Rassegna stampa 16 aprile

 

Giustizia: Berlusconi; decreto legge per detenzione domiciliare

 

Agi, 16 aprile 2010

 

"Stiamo pensando a un decreto legge che preveda che coloro ai quali manca solo un anno di detenzione vengano consegnati alla detenzione domiciliare". È Silvio Berlusconi ad annunciare la misura allo studio del governo per combattere il sovraffollamento delle carceri e i tragici casi di suicidio nei penitenziari. I beneficiari di questa misura alternativa "naturalmente non hanno alcun interesse a sottrarsi a questa misura perché se scappassero - osserva il presidente del Consiglio - vedrebbero raddoppiato questo periodo e verrebbero naturalmente riportati in un istituto di pena".

L’obiettivo, spiega in sala stampa a Palazzo Chigi, "è quello di aumentare la capacità delle nostre carceri per dare a tutti coloro ai quali viene limitata la libertà condizioni di vita civili, dignità e nessun pericolo per ciò che riguarda la propria salute". "Oggi purtroppo - è il rammarico di Berlusconi - abbiamo un’eccedenza di presenze rispetto al numero dei posti e questa eccedenza porta anche a delle interruzioni della vita, dei suicidi, che quest’anno sono già una ventina, mentre ieri ce n’è stato uno di un ragazzo di 32 anni".

Giustizia: Bernardini (Ri); e questa volta Berlusconi ha ragione

 

Ansa, 16 aprile 2010

 

"Stavolta Silvio Berlusconi ha ragione da vendere: se c’è una materia in cui la misura della decretazione d’urgenza si giustifica è proprio quella della drammatica situazione delle carceri", afferma Rita Bernardini, deputata Radicale eletta nel Pd, membro della Commissione Giustizia.

"Necessità e urgenza - aggiunge - per rendere meno illegali e più rispondenti all’art. 27 della Costituzione i 205 istituti penitenziari. Mi auguro che i gruppi parlamentari che in Commissione Giustizia hanno irresponsabilmente negato la sede legislativa al Ddl Alfano, ci ripensino in modo che da subito e rapidamente si abbia la possibilità di migliorare un disegno di legge che, comunque, va nella direzione giusta. Da parte mia, cioè da parte Radicale, proseguirò il mio sciopero della fame affinché le forze politiche presenti in parlamento, tutte, possano riflettere sull’urgenza del provvedimento. A meno che non si voglia assistere inerti allo stillicidio della conta dei morti per suicidio o malasanità carceraria fino ad arrivare all’estate quanto tutto esploderà con un sovraffollamento che si avvicinerà alle 70.000 unità mentre ci sono posti-letto solo per 43.000 detenuti".

Giustizia: Sappe; bene parole Berlusconi, su emergenza carceri

 

Ansa, 16 aprile 2010

 

"Ci sembrano importanti e condivisibili le parole dette oggi dal presidente del Consiglio Berlusconi per affrontare l’emergenza carceri. Oggi abbiamo, come è noto, più di 67mila detenuti in strutture carcerarie con una capienza regolamentare di poco superiore ai 43mila posti letto. Questo va a tutto discapito della dignità umana dei reclusi, che deve essere comunque garantita, ma soprattutto delle difficoltà operative e lavorative delle donne e degli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria, sotto organico di oltre 6mila unità. Già il Piano carceri del Governo prevede di introdurre la possibilità di detenzione domiciliare per chi deve scontare solo un anno di pena residua e di messa alla prova delle persone imputabili per reati fino a tre anni, che potranno così svolgere lavori di pubblica utilità. Altrettanto importante è che il Governo acceleri le procedure per assumere i 2mila Agenti di Polizia Penitenziaria, previsti nel Piano carceri".

È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria, in relazione alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio Berlusconi sui suicidi in carcere e sul sovraffollamento penitenziario.

Aggiunge Capece: "Come primo Sindacato della Polizia penitenziaria, da tempo sosteniamo anche la necessità che i circa 25mila detenuti stranieri presenti nelle carceri italiane scontino la pena nelle carceri del proprio Paese d’origine. Non solo. Diciamo al Presidente del Consiglio Berlusconi ed al Ministro della Giustizia Alfano di perseguire nella strada di una riforma del sistema penale - sostanziale e processuale - che renda stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi affidando a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale, prevedendo che i compiti di controllo sull’esecuzione penale e sulle misure alternative alla detenzione siano affidati alla Polizia Penitenziaria. Oggi circa 20mila degli attuali detenuti sono condannati a pene inferiori a 3 anni. Esclusi gli stranieri, da espellere per far loro scontare la pena nel Paese d’origine, gli italiani detenuti con pena inferiore ai tre anni potrebbero essere affidati ai servizi sociali e impiegati in lavori socialmente utili, quindi fuori dal carcere, avvalendosi di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici (come il braccialetto elettronico) che hanno finora fornito in molti Paesi europei una prova indubbiamente positiva".

Giustizia: Manconi e Orlando... una "messa in prova" per il Pd

 

Il Foglio, 16 aprile 2010

 

L’apertura di un confronto di merito sulla riforma della giustizia da parte di Andrea Orlando, responsabile per il Partito democratico di questo settore, rende possibile una discussione e un approfondimento sui temi connessi, superando un clima di contrapposizione pregiudiziale da una parte e di autosufficienza dall’altro.

Luigi Manconi ne ha indicato con tempestività uno, quello del disegno di legge presentato dal Guardasigilli per trasformare in messa in prova con arresti domiciliari l’ultimo anno di carcere per i detenuti. Si tratta di una misura che tra l’altro cerca di sopperire, in attesa della costruzione di nuovi istituti penitenziari, all’intollerabile sovraffollamento delle carceri italiane, che solleva giuste proteste, appoggiate anche dallo sciopero della fame da parte di esponenti Radicali. Manconi, giustamente, contesta l’interpretazione dipietrista, che parla di nuovo indulto, oltre a difendere l’indulto vero del 2006 che ha comportato, a conti fatti, una recidività pari a un terzo di quella registrata tra chi ha scontato interamente la pena.

Se il Partito democratico cogliesse questa occasione per collaborare criticamente all’approvazione del disegno di legge (come peraltro fece la maggiore opposizione di allora, quella di Forza Italia con l’indulto del 2006) mostrerebbe nei fatti la distanza che lo separa da manettari e giustizialisti.

Affermando in modo concreto e su un argomento così legato a esigenze umanitarie la propria autonomia, il Partito democratico acquisirebbe l’autorità necessaria per far pesare le sue proposte di riforma della giustizia in una dialettica resa finalmente fisiologica con la maggioranza. L’appoggio fornito da 105 parlamentari democratici alle indicazioni pubblicate da Orlando sul Foglio dimostra che esiste in Parlamento una larga maggioranza disponibile a intervenire sulla giustizia, senza farsi intimidire né dalle invettive giustizialiste né dall’arroganza corporativa della magistratura associata. Naturalmente le soluzioni indicate all’interno di questa vasta area non coincidono e talora stridono, ma intanto sarebbe importante che su qualche provvedimento si componessero le divergenze, con reciproca buona volontà, per dare un segnale rilevante.

La giustizia si può riformare. Questo è il messaggio da lanciare in modo chiaro e convergente, per forzare un blocco che dura da decenni e che ha procurato danni colossali.

