Restituire dignità al Due Palazzi Il Mattino di Padova, 14 dicembre 2010 A Padova di carceri ce ne sono due; uno è quello dove stanno le persone appena arrestate, oggi 250 invece delle 98 previste, l’altro è conosciuto in positivo, per i panettoni che producono i detenuti, per la rivista Ristretti Orizzonti, la possibilità di studiare fino all’università, la biblioteca, le cooperative che offrono lavoro, per tante iniziative che danno un senso alla carcerazione, solo che a essere impegnati in queste attività sono poco più di 300 detenuti, per gli altri il carcere è un parcheggio, devastato dal sovraffollamento, dalla mancanza di risorse, la poca igiene, la sanità in difficoltà. È per questo che molte associazioni hanno deciso di mettersi insieme per chiedere un cambiamento della condizione delle carceri, e per invitare il sindaco Flavio Zanonato a intervenire. E il sindaco ha accolto l’invito, è entrato in carcere, ha incontrato detenuti, associazioni, operatori, ha preso degli impegni. Le associazioni chiedono il rispetto della Costituzione La popolazione carceraria reclusa a Padova rappresenta una realtà importante della vita cittadina. Per questo siamo convinti che alla privazione della libertà dell’individuo non debba corrispondere alcuna limitazione della dignità dell’essere umano, in ossequio ai principi costituzionali che tutelano i diritti inviolabili dell’uomo, l’uguaglianza e la rieducazione dei condannati. A fronte di una situazione di emergenza, che va aggravandosi, facciamo appello al sindaco, in quanto autorità garante della salute pubblica di questa città, affinché intervenga avviando procedure di controllo delle condizioni carcerarie. In considerazione di una situazione che vede la legalità sempre meno rispettata e i diritti in pericolo, chiediamo all’Amministrazione comunale l’istituzione anche a Padova del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. Al sindaco chiediamo anche, nella sua veste di delegato alla Sicurezza per l’Anci (Associazione nazionale comuni italiani), di farsi promotore dell’avvio di un confronto con gli amministratori dei comuni sedi di strutture carcerarie per concordare azioni comuni, per contrastare il degrado delle condizioni di vita della popolazione carceraria italiana. Perché nessuno più possa ignorare che il carcere come è oggi produce solo insicurezza. Acli, Antigone, Beati i costruttori di pace, Camera penale “Francesco De Castello”, Conferenza regionale Volontariato Giustizia, Cgil Padova, Funzione pubblica Cgil Padova, Cooperativa AltraCittà, Giuristi democratici, Magistratura democratica, Ristretti Orizzonti Il sovraffollamento ostacola ogni reinserimento sociale L’aspetto più drammatica del sovraffollamento è il fatto che i detenuti impegnati in attività sono un numero limitato, tutti gli altri passano la carcerazione in branda. Questo significa che un carcere così non crea sicurezza, non reinserisce le persone che, quando escono dopo essere state “parcheggiate” per anni senza far niente, non inserite nel territorio e costituiscono un reale pericolo. Noi vorremmo sottolineare il ruolo che può avere il sindaco rispetto alle condizioni nelle quali versano le carceri, il sovraffollamento, i gravissimi problemi legati al diritto alla salute, la mancanza di opportunità per le persone detenute di accedere a misure alternativa al carcere. Pensiamo infatti che i sindaci possano fare molto per lo stato di totale illegalità delle carceri delle città che amministrano, e chiediamo che il sindaco di Padova si faccia promotore di una iniziativa di altri sindaci di Comuni sedi di carceri per riportare all’attenzione della cittadinanza la questione del rispetto della legalità nelle carceri. Ornella Favero redazione di “Ristretti Orizzonti” Perché bisogna istituire il Garante dei detenuti Il carcere è una parte della città, i detenuti sono persone che vivono in questa città con una serie di problemi che, se si verificassero in un quartiere, certamente avrebbero un’attenzione maggiore da parte della cittadinanza e dell’amministrazione. Il primo problema è quello dell’igiene e della salute, dal momento che un numero di persone molto superiore alla capienza consentita è costretto a vivere, a farsi da mangiare, a occuparsi di tutte le incombenze quotidiane in uno spazio così ristretto. L’obiettivo delle nostre associazioni è proprio quello di interagire con gli amministratori locali, per cercare a livello normativo, ciascuno con le proprie competenze, le possibili soluzioni. L’altro aspetto che ci preme è il problema del Garante, per il quale auspichiamo che anche Padova si muova nella direzione di istituire questa figura, che ha la finalità di interagire tra le istituzioni per migliorare le condizioni di vita e di inserimento sociale delle persone private della libertà e monitorare le condizioni dell’esercizio dei loro diritti. Anna Maria Alborghetti avvocato e presidente della Camera penale In 75 nelle sezioni da 25 e le docce non funzionano Siamo contenti di vedere il sindaco e una rappresentanza della società civile che si ritrovano con noi detenuti per discutere della situazione carceraria. Ecco signor sindaco, se siamo stati messi qui, nessuno di noi dice che non vogliamo espiare questa pena, il punto è di farlo in modo più dignitoso. Perché vivere anni e anni in condizioni di questo tipo significa soprattutto non riuscire nemmeno per un attimo a riflettere sulle proprie responsabilità, significa combattere per la sopravvivenza ogni giorno, in sezioni che erano state pensate per 25 detenuti, e oggi ne ospitano 75. Ora ci ritroviamo in 75 ad usare le stesse docce, che sono sempre rotte, e qualcuno dice che per il presepe il muschio si può venire a prenderlo qui. Ma anche le stanze per i colloqui con i nostri famigliari sono sempre le stesse, solo che adesso il numero delle persone è triplicato, e noi dobbiamo convivere tutti i giorni con queste situazioni. Per quanto riguarda il Garante, abbiamo un bisogno urgente di questa figura, perché, per quanto vi sia una direzione attenta, il carcere è una macchina composta da talmente tante complesse problematiche, che una persona detenuta si trova spesso ad affrontare difficoltà che nulla hanno a che fare con lo scontare dignitosamente la propria condanna. Elton Kalica detenuto Zanonato: coinvolgerò l’Anci, è un caso nazionale Parto dal fatto che non bisogna commettere l’errore di immaginare che tutte le soluzioni dipendano dal Comune. Non è così, ho visto alcune ordinanze di sindaci di altre città sul sovraffollamento, ma i dispositivi delle ordinanze sono una specie di documento di solidarietà, però contano zero, non è che se io ordino che sia scarcerata una persona, chi la detiene la scarcera. Non ho questa facoltà, e se ordino di limitare a 350 i detenuti in questo carcere, è naturalmente un desiderio, non un ordine. È una forma per, in qualche modo, manifestare la comprensione e la condivisione di un problema. È un tema molto delicato quello delle carceri, si stima che l’ultimo indulto abbia fatto perdere alle forze che l’hanno votato un consenso significativo, anche perché è stato attribuito quasi interamente al centrosinistra. È diffusa la convinzione che, sui temi della sicurezza, la risposta giusta sia solo la repressione, aumentare le pene, avere più carceri, un apparato repressivo che risponda in modo più violento ed efficiente... Ed è faticosissimo smontare quest’opinione. Però siccome non mi muovo solo sulle cose che convengono, ma anche sulle cose che sono giuste e mi convincono, mi impegno in modo più netto a occuparmi di queste questioni e a riflettere su alcune iniziative che possiamo fare, anche se dobbiamo tenere conto che abbiamo avuto un crollo drammatico di risorse. Come Anci, mi avete dato uno spunto e penso che si potrebbe fare un incontro nazionale sull’argomento carceri, condizioni di vita, edilizia carceraria, leggi che oggi sovrintendono alle