Rassegna stampa 19 aprile

 

Giustizia: per l’emergenza carceri una "strategia partecipata"

di Giuseppe Anzani

 

Avvenire, 19 aprile 2010

 

Carcere, allarme, emergenza: ci risiamo. All’inizio dell’anno lo "stato di emergenza" fu perfino proclamato, tra plausi in attesa di miracolo e scetticismi pungenti. Oggi il dramma infinito prosegue, brucia l’invariato dolore di 67mila corpi ammassati in 43mila posti di capienza attrezzata per un patimento sopportabile.

Il governo progetta di mandare a casa, per decreto legge, i detenuti che hanno da scontare l’ultimo anno di pena. Staranno a casa ma senza uscire, si capisce, se no tornerebbero in galera con una condanna in più e questo non gii conviene. Per l’ammasso carcerario sarà una boccata d’aria; niente di più, ma meglio che niente. Forse può funzionare, come si fa a non essere d’accordo, proviamo.

Ma diventa cruciale capire che il carcere non è un problema congiunturale, ma strutturale in ragione della pena che viene amministrata in Italia per mezzo del carcere, e che va ripensata daccapo. Dico "daccapo" perché questo problema ha riempito di pensieri i giorni e le notti in un preciso momento storico della generazione passata: ricordo gli entusiasmi e le speranze, i progetti e gli impegni, e i sogni forse, i sogni sì, della "riforma penitenziaria" del 1975. Scrivemmo il più bel codice del mondo. E non ci siamo sbagliati, no, chiamandola riforma penitenziaria invece che carceraria.

Non è il castigo in sé, il dolore, la frustata, la mano mozzata ciò che riscattali delitto (ed è ancor peggio l’anima mutilata dalla trafila di un carcere simile alla Caienna), ma il mutamento del cuore e la conversione; è quel traguardo che la Costituzione chiama emenda e al quale finalizza ogni pena. Il carcere, le sbarre, la libertà incatenata sono varianti di quell’identico dolore in cui si deposita l’esecuzione di un castigo sociale, di una pena stampata su un marchio espulsivo; reputarle più gentili o più civili delle frustate in piazza è una convenzione che rifiuta la barbarie della tortura corporale, ma non schiva la barbarie della tortura spirituale. Alle strette: noi rifiutiamo la pena di morte e l’abbiamo bandita nella Costituzione, ma non passa settimana senza che uno dei nostri carcerati si uccida, cioè si dia una pena di morte preferita alla tortura del nostro carcere, senza incomodo di boia. Collocare il castigo nell’orbita di un cammino redentivo, e non più espulsivo, ci parve allora una promessa, persino una scommessa. E quanto ci hanno sudato e investito, gli addetti professionali e volontari, io lo so.

Oggi pensare al carcere (teorico) come sede privilegiata di un cammino emendativo, e vedere il carcere (concreto) com’è, scoraggia fino alla disperazione. Che cosa non ha funzionato, che cosa ha fallito? Capirlo è essenziale, adesso. Confessando il fallimento, la strategia penitenziale deve sfondare i cancelli, deve essere "partecipata".

Mandare a casa i detenuti con un anno di anticipo può diventare ima chance preziosa; ma è un’illusione insensata se li consegnerà alla solitudine di "carcerati sfollati" di cui non si occupa più nessuno. Perché, infine, resta qui la sfida: la pena, fattasi penitenza, ha un traguardo sociale di riammissione, di ricircolo, di riappartenenza, vorrei dire di riabbraccio nell’onestà recuperata. Il congedo che suona come un "via di qui, i posti sono limitati, e tu ci ingombri" può suonare come il disprezzo residuo verso chi conta ormai così poco che chiudere un occhio è toglierselo dagli occhi. No, quando lo Stato giudica un uomo e gli dà pena, si prende pena per lui, per la sua guarigione.

Giustizia: Alfano; tra una settimana dl su detenzione domiciliare

 

Adnkronos, 19 aprile 2010

 

Il decreto legge sulla detenzione domiciliare a chi manca un solo anno di carcere, annunciato ieri dal presidente Berlusconi, potrebbe essere emanato la prossima settimana. A sottolinearlo è il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che a margine della Conferenza nazionale della Cassa di assistenza e previdenza forense ha sottolineato: "Il presidente del Consiglio ha annunciato lo studio di un decreto legge che ha una base testuale già scritta poiché coincide con il disegno di legge che è all’esame della Commissione Giustizia della Camera che fu licenziato dal Cdm come norme di accompagnamento al piano delle carceri. Una parte di quel disegno di legge potrebbe venire decreto la prossima settimana".

Il ministro ha quindi voluto rassicurare che "non si manda nessuno per strada, non si rende libero nessun detenuto ma si immagina una detenzione domiciliare solo per chi ha l’ultimo anno di pena da scontare con un raddoppio delle pene per il caso di evasione. Dunque - ha concluso il Guardasigilli - non c’è proprio l’interesse da parte di chi deve scontare l’ultimo anno, per di più ai domiciliari, di evadere nel momento in cui la sanzione per quell’evasione sarebbe assolutamente maggiorata rispetto a quella oggi esistente".

Giustizia: ruba uno zaino, si suicida dopo la condanna di 5 anni

di Valentina Calderone

 

www.innocentievasioni.net, 19 aprile 2010

 

Giovanni Lorusso, 41 anni, viene trovato senza vita nel carcere di Palmi il 17 novembre 2009. L’ipotesi accreditata, al momento, è il suicidio. Un suicidio annunciato (non era la prima volta che provava a togliersi la vita) anche se, a noi, verrebbe da dire un suicidio indotto. Indotto da una serie di drammatiche circostanze che evidenziano come la storia di Giovanni Lorusso sia segnata da tutte le iniquità che affliggono il nostro sistema carcerario. Lorusso aveva un passato di piccola criminalità e devianza, insieme a problemi di tossicodipendenza.

Questa volta era finito in carcere per il furto di uno zaino su una spiaggia di Rimini. Per questo reato, su cui ha pesato come un macigno la condizione di recidivo, è stato condannato all’enormità di 4 anni e 5 mesi di reclusione. L’ultima carcerazione di Lorusso ha subito l’iter che la maggior parte dei detenuti si trova ad affrontare: il continuo trasferimento da un carcere all’altro, in luoghi sempre più lontani da quelli di residenza. Prima a Rimini, poi ad Ariano Irpino e, infine, a Palmi, in Calabria.

La sorella di Giovanni, Maddalena, abita a Milano: Lorusso ha più volte chiesto di essere trasferito in Lombardia, perché Maddalena era l’unico affetto rimastogli e la sola persona che continuava ad occuparsi di lui. Nonostante questo suo desiderio fosse rimasto disatteso, Lorusso si aspettava da lì a pochi giorni la concessione della detenzione domiciliare presso la comunità terapeutica Il Gabbiano. Effettivamente a questa richiesta il 16 novembre era stata data risposta affermativa, ma - per problemi burocratici, amministrativi, di incomunicabilità tra uffici? - non gli era stata notificata.