Giustizia: dove Sacconi vuole trovare soldi per il piano carceri

di Dimitri Buffa

 

L’Opinione, 16 aprile 2010

 

I soldi per il piano carceri in realtà non ci sono? Niente paura, mercoledì il ministro del Welfare Maurizio Sacconi l’ha detto chiaro e tondo quale sarà l’atout del governo: i soldi ce li metteranno le Casse previdenziali private e privatizzate. Come l’Inpgi, la Cassa avvocati o quella dei commercialisti. Saranno queste malcapitate organizzazioni che i professionisti si illudono di potere gestire in maniera privatistica a finanziare con investimenti "etici" nella Pubblica Amministrazione l’edilizia carceraria, che da oggi si aggiunge a quella popolare come "vincolo esistenziale" per le suddette istituzioni. "Un tempo - ha detto Sacconi parlando all’incredula platea della Cassa dei commercialisti che aveva organizzato l’incontro sul futuro della Previdenza - avremmo fatto un prelievo forzoso per motivi di fiscalità generale, ma ora, con il governo Berlusconi, questi metodi non si usano più. Ci deve essere un punto d’incontro tra le esigenze etiche e sociali dello stato e quelle della previdenza privata che prima di tutto deve fare quadrare il bilancio".

Però se non è più un prelievo forzoso, o una rapina che dir si voglia, ma solo una "moral suasion", alla fine il discorso non cambia: se le casse private vogliono restare tali, e magari avere il permesso di utilizzare per legge e aumentare il contributo integrativo, dovranno sottostare all’obbligo etico di investire nella Pubblica amministrazione. "Magari per finanziare piani di edilizia popolare e carceraria", ha buttato lì, come se niente fosse, lo stesso Sacconi. Poi ha ulteriormente ribadito il concetto: "in particolare penso all’edilizia sociale, alle carceri e alle infrastrutture. È una strada virtuosa questa che dobbiamo perseguire". Insomma questo Forum 2010, in previdenza, promosso dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti, non ce lo scorderemo tanto presto.

E intanto, come ha spiegato allo stesso consesso il presidente dell’Inps, Antonio Mastropasqua, "se giovani e meno giovani non svilupperanno al più presto una nuova cultura della previdenza, contributiva e integrativa, quello che ci aspetta è un paese di vecchi poveri". Allegria quindi. Il futuro che questi burocrati ci dipingono, tra carceri costruite con i soldi delle pensioni e solidarietà forzosa, è un po’ come veniva considerato l’amore dallo scrittore americano Charles Bukowski: "un cane che viene dall’inferno".

Giustizia: Alfano; 655 detenuti al 41-bis… 190 in più dal 2008

 

Agi, 16 aprile 2010

 

Il Governo Berlusconi "ha lanciato l’antimafia delle leggi e dei fatti". A rivendicarlo è il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, durante la conferenza stampa al termine del Consiglio dei Ministri. Anzi di più, per Alfano è in dubbio che "a giudizio di tutti gli osservatori sereni il Governo Berlusconi è il Governo che con maggiore efficacia ha contrastato la mafia". Ne sono prova tutti gli interventi normativi varati dall’esecutivo in materia di lotta alla criminalità organizzata, insiste ancora il guardasigilli: "noi abbiamo dimostrato di aver applicato leggi utili e indispensabili" e questo lo confermano anche i magistrati "che hanno riconosciuto il nesso tra le nostre leggi e i risultati ottenuti".

Dopo aver elencato i provvedimenti varati, Alfano cita un esempio relativo alle fiction ma anche alla vita reale: tutti i boss di cui si parla nelle fiction si riferiscono a nomi veri, "l’ultima fiction,’Il capo dei capì, per la prima volta ha fatto riferimento a nomi e cognomi esistenti nella realtà". Ebbene, "tutti quei boss in vita sono oggi al 41 bis". Alfano poi lancia un messaggio ai giovani: chi si avvicina e fa mafia, "oltre a fare qualcosa di ignominioso, ci perde anche dal punto di vista economico".

Alfano poi snocciola alcuni dati: dall’insediamento del Governo sono stati sottoposti al 41 bis 190 nuovi mafiosi, in totale sono al regime di carcere duro 655 detenuti. Il guardasigilli garantisce che nella lotta alla mafia "non ci fermiamo" tanto che si avrà un corpo unico di leggi, un codice unico anti mafia.

Giustizia: Antigone; nelle celle di Poggioreale si muore di follia

di Dario Stefano Dell’Aquila (Associazione Antigone Napoli)

 

Terra, 16 aprile 2010

 

Le ultime due morti arrivano dal carcere di Secondigliano, Napoli. Un carcere con oltre 1.200 detenuti. Due morti per cause apparentemente naturali. Il primo è stato Carmine Verderame, 50 anni, collaboratore di giustizia. Ieri Antonio Zingaro, 40 anni, è stato ritrovato privo di vita nella sua cella dagli agenti. E con queste arriviamo a cinque morti nel giro di un mese, in una regione con oltre ottomila detenuti, divisi per diciassette carceri con una capienza ufficiale di 5.300 posti.

Una sequenza che ripercorriamo al contrario. Il 13 aprile, un detenuto sieropositivo si è ucciso inalando il gas del suo fornelletto, nel carcere casertano di Santa Maria Capua Vetere. Che, costruito per contenere circa 500 detenuti, ne vede presenti quasi mille. Un sindacato di polizia penitenziaria ha proposto di impedire l’uso dei fornelli a gas. Chi sa che avrebbero proposto se si fosse ucciso con un lenzuolo. L’8 aprile, è la volta di un uomo di 39 anni, che si uccide nel carcere di Benevento, apparentemente tranquillo ma anch’esso con 150 detenuti oltre la capienza ufficiale. Perché al sovraffollamento non sfugge nessuno.

Arriviamo così all’ultima storia, la prima di questa stretta catena di morti. Una storia che ha dell’incredibile e per scenario il carcere di Poggioreale: 2.800 presenze per una capienza di 1.300 posti. Un carcere così affollato che nei giorni dei colloqui le file dei parenti cominciano dalle 5 del mattino. File interminabili, in piedi in strada, con la pioggia o con il sole, per ore. Uno spettacolo che si ripete quasi ogni giorno, senza indignare nessuno. All’interno, invece, nelle celle, con i letti a castello impilati per tre, si arriva a starci sino a sedici persone. Un bagno, un tavolo, qualche sgabello e poi si fa a turno a chi sta in piedi e chi seduto.

Qui solo i più fortunati hanno la doccia in cella, in diversi padiglioni non ristrutturati le docce sono esterne e se ne fanno solo due a settimana, anche d’estate. Ci sono solo dodici educatori, ognuno di loro dovrebbe "seguire" circa 250 detenuti. Due terzi dei detenuti sono in attesa di giudizio definitivo, un terzo è tossicodipendente. Sono diversi mesi che i radicali, Bernardini e Pannella in testa, vengono a visitare la struttura. Sono stati qui anche il giorno di Pasqua. "Vi sono grandi situazioni di povertà - ha detto Pannella - si continua a usare la detenzione in un modo che non sarebbe permesso né dalla Costituzione né dalla giurisdizione europea e internazionale". Il carcere come "museo della barbarie" e "discarica sociale".

In questo museo, o se preferite, in questa discarica sociale, è arrivato a febbraio, Angelo Russo, 31 anni. È un sofferente psichico, "preso in carico" dai servizi di salute mentale della Asl di Pozzuoli. È stato protagonista di una storia molto brutta: è accusato di aver usato violenza nei confronti di un’altra paziente psichiatrica, una ragazza di soli 19 anni, mentre entrambi erano ricoverati al Dipartimento di salute mentale.

L’episodio è avvenuto a settembre, le indagini si chiudono il 26 febbraio con l’arresto di Russo, che viene ritenuto in grado di intendere al momento del fatto e condotto nel carcere di Poggioreale, e con una misura restrittiva per il personale infermieristico accusato di omessa vigilanza. Giunto a Poggioreale, Russo è messo in isolamento, in una sezione ordinaria e non provvista di particolari presidi medici dove dà immediatamente segnali di disagio mentale.