misure alternative e tutto questo complesso di temi. Come Comune di Padova, il primo impegno è organizzare un incontro con la commissione consigliare in modo da porre il problema della situazione delle carceri e la questione del Garante al consiglio comunale. Flavio Zanonato sindaco di Padova Prima riunione in municipio sull’emergenza carceraria La scorsa settimana si è svolta una riunione della commissione consiliare con il sindaco e l’assessore alle Politiche sociali, Fabio Verlato, con all’ordine del giorno il tema delle carceri. Le associazioni intervenute hanno sottolineato che è importante è che le carceri restino al centro dell’attenzione della città, con nuove iniziative contro il sovraffollamento e un confronto aperto sull’istituzione del Garante delle persone private della libertà personale. Giustizia: alla Camera riprende l’esame del pdl su madri detenute e figli in carcere Asca, 14 dicembre 2010 Di madri detenute con i loro figli si occupa la Commissione Giustizia della Camera nella seduta del 16 dicembre che vede all’ordine del giorno la PdL recante: “Modifiche al codice di procedura penale, alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”. La questione di bambini innocenti in carcere appare come una pratica contraria ai diritti umani. D’altra parte, però, rileva la nuova normativa, anche l’allontanamento del bambino dalla madre detenuta è dannoso, perché può provocare gravi traumi e danni psicologici permanenti al minore, rendendone ancora più dolorosa e complessa la reintegrazione all’interno del nucleo familiare. La proposta di legge ha come punto di origine la legge n. 40 del 2001 (cosiddetta ‘legge Finocchiarò) che, seppur di notevole portata innovativa, ha incontrato difficoltà nell’applicazione concreta. In particolare il provvedimento intende eliminare quegli ostacoli che ancora non permettono alle madri e ai loro piccoli, quelli di età compresa tra zero e tre anni, di scontare la pena detentiva in un luogo diverso dal carcere, mentre per le mamme con figli di età non superiore a dieci anni prevede l’applicazione delle misure alter - native al carcere, ove non sussistano ragioni impeditive di eccezionale rilevanza. Prevede, inoltre, l’istituzione delle case famiglia protette al di fuori delle strutture penitenziarie, da considerarsi una forma detentiva privilegiata quando sia indirettamente coinvolto un bambino. In tal senso la nuova normativa considera la detenzione delle madri con prole inferiore a tre anni presso case famiglia protette come una extrema ratio da attuarsi rispettivamente: nel caso di custodia cautelare, solo se sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza; oppure, nel caso di espiazione della pena qualora non possa essere disposta una detenzione con regime più favorevole. Il provvedimento riguarderebbe un numero limitatissimo di detenute. Giustizia: Radicali; primo passo verso la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari Agi, 14 dicembre 2010 “Mai avremmo immaginato che dal dibattito sulla fiducia al Governo ci sarebbe stata una presa in carico del problema degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, un buco nero sia dell’assistenza sanitaria ai malati psichiatrici sia dell’amministrazione penitenziaria. Invece il dibattito al Senato di stamattina ha dimostrato il contrario. Prima il richiamo di Emma Bonino alle responsabilità politiche dell’attuale Governo, ma anche dell’opposizione sulla situazione penitenziaria in generale e in particolare sulle condizioni disumane degli ospedali psichiatrici giudiziari, poi l’intervento del senatore del pdl Michele Saccomanno sembra aver almeno riportato il ministro della Giustizia a realizzare gli atti dovuti. Tra i 1300 internati negli Opg infatti la commissione d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale presieduta da Ignazio Marino ha acquisito la documentazione che ben 300 sarebbero dimissibili se le Asl di residenza facessero il loro dovere. Questi 300 sono ostaggio del sistema penitenziario senza avere una pena da scontare e non essendo più pericolosi socialmente. Di questi il ministro ha detto che si farà carico. Certo non basterà perché la fatiscenza di certe strutture è incompatibile con la cura che deve essere prestata agli internati, ma è comunque un primo passo per cominciare a occuparsi di un istituto quello dei manicomi criminali che è sopravvissuto alla legge 180, e di cui fino ad oggi noi radicali abbiamo sempre cercato di dare notizia, anche realizzando le visite ispettive”. Lo afferma la senatrice radicale Donatella Poretti. Giustizia: Frattini contro export Pentotal, incontra Nessuno tocchi Caino e Sant’Egidio Adnkronos, 14 dicembre 2010 Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha incontrato ieri esponenti di Nessuno tocchi Caino e della Comunità di Sant’Egidio per cercare una soluzione volta a evitare, nel rispetto della libertà di commercio, che il Pentotal prodotto in Italia finisca direttamente o indirettamente nei penitenziari degli Stati Uniti e di altri Paesi dove si pratica l’iniezione letale. Frattini, riferisce una nota dei Radicali, ha condiviso le preoccupazioni manifestate dalla delegazione composta dalla Deputata Radicale Elisabetta Zamparutti, dal Segretario di Nessuno tocchi Caino Sergio D’Elia e dal portavoce della Comunità di Sant’Egidio Mario Marazziti, ai quali ha assicurato di voler risolvere la questione in tempi brevi, coinvolgendo anche i ministri competenti alla Salute e alle Attività Produttive. Frattini ha comunicato ai rappresentanti delle associazioni abolizioniste che è sua intenzione convocare nei prossimi giorni alla Farnesina i vertici dell’azienda farmaceutica Hospira con sede a Liscate (Milano), incaricata dalla casa madre americana di produrre il farmaco che da gennaio dovrebbe iniziare a spedire negli Stati Uniti. Il titolare della Farnesina ha altresì annunciato il parere favorevole alla mozione depositata alla Camera dei Deputati da Elisabetta Zamparutti e sottoscritta da rappresentanti di tutti i gruppi politici, che impegna il Governo a garantire che la produzione e la vendita all’estero di Sodio Tiopentale da parte della Hospira di Liscate siano autorizzate esclusivamente per scopi medici e a condizione che il barbiturico prodotto in Italia non sia utilizzato nella pratica dell’iniezione letale. Il ministro degli Esteri ha infine annunciato agli esponenti di Nessuno tocchi Caino e della Comunità di Sant’Egidio di voler sollevare la questione anche a livello europeo perché il controllo sull’esportazione di Pentotal sia condiviso dai Paesi membri dell’Unione Europea, in linea con le norme nazionali e comunitarie che vietano la pratica della pena di morte. Un controllo all’espatrio del Sodio Tiopentale è stato di recente stabilito dal Governo britannico, dopo che l’organizzazione umanitaria Reprieve aveva documentato come l’anestetico importato dal Regno Unito era stato utilizzato nell’ottobre scorso per uccidere un condannato a morte in Arizona. Giustizia: Sarno (Uil-Pa); La Russa chieda scusa a poliziotti arrabbiati che manifestano Adnkronos, 14 dicembre 2010 “Non comunisti, ma poliziotti arrabbiati”. È il commento, senza mezzi termini, di Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari, in relazione ai fischi che i poliziotti manifestanti hanno riservato oggi, in Piazza Montecitorio, al ministro della Difesa, Ignazio La Russa, e alla sua frase di risposta “sono tutti comunisti”. Intendo precisare allo stesso ministro che la manifestazione indetta quest’oggi dalle Oo.ss. dalle forze di polizia a ordinamento civile (polizia di stato, polizia penitenziaria e corpo forestale) è contro il governo, che non ha mantenuto i patti e gli impegni solenni e formali che più volte ha assunto”. “Pertanto - prosegue Sarno - il suo commento è fuori luogo quando manifesta la sua insofferenza alle critiche. Diciamo a La Russa che in piazza, quest’oggi, sono a manifestare