Giustizia: Alfano; nuove carceri e più pene alternative, ma il mio ddl non è indulto Italpress, 15 dicembre 2010 Il disegno di legge Alfano che entra in vigore domani, lungi dall’essere un “indulto mascherato”, affronta “partendo dalla Costituzione e dai problemi dei cittadini” il problema dell’emergenza carceri. Ad assicurarlo è lo stesso ministro della Giustizia Angelino Alfano, che in occasione del convegno sul tema organizzato dalla Cisl, ricorda che “in 60 anni ci sono stati una trentina di indulti e il tasso di recidiva è sempre stato altissimo. Noi non intendevamo seguire questa strada, anche alcuni professionisti della disinformazione hanno detto che si trattava di questo. Ma è chiaro che chi è ai domiciliari non va per strada”. Il lavoro del governo, spiega il ministro, ha seguito quattro direzioni principali: realizzare nuovi carceri, perché molti sono bastioni medievali e molti sono di 400 anni fa; accelerare lavori; valorizzare il personale penitenziario e accompagnare al carcere le misure alternative” tra cui quelle legate alla rieducazione del detenuto e la previsione degli arresti domiciliari per chi deve scontare un residuo di pena di tre anni. “In Parlamento - si rammarica Alfano - ho subito attacchi per la mia politica carceraria sia da chi parlava di indulto sia dalla componente radicale, che ha detto che si poteva fare di più: evidentemente questo era l’unico punto parlamentare di equilibrio possibile. Abbiamo aperto duemila posti in due anni, abbiamo preso un provvedimento per deflazionare le carceri e assunto 1.850 agenti che prenderanno servizio nel corso del 2011” ricorda Alfano. Il ministro poi promette alla polizia penitenziaria (di cui ricorre il ventennale) che “il ministro lavora perché godiate sempre più di una vostra specificità, voglio far passare il concetto dell’essenzialità della polizia penitenziaria nel sistema di sicurezza del paese” e ricorda l’importanza di “valorizzare le potenzialità del detenuto: nel 90% non torna a delinquere chi viene rieducato con modalità lavorative durante il carcere, e in tal modo si abbatte quasi completamente la recidiva”. Quindi Alfano torna a rimarcare il problema stranieri, ricordando che In Italia abbiamo sfiorato i 70mila detenuti e non abbiamo abbastanza posti nelle carceri, ma se a questi togli il 40% degli stranieri, avremmo i posti per ospitare tutti i detenuti italiani. Non possiamo pagare la colpa di avere Lampedusa, l’Europa deve farsi carico del problema nella prossima strategia di Stoccolma e rendere effettivi i trattati”. Giustizia: Alfano; il 40% dei detenuti sono stranieri, l’Europa deve farsi carico del problema Italpress, 15 dicembre 2010 “In Italia abbiamo sfiorato i 70mila detenuti e non abbiamo abbastanza posti nelle carceri, ma se a questi togli il 40% degli stranieri, avremmo i posti per ospitare tutti i detenuti italiani. Non possiamo pagare la colpa di avere Lampedusa, l’Europa deve farsi carico del problema nella prossima strategia di Stoccolma e rendere effettivi i trattati”. “Se togliamo dai circa 70 mila detenuti nelle carceri italiane i 24 mila stranieri abbiamo la capienza regolamentare degli istituti, vuol dire che le carceri italiane sono attrezzate per i detenuti italiani”. È per questo, ha detto il ministro delle Giustizia, Angelino Alfano, intervenendo a un seminario della Cisl sull’emergenza carceri, che “l’Europa deve rendere effettivi i trattati tra gli stati”, e far scontare in patria gli anni di pena agli stranieri. “Il detenuto straniero - ha detto il ministro - ha fatto pagare al nostro Paese un costo in termini di sicurezza, di ingolfamento del processo, almeno vitto e alloggio se lo facciano pagare dal proprio Paese”. L’azione del governo per risolvere l’emergenza, ha ricordato Alfano, ha l’obiettivo “di rendere dignitosa la vita dei detenuti e garantire la sicurezza dei cittadini”, quest’ultima emersa come “esigenza nelle ultime elezioni”. In passato, “nei 60 anni precedenti ci sono stati circa 30 provvedimenti di clemenza”, e il risultato non voluto è stato “carceri più vuote e strade meno sicure”. È per questo che il governo non vuole ricorrere a provvedimenti di questo tipo, ha aggiunto, ed “è controinformazione” dire che la legge per la concessioni dei domiciliari per scontare l’ultimo anno di pena “è un indulto mascherato”. “La soluzione all’emergenza carceri - ha concluso Alfano - è realizzarne di nuovi, attraverso un piano straordinario, accelerare i lavori in corso, valorizzare il lavoro negli istituti e le misure alternative”. Giustizia: Ionta (Dap) contro l’emergenza stabilizzare sistema, no misure estemporanee Agi, 15 dicembre 2010 L’emergenza delle carceri “è costante” e può essere superata “non mettendo a punto provvedimenti estemporanei, ma misure che possano stabilizzare il sistema penitenziario”. È il parere del capo dell’amministrazione penitenziaria e commissario straordinario per l’emergenza carceri, Franco Ionta, secondo cui il piano per l’edilizia “comporterà un aumento della ricettività in numero di migliaia” negli istituti di pena. Certo, ha osservato Ionta nel corso di un convegno organizzato dalla Cisl, “in tutte le situazioni si può fare di più ma, a mio parere, in questo momento questo è il massimo che governo e parlamento potessero fare, poiché il piano prevede una copertura finanziaria di quasi 700 milioni di euro”. Il capo del Dap ha anche elogiato la norma, che entrerà in vigore da domani, approvata nelle scorse settimane dal parlamento, con cui si prevede la detenzione domiciliare per chi abbia commesso reati meno gravi e debba scontare una pena residua inferiore a un anno. “È una legge molto saggia - ha rilevato Ionta - C’è chi ha parlato non a ragione di indulto mascherato, di svuota carceri, mentre si tratta di una misura di equilibrio che deflaziona il numero di presenze in carcere e permette di riavvicinare alla società persone che a breve finiranno di scontare la pena”. Giustizia: Ionta (Dap); uscire dall’emergenza? si può fare e lo stiamo facendo Redattore Sociale, 15 dicembre 2010 “Uscire dall’emergenza carcere significa operare una transizione dall’emergenza cronica alla stabilità, non prendendo provvedimenti estemporanei ma lavorando per la stabilizzazione. Si può fare e lo stiamo facendo”. Così Franco Ionta, capo del Dap, nel corso del convegno organizzato dalla Cisl su “Emergenza carceri: provvedimenti straordinari e valorizzazione del personale”. “La dichiarazione dello stato di emergenza - spiega Ionta - è uno dei tasselli: la manovra che comporta un forte aumento delle possibilità di recettività detentiva in numero di migliaia è in forte accelerazione: si poteva certamente fare di più, ma in questa situazione - dice il capo del Dap - lo sforzo di governo e parlamento nell’approvazione del piano edilizio era il massimo che si poteva fare (la copertura finanziaria è di quasi 700 milioni di euro)”. Un altro tassello, dice Ionta, è la legge approvata 15 giorni fa e pronta domani ad entrare in vigore. In particolare il capo del Dap ricorda l’intervento sulla detenzione domiciliare, “norma saggia che è stato faticoso far digerire a molti, che parlavano di indulto mascherato”. “È invece una misura di equilibrio perché rende possibili due finalità:: da un lato deflazionare il carcere e dall’altro consentire il riavvicinamento alla società negli ultimi mesi della pena, con un accompagnamento verso il possibile reinserimento positivo nella società”. Ionta sottolinea l’importanza del ruolo attribuito alla magistratura di sorveglianza, chiamata a decidere sulla pericolosità dei soggetti. Il capo del Dap cita anche la copertura finanziaria data al provvedimento per le assunzioni di circa 2 mila agenti di polizia penitenziaria, previste “nell’arco di qualche mese”: “Non si era mai vista una misura simile, che porterà stabilizzazione nel corso del 2011”. Ma Ionta parla anche della necessità di “far cambiare al’amministrazione penitenziaria i modelli operativi, il modello di approccio”, poiché “non è sufficiente analizzare il problema senza apportare alcun miglioramento”. L’amministrazione, spiega il suo capo, “ha grandi e spiccate professionalità, ma talvolta si trincera dietro il burocratismo: occorre cambiare linguaggio, è una battaglia che combatto da due anni. Dobbiamo cambiare per superare la provvisorietà”. E anche, conclude, per cambiare la percezione della polizia penitenziaria nella popolazione. Un cambiamento dovuto, a vent’anni dalla legge di riforma della polizia penitenziaria. Giustizia: Alfano; il prossimo anno assunzione di 1.850 nuovi agenti penitenziari Redattore Sociale, 15 dicembre 2010 “Quanto siamo riusciti a fare non ha precedenti”. Il ministro al convegno Cisl: “Piano edilizio, la parte burocratica è ormai a conclusione”. “Non voglio fare quello del governo dei record, ma quanto siamo riusciti a fare in questi due anni per le carceri non ha precedenti. C’è ancora molto da fare, ma le critiche che ho ricevuto in Parlamento da una parte e dall’altra confermano il fatto che quanto abbiamo fatto rappresenta il punto di equilibrio al momento possibile”. Lo dice il ministro della Giustizia Alfano intervenendo al convegno della Cisl su “Emergenza carceri: provvedimenti straordinari e valorizzazione del personale”. Alfano passa in rassegna gli interventi finora attuati, dal Piano straordinario edilizio alle misure di accompagnamento, assicurando la massima considerazione e vicinanza ai lavoratori dell’amministrazione penitenziaria e della polizia penitenziaria, ricordando i principi basilari per cui la pena deve avere una funziona rieducativa e non può essere contraria al senso di umanità. Il tutto considerando la necessità di garantire la sicurezza del paese. “Come ministro - dice Alfano - ho rifiutato l’idea dell’amnistia