È morto così, il giorno 17, nella solitudine e nella disperazione, forse convinto di dover rimanere in quel carcere per chissà quanto tempo ancora. La sorella, tuttavia, non riesce a credere nel suicidio. Lorusso, il 3 novembre, le aveva scritto una lettera: denunciava di essere in isolamento da più di quindici giorni, confessava di avere provato a togliersi la vita senza avere avuto il coraggio di andare fino in fondo, raccontava di patire il freddo a causa di una finestra rotta, diceva che le ferite alla mano non se le era procurate dando un pugno contro il muro ma che erano il risultato di colpi inferti da agenti.

Ne aveva parlato con il suo avvocato, Martina Montanari, e le aveva chiesto di denunciare tanto i poliziotti quanto il direttore del carcere. Ad Ariano Irpino lui non ci voleva più stare e, anziché essere avvicinato a casa (come da suo diritto), viene allontanato ancora di più e mandato in Calabria. Di questo ennesimo spostamento non è stata data comunicazione né alla famiglia né all’avvocato e a tutt’oggi ancora non se ne conoscono i motivi.

Oltretutto Lorusso era in attesa della risposta alla sua richiesta di scarcerazione. Qual è stato, quindi, il senso di quell’ulteriore trasferimento? Forse piegare fisicamente e mentalmente una persona che aveva già dato segni di fragilità? Non è il solo mistero: i suoi effetti personali non sono mai stati riconsegnati alla famiglia e soprattutto restano, non spiegati in alcun modo, quei segni sul suo corpo, quegli ematomi e quelle lesioni che la sorella ha potuto nitidamente vedere durante il riconoscimento.

E resta un dato comunque atroce: il sistema penitenziario sembra fatto di atti e omissioni, pressioni e carenze, meccanismi di disciplina e intimidazione, procedure di spersonalizzazione e mortificazione, tali da determinare - in un numero crescente di casi - la pulsione all’autolesionismo.

Giustizia: Consulta; vietato proibire patrocinio gratuito ai boss

 

La Stampa, 19 aprile 2010

 

La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma del testo unico sulle spese di giustizia che escludeva la possibilità di accertare, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, l’indisponibilità, da parte di soggetti già condannati in via definitiva per associazione mafiosa, di un reddito superiore ai limiti indicati dalla legge. La questione di legittimità era stata sollevata dai tribunali di Catania e di Lecce: i giudici della Consulta l’hanno ritenuta fondata, osservando che "la presunzione in esame, estesa a tutti i reati e senza limiti di tempo - si legge nella sentenza n. 139 - impedisce che si possa tener conto di un eventuale percorso di emancipazione dai vincoli dell’organizzazione criminale, perfino nell’ipotesi in cui il soggetto sia imputato di un reato, anche colposo, che nulla abbia a che fare con la criminalità organizzata.

È agevole ipotizzare - osservano i "giudici delle leggi" - la situazione di disagio personale, economico e sociale di chi partecipe di una associazione di stampo mafioso, tenti il reinserimento nella società e incontri difficoltà a trovare lavoro e sconti, in vari campi della vita di relazione, la pregressa appartenenza e si trovi coinvolto in procedimenti penali, nei quali non possa esercitare una difesa adeguata, proprio per dimostrare la sua estraneità al crimine, causa di una reale condizione di indigenza, il cui accertamento è precluso al giudice dalla norma censurata". Il ministro della Giustizia Angelino Alfano esprime "rammarico" per la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della riforma che esclude, nei processi, la possibilità per un imputato già condannato per mafia o per contrabbando di tabacchi di essere ammesso al gratuito patrocinio da parte dello Stato, senza una effettiva verifica della situazione di reddito.

 

Alfano: rischio di intasamento nei procedimenti per mafia

 

Processi per mafia a rischio di allungamento. L’allarme è stato lanciato ieri dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che, in una nota, prende atto con preoccupazione della sentenza della Corte costituzionale depositata venerdì (la 139 del 2010) con la quale è stata ammessa la possibilità di ottenere il gratuito patrocinio anche per chi ha già ricevuto una condanna definitiva per reati di mafia. Il Governo Berlusconi aveva introdotto il divieto assoluto per i mafiosi già condannati di farsi pagare l’assistenza legale dallo Stato sulla base di una dichiarazione di nullatenenza.

La Consulta, che pure come sottolinea Alfano non ha contestato alla radice la previsione, ha però ammesso che il mafioso possa presentare una procura contraria e quindi accedere al patrocinio senza spese. Proprio questa possibilità di contestazione della presunzione, secondo il ministro "rischia di intasare non poco la gestione dei processi di mafia". Perché i giudici, saranno costretti "a valutare le prove di nullatenenza addotte dal mafioso che aspira a farsi difendere gratis pur a fronte della notorietà del fatto (riconosciuto dalla stessa Corte) che chi esercita l’attività di mafioso lo fa non per scelta ideologica, ma per scopi di potere e arricchimento personale nonché per godere dei meccanismi di protezione, anche di tipo economico, che l’associazione mafiosa assicura ai propri membri ed alle loro famiglie in caso di difficoltà anche conseguente ai periodi di detenzione (come dimostrato inconfutabilmente dalle risultanze giudiziali dell’ultimo trentennio)".

Conclude il Guardasigilli: "Si tratta, ovviamente, di sovvenzioni e di aiuti che non prevedono il rilascio di ricevute". E Alfano ha anche annunciato ieri che il decreto legge, preannunciato venerdì da Silvio Berlusconi, per concedere un regime di arresti domiciliari nell’ultimo anno di pena, potrebbe già essere emanato la settimana prossima, utilizzando una parte di un disegno di legge all’esame della commissione giustizia della Camera.

"La base del testo del decreto legge - ha spiegato Alfano - è nel documento che fu licenziato dal consiglio dei ministri come norma di accompagnamento al piano delle carceri: una parte di quel disegno di legge potrebbe divenire decreto la prossima settimana". Il ministro rassicura sugli effetti che potrebbero riguardare circa 10mila detenuti: "Non si manda nessuno per strada, non si rende libero nessun detenuto, ma si immagina una detenzione domiciliare solo per l’ultimo anno con un raddoppio delle pene in caso di evasione. Quindi, non c’è proprio l’interesse da parte di chi deve scontare l’ultimo anno a evadere nel momento in cui la sanzione sarebbe maggiorata rispetto a quella oggi esistente".

Giustizia: un Concorso riservato agli "scrittori dietro le sbarre"

 

Adnkronos, 19 aprile 2010

 

Pensieri e parole dietro le sbarre. La storia ci ricorda celebri personaggi che dalla detenzione hanno tratto ispirazione per scrivere un racconto, a volte autobiografico, altre volte di fantasia. Per mettere nero su bianco le proprie riflessioni, per sentirsi liberi, per evadere, per tenere un legame intimo con i propri affetti. E nel tempo, quest’abitudine non è mai cambiata. C’è chi trova ispirazione nel buio della propria cella, illuminato solo dal barlume di una lampada. E chi magari butta giù qualche riga dopo elucubrazioni notturne. Ma la di là della corrispondenza con i propri cari, qualche detenuto si improvvisa scrittore.