Non risulta sia stata garantito il contatto con chi lo teneva in cura in precedenza né che ci sia stato, nei confronti di una persona affetta da patologia psichica, un particolare protocollo di presa in carico. Fatto sta che il 12 marzo, Angelo Russo manifesta segni evidenti di crisi: sta male, è agitato. A detta della direzione del carcere, viene ascoltato dallo psichiatra per due volte. Ma, come si sa, ad una certa ora un carcere "chiude", il personale civile va via e rimangono un paio di agenti (per centinaia di detenuti per piano) e un infermiere di turno a reparto. Angelo Russo, ha deciso che il suo dolore non poteva aspettare e si è tolto la vita. Come abbia fatto, come sia stato possibile che non fosse sorvegliato a vista, sono interrogativi a cui speriamo qualcuno prima o poi sappia rispondere. Perché la speranza, almeno questa, è l’ultima a morire.

Giustizia: il Tribunale della libertà decide oggi i ricorsi del 2008

 

La Repubblica, 16 aprile 2010

 

Dimenticati sotto cumuli di faldoni impolverati, i casi di 24 imputati che nel 2008 si erano rivolti al tribunale della libertà, tornano alla luce dopo due anni. A tirare fuori gli scheletri dagli archivi della sezione del tribunale di Bari è stata Francesca La Malfa, che dal 13 gennaio scorso ne ha rilevato la presidenza dal predecessore Angelo De Palma. E li ha discussi tutti e 24 martedì scorso, convocando un’udienza straordinaria nell’ambito di un piano di riordino che promette bene: il 27 aprile, infatti, i giudici si riuniranno nuovamente in udienza straordinaria per trattare i "dimenticati" del 2009.

Varie ed eterogenee le cause discusse: si andava dai furti, allo spaccio di droga, e c’era perfino un caso di concussione commesso da un sindaco di un comune del Foggiano. Dei 24, va però precisato, un solo imputato aveva ancora (sono infatti passati due anni) interesse alla decisione del tribunale: si tratta di un presunto affiliato al clan Strisciuglio, arrestato per traffico di droga. Gli altri, nel frattempo, sono stati scarcerati per decorrenza dei termini di custodia cautelare o sono detenuti per altre condanne.

Le posizioni di tutti e 24 saranno finalmente definite, nei prossimi giorni. Il tribunale della libertà, va chiarito, non si occupa solo di scarcerazioni, ma di tutte quelle misure restrittive della libertà personale, come l’obbligo di dimora, il divieto di allontanamento dal proprio comune di residenza, l’obbligo di firma e tutte quelle prescrizioni alle quali un imputato può essere soggetto. In ogni caso, si tratta di un impegno pesante per un organico come quello della terza sezione penale, già ridotto all’osso e costretto ora anche a tenere udienza straordinarie: in tutto otto magistrati, incluso il presidente, già privati della collaborazione del giudice Rossella Scamarcio, che è appena stata nominata consulente della commissione parlamentare antimafia.

A breve, il pool perderà un’altra unità, e cioè il giudice Giovanni Abbattista, ultradecennale in quell’ufficio e per questo trasferito dal presidente del tribunale, Vito Savino, al civile. "Avevo predisposto un piano per rimettere in sesto questa sezione - spiega Francesca La Malfa - ma così non si può fare un granché. Ne ho già parlato al presidente Savino, ma il fatto è che la coperta è troppo corta, l’organico del tribunale è gravemente carente da tempo, visto che siamo fermi alla pianta di 25 anni fa". La combattiva Francesca La Malfa (componente del Comitato direttivo centrale dell’Anm) però non si arrende e annuncia: "Affronterò la questione nel prossimo Consiglio giudiziario".

Giustizia: Comm. Errori Sanitari; indagine su suicidio Rebibbia

 

Ansa, 16 aprile 2010

 

La Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari e i disavanzi sanitari regionali ha aperto un’indagine sul suicidio di Daniele Bellante, un detenuto di 31 anni, avvenuto ieri nel carcere di Rebibbia. "Ancora una volta - ha detto il presidente della commissione Leoluca Orlando - un detenuto, nel silenzio, si è tolto la vita. Sono più di venti i suicidi dall’inizio dell’anno: una cronaca drammatica che si aggrava nel corso dei mesi, senza che si mettano in atto soluzioni per contenerla".

"La commissione che presiedo - ha aggiunto Orlando - che ha da dicembre ha avviato uno specifico filone d’inchiesta sulla tutela del diritto alla salute fisica e psichica dei carcerati, coordinata da Melania De Nichilo Rizzoli e Doris Lo Moro, ha chiesto al Direttore del Dipartimento di amministrazione penitenziaria Franco Ionta una relazione dettagliata su quanto avvenuto". Nell’ufficio di presidenza di ieri, la commissione ha deliberato di effettuare "nei prossimi giorni una missione nel carcere di Sulmona, una struttura penitenziaria dove da tempo si registra una situazione di emergenza". La delegazione, che farà un sopralluogo nella struttura penitenziaria domani, sarà composta dai deputati Doris Lo Moro e Laura Molteni.

Giustizia: Touadi (Pd); ennesimo suicidio segno dell'emergenza

 

Il Velino, 16 aprile 2010

 

"Il suicidio di un detenuto avvenuto ieri presso il carcere romano di Rebibbia costituisce l’ennesimo episodio di una drammatica tragedia che sta investendo il sistema penitenziario italiano. Il numero dei detenuti ha raggiunto la cifra record di 67mila a fronte di una capienza massima di 44mila persone. Questa situazione non può andare avanti: ormai con troppa frequenza si devono registrare perdite di vite umane nelle nostre carceri". Lo dichiara Jean-Lèonard Touadi. "È dovere di tutte le forze politiche presenti in Parlamento trovare una soluzione efficacia e duratura, capace di conciliare l’effettività della espiazione della pena con il rispetto dei diritti dei detenuti. In questo contesto è impossibile ogni tentativo di tenere fede a quanto stabilisce la Costituzione. Mi domando come si possa pensare ad un percorso di rieducazione del detenuto in una situazione carceraria che non è in grado di rispettare neanche i più elementari diritti umani. Sono convinto - conclude Touadi - che con una comune assunzione di responsabilità, maggioranza e opposizione possano trovare in Parlamento una strada per fare fronte a questa drammatica emergenza: serve coraggio e soprattutto il governo ha il dovere di agire rapidamente e di non affidare la soluzione a questo problema alla futura e quanto mai incerta possibilità che nei prossimi anni si possano costruire nuove strutture penitenziarie".

Lettere: piano carceri; per "alternative" servono più educatori

 

Lettera alla Redazione, 16 aprile 2010

 

Ai deputati di Commissione Giustizia

della Camera e Senato

 

Egregio Onorevole, in occasione dell’esame riguardante il Ddl proposto dal Governo in cui si prevede che le pene detentive, non superiori a un anno, possano essere scontate in casa o presso altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza e la sospensione del processo con messa alla prova, chiediamo che, ancora una volta, in tale occasione Lei voglia farsi latore di questa nostra, ricordando al Ministro che, vista la Sua intenzione di operare un massiccio ricorso alle misure alternative alla detenzione, il crescente numero di ingressi in carcere, gli altrettanti suicidi, gli atti autolesionistici e le numerosissime denunce provenienti da operatori penitenziari e non, il primo problema da affrontare è l’emergenza del sovraffollamento in cui versano le nostre carceri e che il primissimo, urgentissimo e ormai improcrastinabile passo da muovere è quello dell’assunzione di ulteriori unità di educatori penitenziari.

