di volontariato e anche da chi Le scrive. Nel quadro di questa iniziativa mi preme comunicarle, visto che la presidenza fino ad oggi non ha dato riscontro alle nostre lettere (l’ultima è del 14 giugno scorso) quanto segue. Dopo nostre insistenti lettere inviate alla precedente presidenza dell’on Claudio Martini, rimaste anch’esse regolarmente inevase, con delibera n. 69 del 19 nov. 2009 la Regione istituì il Garante regionale con decorrenza 1’ gennaio 2010, ma ad oggi la delibera non ha avuto corso per effetto della mancata nomina del titolare. Inutile ricordare l’intervento del Sindaco Renzi nello specifico con l’ordinanza del 23 agosto 2010 e l’intervento della Camera Penale. Ciò premesso, abbiamo urgente necessità di un colloquio con Lei prima del 22 dic. giorno in cui c’incontreremo in Palazzo Vecchio che fra l’altro calendarizzerà un Consiglio comunale all’interno di Sollicciano. Non è più procrastinabile la nomina del Garante regionale, considerando che la situazione delle altre strutture carcerarie della Regione versano in condizioni anche peggiori di quella sopra menzionata. Firenze: detenuto suicida a Sollicciano e agente in congedo per malattia si impicca 9Colonne, 16 dicembre 2010 Un detenuto magrebino di 35 anni, si è ucciso la notte scorsa inalando gas da una bombola, nel carcere di Sollicciano. Sale dunque a 63 il numero dei suicidi nel penitenziario fiorentino dall’inizio del 2010. Venerdì scorso, sempre a Sollicciano, si era impiccato un assistente capo della polizia penitenziaria, di 42 anni, in servizio presso il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria del capoluogo toscano, già in congedo straordinario per malattia. Ferma la denuncia del segretario generale della Uil penitenziari, Eugenio Sarno: “Il fenomeno dei suicidi in cella e tra il personale penitenziario dovrebbe obbligare chi detiene responsabilità amministrative e politiche ad interrogarsi sui perché e imporrebbe una ricerca di soluzioni possibili, alle quali non appartiene per nulla la recente norma sulla detenzione domiciliare. Invece assistiamo a uno sconcertante silenzio che accompagna l’evidente inoperosità di governo e Dap”. “Proprio ieri - ha poi aggiunto Sarno - il ministro Alfano ha celebrato il ventennale della riforma del Corpo penitenziario, sottolineando gli straordinari meriti delle donne e degli uomini dei baschi blu. Alle apprezzate e condivise parole del Guardasigilli, però, fa da contraltare la realtà di un sistema penitenziario incapace di assicurare dignità, legalità e sicurezza a chi vive e lavora all’interno dei nostri penitenziari. I tagli lineari operati dal governo Berlusconi impediscono la necessaria realizzazione di quegli interventi di manutenzione straordinaria per tenere in piedi edifici degradati e cadenti, nel mentre si continua a far riferimento ad un piano carceri tanto annunciato quanto fantasma”. Firenze: il Garante; la strage continua mentre la macchina dell’allarmismo è in funzione Comunicato stampa, 16 dicembre 2010 La notte scorsa a Sollicciano, un cittadino magrebino di 35 anni condannato in primo grado per spaccio e che aveva il fine pena nel 2011, si è suicidato aspirando il gas di una bomboletta nel gabinetto della cella. Il sovraffollamento ha provocato un’altra vittima innocente. Era mezzanotte, nella cella erano in sei persone e secondo quanto dichiarato dalla Direzione, il soccorso dei compagni, della Polizia Penitenziaria e dei medici è stato immediato ma non c’è stato niente da fare. Questa morte è una risposta eloquente a chi ha dipinto il carcere come un luogo da cui si esce facilmente per legge. Magari per la cosiddetta “svuota carceri”. Verificheremo le cause della morte attraverso i risultati dell’autopsia, ma certo questo ulteriore dramma obbliga a ripensare le condizioni di vita in un carcere illegale. La macchina dell’allarmismo è entrata in azione Ieri, in qualità di Garante dei diritti dei detenuti di Firenze, avevo convocato una conferenza stampa per illustrare lo stato della campagna contro il sovraffollamento nelle celle di Sollicciano, che da quasi un mese è sostenuta da un digiuno a staffetta e che si concluderà il 22 dicembre con una iniziativa di bilancio a Palazzo Vecchio. Nel corso dell’incontro di ieri avevo sottolineato l’entrata in vigore per oggi della legge sulla detenzione domiciliare, provvedimento mediocre e censurabile per molti suoi aspetti, come la gran parte di quelli varati dal ministro Alfano, e che non affronta le ragioni del sovraffollamento. Ho fornito il dato accreditato dall’Amministrazione penitenziaria, che per Sollicciano