Questa tendenza si è trasformata in un vero e proprio concorso letterario, aperto a tutti i detenuti, comunitari ed extracomunitari delle carceri italiane. Si tratta del Premio Letterario Goliarda Sapienza "Racconti dal carcere", alla sua prima edizione. A idearlo, la giornalista Antonella Bolelli Ferrera, con il patrocinio della Siae e del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

La voce di Radio Rai del programma "La storia in giallo", ora diventato "Cuore di tenebra", che in dieci anni si è trovata a parlare di personaggi legati a tematiche a tinte forti, racconta all’Adnkronos: "L’idea è nata dal fatto che nella storia, grandi personaggi, durante la detenzione, si sono ritrovati a scrivere. E come loro, tanti, dietro le sbarre, si servono della scrittura per trovare un senso di liberazione. Ma soprattutto, a ispirare il concorso, è stata l’attrice e scrittrice Goliarda Sapienza (1924-1996), che, dopo la sua breve esperienza in cella (negli anni degli espropri proletari), nel penitenziario romano femminile di Rebibbia, ha dato vita al romanzo L’Università di Rebibbia".

"Prima di questo romanzo - racconta Bolelli Ferrera - nessuno le pubblicava nulla. Poi ha scritto questo racconto crudo e ben fatto, dove ogni lettore può calarsi nella vita dietro le sbarre. Goliarda Sapienza parla delle urla che provengono dalle celle, del puzzo di minestrone, ma prima di tutto di un’umanità che abita il carcere". Ma come era finita in cella? "Goliarda era una donna che veniva da un’ottima famiglia, era la compagna del regista Citto Maselli, ha vissuto il periodo della Dolce Vita. Poi si lasciò con Citto, passò momenti di depressione e stette parecchio tempo in cura da uno psichiatra. Un giorno, in visita a una cara amica benestante - prosegue - si trovò davanti a dei gioielli e li rubo. Ma pare che fece di tutto per farsi scoprire, e a quel punto fu mandata a Rebibbia. Quando uscì, cominciò a sentire la mancanza di quei legami forti che aveva trovato in carcere, affetti mai vissuti in libertà. Ecco che nacque il romanzo, a volte cruento, sui suicidi e gli abusi a cui aveva assistito".

Dalla sua storia nasce il concorso letterario, che dà la possibilità ai detenuti di raccontare qualcosa, di mettere nero su bianco la propria esperienza. Ma la giornalista tiene a precisare che non si tratta di un premio, ma "un concorso letterario: la Costituzione - fa notare Bolelli Ferrera - prevede che la pena debba avere una funzione riabilitativa. Perché non farlo insegnando un lavoro ai detenuti, e perché no, un lavoro intellettuale?".

Chi vincerà il premio del concorso che vede come madrina d’eccezione la scrittrice Dacia Maraini, potrà decidere come sfruttarlo, magari con iniziative per il carcere stesso, come pagare dei computer, fa notare ancora la giornalista. "Certo, bisogna porsi sempre dalla parte delle vittime, della legge - aggiunge - ma non c’è dubbio che i detenuti stiano vivendo una situazione particolare, data dal sovraffollamento, dalla commistione di tante razze. Questa è l’occasione per andare a indagare nella realtà dietro le sbarre, non spiando dal buco della serratura, per cercare di capire meglio come si vive in cella. Un’occasione per far parlare detenuti anche dei problemi di chi si occupa di loro, dagli agenti ai volontari".

Tra i racconti che perverranno alla Siae, ne verranno selezionati 20 che saranno affidati a scrittori "di fama" che avranno il compito di tutor nel percorso letterario e di editing delle opere. I racconti verranno poi pubblicati, accompagnati dalle interviste agli autori, in un’antologia. Tra gli scrittori, nomi come Erri De Luca, Massimo Carlotto, De Cataldo, Gianni Minà, Susanna Tamaro, Marcello Veneziani, Franca Leusini.

I detenuti possono iscriversi al concorso entro il prossimo 15 giugno. I finalisti (scelti da una giuria composta da scrittori, giornalisti ed esperti) saranno premiati in base alle categorie: migliore storia, più intenso processo di riflessione interiore e descrizione più suggestiva della vita in carcere.

Cosa significa scrivere in carcere, la giornalista di La storia in giallo, l’ha toccato con mano, intervistando i detenuti di Rebibbia e Regina Coeli. Ognuno, con il proprio modo di intendere la scrittura. "Vidi un uomo, nell’ombra, con un foglio e una penna in mano - racconta Bolella Ferrera - gli chiesi cosa stesse facendo. Scriveva a suo padre, al buio, con una piccola lucina che illuminava solo il foglio. Era un modo per stare raccolto, per elaborare i suoi pensieri più intimi".

E poi, l’incontro con "Il Poeta" (così veniva chiamato dai compagni), un uomo dall’aspetto distinto, con un maglioncino in finto cachemire. "Quel giorno il poeta mi aspettava - svela - voleva parlare di scrittura. Mi ha detto che partecipava a qualunque iniziativa, che amava scrivere. E quando abbiamo parlato del premio, di quando si sarebbe concretizzato il concorso, mi ha risposto ironico: peccato, forse non sarò più qui".

Sono tante ormai le iniziative per i detenuti, che possono seguire corsi di scrittura creativa, seguire lezioni universitarie in videoconferenza o lavorare. "Quando si entra in carcere - conclude la giornalista - si vede un’umanità varia, e quando si esce, qualcosa in noi cambia, non si è più come prima".

Lettere: i detenuti si uccidono e gli agenti… chiedono migliorie

di Carmelo Musumeci

 

www.linkontro.info, 19 aprile 2010

 

Sul Corriere della Sera del 29 marzo 2010 leggo: "Detenuto suicida con la bombola a gas. Il sindacato degli agenti di Polizia penitenziaria ha chiesto che siano vietate".Come se uno non si potesse suicidare impiccandosi con le lenzuola, le maniche di una camicia, etc. Per esempio, l’ultimo suicida nel carcere di Spoleto l’ha fatto con un semplice maglione. È come proporre di non costruire più automobili perché nelle strade italiane ci sono troppi decessi per incidenti di macchine. Se si levassero i fornellini a gas nelle prigioni, come farebbero i detenuti a mangiare? Non lo sa il sindacato degli agenti della Polizia penitenziaria che il cibo che passa l’Amministrazione dell’istituto non basterebbe neppure per i topi che vivono in carcere? Quante cose inesatte si dicono e si leggono sul carcere, ma è normale perché parlano tutti fuorché i carcerati.

Sempre sul Corriere della Sera di domenica 4 aprile 2010 leggo: "Sulmona: Suicidio in carcere, è il sedicesimo dell’anno. Il segretario generale del sindacato autonomo di Polizia penitenziaria denuncia gravi carenze negli organici della Polizia penitenziaria: Come può un solo agente controllare 80 o 100 detenuti?".

