Giustizia: suicidi di detenuti in calo nel 2010, ma c’è cautela sulle cifre Redattore Sociale, 11 dicembre 2010 Oltre un terzo dei detenuti morti in dieci anni si sono suicidati. Secondo il monitoraggio di Ristretti Orizzonti, tra il 2009 e il 2010 si è registrato un calo dei suicidi, che passano da 72 a 61. Ma tutti invitano alla cautela. Sono 160 i detenuti morti nelle carceri d’Italia tra gennaio e novembre 2010, oltre un terzo dei quali si sono suicidati. Secondo il monitoraggio svolto con il Dossier “Morire di carcere” realizzato da Ristretti orizzonti, il Centro di documentazione dell’istituto penitenziario “Due palazzi” di Padova gestito dagli stessi detenuti, ad oggi 10 dicembre 2010 sono infatti 61 coloro che si sono tolti la vita su un totale di 160 morti. Un dato che a meno di una recrudescenza nel periodo natalizio, non dovrebbe crescere di molto. In dieci anni - rileva ancora il Dossier - nelle carceri italiane sono morti oltre 1.700 detenuti, di cui oltre un terzo per suicidio: per l’esattezza si tratta, infatti, di 621 suicidi su un numero complessivo di 1.723 decessi tra 2000 e il 2010. Quello che però più colpisce a una prima letture è il calo di suicidi tra il 2009 e il 2010: 72 contro i 61 calcolati appunto quest’anno fino ad oggi. Ma è un dato su cui nessuno è disposto a cantare vittoria, a partire dagli stessi rappresenti di Ristretti Orizzonti che si dichiarano scettici circa l’esistenza di una controtendenza o di un’effettiva diminuzione o nel fenomeno. E preferiscono attribuire il calo al caso, ricordando che è comunque necessario attendere la fine dell’anno e che solo allora sarà possibile fare una riflessione più ponderata. Ma neppure il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap) - che pure potrebbe attribuire il decremento all’efficacia alla campagna di prevenzione dei suicidi promossa a partire dall’inizio del 2009 - crede che il calo sia reale. I dati del Dap sui suicidi nel 2009 sono, infatti, diversi da quelli registrati da Ristretti Orizzonti: 58 contro 72. Questo perché alcuni decessi catalogati come suicidi da Ristretti Orizzonti venivano classificati come morte naturale dal Dap. Tipico è il caso delle morti per inalazione di gas dai fornelletti da cucina: una pratica che, a seconda di come la si legge, può essere considerata come scelta consapevole di rinuncia alla vita o come forma “alternativa” di assunzione di stupefacenti sfociata in un’overdose involontaria. Le incidenze dei suicidi negli ultimi due anni appaiono comunque significative se confrontate con l’aumento costante di presenze in carcere: nel 2009 la presenza media (tra gennaio e dicembre) è stata di circa 62mila detenuti, mentre nel 2010 è stata di poco più di 67 mila. Usando questo parametro si avrebbe un calo anche se per il 2009 si prendesse per buono il dato del Dap. Tale interpretazione però è contestata dallo stesso Dap, secondo il quale le incidenze vanno calcolate sui flussi e non sul totale delle presenze in un determinato anno. E il flusso è rimasto pressoché inalterato negli ultimi venti anni (circa 90 mila entrate e uscite l’anno). Giustizia: Gonnella; quest’anno c’è stata maggiore attenzione al tema dei suicidi Redattore Sociale, 11 dicembre 2010 Il presidente dell’associazione Antigone commenta i dati di Ristretti Orizzonti: “Quest’anno maggiore attenzione al tema dei suicidi, ma la prevenzione non diventi una ulteriore forma di afflizione”. “Non ci sono scostamenti tali da indurci a credere a un’inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti”. Con queste parole il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, commenta i dati dell’ultimo Dossier sulle morti in carcere di Ristretti Orizzonti, che attestano un calo dei suicidi tra il 2009 e il 2010: 61 al 29 novembre 2010 contro i 72 dell’intero anno 2009. E invita alla prudenza: “A parte che sarà necessario andare a confrontare i dati di Ristretti Orizzonti con quelli del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - spiega - , uno scostamento di questo tipo non è così significativo da poterci fare gioire. Allo stesso modo - aggiunge - se i dati fossero stati di segno opposto non ci saremmo trovati di fronte a uno scostamento così preoccupante da creare un ulteriore allarme”. Su questo problema l’Italia non si discosta dalla media europea che vede il suicidio di 10 detenuti ogni 10 mila, ricorda Gonnella. “Abbiamo un dato nella media dei grandi paesi dell’Europa - precisa - , anche se l’Italia ha un tasso di suicidi fuori dal carcere più basso rispetto ad altri”. Quello che colpisce allora è il rapporto “particolarmente impressionante” tra i suicidi in carcere e quelli fuori dal carcere: “Da noi ci si ammazza in carcere circa 18 o 19 volte di più di quanto ci si ammazzi fuori”. Una volta fatte le dovute precisazioni, il calo dei suicidi in carcere attestato da Ristretti Orizzonti rappresenta comunque un “elemento positivo”, anche se è difficile individuarne le ragioni: potrebbe trattarsi dell’effetto delle politiche ministeriali, come di una casualità, come ancora della diversa classificazione di un decesso come morte naturale anziché come suicidio. Ma la prudenza non è mai troppa: “Non siamo ancora giunti alla fine dell’anno - avverte Gonnella - e si sa che durante le feste ci si ammazza di più. Non solo perché sono i momenti di maggiore solitudine, ma anche perché c’è meno personale. E molti tentativi non arrivano al suicidio proprio perché il personale interviene in tempo per impedirlo”. Detto questo, “l’ultimo anno è stato un anno di maggiore attenzione pubblica e mediatica intorno al tema carcere