Rassegna stampa 23 aprile

 

Giustizia: sui domiciliari Alfano va avanti e convince quasi tutti

di Dimitri Buffa

 

L’Opinione, 23 aprile 2010

 

Ci sono 10.741 detenuti in carcere a scontare pene inferiori ai 12 mesi: 5.694 italiani, 790 stranieri comunitari, 3.987 extracomunitari di cui 2.936 in possesso di una residenza o domicilio. Questi dati, sciorinati in aula e in commissione giustizia, hanno convinto il ministro di Giustizia Angelino Alfano a portare nel consiglio dei ministri di venerdì della prossima settimana un decreto legge perché siano concessi i domiciliari a chi deve scontare pene entro l’anno di carcere anche nel residuo di pena.

Poi seguiranno altre misure strutturali, come la "messa in prova" per reati sotto i tre anni e per pene entro quella stessa entità purché non vi sia l’aggravante della recidiva specifica infra quinquennale. Da una parte la pressione dei sindacati penitenziari che paventano rivolte a raffica e, dall’altra, il cosiddetto "digiuno di dialogo" della deputata radicale eletta nelle liste del Pd, Rita Bernardini, avrebbero compiuto il mezzo miracolo.

Ora si tratta di gestire i richiami della foresta populisti di Idv e di parte della Lega e del Pdl, ma la cosa non dovrebbe essere impossibile. Peraltro sembra che tra Alfano e la Bernardini sia nato un idem sentire sulle carceri sin da quando Alfano, quasi all’inizio del proprio mandato di ministro, le definì come "entità al di fuori della costituzione".

Ieri però il Sappe, per bocca del suo segretario Leo Beneduci, è ritornato all’attacco di Ionta e del "piano carceri", inteso nella sua parte di edilizia carceraria. Secondo Beneduci, il piano carceri "comincia a comportare danni evidenti soprattutto alla polizia penitenziaria, perché distoglie l’attenzione dell’opinione pubblica e della politica dalla reale portata degli attuali problemi".

C’è anche un problema sul fatto se il decreto avrà un minimo di copertura finanziaria, visto che il testo giunto all’esame della commissione prevede la "clausola di invarianza finanziaria", bloccando nuovi fondi per le strutture che dovranno garantire ospitalità ai detenuti inviati ai domiciliari che non sapranno indicare una fissa dimora. E per risocializzare quei detenuti, principalmente tossicodipendenti, che entrano ed escono dalle patrie galere, anche le modifiche annunciate da Giovanardi tanto al decreto Alfano quanto alla legge sulla droga, avranno il merito, se approvate, di sfoltire e di non fare più riempire, in prospettiva, le celle.

Giustizia: magistrati sorveglianza; ddl dubbia costituzionalità

 

Ansa, 23 aprile 2010

 

Non convince affatto i magistrati di sorveglianza il ddl del governo che prevede la detenzione domiciliare per chi deve scontare un anno di pena e l’introduzione dell’istituto della messa alla prova per gli imputati di reati fino a tre anni. Le nuove regole sulla detenzione domiciliare appaiono poco chiare e sono diffusi i dubbi, da parte di chi dovrà applicarle se diventeranno legge, sulla loro costituzionalità, per contrasto con l’articolo 27 della suprema Carta, e cioè con il principio che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Dubbi esternati davanti alla Sesta Commissione del Csm, che sta preparando un parere sul ddl.

L’occasione per il confronto sul provvedimento, un seminario di studi al quale hanno partecipato la maggioranza dei presidenti dei tribunali di sorveglianza, 18 sui 26 dislocati su tutto il territorio nazionale. E se le riserve sul provvedimento sono state soprattutto di natura di tecnica, diffusa è stata la critica di fondo: non è chiaro se questa detenzione domiciliare vada considerata una misura alternativa alla detenzione (ma in questo caso i magistrati di sorveglianza dovrebbero avere gli elementi per valutare se ammettere o no i singoli condannati alla concessione) oppure se si tratta di una sorta di "indulto mascherato": un beneficio che dovrebbe essere applicato automaticamente a tutti coloro che sono nelle condizioni previste dal disegno di legge.

Ma in questa seconda ipotesi, hanno fatto notare in tanti, il ddl rischierebbe di finire nel nulla sotto la scure della Corte Costituzionale. Sì perché esiste uno specifico precedente: nel 2006 la Consulta bocciò il cosiddetto "indultino", il provvedimento introdotto tre anni prima che prevedeva come automatica e obbligatoria la sospensione condizionata dell’esecuzione della pena, per chi doveva scontare al massimo ancora due anni, e che non consentiva al giudice di sorveglianza alcuna valutazione di merito.