stima un’uscita di 50, al massimo 70, detenuti. Con stupore stamattina ho letto sui giornali una cifra identica su tutti i quotidiani di 360 beneficiari per Sollicciano e di 540 per la Toscana. I numeri indicati e il taglio della notizia fa pensare che si sia messa in moto la macchina cinica e falsante che si era già esercita in occasione dell’indulto del 2006. Sono preoccupato degli effetti che queste cifre e questo allarmismo possono provocare speranze destinate a essere frustare e quindi a innescare possibili tensioni, delle quali non ci sarebbe davvero alcun bisogno in un carcere già sotto stress. Denuncio con forza questa irresponsabilità: d’altronde, se fossero fondati questi numeri dovrei immediatamente iniziare un digiuno per la liberazione di 360 sequestrati nella galera di Sollicciano. Siccome la difficoltà maggiore per la concessione degli arresti domiciliari è proprio la congruità del domicilio, suggerisco agli avvocati dei detenuti e alla Camera penale di indicare come residenza dei propri assistiti l’abitazione degli autori della disinformazione, che peraltro sicuramente sono case adeguate e confortevoli. Franco Corleone Garante dei diritti dei detenuti Pisa: ricerca di Provincia e Uepe; le misure alternative riducono la recidiva del 75% Il Tirreno, 16 dicembre 2010 La possibilità di partecipare ad attività di esecuzione penale esterna riduce fino al 15% - rispetto alla media del 60% - i casi di ricaduta nel reato da parte dei detenuti. È quanto emerge, a proposito della popolazione carceraria locale, da una ricerca svolta dell’Osservatorio delle politiche sociali della Provincia di Pisa, in collaborazione con l’Uepe, l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna. I risultati di questa indagine sono appena stati raccolti in una pubblicazione (dal titolo: “Le misure alternative alla detenzione”), che per la prima volta si è soffermata in modo dettagliato sul sistema dell’esecuzione penale esterna a Pisa. La ricerca, avviata nel 2008 e riguardante i soggetti seguiti negli anni dal 2005 al 2007, si è basata su una serie di interviste. L’obiettivo era duplice: da un lato analizzare il funzionamento del servizio fornito dall’Uepe; dall’altro cercare di cogliere il fenomeno della recidiva tra i detenuti che seguono un regime alternativo al carcere (ovvero, soprattutto, l’affidamento in prova al servizio sociale, la semilibertà oppure la detenzione domiciliare). Considerando i dati degli ultimi trent’anni, si può notare come, fino al 1985, la percentuale di recidivi si attestasse su valori compresi tra il 50 e il 55%. Nel decennio 1986 - 1995, periodo nel quale vennero emanati due provvedimenti di indulto, tale percentuale diminuì sensibilmente e non superò il 47%. Negli ultimi dieci anni, invece, la percentuale è sensibilmente aumentata e si aggira intorno al 60%, mentre per i soggetti che sono stati in esecuzione penale esterna normalmente è del 15% - 20% inferiore, e nel caso di questa indagine ancora di più. “In un momento in cui il sovraffollamento delle carceri è ad un livello molto alto e le condizioni nelle quali sono costretti i detenuti è intollerabile per un Paese che vuol dirsi civile - commenta la vicepresidente della Provincia, Alessandra Petreri - questa indagine diventa uno strumento utile per riflettere su quali strumenti di supporto possono e devono essere rinforzati o creati, se inesistenti, per consentire all’Amministrazione Giudiziaria e Penitenziaria la più completa attuazione del complesso compito della rieducazione e reinserimento delle persone che hanno commesso reati”. Gli utenti che hanno partecipato all’indagine sono per l’81% italiani. Dal punto di vista dello stato civile il 55,6% è coniugato oppure convivente; il 16,7% è separato o divorziato, il 22,2% è nubile, il 5,6% vedovo. Circa il 60% degli intervistati risiede in un comune dell’Area Pisana, il 20% circa in Valdera, l’11% nel Valdarno, il 9% circa nell’Alta Valdicecina. Il 57,4% è formato da persone di età compresa tra i 30 ed i 50 anni, il 31,5% ha tra i 50 ed i 70 anni. I giovani con meno di 30 anni sono invece solo il 5,6%. La ricerca ha evidenziato una particolare difficoltà degli stranieri nell’accedere alle misure alternative a causa della scarsa conoscenza delle norme e delle modalità per l’ingresso (gli stranieri sono il 19% del totale). Chi ha potuto beneficiare del servizio esprime una valutazione positiva rispetto all’assistenza ricevuta. Alla domanda su che cosa secondo loro abbia funzionato meglio nel trattamento, gli utenti hanno risposto di aver ricevuto soprattutto sostegno e aiuto (prima posizione). Al secondo posto “aumento della motivazione al cambiamento”, al terzo “possibilità di reinserimento sociale”. Per il successo della misura alternativa un rilievo significativo è assunto dal ruolo della famiglia. Ecco quando il giudice revoca i benefici La decisione riguardo alla concessione o meno delle modalità alternative di esecuzione delle condanne spetta, per legge, ad un organo giurisdizionale: il tribunale di sorveglianza. Possono accedere a queste misure detenuti che devono scontare un residuo di pena nei limiti fissati dalle normative e che hanno evidenziato progressi nel processo di risocializzazione. La legge prevede inoltre la possibilità di accedere alle modalità alternative direttamente dallo stato di libertà, quando il condannato che riceve l’ordine di esecuzione non è detenuto. Una casistica, quest’ultima, che risulta prevalente sul totale delle misure concesse (la più ampia delle quali è l’affidamento in prova al servizio sociale). Ma queste possibilità possono anche essere revocate di fronte a determinati comportamenti. I dati sulle revoche continuano ad apparire confortanti. Ciò è confermato dal quasi assente tasso di revoca per commissione di nuovi reati nell’arco temporale della misura; e dal fatto che gli unici casi di revoca sono quelli in cui le motivazioni della revoca stessa sono ascrivibili a fattori comportamentali (ad esempio, il soggetto non rispetta le prescrizioni impostegli dalla magistratura) e non collegati a reati commessi durante la fruizione della misura. Semmai, può accadere che durante la fruizione di una misura alternativa sopraggiunga un nuovo titolo di esecuzione per un reato commesso in precedenza. In questo caso non si configura la recidiva, ma la pena aumenta a tal punto che non ci sono più i requisiti temporali previsti dalla legge (tre anni) per continuare a fruire della misura. Sul totale dei casi seguiti, l’andamento delle revoche va dall’8,56% del 2004 al 3,37% del 2007, fino al 4,43% dello scorso anno. Saranno i dati relativi al 2010 a confermare oppure no il leggero incremento delle revoche iniziato nel 2008, dopo il significativo decremento degli anni precedenti. Pisa è al terzo posto in Toscana Ma qual è il quadro dei reati nella provincia di Pisa? L’Istat ha da poco pubblicato i dati ufficiali relativi al 2008. Nel territorio pisano sono stati denunciati 20.849 delitti. Con un quoziente di criminalità di 5.082 reati ogni 100.000 abitanti, la provincia di Pisa occupa la terza posizione preceduta soltanto da Firenze (5.811) e Prato (5.355). La media regionale è di 4.884 delitti ogni 100.000 abitanti. La provincia di Pisa ha il livello più alto di furti insieme a Firenze: 3.053 ogni 100mila abitanti. I furti rappresentano la maggioranza (60,7%) dei reati denunciati. La sezione Sicurezza Urbana dell’Osservatorio per le politiche sociali della Provincia di Pisa realizza studi e ricerche su questo tema, sostenuti dalla Regione Toscana nell’ambito di uno specifico accordo. Nel 2010, oltre al completamento dell’indagine sulle cause di recidiva dei detenuti in misura alternativa (con relativa pubblicazione del volume dedicato), è stata avviata un’indagine dal titolo “L’integrazione dei cittadini stranieri e la loro percezione della sicurezza urbana in provincia di Pisa”. Foggia: Osapp; 750 detenuti in 371 posti, il penitenziario è al collasso Ansa, 16 dicembre 2010 Il penitenziario di Foggia è al collasso con 750 reclusi (l’istituto ha una capienza regolamentare di 371 detenuti) e 300 agenti di polizia penitenziaria rispetto a una esigenza in organico di 420 poliziotti. Lo denuncia il sindacato di polizia penitenziaria Osapp il cui vice segretario generale nazionale Domenico Mastrulli annuncia per il prossimo 17 dicembre una ispezione nell’istituto foggiano per visitare tutti i luoghi di lavoro dei poliziotti. Al termine dell’ispezione l’Osapp terrà una assemblea sindacale e, subito dopo, una conferenza stampa. Da sempre - dice l’Osapp - al sindacato appare esplosiva la gestione del carcere foggiano, tanto che è stato chiesto ai vertici regionali e centrali di valutare l’assegnazione urgente di un direttore titolare di provata esperienza professionale nel campo penitenziario al fine di affrontare, con solerzia e costruttiva partecipazione, le situazioni di estremo disagio e tendenzialmente al limite della sicurezza. Secondo l’Osapp, per avere ben chiara la situazione, basta pensare che un solo agente, nelle giornate delle visite e colloqui detenuti con famigliari, è costretto a controllare tre/quattro sale contemporaneamente piene di