Giustizia: tra pochi giorni il via all’operazione svuota-carceri di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 12 dicembre 2010 Ancora pochi giorni e poi le porte del carcere potranno aprirsi per 6mila detenuti. Da giovedì sarà infatti in vigore la legge che ammette agli arresti domiciliari chi ha ancora da scontare un anno o meno di pena. A volere sottolineare solo l’impatto sulla presenza nelle carceri, si tratterà comunque di una boccata d’ossigeno, comunque importante per la tenuta di un sistema da tempo in drammatica sofferenza: secondo gli ultimi dati disponibili sono 69.155 i detenuti a fronte di “soli” 44.874 posti regolamentari. Due numeri di per se stessi assai eloquenti quanto a condizioni di vita negli istituti di pena. A essere interessati dalla misura, secondo le informazioni del Dap, saranno circa 9.600 detenuti, ma poi, per effetto delle preclusioni, il numero di coloro che saranno effettivamente destinati a passare il rimanente della pena a domicilio sarà inferiore. La legge, la n. 199 (in “Gazzetta Ufficiale” n. 281 del 1° dicembre), è stata votata da un’ampia e trasversale maggioranza e si propone di affrontare alcune delle situazioni che rendono tristemente tipica la nostra realtà carceraria. Da una parte il fatto che una percentuale sempre maggiore dei condannati alla detenzione si trova a scontare pene da un anno in giù, dall’altra la sempre più forte difficoltà nell’assicurare la funzione rieducativa della pena, che ci espone tra l’altro a ripetute condanne da parte della corte europea dei diritti dell’uomo (da ultimo e tra le più significative, Sulejmanovic contro Italia, sentenza 16 luglio 2009, con il nostro paese condannato per il limitato spazio fisico a disposizione nelle celle). Ma la misura per svuotare almeno parzialmente gli istituti di pena è poi solo uno degli elementi per affrontare l’emergenza; l’altro, e principale, è rappresentato dalla costruzione di nuove carceri, secondo un’agenda che prevede di completare entro il 2012 venti nuovi padiglioni in altrettanti vecchi istituti e la costruzione di 11 nuovi penitenziari per un totale di spesa di 660 milioni, coperti per 500 dalla finanziaria 2010 e i rimanenti dai capitoli di bilancio del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dai fondi della cassa delle ammende. Già nei prossimi mesi alcuni nuovi padiglioni saranno operativi, ad esempio in Lombardia. Quanto invece alla misura introdotta per allargare la detenzione a domicilio, il provvedimento fa tesoro di quanto la Corte costituzionale scrisse nel 2006 bocciando parte delle norme sul cosiddetto “indultino”: la sospensione della pena nel limite di due anni non poteva essere concessa sulla base di un semplice automatismo che non permetteva di fatto la valutazione di ogni singolo caso. Così, adesso saranno i tribunali di sorveglianza a essere messi sotto pressione per valutare la richiesta di scarcerazione e il passaggio ai domiciliari. E a dovere risolvere una delle principali difficoltà applicative, e cioè l’identificazione di un luogo dove far scontare il residuo della pena a cittadini stranieri per i quali l’identificazione di un domicilio non è facile. Tanto è vero che la legge in alternativa al domicilio si riferisce a “luoghi pubblici o privati di cura e assistenza”. Un passaggio davanti all’autorità giudiziaria sarà così necessario. Tenendo presente che la legge stabilisce un nutrito pacchetto di divieti. La concessione degli arresti domiciliari non sarà possibile per tutti i delinquenti abituali, per chi si è reso colpevole di reati particolarmente gravi (per esempio terrorismo, criminalità organizzata, omicidio volontario, rapina ed estorsione aggravata, violenza sessuale di gruppo) e in tutti i casi in cui il giudice ritiene probabile una fuga o un ritorno al crimine. A rafforzare le misure deterrenti, la legge ha anche previsto un inasprimento delle sanzioni per l’evasione applicabile anche in caso di allontanamento dall’abitazione dell’interessato. Come pure è introdotta un’aggravante a carico di commette un reato non colposo durante il periodo in cui era ammesso a una misura alternativa al carcere. I numeri dell’operazione Il numero dei detenuti presenti nelle carceri che hanno ancora un anno oppure di meno da scontare prima di arrivare alla scarcerazione è di circa 9.600, di cui 4.500 stranieri. Ma il numero di coloro che alla fine potranno effettivamente usufruire della possibilità degli arresti domiciliari dovrebbe attestarsi intorno a quota 6mila. Tra i casi più complessi quelli degli stranieri per i quali andrà individuata una sede dove potere passare il residuo della pena: possibile il ricorso alle strutture residenziali allestite da parte di organizzazioni del mondo non profit. Nelle carceri sono attualmente presenti 69.155 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare negli istituti di pena di 44.874. Gli stranieri sono in tutto 25.383 e le donne 3.033. La legge che entrerà in vigore giovedì permetterà l’assunzione di 1.800 nuovi agenti di polizia pentenziaria per colmare i vuoti in organico, mentre il piano, che vede commissario straordinario il capo del Dap, Franco Ionta, prevede la costruzione di 11 nuove carceri e l’aggiunta in strutture già esistenti di altri 20 nuovi padiglioni per un costo complessivo di 660 milioni di euro in gran parte stanziati nella finanziaria 2010. Gli ammessi e gli esclusi La legge n. 199 del 2010 che sarà in vigore a partire da giovedì apre ai detenuti che hanno 12 mesi o meno di 12 mesi di pena detentiva da passare in carcere le porte dei penitenziari permettendo gli arresti domiciliari. Potranno usufruirne anche i detenuti recidivi. La possibilità sarà operativa sino a tutto il 2013 in attesa del completamento del piano carceri. La legge poi fa riferimento non solo al domicilio come posto dove passare la pena residua, ma anche al luogo pubblico o privato di assistenza o accoglienza, ammettendo il ricorso a strutture non profit per i detenuti tossicodipendenti o stranieri. La nuova legge non può essere applicata a chi è stato giudicato come delinquente abituale, professionale o per tendenza sulla base delle disposizioni del Codice penale e a quelli sottoposti al regime di sorveglianza particolare disciplinato dall’ordinamento penitenziario a carico di chi ha mantenuto condotte particolarmente violente all’interno delle carceri. Beneficio vietato anche nel caso sia concreto, a giudizio del magistrato di sorveglianza che dovrà valutare ogni situazione, il pericolo di fuga (sono state inasprite le sanzioni per le evasioni) Gli arresti domiciliari in sostituzione di pene detentive pari o inferiori a 12 mesi saranno vietati quando il reato per il quale è stata pronunciata la condanna è particolarmente grave. Nulla da fare, per esempio, in caso di omicidio volontario, terrorismo, associazione criminale, violenza sessuale. Non potranno accedere al beneficio, inoltre, tutti coloro che il magistrato di sorveglianza, per qualsiasi ragione, sospetta potrebbero tornare a delinquere e anche i condannati per i quali sarà impossibile individuare un domicilio effettivo e idoneo. Giustizia: Giovanni Tamburino; così sarà più facile attuare percorsi di reinserimento Il Sole 24 Ore, 12 dicembre 2010 Una legge che permetterà un reinserimento forse meno difficile al termine della pena. Non solo una misura emergenziale per Giovanni Tamburino, presidente del tribunale di sorveglianza di Roma. Presidente Tamburino avete fatto una verifica sul numero dei detenuti interessati dal provvedimento? In questo siamo stati favoriti dal fatto che i contenuti della legge sono noti già da prima dell’estate quando, tra l’altro, sembrava potesse essere approvata anche in tempi più rapidi di quelli che si sono rivelati poi necessari. In ogni caso, per la regione Lazio il numero dei detenuti coinvolti varia da un minimo di 400 a un massimo di 600. Penso che alla fine ci attesteremo intorno ai 500 sugli oltre seimila detenuti ora presenti. Tutt’altro che uno “svuota-carceri”. Con problemi di gestione? Non tanto dal punto di vista quantitativo. Tenga conto che sono presenti nell’ufficio 12 