in generale e al tema delle morti in carcere in particolare - ammette il presidente di Antigone - . Cosa questa che può aver indotto le singole direzioni a maggiore cautela e maggiore controllo rispetto alle persone più a rischio di suicidio”. Insomma, per Gonnella “va dato sicuramente atto all’Amministrazione penitenziaria di essersi impegnata sulla questione dei suicidi, anche se sappiamo che le indicazioni arrivate dal Dap non sempre vengono attuate”. Si tratta, infatti, di misure “costose e faticose” che in molti casi vengono sostituite da soluzioni locali più semplici e sbrigative. “È vero - insiste - che il grande lavoro di informazione portato avanti da Ristretti Orizzonti e il fatto che quest’anno i media abbiano dato più spazio al tema dei suicidi ha fatto sì che i direttori, per evitare di andare a finire sui giornali, abbiano dato maggiore importanza alla prevenzione. Ma è vero anche - prosegue - che la stessa prevenzione andrebbe monitorata. Perché - conclude - la prevenzione del suicidio non deve diventare a sua volta un’afflizione: mettere una persona a rischio in una cella vuota senza suppellettili e sorvegliarla a vista 24 ore al giorno non è una soluzione” Giustizia: Antigone; su carceri e tortura l’Italia aderisce a Convenzioni ma non le attua Ansa, 11 dicembre 2010 Respingimenti nel Mediterraneo, lavoro nero e schiavitù, assenza nel codice del reato di tortura e di un organismo di controllo nei luoghi di detenzione: “anche il nostro Paese ha problemi con il rispetto dei diritti umani”. Nel sessantaduesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, Antigone fa l’elenco delle lacune italiane. “Atteggiamenti sbagliati, cose che si fanno e non si sarebbero dovute fare e la cui conseguenza è la perdita di credibilità internazionale dell’Italia”, sottolinea il giurista Antonio Marchesi, ex presidente del comitato italiano di Amnesty, in un convegno organizzato a Roma da Antigone dal titolo eloquente: “Italia e gli Human rights defenders: una brutta storia”. “Di fronte al sistema internazionale - sottolinea Marchesi - l’Italia è confusa, sottovaluta le regole e il sistema internazionale di garanzie”. Un problema ricorrente è il mancato adattamento del sistema giuridico a seguito della ratifica dei trattati, che rimangono lettera morta proprio perché non vengono considerati come una legge. Per esempio, dopo la Convenzione contro la tortura, l’Italia ha provveduto al solo ordine di esecuzione ma manca il reato specifico di tortura, così come pure non è stato istituito un comitato internazionale di esperti indipendenti con facoltà ispettiva nei luoghi di detenzione e nei posti di polizia, che altri 22 Paesi Ue hanno. C’è invece la struttura dei garanti regionali, che però, secondo il presidente del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa, Mauro Palma, è uno strumento debole e non adeguato allo stesso compito. L’Italia - conclude Palma - è tra i cinque maggiori finanziatori del Consiglio d’Europa, ma c’è un’inadempienza pratica nel rispetto delle sue Convenzioni. Giustizia: il regalo “made in jail”… e l’importanza del lavoro per i detenuti di Valentina Ascione Gli Altri, 11 dicembre 2010 Il miele di Sant’Angelo dei Lombardi e i prodotti agricoli della Sardegna “Galeghiotto”. Le leccornie della cioccolaleria “Dolci libertà”, del carcere di Busto Arsizio e quelle di “Aiserim - prigionieri del gusto”. La gelateria della Casa di reclusione di Opera. I panettoni sfornati dalla pasticceria “Giotto” del carcere di Padova e i manufatti della sartoria “Alice” di Bollale e San Vittore. E poi, prodotti di artigianato in pelle, cosmetici, capi di abbigliamento e molto altro ancora: lutto realizzalo dai detenuti degli istituti italiani e messo in vendita con marchi tra i quali: “Sigillo”, “Codiceasbarre”, “Gatti galeotti”, “Made in carcere”. Il Salone della Giustizia, che si è svolto la settimana scorsa a Rimini, è stata un’occasione per le cooperative sociali che danno lavoro ai reclusi di esporre i propri prodotti. Ma soprattutto di ribadire, ancora una volta, l’importanza del lavoro come principale canale di recupero dei detenuti. Non è un mistero, infatti, che il tasso di recidiva è nettamente inferiore tra coloro che hanno avuto l’opportunità di svolgere delle attività professionali o formative durante il periodo di detenzione. È anche noto, tuttavia, che quanto andato in scena a Rimini rappresenta non la regola, ma l’eccezione. Che solo il 20 per cento della popolazione reclusa ha un impiego: ovvero uno su cinque. 1 detenuti che non dipendono dall’amministrazione penitenziaria, ma prestano servizio in realtà diverse - come cooperative sociali o imprese all’interno degli istituti - rappresentano appena una piccola letta (circa duemila su quattordicimila). Mentre quelli relativi ai reclusi con un impiego “extramurario” sono numeri da riserva indiana. A fronte di questa “isola felice” ci sono cinquantacinquemila persone costrette a farsi scivolare addosso ogni singolo giorno, ogni singola situazione che potrà solo peggiorare con l’aumento costante e inesorabile della popolazione carceraria. Il tetto dei sessantanovemila è stato ufficialmente superato da pochi giorni. Di questo passo, fa sapere il Censis, c’è il rischio che per la fine del 2012 nelle carceri italiane si arrivi a sfiorare quota centomila detenuti. Natale si avvicina. II ministro della Giustizia Alfano ha dichiarato che quest’anno regalerà solo i prodotti del Dap, realizzati dai detenuti. Ottimo. E chissà se per loro, per i detenuti, ci sarà - tra un voto di fiducia, un rimpasto, un governo tecnico o una nuova chiamata