A parte che sono i detenuti che si controllano da soli e spesso sono i detenuti che controllano la Polizia penitenziaria perché non potrebbe essere altrimenti, come farebbe un solo agente da solo a controllare ottanta o cento detenuti senza l’aiuto e il consenso degli stessi prigionieri? Se le carceri non scoppiano e i detenuti preferiscono ammazzarsi piuttosto che spaccare tutto come facevano nel passato, è merito soprattutto della crescita interiore dei detenuti.

Trovo di pessimo gusto approfittare dei morti ammazzati di carcere per chiedere miglioramenti sindacali di organico e finanziari. Noi non abbiamo bisogno di agenti penitenziari piuttosto abbiamo bisogno di educatori, psicologi, magistrati di sorveglianza e di pene alternative. Ricordo a proposito che per i detenuti che scontano l’intera pena, la recidiva è intorno al 70%, invece per chi sconta pene alternative al carcere, la recidiva non supera il 12%. Nessuno dice che spesso sono solo i detenuti che, con i loro ricorsi alla Corte europea e i reclami alla magistratura di sorveglianza, stanno portando un po’ di legalità in carcere. La verità purtroppo è una sola: le prigioni piene portano consenso elettorale ai partiti politici al governo e i suicidi in carcere portano richieste di miglioramento per la Polizia penitenziaria e richiesta d’interrogazioni parlamentari per i partiti di opposizione. Eppure i detenuti per non togliersi la vita avrebbero solo bisogno di un po’ di speranza insieme a un carcere più umano.

Sicilia: da Garante solidarietà a polizia penitenziaria in protesta

 

Comunicato stampa, 19 aprile 2010

 

Fleres, Garante dei diritti dei detenuti sulla proclamazione dello stato di agitazione del personale di Polizia Penitenziaria: "Esprimo tutta la mia solidarietà al personale che è costretto a svolgere i propri compiti in condizioni davvero precarie". Questo è quanto ha dichiarato il Sen. Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti, nell’apprendere la notizia della proclamazione dello stato di agitazione del personale di Polizia Penitenziaria.

"Il sovraffollamento, la fatiscenza di molte strutture dell’Isola, l’insufficiente numero di psicologi, educatori e volontari rendono i compiti del personale di Polizia Penitenziaria sempre più complessi, a tutto ciò va aggiunto che detto personale in servizio è notevolmente al di sotto di quanto stabilito in organico.

Il personale è costretto a svolgere turni estenuanti, ha proseguito il Sen. Fleres e, considerato lo stato di alcune strutture siciliane, anche in condizioni disagiate. Inoltre, la carenza di dipendenti addetti all’area trattamentale comporta un aggravio di compiti per la Polizia Penitenziaria. Mi auguro, ha concluso il Sen. Fleres, che le iniziative da porre in essere da parte del Governo nel contesto dell’emergenza carceri contemplino anche un adeguamento numerico del personale di Polizia Penitenziaria ma anche degli psicologi, degli educatori e degli operatori sanitari.

Firenze: l'ultimo anno ai "domiciliari"? da qui uscirebbero in 20

 

Redattore Sociale, 19 aprile 2010

 

Il direttore del carcere fiorentino Oreste Cacurri e il garante dei detenuti Franco Corleone si dicono perplessi di fronte al decreto legge che sta studiando il governo. "Il sovraffollamento rimarrebbe inalterato".

"Ultimo anno di carcere ai domiciliari? A Sollicciano c’è il rischio che escano solamente in venti". Lo ha detto Oreste Cacurri, direttore dell’istituto penitenziario di Sollicciano di Firenze, entrando nel merito del decreto legge proposto dal ministro Alfano, poi rilanciato dal premier Berlusconi, di far scontare l’ultimo anno di reclusione ai domiciliari. Ma è un rischio che, secondo Franco Corleone, garante dei detenuti di Firenze, si corre in gran parte delle carceri italiane. Prendendo come esempio l’istituto di Sollicciano, spiega Corleone, "i detenuti a cui rimane da scontare soltanto un anno di pena sono soltanto un terzo. Tra questi, molti sono in custodia cautelare e tanti altri sono extracomunitari che non hanno un domicilio. Sostanzialmente, è probabile che ad usufruire dell’eventuale nuova legge saranno soltanto poche decine di detenuti e il problema del sovraffollamento resterebbe inalterato".

Porto Azzurro: manca personale stop ad arrivo nuovi detenuti

 

Il Tirreno, 19 aprile 2010

 

Stop all’arrivo di nuovi reclusi a San Giacomo. Non avverrà l’arrivo del primo contingente di detenuti (un centinaio di ristretti) che sarebbero dovuti essere ospitati a Porto Azzurro. O quanto meno non si verificherà nell’immediato. Congelati allora i nuovi detenuti previsti dal ministero; si parlava di "sistemare" a forte San Giacomo 290 carcerati. Motivo? Il sottodimensionamento degli agenti di Polizia carceraria.

L’organico delle forze di Polizia prevede 208 addetti, ce ne sono 126. "Non siamo in grado di accoglierli - dice il direttore del reclusorio, Carlo Mazzerbo - né di garantire la sorveglianza e la sicurezza". 126 agenti su una popolazione carceraria pari a 305 unità: il rapporto numerico non torna. "Senza contare poi - continua il direttore - chi è in ferie, in malattia o in semplice permesso".

Un quadro allarmante che indulge al pessimismo e fa ritenere le proteste (arrivare anche allo sciopero, se le istanze fatte presenti dalle categorie non venissero accolte) del sindacato degli agenti giuste e ben motivate. Intanto un punto a favore dei richiedenti. "Può essere letto positivamente - dice ancora Mazzerbo - la decisione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria della Toscana di congelare i trasferimenti previsti.

Almeno fino a quando non saranno effettuati nuovi inserimenti nell’organico". Quando accettò l’incarico di dirigere l’istituto elbano, Mazzerbo poteva contare su 160 effettivi, sempre dei 208 previsti nell’organico. "Già allora - ammette - mi sembrava un compito gravoso garantire la sorveglianza e la sicurezza. Oggi invece di migliorare la situazione è andata peggiorando". C’è, è vero, un problema strutturale da tener presente: la penuria di istituti di reclusione in Italia, a fronte di un incremento della popolazione carceraria che ha prodotto, in alcune realtà, problemi di sovraffollamento.

Trento: nuovo carcere sta per aprire; presto sarà sovraffollato

 

Trentino, 19 aprile 2010

 

La situazione delle carceri, a Trento come nel resto d’Italia, è preoccupante: i detenuti, per il 60 per cento stranieri, sono sempre di più, le strutture sovraffollate, le condizioni spesso difficili. Di tutto questo si è discusso tra venerdì e ieri, a Villa Sant’Ignazio, durante la due giorni organizzata dalla conferenza regionale e nazionale volontariato giustizia.