magistrati di sorveglianza. In media dovremmo avere quindi circa una cinquantina di casi a testa. Pur tenendo conto che questi casi vanno ad aggiungersi al pesante carico preesistente, penso che riusciremo a gestirlo anche perché abbiamo già provveduto a dividere di massima i fascicoli in due grandi aree sulla base del diverso grado di difficoltà che presentano nella trattazione. Quali le sembrano le situazioni più complesse o che richiederanno comunque un lavoro più ampio? Innanzitutto quelle di detenuti stranieri o extracomunitari, per i quali non sempre è facile l’identificazione di un luogo dove potranno scontare la parte residua di pena. Su questo punto contiamo molto sulla collaborazione con organizzazioni di volontariato o enti nonprofit. Non c’è il rischio che la messa in libertà di qualche migliaio di detenuti sia vissuta dall’opinione pubblica come una riedizione dell’indulto in spregio alle necessità di sicurezza? In ogni caso la valutazione di pericolosità è sempre affidata al magistrato e la stessa legge fìssa condizioni molto chiare, vietando gli arresti domiciliari sia per i condannati per alcuni reati specifici sia per chi è considerato delinquente abituale. In più sono fissate sanzioni più severe per chi torna a delinquere o evade. Giustizia: Luigi Pagano; misure opportune che sono applicabili anche a chi è recidivo Il Sole 24 Ore, 12 dicembre 2010 “Nessun indulto mascherato. Semmai una misura opportuna che va ad aggiungersi ad altre che provano a cambiare il profilo del sistema carcerario. Il provveditore alle carceri della Lombardia, Luigi Pagano, ex direttore di San Vittore, smorza le polemiche. Dottor Pagano, la. legge ha sollevato già preoccupazioni per l’abbandono del carcere da parte di migliaia di detenuti... Non credo siano fondate. Non ci sarà nessun effetto clamoroso. Si tratta piuttosto di una misura alternativa al carcere che si applicherà almeno per i prossimi 3 anni anche a chi risultava sinora escluso per altre ragioni. Penso, per esempio, ai detenuti tossicodipendenti che avevano già potuto usufruire per 2 volte di benefici in sostituzione della detenzione, oppure ai recidivi La leggo piuttosto insieme ad altri interventi come quelli che stiamo avviando in Lombardia, come il recente bando di un milione di euro, varato con fondazione Cariplo e Regione, a favore delle organizzazioni di volontariato per favorire il reinserimento oppure ai progetti di housing sociale. Ritiene che i tribunali di sorveglianza saranno in grado di fronteggiare la situazione e di assicurare un controllo approfondito delle varie posizioni? Penso di sì. In Lombardia gli interessati dovrebbero essere circa 1.400, ma penso che i giudici, che operano non dimentichiamolo in regime monocratico, senza necessità di costituzione di un collegio, in collaborazione con le amministrazioni delle carceri, potranno fornire una risposta tempestiva ed efficace. Ci saranno situazioni che avranno bisogno di un maggiore approfondimento, come quelle degli stranieri senza dimora, ma la legge prevede una nozione di alloggio molto allargata, tale da comprendere anche soluzioni residenziali offerte anche dal privato sociale. E, quanto agli interventi sulle strutture, a che punto siamo? Il piano carceri inizierà a pieno regime nel corso del 2011, ma posso anticipare che già a metà dell’anno prossimo saremo in grado di aprire 3 nuovi reparti in aggiunta a quelli esistenti a Pavia, Voghera e Cremona per un totale di 600 posti. Giustizia: la legge svuota-carceri entra in vigore, il commento dell’Ucpi di Mauro W. Giannini www.osservatoriosullalegalita.org, 12 dicembre 2010 È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il d.d.l. Alfano, cosiddetto “svuota carceri”, che disciplina l’esecuzione della pena detentiva non superiore ad un anno presso il domicilio del condannato. Secondo stime del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, aggiornate all’estate 2010, 11.444 detenuti si trovavano reclusi per sentenze di condanna passate in giudicato a pene inferiori ad un anno di reclusione. La Giunta dell’Unione Camere Penali e l’Osservatorio Carcere dell’Ucpi hanno commentato la nuova legge affermando che i dati inducono fortemente a dubitare “che la stima dei futuri beneficiari della novella, indicata in 7.000 unità dal relatore, Senatore Balboni, a fronte delle attuali presenze, superiori a 69.0000, possa rivelarsi effettiva. Analisi non ufficiali parlano di dati assolutamente inferiori, poco più di 2000 unità, previsione che quindi inciderà in maniera irrisoria e marginale sul cronico e crescente sovraffollamento carcerario”. Pur salutando con favore un provvedimento “che, comunque indica un segnale di inversione di tendenza nella politica legislativa del governo in materia penitenziaria e che, anche se solo momentaneamente e in minima parte, consentirà di ridurre la popolazione carceraria, evidenzia, ad una prima analisi del testo, alcune criticità”, per i penalisti “Sono senza dubbio da sottolineare negativamente le preclusioni di cui all’art.1, comma II°”. Nel dettaglio, “Alla lett. a), sono esclusi i soggetti condannati per i delitti di cui all’art. 4 bis ord. pen. L’Ucpi ha da sempre sostenuto che il vero scardinamento del sistema della funzione rieducativa della pena costituzionalmente previsto va individuato nell’introduzione nel nostro ordinamento dell’art. 4 bis della legge di ordinamento penitenziario. A riprova di ciò basti riflettere sulla circostanza che la citata norma è quella che in assoluto ha subito il maggior numero di censure dalla Corte Costituzionale che però, nonostante i molteplici interventi modificativi, non è riuscita a neutralizzarne la portata “eversiva”. Analoghe considerazioni vanno fatte per l’ipotesi di cui alla lett. b) che esclude i delinquenti abituali, professionali o per tendenza. La lettera c) esclude l’applicabilità ai soggetti sottoposti a regime di sorveglianza speciale. Tale esclusione implica alcune considerazioni sia in merito alla ambiguità della formulazione che non individua in modo certo l’arco temporale entro il quale la sottoposizione a tale regime dovrebbe essere presa in considerazione per dichiarare l’inammissibilità del beneficio in esame, sia in relazione alla concreta possibilità che il regime della sorveglianza particolare venga applicato anche in presenza di singole condotte turbative dell’ordine e della sicurezza e non, come il legislatore indica attraverso l’uso del plurale, di comportamenti reiterati, non occasionali né episodici”. Infine, per ciò che riguarda le circostanze di cui alla lettera d), per i penalisti “si assiste ad un confuso richiamo ad ipotesi previste dall’art.274, lett. b) e c) c.p.p., anche prevedendosi una valutazione sulla idoneità ed effettività del domicilio in funzione delle esigenze di tutela delle pp.oo. Il primo requisito richiesto, per come formulato dalla norma, lascia enormi margini di discrezionalità in capo a chi è deputato a redigere il verbale di accertamento. Difatti, non essendo presenti dei parametri legati ad elementi oggettivi, vi è il serio rischio che il giudizio sull’idoneità del domicilio possa essere influenzato da convincimenti, peggio ancora, pregiudizi, del tutto soggettivi che potrebbero portare a metri di giudizio diversi dinanzi a situazioni analoghe. Per ciò che concerne il secondo requisito, l’effettività del domicilio, questo sembra precludere, di fatto, la possibilità di accesso a tutti coloro che potrebbero godere di disponibilità non anagraficamente riscontrabili. Si pensi, ad esempio, ai detenuti extracomunitari, i quali, in considerazione dei reati per i quali vengono più frequentemente condannati e dell’esiguità delle pene previste, potrebbero beneficiare, in astratto, in gran numero degli effetti del decreto, ma, in concreto, per le loro oggettive condizioni di vita, si troveranno nella situazione di non poter usufruire del beneficio. Pertanto a meno di non prevedere forti interventi volti a garantire chi non ha risorse per accedere alla stessa, l’esito della norma sarà quello di far fruire di questa detenzione domiciliare coloro che avrebbero potuto beneficiare