utenti. Catania: agente Polizia penitenziaria ruba buoni benzina destinati a trasporto detenuti Il Velino, 16 dicembre 2010 Individuato all’interno del Nucleo T.P. provinciale presso la Casa Circondariale di Catania Bicocca un assistente di polizia penitenziaria che si appropriava dei buoni di benzina forniti dall’amministrazione per le traduzioni dei detenuti. A darne notizia è Mimmo Nicotra, vice segretario generale dell’Osapp, sindacato della polizia penitenziaria. “Dalle indagini effettuate dal Commissario responsabile Silvio Pompilio, sembrerebbe - riferisce Nicotra - che da oltre un anno andasse avanti questa truffa ai danni dello Stato. Ieri è stato notiziato l’interessato che dalle indagini a suo carico emergeva chiaramente l’uso personale dei buoni di benzina. Stamani la Procura e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dovranno decidere i provvedimenti da assumere. Questa notizia - conclude Nicotra - , anche se triste, ci consente di dimostrare, ancora una volta, che la Polizia Penitenziaria è un Corpo sano e all’altezza del compito affidatogli. Nonostante il ministro Alfano non sia riuscito a sollevarne le sorti, continua ad andare avanti con grande spirito di sacrificio ed abnegazione”. Palermo: detenuti al lavoro, dentro il carcere verrà costruito un campo di calcio La Sicilia, 16 dicembre 2010 Per due anni, 48 detenuti del carcere “Pagliarelli” saranno impegnati nella realizzazione di un campo da calcio all’interno del penitenziario. È quanto prevede il progetto “Calcio d’inizio”, cofinanziato con 800 mila euro dal programma operativo Fondo sociale europeo della Regione siciliana: un percorso di formazione e work experience rivolto ai detenuti della casa circondariale, che al termine di 850 ore tra teoria e pratica, potranno ottenere un qualifica professionale. Quattro i percorsi formativi che saranno frequentati da 12 detenuti ciascuno: operaio edile, operatore del verde, elettricista, custode e manutentore di impianti sportivi. Un’iniziativa concreta per favorire il reinserimento socio - lavorativo dei detenuti, una volta scontata la pena. Ma non è tutto. Giovanni Caramazza, presidente provinciale del Coni, tra i partner dell’iniziativa, ha anche lanciato l’idea di formare una squadra di calcio composta da soli detenuti e di iscriverla al campionato di Terza categoria. “Lo sport - dice Caramazza - è un mezzo di riscatto sociale. Si potrebbe far frequentare ai reclusi anche un corso di arbitro riconosciuto dal coordinamento degli Enti di promozione sportiva”. Proposte accolte da Francesca Vazzana, direttrice del “Pagliarelli”: “Lo sport per chi si trova recluso all’interno di un carcere è un modo per ristorare il fisico, dato che si vive in celle di pochi metri quadrati. Puntiamo molto su questi corsi di formazione, perché si tratta di figure professionali molto ricercate sul mercato del lavoro”. Tra i testimonial dell’iniziativa anche Ignazio Arcoleo, lo storico allenatore del Palermo “dei picciotti”. “Il calcio - ha concluso il coordinatore delle rappresentative provinciali Allievi e Giovanissimi - è libertà, allegria, gioia. Una valvola di sfogo, soprattutto per chi si trova in carcere. Se si dovesse costituire la squadra, darò senz’altro un aiuto all’allenatore”. Padova: superlavoro alla pasticceria del carcere, vanno a ruba i pluripremiati panettoni Il Gazzettino, 16 dicembre 2010 Sono ore di superlavoro, in questi giorni, nel laboratorio del carcere Due Palazzi. I quindici detenuti pasticcieri, coordinati dallo chef Lorenzo Chillon, sono impegnatissimi nell’impastare e sfornare il panettone più buono d’Italia, annoverato nella top ten del Gambero Rosso. È stato servito perfino ai tavoli del G8 a L’Aquila e apprezzato da 29 capi di Stato proprio per il fatto di essere morbido, dalla fragranza delicata e in un’elegante confezione decorata con gli affreschi di Giotto. Squisitamente padovano. Il ciclo di lavorazione dei panettoni del carcere dura 72 ore. Gli ingredienti utilizzati sono tutti naturali e di altissima qualità: solo uova e latte fresco - niente di liofilizzato - lievito madre e un giusto mix di canditi e uvette. È un panettone di nicchia, di alta gamma, prodotto in otto varianti: si va dal classico con canditi e uvetta all’innovativo cioccolato e fichi. C’è perfino quello alla birra, il “Trappista”, dal sentore luppolato della Tabachera, una birra artigianale italiana di tradizione. Il formato famiglia ha invece nomenclatura inglese: è il Big One da cinque chili. Pluripremiato da affermati gourmand, il panettone prodotto dai detenuti del carcere Due Palazzi, nel 