anche quelle Oo.ss. che non hanno mai nascosto la vicinanza al governo e che dalle proprie fila hanno eletto deputati Pdl che oggi, evidentemente, ragionano più da onorevoli che da poliziotti”. “La Russa - secondo il segretario generale della Uil Pa Penitenziari - farebbe meglio a mantenere i patti e gli impegni, piuttosto che industriarsi in improbabili giudizi su operatori che ogni giorno sono impegnati a garantire ordine, sicurezza e legalità, a prescindere dalla propria appartenenza politica. Il ministro della Difesa farebbe bene a chiedere scusa ai poliziotti manifestanti per i frettolosi, ingenerosi e incauti giudizi espressi. Di fatto, dopo i poliziotti ‘panzonì di Brunetta, ora siamo ai poliziotti ‘comunistì di La Russa. Adesso - conclude poi - la nostra protesta trova ancora più valide ragioni nello sprezzo che i politici mostrano avere nei nostri confronti e che trasuda dalle loro dichiarazioni”. Brescia: arrestato perché clandestino muore in caserma, proteste da comunità senegalese Corriere della Sera, 14 dicembre 2010 “Non è giusto che si muoia in una cella per una crisi d’asma. Alhdy era ammalato, doveva essere curato. Qualcuno ha sbagliato e adesso vogliamo la verità”. Abdou Ndao, vicepresidente dell’associazione senegalesi di Brescia, non vuole sentire ragioni. Ieri pomeriggio ha riunito intorno a un tavolo i suoi “saggi” per discutere del caso di Alhdy Saidou Gadiaga, l’operaio di 36 anni morto domenica mattina nella camera di sicurezza della caserma dei carabinieri di Brescia. Alhdy, in Italia da 15 anni, venerdì pomeriggio camminava con un amico lungo il viale della stazione quando è stato fermato da una pattuglia dei carabinieri. Un controllo di routine. Il senegalese non aveva documenti, ma solo un certificato medico rilasciato dal pronto soccorso degli Spedali Civili. “Il mio permesso di soggiorno è scaduto perché sono rimasto disoccupato. Sono rimasto in Italia perché sono ammalato - ha spiegato Alhdy ai militari -, soffro di asma cronica. Ecco il certificato...”. Tanto è bastato per far scattare l’arresto con l’accusa di violazione della legge Bossi-Fini. “Clandestino da rimpatriare”. Chiuso in una cella della caserma di piazza Tebaldo Brasato, Alhdy per 36 ore è rimasto al gelo. Nelle “camere di sicurezza”, come confermano i carabinieri, non esiste riscaldamento e in questi giorni il termometro a fatica supera i 5 gradi. “Come possono le forze dell’ ordine tenere una persona ammalata in una cella fredda e umida - alza la voce Diouf Samba, l’amico con cui la vittima stava passeggiando prima dell’arrivo dei carabinieri. Mi chiedo se lo hanno soccorso subito, appena ha chiesto aiuto”. E l’ex presidente dell’associazione senegalese, Seck Nango, attacca: “A Brescia hanno aperto la caccia al negro. Non possiamo più camminare per strada senza i documenti in tasca. E se li hai, vieni comunque portato in caserma per accertamenti. Alhdy è stato trattato come una bestia. Venerdì sera stava già male, come ha confermato un compagno di cella liberato l’indomani mattina. Ha chiamato aiuto per mezz’ora prima che un appuntato gli aprisse la porta e lo facesse uscire in corridoio per prendere una boccata d’aria. Due notti al freddo, senza cure, sono evidentemente state fatali. Domenica la situazione è precipitata e Alhdy è morto in pochi minuti”. Versione smentita, però, dal verbale del comandante della stazione. “L’arrestato - si legge nella nota mandata al consolato del Senegal - è stato colto da malore alle 8 di domenica, nella camera di sicurezza. Veniva chiesto subito l’intervento di un’ambulanza del 118 che, constatata la gravità del caso, provvedeva al ricovero”. Quaranta minuti più tardi i medici hanno constatato il decesso del 36enne per “arresto cardiocircolatorio”. Una morte sulla quale la Procura ha aperto un’inchiesta. E le prime risposte potrebbero arrivare già questa mattina con l’autopsia. Brescia: colpevole di non avere il permesso di soggiorno, Saidiou muore da detenuto di Diana Santini Il Manifesto, 14 dicembre 2010 La magistratura ha aperto un’inchiesta sulla morte, domenica mattina, di un immigrato senegalese nella camera di sicurezza della caserma dei carabinieri Masotti, a Brescia: stroncato da una crisi respiratoria, hanno detto i medici. Saidiou Gadiaga, Elhdj per gli amici, trentaquattro anni, soffriva di una grave forma d’asma ed è stata proprio questa la prima cosa che ha detto ai carabinieri quando venerdì pomeriggio l’hanno portato in caserma, dopo che durante un controllo dei documenti era risultato privo del permesso di soggiorno. Il giorno dopo in città si sarebbe svolto un corteo antirazzista contro la sanatoria - truffa e, come spesso accade ultimamente nella Brescia ostaggio delle politiche discriminatorie a marchio Lega, la vigilia si è trasformata in un’ottima occasione per un giro di controlli a tappeto tra gli immigrati. Dopo l’arresto Saidiou viene portato in camera di sicurezza, in attesa del processo per direttissima e della conseguente espulsione forzata. In tasca ha, come sempre, un flaconcino di spray antiasmatico e un certificato medico che ne attesta la malattia. Più di una volta, racconta uno dei tre ragazzi immigrati, fermati nelle stesse ore e poi trattenuti insieme a lui, forse a causa dell’aria viziata della cella, il fiato di Saidiou si fa corto, affannoso. Ma viene tenuto lì dentro lo stesso, per due notti, nonostante avesse spiegato che il suo stato di salute non era compatibile con la detenzione. Domenica mattina, verso le sette, le sue condizioni peggiorano drasticamente. Finalmente qualcuno si decide a chiedere l’intervento dei medici, ma è troppo tardi. Ancora una breve, disperata corsa verso l’ospedale, dove però non c’è altro da fare che constatare il decesso, poco prima delle nove. Ora si attendono i risultati dell’autopsia. La comunità senegalese di Brescia, riunita ieri per discutere di quanto accaduto, chiede sia fatta chiarezza. La sorella di Saidiou, da Padova, dove vive, è partita per Brescia, dove oggi nominerà un avvocato di fiducia. Che, con tutta probabilità, chiederà un nuovo esame autoptico. Per ora all’attenzione dei legali ci sono la testimonianza del ragazzo senegalese che ha diviso la cella con lui e la pacata ammissione dei carabinieri del fatto che erano perfettamente consapevoli delle precarie condizioni di salute di Saidiou Gadiaga. Tra gli amici e i conoscenti, invece, c’è soprattutto la consapevolezza, se davvero c’era bisogno di un’altra inutile prova, che di Bossi - Fini si muore: in fondo, l’unica colpa di Saidiou, l’unica ragione per cui si trovava in quella cella, è che non aveva il maledetto pezzetto di carta. Anche per lui i migranti “bresciani”, dopo la mobilitazione dell’11, saranno oggi a Roma per manifestare con tutti gli altri che hanno risposto all’appello nazionale dei migranti e delle associazioni antirazziste, nel giorno in cui il governo Berslusconi chiede la fiducia. Porteranno in dote il patrimonio delle lotte che li hanno visti protagonisti, sopra e sotto la gru, a Brescia. Milano: detenuto di 28 anni suicida a San Vittore, a processo la psichiatra e la psicologa di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 14 dicembre 2010 Contestato il reato di “abbandono di incapace”. Aveva 28 anni e un passato di autolesionismo. L’accusa: doveva stare in una cella super sorvegliata. La difesa: non cera posto. Il suo posto “giusto” a San Vittore, cioè il posto idoneo per un detenuto che dal penitenziario di Pavia arrivava con “un ben evidente quadro psicotico persecutorio” e con una cartella clinica martoriata da 9 atti di autolesionismo 0 tentativi di suicidio in 4 mesi, sarebbe dovuto essere nel reparto di massima sorveglianza. Ma nell’estate 2009 non c’era posto: il sovraffollamento di tutto il carcere (1400 detenuti stipati in una capienza teorica da 800 posti) era sovraffollamento anche di quello specifico delicato reparto. Così Luca Campanale, 