Il presidente della Conferenza regionale, Michele Larentis, ha affrontato anche il tema del nuovo carcere di Trento di Spini di Gardolo: "Una struttura che potrà ospitare 220 detenuti - ha affermato Larentis - ma che nel giro di un anno avrà al suo interno probabilmente il doppio delle persone. Alla luce di questa nostra previsione, chiediamo che non si pensi al carcere solo in termini di sicurezza, ma che si ragioni anche sulle attività da proporre all’interno di queste strutture".

Secondo Larentis, infatti, il carcere non può essere semplicemente un contenitore dove mettere chi ha commesso un reato, ma bisogna fare in modo che chi ha commesso un reato possa portare a termine la sua pena nel miglior modo possibile. Tornando al carcere di Trento, è stato definito "fatiscente": "Non ci spendono un euro - ha sottolineato Larentis - perché dicono che tanto tra poco ci sarà il trasloco nella nuova struttura. Ma è da un anno che si rimanda.

Ora si vocifera che il trasferimento avverrà alla fine dell’estate, ma tutto è subordinato all’arrivo di agenti da Roma perché manca personale. Anche questo problema speriamo sia risolto al più presto". Con l’occasione è stato presentato "Codice a sbarre", un vademecum distribuito a tutti i detenuti e alle associazioni che operano in carcere. Parere favorevole, infine, per l’ipotesi dei domiciliari per chi deve scontare l’ultimo anno di pena.

Livorno: On. Evangelisti (Idv) in visita al carcere; è emergenza

 

Il Tirreno, 19 aprile 2010

 

"Era il 2008, quando varcai per l’ultima volta il confine delle Sughere. Devo dire che sono rimasto angosciato, emotivamente provato: la situazione in poco tempo è peggiorata e sembra essere destinata ad aggravarsi ancora. Il personale, aiutato dai volontari della Caritas, svolge un lavoro encomiabile ma non ha i numeri per contenere lo spaventoso sovraffollamento della struttura".

L’onorevole Fabio Evangelisti, deputato dell’Italia dei Valori, ha visitato il carcere livornese, in compagnia della vicesindaco Marta Gazzarri e del capogruppo Idv in consiglio comunale, Andrea Romano. Un sopralluogo deciso dopo l’escalation di suicidi riusciti e non che hanno funestato questo inizio 2010 della casa circondariale.

"Sono necessari - dice Evangelisti - provvedimenti a livello strutturale: trattare la clandestinità con metodi differenti, depenalizzare i reati minori. Quello che ci dicevano con le misure governative era falso, perché la sicurezza percepita non è aumentata, e dentro le carceri si scopre che ci sono solo ladri di polli anziché veri criminali".

Nel viaggio fra le celle, i tre esponenti dell’Italia dei Valori hanno pure incontrato "il re delle truffe", come lo hanno definito i tabloid inglesi, Carlo Caresana, 72 anni, ex presidente del Livorno calcio, arrestato nello scorso ottobre ad Aosta. "Soffre di disturbi alimentari, vuole chiedere i domiciliari" raccontano. E poi storie comuni, come quelle di chi è dentro "per aver rubato due palloni a un’edicola, o un paio di jeans usati al mercatino".

"I numeri sbandierati sulla presunta efficacia del pacchetto sicurezza non significano nulla - aggiunge Marta Gazzarri - perché poi si scopre che manca la qualità delle operazioni effettuate". Molti gli extracomunitari, circa il 70%, molti pure i tossicodipendenti e sieropositivi. Come un giovane livornese con gravi problemi psichici che necessiterebbe di altro tipo di cure.

"Oppure di un lavoro - sottolinea Evangelisti - dentro il carcere un impegno fisso aiuterebbe a tenere la testa impegnata e a evitare gesti di autolesionismo sempre più frequenti". Degrado, abbandono, sovraffollamento, queste le altre parole utilizzate per descrivere ciò che hanno visto all’interno delle sezioni. Celle adatte ad ospitare un solo detenuto e riciclate per tre, strutture fatiscenti, scarso rispetto dell’igiene. "Farò un’interrogazione in Parlamento - annuncia il deputato Idv - sul numero dei suicidi registrato e sui tentativi sventati".

Aosta: una lavanderia, nella Casa Circondariale di Brissogne

 

Redattore Sociale, 19 aprile 2010

 

L’attività sarà gestita dalla Cooperativa Sociale Les Jeunes Relieurs del Consorzio Trait d’Union e vi presteranno servizio 3 detenuti con regolare rapporto di lavoro. Un momento importante per lo "sviluppo" del carcere valdostano

È stata inaugurata questa mattina alle 11 la nuova lavanderia interna alla Casa Circondariale di Brissogne. La lavanderia sarà gestita dalla Cooperativa Sociale Les Jeunes Relieurs del Consorzio Trait d’Union, e vi presteranno servizio tre detenuti con regolare rapporto di lavoro alle dipendenze della cooperativa. Si tratta di un momento importante per lo "sviluppo" del carcere valdostano: la lavanderia rappresenta infatti ad oggi la prima ed unica attività lavorativa presente all’interno di questo l’istituto di pena.

Lenzuola, coperte, grembiuli, strofinacci e indumenti dei detenuti saranno lavati e stirati dalla nuova lavanderia, che però non si limiterà al solo servizio interno al carcere, ma avrà anche qualche cliente oltre il perimetro della casa circondariale. Tra le prime commesse esterne acquisite vi è il lavaggio degli indumenti degli anziani utenti del servizio di assistenza domiciliare del Comune di Aosta.

"Riuscire a realizzare questo progetto - ha spiegato Domenico Minervini, direttore della Casa Circondariale - costituisce un importante risultato: ci consente di attuare anche in questo istituto quanto auspicato dal nuovo Regolamento Penitenziario del 2000, cioè l’affidamento di attività lavorative a imprese e cooperative esterne, in cui i detenuti debbano lavorare con condizioni molto simili a quelle delle realtà esterne al carcere. Questo è fondamentale per la formazione e la rieducazione del detenuto. Il progetto - continua Minervini - si inserisce in una progettualità più ampia che prevede anche l’impegno lavorativo di detenuti sul territorio. Siamo già partiti con l’inserimento in un’altra cooperativa sociale che opera nella manutenzione delle aree verdi, mentre sono in corso contatti per realizzare ulteriori inserimenti lavorativi esterni nel settore alberghiero e della ristorazione".

"Questa iniziativa - ha aggiunto Carlo Moro responsabile della lavanderia - è nata grazie alla collaborazione e alla fiducia che la Direzione ha voluto accordare alla cooperativa sociale Les Jeunes Relieurs e al Consorzio Trait d’Union e che ha promosso l’iniziativa all’interno del Progetto Equal Pari". Le fasi che hanno preceduto l’avvio dell’attività lavorativa infatti sono state seguite e accompagnate dall’Agenzia regionale del lavoro, in particolare attraverso il Programma di Iniziativa Comunitaria Equal e un corso formativo cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo".