E questo nonostante la legge non fosse stata approvata secondo le modalità prescritte dalla Costituzione per l’emanazione di un provvedimento di indulto. La Consulta dichiarò l’illegittimità per contrasto con gli articoli 3 e 27, ritenendo "evidente" che "la generalizzata applicazione del trattamento di favore, nell’assegnare un identico beneficio a condannati che presentino fra loro differenti stadi di percorso di risocializzazione, compromette, non soltanto il principio di uguaglianza, finendo per omologare fra loro, senza alcuna plausibile ratio, situazioni diverse, ma anche la stessa funzione rieducativa della pena".

Giustizia: Manconi; Pd accolga e migliori disegno di legge Alfano

 

Dire, 23 aprile 2010

 

"La proposta di Alfano è piena di limiti e contraddizioni, ma emendabile e migliorabile. E va nella direzione giusta". La pensa così Luigi Manconi, presidente di "A Buon Diritto", a proposito del ddl carceri presentato dal ministro della Giustizia Angelino Alfano. Parlando nel corso di un seminario universitario, Manconi si è rivolto al Pd affinché accolga il ddl del governo, seppur migliorandolo: "Quanti, all’interno del Partito democratico, seguono le questioni di Giustizia, oggi discutono e decidono in merito al ddl Alfano sugli arresti domiciliari per chi ha un residuo pena di un anno e per la messa in prova di tre anni. La proposta di Alfano è migliorabile".

In particolare: "Un emendamento, elaborato dal sottosegretario Carlo Giovanardi - continua Manconi - potrebbe introdurre un elemento di positiva novità per i tossicomani reclusi. Per il Pd - conclude - è un’ottima occasione per svolgere un ruolo autonomo e significativo, sottraendosi ai ricatti di chi, a destra come a sinistra, coltiva una concezione autoritaria e antigarantista della Giustizia".

Giustizia: Cgil; troppi sprechi, Alfano controlli le spese del Dap

 

Dire, 23 aprile 2010

 

"L’emergenza si risolve spendendo di più, ma anche spendendo meglio". È il pensiero di Rossana Dettori, segretaria generale Fp-Cgil nazionale. Che continua: "Appare quantomeno discutibile il fatto che, mentre agli agenti di Polizia penitenziaria spesso non vengono pagate le numerose ore di lavoro straordinario espletate e in alcuni casi per garantire le missioni relative ai servizi di traduzione dei detenuti gli operatori anticipano di tasca propria il denaro, l’assessore alla Sanità della Regione Sicilia goda dell’utilizzo di un’autovettura del Dap, con tanto di costi a carico dell’amministrazione penitenziaria.

Altrettanto discutibile appare la spesa di 400 mila euro prevista per la ristrutturazione di un’abitazione nel centro di Roma a disposizione del Capo dipartimento, o quel milione di euro previsto per la realizzazione di un’aula magna con 150 posti a sedere nei locali del Dap".

La Dettori evidenzia poi una contraddizione: "Se a mezzo stampa il ministro della Giustizia parla di "stato d’emergenza" per il sovraffollamento, promettendo piani edilizi tutti mediatici e vantando assunzioni che esistono solo sulla carta e che comunque non basterebbero ad affrontare l’enormità rappresentata dai 67 mila detenuti attualmente ristretti negli istituti, il dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, di sua diretta competenza, sembra non vivere alcun problema economico, gestendo le risorse in alcuni casi in maniera discutibile".

Per il segretario nazionale della Fp-Cgil "sarebbe opportuno, per tener fede alla nostra Costituzione e alla Legge Gozzini, utilizzare i fondi della Cassa delle Ammende per finanziare il servizio penitenziario, per sostenere i detenuti nella loro riabilitazione e sostenere le famiglie. Se al Dap si respira un’aria da paese di Bengodi, perché il ministro non pretende di utilizzare tali fondi per investire nelle carenze strutturali, nel ripristino di un sistema di sostegno a operatori e detenuti, nel mantenimento e nella ristrutturazione delle nostre anguste strutture penitenziarie?".

In conclusione la Dettori si chiede: "Quando potremo affrontare una discussione realistica sulla situazione edilizia, basata su stanziamenti nuovi e non su partite di giro, senza sottrarre nulla ai lavoratori e ai già insufficienti servizi penitenziari?".