o indulto come mezzo per risolvere il sovraffollamento carcerario, come in media una volta ogni due anni avevano fatto i governi che si sono succeduti dal 1948 al 2008. Abbiamo evitato di svuotare le carceri portando l’insicurezza nelle strade e abbiamo scelto, con l’ultimo provvedimento approvato, la via dei domiciliari per chi è alla fine della pena. Persone che non vanno affatto nelle strade e sulle quali lo stato risparmia vitto e alloggio: lo dico a chi ha parlato di indulto mascherato”. “Un’altra strada è quella della realizzazione di nuove carceri, molte delle quali sono bastioni medievali, con un piano straordinario e la contestuale accelerazione dei cantieri aperti. Da quando sono ministro, in questi due anni e mezzo, abbiamo reso disponibili nelle carceri, attraverso i lavori, circa 2 mila nuovi posti. Lo stesso numero era stato fatto nei dieci anni precedenti, dal 1998 al 2008. Abbiamo fatto in due anni quanto era stato fatto in dieci”. E Alfano sottolinea anche un altro numero: “I sindacati hanno dovuto ammettere che mai a loro memoria c’era stato un concorso in polizia penitenziaria che assumesse in un unico blocco 1850 agenti: e sottolineo che lo stiamo facendo in tempi di crisi, non con la possibilità di finanziarli con il debito pubblico, ad esempio. È un risultato concreto che va considerato: questi posti, della metà dei quali potranno beneficiare chi era in graduatoria da un precedente concorso, saranno assegnati nel corso del 2011”, dice Alfano, che ricorda anche l’accelerazione del processo di formazione dei nuovi assunti. C’è poi la valorizzazione dei lavoratori: Alfano li ringrazia perché “lavorano stando in carcere e senza aver commesso alcun reato”, affrontando “delinquenti veri senza alcuna arma” ed “effettuando lavori delicatissimi senza ricevere alcuna gratifica”. “Per loro non c’è mai il giorno di gloria: è giusto così, ma sappiate che il ministro lo sa e che farò mia la vostra battaglia anche sul versante retributivo”. Per Alfano il lavoro di agenti e funzionari è prezioso perché “è un pezzo del sistema di sicurezza dl paese”. Alfano ricorda di aver chiesto all’Europa di farsi carico della presenza dei detenuti stranieri, molto alti in paesi di frontiera come l’Italia, dove sono oltre un terzo della popolazione carceraria complessiva. Oggi per portare un detenuto a scontare la pena nel proprio paese è necessario il suo consenso, “ma nessuno lo dà, perché anche la peggiore struttura italiana è migliore di quella che troverebbero nei propri paesi”. Sul tema della rieducazione, Alfano ricorda come nel 90% dei casi il detenuto che ha compiuto percorsi di lavoro e formazione in carcere non torna poi a delinquere. “È un tema costoso - dice - ma deve essere percorso anche perché dà vantaggi in termini di sicurezza”. Infine, il Piano edilizio: “La parte burocratica è ormai a conclusione: le procedure sono state fatte a dovere e a breve potranno partire i lavori concreti, realizzando - dice sorridendo - il sogno del ministro di fare le carceri senza finirci dentro per problemi o irregolarità amministrative e burocratiche”. Giustizia: Bonanni (Cisl); nelle carceri situazione di poca civiltà, bene assunzione nuovi agenti Ansa, 15 dicembre 2010 “Nelle carceri italiane c’è una situazione di poca civiltà. Il sovraffollamento e le strutture spesso vetuste e inadeguate rendono poco dignitose le condizioni dei lavoratori e quelle dei detenuti”. Lo ha detto il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, in un convegno sull’emergenza carceri, sottolineando come la “situazione sia complicata dalla presenza di molti immigrati e da storture nel sistema giustizia, perché nelle carceri ci sono troppe persone non giudicate”. Secondo il sindacato è necessario spingere sulle assunzioni, sull’edilizia, sulle misure alternative alla detenzione e su processi più veloci. È indubbio - ha detto nel suo intervento il segretario confederale Cisl, Gianni Baratta - che c’è uno stretto legame tra il sistema giudiziario e quello carcerario, per questo motivo ‘non è più rinviabile in Italia una seria riforma della giustizia, che introduca correttivi per abbreviare i tempi e garantire finalmente il diritto ad un giusto processò. Sottolineando come il nostro Paese sia agli ultimi posti nelle statistiche internazionali per quanto riguarda la durata dei processi, in questo ambito, ha concluso Baratta, la politica non riesce ad elaborare una riforma seria e soprattutto condivisa, che permetta di invertire il trend negativo. Secondo il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, le quasi duemila assunzioni nel settore delle carceri “sono l’elemento della consapevolezza del governo della situazione carceraria. Riuscire a non tagliare dipendenti pubblici e garantire gli stessi stipendi, è stato uno sforzo enorme per il sindacato, negli altri paesi non è stato così”. Anche per Bonanni la via è quella “della spinta all’edilizia carceraria” e quella di “procedere con misure alternative alla detenzione, processi più veloci, valorizzando la specificità dei lavoratori”. Le assunzioni di 1.850 nuovi agenti di polizia penitenziaria “sono un fatto prodigioso, con cui si riconosce l’esistenza di un’emergenza carceri”. Sul piano per l’edilizia “vedremo come procederà la situazione - ha rilevato Bonanni - Chiediamo al governo di trovare soluzioni che non compromettano la sicurezza pubblica”. Il sindacalista ha sottolineato l’importanza che la polizia penitenziaria “non abbia trattamenti diversi rispetto alle altre forze di polizia. Oggi c’è uno sbalzo vistoso tra queste”. Giustizia: Baratta (Cisl): che senso ha avuto proclamare stato emergenza delle carceri? Redattore Sociale, 15 dicembre 2010 “Un anno e mezzo dopo ancora non sono stati concretamente attuati i provvedimenti necessari per risolvere tale problema”. Il segretario Bonanni: “Fatto prodigioso riuscire a ottenere quasi 2 mila nuove assunzioni nella polizia penitenziaria”. “È stato un fatto prodigioso riuscire a ottenere quasi 2 mila nuove assunzioni nella polizia penitenziaria quando altrove in altri comparti si è combattuto per mantenere stabili stipendi e posti di lavoro: ciò conferma la consapevolezza, anche della politica, della serietà della situazione delle carceri. Lo dice il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni nel corso del convegno organizzato dal suo sindacato su “Emergenza carceri: provvedimenti straordinari e valorizzazione del personale”. “Al tempo stesso - continua - auspichiamo celerità nell’attuazione dei provvedimenti decisi, processi più veloci, valorizzare la professionalità dei lavoratori”. Su quest’ultimo punto, in particolare, Bonanni precisa: “Non capiamo davvero perché gli amici che lavorano nelle carceri devono avere un trattamento diverso da quello delle altre polizie, a maggior ragione se consideriamo il fatto che tutti riconosciamo che si trovano a lavorare in condizioni più disagiate. Su questo chiediamo l’aiuto del ministro”. Il convegno Cisl, alla presenza del capo del Dap Ionta e del ministro della giustizia Alfano, affronta la situazione delle carceri da molti punti di vista. “Che senso ha avuto - si domanda il segretario confederale Gianni Baratta - dichiarare lo stato di emergenza nelle carceri se poi un anno e mezzo dopo ancora non sono stati concretamente attuati i provvedimenti necessari per risolvere tale problema?”. Baratta ripercorre la situazione attuale delle carceri: oltre 69 mila detenuti, dei quali solo 37 mila sono condannati in via definitiva: 15 mila sono infatti in attesa di giudizio, 8 mila sono appellanti, 5 mila sono ricorrenti, il che porta la percentuale degli imputati sul totale dei detenuti al 40% circa, “fatto unico in Europa”. “I numeri dicono che quasi 50 mila detenuti su 69 mila, considerando anche coloro per i quali la pena residua è inferiore ai tre anni - potrebbero essere interessati a provvedimenti alternativi della pena: potrebbe essere questo un primo aspetto sul quale puntare di fronte all’emergenza”. “Non proponiamo di far uscire tutti dal carcere, ma dosare le possibilità consentite dal sistema per riportare la situazione alla normalità”. Da questo punto di vista viene sollecitata una riflessione anche sulla presenza dei tossicodipendenti (lo è circa un detenuto su quattro) e degli stranieri (il 37% del totale). Per la Cisl finora quanto messo in campo è insufficiente, anche se la speranza è quella di una pronta attuazione delle misure più volte annunciate, ad iniziare dall’assunzione dei 2 mila agenti della polizia penitenziaria, anche per ovviare alla “situazione cronica di sotto organico”. Occorre altresì accelerare le procedure e attuare al più presto il piano di edilizia penitenziaria per aumentare la capienza. Ma, viene ribadito dal sindacato, non è più rinviabile l’utilizzo di pene detentive alternative. Senza dimenticare l’investimento dovuto per operatori e assistenti sociali, oggi presenti nella misura di uno ogni 60 detenuti. Se il ministro Alfano, insieme a Maroni e La Russa - dice il segretario generale Fns Cisl Pompeo Mannone - fanno presente la necessità di attuare alcuni provvedimenti non rinviabili, perché c’è sempre lo stop di Tremonti? I tagli lineari non sono una strada giusta, non è la via migliore”. Giustizia: Sbriglia (Sidipe); riforma 1990 è morta, non parteciperemo a Commemorazione 20 anni Ansa, 15 dicembre 2010 Per il segretario nazionale del Sindacato dei Direttori e Dirigenti Penitenziari (Sidipe), Enrico Sbriglia “la riforma del 1990 è morta, uccisa da quanti l’hanno mortificata giorno dopo giorno”. Lo afferma oggi, in una nota diffusa a Trieste, annunciando che il sindacato non prenderà parte alla cerimonia prevista oggi a Roma per il ventennale della riforma dell’amministrazione penitenziaria del 1990, che