comunque di altre misure e non quello di ammettere coloro che a quelle misure non avrebbero mai potuto avere accesso”. Fra gli altri rilievi dell’Ucpi, non è chiaro “chi ed in quali tempi dovrà redigere il verbale di accertamento dell’idoneità del domicilio che deve corredare la richiesta di cui all’art.1, comma III° trasmessa dal pm al Magistrato di Sorveglianza. Non si comprendono i motivi per i quali la Direzione dell’Istituto ove si trova il detenuto debba trasmettere una relazione sulla condotta tenuta durante la detenzione al Magistrato di Sorveglianza. Non pare secondario evidenziare come detta previsione rischi di allungare di molto i tempi per l’esame della richiesta, soprattutto ove dovesse ritenersi che debbano essere trasmesse le relazioni da tutti gli istituti nei quali il condannato sia stato eventualmente in precedenza recluso. Si può positivamente apprezzare come il ddl consenta anche a coloro i quali siano stati dichiarati recidivi ex art.99 comma IV c.p.p. di accedere alla detenzione presso il domicilio, ed altrettanto l’esplicita esclusione del comma 7 bis dell’art.58 quater O.P. da parte dell’art.1, comma VIII del ddl, il che consente che il beneficio possa essere concesso più di una volta per i condannati ai quali sia stata applicata la recidiva di cui all’art.99 comma IV c.p. È apprezzabile la riduzione del termine previsto dall’art.69 bis O.P., termine che, peraltro, non essendo perentorio, risulta costantemente disatteso”. “Sono assolutamente non condivisibili - secondo la Giunta Ucpi - gli inasprimenti di pena previsti con le modifiche all’art. 385 del codice penale, introdotte con l’art.2, che aggraveranno, nel tempo, posizioni giuridiche di soggetti per lo più tossicodipendenti per i quali l’effetto deterrente ipotizzato non sempre opera. Altresì deprecabile l’introduzione con l’art.3 di un’ulteriore circostanza aggravante, quella dell’art. 61 n. 11 quater anch’essa destinata ad incidere sulla quantificazione di pene che andranno, inevitabilmente espiate in carcere con conseguente ulteriore aggravio futuro sul sovraffollamento degli istituti penitenziari. Il ddl non prevede un rafforzamento del personale Uepe, malgrado l’aggravio dei compiti per gli interventi di sostegno e controllo, previsti dall’art.1 comma VI., nel mentre, invece, prevede un aumento di organico del Corpo di Polizia Penitenziaria; pur potendosi apprezzare la previsione, anche a vantaggio del personale, oggi soggetto a turni e condizioni lavorative mortificanti, si evidenzia come detto adeguamento non si leghi in alcun modo a specifiche previsioni trattamentali. Infine, preso atto dell’esclusione nell’attuale testo, di tutte le ipotesi di sospensione e messa alla prova inserite nella versione primigenia, non può che valutarsi negativamente la circostanza, pur con i limiti in cui tale misura era prevista”. Alla luce di tutto ciò la Giunta dell’Unione delle Camere Penali e l’Osservatorio Carcere auspicano che “vengano poste in essere le condizioni, anche con il coinvolgimento degli Enti locali, per dare attuazione alla misura in questione, ricordando che, secondo dati ufficiali, la concessione di misure alternative abbassa drasticamente il tasso di recidiva e che l’unica via possibile per la soluzione del problema del sovraffollamento carcerario è e rimane la reale applicazione della legge Gozzini, e ciò anche in un’ottica di tutela della sicurezza della collettività. Si auspica, altresì, che la già limitata portata deflattiva del ddl non venga vanificata ulteriormente da rigide interpretazioni della Magistratura di Sorveglianza”. Giustizia: l’ennesima soluzione emergenziale per non affrontare i problemi delle carceri di Riccardo Polidoro (Presidente “Il Carcere Possibile Onlus”) Ristretti Orizzonti, 12 dicembre 2010 Il 16 dicembre prossimo, entrerà in vigore la legge 199/2010, così detta “svuotacarceri”, che sarà applicabile non oltre il 31 dicembre 2013. La norma prevede l’esecuzione presso il proprio domicilio delle pene detentive non superiori a un anno. Alcuni opinionisti l’hanno definita un “indulto occulto”. Sia il nome dato alla legge, che la predetta definizione sono lontanissimi dalla realtà, da ciò che, in concreto, avverrà nei prossimi giorni o sarebbe meglio dire mesi. Innanzitutto non può essere fatto alcun paragone con l’indulto, se non per quanto riguarda la ragione di emanazione dei due provvedimenti: entrambi dovuti all’eccessivo sovraffollamento delle carceri, vengono emanati perché lo Stato non è in grado di ospitare negli Istituti di Pena un numero superiore di persone. Ma, detto questo, la “detenzione domiciliare” non equivale alla “libertà” che si ottiene con l’indulto. È certo meglio del carcere, ma è pur sempre una modalità di esecuzione della pena. In caso di evasione dagli arresti domiciliari, è stato previsto un inasprimento della pena fino a 6 anni. Quanto all’effettivo raggiungimento dello scopo, cioè quello di “svuotare” le carceri, la legge, nel lungo dibattito parlamentare, è stata davvero “svuotata” rispetto all’iniziale progetto e sono state poste alcune condizioni che rendono la norma applicabile a pochissimi detenuti. La procedura prevista coinvolge l’Amministrazione Penitenziaria e il Tribunale di Sorveglianza, già gravati da un eccessivo carico di lavoro e con personale ridotto. Per fare subito dei numeri: per quanto riguarda la Regione Campania, che ha una capienza regolamentare dei suoi Istituti pari a 5.527 unità e ospita 7.977 detenuti (dato al 30 novembre 2010), potrebbero usufruire della legge, non più di 400 detenuti; di questi 400, circa 240 sono rinchiusi nella Casa Circondariale di Poggioreale. Istituto che ha una capienza tollerabile di 1300 persone e attualmente le presenze sono 2700. Se pure dovessero effettivamente uscire i 240 detenuti previsti, si arriverebbe comunque ad un sovraffollamento di + 1160 persone. Tale minima riduzione raggiunta, comunque inefficace a migliorare le tremende condizioni di vivibilità, sarebbe, inoltre, in pochissimo tempo annullata, dai nuovi ingressi, che hanno un andamento in continua crescita. Ma qual è la procedura prevista e quali sono i tempi ? Sono esclusi dal beneficio i condannati per taluno dei delitti indicati all’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario, i delinquenti abituali, professionali o per tendenza; i detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare o quando vi è concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga ovvero sussistono specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti. Quando la pena è ancora da eseguire e non è superiore a 12 mesi, la Procura, se la persona interessata non può usufruire di altre soluzioni alternative, sospende l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e trasmette gli atti, senza ritardo, al Magistrato di Sorveglianza, affinché disponga che la pena venga eseguita presso il domicilio. Se la persona è già detenuta (con pena detentiva da scontare non superiore a 12 mesi, anche se costituente pena residua di maggiore pena), può inoltrare richiesta, anche tramite difensore (ma lo può fare anche l’Ufficio di Procura), al Magistrato di Sorveglianza. La Direzione dell’Istituto trasmette a quest’ultimo, la relazione sulla condotta tenuta durante la detenzione. In entrambi i casi (quello della persona ancora non detenuta, ma che deve scontare un solo anno di pena; quello del detenuto che deve scontare una pena residua di un anno), la richiesta deve essere accompagnata da un “verbale di accertamento d’ idoneità” del domicilio prescelto. La legge non identifica esplicitamente chi dovrà accertare l’idoneità del domicilio, ma tale incombenza dovrebbe ricadere sul personale dell’Amministrazione Penitenziaria e, in particolare, sul locale Ufficio dell’Esecuzione Penale Esterna (UEPE). Inoltre non viene specificato in che cosa dovrebbe consistere l’idoneità, cioè a quali parametri essa debba riferirsi. L’unica certezza è che l’Amministrazione Penitenziaria è già carente di personale e non sarà certo agevole svolgere questo nuovo compito, che non consiste in un parere, ma in un “verbale” in cui dovranno essere