2007 è stato insignito del Piatto d’argento dell’Accademia italiana della Cucina, onorificenza riservata ai prodotti d’eccellenza ed ha ottenuto i riconoscimenti del Club Papillon oltre alle lodi del “gastronauta” Davide Paolini. Nel 2008 è stato selezionato per la rassegna dei gusti Golosaria e nel 2009 per il G8. Pistoia: il Sappe lancia “l’allarme topi” e chiede l’intervento dell’Asl Il Tirreno, 16 dicembre 2010 Il Sindacato autonomo della Polizia penitenziaria - il maggiormente rappresentativo a livello nazionale, regionale e nella provincia di Pistoia - lamenta come, nonostante più volte abbia denunciato la presenza dei roditori nella casa circondariale di via dei Macelli, la direzione del carcere non abbia intrapreso nessuna iniziativa tesa a scongiurare i pericoli igienico - sanitari per il personale di polizia penitenziaria e per quello civile, nonché per i detenuti. “Sembra non interessare - lamenta Pasquale Salemme, segretario nazionale del Sappe - che la presenza dei roditori comporta dei seri rischi igienico - sanitari: il topo è vettore di malattie ed infezioni (virus di rabbia, afta, eccetera o batteri di salmonellosi, colera ed altro) che risultano essere pericolose per l’uomo. Inoltre non è da escludere il pericolo di attacco all’uomo. È paradossale affermare che il personale di Pistoia deve svolgere una vera e propria “caccia al topo”. Tale situazione sta ingenerando una situazione di disagio, paura e ribrezzo nelle persone e rappresenta una concreta situazione di degrado ambientale. Considerata la persistente inerzia dell’amministrazione penitenziaria è necessario l’intervento dell’Asl, affinché si scongiurino conseguenze ben più gravi”. Milano: detenute di Bollate presentano linea di abbigliamento al Banco di Garabombo Ansa, 16 dicembre 2010 Oggi alle 18.00 le detenute del Carcere di Bollate che confezionano abiti nel laboratorio di sartoria che la cooperativa sociale Alice gestisce all’interno dell’Istituto Penitenziario, incontrano i milanesi presso il Banco Garabombo, il tendone natalizio dell’economia solidale organizzato dalla cooperativa Chico Mendes, Radio popolare e Librerie in Piazza. Tra le novità che quest’anno i consumatori responsabili e solidali possono trovare sugli scaffali del Banco di Garabombo spiccano gli abiti realizzati dalle detenute del Carcere di Bollate, all’interno del laboratorio di sartoria gestito dalla cooperativa sociale Alice. Abiti realizzati a mano, con materiali pregiati, da donne che grazie a questa occupazione hanno la possibilità di acquisire competenze professionali che saranno fondamentali per il loro reinserimento nel mondo del lavoro e nella società, una volta terminato il periodo di detenzione. Questi capi sono in vendita esclusivamente al Banco di Garabombo, fino al 9 gennaio 2011: sono stati infatti realizzati grazie alla collaborazione tra la cooperativa Chico Mendes che ha ideato i modelli e la cooperativa Alice che ha affidato la realizzazione alle detenute impiegate nella sartoria di Bollate. Occasione eccezionale, giovedì 16 dicembre, alle ore 18.00 il pubblico incontrerà le detenute che hanno realizzato gli abiti e che lavorano stabilmente all’interno della sartoria gestita dalla cooperativa Alice. L’incontro sarà moderato da Pietro Raitano, direttore della rivista Altreconomia, che a breve pubblicherà un libro dedicato ai prodotti realizzati da cooperative sociali nelle carceri italiane. Porto Azzurro (Li): maxi rissa nel carcere, coinvolti una ventina di detenuti Ansa, 16 dicembre 2010 Una rissa nella quale sono rimasti coinvolti una ventina di detenuti è scoppiata ieri pomeriggio nel carcere di Porto Azzurro (Livorno), all’isola d’Elba. È quanto riferisce il sindacato di polizia penitenziaria Sappe. Secondo il sindacato diversi detenuti sono stati medicati nell’infermeria del carcere Forte San Giacomo. Anche un agente della polizia penitenziaria è stato curato, sembra per un labbro rotto, ferita ricevuta mentre stava cercando di sedare la rissa. Da accertare le cause dello scontro a cui hanno partecipato sia italiani che extracomunitari. A seguito dell’episodio Aldo Di Giacomo, consigliere nazionale del Sappe, ha detto di ‘voler chiedere prima di Natale un incontro al ministro della Giustizia Angelino Alfano e al provveditore regionale per la Toscana del Dap, Maria Pia Giuffridà perché “il carcere di Porto Azzurro da migliore d’Italia sta diventando il peggiore d’Italia. Questa situazione non è spiegabile con la sfortuna o la casistica”. Secondo il Sappe l’episodio non può essere ritenuto isolato ma deve essere contestualizzato. È