Rassegna stampa 29 aprile

 

Giustizia: il Governo ora prova a svuotare il mare col bicchiere

di Stefano Anastasia (Associazione Antigone)

 

Il Manifesto, 29 aprile 2010

 

Dopo la boutade dei prefabbricati in "stile L’Aquila", il Presidente del Consiglio ha annunciato la prossima approvazione di un decreto-legge che conterrebbe l’immediata applicabilità della detenzione domiciliare per i detenuti con un anno di pena da scontare, già proposta in un disegno di legge voluto dal Ministro Alfano e attualmente in corso d’esame alla Camera dei deputati.

La scelta di un’iniziativa legislativa in materia è senz’altro condivisibile, se non altro perché ammette ciò che finora il Governo ha negato: non tanto l’insostenibilità della condizione penitenziaria, quanto l’insufficienza e l’inefficacia del rimedio finora sbandierato, quello immobiliare-edilizio del "piano carceri". Avvedutosi dell’inutilità pratica, in tempi rapidi, di quello strumento, il Governo - cui spetta la responsabilità politica di quanto accade e di quanto potrebbe accadere nei prossimi mesi nelle carceri italiane - tenta di correre ai ripari. Bene: è l’ammissione del fallimento della politica seguita finora.

Del decreto-legge promesso da Berlusconi ancora non si sa nulla, ma è presumibile che ricalchi in tutto o in parte il disegno di legge Alfano. E qui, sul merito, il giudizio non può essere altrettanto positivo. La proposta viene presentata come una sorta di detenzione domiciliare speciale per le pene e i residui pena fino a un anno, cui si affiancherebbe la messa alla prova come ulteriore elemento di riduzione degli ingressi in carcere.

Se la procedura per l’applicazione della detenzione domiciliare appare più sbrigativa della detenzione domiciliare esistente (che non riesce a drenare la popolazione detenuta con pene o residui pena inferiori a due anni), le preclusioni per titolo di reato e per etichettatura soggettiva lasciano immaginare che i margini di successo della misura siano assai limitati. A ciò si aggiunga il propagandistico inasprimento delle pene per il reato di evasione, spesso contestato ai detenuti ai domiciliari che fanno la "ora d’aria" dal vicino di casa o al bar di fronte: con un aggravamento della situazione di tali "irregolari" della vita quotidiana che costituiscono il più corposo bacino d’utenza del carcere.

Infine: individuato il lavoro di pubblica utilità come condizione della messa alla prova che sospende il processo, se ne estende la previsione alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, applicato dal 1975 a oggi senza una simile contro-partita, con l’assai probabile effetto di renderne assai più difficile la concessione.

A tutto ciò si aggiunga l’obiezione più radicale: se entro in casa e mi accorgo che si sta allagando per una perdita, la prima cosa che faccio è chiudere l’acqua, poi provvederò a drenare e asciugare. Allo stesso modo, di fronte a un tasso di incarcerazione insostenibile, il Governo dovrebbe innanzitutto individuare gli eccessi punitivi (e ce ne sono!) che producono carcerazione inutile quanto dannosa (e ce n’è!). Regolate le condotte, smaltire il sovraffollamento non assomiglierebbe più al tentativo di svuotare il mare con un bicchiere.

Ciò detto, se le condizioni sempre più precarie di un Governo sotto lo scacco della Lega non consentono un cambio di registro nella politica penale, il più tortuoso percorso delle alternative al carcere può essere seguito, a condizione che mostri qualche condizione di efficacia, a partire dalle rimozione delle preclusioni soggettive, fino al potenziamento delle risorse normative e finanziarie utili a scarcerare alcune particolari tipologie di detenuti, come i consumatori di sostanze stupefacenti con problemi di dipendenza o comunque incarcerati in ragione della loro condizione di assuntori di droghe.

Era questo il succo dell’appello "Le carceri scoppiano: liberiamo i tossicodipendenti", i cui promotori stanno verificando la possibilità che il Governo faccia qualche passo anche in questa direzione, come annuncia di voler fare il sottosegretario Giovanardi. Certo, per questo Governo, per le culture che vi sono rappresentate, per le biografie di alcuni suoi esponenti deve essere un cammino particolarmente difficile e doloroso, ma se non si vuole precipitare dallo "stato di emergenza" proclamato in pompa magna nel gennaio scorso alla emergenza umanitaria della prossima estate il tempo stringe e l’amara medicina qualcuno dovrà buttarla giù.

Giustizia: sessantasettemila stipati come bestie… Alfano che fa?

di Mariagrazia Gerina

 

L’Unità, 29 aprile 2010

 

Sono fatte per ospitare quarantatremila persone. Attualmente, però, nelle carceri italiane, ci vivono in più di sessantasettemila. Come? "Ho visto, pochi giorni fa, celle di otto metri quadri, con due letti a castello e una terza branda piegata che i detenuti possono aprire solo la sera per andare a dormire altrimenti nella cella non hanno lo spazio nemmeno per muoversi e questo nel carcere di Pavia che non è certo uno dei peggiori della penisola", racconta Rita Bernardini, radicale e deputata eletta nelle fila del Pd, arrivata ormai al suo quindicesimo giorno di sciopero della fame (oggi) perché governo e parlamento facciano qualcosa per disinnescare la bomba "demografica" che sta facendo esplodere le carceri italiane: 7-800 detenuti in più ogni mese, che, a questo ritmo, entro l’estate supereranno quota 70mila. Sono già 67.452, al 21 aprile, secondo i dati del ministero della Giustizia. Ventiquattromila in più rispetto alla capienza regolamentare. Stipati nelle celle. Con un tasso di suicidi che è il più alto in Europa, il ventiduesimo si è ucciso due giorni fa nel carcere di Teramo.

E chi non si ammazza è comunque costretto a patire una pena aggiuntiva, che nessun giudice ha deciso e nessun parlamento ha previsto. Quella del sovraffollamento. E di un carcere che si riduce sempre più alla sola detenzione in cella. Mancano psicologi, educatori, figure sanitarie. Manca personale per fare qualsiasi cosa.

"Richiamare negli istituti di pena gli agenti "imbucati" al ministero della Giustizia" sarebbe un inizio, suggerisce Rita Bernardini, che sferza i sindacati di polizia: "Da tre anni non viene rinnovato il contratto agli agenti penitenziari". Risultato: nel migliore dei casi (vedi Pavia) i detenuti, hanno 4 ore d’aria al giorno più una di socialità e trascorrono in cella le rimanenti 19 ore, ma a Poggio Reale o l’Ucciardone, in cella ci stanno fino a 22 ore. Mentre solo il 15% in media è impiegato in attività lavorative.

La via delle pene alternative negli ultimi anni è stata drammaticamente abbandonata dall’Italia, che già arrancava dietro a paesi come il Regno Unito, che già nel 2007 applicava le pene detentive a 220mila detenuti e riservava il carcere a 87mila detenuti (meno della metà). Nel 2006 quando fu varato l’indulto, i detenuti che scontavano pene alternative al carcere in Italia erano circa 40 mila, oggi non arrivano nemmeno a 10 mila.

Cifre che parlano di una "temibile regressione culturale nella concezione della pena", denuncia Luigi Manconi, presidente di "A buon diritto". A testimonianza del pregiudizio che dilaga dietro questi numeri, Manconi cita una recente polemica: "Due ergastolani erano evasi dal permesso premio di Pasqua e, intervistato dal Gr1, il segretario generale del più grande sindacato della polizia penitenziaria a domanda ha risposto che ad evadere dai permessi premio sono un buon 10 per cento. Mentre la cifra è molto più bassa: 0.17%".