specificate le ragioni perché il domicilio venga ritenuto o meno idoneo a ospitare il detenuto. Tale attività dovrà prevedere almeno un accesso sul posto e la verifica dell’immobile e delle condizioni generali di sicurezza. I tempi per ottenere il verbale non saranno brevi. A ciò si aggiunge che il Magistrato di Sorveglianza dovrà verificare le condizioni soggettive di applicabilità del provvedimento, valutare cioè se vi è concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga ovvero se sussistono specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti. Giudizio questo che comporta necessariamente un minimo studio degli atti del processo in cui è stata emanata la sentenza di condanna. I tempi, dunque, anche in questo caso non saranno brevi e soprattutto, degli ipotetici effettivi destinatari del beneficio, ne resteranno pochi. I previsti 400 per la Regione Campania, diminuiranno ancora e le carceri resteranno sovraffollate e custodi di una pena forse non più certa, ma sicuramente illegale. La nuova legge, dunque, risponde alla consueta logica emergenziale che guida, da sempre, i provvedimenti in tema di detenzione. Non vi è un’effettiva volontà politica di affrontare l’emergenza carceraria, che meriterebbe, invece, un intervento strutturale sulle norme di diritto sostanziale e procedurale, un maggior ricorso a sanzioni diverse dal carcere e alle pene alternative, come da tempo sostenuto dall’Avvocatura. Giustizia: contro la svuota-carceri commercianti e comitati; “la pena deve essere certa” di Eleonora Bianchini, David Perluigi e Federico Simonelli Il Fatto Quotidiano, 12 dicembre 2010 I tassisti: “Di questo passo non andremo più a votare”. I commercianti: “Basta alle leggi sull’onda dell’emergenza”. I comitati di quartiere: “È un incentivo alle azioni criminose”. E la Guardia padana si chiude in un secco “no comment”. Lo stupore è unanime, anche se la notizia del mini-indulto inserito nel ddl Alfano (in vigore dal 16 dicembre) non è circolata sui media e sono in molti a non sapere nulla del provvedimento. Commercianti, guardia padana, rondisti, comitato dei tassisti: sono tante le associazioni che fanno della “sicurezza”, intesa come rischio-microcriminalità, la propria bandiera. Questo governo ha sempre cavalcato e alimentato il problema, giocando proprio sulla pena “inadeguata” per chi commette rapine negli esercizi pubblici, furti in abitazione o altri reati violenti. Slogan e attacchi politici che alla fine, però, si sono tradotti in un provvedimento che prevede, per i detenuti condannati in via definitiva, di scontare l’ultimo anno ai domiciliari, spostando di fatto da tre a quattro anni il periodo di condanna che non viene scontato in carcere. Che diventano sette anni per i reati coperti da indulto. Una misura che pochi mesi fa (era il 6 maggio), veniva stigmatizzata anche dal ministro Roberto Maroni. “Noi non siamo in grado di controllare le circa 10 mila persone che, ora, se fosse approvato il ddl, andrebbero ai domiciliari - confidò all’Ansa dal Cairo - la metà è costituita da stranieri e molti sono clandestini, senza casa. Dove dovrebbero scontare i domiciliari?”. Bella domanda. Sondando le opinioni sul territorio, fra operatori, commercianti e volontari delle cosiddette “ronde” istituite dal ministro Maroni, quello che colpisce immediatamente è che nessuno sa molto del mini-indulto inserito nel ddl Alfano. Appresa la notizia, però, le reazioni sono sorprese, salvo qualche no comment dettato probabilmente dalla prudenza politica di associazioni vicine alla Lega Nord, che ancora più del Pdl incarna il controsenso. “Bene, vorrà dire che con questo provvedimento si ingrosseranno le fila del partito del non voto”. Lo afferma Corrado Fanelli, presidente di Assotaxi, una delle più grandi associazioni di tassisti italiani. “Siamo passati - continua Fanelli - dall’indulto del governo Prodi a quest’altro provvedimento assurdo che dovrebbe supplire al sovraffollamento delle carceri. Se questo fosse il Paese della certezza della pena potremmo anche comprenderlo, ma sappiamo che così non è”. Assotaxi rievoca l’ultima vicenda di cronaca, accaduta a Milano : “Il collega ucciso è la prova di quanto noi siamo esposti al rischio di rapine e aggressioni. Dal 2007 giriamo con una proposta che ogni anno rinnoviamo al Parlamento italiano sulla messa in sicurezza con sistemi di videosorveglianza delle aree posteggio taxi collegati alle questure, soprattutto di notte quando si fanno vivi tossici e balordi. Ma non sono mai arrivati riscontri”. “Io innanzitutto sono per la certezza della pena” spiega Luca Squeri, presidente della commissione sicurezza e legalità di Confcommercio e assessore al Bilancio della Provincia di Milano. “Se questo provvedimento - continua - rientra nel rispetto di questo principio, ha come effetto positivo quello di andare incontro al problema del sovraffollamento delle carceri. Comunque mi auguro che ci siano anche una serie di vincoli, per esempio quello della buona condotta”. Ma i commercianti non temono un impatto diretto per la sicurezza sulle loro attività? “Se il provvedimento non viene vissuto - spiega Squeri - come uno sconto approssimativo e grossolano di una giusta pena inflitta io credo che sia sensato pensare a pene alternative come i domiciliari.” Staremo a vedere. E dire che Squeri non è proprio uno che va giù leggero. Nel 2008, commentando i fatti di Nicolosi, dove un gioielliere sparò durante una colluttazione e uccise due rapinatori, ferendone un terzo dichiarò: “Piena solidarietà a chi è stato costretto a difendere la propria moglie e se stesso dall’ennesimo assalto criminale. Io al suo posto, fossi stato armato, avrei fatto lo stesso”. I commercianti, comunque, non sono tutti d’accordo sulla linea morbida rispetto al mini-indulto. “Ci risiamo con le leggi emanate sull’onda dell’emergenza. Eravamo contrari all’indulto e lo siamo anche su questo provvedimento”. Lo dice Lino Busà, presidente di Sos imprese, che fa capo a Confesercenti. “Sostanzialmente - aggiunge - non è diminuito il numero delle rapine negli ultimi due anni e questo provvedimento che garanzie ci dà? Eravamo a 40mila rapine nel 2008 e la cifra è la stessa per il 2009, teniamo conto che il 30-40 per cento delle rapine sono a danno proprio degli esercizi commerciali. Poi c’è un altro problema che va rilevato ed è quello dei dati statistici sulla sicurezza, sempre più difficili da reperire. E sempre meno raccontati dai media”. Più cauto Stefano Bartoli, direttore generale Federazione Italiana Tabaccai: “Non ci esprimiamo su questo provvedimento del mini-indulto, vediamo come e se sarà finalizzato. Siamo per le pene certe, questo possiamo dirlo. Quello che constatiamo è che noi tabaccai, 56mila in tutta Italia siamo sempre più esposti a furti e rapine. Questo perché il denaro che muoviamo è sempre di più, visti i servizi ai cittadini che le tabaccherie rendono”. Ma non sono solo i commercianti ad agitare il tema della sicurezza. C’è anche il mondo delle cosiddette “ronde padane”, istituzionalizzate nel pacchetto sicurezza con il nome di “osservatori volontari per la sicurezza”. Secondo Renato Zeppa, ex maresciallo dei carabinieri e responsabile dei volontari per la sicurezza di Varazze, una delle poche associazioni di controllo (non vogliono essere chiamati ronde) presenti sul territorio italiano, “il provvedimento non toccherà tanto noi, quanto i carabinieri e la polizia. Certo - continua Zeppa, riproponendo l’obiezione sollevata a maggio dal ministro dell’Interno - bisogna domandarsi se le forze di polizia come numero saranno in grado di controllare tutte queste persone ai domiciliari. Già ci sono stazioni dei carabinieri che hanno problemi a controllare 3-4 persone. Se se ne aggiungono, che so, dieci, voglio vedere come fanno. Inoltre una misura del genere dovrebbe andare di pari passo con politiche di reinserimento”. Perplesso anche Angelo Amoruso, istruttore di arti marziali, titolare della omonima associazione di volontari “Amoruso, aiuto, solidarietà e sicurezza”. Amoruso è stato uno dei primi in Italia a presentarsi al primo corso per “osservatori volontari”, che