alle urne - almeno un pensiero da farsi bastare. Giustizia: sul 41-bis non ho mai avuto nessun “cedimento” di Nicola Mancino Corriere della Sera, 11 dicembre 2010 L’on. Claudio Martelli interviene (Corriere di ieri) sempre dopo letture fatte a distanza di molti lustri dagli avvenimenti del 1992 - 93, dando per vere le considerazioni “personali” dell’allora direttore del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, prof. Nicolò Amato, trasmesse per competenza al Guardasigilli Conso. Nei verbali del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza relativi alla riunione del 12 febbraio 1993 non c’è traccia di discussione sul 41 bis. Ne parla il prof. Amato in una lettera inviata al ministro Conso, sottolineando perplessità sulla durezza del trattamento carcerario manifestate da parte del capo della Polizia dell’epoca, prefetto Parisi. Nella stessa lettera il prof. Amato parla della situazione delle carceri di Pomigliano e di Secondigliano, ove la protesta, interna da parte dei detenuti ed esterna da parte dei familiari, era sottolineata dal ministero dell’Interno - chi? - e non dal ministro, e dovuta, per la verità, al sovraffollamento e non all’applicazione del 41 bis. In una successiva riunione del Consiglio dei ministri, il 17 febbraio dello stesso anno, svolsi una relazione nella qualità di ministro dell’Interno e lanciai un allarme sulla possibile strumentalizzazione della crisi economica e della disoccupazione, con la minaccia di reclutamento delle più giovani generazioni da parte della mafia. I giornali di quel periodo riportarono correttamente le mie parole, e niente poterono dire sull’applicazione del 41 bis, di cui non si era parlato. Per quanto mi riguarda ci sono mie testimonianze a favore del carcere duro nei confronti dei più pericolosi detenuti per i reati di mafia. Ne cito due. Una è riportata dal Corriere della Sera del 6 giugno 1993 sotto il titolo: “Sul caso Amato scoppia la rissa”. Sottotitolo: “I radicali e la Maiolo contro il ministro Mancino: vuole carceri speciali per tutti”. Altro che attenuazione del 41 bis! La seconda testimonianza è riportata dal Giornale di Sicilia a proposito di una riunione con i prefetti e tutte le forze dell’Ordine della Sicilia orientale da me convocata a Catania in Prefettura l’11 ottobre 1993. Il titolo è: “Mancino: per i boss non cambia il regime speciale nelle carceri”. La mia dichiarazione, riportata dal quotidiano, sottolineava che ci siamo trovati tutti d’accordo sull’opportunità di non abolire l’articolo 41 bis. Bastano queste mie prese di posizione per chiarire al titolare del brevetto della lotta alla mafia, oggi sorpreso di un mio presunto ma infondato cedimento di allora, quanta fermezza io abbia avuto nella lotta contro la malavita organizzata? Giustizia: perché l’Italia aiuta gli Usa ad uccidere? di Sergio D’Elia (segretario di Nessuno tocchi Caino) Gli Altri, 11 dicembre 2010 Il Sodio Tiopentale, noto anche come Pentotal, è il barbiturico presente in tutti i protocolli dell’iniezione letale made in Usa. Nei vecchi sistemi con tre farmaci costituisce il primo passaggio, a cui seguono quello che blocca i muscoli e infine quello che ferma il cuore. Mentre nei nuovi protocolli basati su un unico farmaco, è proprio quello letalmente decisivo. Un’unica e massiccia dose di Pentotal è stata usata per la prima volta un anno fa in Ohio, dove Kenneth Biros ha fatto la fine di un porcellino d’India, l’animale usato come cavia nelle ricerche scientifiche. Il 10 settembre scorso, anche lo Stato di Washington ha usato lo stesso sistema con Gal Goburn Brown, giustiziato con una singola dose di 5 grammi di Sodio Tiopentale. Nel 2010, per la penuria di Pentotal o per l’imminente data di scadenza del farmaco, molti Stati americani sono stati costretti a sospendere le esecuzioni, in attesa delle dosi di droga che sono state cercate anche all’estero. La California ha ordinato, probabilmente dal Regno Unito, 521 grammi di Sodio Tiopentale, un quantitativo enorme, potenzialmente sufficiente a uccidere 100 condannati a morte, dato che per una iniezione ne bastano 5 grammi. L’Arizona ha poi ammesso di aver comprato in Gran Bretagna il Pentotal con il quale il 25 ottobre scorso è stata praticata l’iniezione letale a Jeffrey Landrigan. Dopo questa esecuzione, l’organizzazione umanitaria Reprime ha condotto con successo un’azione legale per evitare che il Pentotal britannico fosse esportato di nuovo per l’esecuzione di altri detenuti americani. Il 28 novembre scorso, il governo inglese ha imposto un controllo all’esportazione del Sodio Tiopentale. Vince Cable, ministro per il commercio, ha anche annunciato che avrebbe “esplorato con la Commissione europea, il Parlamento europeo e altri stati membri la possibilità di porre un controllo sulla esportazione di Sodio Tiopentale a livello europeo”. Comunque sia, dopo la decisione del governo britannico, è rimasta ora una sola azienda in Europa in grado di riavviare la macchina della morte nei penitenziari americani. È la Hospira Spa di Liscate, vicino Milano, succursale della Hospira Inc. con sede in Illinois, che per anni è stata il fornitore esclusivo di anestetico per iniezioni letali anche perché è l’unica autorizzata dalla Food and drug administration a distribuire il farmaco negli Stati Uniti. Per problemi vari, la linea di produzione americana è stata dismessa e trasferita a Liscate, e da gennaio - così è previsto - il Pentotal prodotto in Italia da operai italiani verrà esportato in America per uccidere altri esseri umani. “Il Sodio Tiopentale è un anestetico, viene prodotto per gli interventi