28 anni, in cella con un’accusa di spaccio di droga fu sistemato in altri reparti: prima in uno “ad alto rischio” con sorveglianza a vista, e poi (dopo una visita psichiatrica il 4 agosto) in un reparto “a medio rischio” senza sorveglianza a vista. Dove il 12 agosto 2009 si impiccò. Per questa sua morte ieri due dottoresse in servizio sulla “trincea” quotidiana di San Vittore, una psicologa e una psichiatra alle prese ogni giorno tanto con detenuti davvero sofferenti quanto con altri invece simulatori, sono state rinviate a giudizio dal gip Fabrizio D’Arcangelo per la pesante ipotesi di reato (di competenza della Corte d’Assise) di “abbandono di persona incapace a provvedere a se stessa a causa dei gravi disturbi psichici da cui era affetta”. Troppo sfaccettato il prisma di questa vicenda, istruita dal pm Silvia Perrucci, perché potesse risolversi già in udienza preliminare: tra diari clinici, consulenze medico legali, testimonianze e circolari ministeriali sulla “tutela dell’incolumità fisica e psichica dei detenuti”, al giudice deve essere parso uno di quei casi che per definizione richiedono il vaglio di un dibattimento, a partire dal 28 settembre davanti alla prima Corte d’Assise. In ballo ci sono due differenti profili. Il primo illumina le ragioni pratiche, di natura quasi puramente logistica e rimarcate dai difensori Gorgoglione, Morandi, D’Amelio e Pingitore, per le quali le dottoresse disposero - “per mancanza di posti letto”, rileva il capo d’imputazione - la dimissione del paziente dalla massima sorveglianza. Il secondo aspetto, invece, chiama in causa il merito della diagnosi delle due dottoresse, con la scelta di collocare il detenuto in un reparto “a medio rischio”, senza sorveglianza a vista, “sul presupposto che il paziente non aveva mai posto in essere gesti autolesionistici e appariva pretenzioso e immaturo”. Presupposto che, a leggere la sfilza di “reiterati gesti autolesionistici, etero - aggressivi e tentativi di suicidio” nella cartella clinica valorizzata dal pm e dal difensore Andrea Del Corno di parte civile della famiglia del detenuto, a prima vista parrebbe da approfondire. Già il 3 maggio 2009 il detenuto era stato segnalato per “aggressione a agente penitenziario e affermazioni autolesionistiche”; il 25 maggio per un “tentativo di impiccagione”; il 30 maggio per un “taglio della pelle del collo”; l’8 e 9 giugno per “ferite da taglio al collo auto inferte”; il 15 giugno per “ferite lacero avambraccio destro e sinistro sul collo”; il 27 giugno “ingestione volontaria di una lametta”; il 4 agosto “ferite leggere e profonde da taglio a braccio e avambraccio destro”; il 9 agosto “ferite superficiali all’avambraccio destro auto procurate”. L’accusa contesta alle due dottoresse di aver adottato “misure medico - sanitarie e di controllo carcerario inidonee e insufficienti a tutelare la salute psicofisica del paziente a prevenire gesti autolesionistici”. La prospettazione del pm si concentra già sull’iniziale presa in carico del detenuto, che dal carcere di Pavia arrivava proprio “per avvalersi dell’assistenza medica psichiatrica di cui necessitava”: in questa fase, la sua sottoposizione “a due soli colloqui psicologici e a una visita psichiatrica” non avrebbe impedito che “la mancanza di posti letto” bastasse di fatto a negargli il posto nel reparto più “sicuro” e più adeguato alle sue condizioni. Pavia: l’avvocato arrestato nell’inchiesta sulla ‘ndrangheta; mi lascerò morire in carcere La Provincia Pavese, 14 dicembre 2010 “Nelle mie condizioni potrei morire in carcere” questo il grido d’allarme lanciato in una lettera manoscritta dall’avvocato di Pavia Giuseppe Neri arrestato il 17 luglio nell’ambito dell’inchiesta denominata “Infinito” condotta dalla direzione distrettuale antimafia e accusato, insieme ad altre 150 persone, di associazione per delinquere di stampo mafioso relativa ad una catena di reati tra cui l’usura e il traffico di stupefacenti. L’avvocato Neri afferma di essere in gravi condizioni di salute e costretto a vivere in un ambiente inadeguato e pericoloso dal punto di vista igienico-sanitario. Da qui la decisione di attuare lo sciopero della fame e quello dei farmaci salvavita con rifiuto anche a sottostare alla dialisi cui è sottoposto dopo essere stato trapiantato di cuore ed essendo affetto da coronopatia ostruttiva (per coronarie chiuse all’80 per cento). Il particolare detenuto riferisce di essere tuttora in lista per un altro trapianto cardiaco e di rene. “In queste condizioni - aggiunge - non posso che fare una brutta fine. La giustizia, diceva Blaise Pascal, deve essere forte, ma prima ancora deve essere giusta e quello che sta accadendo è tutt’altro che giusto oltre che non accettabile che avvenga in uno stato di diritto. Nel mio caso il diritto alla salute non è garantito come dovrebbe essere a chi è accusato di un grave reato pur non ancora giuridicamente dimostrato”. Secondo le motivazioni con le quali sono state finora respinte le istanze di scarcerazione formulate attraverso l’avvocato Roberto Rallo l’indagato sarebbe ancora pericoloso e potrebbe commettere altri reati. Questo grido d’allarme (“il mio fragile stato fisico si va sempre più aggravando”) sarà esaminato e valutato dagli inquirenti sulla base delle informazioni fornite dal difensore mentre la rappresentante della Procura della Repubblica Ilda Boccassini sta lavorando per arrivare ad un processo col rito immediato visto che le prove contenute nel massiccio capo d’imputazione sarebbero chiare e inconfutabili. Nel corso del periodo di detenzione finora trascorso l’avvocato Giuseppe Neri è stato anche ricoverato al Policlinico di Milano per un attacco di broncopolmonite con febbre fino a 40 gradi. Superata la fase critica, il paziente è stato riportato in carcere nel centro clinico della struttura penitenziaria. Salerno: Pd; carceri non adeguate all’assistenza sanitaria, il diritto alla salute va garantito Il Velino, 14 dicembre 2010 I consiglieri regionali del Pd, Anna Petrone e Donato Pica hanno tenuto oggi una conferenza stampa al Grand Hotel di Salerno sulla situazione della sanità penitenziaria nei quattro istituti di pena di Salerno e provincia. Hanno partecipato anche Eleonora Amato (Dirigente Regione Campania - Presidente dell’Osservatorio regionale in materia), Massimo D’Andrea (dirigente referente per la Asl Salerno), i direttori dei distretti di Salerno, Eboli, Sala Consilina e Vallo della Lucania e i responsabili sanitari degli istituti di pena del salernitano. Durante l’incontro sono emerse le difficoltà attuative in materia, con competenze trasferite dal Ministero della Giustizia alla Regione Campania con il Dpcm primo aprile 2008, dovute in particolar modo alla garanzia del diritto alla salute dei detenuti con la difficile armonizzazione alle norme di sicurezza che i direttori degli istituti sono tenuti a rispettare. Inoltre i locali non adeguati, secondo i requisiti di legge, per l’espletamento di prestazioni sanitarie, la carenza di personale specialistico e la mancanza di attrezzature diagnostiche adeguate fanno sì che risulti particolarmente difficile garantire all’interno degli istituti l’adeguata assistenza sanitaria. Amato ha garantito che la Regione Campania, in tempi brevi, provvederà all’inserimento di un apposito modello organizzativo che possa garantire omogeneità di assistenza all’interno del prossimo Piano Sanitario Regionale, inoltre si sta provvedendo per la dimissione protetta dei detenuti presso gli Opg ed all’approvvigionamento di attrezzature specialistiche. I consiglieri regionali hanno dichiarato che tutto ciò avvenga in tempi certi e brevi perché non potrebbe essere oltremodo tollerato una inadeguata garanzia della dignità e della salute dei cittadini detenuti, inoltre impegnano il Commissario Straordinario della Asl Salerno a provvedere alla redazione di un adeguato protocollo operativo, da inserire nel nuovo Atto