Giustizia: appello; anch’io voglio Garante dei detenuti a Padova

 

Ristretti Orizzonti, 23 aprile 2010

 

Appello per una città dei diritti anche dei detenuti. La campagna "Anche io voglio il garante dei diritti dei detenuti a Padova" è sostenuta da associazioni, privati cittadini, studenti, realtà culturali e organizzazioni della società civile di varia tipologia.

Siamo tutti diversi per percorsi personali e collettivi di vita, ma mossi dalla preoccupazione nata dal vedere come di carcere si possa troppo spesso morire.

Siamo profondamente amareggiati e indignati per le fotografie e le notizie circa la morte ancora senza colpevoli di un ragazzo di 31anni, Stefano Cucchi, morto in seguito all’arresto per qualche grammo di hashish.

È da questi sentimenti che è partita per alcuni la necessità di approfondire ed indagare la conoscenza sull’argomento, scoprendo purtroppo che la sospetta morte di Stefano è stata una delle tante tragedie che vengono celate dentro le mura delle carceri italiane; solo quest’anno infatti, da gennaio ad aprile 2010, i suicidi in carcere sono stati già 20, di cui due nel carcere Due Palazzi di Padova.

Per altri che si occupano di carcere da molto tempo la situazione è conosciuta ma l’impennata delle morti di carcere negli ultimi tempi ha imposto una presa di posizione e di coscienza sulla necessità di intervenire concretamente.

Questi avvenimenti ci hanno imposto di rompere il silenzio su una tematica tanto difficile quanto emarginata dalle notizie dei media, di iniziare percorsi di costruzione di "altro" attraverso la rete delle varie esperienze e competenze, verso un obbiettivo comune.

Pensiamo che sia necessario dire basta alle violenze e alle morti nelle carceri, che sia fondamentale garantire anche ai detenuti di vivere nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, che per loro stessa natura non possono e non devono dipendere dalla reclusione.

In molti città d’Italia dove è presente un carcere, ma anche nel nostro stesso Veneto, come a Rovigo e a Verona, è stata istituita la figura del garante dei diritti delle persone private della libertà personale.

Il garante è un organo di garanzia che, in ambito penitenziario, ha funzioni di tutela delle persone private o limitate della libertà personale. I garanti ricevono segnalazioni sul mancato rispetto della normativa penitenziaria, sui diritti dei detenuti eventualmente violati o parzialmente attuati e si rivolgono all’autorità competente per chiedere chiarimenti o spiegazioni, sollecitando gli adempimenti o le azioni necessarie.

Il loro operato si differenzia pertanto nettamente, per natura e funzione, da quel degli organi di ispezione amministrativa interna e della stessa magistratura di sorveglianza.

I garanti possono effettuare colloqui con i detenuti e possono visitare gli istituti penitenziari senza autorizzazione, secondo quanto disposto dagli artt. 18 e 67 dell’ordinamento penitenziario.

Pensiamo che l’istituzione di questa figura sia fondamentale anche nella città di Padova dove esiste una delle carceri più importanti del nord est e purtroppo anche tragicamente nota anche dagli ultimi tristi fatti di cronaca. Due suicidi dal’inizio di quest’anno.

Crediamo che sia giusto costruire un percorso culturale,significativo e reale con tutta la cittadinanza che si proponga dal basso,dalle nostre sensazioni e spesso dall’indignazione che ci muove,per creare una realtà diversa,anche in luoghi come il carcere così sconosciuti e apparentemente lontani da noi.

Chiediamo perciò a tutti voi di mettervi in gioco ,di rendervi protagonisti e di urlare in faccia al silenzio che "anche io voglio il garante dei diritti dei detenuti nella nostra città".

Quest’appello all’istituzione di un garante per i diritti dei detenuti è rivolto in maniera totalmente laica a tutti coloro che come noi s’indignano di fronte alle recenti inaccettabili notizie sul mondo carcerario. Per questa ragione abbiamo deciso di estendere l’appello a docenti universitari e ricercatori, attori e registi, sportivi famosi e dilettanti, cantanti e persone famose di qualsivoglia specie affinché quest’appello possa esser il più partecipato e deciso.

L’invito che rivolgiamo attraverso questa mail è di mandare alla redazione della rete un breve video, 10 secondi al massimo, o una breve registrazione audio (anche attraverso una telefonata) in cui venga evidenziato quanto sia inaccettabile morire di carcere e quanto sia indispensabile la presenza di un garante per i detenuti.