Il Presidente della Regione, anche nel suo ruolo di Coordinatore dell’Osservatorio per la verifica dell’applicazione del Protocollo d’Intesa tra il Ministero di Giustizia e la Regione Autonoma Valle d’Aosta, ha espresso la sua soddisfazione per l’avvio di questa attività. Il progetto infatti è stato più volte oggetto di confronto e aggiornamento nell’ambito dei lavori dell’Osservatorio. La realizzazione di questo ambizioso obiettivo è stata possibile grazie a un impegno della Presidenza della Regione in stretta collaborazione con i responsabili territoriali dell’amministrazione penitenziaria.

Pavia: per ottenere visita del dentista, detenuto tenta il suicidio

di Maria Fiore

 

La Provincia Pavese, 19 aprile 2010

 

Sei pastiglie di tranquillanti per attirare l’attenzione sul suo caso: da due mesi il detenuto aveva chiesto, senza successo, di essere visitato da un dentista. Lo hanno salvato in ospedale. Ma altri ospiti di Torre del Gallo ora minacciano la rivolta. Da gennaio l’Azienda ospedaliera, da cui dipende la sanità all’interno del carcere, ha fissato un limite di ore per le prestazioni specialistiche. Risultato: per un dentista ci vogliono tre mesi.

Uno per l’otorino. E da due mesi manca del tutto il cardiologo. Ha lasciato la struttura perché dice di non riuscire più a fare il suo lavoro: 4 ore al mese per visitare un centinaio di pazienti con problemi di cuore. Alcuni reclusi hanno già messo in atto forme di protesta individuali. Come il detenuto che, l’altra sera, ha tentato il suicidio prendendo sei pastiglie di tranquillanti ed è stato portato in ospedale per una lavanda gastrica.

I medici specialisti in realtà ci sarebbero (ad eccezione del cardiologo) ma non riescono a far fronte alla domanda di tutti i detenuti. Dal primo gennaio, come confermano dalla stessa Azienda ospedaliera, è cambiato il meccanismo che regola le visite. Prima i medici venivano pagati a prestazione. Ogni giorno della settimana era dedicato a uno specialista: il cardiologo, l’otorino, l’oculista, lo psichiatra, l’infettivologo, il radiologo e il dentista. Poi è stato deciso di pagare i medici a ora, fissando però un limite massimo di ore al mese per ogni specialista.

Per fare un esempio, l’otorino ne ha a disposizione quattro ogni mese. In questo tempo deve visitare le decine di detenuti con bronchiti o polmoniti, malattie piuttosto frequenti in un carcere. Il tetto delle ore è stato fissato in base all’andamento degli anni precedenti, ma la natura del carcere di Pavia (che come casa circondariale ha una popolazione detenuta in "movimento") sembra richiedere altri criteri.

È inadeguato anche l’organico "fisso" del carcere, composto da un medico di guardia per turno, per coprire un servizio di 24 ore su 24 (per legge dovrebbe essercene uno ogni 200 detenuti, invece a Pavia i detenuti sono 450), il direttore sanitario e quattro infermieri. Alcuni medici specialisti hanno già rinunciato a fornire le loro prestazioni per il carcere. Oltre al cardiologo, è andato via anche l’oculista, che però è stato già rimpiazzato con un medico dell’Azienda ospedaliera.

Il direttore sanitario del carcere, Pasquale Alecci, sentito sull’argomento, non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Si sono invece fatti sentire, attraverso lettere al giornale, gli stessi detenuti di Torre del Gallo. Le lamentele rischiano ora di diventare rivolta. Anche perché la situazione sanitaria si intreccia con il problema del sovraffollamento.

I reclusi da due giorni hanno già avviato lo "sciopero del carrello" (rifiutano il vitto) contro la scelta di introdurre un terzo detenuto nella cella di 7 metri quadri che fino all’altro ieri ospitava due persone. "La situazione rischia di diventare invivibile - dicono i detenuti - soprattutto per chi soffre di disturbi cardiaci, claustrofobia e stati d’ansia".

Sanremo (Im): il carcere rifiuta un arrestato con ferite sospette

 

Secolo XIX, 19 aprile 2010

 

La polizia penitenziaria si è rifiutata di accettare uno spacciatore arrestato dalla polizia. Aveva un occhio tumefatto e lamentava dolori: "Non lo prendiamo senza un referto dell’ospedale". Il commissariato: "Al pronto soccorso gli hanno disgnosticato una semplice infezione". La procura avvia un’inchiesta.

Lamentava dolori un po’ dappertutto, aveva un occhio tumefatto e altri segni sul volto. Il sottufficiale che era di turno all’ufficio matricola ha preso tempo. Poi, rivolgendosi agli agenti, ha spiegato che doveva consultarsi con il suo superiore: quell’algerino, arrestato poche ore con in tasca venti grammi di eroina, non era messo bene. Sembrava reduce da un pestaggio e prenderlo in carico senza un referto medico che stabilisse le cause di quell’occhio pesto poteva essere un rischio.

Dopo pochi minuti è arrivata la risposta: niente da fare, non possiamo assumerci la responsabilità di accogliere un arrestato in quelle condizioni, a prescindere dalle cause. E l’algerino è stato nuovamente preso in consegna dagli uomini della pattuglia e dopo una breve tappa in commissariato, è stato trasportato al pronto soccorso dell’ospedale dove, stando a quanto riferisce la polizia, gli sarebbe stata diagnosticata una "semplice irritazione agli occhi", per la quale gli sarebbero stati riconosciuti "zero giorni di prognosi", mentre altre fonti sostengono che il nordafricano avrebbe riferito di essere stato picchiato. Da chi? Da uno spacciatore concorrente o da un poliziotto dai modi un pò troppo bruschi?

Il caso di Stefano Cucchi, il 31enne romano morto in circostanze a dir poco misteriose lo scorso 22 ottobre nel carcere di Reina Coeli, ha lasciato il segno, soprattutto tra gli operatori della polizia penitenziaria. "Confermo che quell’arrestato è stato rifiutato. Per il resto non è compito nostro fare indagini", taglia corto il direttore del carcere dell’Armea Francesco Frontirrè. E infatti l’indagine l’ha aperta la procura della Repubblica. Al momento il fascicolo avrebbe un’intestazione generica. Al momento non ci sono elementi o indizi che autorizzino a privilegiare un’ipotesi piuttosto che un’altra.

Tanto meno a indicare nel commissariato il luogo delle presunte percosse. Tuttavia, sembra di capire che la procura non intenda chiudere la vicenda basandosi esclusivamente sulle versioni ufficiali. Saranno acquisiti il referto del pronto soccorso, il verbale del carcere e la relazione di servizio sull’arresto dello spacciatore. E quest’ultimo sarà sentito come testimone. Quindi saranno ricostruite le diverse tappe del percorso compiuto dall’algerino: dal blitz avvenuto la mattina del 9 aprile in uno scantinato nella Pigna, durante il quale sarebbe rimasto ferito un poliziotto, per finire con l’accompagnamento in carcere. Poi gli inquirenti tireranno le somme.