Aziendale, che regolamenti i rapporti tra i responsabili sanitari dei 4 istituti di pena del salernitano ed i distretti sanitari di competenza. “Vigileremo, dichiarano i consiglieri Pica e Petrone, sullo stato di attuazione della messa a regime della sanità penitenziaria nel salernitano facendo carico al Consiglio Regionale, se se ne dovesse ritenere la necessità, affinché intervenga alla rimozione di ostacoli che si dovessero frapporre tra l’obbligo della garanzia di un diritto e l’impedimento ad esercitarlo”. Pistoia: il Presidente dell’Ass. “Il Delfino”; nessuna critica alla Fondazione Cassa di Risparmio Il Tirreno, 14 dicembre 2010 A chiarimento e rettifica di quanto da voi pubblicato il 6 dicembre in cronaca di Pistoia col titolo “Negate le case per i detenuti”, nella mia veste di presidente e a nome di tutta l’associazione “Il Delfino” preciso quanto segue: 1) non ho mai rilasciato nessuna intervista all’estensore del pezzo, non l’ho mai autorizzato a pubblicare una nostra conversazione telefonica del giorno 3 dicembre 2010; 2) non ho assolutamente espresso un giudizio critico sulle decisioni prese dalla Fondazione Cassa di risparmio che è sempre stata generosa e comprensiva di fronte alle nostre necessità, ben consapevole che suddetta Fondazione è nel suo pieno diritto di scelta e di insindacabilità; 3) l’articolista è oltretutto nell’errore quando dichiara la finalità del nostro progetto che prevede la costruzione di monolocali per detenuti che a fine pena sono inseriti in un programma di lavoro e non per detenuti in permesso premio. Il presidente Adriano Mancini Lasciamo al presidente Mancini le sue opinioni. Aggiungiamo soltanto che l’articolista si era chiaramente qualificato prima di parlare con lui. Roma: riaprite la biblioteca degli ex detenuti, Erri De Luca tra i primi firmatari dell’appello La Repubblica, 14 dicembre 2010 La struttura a Casale di Ponte di Nona è il solo baluardo culturale nell’estrema periferia est della città. Anche il Nobel Dario Fo ha aderito alla mobilitazione. Lo scrittore Erri De Luca è stato il primo a sottoscrivere l’appello e a versare un contributo per non veder morire l’unica struttura in Italia creata, fuori dal carcere, da detenuti ed ex detenuti. Dal 2006 è anche la sola alternativa culturale nell’estrema periferia est di Roma, aggredita dal cemento e abbandonata nei servizi ma dal 19 novembre ha chiuso i battenti per mancanza di fondi. Il mondo della cultura, e non solo, si mobilità per quella che viene definita “una battaglia di civiltà”. Non sono tardati ad arrivare i sostegni degli scrittori Stefano Benni, Giancarlo De Cataldo e Valerio Evangelisti ma anche del sociologo Domenico De Masi, del costituzionalista Michele Ai nis, del Nobel perla letteratura Dario Fo e dell’attrice teatrale Franca Rame. “Basterebbero 45mila euro l’anno per sostenere il nostro progetto - spiega Vittorio Antonini, responsabile della biblioteca - ma negli ultimi tempi non abbiamo avuto un euro né dal Comune né dalla Regione. Tante parole ma nessuna risposta concreta, soltanto l’assessorato alle Politiche Sociali della Provincia di Roma ci ha aiutato e ci ha permesso di sopravvivere altri 4 mesi. Così abbiamo potuto incrementare, anche grazie alle donazioni di tanti cittadini, il nostro patrimonio librario di altri 2 mila volumi, arrivando così ad avere 7200 titoli catalogati in elettronico, consultabili e fruibili dai cittadini di ogni parte d’Italia”. Il progetto, nato nel 1996 dentro il carcere di Re - bibbia, è gestito dall’associazione culturale Papillon che è riuscita ad inserire il patrimonio di volumi nel Polo Bibliotecario dell’Università La Sapienza. La biblioteca è chiusa al pubblico, ma Vittorio insieme ad altri tre ex detenuti continua instancabilmente la catalogazione. Non hanno più luce, telefono e riscaldamento, anche il sito internet è stato disattivato perché non ci sono più soldi per mandarlo avanti. Molti gli appelli lanciati a marzo e a giugno di quest’anno per evitare la chiusura. Ma da Comune e Regione, un silenzio assordante. E Antonini aggiunge: “Anche le nostre richieste di avere le autorizzazioni necessarie per avviare alcune iniziative economiche che nel giro di un paio di anni ci rendano autonomi dalle risorse pubbliche, ad oggi non hanno ricevuto alcuna risposta concreta o almeno attendibile. Non sappiamo più cosa fare e ci appelliamo ai grandi della cultura”. Il Comune aiuterà la biblioteca La biblioteca di Casale di Ponte di Nona non ha mai ricevuto finanziamenti dal Comune e, oltretutto, nessuno me li ha mai chiesti”. Interviene l’assessore capitolino alla Cultura, Umberto Croppi sulla libreria gestita da detenuti ed ex detenuti nella periferia est che ha chiuso per mancanza di fondi e per la cui salvezza si è schierato il mondo della cultura da Erri De Luca a Dario Fo, da Stefano Benni a Franca Rame. La struttura non ha più i soldi per pagare le bollette né per rinnovare il contratto d’abbonamento del sito web. Così hanno aperto una sottoscrizione per riuscire a mandare avanti la biblioteca. Vittorio Antonini, ha lanciato un appello a Comune, Provincia e Regione. “Spero di incontrare presto chi gestisce la struttura per conoscere il progetto e capire come e se è possibile intervenire, ma ci tengo a sottolineare che non c’è stata alcuna cessazione di contributi perché dal Campidoglio non c’è mai stato nessun contributo”, continua Croppi. I responsabili della biblioteca hanno più volte contattato il gabinetto del sindaco, senza però aver avuto degli aiuti. “Il Comune - conclude Croppi - comunque già sta facendo qualcosa dando gratuitamente il casale all’associazione”. Roma: giovedì la presentazione del recital “Stoffe di silenzio”, per Aldo Bianzino Adnkronos, 14 dicembre 2010 L’associazione no-profit Alice in cerca di teatro, con Nessuno Tocchi Caino, A Buon Diritto, Ristretti Orizzonti e Articolo 21, nell’ambito del progetto “Parole oltre le sbarre”, presenta “Stoffe di silenzio” Per Aldo Bianzino, un Recital di e con Ugo De Vita che si ispira alla vicenda del 44enne morto nel 2007 nel carcere di Perugia in circostanze oscure, due giorni dopo il suo arresto. L’opera (tempo unico della durata di 55 minuti) si compone anche di un Video e di una Raccolta poetica. La presentazione si terrà giovedì 16 dicembre, alle ore 18, a Roma presso la Sala stampa della Camera dei deputati (via della Missione, 4) e vedrà la partecipazione di Rudra Bianzino, figlio di Aldo, e dei rappresentanti delle associazioni che hanno promosso l’iniziativa, tra cui la Tesoriera di Nessuno Tocchi Caino Elisabetta Zamparutti. Dopo il successo di “In morte segreta - Conoscenza di Stefano” in memoria di Stefano Cucchi, il recital per Aldo Bianzino è il secondo spettacolo di una trilogia di Ugo De Vita dedicata ai diritti dei detenuti, alla quale hanno dato il proprio sostegno anche i Garanti dei detenuti del Lazio e di Firenze. Durante la presentazione sarà mostrato il video (di 14 minuti), che propone una breve intervista a Rudra, mostrando i luoghi in cui visse la famiglia Bianzino prima di quella tragica alba dell’ottobre 2007, senza retorica e cogliendo le prospettive di un ragazzo diciassettenne che in soli tre anni e ha perso i suoi affetti più cari. L’autore, inoltre, leggerà alcuni brani del testo dello spettacolo e della raccolta poetica (Edizioni del Manto - Roma) “Vi è un popolo rozzo, ignorante, ottuso non ha colore, non ha divisa, lo puoi trovare al parcheggio, allo stadio, al supermercato o al distributore di benzina, in caserma, in ufficio o a scuola, per niente vive e per niente uccide, povero chi gli si para davanti nell’attimo indicibile e ignominioso, meschino davvero chi si mescola a quella schiera...” (da Stoffe di silenzio). Roma: Cisl; domani convegno sull’emergenza carceraria, presenti Alfano e Bonanni Agenparl, 14 dicembre 2010 “Si terrà domani, mercoledì 15 dicembre, a Roma presso l’Auditorium di Via Rieti dalle