Attraverso i video e le registrazioni audio inviateci e con quelli che noi fisicamente faremo a Padova grazie alla disponibilità di personalità pubbliche (vari docenti universitari, alcuni giocatori del Padova calcio, politici di rilievo nazionale, etc.) costruiremo un video-collage pubblicitario della campagna, un video che ci accompagnerà e sarà uno dei nostri strumenti per far sentire la nostra richiesta. Ringraziando in anticipo v’invitiamo a portare avanti la causa assieme a noi. Per qualsiasi difficoltà tecnica siamo a vostra totale disposizione e potete contattarci all’indirizzo mail: garantepadova@libero.it.

Giustizia: la posta elettronica nel carcere e le "caselle di libertà"

di Stefano Anastasia

 

Terra, 23 aprile 2010

 

F. T. è uno come tanti: in galera e lontano dalla famiglia. Non chiede l’impunità, ma solo di poter scontare la pena vicino a casa. Richiesta ragionevole: le relazioni familiari sono tra le più importanti (quando si riescono a mantenere) nella prospettiva del reinserimento, tanto che l’ordinamento penitenziario le considera un pilastro del "trattamento" dei detenuti; d’altro canto, se prima o poi si deve essere reinseriti, è bene che lo si faccia vicino a casa propria, piuttosto che in un luogo ignoto che verrà abbandonato il giorno dopo la scarcerazione.

Tanto ragionevole è la richiesta di F. T. che il regolamento penitenziario prevede che i detenuti siano assegnati a un istituto della regione di residenza e solo quando ciò non sia possibile per indisponibilità di posti si vada a finire in una località comunque "prossima". Ma è una vecchia storia, questa della territorializzazione della pena, che merita di essere ricordata, ma che non è il motivo principale di questo articoletto.

F. T. presenta dunque la sua istanza di trasferimento, per avvicinarsi alla famiglia e alla moglie malata. Presenta la sua istanza e poi ci scrive: se possiamo aiutarlo, se possiamo sapere che fine ha fatto la sua istanza, se potrà essere accolta. È il 21 ottobre del 2009. Come facciamo in circostanze di questo genere, gli chiediamo conferma che non ci abbia scambiato per un ufficio dell’amministrazione e che abbia effettivamente fatto domanda all’ufficio competente, tramite la ordinaria trafila burocratica. A gennaio ci rassicura e allora noi scriviamo a quel misterioso e potentissimo ufficio che potrebbe deciderne. Molto cortesemente (nessuno lo obbliga), il primo aprile il Direttore generale ci risponde: non risulta, agli atti, alcuna istanza di trasferimento di F. T.! Come nel gioco dell’oca, dopo sei mesi F. T. torna alla casella di partenza.

Intanto, però, il Ministro Brunetta ha annunciato urbi et orbi che da lunedì 26 aprile sono disponibili 50 milioni di caselle di posta elettronica certificata per semplificare le comunicazioni tra i cittadini e la pubblica amministrazione. 50 milioni sono tante: al netto di neonati e anziani informaticamente analfabeti, significa che c’e n’è una per ogni cittadino adulto, e anche per gli stranieri, regolari o irregolari che siano. Perché allora non dare a ogni detenuto la sua casella di posta elettronica certificata per scrivere direttamente all’ufficio trasferimenti dell’amministrazione penitenziaria? Perché non risparmiare loro questa logorante, vessatoria e incerta trafila amministrativa? Perché non liberare anche i detenuti dalla schiavitù della carta, della penna e del francobollo? Oops! Ho scritto "liberare": pardon, come non detto.

Giustizia: il patrocinio ai mafiosi e la "presunzione di abbienza"

di Vittorio Grevi

 

Corriere della Sera, 23 aprile 2010

 

Ha suscitato un certo scalpore, nei giorni scorsi, la sentenza con cui la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la disposizione che in assoluto precludeva la ammissione al patrocinio statale per i non abbienti dei soggetti già condannati con sentenza definitiva per associazione mafiosa, ovvero per altri consimili gravi delitti.

Più precisamente, allo scopo di evitare che tali soggetti (spesso addirittura qualificati come nullatenenti) potessero fruire per la loro difesa della assistenza gratuita di avvocati, retribuiti a carico del bilancio dello Stato, si era stabilito che ai medesimi non fosse consentito di dimostrare la effettiva indisponibilità di un reddito superiore ai limiti previsti dalla legge per la ammissione al suddetto beneficio.