definisce “una triste commemorazione della Legge 395/90”. La Riforma del 1990, seppure intitolata al Corpo della Polizia Penitenziaria - prosegue Sbriglia - intendeva realizzare la trasformazione di un’amministrazione ferma a un modello militare di organizzazione a uno nuovo, di competenze e responsabilità plurali. La Polizia Penitenziaria doveva essere un Corpo speciale, le carceri dovevano essere luoghi aperti, dignitosi, di eccellenza. Oggi invece assistiamo all’impoverimento quotidiano degli organici. Nelle assunzioni di poliziotti penitenziari si preferiscono ex militari di ferma breve. Sono mesi che risultano assenti le relazioni sindacali con le organizzazioni sindacali dei direttori penitenziari, avendo ormai il Ministro esaurito, almeno a fronte delle nostre reiterate istanze di attenzione e rispetto verso la categoria, le sue sterili rassicurazioni. Per queste ragioni - conclude - non parteciperemo alla Commemorazione”. Comunicato stampa: perché il sindacato dei dirigenti e direttori penitenziari non parteciperà alla ricorrenza dei 20 anni della riforma del corpo della polizia penitenziaria. Il Si.Di.Pe. (Sindacato dei Direttori e Dirigenti Penitenziari), per dissenso nei confronti delle politiche di governo verso il personale penitenziario, non parteciperà alla cerimonia in Roma, presso l’Aula Magna della Scuola di Formazione dell’Amm.ne Penitenziaria, di Via Brava, prevista per domani, 15 dicembre, in occasione del ventennale della riforma dell’amministrazione penitenziaria del 1990, in quanto ritiene la stessa una triste “commemorazione” della Legge 395/90. Per il Si.Di.Pe. la Riforma del 1990 è morta, uccisa da quanti l’hanno mortificata giorno dopo giorno, rendendo la realtà attuale dominata da “Principi” e “grands commis” e dal loro mediocre “burocratismo”, allontanandola dai valori e dagli ideali di rispetto dei diritti dell’uomo, di legalità, di riconoscimento della dignità tanto degli operatori penitenziari quanto delle persone detenute. La Riforma del 90, seppure intitolata al Corpo della Polizia Penitenziaria, intendeva realizzare la trasformazione di una amministrazione ferma ad un modello militare di organizzazione ad uno nuovo, di competenze e responsabilità plurali, attraverso una continua osmosi di esperienze e di leale e necessaria collaborazione interprofessionale che vedeva insieme, e non contrapposte, le diverse figure di operatori penitenziari, sia che fossero caratterizzate dai compiti di sicurezza “tradizionale” che da quelli della più complessa e nobile sicurezza “trattamentale”, attraverso l’osservazione delle personalità dei detenuti, il trattamento individualizzato, il dialogo con il mondo “esterno”, l’osmosi continua tra il dentro ed il fuori. La Riforma, preceduta da innumerevoli momenti esaltanti di confronto tra gli operatori penitenziari, senza distinzione di ruoli, favoriti dalla figura lungimirante dell’allora amministrazione, il Direttore Generale dr. Nicolò Amato. Educatori, assistenti sociali, comandanti, direttori penitenziari e di Cssa, ragionieri, coadiutori, medici, etc., furono insieme coinvolti in incontri, in lavori di gruppo, nell’offrire il loro punto di vista, le loro esperienze, le loro storie professionali per la nascita di un modello organizzativo “circolare” rispetto a quello tradizionale e gerarchico che discendeva da un sistema profondamente ancorato ad un superato modello militare di organizzazione che poggiava sul Corpo militarizzato degli Agenti di Custodia. In quella esaltante primavera di riforma, il Direttore Generale Nicolò Amato, in prima persona, lottò, combatté, impose idee e principi nuovi, coinvolse realmente ogni operatore penitenziario, ottenne risposte importanti, anche sul piano normativo, dalla politica. Egli conosceva personalmente tutti i direttori penitenziari. La Polizia Penitenziaria doveva essere un Corpo “speciale”, diverso dai modelli “tradizionali” delle forze dell’ordine, con particolare capacità di partecipazione alle attività trattamentali, partner fondamentale e necessario nei processi di osservazione. Le carceri dovevano essere luoghi “aperti”, dignitosi, di eccellenza. Il Personale tutto doveva essere motivato, orientato, valorizzato. Nei pubblici dibattiti anche televisivi dove si affrontavano i temi della giustizia e della pena, il Capo dell’amministrazione penitenziaria, con coraggio e convinzione, anche a dispetto di pressioni politiche, sosteneva le ragioni della Riforma dell’amm.ne, così come quella dell’ordinamento penitenziario e dei suoi principi, da difendere ed amplificare. Ci fu davvero, nel giro di pochi anni, nonostante le crisi politiche ed economiche, il terrorismo, le criminalità organizzate, una profonda modernizzazione dell’amministrazione, ci furono significative immissione di personale penitenziario di tutti i ruoli, ci fu effettivo interesse istituzionale nel rendere civile ed umano il sistema. Non si volevano le carceri italiane simili a quelle delle dittature: si volevano carceri della speranza. Famosa la frase di Nicolò Amato, privilegiare “la forza della persuasione” alla “persuasione della forza” per governare le carceri. Oggi, invece, assistiamo all’impoverimento quotidiano degli organici, da oltre 15 anni non si fanno concorsi per direttori, i vincitori e gli idonei dei concorsi per educatori e per altre figure professionali sono costretti a lunghi anni di proteste e mortificazioni, di ricorsi, per essere assunti; a dispetto della dimensione di organizzazione “civile” delle carceri, nelle assunzioni di poliziotti penitenziari si preferiscono ex militari di ferma breve, semmai bravissimi paracadutisti e carristi, semmai ottimi tiratori scelti e sminatori, piuttosto che ingaggiare del personale fornito di titoli di studio specialistici e coerenti con il lavoro penitenziario, favorendo soprattutto quanti abbiano titoli di maggior rilievo (giurisprudenza, psicologia, sociologia, master in criminologia, conoscenze linguistiche ed interculturali, etc.), anche a fronte della crisi del mercato del lavoro che consentirebbe di “pescare” all’interno di una offerta di lavoro fortemente scolarizzata e motivata. Celebrare cosa ? sono mesi che risultano assenti le relazioni sindacali con le organizzazioni sindacali dei direttori penitenziari, avendo ormai il Ministro esaurito, almeno a fronte delle nostre reiterate istanze di attenzione e rispetto verso la categoria, le sue sterili rassicurazioni. Per queste ragioni, senza neanche soffermarci sull’indegno trattamento riservato a noi direttori penitenziari, privi di contratto da oltre 5 anni, non parteciperemo alla commemorazione. Il Segretario Nazionale dr. Enrico Sbriglia Giustizia: Sappe ad Alfano; non più rinviabile confronto su riforma Polizia penitenziaria Adnkronos, 15 dicembre 2010 Non è “più rinviabile un confronto con il Ministro della Giustizia Angelino Alfano, per una riforma della polizia penitenziaria, indispensabile al riassetto gerarchico e funzionale del Corpo, le cui attività vanno svincolate da farraginosi passaggi burocratici”. Lo afferma il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, Donato Capece, in occasione, oggi, della celebrazione dei 20 anni dall’approvazione della Legge che ha istituito il Corpo di Polizia Penitenziaria, la n. 395 del 1990. “Tanto è stato fatto da allora - dice Capece - per accrescere la professionalità delle donne e degli uomini della Quarta Forza di Polizia del Paese, molto resta ancora da fare”. Il leader del Sappe punta su un aspetto fondamentale: “Non si può fare sicurezza” prosegue Capece “senza un’adeguata formazione ed aggiornamento professionale: e quella che attualmente ci propina la Direzione Generale del Personale e della Formazione del Dap è vecchia di trent’anni ed è abbondantemente superata. Vi è quindi l’indifferibile necessità di elevare la funzionalità del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, dotandolo di strumenti organizzativi che lo rendano efficiente e in grado di garantire una razionale distribuzione delle risorse di cui dispone”. Questo obiettivo, conclude Capece, “non può prescindere da una più adeguata organizzazione del Corpo di Polizia penitenziaria e per questo un confronto con il Ministro Guardasigilli, dal quale il Corpo dipende, è tanto più necessario. Occorre garantire la piena funzionalità della Polizia penitenziaria, con l’istituzione della Direzione generale del Corpo, in seno al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, per raggruppare tutte le attività ed i servizi demandati alla quarta Forza di Polizia del Paese”. Giustizia: Ferrante (Pd); morte senegalese asmatico in cella a Brescia indegna di paese civile Ansa, 15 dicembre 2010 “Rinchiudere una persona malata d’asma in una cella gelida solo perché sprovvista del permesso di soggiorno è il risultato indecente del combinato disposto della legge Bossi - Fini e il pacchetto sicurezza, che rendono reato il solo fatto di esistere. Il caso drammatico del cittadino senegalese Alhdy Saidou Gadiaga morto in una cella di sicurezza della caserma dei carabinieri di Brescia in una situazione tutta da chiarire è indegna di un Paese civile, che richiede un’indagine approfondita”. Lo dichiara il senatore del Pd Francesco Ferrante, che ha presentato in merito un’interrogazione parlamentare al Presidente del Consiglio. “Alhdy Saidou Gadiaga, in Italia da 15 anni, è stato fermato mentre circolava tranquillamente per le strade di Brescia alla vigilia di una manifestazione di solidarietà per coloro che hanno protestato in cima ad una gru. In ottemperanza alla legge Bossi/Fini e al pacchetto sicurezza - continua Ferrante - è stato rinchiuso per 36 ore in cella,dove la temperatura era di circa 5°, perché non avendo più il permesso di soggiorno in seguito alla perdita