Altrettanto bassa è la cifra di quanti violano le misure alternative al carcere: oscilla tra lo 0,7 e l’1,15%. "Le misure alternative che vengono date con un’avarizia impressionante per paura dell’opinione pubblica sono una misura efficacissima che ha un tasso di violazione praticamente irrisorio", osserva Manconi, che cita ancora un dato: "La recidiva tra coloro che scontano la pena in cella senza usufruire di sconti o condoni è del 68%, tra coloro che hanno beneficiato dell’indulto è stata del 27,1%".

E intanto il ddl Alfano che se varato potrebbe aprire la strada delle pene alternative a 12mila detenuti, arranca in parlamento. I radicali e il Pd chiedono di modificarlo. Ma se approvato consentirebbe almeno di invertire in extremis la via rovinosa del carcere per tutti praticata in questi anni.

Giustizia: il ddl Alfano presto in Aula? solo i Radicali "spingono"

 

Terra, 29 aprile 2010

 

Due settimane di sciopero della fame e nuove azioni non violente da intraprendere. Con questo proposito, ieri alla Camera, la deputata, radicale, membro della commissione Giustizia, Rita Bernardini, e gli altri esponenti del suo partito uniti nella protesta, sono tornati a richiamare l’attenzione sull’emergenza carceraria. "L’obiettivo è quello di scandire i tempi per la discussione parlamentare del ddl Alfano sulla detenzione domiciliare e la messa alla prova", ha spiegato la Bernardini che, presenziando la conferenza stampa, ha sottolineato come l’aggravarsi quotidiano delle condizioni di reclusione "rischia di diventare ingestibile fra qualche mese".

Se infatti "d’estate è il periodo più difficile dell’anno, in cui il sovraffollamento fa sentire ancora di più i suoi effetti", ha avvertito la deputata radicale, il numero degli ingressi cresce al ritmo di 700, 800 nuovi detenuti al mese. La soluzione presentata dal governo, che ha recepito l’ondata di mozioni parlamentari sull’emergenza. carceri presentate lo scorso gennaio, prevede la possibilità della detenzione domiciliare per chi deve scontare un residuo di pena inferiore all’anno. "Un’inversione di tendenza rispetto agli interventi finora proposti dal ministro Alfano", ha notato Bernardini che ha anche ammesso che "nonostante limiti e carenze, il disegno di legge sembra andare nella direzione giusta". Il rischio, semmai, come ha recentemente commentato Sandro Margara, già capo dell’amministrazione penitenziaria e magistrato di sorveglianza, è che gli effetti del provvedimento saranno molto ridotti rispetto alle previsioni.

Colpa della cosiddetta ex Cirielli che macchia indelebilmente il recidivo escludendo ogni possibilità di accesso a misure alternative. Colpa delle tante eccezioni alla regola. dei domiciliaci inserite nel disegno di legge come, ad esempio, quella che esclude i condannati ex articolo 4bis (reati di particolare gravità come terrorismo e associazione a stampo mafioso). Motivi sufficienti per i Radicali che hanno già presentato gli emendamenti al testo che, a ben vedere, sta trovando non poche difficoltà nel procedere.

Da un lato, infatti, agisce l’opposizione di chi, come l’Italia dei valori, ha, già definito il provvedimento "un indulto mascherato". Ma. poi, dall’altro, le difficoltà crescono: l’opinione pubblica, infatti non guarda con favore alla domiciliarizzazione della pena. Sul punto è stato Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto, a riportare alla calma: "Va smentito il dato che nel corso del 2009 il 10 per cento dei permessi premio ha avuto come esito l’evasione del condannato. Ad evadere è stato, invece, soltanto lo 0,17 per cento. Fornire quei numeri significa alimentare l’allarme sociale e falsificare la verità". Certo è che la strada verso la dislocazione dei detenuti all’esterno del circuito penitenziario necessita di "adeguate risorse per il reinserimento nella società che, per ora, sembrano mancare", ha aggiunto Rita Bernardini.

In attesa di sapere se il decreto avrà un minimo di copertura finanziaria, sono risolte "le resistenze e i mal di pancia.", come ha definito Manconi le fondate ragioni di chi promette di seguire con perseveranza, e con il cosiddetto "digiuno di dialogo", ogni passo dell’iter del ddl Alfano.

Giustizia: Bernardini; subito decreto per detenzione domiciliare

di Fabrizio D’Esposito

 

A (Anna), 29 aprile 2010

 

Tre cappuccini al giorno e tanta acqua. Al classico metodo pannelliano, dice Rita Bernardini, deputata radicale. Dall’inizio dell’anno, Bernardini ha iniziato il suo terzo sciopero della fame per il problema delle carceri. Stavolta, per chiedere al governo di fare presto con il disegno di legge del guardasigilli Alfano sulle pene alternative per i detenuti che hanno meno di un annoda scontare. Carceri italiane: un’emergenza "invisibile", pronta a esplodere. Spiega la parlamentare, eletta nelle liste del Pd alle ultime politiche: "Nei penitenziari sono rinchiuse 67mila persone a fronte di 43mila posti letto disponibili. Se non ci muoviamo subito, entro l’estate, a luglio cominceranno le rivolte".

Anche per questo il premier Silvio Berlusconi sta valutando l’ipotesi di fare un decreto urgente. In sede legislativa, infatti, la Lega di Bossi e l’Italia dei valori di Di Pietro hanno bloccato il provvedimento. Secondo fonti governative il ddl Alfano alleggerirebbe di 10mila detenuti la grave situazione delle carceri. Obietta Bernardini: "Sono dati troppo ottimistici perché il disegno di legge esclude chi ha precedenti per evasione dagli arresti domiciliari. A volte si tratta di cose ridicole, tipo qualcuno che si affaccia sull’uscio di casa e viene beccato. So anche di un sorvegliato che stava male ed era solo in casa, così è andato in farmacia. Anche questo è considerato un "tentativo d’evasione"".

Bernardini passa la sua vita in carcere. "Ho perso il conto di quelli che ho visitato", In Italia sono 205. A" la incontra dopo una trasferta a Salerno, nel penitenziario di Fuorni. Lì ha lottato persino con la tentazione del cibo: "In un reparto, alcuni detenuti avevano preparato con professionalità delle pietanze di alta cucina. Ma ho resistito". A Salerno si è pure imbattuta in quello che definisce "un probabile nuovo caso Cucchi".

Stefano Cucchi è il ragazzo romano fermato per droga e poi pestato a sangue nei sotterranei del tribunale della capitale. Abbandonato senza cure, Cucchi è morto. "È stato ucciso", ripete la deputata radicale. Che aggiunge: "A Salerno ho incontrato la sorella di un detenuto impiccatosi con la cinta. Stava male e non lo hanno curato. Si chiamava Marco Toriello ed era un ex tossicodipendente con cirrosi epatica e sindrome ansiosa. Lo hanno abbandonato imbottito di psicofarmaci in una cella singola. E lui si è ucciso. La sorella ritiene anche che Marco fosse troppo debole per arrampicarsi. E chi gli ha dato la cinta?".