Le ragioni di questa disciplina sono risapute, e possono riassumersi nella esigenza di evitare la beffa della concessione del gratuito patrocinio statale a ben noti esponenti della criminalità organizzata, che riuscivano a farsi passare come privi di redditi di fronte al fisco, pur avendo di fatto la disponibilità di ingenti ricchezze di origine delittuosa. E proprio alla luce di queste ragioni si possono comprendere le reazioni di disappunto emerse da varie parti - a cominciare dallo stesso ministro Alfano - a causa del timore di ricadute negative sui processi per delitti di mafia. Forse si tratta, però, di preoccupazioni eccessive. E, d’altra parte, era difficile che la Corte costituzionale, dinnanzi ad una presunzione assoluta di "abbienza" come quella prevista dalla disposizione censurata, potesse giungere ad una diversa conclusione.

In realtà la Corte ha bensì riconosciuto come valida e ragionevole la presunzione legislativa che un condannato per delitti di mafia abbia ricavato "dalla sua attività delittuosa profitti sufficienti ad escluderlo" dal beneficio del patrocinio statale, ma ha nel contempo ritenuto illegittimo che allo stesso condannato fosse impedito di dimostrare la eventuale infondatezza di tale presunzione. La quale, dunque, continuerà ad operare, salvi i soli casi in cui venga fornita, in concreto, la "prova contraria".

Livorno: una casa e un lavoro per gli ex detenuti delle Sughere

 

Il Tirreno, 23 aprile 2010

 

Una casa, l’accoglienza e la possibilità di trovare un impiego nel giro di un mese. Sono i cardini e gli obiettivi del progetto Sperimentando rivolto ai detenuti italiani e stranieri senza fissa dimora in uscita dal carcere o ammessi a misure alternative, l’iniziativa della Caritas in collaborazione con l’Uepe (Uffici per l’esecuzione penale esterna). Un progetto attivo grazie al contributo annuale erogato dalla Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno.

Sul territorio livornese dal 2008, in poco più di due anni Sperimentando ha concesso l’opportunità del reinserimento a venti soggetti dismessi dalle Sughere privi di domicilio o ex detenuti che hanno usufruito di permessi premio. Un progetto dal costo complessivo di 35 mila euro annui (la Fondazione Cassa di Risparmi ha erogato nel 2008 15 mila euro e nel 2009 25 mila): all’interno di un appartamento in via Firenze in affitto gestito dalla Caritas, alcuni volontari e operatori sostengono queste persone (alcuni tossicodipendenti) nel loro percorso di ritorno alla società, in modo da ridurre notevolmente i rischi di eventuali ricadute in situazioni di illegalità.

"Si tratta di un settore complicato ma di grande rilevanza sociale - sottolinea il presidente della Fondazione, l’avvocato Luciano Barsotti - sosteniamo il progetto e continueremo a farlo anche per il 2010 (si prevede un contributo di 20 mila euro, ndr) perché ne condividiamo in maniera assoluta gli scopi". L’esigenza di organizzare soluzioni di ospitalità per i detenuti "in uscita" è nata per rispondere alla richiesta proveniente dagli istituti penitenziari di Livorno e Gorgona, dato che le strutture La Maddalena (gestita dalla Caritas) e San Giuseppe (delle suore di Shangai) possono accogliere per un periodo limitato soltanto detenuti in possesso di permessi premio.

I numeri di Sperimentando raccontano di sette persone inserite nel 2008 e nove nel 2009: di questi ultimi, quattro hanno trovato casa e lavoro, uno è in attesa di ricevere l’assegnazione di una casa popolare e riceve una pensione di invalidità, uno ha trovato casa ma è in cerca di un lavoro stabile e uno ha trovato lavoro ed è ancora ospite dell’appartamento. Le richieste vengono valutate e filtrate da un team di progetto e ogni inserimento è organizzato tramite un regolamento interno. Gli ex detenuti rimangono nella struttura un mese, una sorta di ponte e punto di partenza verso il reinserimento nella società. I risultati ottenuti fino ad ora - dice Emilia Silvi, assistente sociale Uepe responsabile del progetto - sono positivi ma sempre migliorabili.

Aversa: Sen. Carloni (Pd) visita l’Opg; grave sovraffollamento

 

Ansa, 23 aprile 2010

 

La senatrice del Pd, Anna Maria Carloni, ha visitato, senza preavviso, l’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa (Caserta), sotto i riflettori nei giorni scorsi per la denuncia del Consiglio d’Europa sul trattamento degli internati.