del posto di lavoro. Tutto ciò è avvenuto sebbene un certificato medico italiano comprovasse che fosse malato cronico di asma, ed è morto dopo solo quaranta minuti la chiamata di un’ambulanza”. “Si tratta di una vicenda - conclude Ferrante - che unisce all’indignazione per una legge che ha ormai scatenato una vergognosa caccia al negro gli interrogativi gravi sulla condotta di chi aveva in custodia il cittadino senegalese”. Lettere: nella vecchia galera di Rovereto ci sono solo 40 posti, ma noi siamo 130 detenuti! www.radiocarcere.com, 15 dicembre 2010 Cara Radiocarcere, anche nel piccolo e dimenticato carcere di Rovereto viviamo ammassati come sardine in scatola, dentro le nostre celle. Infatti la vecchia galera di Rovereto, oltre ad essere fatiscente e rovinata, potrebbe ospitare solo una quarantina di detenuti, mentre noi oggi siamo ben 132, ovvero 103 uomini e 29 donne. Numeri del sovraffollamento che c’è qui nel carcere di Rovereto che dicono tanto di come siamo costretti a vivere. Inoltre considera che il carcere di Rovereto altro non è che un edificio risalente al periodo austriaco, nata come caserma e poi trasformata in galera. Le celle sono tutte, non solo sovraffollate, ma anche molto vecchie e rovinate, tanto che i nostri bagni altro non sono che un piccolo spazio di appena un metro quadro, un metro quadro di bagno dove c’è solo lo spazio per un water e un lavandino. Basti pensare che siamo costretti a lavarci scalando l’acqua in cella con delle pentole in quanto qui ci sono solo 5 docce su 130 detenuti e l’acqua calda finisce dopo pochissimi minuti. Ma sappiamo bene che, nonostante questa situazione e il degrado presente nelle altre carceri italiane, il ministro Alfano continua a ripetere Abbiamo seminato bene! Già hanno proprio seminato bene tanto che siamo arrivati a quota 70 mila detenuti, altro che decreto svuota carceri! Resta il fatto che, per come la viviamo qui nel carcere di Rovereto, la detenzione oggi non è rieducazione e reinserimento, ma è tortura e contribuisce ad incattivire il detenuto. Ti chiediamo l’anonimato, perché temiamo delle ritorsioni e le torture che dobbiamo subire già ora ci sembrano abbastanza. Un gruppo di detenuti del carcere di Rovereto Bari: progetto rivolto alle detenute per informazione e diagnosi precoce del tumore del seno Gazzetta del Sud, 15 dicembre 2010 Un percorso di informazione e diagnosi precoce del tumore del seno riservato alla popolazione femminile detenuta nelle carceri pugliesi. Giovedì 16 dicembre, alle 18, a Palazzo di Città, su iniziativa del Comitato regionale Puglia della Susan G. Komen Italia per la lotta ai tumori del seno, sarà presentato il progetto “Donna... oltre”. L’iniziativa, che gode del patrocinio del Comune di Bari e della Regione Puglia, consentirà di aprire al mondo femminile dietro le sbarre, attraverso momenti di educazione sanitaria e di prevenzione secondaria, finestre che sembravano chiuse, dalle quali sarà possibile vedere nuovi orizzonti. Su tutti quello della diagnosi precoce del tumore mammario, una tappa fondamentale, che può salvare molte vite “perché la prevenzione deve diventare un diritto per tutti ed in ogni ambito... anche nelle carceri”. All’incontro di presentazione di “Donna... oltre”, che sarà introdotto dal capo di gabinetto del Comune di Bari Antonella Rinella, interverranno Vincenzio Lattanzio, presidente del Comitato regionale Puglia della Susan G. Komen Italia, Tommaso Fiore, assessore alle Politiche della salute della Regione Puglia, Vitangelo Dattoli, direttore generale Ao Policlinico di Bari, Maria Carmela Linsalata responsabile settore Trattamento e Lavoro del Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Luciana Delledonne, ambasciatore delle Imprenditrici pugliesi in Europa Ceo Madeincarcere e Gennaro Palmiotti, assessore comunale e oncologo referente del progetto “Bari contro il cancro”. Pordenone: il progetto del nuovo carcere nel limbo della crisi di governo Messaggero Veneto, 15 dicembre 2010 L’avvio del dibattito in aula sulla Finanziaria regionale coincide con il voto di fiducia al Governo alla Camera. Due fronti sull’asse Roma-Trieste destinati a condizionare importanti vicende amministrative nel Friuli occidentale. Una eventuale caduta del Governo riporterebbe nel limbo in primo luogo la questione del carcere. Nella seduta dell’8 novembre scorso la giunta Tondo ha approvato l’atto di generalità che disciplina l’intesa con Stato ed enti locali per la nuova struttura. Nel testo si precisa che l’area individuata è quella della Comina e che in cambio dell’impegno di 20 milioni di euro tra Regione, Provincia e Comune, ci dovrà essere il trasferimento della proprietà del Castello di piazza della Motta, che attualmente ospita il penitenziario, agli Enti locali. La bozza di intesa allegata alla generalità è l’accordo che verrà siglato tra il commissario per l’emergenza carceri, Franco Ionta, e il presidente della Regione, Renzo Tondo. Si stabilisce, per l’appunto, che il carcere verrà realizzato in Comina, nella stessa area individuata dalla commissione costituita ai sensi dell’articolo 6 della legge 1133 del ‘71. Il finanziamento da 20 milioni di euro verrà individuato in un successivo accordo a condizione che il vecchio istituto penitenziario sia volturato agli enti territoriali che lo destineranno a uso pubblico e che tale cifra non sia inferiore alla stima dell’immobile che ne farà il Demanio. È probabile che lo stanziamento, quindi, avvenga in variazione di bilancio nel 2011. Altro tema caldo è quello dei fondi per ristorare i danni dell’alluvione e realizzare le opere di messa in sicurezza del territorio. Nei giorni scorsi c’è stato un pressing nei confronti del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, affinché siamo ripristinati i fondi dei capitoli destinati alle Protezioni civile della Regione. Somme indispensabili per avviare gli interventi più urgenti e dare una speranza di risarcimento a chi ha subito le conseguenze del maltempo. Anche in questo caso, però, le vicende politiche nazionali potrebbero rinviare ogni decisione. Ragusa: l’Ausl non rinnova la convenzione per i servizi infermieristici in carcere La Sicilia, 15 dicembre 2010 L’Ausl di Ragusa non rinnoverà per il 2011 la convenzione con l’Istituto Penitenziario di Modica Alta per l’assistenza infermieristica ai detenuti. Praticamente la direzione del carcere di Piazza Gesù dovrà ripiegare sulle professionalità esterne. Si tratta di convenzioni a termine che da circa ventitré anni vengono stipulate annualmente tra l’azienda sanitaria e la direzione penitenziaria e che quest’anno, sulla scorta delle nuove normative e dei tagli alla sanità, il direttore generale dell’Asp Ragusa, Ettore Gilotta, non ha inteso reiterare. La vicenda, ovviamente, va di pari passo con il carcere di Ragusa. “Dovremo ricorrere - spiega la direttrice, Giovanna Maltese - agli esterni che faranno domanda. È chiaro che la nostra preoccupazione riguarda la sicurezza. Da anni hanno lavorato con noi infermieri inviati dall’Ausl 7, oggi Asp, che oramai hanno acquisito dimestichezza con il nostro personale e con i detenuti, per cui ritengo che ci saranno dei problemi. Abbiamo sollecitato la convenzione ma ci ha stato comunicato che da quest’anno non sarà siglata”. Senza nulla togliere a quegli infermieri che saranno avviati a tale compito, è ovvio che l’esperienza in questo settore è fondamentale. “L’Asp ci ha avvisati che non saranno più autorizzati propri dipendenti - aggiunge la direttrice - poiché il monte ore possibile è largamente superiore a quello disponibile. Si tenga conto che le ore concesse agli infermieri durante l’arco di un anno veniva consumato in appena due mesi”. Dopo 23 anni e 4 diverse amministrazioni sanitarie, le due carceri iblee dovranno cercare altrove l’assistenza sanitaria. Anche i medici vi operano dovranno adattarsi ai nuovi infermieri perché verranno meno le competenze e la professionalità acquisiti negli anni, mancheranno la praticità e la sinergia con cui gli infermieri andavano pari passo con la polizia penitenziaria e nei primi tempi le difficoltà riguarderanno anche la fiducia che i nuovi dovranno acquisire. Padova: la Regione ha tagliato i fondi, niente teatro in carcere Il Gazzettino, 15 dicembre 2010 Laboratori, spettacoli, incontri: è dal 1992 che il Tam, prima con Michele Sambin e Pierangela Allegro e dal 2004 con Cinzia Zanellato e Andrea Pennacchi, porta il teatro dentro il Due Palazzi coinvolgendo in prima persona i detenuti. Un’opportunità straordinaria di rieducazione contro una pena ridotta ad inutile, se non dannosa, reclusione e repressione. Quest’anno il corso, che si svolge da ottobre a giugno, non è partito. La Regione non ha ancora stanziato i fondi necessari. “Il teatro aiuta ad uscire da una doppia condizione di isolamento, per chi non solo è recluso ma è anche straniero, lontano dalla famiglia, da casa - spiega la Zanellato - il contatto con i partecipanti dall’esterno, giovani e non, abbatte i pregiudizi da ambo le parti e le differenze di età, nazionalità, condizione sociale”. Una quarantina i detenuti iscritti al laboratorio del Tam, arricchito da incontri con attori già affermati come Tiziano Scarpa, Vasco Mirandola, Giuliana Musso, e con l’Università. E ogni due anni gli attori del Due Palazzi mettono in scena uno spettacolo. “Per noi è vitale sentire che siamo nei pensieri di qualcuno, che non siamo abbandonati qui al buio”, confessa Mohamed, 41 anni, dal Marocco. “Il teatro ci spinge a metterci alla prova - aggiunge Giovanni, dalla Calabria - quand’è giorno di prove per noi è una festa, rompe una monotonia resa ancora più dura dal sovraffollamento, visto che al Due Palazzi vivono quasi 900 persone contro le 350 previste”. All’inizio ero scettico, mi