Per riassumere l’emergenza carceri nel nostro Paese, Bernardini fa un paragone infernale: Guantanamo. Ossia le prigioni americane per i sospetti di terrorismo: "Contrariamente all’articolo 27 della Costituzione che prevede la rieducazione, la maggior parte dei detenuti italiani sta in cella, ammassata, per 22 ore al giorno senza fare nulla perché manca il personale. A Poggioreale, il più grande carcere d’Europa, ho visto sette persone in venti metri quadrati col wc in condizioni luride e i letti a castello che impediscono l’apertura delle finestre. Non è tortura questa?". L’esponente radicale è contraria anche al 41 bis. il carcere duro per i mafiosi: "Sono detenuti che non vedono mai nessuno, non possono abbracciare un figlio o una moglie e se soffrono di patologie gravi non vengono curati come bisognerebbe. È la forma più estrema di tortura che abbiamo, anche perché è una misura usata per costringerli a pentirsi".

Bernardini, poi, ritorna sulla ipotetica "rieducazione" che dovrebbe essere garantita dalla Costituzione. Esempio: l’igiene personale: "In tanti penitenziari è possibile fare la doccia solo tre volte a settimana. Come fa, quindi, un detenuto a curare la propria persona? Credo che l’insicurezza di molti di loro, quando escono, dipenda anche da questo trattamento. E così tornano a delinquere. Non hanno via di scampo".

Morti sospette, celle sovraffollate. E suicidi. Venti, in questi primi quattro mesi del nolo. I casi più frequenti a Sulmona, in Abruzzo. Dove c’è anche una "casa di lavoro". Si chiamano così i centri che ospitano reclusi che hanno scontato per intero la pena ma vengono trattenuti per motivi di sicurezza. Oppure perché non sanno dove andare: vengono definiti ergastoli bianchi. Si tratta di tossicodipendenti, malati di mente e persone anziane senza casa. A Sulmona ho conosciuto un uomo di 74 anni rimasto lì perché fuori non ha altre possibilità di sopravvivere. Anche nelle "case di lavoro", contrariamente al nome, si sta per 22 ore al giorno senza fare nulla. E ci sono stati due suicidi, uno a dicembre, l’altro a gennaio.

Su 67mila detenuti, le donne sono il cinque per cento. Di cui cinquanta sono mamme. "Era stato annunciato: "Mai più bambini in carcere". Invece non è così. Fino all’età di tre anni, i figli possono stare con le madri recluse in "case di custodia attenuata", per evitare shock e traumi. Il problema è che anche questi centri, quando sono previsti, sono pieni di sbarre. Racconta Bernardini: "Ho visto a Lucca un vera e propria cella-nido. C’erano le sbarre di fianco a una culla con dentro una neonata extracomunitaria. Una tenerezza enorme. La parlamentare radicale del Pd continuerà il suo giro d’Italia delle carceri nelle prossime settimane. Dalla Sicilia al profondo Nord.

E continuerà lo sciopero della fame se non arriveranno buone notizie sul ddl Alfano da trasformare in decreto urgente: "Bisogna fare presto, ripeto. Altrimenti, col caldo dell’estate, l’emergenza peggiorerà e potrebbero scoppiare rivolte. Ma se la gente vedesse come stanno queste persone in carcere, se guardasse le loro facce, se sentisse le loro storie forse capirebbe perché mi batto contro le condizioni disumane in cui vivono, contro questa tortura continua. Contro la nostra vergognosa Guantanamo.

Giustizia: Idv; commissione d'inchiesta su situazione di carceri

 

Asca, 29 aprile 2010

 

Dopo l’ennesimo suicidio in carcere (23 dall’inizio dell’anno), nel penitenziario di Castrogno, a Teramo, il parlamentare dell’IdV, Augusto Di Stanislao, ribadisce la necessità di interventi diretti ed immediati da parte del Governo.

"Non è più ammissibile - afferma il deputato IdV - una tale situazione di completa incapacità da parte del Governo di affrontare concretamente le problematiche delle carceri in Italia". Di Stanislao ricorda che "dopo varie visite presso il carcere di Castrogno e altrettante interrogazioni ad Alfano, dopo una mozione a mia prima firma approvata all’unanimità, con la quale anche la maggioranza si è impegnata in una serie di iniziative atte a risollevare una drammatica realtà focalizzando l’attenzione sul sovraffollamento e sulla carenza di personale penitenziario e di educatori, dopo l’annuncio dell’emergenza carceri di Alfano e del fantomatico piano carceri, dopo continue denunce e sollecitazioni dei sindacati sulla necessità di intervenire sulle strutture, sugli organici, siamo ancora di fronte ad una situazione insostenibile e all’emergenza soluzioni". "Ho presentato da tempo - conclude Di Stanislao - una proposta di legge per istituire una Commissione d’inchiesta parlamentare sulla situazione delle carceri in Italia che, ora più che mai, diventa fondamentale per dare risposte e soluzioni ai molteplici problemi e disagi dell’intero mondo penitenziario".

Giustizia: Oua; ddl Alfano insufficiente, disomogeneo e parziale

 

Apcom, 29 aprile 2010

 

Le misure contenute nel ddl che prevede l’introduzione dell’istituto della messa in prova per chi ha compiuto reati punibili fino a 3 anni di carcere e la detenzione domiciliare per chi deve scontare una pena residua di un anno non sono sufficienti a risolvere il problema del sovraffollamento. È quanto gli esponenti dell’avvocatura hanno spiegato oggi durante un’audizione alla commissione Giustizia della Camera.

"Non appare di concreta utilità - si legge in una nota dell’Organismo unitario dell’avvocatura - la proposta di esecuzione della pena detentiva presso il domicilio, prevista senza un adeguato coordinamento con la fase cautelare, sembrando un doppione della già esistente detenzione domiciliare". È poi "lodevole, seppur insufficiente, come misura deflattiva, l’introduzione dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova". Certo, rileva l’Oua nel documento consegnato alla Commissione, "se principale e più urgente problema da risolvere è quello del sovraffollamento delle carceri, sembra più onesto prendere atto della incapacità, nell’immediato, da parte dello Stato di risolvere tale problema ed approntare un progetto organico di riscrittura dei reati e dei casi in cui possa rinunciarsi all’esercizio dell’azione penale o della potestà punitiva" e, nell’immediato, "studiare un provvedimento di clemenza che sostituisca la ormai sempre più frequente declaratoria di prescrizione che di fatto determina gli stessi effetti estintivi, peraltro assolutamente aleatori e casuali, di un’amnistia impropria". Il ddl, concludono i rappresentanti dell’avvocatura, soffre di "disomogeneità e parzialità, seppur ispirato a finalità certamente condivisibili".

Giustizia: carceri senza soldi e 400mila € per alloggio capo Dap

 

Ansa, 29 aprile 2010

 

"Il ministro Alfano spieghi come sia possibile che nonostante non ci siano risorse per risanare la disumana e pericolosa situazione in cui si trovano le carceri italiane si riescano però a trovare 400.000 euro per ristrutturare un alloggio al centro di Roma destinato al capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e 1 milione di euro per la realizzazione di un’aula magna". Lo chiede con un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia il deputato democratico Andrea Orlando.

"La situazione economica è così drammatica - spiega il deputato - che non ci sono neanche i fondi per la benzina per portare in tribunale i detenuti e anche per far partire il piano carceri, si è dovuto ricorrere alla Cassa delle ammende sottraendo fondi dai progetti volti all’assistenza e al reinserimento dei detenuti. Il contrasto fra le enormi spese elencate e il quadro di pesanti difficoltà finanziarie in cui versano gli istituti ed i servizi penitenziari è dunque stridente".