chirurgici e non è indicato per la pena capitale”, si difende la Hospira, che sarà pure contraria alla pena di morte, ma non è contraria a offrire ai penitenziari il Pentotal che serve a praticare la pena di morte. “Se noi smettessimo di fornirlo, lo farebbero altri... Chi produce coltelli da cucina è responsabile se poi qualcuno li utilizza per uccidere?”, ha dichiarato l’amministratore delegato della società milanese, senza cogliere la differenza tra un accoltellamento in una disputa privata e la morte somministrata per mano dello Stato con il Pentotal da loro fornito. Nel 1996 l’Italia negò l’estradizione di Pietro Venezia in Florida, dove non era neanche certo che sarebbe stato condannato a morte per omicidio. Nel caso della fabbrica di Liscate, una cosa è certa, che il Pentotal da loro prodotto sarà utilizzato (anche) nei protocolli dell’omicidio di Stato in vigore in America. Nella sentenza sul caso di Pietro Venezia, la Corte costituzionale ha ribadito che “il concorso, da parte dello Stato italiano, all’esecuzione di pene che in nessuna ipotesi, e per nessun tipo di reati, potrebbero essere inflitte in Italia nel tempo di pace, è di per sé lesivo della Costituzione”. Per evitare questo “concorso” da parte dello Stato italiano all’esecuzione della pena di morte negli Stati Uniti, la deputata Radicale Elisabetta Zamparutti ha presentato una mozione in parlamento con cui si impegna il Governo a “garantire che la produzione e la vendita all’estero di Sodio Tiopentale da parte dell’azienda farmaceutica Hospira con sede a Liscate siano autorizzate esclusivamente per scopi medici, a tal fine prevedendo che nella licenza a produrre, sull’etichetta del farmaco e nei contratti di compravendita sia chiaramente specificato che l’utilizzo del prodotto non è consentito per la pratica dell’iniezione letale”. Sarebbe paradossale se proprio l’Italia, che ha abolito la pena di morte ed è impegnata in queste ore al Palazzo di Vetro nel far passare una nuova risoluzione per la moratoria universale delle esecuzioni capitali, si rendesse complice della pena di morte negli Stati Uniti dove la carenza di veleno per l’iniezione letale sta determinando una moratoria di fatto delle esecuzioni. Napoli: detenuto cardiopatico trapiantato, per i medici non può stare in carcere, per i giudici sì Rosaria Capacchione Il Mattino, 11 dicembre 2010 La Corte di giustizia chiede spiegazioni al Guardasigilli, la Corte di Assise di Napoli risponde rincarando la dose e ordinando il trasferimento in carcere dell’imputato Tommaso Prestieri, camorrista e trafficante di droga, cardiopatico grave e paziente trapiantato. Una sfida a distanza, giocata sul filo delle prerogative del giudice italiano contrapposte a quelle del giudice europeo; magistrati che, dal punto di vista formale, non si parlano e che ignorano le rispettive decisioni. Il risultato è che Prestieri fa ritorno nel penitenziario di Secondigliano. È stato dichiarato guarito non da un medico specialista ma da un’ordinanza della Corte d’assise di Napoli (IV sezione) proprio mentre la II sezione della Corte di Strasburgo, con nota datata 25 novembre 2010, informa il difensore di Prestieri, l’avvocato Vittorio Giaquinto, di aver preso in esame il ricorso, di avere necessità di informazioni dettagliate sullo stato di salute del ricorrente e di averle chieste al ministero della Giustizia, il quale “è stato invitato a informare la Corte delle ragioni per le quali il ricorrente non è stato trasferito in un centro medico specializzato, al fine di seguire una riabilitazione cardiaca”. Perché il punto in contestazione è proprio questo: Tommaso Prestieri, sottoposto a trapianto cardiaco nel maggio scorso, dopo l’intervento avrebbe dovuto effettuare obbligatoriamente una terapia riabilitativa, così come evidenziato anche dai consulenti d’ufficio. Cura che non c’è stata perché nessuno dei centri specializzati indicati anche dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha fornito la sua disponibilità a ospitare un paziente piantonato. Il risultato è stato che il boss di Secondigliano è stato ricoverato fino all’altro giorno, agli arresti domiciliari, al Cardarelli, che non è in grado di fornire l’assistenza specialistica richiesta. Il 6 dicembre, la notifica dell’ordinanza della Corte di Assise di Napoli, presso la quale è in corso il processo per l’omicidio di Alfredo Negri, ucciso il 27 luglio del 1992 e per il quale sono imputati, tra gli altri, anche Paolo Di Lauro e Antonio Amato. Scrive la Corte: “Avendo il Prestieri superato senza alcuna complicanza tale periodo (sei mesi dalla data del trapianto, ndr), la situazione di incompatibilità deve considerarsi cessata e va ripristinata, perdurando le eccezionali esigenze cautelari poste originariamente a fondamento della misura restrittiva, la custodia cautelare in carcere”. Prestieri, che ha interamente scontato le condanne per fatti contestati negli anni passati, è detenuto solo sulla scorta di titoli provvisori: uno, per il quale il gip aveva concesso gli arresti domiciliari, per traffico di droga; l’altro, quello per il quale è processo dinanzi alla Corte di Assise, nel quale è stato accusato da alcuni collaboratori di giustizia ma “salvato” dal fratello Maurizio, che pure lo ha indicato quale responsabile di altri gravissimi episodi. Secondo l’accusa, Negri era stato tra gli ideatori della strage del Rione Monterosa. L’ordinanza, contestata dalla difesa di Prestieri, è basata sulla relazione del reparto detenuti del Cardarelli il quale, il 9 ottobre, aveva certificato che le condizioni del paziente detenuto erano “stabili sia dal punto