si è tenuto a ottobre a Varese, e ci tiene a sottolineare che la sua non è una ronda, ma un gruppo di persone che presidiano il territorio e al massimo possono segnalare alle forze di polizia. “Certo qualche preoccupazione la abbiamo - ammette - anche per la nostra sicurezza, ma bisognerà stare a vedere come si sviluppa la faccenda. Chiaro che mettere fuori la gente così è forse un po’ azzardato. Noi comunque faremo del nostro meglio, abbiamo già lavorato a dei progetti di reinserimento con dei ragazzi segnalati dal tribunale dei minori”. Secco “no comment”, invece, dai volontari della Guardia Nazionale Padana. “Noi ci occupiamo di attività legate alla protezione civile e non alla sicurezza, quello non è il nostro campo. L’unica emergenza che abbiamo in questo momento è quella della neve”. Un’altra realtà che spinge sul problema della micro-criminalità è quella dei comitati civici e di quartiere, soprattutto quando si tratta di realtà periferiche delle grandi città. Ilfattoquotidiano.it ha contattato tre responsabili di altrettante associazioni milanesi. Nettamente contraria al mini-indulto è Fabiola Minoletti portavoce del comitato Abruzzi-Piccinni (contro la prostituzione nel quartiere): “Questa è una pessima notizia. Da questo governo a avevamo aspettative maggiori sul tema della sicurezza e in particolare sulla lotta alla prostituzione. Ma la proposta della Carfagna del 2008 è stata un flop e giace ferma alla Camera, probabilmente imboscata. In particolare, chi si fa garante della sicurezza come la Lega, deve mantenere le promesse e dimostrarle con i fatti. Siamo stanchi di passerelle in campagna elettorale. Siamo inorriditi da questo provvedimento e temiamo la degenarazione”. Altrettanto negativo è il commento di Raffaella Piccinni, del comitato “Riprendiamoci Milano” per la lotta all’immigrazione clandestina: “Questo governo, e in particolare la Lega, cavalca i problemi ma non ha la volontà di risolverli. Credo che abbiano un programma per la campagna elettorale e un altro, occulto, per quando sono al governo”. Sulle incongruenze della Lega punta anche Vittorio Cavenaghi presidente comitato “Vivi Casoretto” che, sempre a Milano, si occupa della sicurezza sul territorio. Cavenaghi, però, nonostante il giudizio negativo sul mini-indulto, considera positivo l’impegno del governo e della Lega sulla sicurezza: “Questo mini indulto a mio avviso è una scelta infelice, allontanare ancor di più la certezza della pena significa incentivare le azioni criminose. Credo che, da parte della Lega sia stato un obbedisco alla Garibaldi fatto per Berlusconi, ma dal punto di vista della sicurezza credo che Maroni finora, con la lotta all’immigrazione e alla camorra, abbia mantenuto le promesse elettorali”. Giustizia: in calo il numero dei suicidi in carcere; bene, ma non c'è da cantar vittoria La Repubblica, 12 dicembre 2010 In un anno, da 72 sono scesi a 61. Ma un terzo dei detenuti morti in dieci anni si sono tolti la vita. E' il risultato in sintesi di uno dei numerose analisi di Ristretti Orizzonti. Un dato positivo, certamente, ma che suscita qualche scetticismo anche al Dipartimento per l'Amministrazione Penitenziaria, che avrebbe invece interesse a valorizzare l'azione preventiva, comunque messa in atto. C'è stato un calo dei suicidi in carcere, rispetto all'anno scorso: da 72 sono scesi a 61. Ma resta un fatto che oltre un terzo dei detenuti morti in dieci anni si sono suicidati. E' il risultato in sintesi di uno dei numerosi monitoraggi di Ristretti Orizzonti. Lungi dal tranquillizzare, questo dato induce invece alla cautela, sottolinea l'organo di informazione on line portavoce del mondo del volontariato che ruota attorno all'istituzione penitenziaria italiana. Sono 160 i detenuti morti nelle carceri della Penisola, tra gennaio e novembre 2010, oltre un terzo dei quali, appunto, si sono tolti la vita in cella, secondo il monitoraggio svolto, con il Dossier "Morire di carcere", realizzato da Ristretti Orizzonti, con il contributo del Centro di documentazione dell'istituto penitenziario "Due palazzi" di Padova, gestito dagli stessi detenuti. Un dato che, a meno di una inauspicato aumento nel periodo natalizio, non dovrebbe crescere di molto. In dieci anni - rileva ancora il Dossier - nelle carceri italiane sono morti oltre 1.700 detenuti, 621 dei quali suicidi. Scettico anche il Dap. Quello che però più colpisce, ad una prima lettura, è il calo di fronte al quale però nessuno è disposto a cantare vittoria, a partire dagli stessi rappresenti di Ristretti Orizzonti, che si dichiarano scettici circa l'esistenza di una controtendenza o di un'effettiva diminuzione o nel fenomeno. Preferiscono infatti attribuire il calo al caso, ricordando che è comunque necessario attendere la fine dell'anno e che solo allora sarà possibile fare una riflessione più ponderata. Ma neppure il Dap (Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria) - che pure potrebbe attribuire il decremento all'efficacia alla campagna di prevenzione dei suicidi promossa a partire dall'inizio del 2009 - crede che il calo sia reale. I dati del Dap sui suicidi nel 2009 sono, infatti, diversi da quelli registrati da Ristretti Orizzonti: 58 contro 72. L'equivoco delle morti con il gas. Questo perché alcuni decessi catalogati come suicidi da Ristretti Orizzonti venivano classificati come morte naturale dal Dap. Tipico è il caso delle morti per inalazione di gas dai fornelletti da cucina: una pratica che, a seconda di come la si legge, può essere considerata come scelta consapevole di rinuncia alla vita o come forma "alternativa" di assunzione di stupefacenti sfociata in un'overdose involontaria. Le incidenze dei suicidi negli ultimi due anni appaiono comunque significative se confrontate con l'aumento costante di presenze in carcere: nel 2009 la presenza media (tra gennaio e dicembre) è stata di circa 62mila detenuti, mentre nel 2010 è stata di poco più di 67 mila. Usando questo parametro si avrebbe un calo anche se per il 2009 si prendesse per buono il dato del Dap. Tale interpretazione però è contestata dallo stesso Dap, secondo il quale le incidenze vanno calcolate sui flussi e non sul totale delle presenze in un determinato anno. E il flusso è rimasto pressoché inalterato negli ultimi venti anni (circa 90 mila entrate e uscite l'anno). Il confronto con l'Europa. ll presidente dell'associazione Antigone 3 - l'associazione di volontariato per i diritti e le garanzie nel sistema penale - commenta i dati di Ristretti Orizzonti: "Quest'anno maggiore attenzione al tema dei suicidi, ma la prevenzione non diventi una ulteriore forma di afflizione. Non ci sono scostamenti tali da indurci a credere ad un'inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti". Con queste parole il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, commenta i dati dell'ultimo Dossier. E invita alla prudenza. Su questo problema l'Italia non si discosta dalla media europea che vede il suicidio di 10 detenuti ogni 10 mila, ricorda Gonnella. "Abbiamo un dato nella media dei grandi paesi dell'Europa - precisa - anche se l'Italia ha un tasso di suicidi fuori dal carcere più basso rispetto ad altri". Quello che colpisce allora è il rapporto "particolarmente impressionante" tra i suicidi in carcere e quelli fuori dal carcere: "Da noi ci si ammazza in carcere circa 18 o 19 volte di più di quanto ci si ammazzi fuori". Comunque un fatto positivo. Una volta fatte le dovute precisazioni, il calo dei suicidi in carcere attestato da Ristretti Orizzonti rappresenta comunque un "elemento positivo", anche se è difficile individuarne le ragioni: potrebbe trattarsi dell'effetto delle politiche ministeriali, come di una casualità, come ancora della diversa classificazione di un decesso come morte naturale anziché come suicidio. Ma la prudenza non è mai troppa: "Non siamo ancora giunti alla fine dell'anno - avverte Gonnella - e si sa che durante le feste ci si ammazza di più. Non solo perché sono i momenti di maggiore solitudine, ma anche perché c'è meno personale. E molti tentativi non arrivano al suicidio proprio perché il personale interviene in tempo