"Chiediamo ad Alfano - conclude Orlando - di tagliare le spese superflue per coerenza con le politiche di contenimento della spesa pubblica imposte dalla crisi e per rispettare gli enormi sacrifici richiesti alle strutture territoriali, al personale dipendente e alla popolazione detenuta, sottoposta a condizioni di grande sofferenza dovuta soprattutto al sovraffollamento delle carceri".

 

Interrogazione dell’on Andrea Orlando (Pd) al Ministro della giustizia.

Per sapere - premesso che:

per dar corso al piano carceri è stato autorizzato il ricorso alla Cassa delle ammende per finanziare progetti di edilizia penitenziaria, stante l’asserita insufficienza delle ordinarie dotazioni di bilancio sottraendo, quindi, la maggior parte dei fondi della stessa Cassa delle ammende per il finanziamento di progetti volti al reinserimento in favore di detenuti ed internati ed a programmi di assistenza ai medesimi ed alle loro famiglie;

sarebbe stata avviata la ristrutturazione di un alloggio in Via Giulia, nel centro storico di Roma, pare destinato al capo dei dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che comporterebbe una spesa iniziale di circa 400.000 euro, a carico degli stanziamenti di bilancio del capitolo per l’edilizia penitenziaria;

sarebbe, inoltre, allo studio un progetto per la realizzazione di un’aula magna per 150 posti nei locali del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, attraverso interventi di ristrutturazione edilizia ed impiantistica per circa 1 milione di euro, sempre a carico del capitolo di spesa per l’edilizia penitenziaria, a cui si aggiungerebbero ulteriori costi per arredi e gestione di apparati audiovisivi e di interpretariato;

si è avuta notizia che le compagnie petrolifere fornitrici dell’amministrazione penitenziaria stanno interrompendo l’erogazione del carburante per gli automezzi utilizzati per il trasporto dei detenuti e degli internati per motivi di giustizia, di salute e di sicurezza e che, in qualche caso, il personale di scorta ha dovuto provvedere all’anticipazione del pagamento del rifornimento di benzina a proprie spese, mentre è già accaduto che venisse rinviato il processo Eolo davanti al tribunale di Palermo, per l’impossibilità di provvedere all’accompagnamento in udienza di detenuti ristretti presso il carcere di Trapani, per mancanza dei fondi per la benzina;

risulta sia a disposizione dell’assessore alla sanità della regione Siciliana, una autovettura dell’amministrazione penitenziaria i cui costi di esercizio, compreso il rifornimento di carburante, graverebbero sulle già carenti disponibilità finanziarie destinate al servizio per le traduzioni e piantonamenti in luogo di cura dei detenuti ristretti negli istituti penitenziari siciliani -:

se il Ministro della giustizia non rilevi uno stridente contrasto fra tali spese e il quadro di pesanti difficoltà finanziarie in cui versano gli istituti ed i servizi penitenziari, le attività di trattamento e di reinserimento sociale e le condizioni del patrimonio edilizio esistente, per la gran parte del quale non si provvede da anni ad interventi idonei al miglioramento delle condizioni detentive e all’adeguamento delle strutture alle previsioni del Regolamento penitenziario approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 e se non ritenga di sospendere i progetti ed i servizi citati in premessa, per corrispondere ad un dovere di coerenza con le politiche di contenimento della spesa pubblica, di necessaria sobrietà imposta dalla fase di crisi economica acuta del Paese e dagli enormi sacrifici che vengono richiesti alle strutture territoriali, al personale dipendente ed alla popolazione detenuta, che è sottoposta alle note condizioni di disagio e di sofferenza indotte dal sovraffollamento delle carceri.

Giustizia: Osapp; piano carceri? manca personale per esistenti

di Alessandro Pallaro

 

www.politicamentecorretto.com, 29 aprile 2010

 

A Rebibbia e Viterbo la polizia penitenziaria si astiene dai pasti e applica alla lettera i regolamenti, mentre lunedì 26 inizierà, a Roma, un sit in permanente. "Protestiamo con decisione contro questo sistema che sta uccidendo la categoria". A gridarlo a gran voce è il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, a una settimana esatta dallo sciopero di massa e dalle iniziative che il sindacato ha esteso in tutto il territorio nazionale.

"Oramai protestiamo da tempo, non ci siamo mai fermati e non è più una questione di sigla sindacale: a noi si sono uniti il Sappe, il Sinappe, la Cgil, l’Ugl, la Cisl, e la Fsa-Cnpp, come è successo a nei giorni scorsi a Regina Coeli. Da giorni, infatti - spiega il leader sindacale - qui come a Rebibbia e a Viterbo la polizia penitenziaria si astiene dai pasti e applica alla lettera i regolamenti, mentre lunedì 26 inizierà, sempre a Roma, un sit in permanente della polizia penitenziaria.

Queste iniziative servono a far capire all’attuale capo dell’amministrazione, Ionta, come proprio non possa continuare nel proprio prolungato impegno di commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria e la contemporanea gestione del dipartimento e delle continue emergenze. O dentro o fuori: o mette giù le mani dall’edilizia straordinaria e si decide una volta per tutte a gestire i detenuti e il personale penitenziario in maniera concreta e continuativa, oppure si dimette dall’incarico di Capo della Polizia Penitenziaria e lascia il posto a qualcun’altro.

Molto semplice. Continuiamo così fino al logoramento, nonostante il ministro e il capo del Dipartimento facciano "spallucce". Intanto, è iniziato il volantinaggio davanti agli istituti penitenziari dei capoluoghi di provincia della Campania. E analoghe iniziative proseguiranno nei prossimi giorni in Sicilia, Piemonte, Toscana, Lombardia e Puglia. L’esempio di Rieti - conclude Beneduci - del nuovo istituto, cioè, dove dopo mesi dall’apertura i poliziotti penitenziari continuano a essere 95 e non 171 e i detenuti 90 e non 350, deve far riflettere su quanto non sia proprio indispensabile un "Piano carceri" concepito sullo spreco.

A Trento, invece, con il nuovo complesso, in apertura a luglio, i poliziotti potranno essere al massimo 105/130 e non 280, come prevede qualcuno. È ora di smetterla di improvvisare e di buttare i soldi dalla finestra. Da quello che vediamo non sembra che tale consapevolezza sia stata ancora raggiunta da chi di dovere, mentre la calura e i disagi dell’estate penitenziaria iniziano ad incombere". La situazione è esplosiva anche in Piemonte. E a Firenze-Sollicciano, istituto circondariale in grave carenza di personale, si è suicidato l’ennesimo detenuto. A Barcellona Pozzo di Gotto si manifesta davanti all’ospedale psichiatrico-giudiziario.

"Possiamo accettare solo in parte che le alterne vicende della politica e dei Partiti, quali e da ultimo quelle relative al Pdl, distolgano l’attenzione da quello che effettivamente accade nel Paese", spiega ancora Leo Beneduci, "come le condizioni attuali delle carceri e di chi vi lavora, perché l’assenza di concretezza nel Governo e nel ministro Alfano iniziano a diventare insopportabili", spiega Leo Beneduci, che nel dare notizia dell’ennesimo suicidio, il 21° dall’inizio dell’anno nella casa circondariale di Firenze-Sollicciano aggiunge: "La probabilità di riuscire a togliersi la vita in carcere in orari pomeridiani è assai scarsa se non in condizioni tali che la carenza di personale di polizia penitenziaria, come a Firenze, si verifica oramai da mesi, impedendo qualsiasi effettivo controllo e i successivi interventi. In Piemonte, dopo le aggressioni di Novara, il tentativo di rivolta di Fossano, il blocco dei trasporti dei detenuti per mancanza di personale ad Asti, ad Alessandria-Don Soria la Direzione ha bloccato del tutto ferie e congedi degli addetti della polizia penitenziaria" prosegue il sindacalista, che riguardo proteste in corso, inoltre, segnala: "Pur nel rispetto degli sforzi del provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria del Lazio che ha incontrato i sindacati, per l’Osapp la protesta continua a oltranza soprattutto a Regina Coeli, a Rebibbia e a Viterbo, tenuto conto che le responsabilità dei disagi e delle disfunzioni attuali non possono essere attribuiti al livello penitenziario regionale, ma a quello nazionale.