"Mi sono presentata all’Opg senza preavviso e ho chiesto di visitare la struttura e di incontrare la direttrice e gli operatori. Ho potuto constatare - racconta Carloni - che non ci sono più, come aveva dichiarato la direttrice Carlotta Giaquinto, i letti di contenimento. Tuttavia ciò non risolve i drammatici problemi peculiari di una struttura come l’Opg del tutto inadeguata a curare persone malate. Perché - spiega la senatrice del Pd e membro della delegazione italiana al Consiglio d’Europa - se è vero che non c’è più nessuno che viene legato ai letti, per gli internati, che sono rinchiusi in ospedale per una valutazione di pericolosità sociale e possono uscire definitivamente solo su decisione del giudice, sentito il parere dei medici, ci sono 4 stanze di isolamento nelle quali sono sedati. Quindi, nonostante abbia potuto constatare che gli internati si fidano degli educatori e della direttrice e hanno con loro un rapporto positivo, il problema si ripresenta in forme diverse, anzi le loro condizioni di salute mentale, con il sovraffollamento tipico delle carceri e in assenza di adeguato personale medico e socio assistenziale, si aggravano perdendo qualsiasi possibilità di recupero".

L’Ospedale Psichiatrico di Aversa ha attualmente 320 internati, di cui due terzi sono definitivi e gli altri provvisori. "Dei 200 definitivi - continua Carloni - ben 80 sono stati valutati dall’equipe dell’Opg non più socialmente pericolosi e quindi in grado di poter sperimentare un percorso in strutture alternative previste dal Dipartimento di Salute mentale, così come d’altronde è scritto nell’allegato C della delibera del Dpcm del 1 aprile 2008 che trasferisce alle Regioni la sanità. Ciò non accade. Tanti internati sperano di poter uscire ma, di proroga in proroga, accade che una volta entrati ad Aversa poi di fatto non si esce più. Non a caso, durante la visita, alcuni di essi mi hanno avvicinata per dirmi tutta la loro sofferenza e la volontà di voler uscire perché, anche dopo la visita, mi è chiaro che gli Opg sono l’ultimo baluardo dei manicomi, aboliti con la legge Basaglia, e vanno superati".

"La direttrice - spiega Carloni - mi ha ricordato che il Dpcm del 2008 prevedeva tre fasi: la deflazione, la regionalizzazione con macroaree e, infine, la chiusura degli Opg. In realtà - continua la senatrice del Pd - questo processo non è si è mai realizzato. C’è bisogno immediatamente di rafforzare il personale sociosanitario e affrontare tutte quelle carenze strutturali che sono presenti anche nelle carceri. Ma soprattutto - conclude la senatrice Carloni - bisogna procedere concretamente alla chiusura e al superamento degli Opg.

Occorrerebbe anzi ragionare su microstrutture regionali, sostenute con personale qualificato, nelle quali finalmente il malato possa sperimentare un percorso valido di recupero".

Sassari: no a sorveglianza detenuto in coma, infermiere assolto

 

La Nuova Sardegna, 23 aprile 2010

 

Si rifiutò di fare salire sull’ambulanza un agente di polizia penitenziaria che pretendeva di viaggiare accanto a un detenuto in coma, durante il trasporto tra l’ospedale Marino e il Civile di Sassari. Un infermiere algherese di 62 anni, Antonio Nughes, rappresentato dall’avvocato Edoardo Morette, è stato assolto ieri mattina dal giudice monocratico Antonietta Crobu, perché il fatto non sussiste.

L’episodio era avvenuto nel giugno del 2005. Dopo un intervento di amputazione a un braccio, un detenuto era entrato in coma. Era stato subito disposto il suo trasferimento all’ospedale civile di Sassari. Mentre l’ambulanza veniva preparata in tutta fretta, per partire immediatamente alla volta del capoluogo, un agente di polizia penitenziaria aveva chiesto di poter salire sul mezzo di soccorso, come prevedeva il suo regolamento, per poter tenere d’occhio il detenuto.

L’infermiere, però, si era opposto alla richiesta dell’agente, spiegando che nessun altro, oltre al personale e al medico, avrebbe potuto viaggiare sul mezzo in una situazione di emergenza come quella (viste le sue condizioni, non c’era certo il rischio che il detenuto scappasse). L’agente, di fronte a questo rifiuto, aveva chiesto i documenti d’identità all’infermiere. Antonio Nughes, però, aveva negato anche quelli ed era partito a tutta velocità verso Sassari. Dopo l’episodio, l’agente aveva denunciato l’infermiere. Il pubblico ministero Idini, nella sua requisitoria, ha chiesto una condanna a due mesi per l’infermiere. Mentre il giudice, accogliendo le richieste del difensore, ha assolto Antonio Nughes.