È ormai terminato il tempo degli annunci ed è giunto il momento di affrontare, il problema del sovraffollamento partendo proprio dalla componente umana per poi passare eventualmente a problematiche di carattere strutturale. Infatti, vogliamo anche ricordare che, come emerso da un articolo pubblicato su Girodivite.it del 20 gennaio 2010, in Italia esistono ben 40 istituti non utilizzati o occupati per una minima parte come ad esempio - citiamo testualmente- "ad Agrigento la sezione femminile che potrebbe ospitare cento detenute ne contiene solo sei!

A Pinerolo c’è un carcere chiuso da dieci anni, ma è stata già individuata l’area ove costruirne uno nuovo; a Mantova il carcere è in costruzione da 17 anni; a Codigoro il carcere è pronto dal 2001, ma non viene utilizzato; a Pontremoli l’istituto femminile è pronto dal 1993 ma attualmente chiuso; ad Ancona 180 posti sono stati inaugurati nel 2005 e oggi ci sono solo 20 detenuti. E poi ancora in Abruzzo, vicino a Pescara, dove c’è un carcere pronto da 15 anni ed oggi utilizzato solo da cani, pecore e mucche; a Monopoli dove il carcere è occupato abusivamente da famiglie di sfrattati e potremmo continuare ancora per molto senza dimenticare Gela dove il carcere è stato progettato nel 1959 e terminato nel 2007."

Senza contare, poi, che la costruzione di altre carceri richiederebbe un certo numero di anni e quindi non si farebbe altro che creare una nuova "carceri d’oro" senza risolvere minimamente nell’immediato il problema dei detenuti.

Siamo, dunque, fermamente convinti che data l’esistenza già di queste strutture debba essere attuata una seria indagine ricognitiva dell’esistente che potrebbe essere riadattato, qualora fosse necessario, con una spesa sicuramente inferiore rispetto ad una costruzione ex-novo e pertanto si potrebbe e si deve procedere immediatamente all’assunzione di ulteriori unità di educatori.

Tali assunzioni è quanto questo Comitato e numerosissimi parlamentari, operatori del settore, esperti, giuristi e associazioni vanno chiedendo da parecchio, a cui però è stata data una frettolosa e superficiale risposta dall’On. Caliendo all’interrogazione parlamentare n. 5-02550 dell’On. Ferranti e altri, il quale ha asserito l’impossibilità di effettuare altre assunzioni a causa di una mancanza di fondi ed ha nuovamente rimandato la questione al prossimo anno, qualora ci fossero fondi utilizzabili a tali scopi.

Simile risposta, che scarica ad un indefinito futuro e ad una fortunosa quanto mai improbabile concomitanza di eventi che si dovrebbero tra loro casualmente combinare affinché si possa almeno cominciare a pensare di assumere proprio coloro che la giurisprudenza vuole fautori dei processi rieducativi, non può costituire la risposta seria di un Governo che ha la volontà di affrontare coscientemente, celermente e definitivamente le questioni del pianeta carcerario.

Riteniamo, infatti, che rispetto alla stessa denuncia circa lo stato emergenziale delle carceri italiane fatta da quel medesimo Governo che poi nega l’assunzione proprio degli educatori argomentando con una penuria economica non possa reggere, poiché se si vuole, come abbiamo appena suggerito, i fondi ci sono e sono ricavabili da più parti!

Ma c’è un fatto ancora più tragico e grottesco, poiché proprio in questo periodo di estrema emergenza nelle carceri, veniamo a conoscenza che è stato approvato dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato, un emendamento sul Ddl n. 1955, volto alla conversione in Legge del D.L. 194-2009, in cui si stabilisce la riduzione del 10% delle dotazioni organiche della PA, che ovviamente andrà ad investire anche la già esigua pianta organica degli educatori.

Pertanto, l’estrema chiarezza dei fatti e degli intenti del Governo, fa sorgere un’altra miriade di domande e perplessità, purtroppo sempre più pesanti, ma soprattutto restiamo basiti rispetto alla ritrosia all’assunzione proprio di quella figura professionale che rappresenterebbe il primo è più naturale e giusto atto concreto che un Ministro possa realizzare nell’ottica di un repentino miglioramento dell’attuale condizione emergenziale, qualora si voglia procedere nel rispetto dell’ articolo 27 della nostra Costituzione.

Alla luce di quanto appena esposto, il Comitato vincitori e idonei del concorso per educatori penitenziari, senza più indugio o vacuo proclama, visto il riconoscimento dell’esattezza di quanto sostiene anche da parte dello stesso Ministro Alfano che con l’approvazione di ben cinque specifiche mozioni nei giorni 11 e 12 gennaio 2010 - in particolare la n. 1-00301 a firma dell’On. Di Stanislao, conveniva con le richieste da noi presentate,

 

Chiede

 

1) l’assunzione immediata di ulteriori unità di educatori almeno fino a completare la già esigua pianta organica prevista per tale profilo professionale, attingendo tali educatori dagli idonei della vigente graduatoria risultata dal concorso indetto con Pdg 21 novembre 2003 e bandito nella Gazzetta Ufficiale n. 30 del 16 aprile 2004, affinché anche costoro possano partecipare ai previsti corsi di formazione che il Dap deve attivare per questi operatori prima dell’ ingresso nelle carceri a cui sono destinati, onde evitare sprechi di danaro per doverli riattivare in seguito;

2) che tutto l’iter per l’assunzione degli educatori al punto 1) venga investito della massima urgenza e celerità;

3) un concreto impegno fin da ora che all’atto della sua scadenza venga prontamente prorogata di almeno un quinquennio la validità della graduatoria di merito del concorso citato al punto 1 -stando agli odierni orientamenti dettati dal Ministro Brunetta e del progetto di legge 2462 presentato il 21 maggio 2009, nonché alle disposizioni in materia di razionalizzazione delle spese pubbliche in vigore - per permetterne un graduale scorrimento parimenti all’avvicendarsi dei fisiologici turnover pensionistici, al fine di evitare l’indizione di nuovi concorsi per il medesimo profilo che comporterebbero inutili oneri pubblici;

4) che venga bloccato il processo per la citata riduzione degli organici della P.A., almeno per il settore afferente alla professionalità in questione.

Certi dello spessore umano, della sensibilità e della professionalità con cui accoglierà queste nostre imprescindibili richieste, oggettivamente indispensabili per affrontare l’emergenza in atto nel mondo carcerario, confidiamo in un Suo celere interessamento e restiamo in attesa di risposta.

 

Avv. Anna Fasulo

Membro del Comitato vincitori e idonei concorso educatori

Lettere: Consiglio Stato ribadisce diritto assunzione 39 psicologi

 

Lettera alla Redazione, 16 aprile 2010

 

Ordinanza Consiglio di Stato ribadisce diritto assunzione 39 psicologi: quale risposta delle istituzioni?

Da quattro anni si è concluso il concorso per 39 psicologi al Dap, che inspiegabilmente non sono ancora stati assunti. Ciò nonostante, si continua a ribadire l’importanza di questa figura nell’ambito penitenziario in tutte le sedi istituzionali. Di recente sono state approvate con parere favorevole del Governo alcune mozioni riferite al carcere che impegnano il governo ad assumere "un congruo numero di psicologi" (cfr mozione 1/00240 Vietti e et. al.).