sembravano sciocchezze da bambini - racconta Sam, dalla Nigeria - ma poi, piano piano, la mia vita è cambiata, mi sono ricaricato, ho di nuovo la speranza”. “Vivere in carcere ti costringe a rinchiuderti, ad avere solo relazioni di buon vicinato con gli altri, mentre ti senti sempre più inadeguato - dice Luca, 36 anni, dalla Sardegna - il teatro mi ha aiutato a contrastare una sorta di autocensura che mi bloccava”. Un arricchimento che contagia anche gli allievi attori del Tam. “Sembrerà paradossale ma quando sono dietro le sbarre mi sento libera - dice Maria, ex insegnante di lettere al liceo - siamo tutti uguali nella diversità”. “Fuori ci si perde in mille cose - conferma Filippo - qui le emozioni, i ricordi hanno un’energia incredibile, che non va repressa”. Parlano i detenuti-attori: il teatro è libertà, non toglietecelo (Il Mattino di Padova) Niente più laboratori teatrali nella casa di reclusione Due Palazzi, dove 830 persone con pene definitive si accalcano in celle pensate per ospitarne 350. Ma anche dove i muri dei corridoi sono una fantasmagoria di murales dipinti dai detenuti, dove c’è uno spazio-studio per chi frequenta l’università, dove c’è la redazione della rivista Ristretti Orizzonti; dove insegnanti fanno scuola: medie e ragioneria (quest’ultimo corso traballante sotto la scure della legge Gelmini). Dove la cooperativa Giotto di Comunione e Liberazione ha formato un tot detenuti-pasticce-ri che lavorano come matti in 14 alla volta dentro una cucina di 30 metri quadrati, sfornano panettoni in vendita a 30 euro l’uno e non stanno dietro alle ordinazioni. Niente più teatro perché la Regione ci ha dato un taglio, uno dei tanti: non pubblica più il bando e pare demandi agli enti locali la faccenda. Non serve molto, un finanziamento di 9 mila euro l’anno, il patrocinio e soprattutto la volontà. Ma per ora tutto è fermo, congelato come la speranza della quarantina di detenuti-attori che, ogni martedì e mercoledì dalle 9 alle 11, si buttavano con trasporto e coinvolgimento dentro quella luce. Pare un’immagine retorica, ma non lo è. Tam Teatromusica è dal 1992 che opera al Due Palazzi con i laboratori ma anche portando in carcere personaggi della cultura, prima con gli “storici” Michele Sambin e Mariangela Allegro, dal 2004 con gli appassionati Cinzia Znellato e Andrea Pennacchi assieme a una quindicina di attori volontari di età varie e uguale entusiasmo. Dall’insegnante di latino al Tito Livio, in pensione, che in scena raccoglie sotto ali di fantasia, e stringe a sé, l’africano Sam, il tunisino Mohamed, l’italiano Luca, tutti distanti decenni dalla fine pena; fino al giovane Filippo, educatore di professione, colpito al cuore “dalla capacità che hanno i detenuti di raccontarsi: qui siamo tutti sullo stesso piano, si lavora sui ricordi, le esperienze. E qui ogni movimento dell’anima è amplificato, risuona come un tamburo”. Insieme hanno prodotto spettacoli, li hanno portati in giro assieme ai detenuti che potevano accedere ai permessi, rappresentati in carcere, alle scuole. E, dal tutto, è anche nato un detenuto-attore semi professionista: Farid, 41 anni, algerino, protagonista con Andrea Pennacchi della pièce “Annibale non l’ha mai fatto” sul tema della migrazione che è stato presentato a festival e sarà in febbraio alle Maddalene per le scuole. Farid si presenta: “Vivo e penso positivo” il che, considerata la situazione, non è da poco. E poi parte: “Fin da piccolo mi piacevano gli spettacoli: scappavo da scuola, mettevo i libri tra i rami di un albero e andavo a guardare il cinema di nascosto. E poi mio papà era un grande raccontatore. Qui per due anni ho sbirciato quello che succedeva durante i laboratori teatrali, restando fuori dalla porta. Poi ho fatto la domandina (in carcere sono tutte “domandine”) e ho cominciato anch’io. Da un filo abbiamo costruito una rete di cultura e persone, e ancora si può allargare. Impari sempre, dalla culla alla tomba, diciamo al Paese mio. Speriamo tutti che gruppo torni, è talmente importante: ci ha anche fatti conoscere tra di noi, è uno scambio, come fosse un suk”. Sono una quindicina i detenuti-attori, raccolti assieme a Cinzia Zanellato e una decina di volontari del Tarn, nella sala teatro del Due Palazzi, dove si tenevano i laboratori e gli spettacoli. Raccontano tutti la stessa storia, per ognuno diversa, ovvero di come quei due giorni di teatro assieme ad esterni, attesi per tutta la settimana, riescano a cambiare la vita in carcere, ad aprire cuore e testa. E tutti chiedono: non toglietecela, questa risorsa. Per favore. Lo spiega bene Giovanni, 55 anni, in carcere per reati finanziari: “Il teatro serve a recuperare l’elasticità che qui si perde: ti senti sempre più impacciato; è tutto ristretto, anche la testa diventa ristretta. E poi la rieducazione passa solo per l’attività”, conclude e scappa via, che è uno dei fortunati che lavora in carcere. È Mohamed, 41 anni, a continuare: “Sono contento della vostra presenza qui (dice rivolto ai teatranti esterni e ai giornalisti arrivati per la singolare conferenza stampa), vuol dire che siamo nei pensieri di qualcuno”. È la peggiore delle condanne il senso di abbandono, di isolamento, di straniamento anche da se stessi, che nel caso degli stranieri è totale: soli, senza nessuno fuori che manco i permessi ottengono per mancanza di appoggio esterno. “Mi ha fatto ringiovanire di 20 anni il teatro - racconta Giovanni, 52 anni, andazzo da buona forchetta e saporite battute - Sono un irriducibile di questo “reato” nuovo, non è ancora nel codice penale ma lo metteranno!”. E conclude: “Se butti un litro d’acqua in mare, non si nota. Ma se lo butti in un pezzetto di terra secca e lì c’è un seme, lo vedi nascere. Questo è il gesto di Cinzia, Andrea e del Tam qui con noi. Mi manca molto il teatro, lo dico con rammarico ed emozione”. Parlano gli attori esterni (Giulia: “Qui si vive del presente, non ci si sente giudicati”; Cinzia, la coordinatrice: “Vivono compressi ma hanno una capacità di tolleranza e convivenza tra persone di diverse nazionalità, stupefacenti. Tra tutti noi si è creata una relazione di condivisione e conoscenza, e avere un ponte con l’esterno per i detenuti è vitale”). E continuano gli attori di stanza al Due Palazzi: “Pensare al teatro per me vuol dire libertà”, sintetico ed efficace Ferchichi, 30 anni, tunisino. “Quando sono entrato in carcere ero svuotato, ogni mattina pregavo Dio: aiutami - racconta Sam Brown, nigeriano, viso intenso e voce fatta per cantare - Poi ho fatto la domandina per l’attività e ho cominciato. Il primo giorno mi pareva un gioco da bambini, ridicolo. Poi, pian piano, ho visto la mia vita cambiare, mi sono ricaricato. Ho speranza che qualcuno ci aiuti a continuare”. “Io vivevo per conto mio, chiuso nel mio sentirmi inadeguato - interviene Luca, 36 anni, sardo, elegante ed aitante - Poi fare teatro, imparare ad esprimermi mi ha portato a fare cose che mai avrei pensato: addirittura recitare una parte da solo. Un amico che è in carcere in Sardegna mi ha detto: anche se qui avresti la famiglia vicino, stai a Padova, dove puoi fare delle attività. Qui vivresti sospeso, alienato, solo in attesa del fine pena. Ed è la morte”. Messina: alla Casa circondariale di Gazzi Polizia penitenziaria in stato di agitazione La Sicilia, 15 dicembre 2010 Le Segreterie provinciali di Messina di Sappe, Osapp, Siappe, Uil penitenziari, Cisl, Uil, Ugl e Cnpp hanno proclamato lo stato di agitazione del personale di Polizia penitenziaria della locale Casa circondariale e organizzato per domani mattina un sit-in davanti al carcere per protestare contro “l’inerzia dell’Amministrazione centrale nel risolvere le problematiche che ormai stanno riducendo al collasso l’intero sistema penitenziario” della struttura. “La protesta avrà fine - sottolineano - solo ed esclusivamente dopo un intervento serio e duraturo da parte dell’Amministrazione centrale, con un intervento diretto del Capo del Dipartimento, Franco Ionta e del ministro della Giustizia, Angelino Alfano”. I sindacati denunciano “carenze di organico, turni e orari di servizio insostenibili, condizioni igienico-sanitarie dovute all’eccessiva presenza di detenuti” e annunciano che “in mancanza di segnali positivi” il personale manifesterà davanti al carcere e attuerà un sit-in al Palazzo di Giustizia e alla Prefettura. Le organizzazioni sindacali di categoria aggiungono che “qualora la protesta non dovese avere i risultati sperati” organizzerà manifestazioni di protesta ad oltranza come l’auto consegna in caserma dopo lo svolgimento del servizio, lo sciopero della fame e il rifiuto del prolungamento del turno ordinario. Genova: oggi convegno su “Carcere e città”, la Polizia penitenziaria protesta per mancato invito Apcom, 15 dicembre 2010 Oggi dalle ore 16.30 nella Salone di Rappresentanza di Palazzo Tursi il sindaco Marta Vincenzi e l’assessore alle Politiche Sociali Roberta Papi interverranno al convegno “Carcere e Città: quale patto di responsabilità”. Al convegno prenderanno parte anche Luigi Manconi presidente di “A buon diritto”, Giovanni Salamone provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Liguria e Stefania Tallei responsabile nazionale interventi in carcere della Comunità di Sant’Egidio. Sono previsti interventi di Milò Bertolotto assessore alle Carceri della Provincia di Genova, Salvatore Mazzeo direttore della Casa Circondariale di Marassi, Maria Milano direttrice della Casa Circondariale di Pontedecimo, Gabriele Sorrenti presidente della conferenza regionale Volontariato Giustizia Liguria, Daniela Dall’Agata direttrice del Dipartimento cure primarie e attività distrettuali, Enzo Paradiso criminologo e Bruno Mellano coordinatore di “Ferragosto in carcere”. Maria Rosa Biggi, consigliere del Comune di