Giustizia: il Ferragosto in carcere e le lacrime di coccodrillo di Lega e Pdl di Patrizio Gonnella Il Manifesto, 8 agosto 2010 Siamo vicini a Ferragosto. Sono trascorsi otto mesi da quando il Governo ha solennemente proclamato lo stato di emergenza penitenziaria. Una presa di coscienza importante a cui non è seguito nulla in termini di provvedimenti concreti. Il sovraffollamento rende intollerabili le condizioni di vita nelle carceri. Ecco una scena classica di vita carceraria italiana: cella in cemento, mura scrostate, tazza del bagno a vista, niente doccia, grandezza di dieci metri quadri dove sono blindate quattro persone per 20 ore al giorno. Una percentuale elevatissima di detenuti vive in una condizione di oggettivo trattamento inumano e degradante. Non a caso l’Italia ha subito condanne pesanti dalla Corte europea dei diritti umani. Negli ultimi otto mesi la destra al Governo ha abbassato i toni violenti che l’avevano condotta ad approvare, due legislature addietro, tre leggi durissime (immigrazione, droghe e recidiva, di cui due portano il nome di Gianfranco Fini e una del suo allora fedelissimo Edmondo Cirielli) e, nella legislatura attuale, un paio di pacchetti sicurezza. Ora la situazione è a rischio di epidemie. Le condizioni igienico-sanitarie sono gravissime. Le Asl si attardano a ispezionare e chiudere i reparti dove c’è pericolo di infezioni. Il personale è in una condizione di abbandono. Le ferie dei poliziotti in alcuni istituti non sono assicurate. Sono troppi i detenuti da guardare. Eppure non c’è traccia di nuove assunzioni (uno dei tre pilastri inattuati del piano carceri), neanche a carattere stagionale. Nei prossimi giorni, intorno a Ferragosto, su iniziativa dei radicali - il cui impegno sul tema è senza dubbio una rarità positiva nel panorama politico italiano - un nutrito gruppo di parlamentari e consiglieri regionali andrà a visitare le carceri. È importante che chi dispone di un diritto ispettivo lo eserciti. Siamo certi che ci sarà una buona copertura mediatica dell’evento. Sorprende però leggere tra le firme che promuovono l’appello quelle dei capigruppo in commissione giustizia della Lega (Matteo Brigandì) e del Pdl (Enrico Costa). Sorprende, se si leggono questi stralci dell’appello stesso: “Mai in passato i detenuti ristretti nelle nostre carceri sono stati così tanti (68.206) e il personale di ogni livello così ridotto nel suo organico. Ciò ha comportato e comporta che oggi - più che nel passato - il carcere sia sempre di più il luogo della pena che poco o niente ha a che vedere con quanto sancito dall’art. 27 della Costituzione Italiana. Anche il ricorso eccessivo, e spesso illegittimo, allo strumento della custodia cautelare in carcere stride con il principio costituzionale in base al quale l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva...”. Gentili Brigandi e Costa, gentili parlamentari che andrete a vistare le prigioni a Ferragosto, non ci servono le vostre passeggiate estive se non fate mea culpa e stracciate le leggi che hanno prodotto questi livelli indecorosi di sovraffollamento. Dopo il viaggio parlamentare del Ferragosto 2009 non è successo nulla di positivo, nessuna proposta di legge di ispirazione garantista (salvo quelle utili a garantire i soliti noti) è stata depositata. A ottobre 2009 è stato ammazzato Stefano Cucchi. È inutile versare lacrime da coccodrillo in estate se nel successivo inverno non si fa nulla per rimediare al sovraffollamento. Non va dimenticato che grazie alle leggi volute da Lega e Pdl le prigioni si sono trasformate in ghetti per poveri, disagiati e matti. In un Paese normale ci si dovrebbe aspettare che il 17 di agosto i parlamentari-ispettori che hanno votato la Bossi-Fini, la Fini-Giovanardi e la Cirielli ammettano pubblicamente i loro errori ai giornalisti che li intervisteranno. Giustizia: dalle celle alle stalle, ecco il