Lo stesso Ministro della Giustizia Alfano ha sostenuto, già da tempo, l’impegno del Governo a procedere all’assunzione dei 39 vincitori del concorso, dichiarando, in relazione agli educatori e agli psicologi vincitori di rispettivi concorsi, che: "abbiamo intenzione di assumerli. I vincitori di concorso hanno il diritto di essere assunti, diritto che non intendiamo negare.[...]" (audizione del 27.11.2008 dinanzi alla Commissione II giustizia della Camera dei deputati). Infine, una recente Ordinanza del Consiglio di Stato, interpellato sull’argomento, ha ribadito il diritto dei 39 psicologi all’assunzione e la necessità di rivedere il Dpcm 1/04/2008 nella parte in cui prevede la possibilità, anziché l’obbligo di assunzione dei vincitori del concorso.

Alla luce di tutte queste considerazioni e dello stato di emergenza in cui si trova il sistema carcerario, facendo riferimento, in particolare, alla crescita vertiginosa del numero dei suicidi in carcere, i 39 psicologi hanno chiesto, con una lettera inviata alle istituzioni competenti, che il Governo presti fede agli impegni presi e che, quindi, si proceda in tempi brevi all’immissione in ruolo dei vincitori di concorso, mostrando responsabilità verso i diritti dei detenuti e quelli dei 39 professionisti.

Lettere: caro sindaco, per i semiliberi il lavoro è una speranza

 

Elba News, 16 aprile 2010

 

Leggo l’intervento del sindaco di Porto Azzurro in merito alla vicenda che ha coinvolto il carcere con la protesta di alcuni detenuti che, pur impropria e da disapprovare, denota un autentico disagio. Emergono condizioni di vita indegne di un paese civile con l’inosservanza di diritti pur minimi, come quello di potersi lavare e curare la propria igiene personale. E malauguratamente in alto loco si progetta l’improponibile raddoppio della popolazione carceraria.

Il sindaco Papi prende la palla al balzo per dire che "non lo preoccupano i reclusi, ma quelli in semilibertà, che si mettono fuori senza preoccuparsi di trovar loro lavoro". In primo luogo, che c’entrano i semiliberi con questa protesta? Niente. E poi non è vero che i semiliberi disturbino lui e la sua gente, vengano fatti uscire così, allo sbaraglio, senza un lavoro. Il detenuto, per uscire in semilibertà, deve avere già un contratto di lavoro. Che senso ha insinuare che il semilibero porta via del lavoro ai cittadini del posto? Il semilibero lavora e basta, per vivere onestamente, cosa che tutte le persone civili dovrebbero auspicare. Il carcere mette a dura prova e spesso non è in grado, nonostante la buona volontà degli operatori, di fornire quegli strumenti, in primis il lavoro, necessari alla "rieducazione del condannato". Se una persona riesce, grazie al lavoro esterno, ad usufruire del regime di semilibertà, costui va assimilato a qualsiasi altro cittadino lavoratore e incoraggiato e rispettato. Ogni recupero è una conquista, ogni recidiva un fallimento per tutti.

Ma se al detenuto si nega il lavoro, non si vede come egli possa reinserirsi nella società in maniera onesta e nel rispetto della legge. Il fatto è che, facendo appello agli egoismi e alle paure e alimentando l’intolleranza, diffidando del diverso, si ottiene il facile plauso di un pubblico che "ragiona" con le viscere più che col cervello, però, a lungo andare, si costruisce una comunità chiusa in se stessa e per niente solidale, direi impoverita, che plaude allo straniero turista ricco ed emargina l’immigrato in cerca di lavoro. Che è indulgente con i pesci grossi disonesti e invece spara addosso ai poveracci e toglie loro persino la speranza.

 

Licia Baldi, Associazione Dialogo

Calabria: Sappe; carceri sovraffollate al 158%, difficile gestirle

 

Asca, 16 aprile 2010

 

"La situazione penitenziaria in Calabria è divenuta ormai difficile da gestire". Lo denuncia il sindacato di polizia penitenziaria Sappe. "I detenuti nella regione sono arrivati alla soglia delle tremila unità; infatti, - si legge in una nota - i dati di questo mese ci dicono che le presenze sono di 2936 detenuti, a fronte di una capienza di 1.849, con un sovraffollamento del 158%. Gli stranieri sono 815, con una percentuale del 27,75 per cento. La percentuale degli stranieri è circa la metà di quella degli istituti del Nord Italia, ma ciò non rappresenta comunque un dato positivo, se si considera che al Sud, nella società esterna, la presenza degli stranieri è molto inferiore a quella che si registra nelle grandi città del Nord. Quindi, - si legge - questa elevata presenza al Sud è dovuta al fatto che, spesso, negli ultimi anni, l’Amministrazione ha trasferito i detenuti dal Nord al Sud, compresa la Calabria, a causa della mancanza di spazi nei grandi istituti come Bologna, Milano, Torino, Firenze. A questa scelta nessun dirigente calabrese si è opposto, anzi, spesso, è stato riferito agli uffici ministeriali che in Calabria c’erano molti posti disponibili. Il risultato è che oggi anche in Calabria c’è un grave sovraffollamento. Ciò è dimostrato dal fatto che dal 2002/2003 ad oggi i detenuti sono aumentati di circa 1.000 unità.

Secondo il Sappe, "nonostante l’aumento dei detenuti non si è provveduto ad aggiornare l’organico della polizia penitenziaria, fissato da un decreto ministeriale del 2001, in base al quale è stato stabilito che dovrebbe essere di 1498 unità. Ci sono istituti che sono in grande difficoltà, al punto che fanno fatica ad organizzare i servizi".

Roma: Rebibbia G14, reparto per detenuti gravemente malati

di Flavia Fornari

 

Terra, 16 aprile 2010

 

Sono pochi esempi che però ci interrogano gravemente sul diritto alla salute delle persone ristrette. Malgrado Ciro sia affetto da sclerosi multipla in stadio avanzato si trova in custodia cautelare in carcere. Sta male ed è visibilmente provato dalla notte insonne, come ci racconta a colloquio, in una stanza spoglia del secondo piano del G14, l’infermeria di Rebibbia Nuovo Complesso.

La voce rauca ci fa pensare che abbia esagerato con le sigarette, che fuma nervosamente anche durante il nostro breve incontro. Sebbene gli fosse stata riconosciuta per ben due volte l’incompatibilità con il regime carcerario durante l’espiazione di una precedente condanna già scontata interamente, in riferimento al nuovo reato che gli si contesta ora il perito del Gip ha decretato che la permanenza in carcere è compatibile con la cura di interferone e degli antidepressivi che gli sono necessari.

Ciro è esausto, ci chiede aiuto piangendo perché necessita d’urgenza di un ricovero in un centro specializzato di riabilitazione, che nell’istituto romano non esiste. È certo che la detenzione peggiorerà le sue condizioni fisiche e teme di lasciarsi andare rapidamente.

Dopo incontriamo un anziano carcerato, che dopo una pena di 46 anni scontata interamente in varie carceri d’Italia, si ritrova a Rebibbia per un piccolo reato. Notiamo la serie di sottili cicatrici su entrambi gli avambracci e ce ne chiediamo l’origine. Ha bisogno di consigli per ottenere l’incompatibilità, alla luce delle gravi patologie che ci elenca, oltre che per l’età avanzata. Ma, sorridendo, ci confessa che ormai qualche mese in più o in meno per lui non farebbe troppa differenza, dopo che per una vita intera non ha beneficiato di alcun tipo di sconto di pena o forse di risarcimento per ingiusta detenzione, a causa di anni degli anni già vissuti in carcere che superano quelli che doveva scontare.

Al piano inferiore del G14 incontriamo diversi detenuti ammalati di Aids conclamata: entrano ed escono da Rebibbia sulla base della conta di cellule Cd4 nel sangue. Ci chiedono se è accettabile che in uno stato di diritto debbano sperare di aggravarsi per scontare la pena a casa, in un contesto di maggior serenità, almeno, di cure certe, mentre in carcere devono aspettare settimane per ricevere medicinali urgenti. Ci informano che a questo proposito sono appena stati attuati due cicli di sciopero di reparto, interrotti a seguito dell’intervento del magistrato di sorveglianza.