per impedirlo". Detto questo, "l'ultimo anno è stato un anno di maggiore attenzione pubblica e mediatica intorno al tema carcere in generale e al tema delle morti in carcere in particolare - ammette il presidente di Antigone - cosa questa che può aver indotto le singole direzioni a maggiore cautela e maggiore controllo rispetto alle persone più a rischio di suicidio". Giustizia: la corruzione al potere, una storia da raccontare di Antonio Turri Terra, 12 dicembre 2010 È il tratto distintivo di buona parte della classe dirigente del nostro Paese. Il 10% dei detenuti italiani sono in carcere per reati di malaffare e sperpero di denaro pubblico. I protagonisti dei reati di corruzione, concussione e di delitti contro la pubblica amministrazione sono, nella quasi totalità, personaggi riconducibili alla classe dirigente del Paese. I colletti bianchi. La corruzione è il tratto distintivo di settori della politica, della pubblica amministrazione e dell’imprenditoria. Se si analizzano le statistiche del ministero della Giustizia sulla tipologia dei reati contestati ai detenuti nelle carceri italiane al 31 dicembre 2009, si scoprirà che il totale delle donne e degli uomini che rispondono di queste violazioni sono oltre il 10%. Un dato non da poco. Un richiamo all’etica nei comportamenti delle classi dirigenti viene dal nuovo presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, che ha dichiarato: “Gli episodi di corruzione e dissipazione delle risorse pubbliche, talvolta di provenienza comunitaria, persistono e preoccupano i cittadini ma anche le istituzioni il cui prestigio ed affidabilità sono messi a dura prova da condotte individuali riprovevoli”. Una affermazione che non lascia dubbi sul danno che il malaffare reca al bene comune. L’analisi sulla situazione non rende bene l’idea di quanto siano una palla al piede per lo sviluppo del Paese la corruzione e quanti si rendano colpevoli di tale reato. Sono i fatti della cronaca giudiziaria a definire la situazione. Dagli appalti per la ricostruzione de l’Aquila, alle vicende relative alla protezione civile in materia di grandi eventi, così come, quelli “storici” dell’era tangentopoli. Una storia da raccontare è quella del processo per tangenti a pubblici amministratori e operatori sanitari da parte di imprenditori, durante gli anni della Prima repubblica. Tale vicenda è da prendere ad esempio di come, sin dagli anni ‘90, nulla sia cambiato. Anzi. Era il marzo del 1994, quando la Polizia scoprì un vasto giro di tangenti sulla fornitura di apparecchiature elettromedicali alle Unità sanitarie della Regione Lazio e del resto d’Italia. Le indagini individuarono un imprenditore toscano che, per conto di una multinazionale del settore, aveva venduto ad un ospedale pubblico una costosa macchina utilizzata per il trattamento della calcolosi renale. Lo stesso macchinario venduto alle cliniche private di Roma veniva pagato circa 900 milioni di lire, mentre alla Usl era costato circa 1200 milioni. La somma eccedente era stata devoluta, secondo l’accusa, ad un politico influente e ad un medico dell’ospedale. Nel corso dell’arresto dell’imprenditore, la polizia trovò lettere riconducibili a Licio Gelli e scoprì i contatti tra il “mercante” di apparecchiature mediche e la massoneria deviata. Il politico patteggiò la pena e ha continuato a candidarsi e a farsi eleggere nei diversi partiti nati nella Seconda repubblica che, per la potenzialità del consenso elettorale di cui dispone, se lo contendono. La vicenda può forse spiegare perché non è mai passata una legge organica sulla corruzione e perché non è ancora possibile sequestrare i beni ai corrotti. Pordenone: la storia infinita del nuovo carcere e la “necessità di un nemico” di Anilo Castellarin Messaggero Veneto, 12 dicembre 2010 La storia infinita del nuovo carcere di Pordenone non finisce più. Quando sembrava che l’iter per la sua costruzione potesse finalmente partire, si è alzata la solita manina dicendo: per noi non va bene, dobbiamo ridiscutere l’opera. A Pordenone, il carcere e anche l’ospedale nuovo hanno subito lo stesso destino, anni e anni di discussioni e zero risultati. Ora il carcere in Comina non piace più alla Lega, anche se i suoi esponenti in giunta regionale avevano dato il loro assenso. E così, l’attuale ospedale e il carcere stanno invecchiando inesorabilmente, i cittadini ingrigiscono, ma le nuove opere sono ferme. Il capogruppo in Consiglio regionale Narduzzi ha dichiarato a tal proposito: “Realizzare un carcere da 450 posti, vuol dire prevedere, visto l’affollamento degli edifici carcerari, 800 detenuti. È una cosa insostenibile”. Continuando poi: “(...) Fermo restando che, secondo me, è meglio realizzare carceri all’estero visto che sono pieni di extracomunitari”. Incredibile, uno dei massimi esponenti della Lega friulana, si esprime come un avventore di un bar. Parlare alla pancia dei propri elettori come fa Narduzzi, è davvero deprimente. Un tempo, indicavano nei “terroni” la causa di tutti i mali del Nord. Qualcuno era arrivato a chiedere che i professori in Fvg conoscessero la parlata locale. Altri scrivevano sui muri: “Forza Etna”. Da tempo è arrivato il contrordine “padani”: ora i nostri nemici sono gli immigrati specialmente di fede islamica. E così arriviamo alla mostruosità del pensiero dello statista roveredano: senza gli immigrati l’Italia non avrebbe bisogno di costruire nuove prigioni. Secondo il suo pensiero, gli italiani delinquono poco. Indicare il nemico negli immigrati, regolari e no, oppure di altre fedi religiose, sono metodi degni di quella buonanima di Goebbels. Sono le dittature che trovano un nemico da indicare ai propri cittadini per nascondere le proprie manchevolezze. E così, questa Lega, invece di trovare soluzioni su questo grave problema, solletica gli spiriti animali presenti in ognuno di noi. Usa una strategia comunicativa, come fosse all’opposizione mentre è ben salda al governo a Roma, nelle Regioni e nei Comuni da quasi un decennio. La legge sull’immigrazione è chiamata: Bossi - Fini, vorrà pur dire qualcosa. Eppure, in regione, Narduzzi, Fontanini e compagnia cantando, sono sempre lì a ricordarci che la causa dei nostri mali è l’immigrazione selvaggia causata dal buonismo “cattocomunista”. Secondo la loro propaganda, i nemici sono i poveri cristi venuti in Europa molte volte per scappare dalle guerre e dalla miseria. Invece io penso che i veri nemici da combattere siano altri. I veri nemici del nostro Paese sono le “cricche”, le varie mafie, quella dei colletti bianchi, la politica politicante collusa con la malavita organizzata, che hanno e stanno depredando l’Italia. Siamo uno Stato tra i più corrotti al mondo, mentre sulla libertà d’informazione siamo tra le ultime posizioni. Secondo la Corte dei Conti, la corruzione costa 60 miliardi di euro l’anno agli italiani. La camorra, la ‘ndrangheta e cosa nostra, fatturano dai 130 ai 150 miliardi l’anno. E questi politicanti leghisti continuano a dirci che i mali della nostra società sono gli immigrati. Venezia: carceri più umane con il lavoro; se ne è parlato in un convegno La Nuova di Venezia, 12 dicembre 2010 “Nel Veneto funzionano carceri che sarebbero da chiudere, dove la dignità della persona non esiste”. “Le condizioni di vivibilità all’interno di Santa Maria Maggiore sono discutibili, ma i detenuti sono bravi, nonostante le condizioni difficili in cui vivono hanno ancora speranza, ho visto tanta solidarietà e dignità tra loro”. A parlare così non è un cappellano del carcere o uno degli avvocati della difesa, ma la prima affermazione è di una dirigente del Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria del Veneto Angela Venezia, mentre la seconda è della direttrice di Santa Maria Maggiore Irene Iannucci. Sono intervenute al dibattito organizzato dalla cooperativa Il Cerchio e moderato dal suo presidente Gianni Trevisan sull’impatto nelle carceri veneziane della nuova legge che permette ai detenuti di scontare l’ultimo anno di pena a casa, in detenzione domiciliare. “Una legge che ha avuto un consenso quasi unanime - ha spiegato il senatrore Pd Felice Casson - ma che