stato ricordato il caso del 6 aprile 2010 quando nel carcere elbano due agenti furono sequestrati da circa 40 detenuti: ad originare il sequestro, secondo il Sappe, furono proprio le condizioni generali di vita all’interno del carcere. Messina: sit-in degli agenti penitenziari davanti al carcere Ansa, 16 dicembre 2010 Si sono fermati per un’intera mattinata. Gli agenti di polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Messina hanno incrociato le braccia. Da mesi protestano a causa delle proibitive condizioni di lavoro in cui sono costretti ad operare. Turni massacranti e un organico ridotto all’osso. Al momento gli agenti in servizio nel carcere di Messina sono 295, ovvero 305 unità in meno rispetto a quanto previsto dalla pianta organica. E tutto questo avviene in una struttura sovraffollata con più di 400 detenuti, quasi il doppio della capienza consentita. Dopo aver proclamato lo stato di agitazione oggi hanno deciso di manifestare davanti all’ingresso del carcere: “Siamo stanchi di lavorare in queste condizioni - dice Giuseppe Conte, segretario provinciale del Sappe, uno dei sindacati di polizia penitenziaria - con un organico del genere il servizio offerto non può essere che scadente, nonostante il nostro impegno. Non dimentichiamo che siamo chiamati anche ad accompagnare i detenuti nelle udienze in tribunale e a fare i piantonamenti in ospedale. E tutto questo avviene nell’arco di tre turni lavorativi mentre la legge ne prevede quattro. Il risultato è semplice: oltre a mettere a repentaglio l’incolumità nostra e dei detenuti abbiamo anche una qualità della vita molto bassa”. Così stamattina gli agenti hanno deciso di effettuare il sit - in davanti al carcere ma se l’amministrazione penitenziaria non accoglierà le loro richieste sono decisi ad avviare anche lo sciopero della fame: “C’è un totale disinteresse verso i nostri problemi - lamenta Stefano Bartuccio dell’Osapp - il Ministro della giustizia Alfano è stato più volte informato della nostra situazione ma non si è mai degnato di risponderci. Forse ha problemi più seri di cui occuparsi piuttosto che il funzionamento delle carceri”. Enna: reinserimento dei detenuti ed ex detenuti, presentato il Progetto Anrel La Sicilia, 16 dicembre 2010 Cinque regioni interessate, cinquemila i detenuti che saranno presi in cura; millecinquecento quelli che sono stati avviati e formati, mentre 600 sono stati quelli che sono stati già stabilizzati nelle varie aziende ed imprese che partecipano al progetto Anrel (Agenzia Nazionale Reinserimento e Lavoro detenuti ed ex detenuti), portato avanti dalla fondazione “Istituto di promozione Umana monsignor Francesco Di Vincenzo”, presieduta da Salvatore Martinez, dal Ministero di Grazia e Giustizia, finanziato dalla Cassa delle Ammende, Istituto del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria con il concorso dell’Acli, dell’Agenzia per i beni confiscati alla criminalità organizzata, Coldiretti, Caritas Italiana, Comitato Nazionale per il Microcredito, Confcooperative, Federsolidarietà, Rinnovamento dello Spirito, Prison Fellowship Italia. Il progetto è stato presentato martedì pomeriggio, presso la sala Cerere, presenti il vescovo di Piazza Armerina monsignor Michele Pennisi, il presidente della Provincia, Giuseppe Monaco con l’assessore alle politiche sociali,Geppina Savoca, Santo Ciralli, presidente regionale dell’Acli, la direttrice del carcere di Enna, Patrizia Bellelli, esperti del settore provenienti da tutta la Sicilia. Salvatore Martinez ha evidenziato che sono cinque le regioni che stanno portando avanti questo progetto: Sicilia, che è stata la promotrice dell’iniziativa, Lombardia, Veneto, Lazio e Campania, un progetto condiviso da tanti perché ha l’obiettivo primario di favorire il reinserimento di detenuti ed ex detenuti nella famiglie e nella società, aiutandoli a raggiungere maggiore stabilità, evitando così di tornare a delinquere; orientare, formare, favorire ed accompagnare l’inserimento dei detenuti ed ex detenuti nel mondo del lavoro, da dipendente o imprenditore in autonomia guidata. Ovviamente i destinatari del progetto sono quei detenuti che hanno una pena residua inferiore ai tre anni ed ex detenuti a rischio di recidiva e privi di tutela per il reinserimento sociale; interessate le famiglie di detenuti ed ex detenuti che partecipano al programma di reinserimento. Martinez ha anche comunicato che sono di prossima stipula due accordi con il Ministero degli Interni e con il Ministero del Lavoro. Varese: disegni e colori per i “bambini del carcere” Varese News, 16 dicembre 2010 