Palermo: morì in carcere a dicembre, per attacco di asma acuto

 

La Repubblica, 16 aprile 2010

 

Roberto Pellicano è morto per un attacco di asma acuto. È il responso dell’autopsia eseguita sul corpo del detenuto di 39 anni deceduto nel carcere Ucciardone il 3 dicembre scorso. Una perizia che scagiona, in prima battuta, i medici del penitenziario. All’indomani dell’appello per conoscere la verità sulla fine del detenuto affidato dalla famiglia Pellicano alle pagine di Repubblica, si apprende che l’autopsia è stata depositata nella segreteria del pm il 12 aprile scorso. "Non c’è stato alcun ritardo negli accertamenti disposti dalla Procura - dice il procuratore aggiunto Maurizio Scalia, a capo del primo dipartimento - Le proroghe accordate ai periti sono state concesse a garanzia dei familiari del detenuto. Ovviamente, gli accertamenti non si fermano alle risultanze dell’autopsia. Questo ufficio acquisirà altri elementi, con il massimo scrupolo, riguardanti la vicenda di Pellicano per accertare se tutto è stato fatto".

Roberto Pellicano, tossicodipendente affetto dal virus Hiv, era stato arrestato per avere rubato un telo da mare in spiaggia. Il suo avvocato, Tommy De Lisi, per due volte aveva chiesto la sua scarcerazione. "Quella su Roberto Pellicano - spiega Paolo Procaccianti, direttore dell’istituto di medicina legale dell’ospedale Policlinico - è stata un’autopsia dalla perizia complessa che è stata riassunta in 50 pagine. Il ragazzo assumeva metadone e bisognava comprendere con accurati esami cosa ne avesse provocato la morte. L’asma era una patologia misconosciuta ai medici del carcere".

Parma: detenuto morto lo scorso ottobre aveva sniffato eroina

di Maria Chiara Perri

 

La Repubblica, 16 aprile 2010

 

Il 32enne era deceduto il 6 ottobre scorso mentre era rinchiuso in via Burla: le analisi parlano di intossicazione. Sarà ascoltata la fidanzata.

Giuseppe Saladino è morto dopo avere sniffato eroina. Questo l’esito della perizia tossicologica svolta dal medico legale nominato dalla Procura di Parma, Cristiano Bertoldi. Il detenuto nel carcere di via Burla, è scritto nella perizia, è deceduto nella sua cella il 6 ottobre 2009 per una "intossicazione di eroina assunta per via endonasale". Il giovane sarebbe deceduto tre ore prima di essere ritrovato nel suo letto, esanime, dal compagno di cella che diede l’allarme alle 6.46 del mattino. Il perito ritiene che il fisico del ragazzo, tossicodipendente, si fosse disabituato all’uso della sostanza stupefacente dopo aver passato un periodo in carcere. Una dose anche non eccessiva di eroina, tagliata normalmente, gli sarebbe quindi stata fatale. Saladino era stato infatti posto da pochi giorni agli arresti domiciliari ed era stato riportato in via Burla la sera precedente, alle 20, per averli violati.

Resta da chiarire se il ragazzo, che al momento del decesso aveva 32 anni, si è procurato e ha fatto uso della droga prima di entrare in carcere o all’interno della casa circondariale. Aveva passato il pomeriggio insieme alla fidanzata ed era rientrato a casa alle 18. Alle 20, le forze dell’ordine hanno constatato la violazione e lo hanno condotto in carcere. "Ordineremo un supplemento di perizia per definire quale sia il tempo entro il quale l’assunzione di eroina può dare effetti di intossicazione - dichiara il procuratore Gerardo Laguardia - poi sentiremo la fidanzata come persona informata dei fatti: si può prospettare l’ipotesi di reato di morte in conseguenza di cessione di stupefacenti". Dopo il decesso la madre Rosa Martorana, che vive in via Einstein, aveva subito chiesto di fare piena luce sulla vicenda: "Cosa è successo in carcere? Mio figlio era sotto psicofarmaci, perché non è stato tutelato?".

Bergamo: detenuto morì tumore denunce per omicidio colposo

 

Ansa, 16 aprile 2010

 

Una denuncia penale per omicidio colposo contro tutte le persone potenzialmente coinvolte nel caso di Angelo Musolino, in carcere a Bergamo e poi morto per un tumore dopo la liberazione con obbligo di dimora, è stata presentata alla procura di Lecco dall’avvocato Marcello Perillo, che tutela i parenti della vittima. Il quesito che i giudici dovranno sciogliere è il seguente: se fosse stato curato in maniera adeguata e soprattutto in tempo, ci sarebbe ancora il loro parente, 51 anni, mancato lo scorso 25 marzo? Ora i familiari si accingono a una battaglia legale per ottenere la verità sulla morte del congiunto.

"Mi aveva chiamato a dicembre - ha spiegato l’avvocato - chiedendomi di aiutarlo ad uscire dal carcere il più in fretta possibile. Stava male da tempo, quasi da un anno, e le sue condizioni continuavano a peggiorare". Era già stato visitato dai medici mentre si trovava in carcere "ma i sintomi e la gravità delle sue condizioni erano state molto sottovalutate", ha aggiunto. Ad Angelo Musolino vennero concessi prima gli arresti domiciliari e poi l’obbligo di dimora. Venne disposta anche una visita specialistica al San Paolo di Milano. Ma ormai era troppo tardi. Se il tumore fosse stato diagnosticato in tempo, se le cure specifiche fossero state tempestive - è la convinzione del legale e dei familiari di Angelo Musolino - la situazione non sarebbe precipitata così in fretta.

Nuoro: Cassazione; responsabilità agente, su morte Acquaviva

di Luisa Satta

 

La Nuova Sardegna, 16 aprile 2010

 

Per la morte del detenuto Luigi Acquaviva, l’ergastolano di San Giuseppe Vesuviano, che il 23 gennaio 2000 si impiccò nella cella n.10 del reparto ad alta osservazione del carcere di Badu 'e Carros, "sussistono elementi che dimostrano come Angelino Calaresu non abbia esercitato la dovuta sorveglianza nei confronti del detenuto, così non impedendo il suicidio di quest’ultimo". Lo scrive la Corte di Cassazione, nelle motivazioni della sentenza pronunciata il 9 febbraio scorso, con la quale ha parzialmente, ma in termini sostanziali, riformato la sentenza della corte d’appello di Sassari che aveva assolto l’assistente capo della polizia penitenziaria Calaresu dall’accusa di omicidio colposo nei confronti di Acquaviva.

La Cassazione infatti ha accolto le ragioni poste dai legali di parte civile, naturalmente per gli effetti civili vista la mancanza di impugnazione della sentenza di appello da parte del Procuratore generale, e ha disposto il rinvio al giudice civile competente, per quantificare gli aspetti risarcitori e il regolamento delle spese tra le parti. La Suprema corte, andando oltre gli aspetti squisitamente tecnici, è entrata nel merito in aperto dissenso con i giudici d’appello che avevano assolto Calaresu, nonostante avessero aderito al ragionamento del tribunale di Nuoro che aveva condannato l’agente.