carcere “Gazzi” di Messina… di Eleonora Martini Il Manifesto, 8 agosto 2010 In visita nel carcere di Gazzi a Messina. Dove con quasi il doppio dei detenuti, pochi soldi e pochi agenti, alcune sezioni diventano l’inferno Messina. Si può essere cresciuti a pane e prison movie, e aver letto la recente interrogazione parlamentare della radicale Rita Bernardini sugli istituti siciliani, ma quando si mette piede nella famigerata “sosta” del carcere di Gazzi, a Messina, non si crede davvero ai propri occhi. Da otto persone in su sono stipate in ciascuna delle celle da 12 metri quadri con due letti a castello su quattro piani (che spesso raggiungono il quinto piano), un cesso e un lavello pietosamente separati da una lurida tenda da doccia, e armadietti nel poco spazio che resta. Le celle, ma sarebbe meglio chiamarle grotte, affacciano su un antro sudicio, col cemento a vista, intersecato da una specie di scolo aperto all’esterno, evidente ingresso indisturbato per topi di ogni dimensione, come sostengono i detenuti che si dicono costretti a ogni tipo di espediente pur di evitare di essere aggrediti dai ratti, e malgrado la smentita secca della direzione. Ma lo sgomento è totale quando si entra nell’unica doccia a disposizione dei 36 detenuti attuali, senza acqua calda, piazzata in uno sgabuzzino con una porta sfondata dall’umidità e dall’usura, che assomiglia a una di quelle discariche in cui negli anni si trasformano i locali aperti e abbandonati. Dentro e intorno c’è di tutto: armadietti rotti e stracci sporchi. Pensare che qualcuno possa vivere qui per mesi o anche anni, e altri possano lavorarci per otto ore al giorno e più, fa provare vergogna. È uno degli antri orrorifici che tutto sommato non ci si aspetterebbe di vedere - nel tour sotto scorta della direzione - in una Casa circondariale dall’aspetto apparentemente quasi dignitoso, certamente non dissimile dal contesto dove è inserita, tra i campi della periferia estrema di Messina. Eppure all’improvviso i muri scrostati dappertutto, anche negli uffici della direzione, l’umidità nelle celle, i soffitti crepati che mostrano i mattoni interni, i cavi a vista, i corridoi ridipinti a metà (fino a esaurimento vernice), i passeggi quasi del tutto sprovvisti di tettoie, il caldo asfissiante d’estate e il freddo d’inverno, i cessi del braccio femminile divisi dal resto della cella solo da un pezzo di lamiera (con l’unica doccia per 25 donne costituita da un tubo di plastica verde aggrappata a un muro di un antro lurido), gli scarafaggi e le formiche contro i quali l’amministrazione del penitenziario ha ingaggiato una lotta senza vittoria, lasciano il posto all’incredibile. La “sosta” avrebbe dovuto essere il reparto per detenzione transitoria dei nuovi giunti in attesa di sistemazione, ma il sovraffollamento lo ha reso a tutti gli effetti un reparto detentivo di media sicurezza. E chissà cosa direbbe la Corte europea dei diritti umani se potesse vederlo. Così come lascia sconcertati trovare nel braccio delle detenute-mamme che ospita anche quattro bambini al di sotto dei 3 anni, un bimbo di due anni e mezzo con un grave ritardo psico-fisico, evidentemente bisognoso di cure qui inesistenti. La direzione ha scritto al magistrato invitandolo ad intervenire, ma ancora nessuna risposta. Ma non sono le uniche ombre di un carcere senza dubbio difficile da gestire perché, come spesso avviene, pur essendo Casa circondariale (destinata ai detenuti appena arrestati o in attesa di giudizio), si è riempita via via anche di condannati definitivi o appellanti, stipati tutti insieme nei bracci di alta e media sicurezza o nel centro clinico, che dovrebbe essere il fiore all’occhiello della struttura, senza distinzione insieme ai tanti che così, in cella per la prima volta, cominciano qui la loro carriera delinquenziale. Succede da qualche anno in tutti le carceri, riempite come sono di