La programmazione pedagogica della casa circondariale, in collaborazione con l’associazione Uisp Varese, ha realizzato due murales nella sala colloqui e nella sala d’aspetto del carcere. “Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni”, scriveva Dostoevskij. E diciamo pure che se il metro di giudizio deve essere quello, prendendo ad esempio il Miogni, la casa circondariale di Varese, vecchia sovraffollata e decadente, non ne usciamo troppo bene. A dimostrazione del contrario, però, ci sono i numerosi progetti che la direzione carceraria porta avanti con le realtà del territorio. Dalle scuole, alle associazioni sono nati molti progetti che permettono ai detenuti di incontrare durante la loro pena un poco di umanità. “Perché la pena carceraria non deve essere nulla di più che la privazione della libertà di uscire - spiega il direttore del carcere Gianfranco Mongelli - per il resto il detenuto ha diritto ad un trattamento umano come chiunque altro”. E proprio con questo principio la programmazione pedagogica della casa circondariale, in collaborazione con l’associazione Uisp Varese, ha realizzato due murales nella sala colloqui e nella sala d’aspetto del carcere. Un progetto coordinato dalla responsabile di Uisp Alessandra Pessina e dall’educatore del carcere Domenico Grieco, realizzato da 3 detenuti, un italiano, un senegalese e un marocchino, con la supervisione dell’istruttore Simone Zulli. Insieme la “squadra creativa” ha ricoperto le pareti delle due stanze di colori e disegni così da renderle un luogo adatto a ricevere la visita dei famigliari dei detenuti e sopratutto dei loro bambini. “I colloqui familiari sono l’unico momento per i detenuti di manifestare la loro emotività - spiegano gli organizzatori dell’iniziativa - ed in particolare i colloqui con i figli rappresentano un momento speciale e unico che va assolutamente tutelato sia nell’interessa della persona detenuta sia di quello dei bambini che ha il diritto di mantenere un rapporto con i propri genitori”. E venerdì 17 dicembre, sempre con la collaborazione di Uisp, ai detenuti e alle loro famiglie verrà regalata una “festa di Natale”, proprio come quella che non potranno festeggiare nelle proprie case il 25 dicembre. Genitori e bambini vivranno una giornata insieme agli animatori del Uisp per festeggiare il Natale e forse, per qualche ora, dimenticare le sbarre della propria prigione, un luogo che nonostante queste iniziative rimane inadatto a svolgere il compito rieducativo che gli conferisce la costituzione. All’interno del carcere di Varese sono rinchiusi mediamente 130 persone ogni giorno, contro la capienza regolamentare che dovrebbe essere di 53 posti e una capienza massima tollerabile di 99. Perugia: il vescovo di domani in visita al carcere di Capanne Ansa, 16 dicembre 2010 L’arcivescovo di Perugia monsignor Gualtiero Bassetti sarà domani in visita al carcere di Capanne per celebrare il Natale. In una nota della diocesi si sottolinea che il mondo carcerario è stato “sempre al centro” dell’attenzione pastorale del presule, fin da quando era vescovo di Arezzo - Cortona - Sansepolcro. La sua prima visita a persone disagiate ed emarginate dopo il suo ingresso a Perugia è stata infatti dedicata alle detenute e ai detenuti di Capanne dove si è recato tre volte in un anno. Dopo avere visitato domani mattina la sezione maschile, monsignor Bassetti si intratterrà a pranzo in carcere per poi incontrare, nel pomeriggio, le detenute. L’arcivescovo porterà dei doni ai bambini che vivono nelle celle insieme alle loro mamme. L’arcivescovo sarà accompagnato nella visita dalla direttrice del carcere Bernardina Di Mario. Con mons. Bassetti ci saranno i cappellani, mons. Saulo Scarabattoli e don Cesare Piazzoli, alcuni membri della direzione della Caritas diocesana e dei volontari che prestano servizio nelle sezioni maschile e femminile, appartenenti all’associazione perugina di volontariato (Apv) promossa dalla stessa Caritas perugina. “Ciò che mi colpisce di più - ha commentato mons. Bassetti alla vigilia della sua visita - è sempre il senso squisito di umanità di molti dei detenuti, perché ci fanno comprendere che non tutto di loro è perduto, anzi, nell’espletamento della pena emerge ciò che di buono custodisce il loro cuore. Anche da chi è in una cella può arrivare un segno di speranza per un mondo più umano dove possa prevalere il bene sul male”. Al riguardo, ricorda l’arcivescovo, “sono significative le parole pronunciate dalla madre di Yara, la ragazza bergamasca scomparsa recentemente”. “La donna - ha aggiunto - , pietrificata dal