Calaresu, nella notte tra il 22 e il 23 avrebbe dovuto sottoporre Acquaviva a sorveglianza strettissima, dopo che lo stesso Acquaviva, il 22 gennaio, al ritorno dall’ora d’aria aveva sequestrato un altro agente, liberandolo solo dopo la mediazione del suo difensore l’avvocato Antonello Spada, poi legale di parte civile della famiglia del detenuto. Calaresu era stato condannato dal tribunale di Nuoro a un anno e sei mesi per omicidio colposo, mentre gli agenti Franco Ignazio Trogu, Mario Crobu e Antonio Salis erano stati condannati a un anno e mesi ciascuno per le lesioni inferte ad Acquaviva, sottoposto ad un autentico pestaggio documentato dall’autopsia. Il tribunale aveva anche condannato tutti gli imputati e il Ministero della Giustizia a un risarcimento record ai familiari dell’ergastolano: 720 mila euro.

Secondo i giudici (che hanno invece dichiarato prescritti i reati per gli altri tre agenti), non è condivisibile la tesi della corte d’appello che aveva escluso la responsabilità penale di Calaresu, la cui difesa era imperniata sul fatto che sarebbe stato impossibile per l’agente tenere costantemente d’occhio Acquaviva in un reparto in cui c’erano altri sei detenuti.

"I giudici d’appello non hanno tenuto nella considerazione la circostanza che l’Acquaviva si differenziava dagli altri sei detenuti perché doveva essere oggetto di una sorveglianza maggiore. Nell’ordine di servizio si parlava infatti di "grandissima sorveglianza", scrive la Cassazione. Tanto è che Acquaviva venne messo nell’unica cella dove era installata una telecamera fissa, che, "collegata ad un apposito monitor, consentiva la sorveglianza dall’esterno".

"In una situazione che richiedeva un controllo incisivo, il collegio avrebbe dovuto dare rilievo all’affermazione di Calaresu che l’Acquaviva, intorno alle 6-6,10 si era seduto sul montante del letto, dando le spalle alla porta della cella e mettendosi dietro la coperta applicata alla finestra. Avrebbe anche dovuto valorizzare l’ulteriore precisazione dello stesso Calaresu che, dopo una decina di minuti, constatando che il detenuto era ancora nella stessa posizione, lo aveva chiamato senza ottenere risposta alcuna", sicché aveva chiesto l’intervento del capoposto.

Dal momento in cui Calaresu vide Acquaviva sul letto, a quello in cui iniziò a chiamarlo senza ottenere risposta e di conseguenza avvisando il capoposto, che a sua volta allertò l’infermiera di turno, passarono almeno 15 minuti: eppure, quando l’infermiera arrivò nella cella la sua giugulare pulsava ancora. "Vi è stata un’attesa nella richiesta dell’intervento del capoposto che ha avuto incidenza sul verificarsi dell’evento", scrive la Cassazione. E ora, scrollatosi di dosso la responsabilità penale, Calaresu dovrà comunque ripresentarsi davanti ai giudici per rispondere dei profili civilistici della sua condotta.

Porto Azzurro: 9 agenti per 300 detenuti, sorveglianza difficile

 

Elba News, 16 aprile 2010

 

Appena nove agenti di polizia penitenziaria a vigilare su oltre 300 detenuti durante la notte. Ecco cosa succede dietro le mura di Forte San Giacomo per colpa della carenza di personale. Nel pomeriggio spesso le guardie carcerarie sono solo 12 nei 3 reparti dell’istituto. Nel migliore dei casi, durante i turni mattutini, raggiungono quota 55. Ma il minimo previsto per Porto Azzurro dalle norme sugli istituti di detenzione sarebbe 69 agenti. "Vista la situazione - tuona Eugenio Sarno, segretario generale del sindacato Uil-Pa penitenziari - è evidente che se i carcerati volessero andarsene ci riuscirebbero in blocco".

Numeri sconcertanti quelli che Sarno snocciola in occasione della visita nell’istituto elbano, a dieci giorni dalla rivolta durante la quale un gruppo di 16 detenuti ha minacciato e sequestrato due agenti della penitenziaria per protestare contro la mancanza di acqua calda, lenzuola pulite e generi di prima necessità. "Il sintomo di un disagio - spiega Sarno -e un episodio violento, senza dubbio da condannare, ma anche da non sottovalutare, soprattutto in questo momento quando da Roma arriva la notizia che il numero dei reclusi a Porto Azzurro sarà raddoppiato. Così facendo questo carcere, già ai limiti della gestibilità a causa di

celle inadeguate e di ambienti malsani, rischia di esplodere". Una certezza questa, secondo il segretario della Uil-Pa penitenziari, che parla di un carcere "dove il personale lavora in condizioni di emergenza e senza neppure sistemi di allarme, richiesti ma mai arrivati - racconta - dove di fatto possono essere ospitati, nelle condizioni attuali con 2 sezioni chiuse, al massimo 250 reclusi, dove c’è una sala colloqui inadeguata, una lavanderia e una mensa che a mala pena riescono a garantire un servizio decente per il numero di detenuti attuale".

"Se il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - continua Sarno - vuole raddoppiare i reclusi tutto il resto, di conseguenza, deve essere raddoppiato. Forse da Roma non hanno idea di cosa sia il carcere di Porto Azzurro. Come lo definisco? È il carcere delle promesse mancate". Per il sindacato, infatti, su tutte le criticità segnalate la direzione si è attivata per riuscire ad ottenere i fondi necessari a finanziare manutenzioni e miglioramenti "ma a parte le promesse -aggiunge Sarno - l’istituto non ha ottenuto niente".

La visita di ieri si trasformerà di una comunicazione ufficiale della Uil-Pa alle autorità competenti. "Invierò una relazione alla Procura - spiega il sindacalista - ma anche all’Asl e al sindaco di Porto Azzurro che devono conoscere le condizioni nelle quali vivono i detenuti e gli agenti di polizia penitenziaria. Agenti che, a seguito dei fatti accaduti, si sentono abbandonati perché nessun segnale di conforto è arrivato dall’amministrazione penitenziaria che continua a dimostrarsi distante, inefficiente e incapace".

Modena: Castelfranco diventa ospedale psichiatrico giudiziario

 

La Gazzetta di Modena, 16 aprile 2010

 

I reclusi nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, che oggi sono troppi, troveranno posto a Castelfranco. A dirlo è lo schema di accordo tra ministero della Giustizia e Regione Emilia Romagna per trasferire gli internati in una nuova struttura che sarà allestita a Castelfranco, nel Forte Urbano, dove c’è già la Casa di reclusione e custodia attenuata per detenuti tossicodipendenti.

Il Dap si impegna a concedere in uso gratuito all’Ausl di Modena i locali di Castelfranco per 12 anni. Con gli opportuni interventi sarà possibile nel giro di due anni realizzare "una struttura per la effettuazione della misura di sicurezza con caratteristiche di media e alta protezione, per circa 120 persone", diminuendo così gli ospiti di Reggio. Ma i 120 posti previsti a Castelfranco non saranno pronti, si stima, prima di tre anni.

La nuova struttura sarà sotto la dipendenza dell’Ausl di Modena. L’amministrazione penitenziaria "eserciterà le funzioni di sicurezza mediante una vigilanza perimetrale della struttura". Non sono escluse però ulteriori misure di sicurezza per soggetti di "particolare spessore criminale o che abbiano collegamenti con la criminalità organizzata".

Salerno: il 26 aprile riapre sezione detenuti all’ospedale Ruggi

 

La Città di Salerno, 16 aprile 2010

 

Dal 26 aprile sarà nuovamente in funzione il reparto riservato ai detenuti all’interno degli ospedali riuniti "San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona". Ad annunciarlo è il direttore generale dell’azienda ospedaliera, Attilio Bianchi. "Da venerdì cominceremo l’assegnazione del personale, che sarà completata nella settimana seguente. Per cui, essendo le condizioni strutturali del reparto già idonee, potremo ricevere gli eventuali pazienti da lunedì 26 aprile" ha spiegato il manager Bianchi. Ed ha aggiunto: "Ringrazio le istituzioni, le associazioni e tutti coloro che hanno contribuito attraverso una sinergica azione propositiva per consentirci di affrontare con serenità gli strettissimi vincoli regionali relativi al personale".