Genova, illustra così l’appuntamento: “Il convegno, anche per una mancata applicazione delle leggi in vigore, si propone di denunciare la fase di emergenza delle carceri della città. Si tratta di una situazione dovuta sia al sovraffollamento, considerato dal comitato contro la tortura del consiglio d’Europa “un trattamento inumano e degradante”, sia alla mancanza di investimenti per percorsi di recupero dei detenuti e per il loro reinserimento sociale e lavorativo. Il carcere rischia quindi di diventare sempre più una discarica sociale di tutti quei disagi, dai tossicodipendenti agli immigrati, ai malati fisici e psichici, a cui la società e le istituzioni non riescono a dare una risposta. Il convegno intende avviare un percorso di collaborazione tra città e carcere per dare risposte concrete alle possibilità di recupero e di riscatto che ogni persona ha”. La protesta del Sappe “Trovo quantomeno singolare che il Comune di Genova non abbia ritenuto opportuno invitare il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, al convegno che si terrà questo pomeriggio nel Salone di Rappresentanza di Palazzo Tursi. Avremmo sicuramente potuto fornire il nostro contributo, come rappresentati delle donne e degli uomini che tutti i giorni stanno a contatto con i detenuti 24 ore su 24, al tema in discussione, e cioè un eventuale patto di responsabilità tra carcere e città. Questa insensibilità istituzionale mi sembra tanto più grave se capita proprio oggi, 15 dicembre, giorno in cui ricorrono vent’anni dall’istituzione del Corpo di Polizia Penitenziaria ed evidenzia tutte le contraddizioni di una classe politica che dice di interessarsi alla situazione penitenziaria genovese ma poi di fatto dimentica colpevolmente le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria che lavorano quotidianamente in prima linea nelle carceri genovesi con mille difficoltà e gravemente sotto organico”. E’ il commento di Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione dei Baschi Azzurri, commentando il convegno che si terrà questo pomeriggio a Genova. “I Baschi Azzurri della Penitenziaria che lavorano a Marassi e Pontedecimo non possono e non devono essere considerati dei corpi estranei nel territorio cittadino ed alle sue istituzioni. L’attuale sovraffollamento è causa ed effetto di molti problemi e tensioni ma costringe principalmente a stressanti e gravose condizioni di lavoro l’encomiabile personale di Polizia penitenziaria, come dimostrano ad esempio la cinquantina di atti di autolesionismo posti in essere a Marassi dai detenuti (per il 90% stranieri), rispetto ai quali con sprezzo del pericoloso ed altissimo senso del dovere sono intervenuti gli Agenti; i quaranta casi di danneggiamento di beni dell’Amministrazione da parte di alcuni ristretti particolarmente aggressivi; le gravi ed inaccettabili aggressioni – 15 in un anno! – agli Agenti di Polizia Penitenziaria in servizio a Marassi. Nonostante tutto questo, il Comune di Genova organizza Convegni sul carcere ma si dimentica di invitare il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe. Bella sensibilità…”. Cgil: singolare convegno senza poliziotti Presso il Salone di Rappresentanza di Palazzo Tursi a Genova, domani 15 dicembre 2010 si svolgerà un convegno sul tema “Carcere e città”, organizzato dal Comune di Genova: è oltremodo singolare - denuncia la Cgil - che si discuta di situazione carceraria e non vi sia a parlare tra i relatori e gli invitati alcun appartenente alla Polizia Penitenziaria. ‘Duole registrare come gli organizzatori, né la stessa Amministrazione Penitenziaria (ma di quest’ultimo soggetto, poco ci stupisce), abbiano pensato che fosse utile il contributo dei lavoratori che all’interno degli Istituti giornalmente mandano avanti la baracca nonostante il pericoloso sovraffollamento e il cronico sott’organico dicono Rosario Bonfissuto e Gianni Pastorino, rispettivamente coordinatore regionale Fp Cgil e segretario provinciale Fp Cgil della Polizia Penitenziaria. La drammaticità della situazione è ben conosciuta oramai da tutti: ben vengano i convegni e tutto quello che può mantenere alta l’attenzione sul problema del carcere, in questo caso nel rapporto con il territorio - aggiungono, ma la Polizia Penitenziaria si sente poco rappresentata da chi fa proclami e discorsi e poi il più delle volte rimane inerme a guardare il disagio lavorativo di chi come noi è in prima linea. Forse gli organizzatori del convegno ed i vertici dell’Amministrazione Penitenziaria hanno pensato di lasciar fuori dalla porta i lavoratori in divisa e i loro rappresentanti sindacali, così da non correre il rischio di essere contraddetti da chi la realtà delle carceri la conosce molto bene e non ci sta più ad essere preso in giro. Torino: la giunta comunale favorevole a costruzione nuovo carcere da 450 posti Ansa, 15 dicembre 2010 Torino dice sì a un nuovo istituto penitenziario da 450 posti in zona Vallette. È la risposta della Giunta comunale al parere richiesto dal Delegato del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. L’area individuata ad ospitare la nuova struttura, di circa 87.500 mq,confina a nord con il Comune di Venaria, a est con il quartiere delle Vallette, a sud con l’esistente istituto di pena, e a ovest con la struttura ospedaliera di Villa Cristina e con la nuova centrale di Iren in costruzione. L’area è ad uso agricolo, e si presenta libera da vincoli o impedimenti che la rendano inidonea alla costruzione del nuovo carcere. Resta il fatto che l’area sarà interessata dal riassetto urbanistico e di viabilità connesso con il progetto del nuovo corso Marche. L’approvazione dell’atto di oggi si configura come una vera e propria variante al Prg, e demanda l’espressione del parere richiesto dal Delegato del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ad un successivo provvedimento del sindaco. Catania: In&Out, teatro e cucina didattica nell’Ipm di Acireale Ansa, 15 dicembre 2010 Una sala teatro e una cucina didattica, realizzate tra gli interventi strutturali del progetto In&Out, saranno inaugurate domani nell’Istituto per minorenni (Ipm) di Acireale. La sala teatro è la terza realizzata dalla Euro, dopo quelle Nautilus e Polis degli Ipm di Catania e Palermo, sarà denominata Agorà e sarà intitolata a Don Biagio Catania, figura di spicco della comunità cattolica di Acireale. Fu rettore della Basilica di San Sebastiano e cappellano della prigione scuola e del riformatorio giudiziario. È stato fondatore della sezione esploratori scout ed è ricordato in città come l’educatore per vocazione. La cucina didattica, che ha da poco ospitato il corso di cucina realizzato sempre con il progetto In&Out, è stata chiamata ironicamente “Al Fresco”. L’inaugurazione delle due strutture sarà curata dagli stessi minorenni reclusi che faranno da guide agli ospiti attraverso le attività realizzate con il progetto, tra le quali spicca una mostra dei lavori realizzati dai ragazzi durante il corso di ceramica di In&Out. Riscattarsi si può ''Da un anno lavoro fuori e grazie all'Associazione Giovanni XXIII una parte della mia vita è cambiata. Quando usciro' da qui mi dedichero' al mondo del lavoro e non a quello della strada. Per questo ringrazio la direttrice, gli educatori e la polizia penitenziaria''. è la testimonianza di Carmelo, 21 anni, uno dei ragazzi ospitati nell'Istituto per i minorenni (Ipm) di Acireale all'inaugurazione di una sala teatro e una cucina didattica. Gli interventi strutturali sono stati realizzati nell'ambito del progetto 'In&Out', avviato alla fine del 2008 grazie alla collaborazione tra la Regione Siciliana ed il ministero della Giustizia per l'avvio di percorsi educativi negli istituti per i minori di Palermo, Catania, Acireale e Caltanissetta. Carmelo, che terminera' di scontare nell'ottobre del 2012 una condanna per spaccio di droga, usufruisce di un permesso giornaliero per andare a lavorare in una falegnameria. Ha imparato un mestiere che non conosceva ed ha perfino realizzato il palco del teatro. ''Per me quella che ho intrapreso è un nuovo cammino - ha detto - la possibilita' di un riscatto perchè ero stato sempre sulla 'mala' strada ma ora seguiro' sempre questa nuovo percorso. Imparo da un anno a realizzare lavori di falegnameria. Voglio lavorare e farmi una famiglia''. Voghera (Pv): immigrato “irregolare” apolide non può essere espulso… viene rinchiuso in carcere La Provincia Pavese, 15 dicembre 2010 Dovendo espellere dall’Italia un cittadino apolide, cioè senza cittadinanza, in quale Paese lo si invia? La singolare questione si è posta, ieri mattina, in Tribunale a Voghera. Una storia che ricorda la trama di “The Terminal”, il film di Spielberg dove Tom Hanks restava all’aeroporto “Jfk” non avendo più nazionalità. La singolare storia riguarda Nenad Dragutinovic, 37 anni, nato a Ditola in Macedonia. L’uomo si è presentato al commissariato di Voghera esibendo un documento che era un decreto di espulsione. In applicazione della legge, i poliziotti lo hanno arrestato e ieri mattina, davanti al giudice Daniela Garlaschelli, si è svolta l’udienza di convalida. Dragutinovic era difeso dall’avvocato Ilaria Sottotetti. Nel corso dell’udienza, lo straniero ha dichiarato di essere apolide. Di non avere, quindi, cittadinanza. Del resto, l’uomo non aveva con sé documenti: “Ho litigato con mia moglie - ha dichiarato - e lei ha buttato via tutto quello che si trovava nel nostro camper, inclusi i documenti”. Il giudice, su richiesta del Pubblico ministero Sara Macchetta, ha convalidato l’arresto e disposto la custodia cautelare in carcere. Il difensore ha chiesto tempo per esaminare la situazione del suo cliente. Se effettivamente fosse provato che Dragutinovic è privo di cittadinanza, infatti, si porrebbe il problema di