Milano: direttrice Ipm Beccaria; no protesta solo dabbenaggine

 

Ansa, 23 aprile 2010

 

Non vi sarebbe stata alcuna forma di protesta da parte dei giovani che hanno dato fuoco a stracci e indumenti provocando l’incendio divampato oggi nel carcere minorile Beccaria di Milano. È quanto sostiene la direttrice dell’Istituto penitenziario, Daniela Giustiniani.

"Per fortuna non si è fatto male nessuno e gli agenti della polizia penitenziaria sono intervenuti prontamente anche se tre di loro purtroppo hanno respirato il fumo divampato e sono ricorsi alle cure dei medici - ha detto la direttrice - ma non è stata una forma di protesta per il sovraffollamento. Non c’è stata protesta, ma dabbenaggine da parte dei ragazzi, cecità e imprudenza: forse cercavano di fare un dispetto e hanno dato fuoco a stracci e asciugamani gettandoli nel corridoio mentre loro restavano nelle stanze. Certo c’è stato fumo e abbiamo dovuto sgomberare i locali, ma per fortuna nessuna grave conseguenza". La direttrice, facendo riferimento al presunto affollamento e alla chiusura che ancora si protrae di un’ala del Beccaria ha spiegato: "Al momento ci sono 53 o 54 ragazzi, stiamo procedendo allo sfollamento e tra non molto avvieremo ma dobbiamo cominciare a mandare via i ragazzi in più. Dovremo ridurre il numero dei giovani per poter fare i lavori di ristrutturazione".

Milano: il festival dei detenuti-attori entra nel carcere di Bollate

 

La Repubblica, 23 aprile 2010

 

Lo spirito è quello di una vera e propria tournée. Ma anziché passare da teatri, ristoranti e alberghi, qui accade tutto in carcere: si fa spettacolo, si mangia, si dorme. Perché gli attori protagonisti del festival "Liberi di vivere", in programma nella casa di reclusione di Bollate, sono detenuti-attori in cerca di un pubblico vero, che infatti, per l’occasione, avrà accesso "dietro le sbarre". Avvantaggiato anche dallo snellimento della procedura di ingresso, per la quale viene richiesta semplicemente una prenotazione via mail con numero di documento di identità. Anima di questo articolato progetto che muove una sessantina di artisti dalle carceri di Rebibbia, Volterra, Padova e Saluzzo, la cooperativa e. s. t. i. a./Teatro In-Stabile, da anni attiva a Bollate dove non solo ha creato una compagnia, ma anche aperto un’attrezzatissima sala da 150 posti.

"È un’operazione che agisce su più livelli, creando connessioni e relazioni - spiega Michelina Capato Sartore, regista e guida di Teatro In-Stabile - Tra detenuti di carceri diverse che possono vedere i rispettivi lavori, e con il pubblico, invitato a condividere quest’esperienza. Fare un festival significa anche rispondere alla crescente domanda di professionalità da parte di chi opera in condizioni di reclusione, ricordando a tutti che il teatro-carcere sta dando risultati molto positivi, in termini economici, culturali e di reinserimento".

E se l’apertura e la chiusura del festival è affidata ai "padroni di casa" di Teatro In-Stabile (stasera con Non sopporto più, happening semiserio contro la noia ripetitiva del teatro e l’1 maggio con lo scanzonato Psycopathia Sinpathica ), per domani sono attesi i primi ospiti, ovvero la compagnia Evadere nata all’interno di Rebibbia e guidata da Fabio Cavalli. Ventinove i performer in scena per questo Viaggio all’isola di Sakhalin che, partendo dal reportage che Cechov scrisse alla fine dell’Ottocento dopo aver visitato la colonia penale del titolo e passando per gli scritti di Oliver Sacks, porta in scena l’esperienza della reclusione senza alcun pietismo.

Arriva invece da Volterra lo spettacolo della Compagnia della Fortezza, forse la più nota delle formazioni teatrali attive in carcere, fondata alla fine degli anni Ottanta da Armando Punzo e da allora fucina inesauribile di spettacoli di rara potenza visionaria, adorati da pubblico e critica (svariati i Premi Ubu). A Bollate sono in scena il 24 aprile con Il libro della Vita/Storia di Alì, scritto dall’ex detenuto Mimoun El Barouni e interpretato da Jamel Bin Salah Soltani. Una confessione autobiografica che comincia in Marocco e finisce nei porti di Marsiglia e Livorno, dove il sogno di una vita migliore naufraga dietro le sbarre di una prigione.