di vista emodinamico che metabolico” e che quindi “il paziente può essere trasferito presso il centro clinico della casa circondariale di appartenenza qualora sia disponibile un ambiente idoneo in stanza singola per prevenire eventuali complicazioni infettive”. I precedenti Il cuore pazzo gli spalancava le porte del carcere ogni volta che lo arrestavano: in Costa Azzurra o a Parigi, tradito dalla passione per il calcio e da quella malattia che funzionava come un segnalatore a distanza quando i gps ancora non erano stati inventati. Michele Zaza, uomo di collegamento tra la camorra e la mafia, in cella non rimaneva mai a lungo perché troppo malato. E quando vi era capitato, e fino al suo decesso nel 1994, era stato un detenuto speciale, proprio perché cardiopatico a rischio di morte. Lorenzo Nuvoletta, capomafia di Marano, condannato da un tumore al fegato, era morto in ospedale in quello stesso anno. Piantonato, certo, ma in corsia. A casa, invece, ha concluso nel 2007 la sua esistenza Vincenzo Lubrano, consuocero di Nuvoletta, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Franco Imposimato. Tutti boss di estrema pericolosità, tutti con il fisico minato, tutti destinatari di provvedimenti di clemenza fondati sull’incompatibilità con il regime carcerario e sull’obbligo previsto dalla Costituzione di garantire il diritto alla salute a chiunque. Ricorda l’avvocato Vittorio Giaquinto, difensore di Tommaso Prestieri: “Non mi risulta che in Italia sia in vigore la pena di morte. Al di là delle responsabilità giudiziarie del mio assistito, ancora da dimostrare, non si comprende la ragione per la quale gli sia stata negata la possibilità di sottoporsi alle terapie riabilitative previste per i trapiantati. Il suo rientro in carcere sta esponendo la sua vita a un gravissimo rischio. Rischio che anche la Corte di giustizia ha ritenuto fondato”. Campobasso: giovane detenuta non riesce a vedere padre malato terminale Asca, 11 dicembre 2010 È una delle tante storie di vita, che l’euforia del Natale rende, se possibile, ancora più triste. Valeria D’Egidio è una trentenne molisana, detenuta presso il carcere di Torino per la condanna ad un anno per alcuni furti (fine pena 2011) che voleva rivedere suo padre, Giovanni, 60 anni, malato terminale di tumore ai polmoni. Dopo varie richieste, il Magistrato di Sorveglianza di Torino, a seguito dell’istanza dei legali, Anna Orecchioni e Giacinto Canzona, e del fattivo coinvolgimento dello stesso direttore del carcere del capoluogo piemontese, aveva emesso, a tempo di record, un permesso di visita per la ragazza, comandando alla scorta di tradurla dall’istituto penitenziario dove sconta la pena all’ospedale “Cardarelli” di Campobasso. Un viaggio iniziato ieri mattina all’alba e conclusosi dopo molte ore di viaggio con un nulla di fatto. Giovanni D’Egidio, infatti, non era più lì, dimesso qualche giorno prima dall’ospedale perché per lui “non si poteva fare più nulla” e tornata a casa, a San Polo Matese, dove passerà le poche settimane che gli restano ancora da vivere. Questo il desolante quadro che i sanitari hanno rappresentato alla giovane detenuta una volta giunta, col blindato, al nosocomio molisano. Ma il tragitto stabilito per la scorta, non ammetteva alcuna sorta di deviazione, per cui Valeria è stata tradotta al carcere di Foggia, a chilometri dalla residenza del padre, senza averlo neppure potuto abbracciare. Gli avvocati della ragazza sollecitano ora le autorità competenti affinché dispongano tempestivamente un nuovo trasporto dalle Puglie a San Polo Matese. Ma esortano alla celerità, potrebbe essere l’ultima occasione per ricongiungere Veleria allo sfortunato genitore. Pescara: Sarno (Uil-pa); carcere più che affollato, siamo all’imbarbarimento Adnkronos, 11 dicembre 2010 “Dopo aver visitato la Casa Circondariale di Pescara non possiamo non essere convinti ancor più del livello di imbarbarimento, inciviltà e illegalità che connotano le condizioni di lavoro e di detenzione del nostro sistema penitenziario”. Così il segretario generale della Uilpa penitenziari, Eugenio Sarno, commenta gli esiti della visita alla Casa Circondariale di Pescara insieme al segretario regionale Giuseppe Giancola, al segretario provinciale Giuseppe Legnini e al responsabile locale Valdino Franchi. “L’Istituto dispone di tre reparti: penale, giudiziario ed ex femminile. Il primo - elenca - è chiuso per ristrutturazione, il secondo ospita 186 detenuti in locali che potrebbero al massimo ospitarne 87; il terzo ospita 22 collaboratori di giustizia in celle che potrebbero contenerne 34”. Secondo Sarno “è evidente, quindi, che aver constatato che nelle celle singole trovano ospitalità 3 persone, in quelle doppie 5, in quelle quadruple 8, ci fa dire di un carcere che funziona a scartamento ridotto ma che presenta tutte le criticità che derivano da un grave sovraffollamento”. Dalla visita della Uil Penitenziari emerge un quadro preoccupante non solo in relazione al sovraffollamento quant’anche alle precarie condizioni di lavoro cui sono sottoposti i poliziotti penitenziari. “Aver dovuto destinare il reparto transito - nuovi giunti all’ospitalità di detenuti comuni fornisce l’esatta cifra dell’esaurimento di ogni spazio possibile. In questo contesto gli operatori penitenziari, soprattutto la Polizia Penitenziaria, debbono prestare la propria opera in condizioni ed ambienti non sufficientemente salubri e sicuri”. Milano: alla Malpensa attivato ospedale - carcere per i corrieri della droga Sesto Potere, 11 dicembre 2010 Vogliamo debellare il traffico internazionale di droga, combattendo la