individuare il Paese verso il quale indirizzarlo per obbedire all’ordine di espulsione. La vicenda tornerà davanti al giudice dopodomani. Nel frattempo Dragutinovic resterà detenuto in carcere. Volterra (Si): premiazioni del Premio letterario “Casalini” riservato ai detenuti Il Tirreno, 15 dicembre 2010 Sono inseguiti da ricordi quasi sempre strazianti, angosciati da un passato che non passa, sinceramente pentiti o ancora in lotta con vecchie ossessioni. Ma loro, colpevoli o innocenti, coltivano un grande sogno: evadere, seppur con la fantasia, i pochi metri quadrati di una cella e ritrovare qualcosa per cui valga la pena di vivere, qualcosa che vada oltre i confini della prigione fisica. Sono i detenuti che scrivono. Memorie, racconti, versi. Che esorcizzano le libertà perdute. Che inseguono speranze future. Che riassumono idee, pensieri, passioni e riflessioni. Torna anche quest’anno, ma stavolta in una scenografia diversa il “Premio Casalini”, premio letterario nazionale di prosa e poesia promosso dal’Università delle Tre Età delle Case di reclusione di Porto Azzurro e di Volterra, dalla Fiera Internazionale di Libro di Torino e dai Presidi del Libro del Piemonte. Lascia Piombino e arriva nel carcere di Volterra domani alle 14.30 “perché l’occasione culturale - spiega Lucia Casalini responsabile organizzativa del premio - è metafora di un viaggio. Un cammino simbolico e come tale deve essere itinerante. A Volterra poi ci consideriamo in famiglia”. Nato per ricordare la figura del professor Emanuele Casalini, insegnante e poi preside tra i più rappresentativi della storia scolastica della città di Piombino, l’evento giunge quest’anno all’ambito traguardo della nona edizione. Inseguendo gli scopi fondamentali di sempre. Con la stessa cura e attenzione. “Sostenere il detenuto nel suo percorso di recupero, stimolare fantasia e creatività, permettendo il superamento dell’esperienza passata e una rinnovata fiducia nel domani sono gli obiettivi perseguiti dal progetto”, aggiunge ancora Casalini. L’incontro, in programma domani alle 14.30 alla Casa di reclusione di Volterra appunto, vedrà la partecipazione delle autorità locali, comunali, provinciali e regionali, pisane e livornesi. E non solo. “Negli ultimi anni - conclude la responsabile - curiamo anche la presenza di studenti affinché queste due realtà abbiamo momenti d’incontro. Ci saranno gli alunni maggiorenni di Piombino e di Volterra”. I premiati. Sez. Prosa: 1º Alessandro Crisafulli, 2º Antonio Miccoli; 3º ex aequo: Luca Denti e Alessandro Volpi. Sez. Poesia : 1º Stefano Di Cagno, 2ª Carmela Macrì, 3º ex aequo: Giuseppe Diana e Carmelo Musumeci. Ascoli: la band On Air in concerto nel carcere di Marino del Tronto Corriere Adriatico, 15 dicembre 2010 L’esibizione in favore dei detenuti fa parte di un tour studiato appositamente dal gruppo per chi è stato privato della libertà. La band ascolana “On Air” si esibirà all’interno del Supercarcere di Marino del Tronto domani alle ore 15.30 in un concerto speciale per i detenuti. In occasione delle festività natalizie la nota band ascolana “On Air” sarà ospite del Supercarcere di Ascoli dove intratterrà i detenuti con una speciale rappresentazione studiata appositamente per allietare una giornata a chi non dispone della propria libertà. L’iniziativa del gruppo musicale si è potuta realizzare grazie alla disponibilità dell’amministrazione penitenziaria che ha consentito l’accesso alla struttura di massima sicurezza e l’organizzazione dell’evento. Il nome On Air è legato ad una bellissima e oramai consolidata realtà nel panorama musicale locale: da sei anni la band si esibisce in piazze e locali del centro Italia proponendo uno spettacolo brillante e coinvolgente che viene costantemente rinnovato ed ampliato al fine di incontrare e soddisfare i gusti del pubblico presente. Attualmente la band è composta da Paola Ciarrocchi (voce), Roberto Seghetti (voce), Massimo Lori (chitarre), Stefano Alesiani (basso), Matteo Corvaro (tastiere e programmazione) e Alessandro Di Marco (batteria). Il tour 2010 ha contato più di 20 date ed è approdato in altrettante località delle province di Ancona, Macerata, Teramo e Ascoli. Mentre il gruppo è già al lavoro per la preparazione del nuovo spettacolo, è stata ufficializzata la prossima data che è prevista per il 31 dicembre 2010 quando gli On Air animeranno il Gran Veglione di Capodanno del Ristorante “Tre Lanterne” di Cagnano di Acquasanta Terme. La grande passione per la musica e la profonda amicizia che lega i componenti del gruppo rappresentano il collante indissolubile che garantisce longevità artistica e voglia di rinnovamento costante, alla ricerca del divertimento e delle emozioni che solo la musica è in grado di far provare. Siracusa: il 20 dicembre “L’arpa di Davide” suonerà nella Casa di reclusione di Noto Comunicato stampa, 15 dicembre 2010 Lunedì 20 dicembre 2010, l’Associazione di Volontariato Penitenziario Crivop Onlus porta “L’arpa di Davide” nella Casa di Reclusione di Noto. La Crivop, nel tentativo di creare momenti di gioia, serenità e sollievo morale, negli anni passati ha organizzato delle manifestazioni in alcuni Istituti penitenziari della Sicilia che, ispirandosi al noto episodio biblico che narra come Davide con il suono dell’arpa riusciva ad infondere serenità al re Saul, ha voluto denominare “L’arpa di Davide”, cercando di trasmettere un messaggio di amore e speranza a tutti i detenuti. Visti i risultati positivi ottenuti con questo tipo di manifestazioni, la Crivop è ben lieta di portare il proprio contributo nella struttura penitenziaria di Noto, predisponendo un momento gioioso con la realizzazione di una festa denominata “L’arpa di Davide”, durante la quale si organizzeranno canti, giochi di gruppo e degustazione di dolci offerti dall’Associazione. Il Presidente Michele Recupero Immigrazione: cercare salvezza, trovare paura; Libia, Malta e la situazione dei rifugiati Melting Pot, 15 dicembre 2010 I migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo in fuga dalla persecuzione e dai conflitti armati vanno incontro alla tortura e al carcere a tempo indeterminato nel loro tentativo di arrivare in Europa attraverso la Libia. È quanto ha dichiarato oggi Amnesty International pubblicando un nuovo rapporto dal titolo “Cercare salvezza, trovare paura: rifugiati, richiedenti asilo e migranti in Libia e a Malta”. Il rapporto mette in luce la sofferenza di quanti cercano di raggiungere l’Unione europea, molti in cerca di asilo e protezione, e le violazioni dei diritti umani che subiscono in Libia e a Malta. “In Libia i cittadini stranieri, compresi i rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti, si trovano in una condizione di particolare vulnerabilità e vivono nella costante paura di essere arrestati e detenuti per lunghi periodo di tempo, torturati e sottoposti a ulteriori violazioni” - ha dichiarato Malcolm Smart, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. “Inoltre, molti di essi temono di essere espulsi verso i paesi di origine, senza alcuna considerazione per il concreto rischio di subire persecuzioni una volta fatti rientrare”. Secondo le autorità di Tripoli, vi sono oltre tre milioni di “migranti irregolari” in Libia. Molti provengono da altre parti dell’Africa eppure le autorità locali continuano a dire che nessuno di essi sia un rifugiato. Decine di migliaia di persone lasciano la Somalia ogni anno per iniziare un lungo e pericoloso viaggio attraverso nazioni quali la Libia per fuggire al conflitto che sta devastando il loro paese dal 1991. Molte spendono tutti i loro risparmi per intraprendere una pericolosa traversata del Mediterraneo. I rifugiati e i richiedenti asilo in Libia vivono in un limbo legale che non tiene conto del loro bisogno di protezione. La Libia non ha firmato la Convenzione Onu sullo status di rifugiato del 1951 e non ha un sistema d’asilo in vigore. Quest’anno a novembre il governo ha pubblicamente respinto la raccomandazione di ratificare la Convenzione e sottoscrivere un memorandum d’intesa con l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, l’Unhcr, per consentire a quest’ultima di assistere i rifugiati e i richiedenti asilo in Libia. “I richiedenti asilo e i rifugiati in Libia non hanno nessuno cui chiedere aiuto e sono diventati ancora più vulnerabili da quando, a giugno, le autorità di Tripoli hanno ordinato all’Unhcr di sospendere le attività. Il minimo che il governo libico dovrebbe fare invece è proteggere dagli arresti, dalla violenza e dagli abusi coloro che fuggono da persecuzione e conflitti e garantire che non siano rinviati in luoghi dove potranno correre il rischio concreto di subire gravi danni e persecuzione” - ha affermato Smart. Ahmed Mahmoud e Miriam Hussein, una coppia somala fuggita dal loro paese in Libia, hanno vissuto nel costante pericolo di essere arrestati, non hanno potuto trovare un lavoro e sono stati rapinati ripetutamente, fino a quando hanno deciso di tentare di raggiungere l’Europa via mare. Miriam era incinta di sette mesi. Il 17 luglio di quest’anno i due, facenti parte di un gruppo di 55 somali a bordo di un’imbarcazione in avaria, sono stati intercettati e soccorsi da vascelli libici e maltesi. Miriam Hussein e altre 26 persone sono state immediatamente riportate in Libia mentre le altre 28, compreso Ahmed Mahmoud, sono state condotte a Malta. In Libia, il gruppo di cui faceva parte Miriam Hussein è stato immediatamente portato in carcere. Gli uomini hanno fatto sapere di essere stati picchiati e torturati con scosse elettriche. Due mesi dopo, Miriam Hussein ha partorito un feto morto. Torture e altre violazioni ai danni di rifugiati, richiedenti asilo e migranti sono un fatto sistematico in Libia. I guardiani delle carceri