ore 9.30 alle 14.00, il Convegno organizzato dalla Cisl e dalla F.N.S. sul tema delicato dell’emergenza carceraria e sui provvedimenti in discussione per risolverla, per primo il sovraffollamento che rende invivibili le carceri sia per i detenuti che per il personale che vi opera con grande difficoltà. L’incontro sarà aperto da Gianni Baratta, Segretario confederale della Cisl e vedrà la partecipazione, tra gli altri, di Pompeo Mannone, Segretario generale Fns Cisl e di Franco Ionta, Capo Dipartimento Amministrazione penitenziaria. Previsto l’intervento del Ministro della Giustizia, Angelino Alfano. Concluderà la giornata, Raffaele Bonanni, Segretario generale della Cisl”. È quanto si legge in una nota della Cisl. Trani: Natale in carcere, concerti nei due penitenziari, libri e dolci alla Befana Ansa, 14 dicembre 2010 “Grazie per questo regalo, è stato emozionante, bellissimo. Mi ha riempito di gioia perché vuol dire che esiste un varco per arrivare a chi ha sbagliato, attraverso l’arte, la musica, strumenti importanti per il recupero delle persone e la loro integrazione sociale”. La frase è di una delle detenute del carcere femminile di Trani, che ha voluto così ringraziare, a nome delle altre 50 donne recluse nella struttura di piazza Plebiscito, il consigliere regionale Franco Pastore (Socialisti nel Sel), per lo spettacolo da lui organizzato e promosso, all’interno del carcere: un concerto a due pianoforti del Polaris Duo (Giuseppe Massarelli e Miro Abbaticchio), che ha eseguito un repertorio di musica classica e cinematografica, accompagnato dalle immagini della Puglia e di alcuni film proiettate su uno schermo. Pastore ha pensato anche ai detenuti del maschile dove, il 20 dicembre prossimo si terrà un altro concerto, con il cantante Nunzio Desiderio. In occasione dell’Epifania, invece, saranno distribuiti libri e dolciumi ai figli dei detenuti e delle detenute. “Regaleremo loro - conclude il consigliere - una bella storia in cui immedesimarsi e una calza colma di dolci”. Immigrazione: la crisi economica rallenta i flussi, in Italia entrano 100 mila stranieri in meno Corriere della Sera, 14 dicembre 2010 Era un sospetto, adesso è ufficiale: la crisi, tra i più deboli, ha colpito gli immigrati. Lo dicevano sindacalisti, operatori sociali, rappresentanti delle comunità straniere. Si avvertiva alle file per il rinnovo del permesso di soggiorno come alle mense popolari. Lo fissa ora il nuovo Rapporto sulle migrazioni della Fondazione Ismu, il XVI, ormai punto di riferimento nazionale per cifre e analisi sul fenomeno: “Il 2010 registra un notevole rallentamento dei flussi netti di immigrati in arrivo in Italia”. Il saldo dei nuovi iscritti all’anagrafe nel primo semestre di quest’anno è di 100 mila persone in meno una sottrazione del 40 per cento rispetto allo stesso periodo del 2007. Diminuisce la quota di chi sceglie l’Italia, aumenta il numero di quelli che se ne vanno. Una tendenza che inizia nella primavera del 2008, con i primi effetti della “difficile congiuntura economica” il rapporto la chiama apertamente in causa. E che per la prima volta viene concretamente misurata. In prospettiva, di qui al 2030: potrebbe continuare la flessione degli arrivi dall’Europa dell’Est, ma a compensarla potrebbero subentrare i flussi dall’Africa sub sahariana come segnala anche l’Onu. Che potrebbero innescare una nuova crescita. Già adesso, non si può parlare di un calo assoluto degli immigrati nel nostro Paese. L’Ismu li stima comunque in 5,3 milioni, di cui gli irregolari sarebbero 544 mila, 16 mila in meno rispetto al primo agosto 2009: “Uno dei livelli più bassi nella storia delle migrazioni”. Di tutti gli stranieri, uno su cinque è romeno, mezzo milione sono albanesi, altrettanti marocchini. Chi rimane è anche più radicato, meglio inserito, e ha portato in Italia coniuge e figli. Aumentano i nuclei familiari: 5 per cento in più tra 2005 e 2009. Diminuiscono gli alloggi stipati di connazionali senza legami di parentela. Ma il dato di maggiore “vivacità” riguarda i minori. Il dossier parla di “un vero e proprio boom”: mai così tanti i bambini stranieri in Italia, la stima al 31 dicembre 2010 è che superino il milione di 24 mila unità. Cifra triplicata rispetto al 2003 erano 353 mila. Con un aspetto rilevante - e un nuovo impulso al dibattito sulla riforma della cittadinanza, che ancora non riconosce lo ius solis - : il 60 per cento è nato in Italia. Un punto su cui insistono i ragazzi della Rete G2 - Seconde generazioni, premiati ieri dall’Ismu con il Riconoscimento 2010 perché “contribuiscono alla modernizzazione del nostro Paese e alla costruzione di una società più equa e quindi più democratica”. Con loro a ricevere la targa annuale, l’imprenditrice di origini filippine Noemi Manalo, 52 anni, che ha fondato la free - press da 50 mila copie Kabayan Times e inventato il concorso di Miss Filippine in Italia. Rappresentante di successo di un mondo del lavoro, che a sorpresa, nel complesso, per gli immigrati non registra solo dati negativi: sono il 10 per cento in più gli occupati stranieri, soprattutto donne. Per contro, la crescita dell’offerta fa lievitare la disoccupazione: più 40 per cento in un anno. Restano maggiori le possibilità di impiego al Nord, che assorbe il 60 per cento dei lavoratori. Nelle regioni settentrionali - Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte - si concentra anche la maggior parte degli studenti stranieri e il 65,5 per cento delle scuole che superano la soglia del 30 per cento degli alunni senza passaporto italiano. La giovinezza degli immigrati risulta salutare per il momento per il sistema del welfare degli anziani italiani. Il calcolo tra quanto ricevuto e quanto pagato al settore pubblico per i residenti non comunitari è negativo: meno 3000 euro annui rispetto agli “autoctoni”. Infine, il dato più delicato e suscettibile di polemiche: la devianza. Nel 2009 sono diminuiti gli stranieri denunciati dalle forze di polizia meno 13,9 per cento, che restano però un terzo del totale dei denunciati. Così come un terzo dei detenuti nelle celle italiane è immigrato. I ricercatori dell’Ismu, però, lo scrivono chiaramente, a evitare equivoci: “Irregolari non significa criminali, più immigrati non significa più delinquenza”. Immigrazione: i rifugiati in Italia sono 55 mila, dato tra i più bassi in Europa Asca, 14 dicembre 2010 L’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati compie oggi 60 anni. Nel mondo sono 43 milioni le persone costrette a movimenti forzati e per la maggior parte di esse (36.460.000) l’Unhcr ha dovere di assistenza. Si tratta di 15,2 milioni di rifugiati, 27,1 milioni di sfollati interni e 983 mila richiedenti asilo. In questo quadro l’Italia non gioca un ruolo fondamentale. Infatti, per numero di rifugiati che ospita si posiziona tra i ‘meno virtuosì in Europa, insieme alla Grecia. In particolare, attualmente i rifugiati in Italia sono 55 mila e nel 2009 nel paese sono state presentate circa 17 mila domande d’asilo (17.603, un dato quasi dimezzato rispetto al 2008 quando erano 30.492), cifre molto basse rispetto ad altri paesi dell’Unione Europea, in termini sia assoluti che relativi. A titolo di comparazione, la Germania accoglie quasi 600 mila rifugiati ed il Regno Unito circa 270 mila, mentre la Francia e i Paesi Bassi ne ospitano rispettivamente 200 mila e 80 mila. In Danimarca, Paesi Bassi e Svezia i rifugiati sono tra i 4 e i 9 ogni 1.000 abitanti, in Germania oltre 7, nel Regno Unito quasi 5, mentre in Italia appena 1 ogni 1.000 abitanti. Secondo gli ultimi dati del ministero dell’Interno nostrano, nel 2009 le istanze per lo status di rifugiato sono arrivate dall’Eritrea (411); Somalia (252) e Afghanistan (214). Per protezione sussidiaria: Somalia (2.193); Eritrea (914) e Afghanistan (501). Per protezione umanitaria: Nigeria (523); Turchia (140) e Ghana (127). Per assicurare che l’asilo in Europa non