A riprova dell’alto senso di civiltà e del progresso culturale raggiunto dalla polizia penitenziaria - e non dalle istituzioni, da cui il Corpo dipende - anche a Barcellona Pozzo di Gotto si è manifestato davanti all’Opg per chiedere che, invece delle ingenti e onerose opere edilizie che si dice siano previste dal "Piano-carceri" a Catania e a Messina, nella stessa infrastruttura si realizzi un nuovo istituto a carattere detentivo e non psichiatrico", afferma ancora il segretario generale dell’Osapp, che conclude: "La necessità maggiore per il sistema carcerario italiano è quella di avere al vertice qualcuno che si occupi veramente dei fatti e dei problemi, ovvero una sorta di Commissario straordinario per l’Amministrazione penitenziaria che, ovviamente, non può essere l’attuale capo del Dap, Franco Ionta".

Giustizia: caso Cucchi; desecretati atti d’indagine parlamentare

di Cinzia Gubbini

 

Il Manifesto, 29 aprile 2010

 

Saranno a disposizione di tutti i cittadini italiani - a breve sul sito on-line del Senato gli atti di indagine sul caso della morte di Stefano Cucchi raccolti dalla Commissione sul servizio Sanitario nazionale presieduta dal senatore democratico Ignazio Marino. La Commissione parlamentare ha deciso a maggioranza di desecretare gli atti e di inviarli alla Procura - che li aveva chiesti il 4 dicembre - dopo una lunga trattativa con i membri di maggioranza. Ieri il Pdl è andato in minoranza, complice l’assenza - che sembrerebbe "strategica" - dei senatori ex An, e del voto dell’unico componente della Lega che si è astenuto.

Così con 10 sì e 6 no è stata presa la sofferta decisione. Sofferta anche per Ignazio Marino, che era

riuscito a ottenere l’unanimità sulla relazione conclusiva e che finora ha lavorato in un clima di relativa tranquillità. C’è il rischio che non sia più così, se è vero che ieri un membro della maggioranza ha lasciato la sala dopo il voto esclamando: "Questa Commissione ha chiuso".

"Credo che la desecretazione sia un grande risultato per la Commissione: abbiamo lavorato per la trasparenza e con lealtà nei confronti degli altri organi dello Stato - ha detto Marino - il nostro è stato un lavoro lungo e attento, ora si chiudano i riflettori mediatici sulla vicenda e si attenda il giudizio della magistratura". "I cittadini potranno leggere uno spaccato impressionante dell’assistenza sanitaria, e non solo, a un detenuto", ha detto la parlamentare del Pd in quota radicale Donatella Poretti, la prima ad aver denunciato le resistenze del Pdl alla pubblicazione.

Da parte loro i senatori della maggioranza che si sono battuti per il no giudicano la desecretazione un "danno al nostro lavoro", come ha detto la senatrice Laura Bianconi: "La mia decisione - ha spiegato era motivata dal fatto che, pur volendo fornire tutto il supporto possibile alla magistratura, non possiamo venir meno al diritto alla segretezza che abbiamo garantito a coloro che sono stati uditi".

Nelle prossime settimane si potrà prendere visione del prezioso lavoro di ricostruzione della Commissione, che ha potuto interrogare tutti i protagonisti del tragico viaggio di Stefano verso la morte: Cucchi aveva 31 anni ed è stato arrestato per 20 grammi di hashish il 15 ottobre. È morto il 22 ottobre nel reparto carcerario Sandro Pertini, dopo quattro giorni di ricovero. La sua è una storia incredibile, ma probabilmente piuttosto normale, fatta di violenza (come certifica anche la perizia dei consulenti della Commissione le lesioni che aveva sul viso e sul corpo sono "inferte") e di negligenze a tutti i livelli. Ma anche di omertà e sospetti tentativi di insabbiamento che si sono verificati dopo la sua morte. Proprio una di queste storie viene alla luce dalle carte della Commissione, Quella di Rolando Degli Angioli, medico del carcere Regina Coeli, dove Stefano entra intorno alle 15 del 16 ottobre. La testimonianza del medico è importante perché lui è il primo sanitario a visitarlo attentamente, visto che il dottore della città giudiziaria - che già riscontra delle ecchimosi sul volto - chiede al ragazzo di spogliarsi ma lui si rifiuta.

Quando io carabinieri in servizio presso la Commissione si recano in carcere per consegnare la richiesta di comparizione al dottore, l’amministrazione risponde che è fuori dall’Italia, in viaggio. In realtà non è vero, e la Commissione riuscirà a interrogarlo solo dopo diverse settimane. Il giorno dell’audizione, quando Marino gli chiede come mai non era stato possibile contattarlo fino a quel momento, Degli Angioli risponde: "Vorrei saperlo anch’io". L’episodio fu segnalato in Procura , tanto che il medico fu interrogato dai pm Barba e Loy. D’altronde la sua testimonianza è interessante perché il medico spiega di aver classificato il caso di Stefano come di "estrema urgenza", e che secondo lui "non doveva stare in carcere". Come è noto Stefano verrà ricoverato solo il giorno successivo, e con una procedura che già la conclusione della Commissione definiva "anomala": per assicurare che fosse rinchiuso in un ospedale penitenziario si scomodò un funzionario di sabato. Degli Angioli inoltre si meraviglia del fatto che l’ambulanza arriva alle 18,15, e il ragazzo esce dal penitenziario solo alle 19,50. Insomma, un testimone non reticente. Oggi il medico non opera più a Regina Coeli: a quanto risulta gli è stata concessa un’aspettativa che attendeva da molto tempo.

Giustizia: Ilaria Cucchi; rimangono molti punti ancora da chiarire

 

Dire, 29 aprile 2010

 

"Ora che sono state depositate le perizie mediche di parte ed è stata resa pubblica anche quella dei consulenti della commissione parlamentare, ritengo e spero che si arrivi ad avere le prime risposte sulle conclusioni delle indagini preliminari". Così la sorella di Stefano Cucchi, Ilaria, a CNRmedia, sulla decisione della commissione d’inchiesta sul servizio sanitario, di rendere noti gli atti dell’inchiesta sulle cure prestate al fratello prima di morire.

"Ringrazio i pm perché all’inizio di tutta questa vicenda, ci siamo trovati davanti ad un muro con la sensazione di sconforto e abbandono e la paura di non avere mai dei riscontri. Invece- ha detto Ilaria Cucchi- ora mi rendo conto che probabilmente le cose sono andate avanti in maniera più spedita del previsto. Ci sono però dei vuoti che io ancora non riesco a capire: per me, come sorella, è fondamentale sapere cos’è accaduto a mio fratello in quei sei giorni, un tempo brevissimo, in cui ha smesso di vivere".

"La mia famiglia ed io in quel momento abbiamo avuto la forza di reagire - ha aggiunto - perché non potevamo accettare che un ragazzo che stava benissimo e conduceva una vita del tutto normale, a parte i suoi problemi di tossicodipendenza, potesse cessare di vivere in soli sei giorni. Però mi domando, tutte quelle famiglie che non hanno la forza, i mezzi e le possibilità di affrontare una simile battaglia, allora non avranno giustizia?".