prendono spesso a pugni i detenuti o li colpiscono con tubi di metallo o bastoni. Chi osa protestare per le condizioni di detenzione o chiede assistenza medica rischia di subire ulteriori aggressioni o punizioni. Ciò nonostante, a ottobre, la Commissione europea ha sottoscritto con le autorità libiche una “agenda per la cooperazione” sulla “gestione dei flussi migratori” e sul “controllo alle frontiere”, valida fino al 2013 e in base alla quale l’Unione europea metterà a disposizione della Libia 50 milioni di euro. Nel frattempo, Unione europea e Libia stanno negoziando un più ampio “Accordo quadro” che consentirebbe, tra l’altro, la “riammissione” in Libia di cittadini provenienti da “paesi terzi” entrati in Europa dopo aver transitato in Libia. “La cooperazione tra Unione europea e Libia deve avere al centro i diritti umani e la condivisione delle responsabilità, ovvero i principi fondamentali della protezione internazionale. Mentre cercano la cooperazione con la Libia per contrastare l’arrivo di persone dall’Africa, l’Unione europea e i suoi stati membri non devono chiudere gli occhi di fronte alle costanti violazioni dei diritti umani in Libia” - ha ammonito Smart. Tra il 2002 e il 2009 si stima che 13.000 persone siano arrivate a Malta dalla Libia. Malta, tuttavia, non si è rivelata il rifugio sicuro che speravano di raggiungere. Sulla base delle leggi maltese, ogni persona che arriva per la prima volta sul territorio, compresi i richiedenti asilo, viene considerata “migrante proibito” e rischia la detenzione obbligatoria a tempo indeterminato, in pratica fino a 18 mesi. I rimedi legali esistenti per opporsi alla detenzione sono stati giudicati “inefficaci” dalla Corte europea dei diritti umani. “La posizione geografica di Malta significa che questo paese deve affrontare flussi ampi e misti di migranti irregolari e richiedenti asilo. È chiaramente un compito impegnativo che, tuttavia, non solleva Malta dal rispetto degli obblighi derivanti dal diritto internazionale e regionale dei diritti umani in materia di rifugiati, tra cui la Convenzione europea sui diritti umani. Le autorità maltesi devono garantire che le operazioni d’intercettazione e di soccorso in mare non determinino il rinvio forzato o l’espulsione di persone già in condizioni di vulnerabilità verso la Libia o verso altri stati dove si troverebbero nel rischio concreto di subire gravi violazioni dei diritti umani” - ha concluso Smart. Oggi Amnesty International lancia un appello alla Commissione europea e all’Italia chiedendo che i diritti umani e le garanzie per i rifugiati, richiedenti asilo e migranti siano al centro della cooperazione con la Libia. Immigrazione: Medici Senza Frontiere; nelle strutture di Evros (Grecia) condizioni spaventose Redattore Sociale, 15 dicembre 2010 Circa 300 migranti senza documenti ogni giorno attraversano il confine tra Turchia e Grecia: al collasso le strutture di detenzione. La denuncia di Medici senza frontiere che chiede al governo greco di garantire un’accoglienza dignitosa. Migranti e richiedenti asilo detenuti nella regione di Evros, nel nord della Grecia, si trovano in una situazione critica: negli ultimi due mesi circa 300 migranti senza documenti al giorno hanno attraversato il confine dalla Turchia verso la Grecia. È la denuncia di Medici senza frontiere, che ha avviato un intervento di emergenza nella regione di Evros, fornendo assistenza medica e umanitaria: “Le strutture di detenzione sono sovraffollate mentre le condizioni delle celle sono spaventose”. L’organizzazione ha visitato nel mese di novembre due centri di detenzione (Venna, Fylakio) e tre stazioni di polizia di frontiera (Soufli, Tychero e Feres), documentando le condizioni dure e disumane in cui vengono tenuti i migranti trattenuti. “Molte delle strutture sono sovraffollate - spiega Msf - e operano con una capacità due o tre volte superiore alle loro possibilità. A causa della mancanza di spazio, uomini, donne, giovani e minori non accompagnati vengono tenuti insieme nelle stesse celle. Molti dormono sul pavimento accanto alle toilette. Strutture di detenzione capaci di ospitare più di 100 persone hanno soltanto due toilette e due docce e manca il materiale per la pulizia e l’igiene personale”. Inoltre i servizi medici sono ancora inadeguati. “La situazione è critica per tutte le persone trattenute. I migranti non hanno un posto per dormire, non possono uscire nel cortile e molti di loro sono costretti a vivere per settimane o persino per mesi in condizioni di vita inaccettabili,” dice Ioanna Pertsinidou, coordinatrice dell’emergenza. “Abbiamo deciso di intervenire immediatamente per offrire assistenza medica e umanitaria”. “Quello che vediamo ogni giorno nei centri di detenzione è indescrivibile. In alcuni giorni, nella stazione di polizia di Soufli, pensata per ospitare 80 persone, si possono trovare più di 140 migranti. A Tychero, che ha una capacità di 45 persone, ne abbiamo contate 130. A Feres la notte scorsa abbiamo distribuito sacchi a pelo a 115 migranti, nonostante la capacità sia di sole 35 persone. Una donna con seri problemi ginecologici, ci ha detto che non c’era spazio per dormire e non ha avuto altra scelta che dormire in bagno. Nel centro di detenzione di Fylakio, pochi giorni fa le celle sono state allagate dai liquami provenienti dai bagni rotti. Msf ha assicurato la disinfezione delle celle e delle toilette. A Soufli, dove gli inverni sono famosi per la loro durezza, con temperature sotto lo zero, il riscaldamento non funziona e non c’è acqua calda. In molte strutture di detenzione, abbiamo visto minori non accompagnati detenuti nelle celle insieme agli adulti per diversi giorni, senza che fosse consentito loro di uscire in cortile”, racconta. L’organizzazione hiede al governo greco “di attuare immediatamente misure che assicurino un’accoglienza di migranti e richiedenti asilo che rispetti la loro dignità“ e all’Unione Europea e ai suoi Stati membri “di condividere le responsabilità nell’accoglienza di migranti e richiedenti asilo, invece di concentrarsi solo sulle misure restrittive, come lo schieramento delle squadre di intervento rapido di Frontex lungo i confini”. Cile: l’80% della popolazione disapprova le politiche di sicurezza che hanno riempito le carceri Prensa Latina, 15 dicembre 2010 La stragrande maggioranza dei cileni disapprovano le politiche di sicurezza nel paese, che portano ad alti tassi di reclusione, ha rivelato oggi un sondaggio pubblicato in questa capitale. Il 79,4% degli intervistati crede che le politiche della mano pesante contro la criminalità non migliorano la sicurezza cittadina, mentre il 96,2% ha criticato la coesistenza nelle carceri dei condannati per reati minori con gli imputati di reati violenti. Diffuso da Radio Cooperativa del Cile, lo studio si è svolto in un contesto di messa in discussione del sistema penitenziario, esacerbata dopo l’incendio in un carcere della capitale, che ha ucciso 81 reclusi. “Il sistema carcerario non resiste più”, ha ammesso il presidente Sebastian Piñera, che ha anche descritto come disumane e indegno di una nazione civilizzata il panorama delle carceri cilene, di cui la maggior parte presenta un tasso di sovraffollamento superiore al 70%. La stessa installazione dove è avvenuto l’incidente aveva una capacità per un migliaio di prigionieri e nel momento dell’incendio ce n’erano dietro le sbarre più di mille 900. Di fronte a questa realtà, il presidente del Senato, Jorge Pizarro, ha fatto un appello a riflettere sull’attuazione delle leggi e sulla “politica di tolleranza zero che per molti anni è stato installata nel discorso della società cilena, specialmente dalla destra, che davanti a qualsiasi tipo di reato esige una pena detentiva”. Il Presidente della Camera alta ha fatto l’esempio delle vittime dell’incendio nel carcere di San Miguel: un giovane che era stato arrestato per la vendita di cd pirata. “In Cile è privilegiato il reato contro la proprietà al di sopra del fabbisogno umano”, ha evidenziato il legislatore. Iran: due amputazioni e un’impiccagione eseguite nel carcere di Shiraz Aki, 15 dicembre 2010 Le autorità carcerarie di Shiraz, nel sud dell’Iran, hanno amputato gli arti a due detenuti condannati per rapina. Lo riferisce il sito attivo nell’ambito dei diritti umani “Herana”, spiegando che le amputazioni sono state eseguite ieri. Nella stessa città, è stata eseguita per impiccagione la condanna a morte di un narcotrafficante. Non sono note le identità dei tre condannati. Secondo Herana, in Iran negli ultimi tre mesi sono state amputate le mani ad almeno 10 rapinatori. Il taglio degli arti e l’impiccagione sono tra le pene previste dal codice penale islamico sciita, in vigore in Iran. Queste misure hanno una funzione essenzialmente preventiva, ma negli ultimi anni sono state attuate in un numero crescente di casi. Canada: polemiche per detenuti con problemi psichici rimessi in libertà Ansa, 15 dicembre 2010 Pochi controlli sui detenuti che presentano problemi psichici rimessi poi in libertà. È il risultato di un’inchiesta condotta dalla Canadian Press riferendosi al caso di Vince Li, l’uomo che decapitò un uomo nel 2008 su un autobus della Greyhound. Al detenuto è stato concesso di uscire all’aria aperta. Privilegio però posticipato dopo l’ordine dell’attorney general del Manitoba di rinforzare la sicurezza sul posto e le varie proteste pubbliche in tutto il Paese. Le preoccupazioni infatti non sorgono quando pazienti come Li si trovano sotto cura psichiatrica, ma quando le loro medicine cominciano a fare effetto e vengono rimessi in libertà senza controlli. Molti criminali che non vengono ritenuti colpevoli perché affetti da disordini mentali ritornano a far parte della società dopo le cure psichiatriche.