battaglia contro i corrieri di cocaina, che portano rovina e distruzione tra i nostri cittadini”. Il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni ha presentato con queste parole il nuovo ospedale - carcere realizzato al Terminal 2 dell’aeroporto di Malpensa e affidato, in comodato d’uso, all’azienda ospedaliera Sant’Antonio Abate di Gallarate. Chiavi in mano, dunque, alla sanità lombarda per quanto riguarda il profilo medico e infermieristico. La nuova struttura - attiva 24 ore su 24, 365 giorni all’anno - può contare su un finanziamento di 800.000 euro messi a disposizione dalla Regione Lombardia. È composta da quattro camere carcerarie di degenza, un ambulatorio con sala raggi e due servizi igienici dotati di canali automatizzati per la raccolta degli ovuli di cocaina e per il successivo lavaggio con sostanze chimiche igienizzanti. All’interno del carcere - ospedale sono presenti un impianto radiologico e apparecchiature elettrocardiologiche. La Regione metterà a disposizione un’équipe composta da un infermiere, un tecnico di radiologia e un medico, assicurando altresì la distribuzione dei pasti, il cambio della lavanderia e la pulizia delle celle. “È la prima struttura in Europa - sottolinea Formigoni nel corso della presentazione ufficiale alla presenza, tra gli altri, del ministro dell’Interno Roberto Maroni e degli assessori regionali alla Sanità Luciano Bresciani e alle Infrastrutture e Mobilità Raffaele Cattaneo - in grado di mettere sotto esame i corrieri di droga. La realizziamo a Malpensa, dove l’attività di contrasto nei confronti del traffico internazionale degli stupefacenti è molto forte da diverso tempo. La realizziamo in Lombardia attraverso una splendida sinergia tra l’ospedale di Gallarate, l’Asl di Varese e tante altre istituzioni”. Il progetto, infatti, è nato grazie alla collaborazione di Regione Lombardia, Procura della Repubblica di Busto Arsizio, Sea, Guardia di Finanza, Polizia Penitenziaria, Polizia di Frontiera, Agenzia delle Dogane ed Enac. Non è stata casuale la scelta di Malpensa. Nei primi 11 mesi del 2010 - nota Formigoni - “sono già stati arrestati 77 corrieri, ma molti di più sono quelli che sono stati sottoposti a controllo. Fino a ieri l’ospedale di Gallarate doveva mettere a disposizione una o due stanze per soggetti potenzialmente pericolosi. Da oggi non ci sarà più bisogno di trasportare gli ovulatori all’ospedale, effettuando tutti gli accertamenti presso il carcere sanitario dell’aeroporto di Malpensa ed eliminando la commistione al Pronto soccorso tra i corrieri della droga e i normali utenti dell’ospedale”. Questa struttura, in sostanza, permetterà di evitare l’occupazione di posti letto all’ospedale di Gallarate da parte degli ovulatori. C’è un ulteriore aspetto innovativo nel nuovo ospedale - carcere di Malpensa. La presenza di servizi igienici moderni consentirà di recuperare gli ovuli, presenti all’interno del corpo dei corrieri, igienizzandoli in modo completamente automatizzato per poi essere sequestrati e inceneriti a Busto Arsizio. Migliorano, dunque, le condizioni igieniche per i corrieri e la loro vigilanza con l’impiego, tra l’altro, di minori risorse umane grazie alla presenza di un vero e proprio carcere ospedaliero. “Vogliamo combattere il traffico internazionale di droga - ha concluso Formigoni - rispettando altresì la persona di colui che commette un crimine e che molto spesso è vittima di un circuito internazionale di sfruttamento”. Bologna: medico accusato favori mafioso; posso aver sbagliato diagnosi, ma non ho detto falso di Enrico Barbetti Il Resto del Carlino, 11 dicembre 2010 “Sono ancora convinto che, coi dati che avevo a disposizione allora, quella fosse la diagnosi giusta. La medicina è una scienza empirica, non è matematica”. Il dottor Mauro Menarini, responsabile del dipartimento di medicina riabilitativa e unità spinale dell’ospedale di Montecatone, si è difeso ieri parlando a lungo di fronte al gip Mirko Margiocco nell’interrogatorio di garanzia. Affiancato dal suo difensore Aldo Meyer, alla presenza dei pm Valter Giovannini e Lorenzo Gestri, il luminare messo agli arresti domiciliari con l’accusa di avere attestato la falsa invalidità del mafioso Silvio Balsamo per farlo uscire di prigione si è difeso sostenendo di avere sempre agito in buona fede e di non avere mai dolosamente alterato le proprie conclusioni. Siringomielia irreversibile, aveva sentenziato in più occasioni nel periodo tra il 2001 e il 2006, ma la polizia ha poi scoperto che il detenuto paraplegico in realtà guidava la macchina e ballava la macarena. Menarini ha preso atto del fatto che Balsamo non era affatto paralizzato: “Posso avere sbagliato diagnosi ma non ho mai commesso un falso”. “Quel paziente non mi ha mai fatto alcun favore - ha sostenuto davanti al giudice - e io l’ho conosciuto quando sono arrivato a Montecatone”. Balsamo giunse nella struttura imolese nell’ottobre del 2002 mentre Menarini vi approdò dal 1° gennaio 2011. I magistrati gli hanno contestato che diversi infermieri e fiosioterapisti davano per scontato che Balsamo fosse un falso invalido: “Ma a me - ha risposto il primario - non sono mai venuti a dire quello che hanno detto ora a voi”. “L’interrogatorio è stato molto analitico - sottolinea l’avvocato Meyer. Il dottor Menarini ha risposto a tutte le domande. Non è vero che è stato lui per primo a fare quella diagnosi e sono una decina i medici, di Imola e di fuori regione, che sono giunti alle stesse conclusioni. Sono emersi dati oggettivi che depongono per l’assoluta buona fede del mio assistito”. L’avvocato non ha chiesto la revoca