piccoli e non sempre veri spacciatori, fruitori di sostanze, tossicodipendenti (“l’articolo 73 del 309/90, la legge sulle droghe, ricorre in continuazione nelle ordinanze d’arresto”, racconta la direzione) e malati psichici, grazie al giustizialismo populista di Lega e centrodestra. Ma qui, a Gazzi, dove si incontrano uomini e donne di mafia (orgogliose di raccontare che il loro uomo è sottoposto al regime speciale del 41 bis), assieme a quelli di ‘ndrangheta e camorra, per molti giovani alle prime armi è un vanto poter varcare la soglia d’ingresso, una sorta di attestato di pedigree. Necessario per ottenere rispetto. In un contesto così, per orientarsi c’è bisogno dell’aiuto di qualche numero: nella struttura di Gazzi, risalente agli anni 50, da quando sette mesi fa per manifesta indecenza è stato chiuso il reparto “Cellulare” spalmando i suoi 150 detenuti nel resto delle celle, c’è posto al massimo per 229 reclusi. Ce ne sono attualmente 390 (in attesa di primo giudizio solo 133) di cui 51 donne, ma il numero varia di giorno in giorno. I tossicodipendenti dichiarati sono 70, di cui 30 in terapia. Cinque i malati di Hiv. Gli agenti di polizia penitenziaria invece dovrebbero essere 235, in organico ne risultato 214, ma sono presenti solo in 129. Disponibili 8 dei 30 ispettori previsti in organico, e 7 dei 28 sovrintendenti. Molti sono in missione, distaccati ad altre sedi, usati per scorte, o a disposizione della Commissione medico-ospedaliera perché, essendo un lavoro duro e usurante, vengono ritenuti momentaneamente incompatibili con il servizio. Così può succedere per esempio che in piena notte, quando gli agenti sono pochi, arrivi un’ondata di arrestati e “in quei momenti riuscire a coniugare diritti umani e sicurezza è difficilissimo”, spiega il direttore Calogero Tessitore che ricorda quando qualche anno fa vi fu l’ondata di clandestini: “Eravamo pieni di immigrati”. Oggi ce ne sono molto pochi. È un carcere di zona, soprattutto, anche se la presenza del centro clinico (un reparto Medicina e uno Chirurgia comprensivo di sala operatoria) lo rende meta per detenuti malati. Che certamente qui, però, fanno fatica a guarire, a giudicare dalle celle che ospitano i pazienti accanto ai detenuti “sani” stipati sui letti a castello, e viste le condizioni del reparto Medicina dove vivono anche 9 internati (detenuti senza condanna, ritenuti dal magistrato “socialmente pericolosi”, “soggetti che - parole del direttore - per le patologie di cui sono affetti dovrebbero stare altrove e non in carcere”) e dove regnano sporcizia, insetti e degrado. Malgrado gli sforzi del personale. Eppure le detenute che qualche giorno fa hanno inscenato una protesta si lamentano - oltre che per la presenza di blatte e topi nelle loro celle e per la “pessima qualità del cibo” - anche per la difficoltà di cura. Comprensibile, perché malgrado le convenzioni con i medici di 32 branche specialistiche, i 4 medici incaricati, i due infermieri di ruolo più alcuni altri per complessive 80 ore al giorno, malgrado i 2 psichiatri, l’unico psicologo (1) di ruolo che ha il compito anche di visitare tutti i nuovi giunti e un’altra psicologa per 5 (cinque) ore al mese, e malgrado la spesa sanitaria complessiva di questo carcere ammonti a 1.682.000 euro l’anno, quando un detenuto deve fare una Tac o un’analisi un po’ particolare, l’iter è lungo e facilmente naufraga il giorno dell’appuntamento per mancanza di agenti che possano accompagnarlo. Per questo, tra qualche giorno nell’ospedale Papardo di Messina verrà aperto un repartino con quattro camere detentive riservate ai detenuti malati. Da ricordare che la Sicilia non ha ancora recepito la legge che trasferisce la gestione diretta della sanità carceraria dal ministero di Giustizia a quello della Salute. Ma, secondo molti operatori penitenziari, non è detto che sia un male: il servizio per le tossicodipendenze