Giustizia: Idv; su cause di morte di Cucchi, non si vuole fare luce

 

Adnkronos, 29 aprile 2010

 

"Sul caso Cucchi si continua a dichiarare l’ovvio, tutti si concentrano su come è morto ma non sul perché è morto. I primi giorni dopo la tragica morte era certa solo una cosa: Cucchi non era stato curato al Pertini e sull’ospedale gravava l’ipotesi di omissione di cure o sottovalutazione dello stato clinico. Questa ipotesi rimane, ma a monte non si è soffermato nessuno". Lo afferma in una nota il senatore Stefano Pedica, segretario regionale dell’Italia dei Valori Lazio, che ha seguito il caso di Stefano Cucchi sin dal principio.

"Ancora non è stata fatta luce - continua Pedica - sul perché Stefano è arrivato in carcere con ecchimosi e traumi alla colonna vertebrale né su dove sono avvenuti i pestaggi, se in caserma o in tribunale. Dobbiamo avere il coraggio di ricominciare dalle prime ore dopo l’arresto di Cucchi e, nell’accertare se le indagini preliminari sono terminate o no, chiedere se esiste qualche indizio concreto su cosa è accaduto dal momento dell’arresto alla convalida del fermo in tribunale".

"Chiederò al Ministro Alfano di risolvere anche il problema della mancanza di circuiti interni nelle caserme e nelle celle dei tribunali, perché potrebbero essere una fonte di prova in caso di maltrattamenti in quei luoghi. Invito anche le altre forze politiche, così attente a digiunare per i diritti del detenuto, a sostenere questa battaglia di prevenzione a tutela di chi in caso di uno sbaglia paga oltre che con il carcere anche con la vita, perché questo è inaccettabile" conclude.

Lettere: i detenuti, da varie carceri, scrivono a Riccardo Arena

 

Pagina di Radiocarcere su Il Riformista, 29 aprile 2010

 

Chiuso in cella 24 ore al giorno. Cara Radiocarcere, mi trovo detenuto da un paio d’anni e devo scontare una pena complessiva di 4 anni e 8 mesi. Il mio problema è che ho un grave handicap alla gamba. Infatti, mentre ero detenuto, sono stato operato e mi hanno anche messo una protesi. L’operazione è riuscita, ma io purtroppo sarò destinato a zoppicare per tutta la vita. Inoltre, dopo che mi hanno operato, non mi è stata fatta nessuna fisioterapia, con ricadute assai gravi sulla possibilità di poter camminare nuovamente.

Ora, nonostante che la mia gamba non funzioni per nulla bene, vivo in una cella che è situata al quarto piano del carcere di Alessandria. Carcere che ovviamente non ha l’ascensore, con la conseguenza che non posso mai uscire da questa quattro mura per andare a fare l’ora d’aria. In altre parole passo la mia pena stando chiuso in cella 24 ore su 24. Qualche mese fa, visto il mio stato di salute e visto che ho già scontato più della metà della pena, ho fatto istanza per poter scontare il resto della mia condanna ai domiciliari, ma ancora attendo una risposta. Per il resto la situazione qui nel carcere di Alessandria è drammatica tanto che noi detenuti siamo costretti a vivere in quattro persone dentro cellette grandi appena 4 mq. Grazie per quello che fate per noi detenuti.

 

Said, dal carcere di Alessandria

 

La nostra vita nella galera di Lecce. Carissimo Arena, anche se sono di Napoli mi trovo detenuto qui nel carcere di Lecce, ovvero un carcere che sta letteralmente scoppiando per quanti detenuti siamo. Pensa che in celle singole, ovvero fatte per ospitare una sola persona, ci dobbiamo vivere in tre. Lo spazio è pochissimo e praticamente dormiamo su un letto a castello alto tre piani. In poche parole chi dorme all’ultimo piano del letto a castello ha il viso a trenta centimetri dal soffitto. È come dormire in una bara!

Inoltre le celle dove viviamo sono umide, piene di infiltrazioni e quando fuori piove la cella si riempie d’acqua. Acqua che però non esce quasi mai dai rubinetti delle nostre celle, in quanto manca in continuazione, e quando esce è pure non potabile e gialla di ruggine.

Qui anche le cure mediche sono pressoché inesistenti. Infatti non veniamo curati se abbiamo una semplice influenza né vengono curati quei detenuti che hanno patologie serie. In altre parole qui viviamo nella speranza di non ammalarci, perché altrimenti si può anche morire.

Infine ci tenevo a segnalarti che quando i nostri parenti vengo qui in carcere per fare il colloquio sono costretti ad aspettare per sette o otto ore prima di vederci, il che non ci sembra giusto.

Con me ti salutano anche i miei compagni di cella Antonio e Michele.

 

Gianni, dal carcere di Lecce

Roma: vendere Regina Coeli; è vecchio, sovraffollato e costoso

di Riccardo Arena

 

Pagina di Radiocarcere su Il Riformista, 29 aprile 2010

 

Vendere l’antico monastero di Trastevere e con i soldi realizzare due strutture detentive per la capitale. Costruito nel 1654, potrebbe ospitare 850 detenuti, ma oggi ce ne sono 1.100 e ogni anno costa 15 milioni di euro.

"Cara Radiocarcere, nella mia cella di Regina Coeli, che non è più grande di 8 mq, ci stiamo in 6 detenuti. Una cella dove tutto è vecchio e rovinato. Il bagno è senza porta, per non parlare delle lenzuola che ci vengono cambiate solo una volta al mese. Io vivo in queste condizioni da più di due anni e temo di non farcela più a resistere."

È quanto ci scrive una persona detenuta nel vecchio carcere romano di Regina Coeli. Una struttura antica, degradata, sovraffollata e costosa. La storica galera, situata nel centralissimo quartiere di Trastevere, nasce come monastero nel 1654. Nel 1900 viene trasformata in istituto di pena e, da allora, è rimasto tale. Molte celle sono invivibili. L’umidità e la muffa corrodono i muri, tanto che i detenuti sono costretti ad attaccare fogli di giornale sulle pareti per proteggersi. Altre sono buie, a causa di lastroni di vetro e ferro messi alle finestre (le c.d. bocche di lupo).

All’ultimo piano del carcere spesso non arriva l’acqua corrente. In diverse celle manca il pavimento, in altre i muri sono scrostati. Quasi beffati i detenuti della terza sezione. Una sezione che ha subito un restauro conservativo. Hanno rifatto le celle come erano quando in carcere ci stavano Pertini, Gramsci e Ernesto Rossi. E non basta. C’è anche sovraffollamento a Regina Colei. Il carcere potrebbe infatti ospitare al massimo 850 detenuti, ma oggi ce ne sono circa 1.100. La conseguenza è che nelle celle c’è una media di 6 detenuti e, nei periodi di più grave sovraffollamento, che non sono rari, i detenuti in più dormono per terra nella sala del biliardino.

Qualche detenuto non resiste a questo degrado e cerca di uccidersi. È successo a febbraio, quando un detenuto ha tentato di impiccarsi. Ed è successo ad aprile, pochi giorni fa, quando un detenuto olandese, senza una gamba, ha cercato di farla finita. Tentativi di suicidio che non fanno notizia, ma che sono indice delle condizioni in cui si è costretti a vivere a Regina Coeli. Ma l’antico monastero non solo costringe la maggior parte delle persone detenute a una carcerazione indegna, no. Regina Coeli è anche un carcere antieconomico. Non conviene. Ecco le cifre. 15 milioni di euro è il costo annuo di Regina Coeli. Si tratta di spese ordinarie, come la manutenzione della struttura, il mantenimento dei detenuti, le bollette, e gli stipendi del personale.