"Accettare l’arrestato senza un referto dell’ospedale ci avrebbe esposto ad una serie di responsabilità. E se poi a quel detenuto fosse successo qualcosa di grave? Diceva di star male. Magari esagerava, ma nel dubbio è stato giusto respingere la sua ricezione. Un’inchiesta? Non so nulla - dice Frontirrè - Comunque nel caso siamo in grado di fornire tutta la documentazione necessaria".

Como: all’ospedale 4 agenti picchiati da un detenuto psicolabile

 

Corriere di Como, 19 aprile 2010

 

Calci e pugni in faccia: in quattro finiscono al pronto soccorso. Protesta la Cisl per l’assegnazione da parte del Provveditorato regionale di persone pericolose.

Pugni in faccia. Rabbia incontenibile. Aggressione nel carcere comasco del Bassone. Un detenuto con problemi psichici ha malmenato due sovrintendenti e due assistenti capo. Per le quattro persone coinvolte si è reso necessario il trasporto al pronto soccorso, dove hanno ricevuto le cure necessarie. Potranno tornare al lavoro soltanto tra alcuni giorni. Il protagonista dell’episodio è un extracomunitario non nuovo a comportamenti del genere.

L’uomo infatti si era già abbandonato a numerosi episodi di violenza. L’aggressione si è verificata venerdì mattina. Il recluso, quando si è scagliato contro il personale della struttura era impegnato in un’attività di recupero prevista per i carcerati all’esterno delle sezioni.

L’extracomunitario ha aggredito un agente, colpendolo con pugni e calci, anche al volto. Subito sono intervenuti gli altri, che hanno cercato di contenere la furia del detenuto. Il bilancio, al termine dell’episodio, denuncia la gravità di quanto accaduto: quattro uomini costretti a ricorrere alle cure dei sanitari. Anche con traumi gravi.

L’episodio ha destato la reazione della Cisl di Como. Il sindacato denuncia il problema dei detenuti con patologie psichiatriche nel carcere della città. Il sindacato sollecita la direzione del carcere ad alzare la voce con il Provveditorato della Lombardia e con la Direzione Generale Detenuti e Trattamento. L’esigenza è "trasferire tutti i detenuti che non possono restare in istituti penitenziari ordinari - recita il comunicato della Fns Cisl di Como - al fine di assicurare ai soggetti disturbati una capace collocazione, dove siano presenti mezzi idonei e possano ricevere cure adeguate".

Nel comunicato non mancano accuse precise. "I dirigenti che effettuano le valutazioni nell’assegnazione e gestione dei detenuti negli Istituti - si legge - conoscevano perfettamente i numerosi episodi precedenti del detenuto in questione. Sono direttamente responsabili degli eventuali danni fisici che il personale potrebbe riportare dall’accaduto". Ma quali sono i criteri con cui i detenuti sono assegnati alle strutture di detenzione? Al Bassone, come in molte altre carceri lombarde, scontano la loro pena vari reclusi affetti da disturbi psichici. Persone con necessità diverse dagli altri detenuti.

"Noi non accettiamo - insiste il comunicato della Cisl - che qualcuno possa scaricare le colpe di una situazione così grave su chi non ne ha". "La casa circondariale è già satura di detenuti - è il commento di Massimo Corti, segretario generale della Fns Cisl di Como - I soggetti con patologie psichiatriche devono essere assegnati a strutture in grado di contenerli. Loro, a causa della loro malattia, non hanno colpa, ma possono creare problemi aggiuntivi alle strutture.

Palermo: detenuti-attori sul palco per raccontare Pio La Torre

 

Redattore Sociale, 19 aprile 2010

 

La piece è stata rappresentata presso il teatro della casa circondariale Pagliarelli di Palermo. Il testo è di Vincenzo Consolo e narra la via di Pio La Torre, dalla battaglia per la terra all’uccisione da parte della mafia il 30 aprile 1982.

Dodici detenuti presso il teatro della Casa circondariale Pagliarelli di Palermo recitano la vita di Pio La Torre, dalla battaglia per la terra all’uccisione, il 30 aprile 1982, per mano mafiosa. L’atto unico "Pio La Torre, orgoglio di Sicilia", scritto da Vincenzo Consolo per il Centro Studi Pio La Torre, è stato messo in scena, sabato scorso, sotto la regia di Gabriello Montemagno, alla presenza dell’autore e davanti ad diverse autorità e agli studenti di dodici istituti superiori palermitani che partecipano al Progetto Educativo Antimafia del Centro La Torre.

"È stata un’esperienza molto importante, una sfida che ho vinto - ha dichiarato Francesco Zuccaro, 35 anni di Catania che interpreta il ruolo del protagonista e che deve scontare ancora un anno al Pagliarelli per una storia di droga - La storia di Pio La Torre mi ha insegnato molto. Non la conoscevo. È stato molto utile anche il lavoro con i compagni. Anche se ho scoperto l’ amore per il teatro nella disgrazia di stare in carcere; è una cosa che mi piace fare e che spero di continuare anche dopo".

Accanto a Zuccaro, Italia Tosto nel ruolo di Giuseppina la moglie di La Torre. "Nella detenzione - dice la Tosto, quarantatreenne di Catania - ho imparato che essere educati ai valori della legalità è fondamentale. Qui in carcere ho sofferto di depressione e il teatro mi sta aiutando molto a stare meglio".

Il testo di Consolo è complesso e nettamente schierato a favore dei deboli e degli sfruttati della Storia; è contro il potere, i prepotenti e la mafia perversamente intrecciati in tutti i tempi.

"La storia di Pio La Torre - afferma Vincenzo Consolo - è la storia di chi, come tanti altri ha rappresentato la nobiltà della Sicilia. La vera nobiltà dei braccianti, dei contadini, dei sindacalisti che hanno rischiato la vita per il proprio riscatto e il riconoscimento dei propri diritti".

"Con questa rappresentazione - dice Vito Lo Monaco, presidente del Centro Pio La Torre - rendo merito alle detenute e ai detenuti i quali, dopo aver percorso i tortuosi sentieri dell’illegalità, con la recita dell’atto unico riescono a far pervenire all’opinione pubblica e alle nuove generazioni un chiaro messaggio di legalità. Il testo descrive il percorso di vita di Pio il quale, da giovane studente del dopoguerra, sceglie di stare dalla parte dei deboli, contribuisce a organizzare le lotte per la riforma agraria, viene arrestato e imprigionato ingiustamente per diciotto mesi e poi, prosciolto dalla grave accusa di sedizione politica e aggressione verso pubblico ufficiale, prosegue il suo impegno di dirigente sindacale prima, e successivamente, politico, nel Pci, sino alla sua uccisione, assieme a Rosario Di Salvo, per decisione della cupola mafiosa".