che invece è già gestito dalle Asl, per esempio, quasi sempre non riesce a soddisfare le necessità del carcere, e la coordinazione tra “esterno” e “interno” risulta “molto difficile”. Sarebbe ingeneroso, però, gettare la croce dei tanti mali di Gazzi (e in generale dei carceri italiani) sulla direzione, sugli operatori o sui soli quattro educatori: “Qui tutti fanno molto più del dovuto, con abnegazione e professionalità lavorano oltre le sei ore previste dalla legge, e tentano di ridare senso al carcere, che deve essere finalizzato alla riabilitazione del detenuto”, racconta il vicecommissario Antonella Machì, a capo degli agenti. “Il vero problema è la mancanza di fondi - aggiunge la vicedirettrice Romina Taiani - basti pensare che per la manutenzione ordinaria riceviamo 20 mila euro l’anno e per pagare i detenuti che la fanno, e che lavorano in 40 a turno ogni 4 mesi, riceviamo 316 mila euro”. Alla derattizzazione provvede gratis il comune di Messina ma non più di quattro o cinque volte l’anno. Troppo poco per un microcosmo come questo. “Il carcere è una realtà che non interessa a nessuno - si sfoga amaro il direttore - quando ho contattato gli enti locali, di qualunque colore politico, ho trovato sempre scarsa disponibilità”. Tessitore racconta per esempio di quando ha chiesto un aiuto per far lavorare “fuori” alcuni detenuti, o di quando ha cercato fondi per una pianola da usare in uno spettacolo (una delle tante attività ricreative e formative all’interno del carcere), o addirittura quando ha chiesto soldi per attrezzare con un gazebo, un tavolo e qualche gioco per i bambini la piccola area verde riservata agli incontri con i minori. “Tutto inutile, nessun politico o amministratore ci ha dato niente”. Il carcere è solo un “contenitore dentro il quale confluiscono le scelte governative”. E le incapacità di un ministro siciliano sotto scacco della Lega. Giustizia: Manconi; sistema penitenziario oltre il collasso, sembra una strage Agi, 8 agosto 2010 “All’interno del sistema penitenziario in questo momento accade qualcosa di molto simile a una strage. A partire dal gennaio 2010 si sono tolti la vita 41 detenuti, 4 agenti di polizia penitenziaria, cinque tenendo conto che uno ha tentato il suicidio ed è in fin di vita e un importante dirigente dell’amministrazione, il provveditore della Calabria. A fronte di tutto questo il ministro della Giustizia Alfano si dedica a tutt’altro e nulla perviene dal capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Ionta”. Così ai microfoni di CNRmedia parla il presidente dell’Associazione A Buon Diritto Luigi Manconi, ex sottosegretario alla Giustizia. “Non ci sono tracce dell’attività di Ionta - continua Manconi - nulla ha fatto negli ultimi mesi tranne inviare una circolare nella quale si danno disposizioni precise per evitare drammatizzazioni. Il governo si rivela incapace di affrontare un tema incontrollabile. Quello che si dimentica è che a fine anno è automatico, è inevitabile, è fatale che il sistema penitenziario, destinato a ospitare 43.500 detenuti al massimo, ne dovrà ospitare 70 mila e oltre. Siamo ben oltre il collasso. Tanto vale dichiararsi sconfitti e accettare la resa”. Giustizia: Sappe; Ferragosto in carcere non sia ennesima passerella mediatica dei politici Ansa, 8 agosto 2010 “Anche l’ultimo suicidio di un detenuto, l’altro giorno a Taranto, dimostra la gravità della situazione carceri in Italia. Ogni evento critico in carcere è inevitabilmente la conseguenza del sovraffollamento penitenziario e delle gravi carenze negli organici della Polizia penitenziaria, conseguenza che ricade pericolosamente sulle condizioni lavorative dei Baschi Azzurri del Corpo e che impedisce di svolgere servizio nel migliore dei modi. Come può un Agente, da solo, controllare 80/100 detenuti?Con un sovraffollamento di quasi 69mila detenuti in carceri che ne possono