A far riemergere i problemi legati alla chiusura della struttura, era stato, nei giorni scorsi, il caso di un detenuto ricoverato in chirurgia che aveva tentato il suicidio. La mobilitazione che ne è seguita ha visto impegnati in prima linea i Radicali salernitani, che hanno avviato uno sciopero della fame. Al loro fianco anche gli agenti della polizia penitenziaria, come ha sottolineato Lorenzo Longobardi, della Uil: "Siamo molto solidali con gli attivisti del Partito Radicale, in sciopero della fame per la riapertura della sezione detenuti dell’ospedale, battaglia nella quale siamo molto impegnati".

Cosenza: l'Ass. LiberaMente apre Sportello familiari detenuti

 

Ansa, 16 aprile 2010

 

Nasce a Cosenza uno sportello di sostegno e di accompagnamento per i familiari dei detenuti del carcere cittadino. L’iniziativa, che sarà presentata domani, è dell’associazione di volontariato penitenziario LiberaMente in collaborazione con il centro socio culturale Vittorio Bachelet, la Fondazione Roberta Lanzino, la Provincia di Cosenza (Centro per l’Impiego, Assessorato Formazione Professionale, Mercato del Lavoro), la cooperativa sociale Promidea, il patronato Acli.

Obiettivo del progetto - è scritto in una nota - è offrire sostegno, a 360 gradi, ai familiari dei detenuti della casa circondariale "Sergio Cosmai" di Cosenza attraverso l’attivazione di un punto di incontro e di ascolto. In pratica, attraverso il progetto, si vuole contrastare la dispersione scolastica allontanando dalla strada i figli di detenuti che vivono una realtà socialmente deviante mettendo in atto anche attività ludiche e di doposcuola; ridurre il disagio economico cercando di indirizzare le mogli dei detenuti verso il mondo del lavoro; fornire sostegno alle famiglie mediante la distribuzione di beni di prima necessità come cibo e vestiti; offrire sostegno psicologico, ma anche un supporto giuridico - legale, amministrativo, fiscale, lavorativo e previdenziale.

"LiberaMente, che da anni opera a Cosenza in favore di coloro che sono ammessi a misure alternative, dei detenuti, degli ex detenuti e delle loro famiglie - prosegue la nota - ritiene che il mantenimento dei legami familiari sia uno strumento essenziale di prevenzione delle recidiva e di reinserimento sociale, oltre che un diritto per tutti i detenuti e le loro famiglia".

Roma: a Rebibbia "Festa di sport", con cerimonia premiazione

 

Il Velino, 16 aprile 2010

 

Festa di sport ieri mattina alla sezione penale del carcere di Rebibbia con una doppia cerimonia di premiazione: calcistica e tennistica. In primo piano ancora una volta la formazione di calcio a 5 degli Internati, la squadra dei detenuti del carcere, che ha infatti vinto per la quinta volta consecutiva la Coppa Disciplina del Palio di Roma, il torneo di calcio a 5 più partecipato della Capitale. Anche quest’anno i ragazzi allenati da Marco Iori, istruttore Uisp Roma, nelle tante partite giocate non hanno collezionato neanche un’ammonizione.

Purtroppo, il cammino della formazione si è fermato alle semifinali, collezionando comunque lo "scudetto" del VII municipio. Dal 2007 la squadra ha lasciato il municipio di appartenenza, il V, per permettere ad altre squadre "esterne" di avere la possibilità di vivere l’esperienza di giocare in un carcere: ormai sono 400 gli atleti romani entrati a Rebibbia per le gare del Palio. A consegnare il premio al vice-capitano Barbar, fortissimo giocatore marocchino (la squadra è formata da giocatori italiani, albanesi e magrebini), sono stati il presidente del Coni provinciale Riccardo Viola e il vice direttore del carcere Marco Grasselli.

L’altra premiazione ha riguardato il torneo di tennis organizzato dall’Uisp, giocato da detenuti e guardie carcerarie: ad aggiudicarselo è stato Walter Gobbetti, detenuto che unisce all’amore per la racchetta quello per il teatro. A premiarlo è stato il presidente dell’Uisp Roma Andrea Novelli, che ha ricordato come "lo sport riesca ad unire tutti: detenuti e guardie, nessuno escluso". Il torneo era dedicato a Luigi Turco, storico direttore del carcere di Rebibbia dal 1982 al 1988 e padre di Antonio, educatore, sceneggiatore e regista teatrale, instancabile animatore di attività culturali e sportive anche dell’Uisp Roma.

Immigrazione: Consulta; le Regioni non possono rifiutare i Cie

 

Il Sole 24 Ore, 16 aprile 2010

 

Le Regioni non possono rifiutarsi di ospitare Centri di espulsione. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 134 depositata ieri, ha dichiarato illegittimo l’articolo 1 della legge della regione Liguria 6 marzo 2009 n. 4 nella parte in cui afferma "la indisponibilità della Regione ad avere sul proprio territorio strutture o centri in cui si svolgono funzioni preliminari di trattamento e identificazione-personale dei cittadini stranieri immigrati", ossia i Cie, centri di identificazione ed espulsione. La legge era stata discussa e approvata tra polemiche con i voti della maggioranza di centrosinistra su proposta di Rifondazione comunista.

La tesi del Governo, accolta dalla Consulta, era che il legislatore regionale ha interferito con le attività di controllo dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri sul territorio statale, in violazione di quanto previsto dall’articolo 14 della legge 25 luglio 1998 n. 286, che affida a un decreto del

ministro dell’Interno l’individuazione e la costituzione dei centri di identificazione ed espulsione degli stranieri. La Regione si era difesa affermando che la sua legge si limita a perseguire le finalità di integrazione dei cittadini non comunitari, prevedendo interventi specifici in conformità con il proprio statuto. Finalità, ha sostenuto la Liguria davanti alla Corte Costituzionale, che sarebbero state compromesse dalla presenza sul territorio regionale dei centri di identificazione.

Russia: braccialetti elettronici per 54mila in libertà condizionale

 

Ansa, 16 aprile 2010

 

Braccialetti elettronici con Gps per controllare i detenuti in libertà condizionale. È entrato in vigore in Russia il decreto del governo sulla possibilità di usare su larga scala i dispositivi speciali come misura per monitorare i condannati cui è stata concessa la libertà vigilata. Ma i dispositivi non sarebbero pronti, come sottolineano alcuni media.

L’iniziativa era stata lanciata lo scorso anno in via sperimentale in tre regioni russe e applicata a condannati che vi si sarebbero sottoposti volontariamente. Dotati di navigatore Gps, ma in futuro si prevede anche Gsm, e collegati al sistema di comunicazione satellitare russo Glonass cui inviano il proprio segnale con le coordinate del detenuto, i dispositivi in questione erano però di fabbricazione israeliana: la Russia per ora non ne produce. Ma ora si sta attrezzando: è già stata lanciata la gara d’appalto. I costi non sono bassi, da 1.000 a 2.500 euro a seconda del tipo di braccialetto, ma le autorità russe sono ottimiste: si risparmierà comunque molto, dicono, rispetto alla custodia in prigione. "Secondo le previsioni, nel 2011 150mila detenuti saranno in libertà condizionata. Tra questi circa il 30% - 45mila persone - verranno dotati di braccialetti elettronici", ha dichiarato Tatiana Nikitina, dirigente ad interim di un dipartimento dell’organizzazione del sistema penitenziario russo non legato all’isolamento.

 

 

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