A questi milioni di euro, che si spendono ogni anno, vanno aggiunti i soldi spesi per le ristrutturazioni straordinarie. Negli ultimi anni, per i lavori di ristrutturazione di Regina Coeli, sono stati spesi ben 21 milioni di euro. Una cifra enorme, a cui vanno aggiunti 450 mila euro, dati nel 2006 dalla Regione Lazio. Insomma, mantenere il carcere di Regina Coeli equivale a spendere migliaia di euro per conservare un’automobile vecchia e mal funzionante. Tempo e soldi sprecati.

Più sensato sarebbe vendere il vecchio monastero e con i soldi ricavati costruire due nuove carceri nella capitale. Il complesso di Regina Colei è grande circa 34 mila metri quadri e si trova in una delle zone più esclusive della capitale. Trastevere. Sul mercato immobiliare ha un valore superiore ai 100 milioni di euro. Una somma più che sufficiente per realizzare due strutture penitenziarie da 500 posti.

La prima da destinare alle persone sottoposte a misura cautelare e da costruire lungo una delle strade che portano in Tribunale. Una struttura detentiva per presunti non colpevoli che per questo dovrà essere pensata per un trattamento detentivo il meno afflittivo possibile. La seconda struttura, che potrebbe realizzarsi nel terreno del carcere di Rebibbia, dovrebbe essere destinata invece alle persone condannate in via definitiva. Una soluzione questa senz’altro più sensata ed economica, di cui beneficerebbe la città di Roma e il sistema penitenziario.

Trento: protesta agenti; nel nuovo carcere mancano aspiratori

 

Trentino, 29 aprile 2010

 

Il nuovo carcere è quasi finito e fra poco si inizierà ad organizzare il trasloco ma ci sono già delle cose che non vanno bene. A dirlo è Andrea Mazzarese, segretario nazionale del Sinappe e punta il dito contro la mancanza dell’impianto di aspirazione, mancanza che costringerà tutti a respirare il fumo passivo. "Non vogliamo assolutamente far polemica - sottolinea Mazzarese - non ci interessa sapere chi non li ha previsti. Quello che chiediamo è che gli aspiratori siano sistemati prima del nostro trasferimento".

Una richiesta che viene fatta dopo dei sopralluoghi nella nuova struttura di Spini. "In molti hanno notato la mancanza degli aspiratori - spiega ancora il delegato sindacale - e il fatto è che i detenuti nelle celle sono autorizzati a fumare. Il divieto vale solo per i corridoi. Ma, come è facile intuire, grazie alle sbarre il fumo arriva anche nei corridoi e quindi tutti, anche i non fumatori devono subire quello passivo. Quello che vogliamo ricordare è che il comma 2 dell’articolo 51 della legge numero 3 del 2003 prevede che i luoghi di lavoro debbano essere dotati di impianti per la ventilazione ed il ricambio d’aria per garantire i livelli essenziali del diritto alla salute".

Per avere le risposte, ma soprattutto per avere gli aspiratori, è stata inviata una lettera a Dellai, seguita da due solleciti, ma non c’è mai stata risposta. "Il problema c’è anche nella vecchia struttura - spiega ancora Mazzarese - ma almeno in due sezioni ci sono delle finestre che possono garantire un minimo di ricambio d’aria. Nella nuova struttura, invece, non ci sono neppure queste finestre e quindi la situazione potrebbe essere peggiore". Vista la situazione l’unica richiesta che il Sinappe fa (ma la lettera al presidente della Provincia è stata firmata da tutti gli agenti, una novantina circa) è di avere questi aspiratori per non essere costretti a subire il fumo passivo anche a Spini.

Genova: con "Uomini dentro" detenuti come artisti multimediali

 

9Colonne, 29 aprile 2010

 

Realizzata da insegnanti, operatori e detenuti del carcere di Marassi, la mostra "Uomini Dentro. L’immaginario della costrizione", da oggi al 16 maggio al Palazzo Ducale di Genova, intende stabilire un contatto tra la storica condizione detentiva della Torre Grimaldina e quella attuale. La mostra inserisce nelle antiche celle i nuovi graffiti dell’era multimediale: frammenti autobiografici affidati non solo alle parole scritte sui muri, ma ai suoni, alle immagini, ai sapori.

Il materiale esposto nasce dalla vita quotidiana del carcere, dal lavoro dei suoi laboratori didattici, dal dialogo di molti anni, non sempre facile, tra gli spazi chiusi: è il risultato di un progetto interdisciplinare nel quale i detenuti coinvolti hanno realizzato materiale delle installazioni ed hanno anche preso parte alla realizzazione grafica del materiale di comunicazione relativo alla mostra. Alcuni detenuti svolgeranno, inoltre, il sabato e la domenica l’attività di guida all’interno degli spazi espositivi, mentre magliette equosolidali, serigrafate dal laboratorio curato dai detenuti di Alta Sicurezza, saranno disponibili nel bookshop di Palazzo Ducale. Alla presentazione di oggi, alle 17.30 interverranno, tra gli altri, Milò Bertolotto, assessore al Personale, Carceri, Servizi per la Pace della Provincia di Genova e Salvatore Mazzeo, direttore della casa circondariale di Genova Marassi.

Libri: "Recito... quindi So(g)no", di Emilio Pozzi e Vito Minoia

 

9Colonne, 29 aprile 2010

 

Recito quindi So(g)no. Teatro Carcere 2010

a cura di Emilio Pozzi e Vito Minoia

Edizioni Nuove Catarsi

Urbino, 2009

 

Al Teatro Oscar un saluto a Emilio Pozzi, stella polare del teatro nelle carceri, e presentazione dell’ultimo libro curato da lui e da Vito Minoia. Alla serata ha partecipato anche Donatella Massimilia, regista dello spettacolo Princese.

Il carcere è un luogo misterioso per chi vive al di fuori. Chi vi entra è come se fosse risucchiato in un universo parallelo, di cui si parla poco. Ma cosa succede davvero lì dentro? In quello spazio vivono delle persone, che si alzano, mangiano, respirano tutti i giorni proprio come noi e Recito quindi So(g)no - di Emilio Pozzi e Vito Minoia - è una raccolta di testimonianze per non dimenticare questo che, spesso, è un mondo invisibile.

Non un luogo di vergogna, da tenere nascosto nel subconscio della nostra società, ma un’occasione per chi sta scontando una pena detentiva di recuperare un’esistenza dignitosa. Alla presentazione di questo libro è stata dedicata una serata al Teatro Oscar, durante la quale si è anche discusso dell’importanza dei progetti teatrali all’interno degli istituti penitenziari e dell’ultimo spettacolo firmato da Donatella Massimilia.

"Queste persone meritano rispetto perché sono in carcere a pagare per i delitti commessi" spiega Claudio Facchinelli, ospite della presentazione e collaboratore della rivista Teatri delle diversità, curata dallo stesso Emilio Pozzi - recentemente scomparso - cronista, docente universitario e volontario a San Vittore del progetto teatrale con i detenuti.