degli arresti ma nei prossimi giorni potrebbe presentare ricorso al tribunale del Riesame. Campobasso: cellulare ai detenuti in cambio di droga, arrestato agente penitenziario Ansa, 11 dicembre 2010 La Squadra mobile di Campobasso ha arrestato Angelo Cerio, 35 anni, agente della Polizia penitenziaria in servizio al carcere del capoluogo. Da quanto si apprende avrebbe consentito ad un detenuto di effettuare telefonate con un cellulare da lui fornito. In cambio avrebbe ricevuto alcune dosi di droga cedute allo stesso da alcuni conoscenti del detenuto. Il poliziotto è ora recluso nel carcere di Campobasso a disposizione dell’autorità giudiziaria. Alle 11 è in programma una conferenza stampa nella quale gli investigatori della Mobile illustreranno i dettagli dell’operazione. Ancona: detenuto spacciava eroina in carcere, condannato a 2 anni e 3 mesi Corriere Adriatico, 11 dicembre 2010 Trafficava droga anche in carcere, cedendo dosi di eroina a un altro detenuto in cambio di vestiario, sigarette e un anello d’oro. Tahari Skandir, marocchino di 28 anni, è stato condannato ieri a due anni e tre mesi di reclusione per spaccio di stupefacenti aggravato dal luogo dello smercio, la casa circondariale di Montacuto. Il nordafricano era accusato di episodi di spaccio avvenuti prima del 27 marzo dell’anno scorso, quando la polizia penitenziaria sequestrò eroina a un altro recluso, Luigi S., che raccontò di aver aver avuto la dose da Tahari Skandir in cambio di vestiti, pacchetti di sigarette e anche un gioiello che gli aveva donato sua moglie. “Sono tossicodipendente, avevo bisogno di eroina”, aveva spiegato il detenuto italiano. Poi in Tribunale, sentito come teste, Luigi ha corretto il tiro, tanto che ieri il Pm Valeria Sottosanti ha chiesto gli atti della sua deposizione per valutare una possibile falsa testimonianza. L’anello in oro del detenuto italiano, una fede metà bianca e metà gialla, venne trovato tra gli effetti personali di Skandir durante una perquisizione prima del suo trasferimento nel carcere di Secondigliano. Per l’accusa il tunisino avrebbe ceduto almeno tre dosi di eroina all’altro recluso. Il marocchino, difeso ieri dall’avvocato Francesco Napolitano, negava di aver spacciato. Ma come può entrare droga in un carcere? Domanda che a Montacuto s’intreccia con gli interrogativi rimasti in sospeso dopo alcune morti recenti di giovani detenuti, le cui cause sono ancora da appurare. L’ultima il 22 ottobre scorso, quando un ragazzo con problemi di tossicodipendenza era stato trovato morto in cella, forse per un’intossicazione da sostanze ancora da appurare. Per quanto riguarda la droga che avrebbe spacciato nel marzo 2009 Tahari Skandir, alcuni testimoni avevano raccontato che quell’eroina era entrata nello stomaco di un altro detenuto, ingerita prima dell’arresto e poi espulsa per vie naturali. Roma: Zingaretti (Provincia): mobilitarsi sui diritti violati dei detenuti Dire, 11 dicembre 2010 “Il tema della situazione carceraria è molto delicato e mobilitarsi per i casi internazionali ha più senso se ci accorgiamo che a qualche chilometro da noi c’è chi, stando in carcere, ha i diritti violati allo stesso modo”. Così il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, intervenendo a Palazzo Valentini al convegno “Il carcere, la pena, la speranza”, organizzato in occasione della Giornata internazionale per i diritti umani promossa dalle Nazioni unite e istituita nel 1950. “Abbiamo voluto dedicare questa giornata al tema del carcere - ha aggiunto - perché troppo spesso le cronache raccontano di suicidi e di condizioni disperate dei detenuti e troppo spesso si distoglie lo sguardo da un’altra parte perché si è convinti che i problemi sono altri. Ci prendiamo l’impegno di non fare di questa giornata una parentesi ma di iniziare una costante presenza su questo tema”. Erano presenti all’incontro anche il presidente dell’associazione A buon diritto, Luigi Manconi, la deputata radicale Rita Bernardini, l’assessore provinciale alle Politiche sociali, Claudio Cecchini, e il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni. Giustizia: Don Rigoldi; non esistono mostri, ma azioni mostruose Lungo Parma, 11 dicembre 2010 “La fraternità è la funzione dell’uomo nel mondo”. Con queste parole don Gino Rigoldi, fondatore della “Comunità Nuova onlus” e cappellano, da quarant’anni, del carcere minorile “Cesare Beccaria” di Milano, ha voluto iniziare la sua riflessione ieri alla parrocchia Famiglia di Nazareth di via Navetta a Parma. L’occasione dell’incontro moderato dalla direttrice di “Vita Nuova”, Cecilia Scaffardi, è stata l’inaugurazione della nuova sede della “San Cristoforo onlus” che don Umberto Cocconi, ex parroco di San Giovanni Battista, da poco insediatosi al Campus, ha festeggiato insieme agli ex parrocchiani e agli amici della chiesa di don Adelmo Monica, poco distante dalla nuova sede dell’associazione. Ha parlato soprattutto della necessità di non giudicare, don Gino Rigoldi, fondamentale per chi lavora con detenuti ed ex detenuti, come lui e don Cocconi (cappellano volontario in via Burla), ma necessaria anche per tutti i cristiani: “Perché per giudicare esistono i giudici in terra e Dio in cielo. A noi spettano i compiti della compassione, del perdono e dell’accoglienza - ha detto don Gino - . Tante volte ho incontrato persone che hanno commesso azioni orribili, come i pedofili, fra i quali ahimè anche qualche prete, e quello che ho imparato è che non esistono mostri, ma azioni mostruose”. L’approccio di don Gino ai ragazzi del Beccaria è ormai collaudato e si basa sull’ascolto, sulla progettualità