dolore, ha detto: tanti ci sono stati vicini in queste tremende giornate. Però, ciò che più ha dato conforto alla nostra famiglia è stata una lettera di carcerati. Nessuno aveva saputo usare la stessa delicatezza”. Iraq: 257 condanne a morte eseguite dal 2005 Aki, 16 dicembre 2010 In Iraq sono state eseguite 257 condanne a morte a partire dal 2005, nonostante i ripetuti appelli delle Nazioni Unite per abolire la pena capitale. È questo il bilancio fornito dal vice ministro della Giustizia Busho Ibrahim, spiegando che il paese ha avviato un piano ambizioso per il rinnovo di tutte le carceri con l’obiettivo di allinearle agli standard internazionali entro il 2015. “Le esecuzioni sono iniziate nell’agosto 2005” ha detto, spiegando che sono 37 le persone in attesa di condanna, per le quali il consiglio presidenziale ha già dato il suo via libera. Nel dettaglio le esecuzioni capitali hanno colpito 251 uomini e sei donne, da quando il paese ha tolto la moratoria adottata dopo l’intervento militare Usa del 2003. Solo quest’anno 17 persone sono finite al patibolo in Iraq, un numero significativamente inferiore rispetto alle 124 condanne eseguite nel 2009. Ibrahim non ha fornito spiegazioni sui motivi di questa tendenza, probabilmente dovuta al fatto che il paese è senza governo dalle elezioni dello scorso marzo. Intervenendo alla Giornata Internazionale per i Diritti Umani, l’inviato Onu Ad Melkert ha chiesto al governo iracheno di abolire la pena di morte. “Vorrei reiterare la nostra richiesta di porre fine alle esecuzioni e vorrei incoraggiare il paese a bandire questo tipo di punizione come aspetto fondamentale del modo di implementare la giustizia nel nuovo Iraq” ha detto. Il premier Nuri al - Maliki è un forte sostenitore della pena capitale, mentre il presidente Jalal Talabani è contrario. Cile: rivolta nel penitenziario di Santiago, 70 feriti Ansa, 16 dicembre 2010 Una ribellione ha causato quasi 70 feriti la scorsa notte nel penitenziario di Santiago del Cile. I disordini sono scattati quando un gruppo di detenuti si è opposto a una perquisizione di routine. “Quando siamo entrati in uno dei bracci dell’istituto siamo stati attaccati con lance, pietre ed oggetti infiammabili - ha detto Daniel Vega, capo della guardie carcerarie - I prigionieri hanno dato fuoco ai materassi. Il braccio ospita circa 3.500 detenuti”. Nella sezione del carcere sono stati sequestrati 120 coltelli, 16 telefoni cellulari e bibite alcoliche. Circa 54 detenuti e 12 guardie di custodia sono rimaste ferite negli scontri, cinque gravemente. La crisi del sistema carcerario è vissuta giornalmente in questo penitenziario - ha detto il direttore Luis Masferrer al quotidiano La Tercera. Ci sono attualmente 7.115 detenuti nel carcere di Santiago mentre è stato progettato per un massimo di 2.900. Gli incidenti, che sono terminati dopo quattro ore, avvengono una settimana dopo la rivolta e l’incendio nella prigione San Miguel, poco fuori Santiago, nei quali 81 detenuti sono morti. Eritrea: nel carcere di Asmara 600 detenuti in uno stanzone di 120 mq 9Colonne, 16 dicembre 2010 In un Paese chiuso come l’Eritrea, le testimonianze sulle condizioni delle prigioni sono un evento più che raro. Ecco perché fanno tanto rumore i dispacci della diplomazia americana del 2008 diffusi da Wikileaks e pubblicati oggi da Le Monde. Si tratta di un documento shock che rivela la storia di un eritreo ancora traumatizzato dopo aver trascorso cinque mesi nelle carceri del suo Paese, divenuto secondo gli Usa “una caserma a cielo aperto”. I prigionieri vengono stipati anche nelle basi militari, come quella d’Adi Abeito, alla periferia di Asmara, la capitale. L’uomo - il testimone dei dispacci della diplomazia americana - viene trasferito in una cella di dieci metri per dodici insieme ad altri 600 detenuti, “un luogo talmente affollato che era impossibile anche sedersi”. Ai prigionieri è proibito di usare i servizi igienici se non due volte al giorno, senza acqua né cibo. Accanto a lui criminali comuni, disertori, oppositori del regime ed evangelici, questi ultimi perseguitati in quanto deviazione rispetto al cristianesimo ortodosso, religione maggioritaria nel Paese. Tutti portano sul volto e sul corpo le ferite provocate dalle torture, persino un gruppo di bambini tra gli otto e i tredici anni, colpevoli di aver tentato la fuga. I dispacci della diplomazia americana fanno poi luce sui movimenti in atto ai vertici del potere per destituire il dittatore Issayas Afeworki e della risposta “timida” dell’America rispetto alle richieste d’aiuto degli oppositori al regime.