è partita con il piede sbagliato, visto che non c’è alcuna previsione di spesa da parte del governo per sostenerla. Comunque, questa è la strada da battere sicuramente, ma è solo un primo passo e insufficiente: tutti devono convincersi, per farlo basta guardare le statistiche, che l’inserimento sociale, il lavoro per i detenuti e per quelli in semilibertà produce sicurezza, visto che chi esce e lavora non commette più reati”. La direttrice di Santa Maria Maggiore ha spiegato che per il carcere maschile veneziano la legge non produrrà cambiamenti sostanziali e ha fornito i dati che lo spiegano: ci sono attualmente 350 detenuti e - ha aggiunto - “spesso devo fare aggiungere materassi per terra per far dormire chi arriva perché nei primi undici mesi del 2010 ci sono state 1020 entrate e ben 770 degli arrestati sono rimasti a Santa Maria Maggiore solo tre giorni”. Inoltre, la maggior parte non sono detenuti definitivi e quindi non possono godere dei benefici. La direttrice del femminile della Giudecca Gabriella Straffi ha aggiunto che saranno una trentina su 100 le detenute che potranno usufruire della nuova norma, ma ha spiegato che per fare in modo che non ricomincino a delinquere sono necessari per loro alloggi e lavoro. La vicepresidente del Cerchio ha raccontato che la cooperativa ormai da lavoro a 140 persone stabilmente (altre 30 sono occupate modo saltuario), sono ex carcerati, detenuti in semilibertà, ma anche licenziati o cassaintegrati. Quindi, ha sottolineato l’importanza del lavoro socialmente utile in collegamento con gli enti locali. Ha poi parlato l’avvocato Angelo Pozzan, responsabile Giustizia del Pd veneto. “Nel 2009 nelle carceri ci sono stati ben 71 suicidi, nel 2010 sono già 55, le carceri italiane anche a causa del sovraffollamento, non sono degne di un paese civile”. Ha quindi proposto misure deterrenti per diminuire gli arresti: abolire il reato di immigrazione clandestina; depenalizzare alcune norme della Bossi-Fini; varare una vera sanatoria in modo che diminuisca la clandestinità, una condizione che facilita la commissione di reati. Infine, Teresa Dal Bordo, della segreteria veneziana della Cgil, ha ricordato anche il disagio e le difficoltà in cui operano gli agenti della Polizia penitenziaria. Lamezia Terme: progetto “La legalità cresce sui banchi di scuola”; più conoscenza e meno carceri www.lameziaweb.biz, 12 dicembre 2010 In un tripudio di studenti di tutta la Calabria si è concluso ieri nel centro Agroalimentare di Lamezia Terme il progetto “La legalità cresce sui banchi di scuola: giovani giornalisti in azione”, promosso dalla Commissione della Regione Calabria per l’emersione del lavoro non regolare, presieduta da Benedetto Di Iacovo e patrocinato dalla presidenza della Repubblica, dal ministero della Giustizia, dalla presidenza della Giunta regionale, dagli assessorati regionali al Lavoro e all’Istruzione con i relativi Dipartimenti, e supportato dall’Istituto scolastico regionale e dall’Ordine dei giornalisti della Calabria. La carovana della legalità partita da Cosenza ha interessato molte altre località delle cinque province calabresi e coinvolto 17 istituti scolastici. Nel corso di questi incontri è stato consegnato agli studenti, insieme al vademecum della regolarità, un questionario in forma anonima per rilevare conoscenze e tendenze degli studenti rispetto al fenomeno del lavoro non regolare e appreso che in Calabria 200mila persone, tra cui 52 mila minori, lavorano in nero, un problema dilagante che colpisce aziende e lavoratori che sfuggono ai controlli di Inail-Inps Inpdap e Drl, oltre alle forze dell’ordine. Gli studenti che hanno partecipato al progetto sono stati formati da un pool di giornalisti per la realizzazione dei reportage che sono stati presentati ieri. In questi reportage i ragazzi e le ragazze si raccontano, riportano le proprie esperienze e rivolgono domande ai rappresentanti delle varie Istituzioni. I racconti fatti dagli studenti indicano come questi ragazzi sono stati già provati da esperienze negative sul fronte del lavoro nero e dello sfruttamento giovanile. Esperienze amare che segnano la giovane età e le speranze ma che, per come emerso dai filmati, non intendono soccombere. E il progetto ha mirato proprio a questo. Innescare consapevolezza, nei giovani, la cultura della legalità, del diritto e delle regole. Una iniziativa di grande valore culturale e sociale con lo scopo di formare le nuove classi dirigenti e la società del domani. Una fase formativa che, attraverso la conoscenza di norme, regole, procedure e comportamenti, all’insegna della correttezza e della legalità, acquisiscano gli strumenti per comprendere, analizzare e giudicare. Tante le domande poste dai ragazzi al presidente del Consiglio regionale Franco Talarico, agli assessori regionali Stillitani e Caligiuri, ai capi Dipartimento Zoccali e Calvetta, al presidente della Commissione regionale Antimafia Salvatore Magrò, al prefetto di Catanzaro Giuseppina Di Rosa, al Commissario Calabria lavoro, a don Pino De Masi della curia vescovile di Oppido-Palmi. Al presidente della Giunta regionale, sei ragazzi, in rappresentanza delle scuole coinvolte, hanno chiesto: come contrastare il lavoro nero e le illegalità diffuse; come rendere egualitario i lavoro tra uomini e donne; come rispettare i diritti e come osservare i doveri; come attivare posti di lavoro; come contrastare le mafie e i capolarati. Scopelliti ha risposto a tutti assicurando i giovani che l’impegno della regione è cambiare timbro, combattere il clientelismo e l’assistenzialismo; contrastare con ogni mezzo il lavoro nero e le tante discrasie del mondo del lavoro; contrastare ogni forma di illegalità con azioni di trasparenza e di corretta amministrazione; con l’attivazione di politiche attive per il lavoro che prevedano percorsi adeguati anche per l’occupazione giovanile e femminile; con una burocrazia efficiente e snella, ma anche capace; incentivando il mondo delle imprese serie e che operano nel solco della legalità. “Ma serve anche - ha sottolineato Scopelliti - che voi giovani sappiate essere osservatori attenti, rigorosi e pronti a reclamare i vostri diritti”. Giovani soddisfatti per una esperienza importante e per un percorso formativo che li ha resi più consapevoli. Nell’occasione sono stati consegnati due speciali Premi di Rappresentanza assegnati al progetto dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e conferiti rispettivamente al presidente Scopelliti, per “l’impegno nella promozione del lavoro regolare che sta caratterizzando il suo mandato e per aver voluto in Calabria la sede dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati alla mafia”, e al procuratore generale Salvatore Di Landro per “l’impegno profuso ogni giorno, in prima linea, nella lotta alla criminalità”. Di Landro, rivolto ai giovani, ha voluto sottolineare che “per ogni scuola che si apre un carcere si chiude”. Piacevoli e apprezzati dai giovani lo spazio dedicato alla musica con il gruppo Sugar Free e alla satira con il duo Battaglia e Miseri che sono riusciti a strappare applausi e risate e non solo dai giovani. Mercoledì prossimo, il presidente Scopelliti e il presidente Di Iacovo con un gruppo di studenti saranno ospiti a Uno Mattina. L’evento sarà ripreso anche dalle reti di Mediaset. Sulmona: “Evadenda”, un libro di cucina scritto dai detenuti dall’Alta Sicurezza Il Centro, 12 dicembre 2010 Sfogliando le sue pagine si può scoprire come si prepara un vero babà napoletano, il pasticcio con radicchio rosso di Treviso e la pignulata siciliana, tipico dolce di Carnevale. Non è un semplice libro di ricette: “Evadenda 2011” è un’originalissima agenda realizzata da diciannove detenuti, in regime di massima sicurezza, del super carcere di via Lamaccio. Un viaggio immaginario e gastronomico attraverso l’Italia e le sue tradizioni, in particolare, delle regioni di provenienza dei detenuti. Tra una ricetta e l’altra, inoltre, sono state annotati pensieri, poesie e illustrazioni che vanno ad arricchire il volume e lo trasformano in uno spaccato di vita interessante. Il progetto è stato realizzato