Donatella Massimilia, regista di Princese, aggiunge che la terapia teatrale svolta all’interno delle carceri non è indirizzata solamente alla creazione di uno spettacolo vero e proprio, essendo utile soprattutto come percorso per raggiungere un obiettivo specifico e per dare un senso a quello che sarà il "dopo", quando la detenzione avrà termine.

La speranza di Donatella è quella di dare una copertura internazionale alle iniziative del Cetec, il Centro Europeo Teatro e Carcere, e di tradurre questo libro in inglese per tenere il passo con l’Europa - dove l’arte è da tempo accettata come forma di terapia e recupero, mentre in Italia è ancora considerata una materia secondaria.

Per quanto riguarda più propriamente lo spettacolo, Massimilia ha voluto altresì ricordare che spesso le donne della sezione femminile si sentono veramente sole - lontane dalla famiglia e soprattutto dai figli. Il progetto Donne Teatro Diritti, promosso dal Cetec, è quindi un ottimo mezzo per parlare della vita in carcere, perché non va dimenticato che la vita continua ed è degna di essere raccontata in uno spettacolo teatrale.

Bisogna anche aggiungere che le compagnie teatrali che lavorano con i detenuti spesso si "innamorano" di questo luogo-non-luogo e decidono di rendere stabile la loro collaborazione. Da qui la nascita di diverse associazioni quali Puntozero, che si occupa di teatro nell’Istituto minorile Cesare Beccaria di Milano. Una miriade di iniziative - libri, spettacoli, progetti - con due obiettivi in comune: fornire una ragione di vita a chi è detenuto e uno sguardo diverso per chi è "fuori" verso coloro che sono "dentro".

Immigrazione: Consiglio d’Europa; respingimenti sono inumani

di Dina Galano

 

Terra, 29 aprile 2010

 

Sono duri i toni con cui questa volta si è modulato il linguaggio diplomatico del Comitato europeo contro la tortura (Cpt). Biasimo e raccomandazioni stringenti diretti al governo italiano, colpito nel cuore della sua politica di contrasto all’immigrazione clandestina e di controllo delle frontiere. Il rapporto pubblicato ieri dall’organismo europeo, basato sulle visite effettuate nel nostro Paese dal 27 al 31 luglio 2009, non fa sconti e invita a riesaminare la prassi dei respingimenti.

"La politica dell’Italia di intercettare migranti in mare e obbligarli a ritornare in Libia - si legge nel documento - viola i principi sanciti dalla Convenzione europea per i diritti umani". Ma ad essere contraddetti sono anche gli obblighi del soccorso e assistenza in mare, il diritto a garantire la protezione internazionale, di fornire le cure appropriate, di proteggere chi, in conseguenza della deportazione in un Paese non sicuro, risulta maggiormente esposto al rischio di torture e trattamenti inumani (principio di non refoulement). Inoltre, non meno significativo,

il Comitato ha sottolineato che è stato leso anche "l’obbligo a carico delle autorità nazionali di fornire le informazioni utili all’indagine, come previsto dai doveri di collaborazione stabiliti nella Convenzione". Infatti la delegazione, che ha visitato quattro centri di trattenimento per migranti irregolari e minori stranieri tra cui il Cie romano di Ponte Galeria, ha incontrato "l’ottima cooperazione delle autorità locali che hanno permesso di visitare e parlare in privato con le persone da ascoltare", mentre "non ha avuto accesso a documenti e informazioni richieste a livello centrale".

Un atteggiamento poco amichevole che ha trovato conferma nella risposta che il governo italiano ha fornito alle conclusioni del Cpt. Il ministero degli Affari esteri ha smentito di non aver fornito cibo, acqua e cure durante le operazioni di respingimento; ha negato l’uso della forza su persone già in condizioni disperate; ha altresì giustificato la mancata concessione del diritto di asilo spiegando che questa scatterebbe esclusivamente in seguito alla richiesta da parte dell’interessato che, nei casi evidenziati dal

Cpt, non era stata avanzata. Eppure il rapporto europeo è estremamente chiaro: il 6 maggio 2009 i migranti intercettati sono stati tenuti sui ponti delle navi italiane per dodici ore senza cibo, né coperte, né acqua sufficiente; alcuni di loro avrebbero subito violenze (anche a colpi di remo) da parte della polizia libica per costringerli a trasbordare sull’imbarcazione africana. Il primo luglio, inoltre, sei migranti, compresa una donna incinta, sono stati maltrattati fino a rendere necessario il ricovero in ospedale. Delle sette operazioni di accompagnamento forzato in Libia e Algeria su cui il Comitato contro la tortura ha svolto indagini, nessuna ha fatto eccezione. Tutte hanno parimenti giustificato il richiamo dell’organo

del Consiglio d’Europa "alle autorità italiane affinché siano assicurate alle persone sotto la giurisdizione nazionale, comprese quelle intercettate da navi italiane fuori dalle proprie acque territoriali, le necessarie cure mediche e umanitarie nonché l’accesso alle procedure che tutelano il principio di non refoulement". Come vorrebbero la normale prassi e le tante convenzioni internazionali di rispetto dei diritti umani.

Usa: dopo 19 anni di carcere, esame dna prova che è innocente

 

Apcom, 29 aprile 2010

 

Un autotrasportatore di New York, detenuto dal 1991 perché ritenuto responsabile di un omicidio commesso tre anni prima, è stato scagionato grazie all’esame del Dna. Nel 1991, Frank Sterling, al termine di un lungo interrogatorio, ha confessato l’omicidio di Viola Manville, 74 anni, salvo, poco dopo, ritrattare tutto. Ma i giudici non gli hanno creduto. La prova del Dna, ottenuta grazie all’impegno degli avvocati dell’associazione "Innocence Project" ha mostrato che Sterling diceva la verità e che il vero assassino era Mark Christie, responsabile di un altro omicidio commesso nel 1994. Dopo le analisi delle tracce di Dna trovate sugli abiti di Viola Manville, il giudice è stato costretto a riconoscere l’innocenza di Frank Sterling, oggi 46enne, condannato a 25 anni di reclusione.

Gran Bretagna: i detenuti non votano, nonostante sentenza Ue

 

Apcom, 29 aprile 2010

 

Nonostante la sentenza contraria della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, le autorità britanniche non permetteranno a circa 70mila detenuti di votare in occasione delle elezioni politiche del 6 maggio prossimo. Il Regno Unito, così come Romania ed Estonia, è infatti uno dei pochi Paesi europei in cui vige la privazione generalizzata del diritto di voto per tutti i detenuti, indipendentemente dal reato commesso: una situazione denunciata dalla stessa Authority britannica per il rispetto dei diritti umani e che la Corte Europea ha definito illegale con una sentenza del 2005, mai applicata da Londra.

Madagascar: Ong organizza un concorso di poesia per detenuti

 

Agi, 29 aprile 2010

 

Una ventina di detenuti del carcere di Antanimora, nella regione centrale del Madagascar, ha partecipato a un concorso di poesia organizzato dall’ong Madagasikara Namako. In lingua malgascia o francese, hanno raccontato in versi il loro quotidiano, spesso con umorismo. In palio, libri. La biblioteca del carcere, chiusa da molti anni, è stata riaperta su richiesta della ong e oggi vanta un’affluenza di una trentina di detenuti al giorno. "Molti hanno trovato l’ispirazione per le loro poesie leggendo i grandi classici della letteratura malgascia e francese" ha spiegato uno responsabile di Madagasikara Namako. Il concorso ha avuto grande eco e questo ha mosso molti a donare libri alla biblioteca dell’istituto ed è stato già annunciato un nuovo concorso.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

Precedente Home Su Successiva