per il futuro e sul sostegno fuori dal carcere: “Tutti ricordano il caso di Erika e Omar; ebbene lei si è appena laureata in filosofia con 110 e lode, è una persona nuova. Bisogna dare a questi ragazzi la possibilità di vivere dignitosamente una volta usciti. Non è facile, per questo nascono le comunità alloggio”. Come la San Cristoforo di Parma, che da ieri ha sede in via Balestrazzi e che tanto ha in comune con la “Comunità Nuova” di don Rigoldi. Rovigo: grazie all’Uisp lo sport entra nel carcere Il Gazzettino, 11 dicembre 2010 Lo sport entra in carcere per aiutare i detenuti nel fisico e nella loro vita di relazione. È l’iniziativa proposta dall’Uisp a cui aderiscono Cup Rovigo, Ctp Rovigo e Coop Adriatica con il patrocinio dell’assessorato provinciale allo Sport. Il progetto di attività fisica nella casa circondariale di via Verdi è stato elaborato dal comitato provinciale dell’Unione sport per tutti presieduto da Massimo Gasparetto e proporrà allenamenti e partite di volley sia per il gruppo femminile che per quello maschile una volta alla settimana rispettivamente il mercoledì e il venerdì dalle 13.30 alle 14.30. Al gioco vero e proprio sarà affiancata un’attività mirata al benessere fisico con ginnastica a corpo libero, mobilizzazione, bonificazione e rilassamento. Ieri in Provincia l’iniziativa è stata presentata dall’assessore Leonardo Raito che ha ospitato la delegazione dell’Uisp che ha promosso l’attività. È stato sottolineato come la pallavolo non sia il fine della proposta sportiva, ma rappresenti solo il mezzo con cui da un lato, fare in modo che i detenuti e le detenute migliorino la loro condizione fisica, e dall’altro sviluppare al loro capacità relazionale e aggregativa tipiche di chi pratica lo sport per divertimento e beneficio psico fisico personale. I gruppi saranno costantemente seguiti da un tecnico laureato in scienze motorie specializzato nell’insegnamento a persone con diversi livelli di preparazione e predisposizione fisica allo sport. L’attività inizierà in questi giorni ed è previsto prosegua fino a luglio. Per maggiori informazioni è possibile prendere contatto con l’Uisp ai numeri 0425412631 dalle 9 alle 12.30 il lunedì, mercoledì e venerdì, la mail è: progintegratouisp@libero.it Franco Pavan Sulmona (Aq): i detenuti scrivono libro di ricette per il 2011 Ansa, 11 dicembre 2010 Un vero e proprio ricettario per ogni settimana del 2011 condito con poesie, disegni, ricordi ed emozioni. È l’agenda realizzata da 19 detenuti del carcere di Sulmona (L’Aquila) dal titolo “Evadendo in Libertà”. Pensieri, riflessioni e scritti in libertà accompagnano ogni ricetta che descrive la preparazioni di piatti tipici della tradizione italiana. Dal Veneto alla Calabria, dalla Campania alla Sicilia. Racconti legati alla propria infanzia, aneddoti relativi a una pietanza o alla storia di un dolce. Si tratta di un lavoro che i reclusi del reparto di alta sicurezza hanno realizzato nelle ore di laboratorio con impegno ed entusiasmo, ritenendolo, come scrivono loro stessi in una lettera di ringraziamento “un grande contributo culturale, dono immenso e gradito”. Il libro sarà messo in vendita e il ricavato sarà utilizzato per arricchire la biblioteca del carcere di Sulmona. Verona: la Madonna del Frassino alla Casa circondariale di Montorio L'Arena, 11 dicembre 2010 In occasione dell'anniversario dei 500 anni dell'apparizione della Madonna del Frassino, custodita nel santuario dei frati minori di Peschiera, la piccola immagine della Vergine è stata portata in pellegrinaggio in diverse parrocchie, negli ospedali, nei ricoveri per anziani. Con la comunità dei frati minori, il gruppo di religiosi della cappellania di Montorio, insieme a collaboratori, suore e volontari porteranno domani a Montorio l'immagine sacra, nell'ambito di una visita che prevede alcune celebrazioni religiose e la benedizione in caserma per la polizia penitenziaria e gli operatori. "Si tratta di un'iniziativa che risulta gradita dai detenuti", spiega fra Beppe Prioli, del gruppo cappellania di Montorio e rappresentante della Fraternità, "sia italiani che stranieri. A Montorio è già presente un gruppo liturgico formato da detenuti di varie sezioni che, con il cappellano del carcere, don Maurizio Saccoman, prepara le letture per le funzioni domenicali, in varie lingue. Portare la statuetta della Madonna significa per molti riscoprire la propria cultura delle origini". I detenuti di Montorio si sono resi protagonisti di iniziative solidali come le raccolte fondi per i terremotati di Haiti, per l'adozione di bambini a distanza e per dare aiuto alla famiglia d'un detenuto morto di recente. Brasile: ministro Frattini su estradizione Battisti; non possiamo imporre nulla, decide Lula Agi, 11 dicembre 2010 “Non so se i cittadini brasiliano siano contenti di avere come nuovo concittadino un terrorista omicida”. Lo ha detto a Pordenone il ministro degli esteri, Franco Frattini, commentando la vicenda di Cesare Battisti al quale il presidente brasiliano, Lula Da Silva, sembrerebbe disposto a non concedere l’estradizione in Italia. “Il Brasile è uno stato sovrano e noi non abbiamo il potere di imporre ovviamente niente - ha detto Frattini - . Io però ancora non ci posso credere. Il presidente Lula finirebbe il suo mandato in un modo oscuro - ha spiegato il ministro - se negasse la restituzione alle carceri italiane di un terrorista. Ho sentito dire che ci sarebbe l’idea di concedere la cittadinanza a Battisti. Non so se i cittadini brasiliani siano contenti - ha concluso Battisti - di avere come nuovo concittadino un terrorista omicida”.