insieme ai docenti dell’istituto comprensivo Lombardo Radice-Ovidio che svolgono, in carcere, i corsi di scuola elementare e media. Ieri, nell’aula magna della scuola di viale Togliatti, “Evadenda 2011” (che è stata realizzata con il sostegno degli sponsor Coselp e Vip Center) è stata presentata alla città. Con il ricavato della vendita (l’agenda si può acquistare in libreria e nei banchetti Unicef), infatti, sarà ampliata la biblioteca del carcere cittadino e, al riguardo, è in programma una cerimonia mercoledì alle 15. “Il ruolo della scuola” è intervenuto il dirigente scolastico Enea Di Ianni “non è solo insegnare, ma anche creare sogni e, in particolare, i detenuti non devono soltanto espiare una pena ma riconquistarsi la libertà. L’iniziativa è stata voluta e sostenuta dai docenti e dagli allievi-detenuti”. Emozionato anche il direttore del carcere di via Lamaccio, Sergio Romice che ha ribadito l’impegno dei detenuti. “Si tratta” ha aggiunto Romice “di persone detenute nel reparto di massima sicurezza che hanno svolto un ottimo lavoro e che, quotidianamente, si impegnano per migliorare seguendo i corsi scolastici e le tante attività collaterali organizzate in carcere”. Roma: SOS dall’Ass. Papillon, costretta a chiudere biblioteca e sito internet per mancanza di fondi Liberazione, 12 dicembre 2010 L’Associazione Papillon-Rebibbia Onlus ha bisogno di aiuto. La biblioteca del Casale di Ponte di Nona a Roma, creata nel 2006 e gestita dall’Associazione, ha chiuso il 19 novembre i servizi al pubblico, perché non ha più disponibilità economiche neanche per le utenze; anche il sito internet, strumento essenziale di collegamento tra la drammatica realtà delle carceri e il mondo esterno, non è più attivo per mancanza di fondi. La biblioteca rappresenta la possibilità di un’alternativa culturale praticabile per gli ormai 18mila abitanti del quartiere. Con i suoi 7.200 volumi e la lunga serie di attività culturali e ludiche promosse dall’Associazione, è una risorsa preziosa e un potenziale luogo di aggregazione e di condivisione per tutti gli abitanti della zona. La biblioteca è gestita da detenuti, ex detenuti e volontari, che dal 1996 collaborano per promuovere il rispetto della dignità e dei diritti dei reclusi, favorirne la reintegrazione nella società e sensibilizzare l’opinione pubblica su questi temi. L’Associazione sta utilizzando tutti i mezzi in suo possesso per richiamare l’attenzione dalle istituzioni competenti. Per continuare a far vivere la biblioteca e riattivare il sito web dell’Associazione: c/c bancario (intestato all’Associazione Papillon) Iban IT93K0501803200000000103525, Banca Popolare Etica, Filiale di Roma - via Parigi 17, 00185 Roma; conto Postepay (intestato a Mirko Del Medico, presidente Associazione Papillon) 4023600595737463. Egitto: profughi eritrei, nel Sinai, ripresa la mattanza di Viviana Daloiso Avvenire, 12 dicembre 2010 Nel più tragico dei modi, è ripresa la mattanza dei 250 eritrei profughi nel Sinai, tenuti in ostaggio da una banda di predoni. Due “diaconi” ortodossi, accusati di aver lanciato l’allarme sulla loro sorte, sono stati uccisi sabato. Altri profughi, secondo le informazioni giunte in Europa, si trovano in fin di vita. Vengono picchiati selvaggiamente e da qualche giorno non hanno più acqua. La situazione, dunque, sembra essere precipitata. Intanto il ministro degli Esteri egiziano Ahmed Abul Gheit sabato sera si è detto “sorpreso” sulle affermazioni “europee” circa un gruppo di eritrei tenuto in ostaggio in Sinai, chiedendosi se “politici e circoli religiosi europei” che hanno parlato della questione “abbiano dati confermati sui nomi degli ostaggi e sul luogo dove sono detenuti”. Lo riferisce l’agenzia Mena. Rispondendo alle domande dei giornalisti, Abul Gheit ha spiegato che il ministero dell’Interno è in continuo contatto con quello degli esteri e che “non ha alcuna informazione al riguardo”. Il capo della diplomazia egiziana ha riferito però anche che il ministero dell’interno ha informato che un gruppo di eritrei ha tentato di arrivare in Italia e che, dopo essere stato fermato, è stato rimandato in Libia. Almeno 83 di loro, ha proseguito, si è infiltrato in Egitto ed ha cercato di attraversare il canale di Suez, senza riuscirvi. Abul Gheit ha aggiunto che ci sono tentativi per fare entrare clandestinamente immigrati nel Sinai per arrivare in Israele, ma che il governo egiziano fa del suo meglio per prevenire questo fenomeno. La vicenda Venerdì mattina i predoni che tengono in catene da un mese i 250 profughi africani nel Sinai hanno fatto irruzione nel covo e se ne sono portati via 100. Chissà dove. Non importa che tutti i governi - primo fra tutti quello egiziano - conoscano quell’indirizzo, non importa che i controlli siano stati intensificati ovunque - assicurano dal Cairo - nella zona, che una pioggia di denunce e informazioni siano arrivate a ogni stazione di polizia dalle associazioni umanitarie. Quei banditi, come drammaticamente anticipato ieri dagli stessi prigionieri, se li sono portati via. Li hanno contati come bestie, divisi, alla fine ne hanno prelevati un centinaio. Cento persone, in catene, uscite da una casa della nota città di Rafah, e trasportate altrove per essere rivendute, mercanteggiate. Eppure nessuno, nemmeno ieri, ha visto nulla nel Sinai. E la drammatica situazione dei prigionieri non si sblocca. Impossibile descrivere la cronaca riportata da chi ogni giorno entra in contatto coi profughi, grazie a quei cellulari lasciati loro dai predoni per implorare soldi dai parenti lontani e dar loro le coordinate bancarie su cui versarli. “Le donne del gruppo vengono quotidianamente sottoposte a ogni genere di violenza davanti agli altri, alcune di quelle incinte sono state fatte abortire. Lo stesso per i bambini”, spiega con la voce strozzata il sacerdote cattolico eritreo Mosè Zerai, dall’inizio della vicenda “tramite” dei suoi connazionali. Un dramma indicibile, confermato anche dalle fonti locali del gruppo umanitario EveryOne: “Pensare che queste violenze avvengono sotto gli occhi di una città, e che ieri cento persone sono state portate vie davanti ad altri, forse persino a poliziotti corrotti - aggiunge il co-presidente del gruppo Roberto Malini - è una follia. Eppure questo accade, sta accadendo davvero, in un Paese che ha recepito la Convenzione di Ginevra, che dovrebbe difendere i diritti umani, le donne, i bambini”. Quelle donne e quei bambini per cui ora si teme una sorte persino peggiore di quella della violenza sessuale: “La nostra paura - conclude quasi rassegnato Malini - è che quei cento finiscano sul mercato degli organi”. Orrore su orrore, mentre sullo sfondo continua a imperare l’ambiguità del governo del Cairo. Che, dopo aver dato per l’ennesima volta giovedì notizia di essere “in trattativa” coi capi tribù beduini del Sinai per il rilascio degli ostaggi (segno di chi detiene davvero il controllo su quelle zone), ieri ha rilasciato dichiarazioni inquietanti per bocca dell’assistente del ministro degli Esteri per l’immigrazione, Mohamed Abdel Hakam. Quest’ultimo ha prima lanciato un appello ai Paesi che hanno respinto i profughi, invitandoli “ad essere obiettivi e ad assumersi la loro responsabilità, determinate dal diritto internazionale” e poi, commentando le informazioni pubblicate dalle agenzie di stampa a proposito della detenzione degli eritrei, ha spiegato candidamente che “le informazioni circolate a questo proposito non sono confermate” e che “malgrado gli sforzi intensi da parte della sicurezza nulla conferma finora la detenzione di questi eritrei o la morte di alcuni di loro”. Come se quei 250, ingannati, incatenati, affamati, picchiati e infine anche divisi, fossero un’invenzione dei pochi che ne parlano. “Ieri abbiamo provveduto a inviare nuovamente appelli e lettere a tutte le stazioni di polizia, a tutti i ministri egiziani, alle ambasciate, a ogni singolo parlamentare europeo, all’Onu - spiega ancora Malini -. Stiamo pensando di andare di persona a Rafah, nei prossimi giorni, e presentarci fisicamente in quel luogo. Dobbiamo arrivare a questo, visto che nessun altro si muove”.