venga minacciato dalla tendenza ad applicare politiche di frontiera più restrittive, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha rivolto pochi giorni fa una richiesta agli Stati Membri dell’Unione Europea e a Frontex - l’Agenzia Europea per le Frontiere Esterne. Infatti, nello sforzo di arginare l’immigrazione irregolare, l’Unhcr ha sottolineato che l’Europa non deve dimenticare che tra coloro che cercano di entrare nell’Unione ci sono anche persone che hanno bisogno di protezione internazionale e le cui vite sono in pericolo. L’Unhcr ha dunque ricordato la differenza tra i migranti e i richiedenti asilo. Queste due categorie di persone hanno scopi e necessità differenti. I migranti sono alla ricerca di un’occupazione o di altre opportunità economiche, mentre i rifugiati sono persone in fuga dalla persecuzione e dalla violenza e non possono fare ritorno a casa finché la situazione nel loro paese non cambia. La prova di quanto sia diventato difficile trovare protezione in Europa risulta evidente analizzando i dati sugli arrivi via mare nel Mediterraneo centrale. L’Italia, la Grecia, Cipro e Malta, secondo i dati diffusi dall’Unhcr, hanno visto ridursi nettamente gli arrivi via mare negli ultimi due anni ed è certamente una conseguenza dei più rigidi controlli di frontiera, dei pattugliamenti congiunti e dei respingimenti in mare. L’Unhcr stima che circa 8.800 persone siano arrivate via mare in questi paesi nei primi 10 mesi di quest’anno, contro le 32 mila dello stesso periodo del 2009 - una diminuzione del 72,5%. Quasi i due terzi degli arrivi via mare del 2010 si sono verificati in Grecia, un terzo in Italia e i restanti a Malta e Cipro. Questo brusco calo non risolve il problema, ma semplicemente lo trasferisce altrove. Ciò è evidente considerando invece l’aumento repentino degli arrivi via terra nella regione greca di Evros. Ad Evros si sono registrati 38.992 arrivi nei primi 10 mesi di quest’anno, contro i 7.574 dello stesso periodo del 2009 - un incremento percentuale del 415%. L’Unhcr ha costantemente espresso le sue preoccupazioni sulla situazione umanitaria dei nuovi arrivati in Grecia e ha chiesto che l’Unione Europea aiuti questo paese affinché il suo sistema di asilo raggiunga gli standard adeguati. Un richiedente asilo che arriva in Grecia ha, infatti, scarse possibilità che la sua richiesta per ottenere lo status di rifugiato venga adeguatamente vagliata. Molte delle persone che arrivano in Grecia vengono detenute in condizioni estremamente difficili, e tra di loro ci sono anche minori non accompagnati e altre persone vulnerabili. La maggior parte di loro non ha accesso all’assistenza legale né ad un servizio di interpretariato. A fronte di questa situazione l’Unhcr ha ricordato che in tutto il mondo i fattori che costringono le persone a diventare rifugiate non sono in diminuzione. Nell’ambito dell’annuale High Commissioner’s Dialogue a Ginevra, l’Alto Commissario Antonio Guterres ha lanciato un nuovo appello per giungere ad accordi su una migliore suddivisione degli oneri con i paesi più poveri che ospitano i quattro quinti dei rifugiati nel mondo. Immigrazione: Amnesty condanna cooperazione dell’Ue con Libia; viola diritti umani Apcom, 14 dicembre 2010 Amnesty International condanna la cooperazione tra Libia e Unione europea per contrastare il flusso di migranti africani che cercano di raggiungere l’Europa, sottolineando come “migranti, profughi e richiedenti asilo che fuggono da persecuzioni e guerre rischiano la tortura e una detenzione illimitata durante la loro traversata in Libia”. “La tortura e altri abusi verso profughi, richiedenti asilo e migranti sono sistematici in Libia - denuncia Amnesty in un rapporto diffuso oggi - nonostante questo, a ottobre, la Commissione europea ha sottoscritto un’agenda di cooperazione con le autorità libiche sulla gestione dei flussi migratori e sul controllo delle frontiere fino al 2013, per la quale l’Ue verserà alla Libia 50 milioni di euro”. “L’Ue e i suoi Stati membri non devono chiudere gli occhi davanti alle continue violazioni dei diritti umani commesse in Libia, mentre trattano con la Libia per arginare il flusso di persone che arrivano in Europa dall’Africa del nord”, afferma Malcolm Smart, direttore di Amnesty per il Medio Oriente e l’Africa settentrionale. “In Libia, gli stranieri, inclusi rifugiati, richiedenti asilo e migranti sono particolarmente vulnerabili e vivono nella paura costante di essere arrestati e detenuti per lunghi periodi, torturati o sottoposti ad altri abusi - denuncia Smart - inoltre, molti temono di essere rispediti nei loro Paesi di origine, senza tenere in considerazione il rischio reale che finiscano vittime di persecuzione”. “È meglio morire in mare che tornare in Libia”, ha detto ad Amnesty una donna somala sbarcata a Malta nel luglio 2010. Stando a quanto riferito dalle autorità libiche, sono oltre tre milioni “i migranti irregolari” presenti nel Paese; Tripoli nega siano profughi. Profughi e richiedenti asilo non sanno neanche a chi rivolgersi per chiedere aiuto, aggiunge Amnesty, ricordando che la Libia non ha sottoscritto la Convenzione Onu sui rifugiati del 1951 e non ha un sistema di asilo. Lo scorso giugno, inoltre, le autorità di Tripoli hanno ordinato all’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) di sospendere le sue attività nel Paese. Immigrazione: Medici per i Diritti Umani denunciano; eritrei vittime di sequestri, torture e stupri www.linkontro.info, 14 dicembre 2010 Rifugiati e richiedenti asilo in fuga da conflitti, genocidi, carestie e torture affrontano un viaggio estremamente difficoltoso senza alcuna assistenza sanitaria. Migliaia di persone fuggono da Eritrea, Etiopia, Sudan e altri paesi africani in cerca di sicurezza e di protezione, passando per l’Egitto, in un ambiente ostile e insicuro. Una volta arrivati in Israele, vengono immediatamente detenuti, spesso per diversi giorni o settimane, e a volte anche per mesi. Dopo la detenzione, molte di queste persone arrivano alla Open Clinic di Medici per i Diritti Umani Israele (Phr - Israele) a Tel Aviv - Jaffa per ricevere assistenza per le malattie e i traumi sofferti durante il viaggio. L’Open Clinic è un centro medico aperto gestito da medici volontari israeliani che fornisce cure mediche a persone sfornite di qualsiasi copertura sanitaria e s’impegna in un’azione di advocacy presso il governo israeliano per garantire una migliore protezione a rifugiati, richiedenti asilo, ed altri gruppi di migranti. Nei mesi scorsi, il personale della clinica ha rilevato un numero crescente di richieste di interruzione volontaria della gravidanza da parte di donne provenienti dal Sinai. Nelle conversazioni con i medici, molte donne hanno confessato di essere state violentate prima di entrare in Israele. Su un totale di 165 interruzioni volontarie di gravidanza seguite dalla clinica tra gennaio - novembre 2010, Medici per i Diritti Umani - Israele stima che la metà siano state richieste da donne violentate nel Sinai. Nello stesso periodo, 1.303 donne sono state sottoposte a trattamenti ginecologici, la maggior parte dei quali resisi necessari a causa delle violenze subite nel Sinai. Le difficoltà affrontate nel Sinai hanno anche provocato un aumento del numero di pazienti assistiti presso i servizi riabilitativi della Open Clinic. Nei primi 11 mesi del 2010, 367 persone sono state sottoposte a trattamento ortopedico e 225 a fisioterapia. Ad oggi, PHR - Israele ha intervistato un totale di 167 persone provenienti da Eritrea ed Etiopia, Sudan, Costa d’Avorio Leone, Somalia, Nigeria, Ghana, Congo e Sierra, tra cui 108 uomini e 59 donne. I primi risultati mostrano che i rifugiati eritrei ed etiopi subiscono le maggiori violenze e quindi ai fini del presente documento, le loro risposte sono state analizzate separatamente. Il 94% degli eritrei ed etiopi ha riferito di essere stato privato di cibo