"Spesso si accendono i riflettori solo sulla fase dell’arresto - dice Francesca Vazzana, direttrice della casa circondariale - per poi dimenticarsi dell’uomo detenuto. Iniziative come questa, soprattutto se rivolte ad un pubblico giovane come quello delle scuole, sono un messaggio di riscoperta dei valori della legalità ancora più forte se proveniente da chi sconta una pena". Gli fa eco Orazio Faramo, provveditore alle carceri per la Regione Sicilia: "Questo atto unico sia un messaggio dai detenuti ai detenuti affinché recuperino il rispetto per i valori sociali". Lo spettacolo sarà replicato nei prossimi giorni per i detenuti del Pagliarelli.

Pozzuoli (Na): le detenute-modelle per lo stilista Gianni Molaro

 

Ansa, 19 aprile 2010

 

Detenute modelle per un giorno: è accaduto nel carcere femminile di Pozzuoli (Napoli) dove lo stilista Gianni Molaro ha organizzato una sfilata.

E così abiti di alta moda e da sposa sono stati indossati da cinque ospiti dell’istituto penitenziario. Un’iniziativa che "aiuta il recupero delle detenute", ha sottolineato la presidente reggente del Tribunale di Sorveglianza, Angelica Di Giovanni. E che è nata anche da un’esperienza di vita vissuta dallo stesso stilista.

"Sono un orfano ed ho vissuto alcuni anni in un istituto di suore - ha raccontato Molaro - Ho avvertito molto la mancanza di libertà, l’impossibilità di scorazzare e sognare liberamente. Con questa iniziativa ho voluto regalare la possibilità a queste ragazze di sognare. Di sognare qualcosa che un domani si potrà realizzare, anche se dietro le sbarre. Ho trovato ragazze molto belle e che potrebbero essere scelte per fare le modelle, una volta corretta la taglia".

Alla sfilata erano presenti solo la stampa, la polizia penitenziaria e un gruppo di detenute. "Queste iniziative attenuano il peso della pena, non le fanno sentire abbandonate e soprattutto per alcune queste esperienze possono costituire un’apertura per il domani - ha sottolineato Di Giovani - Queste iniziative le continueremo a proporre perché si stanno rivelando positive ai fini del recupero e del reinserimento".

Dello stesso avviso la direttrice del carcere, Stella Scialpi: "Queste esperienze vengono vissute con grande entusiasmo dalle nostre ospiti. C’è tanto coinvolgimento e questo fa bene al clima interno. Nonostante alcune difficoltà da superare in senso giuridico, solo le detenute con pena definitiva possono essere scelte per queste iniziative. Il risultato è sicuramente positivo. Queste sono occasioni per diversificarsi, stimolare e non far demoralizzare le detenute - ha aggiunto - Continueremo con altre iniziative, di cui una a breve scadenza".

Intanto, proprio a Pozzuoli, tempo fa si è costituita la cooperativa per la torrefazione del caffè Le Lazzarelle che viene confezionato in una laboratorio interno all’istituto. "Abbiamo avuto qualche difficoltà, soprattutto per le taglie, ma alla fine è andato tutto bene - ha concluso Molaro - Con loro si è creato un rapporto davvero speciale".

Australia: un noto boss della malavita locale è ucciso in carcere

 

Ansa, 19 aprile 2010

 

Uno dei più noti boss del crimine di Melbourne, fra i protagonisti di una guerra fra bande legata al controllo del traffico di droga e delle estorsioni, in cui furono eliminate più di 30 persone, è stato ucciso nel carcere di massima sicurezza in cui scontava l’ergastolo per l’omicidio di tre rivali. Carl William, 39 anni, detto Baby Face, è morto per lesioni alla testa e arresto cardiaco. "La polizia ritiene che vi sia stato un alterco fra Williams e un altro detenuto. I detective della squadra omicidi stanno indagando sulle circostanze", dichiara un comunicato della polizia, che non indica un movente. Williams sarebbe stato colpito alla testa durante l’ora d’aria con una barra divelta da una cyclette. Proprio oggi un quotidiano aveva riferito che la polizia aveva pagato l’equivalente di 5500 euro per iscrivere la figlia in una prestigiosa scuola privata, e il suo avvocato Rob Stary, che lo aveva incontrato stamattina, ha detto che Williams era molto preoccupato per la sicurezza della figlia in seguito all’articolo.

Israele: detenuto palestinese ritrovato morto in cella isolamento

 

Ansa, 19 aprile 2010

 

Desta reazioni di collera nei Territori la morte in un carcere israeliano del militante di al-Fatah Raed Mahmud Abu Hammad, 31 anni, avvenuta ieri. L’annuncio del suo decesso è giunto oggi da parte di una associazione di detenuti palestinesi, secondo cui Abu Hammad soffriva di diverse malattie e malgrado ciò, al momento della morte si trovava confinato in isolamento. Finora, a causa del riposo sabbatico, le autorità carcerarie israeliane non hanno fornito una propria versione dei fatti.

La notizia della morte del militante di al-Fatah, che era stato condannato a dieci anni di detenzione e ne aveva scontati la metà, si è diffusa ieri mentre in Cisgiordania e a Gaza i palestinesi osservavano ieri la "Giornata dei prigionieri". Le reazioni di protesta sono state immediate. Il premier dell’Anp, Salam Fayad, ha aderito a queste manifestazioni e ha inaugurato un monumento con cui il popolo palestinese ha inteso rendere omaggio al loro sacrificio. Accesi messaggi di solidarietà di detenuti palestinesi sono giunti anche dai dirigenti di Hamas a Gaza, che hanno promesso di continuare la lotta per costringere Israele a liberarli in blocco. Nel frattempo però segnano il passo le trattative indirette per uno scambio di prigionieri fra Israele e Hamas, che dal 2006 detiene in una località segreta di Gaza il caporale israeliano Ghilad Shalit. Secondo il sito Ynet del quotidiano Yediot Ahronot, Abu Hammad - che era stato condannato per tentato omicidio a sfondo politico - soffriva di disturbi mentali. Ieri pomeriggio, aggiunge Ynet, Abu Hammad è stato trovato disteso esanime sul pavimento della sua cella, coperto solo da un asciugamano. Il personale medico ha cercato di rianimarlo, ma ogni sforzo - prosegue il sito - si è rivelato vano. Le autorità carcerarie hanno allora informato la polizia ed avviato una indagine

Venezuela: suicida in carcere un ex campione mondo di pugilato

 

Associated Press, 19 aprile 2010

 

Il pugile venezuelano Edwin Valero si è tolto la vita in cella. Lo ha fatto sapere la polizia. Valero era stato arrestato ieri perché sospettato di avere ucciso la moglie, la 20enne Jennifer Viera, trovata senza vita con tre ferite di arma da taglio nella stanza di un hotel della città venezuelana di Valencia. Valero, 28 anni, in carriera è stato campione del mondo dei pesi piuma Wba e dei pesi leggeri Wbc (27 incontri da professionista, tutti vinti per knockout). Secondo gli inquirenti il pugile si sarebbe accusato dell’omicidio della moglie.

 

 

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