È nato invece nel carcere Due Palazzi di Padova lo spettacolo Annibale non l’ha mai fatto, viaggio sulle rotte illegali di disperati in fuga (28 aprile), mentre i detenuti della casa di reclusione Morandi di Saluzzo presentano Vita!, travolgente messa in scena di teatro fisico e di immagine diretta da Grazia Isoardi (29 aprile). Casa di reclusione di Bollate via Cristina Belgioioso 120, da stasera all’1 maggio.

Germania: pene alternative; baby criminali condannati leggere

di Alessandro Alviani

 

La Stampa, 23 aprile 2010

 

A prima vista ricorda quasi un ricettario. Problemi con gli alcolici? "Cercando Alaska" di John Green potrebbe aiutare ad affrontarli. Comportamenti violenti? Meglio "La fabbrica del male" di Jan Guillou. Famiglie a pezzi? "Vinterviken" di Mats Wahl dovrebbe essere la scelta giusta. E così via, di titolo in titolo.

Quello compilato dal tribunale per i minorenni di Fulda, nel Land tedesco dell’Assia, non è però un ricettario, bensì un catalogo di possibili condanne. Condanne particolari, certo: quelle che da qualche settimana il giudice Christoph Mangelsdorf infligge ai giovani alla loro prima esperienza criminale, fermati per aver provocato una rissa in discoteca o per essere stati trovati ubriachi alla guida di uno scooter.

Piuttosto che inviarli in un canile per fare qualche ora di lavori socialmente utili o di spedirli addirittura in Siberia, come fecero qualche tempo fa proprio i servizi sociali dell’Assia con un sedicenne recidivo, Mangelsdorf "condanna" i ragazzi a leggere un libro. E non un mattone come "Guerra e pace" di Tolstoj o tutti e sette i volumi di "Alla ricerca del tempo perduto" di Proust, bensì libri che siano pensati per i ragazzi e che abbiano Un qualche legame con la storia dei giovani criminali. Obiettivo: aiutarli a riflettere su quello che hanno fatto, ma anche stimolare la loro fantasia e conquistarli alla lettura.

Troppo leggera come pena? "Prima di tutto c’è bisogno che i giovani si dichiarino disponibili a leggere un libro dall’inizio alla fine e purtroppo per molti di loro questo rappresenta già un ostacolo difficilmente superabile", ha spiegato il tribunale presentando il progetto. Non a caso c’è già chi ha preferito ripulire un giardino piuttosto che sedersi e sfogliare un libro. In fondo alla base di tutto c’è la libera volontà dei ragazzi: se rifiutano il libro come condanna non resta loro che una punizione più tradizionale.

Dal lancio del progetto, a inizio anno, quelli che hanno accettato la pena proposta da Mangelsdorf sono una quindicina, tutti di età compresa tra i 15 e i 17 anni. Ognuno di loro ha dovuto leggere interamente uno dei quattordici titoli selezionati dal tribunale e dai servizi sociali: oltre a "Cercando Alaska", "La fabbrica del male" e "Vinterviken" ci sono ad esempio "Die Ameisensiedlung" di Mirijam Gtinter, storia di una quindicenne che vive insieme alla madre alcolizzata in un quartiere difficile di periferia, o "Kurzer Rock" di Christina Wahldén, romanzo su una ragazzina violentata da due compagni di scuola un giorno che indossava una gonna molto corta.

Il testo scelto deve avere uno stretto rapporto col giovane, con le sue condizioni di vita o col reato da lui commesso: "Die Ameisensiedlung" viene per esempio consigliato ai ragazzi con problemi di emarginazione sociale, "Kurzer Rock" a quelli che si sono fatti notare per reati a sfondo sessuale. I ragazzi hanno dalle quattro alle sei settimane di tempo per leggerli. Subito dopo devono scrivere

un tema per rispondere ad alcune domande tipo "che rapporto c’è tra il libro e la mia vita?" o "come avrei agito se mi fossi trovato nella stessa situazione del protagonista?". Segue infine un colloquio con un esperto dei servizi sociali che deve stabilire se la pena è stata sufficiente o no.

Il primo bilancio del progetto sembra positivo. Al posto delle 5 pagine di tema richieste dai servizi sociali un ragazzo ne ha consegnate per esempio 13; un altro, dopo aver scontato la sua punizione, ha deciso di scrivere un libro. Mangelsdorf non può che dirsi soddisfatto. Dopò tutto lui si è già "autopunito" abbastanza: il giudice ha letto quasi tutti i libri selezionati dal suo tribunale.

 

 

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