e il 74% ha dichiarato di essere stato privato di acqua. Il fenomeno si è verificato anche tra gli altri rifugiati africani; l’80% è stato privato di cibo e il 53% è stato privato di acqua. Due settimane fa, il quotidiano israeliano Yediot Aharonot ha realizzato un approfondito reportage intitolato Desert Hell (Inferno Deserto) in cui Phr Israele denuncia le torture e gli abusi, ormai istituzionalizzati, subiti dai rifugiati (specialmente da quelli provenienti da Etiopia ed Eritrea), nel Sinai, durante il loro viaggio verso Israele. Secondo numerosi resoconti, gruppi di circa 200 - 300 eritrei sono portati nel Sinai, dove sono detenuti in container o aree recintate. I prigionieri sono sottoposti a tortura mediante percosse o bruciature, mentre i contrabbandieri chiamano i loro parenti chiedendo l’immediato trasferimento di denaro in cambio della garanzia per il rilascio e per il transito fino al confine con Israele. A causa delle ingenti somme richieste come riscatto, spesso sono necessarie settimane o addirittura mesi affinché i rifugiati possano raggiungere la frontiera. È durante questo periodo che le donne sono separate dal gruppo, detenute in ambienti appartati e sottoposte a ripetuti atti sessuali, abusi e stupri per mano dei loro rapitori. Mentre in precedenza alle vittime veniva richiesto di pagare tra i 2.500 - 3.000 dollari, attualmente la somma chiesta come riscatto è di 9.870 dollari. Secondo quanto è stato riferito a Phr - Israele da fonti vicine agli ostaggi attualmente sequestrati nel deserto, circa 220 persone sono attualmente detenute dai contrabbandieri in un ‘campo di torturà del Sinai. Al gruppo di 80 individui che sono arrivati un mese fa si sono aggiunti la scorsa settimana 140 profughi diretti verso Israele. Ogni rifugiato che entra in Israele è trattenuto in uno dei due centri di detenzione israeliani. Ad oggi, circa 2.000 rifugiati e richiedenti asilo, tra cui donne, bambini piccoli, e minori non accompagnati, sono attualmente trattenuti in strutture detentive israeliane. I profughi respinti da Israele in Egitto vengono poi rimpatriati nella maggior parte dei casi. I profughi catturati dalla polizia egiziana sia nel deserto sia al confine subiscono abusi fisici e sessuali, la detenzione e la deportazione verso i loro paesi d’origine. Medici per i Diritti Umani - Israele chiede alla comunità internazionale di appellarsi con forza al governo egiziano affinché vengano trovati e liberati i profughi attualmente detenuti a scopo di estorsione nel deserto del Sinai e al governo di Israele di assumersi la responsabilità per i rifugiati e i richiedenti asilo che attualmente risiedono all’interno dei suoi confini. Sud America: le carceri scoppiano per le leggi sulla droga di Giorgio Bignami Fuoriluogo, 14 dicembre 2010 Sembra proprio che non debbano esserci limiti ai disastri della guerra alle droghe, sulla quale ingrassa il narcotraffico con tutte le sue conseguenze: i mille morti al mese nel solo Messico; le carcerazioni massicce in molti paesi per reati minori o per trasgressioni che neanche dovrebbe essere previste dalle norme penali; il crescente traffico di armi sempre più potenti vendute dagli Usa ai narcotrafficanti, soprattutto quelli dell’America latina (al confronto la micidiale artiglieria esibita nel film dei fratelli Coen, “Non è un paese per vecchi”, è già diventata un gingillo come il nostro vecchio modello ‘91); il dilagare in tutte le città del mondo della acquisizione da parte delle organizzazioni criminali di ogni tipo di imprese e di esercizi a scopi di riciclaggio (in molti bar e ristoranti a Roma ormai non si contano più gli scontrini emessi a vuoto per “lavare” denaro sporco); e chi più ne ha più ne metta. Chi più ne ha più ne metta, giustappunto: l’ultimo grido di dolore il rapporto Systems Overload: Drug Laws and Prisons in Latin America, che riporta i risultati di una apposita ricerca del Transnational Institute (Tni) e del Washington Office on Latin America (Wola), del quale possiamo solo rapidamente sunteggiare i punti fondamentali, auspicando che il maggior numero possibile di lettori si rivolga all’originale di libero accesso. 1. Molti paesi dell’America latina hanno introdotto leggi fortemente proibizioniste solo in tempi relativamente recenti, sotto la forte pressione degli Usa e dell’Onu e, in alcuni paesi come l’Argentina e il Brasile, grazie all’ “aiutino” dei rispettivi periodi di regime dittatoriali. 2. In molti paesi la sproporzione tra le pene per reati minori (piccolo spaccio) o per violazioni che non dovrebbero essere considerati reati (detenzione per uso personale) e per reati anche gravi di diversa natura è arrivata a livelli difficilmente credibili: in Ecuador, per esempio, la pena massima per l’omicidio volontario è di 16 anni, un piccolo trafficante può beccare anche di più. 3. Le differenze tra le pene inflitte per i vari non - reati, per i reati minori e per i maxireati dei veri narcotrafficanti si fanno sempre più tenui. 4. In conseguenza, tra il 1992 e il 2007 c’è stato in media un raddoppio della popolazione carceraria, da 50 - 100 a 100 - 200 per 100.000 abitanti a seconda dei paesi. 5. L’abuso della detenzione in attesa di giudizio per reati di droga cresce rapidamente, molto più che per altri tipi di reati. 6. A chi viola le leggi sulla droga, anche in modo marginale, sono per lo più negate le pene alternative al carcere assai più spesso concesse ad altri detenuti. 7. Le condizioni in cui si trova la maggioranza dei detenuti sono indescrivibili: basti pensare che la cifra che lo stato spende quotidianamente per detenuto è di 0,80 $ in Bolivia, di 1,60 $ in Ecuador e di 2 $ in Perù. 8. L’elevato numero di detentori - consumatori in carcere ha aspetti tragicamente paradossali: vengono carcerati i consumatori di cannabis anche in paesi dove il possesso di piccole quantità non è illegale; questo, anche perché le leggi sono spesso poco chiare, mentre polizia e magistratura spesso non capiscono la differenza tra possesso per uso personale, piccolo e medio spaccio, e traffico alla grande; quindi cresce la caccia spietata al più visibile fumatore di spinelli. Aumentano così sempre di più le “liste d’attesa” nelle corti di giustizia e le detenzioni in attesa di giudizio. 9. Rende bene l’idea delle conseguenze di quanto sin qui riassunto il fatto che il 98% dei detenuti sono autori di non - reati o di reati minori, solo il 2% veri e propri narcotrafficanti. 10. Buona parte dei detenuti vengono dalle fasce socio - economicamente più deboli o addirittura da situazioni di profonda miseria. 11. Aumenta rapidamente il numero di detenuti donne e forestieri - corrieri e non - rispetto a frequenze che sino a tempi recenti erano assai più contenute per queste categorie. 12. Ultima voce di questa “sporca dozzina”: i ricercatori del TNI e del WOLA hanno dovuto sudare sette camicie per ottenere i dati che servivano per il rapporto, incontrando per lo più forti resistenze a tutti i livelli ufficiali e non ufficiali. Angola: governo si impegna per migliorare le condizioni di vita dei detenuti Agiafro, 14 dicembre 2010 Il ministero dell’Interno dell’Angola ha reso noto che i 18mila detenuti dei 38 penitenziari del Paese ricevono assistenza alimentare e trattamenti sanitari nel rispetto dei diritti umani. Sempre secondo il ministero per ogni detenuto lo Stato angolano spende 15 dollari al giorno: “si tratta di circa 100 milioni di dollari ogni anno - dicono al ministero - valore che dimostra gli sforzi del governo per la promozione di condizioni di vita più accettabili per i detenuti”. Un membro della Commissione intersettoriale per l’elaborazione del rapporto sui diritti dell’uomo, Armindo Deliciano Aurelio, ha confermato che il governo “ha messo in campo azioni tese a preservare la dignità dei prigionieri, a partire dal rispetto dei diritti umani” a vantaggio anche dell’integrazione nella società degli ex galeotti.