contenere a mala pena 43mila, accadono purtroppo questi episodi. E se la situazione non si aggrava ulteriormente è grazie alle donne e agli uomini del Corpo che, in media, sventano ogni mese 10 tentativi di suicidio (molte centinaia ogni anno) di detenuti nei penitenziari italiani. Proprio come è avvenuto ieri ad Agrigento, dove un nostro Agente ha salvato la vita all’ennesimo detenuto disperato che ha provato a togliersi la vita. Ma è tempo di intervenire con urgenza per deflazionare il sistema carcere del Paese, che altrimenti rischia ogni giorno di più di implodere. Il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è spesso lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Non si può e non si deve chiedere al Personale del Corpo di “accollarsi” la responsabilità di tracciare profili psicologici che possano eventualmente permettere di intuire l’eventuale rischio di autolesionismo da parte dei detenuti. Torniamo a sollecitare l’urgente attuazione del Piano carceri del Governo, che non sappiamo che fine abbia fatto, potenziando maggiormente il ricorso all’area penale esterna e limitando la restrizione in carcere solo nei casi indispensabili e necessari. Una cosa è certa: se non fosse per la professionalità, l’attenzione, il senso del dovere dei poliziotti penitenziari le morti per suicidio in carcere sarebbero molte di più di quelle attuali” È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. “Con un sovraffollamento di 69mila detenuti in carceri che ne possono contenere a mala pena 43mila, accadono purtroppo questi episodi di suicidio. E se la situazione non si aggrava ulteriormente è grazie alle donne e agli uomini del Corpo che, in media, sventano 10 tentativi di suicidio di detenuti nei penitenziari italiani. I dati parlano chiaro. Lo scorso anno 2009, in cui nelle carceri italiane ci furono 58 suicidi di detenuti e 100 decessi per cause naturali di detenuti, ci sono stati anche 5.941 atti di autolesionismo nelle carceri italiane che non hanno avuto gravi conseguenze solamente grazie al tempestivo intervento ed alla professionalità delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria. Così come nei 944 tentativi di suicidio di altrettanti reclusi. È grave che la classe politica, dopo aver visitati in massa le carceri il 15 agosto dello scorso anno, non sia ancora stata in grado di trovare soluzioni politiche e amministrative al tracollo del sistema penitenziario italiano come invece trovò nel 2006 con la legge - fallimentare - dell’indulto. Rinnoviamo oggi ai tanti rappresentanti dei cittadini, in particolare a quelli che già hanno annunciato di recarsi a Ferragosto in carcere, l’invito e il monito a non sottovalutare la portata storica del loro gesto riducendolo ad un gesto di mera passerella mediatica. L’intero Corpo di Polizia Penitenziaria è allo stremo, ma oggi servono iniziative concrete sia da parte dell’Esecutivo che della sovrana attività Parlamentare sulle criticità penitenziarie.” Lettere: cari lettori, sull’oscena condizione delle carceri siete un po’ colpevoli… di Roberto Puglisi Live Sicilia, 8 agosto 2010 Cari lettori, molti di voi sono sulla strada del mare. Pochi restano di sentinella sulla trincea delle notizie, ecco perché l’estate è la stagione adatta per le ignominie, il tempo dell’assenza. Non vi sfuggirà, perfino dalla spiaggia, che in carcere si sta consumando una lunghissima epopea d’orrore. Ma non vi importa, in fondo. Live Sicilia vi ha informato puntualmente. Ha intervistato. Ha scavato dietro le sbarre, per raccontarvi storie. E voi non avete risposto all’appello con l’indignazione attesa e plausibile. Eppure è una questione di civiltà. Cari lettori, scusate la franchezza. Vi stimiamo, siete la ragione del grande successo editoriale di Live Sicilia e forse è una cattiva operazione di marketing dirvi che in fondo, almeno in una occasione, non siete stati all’altezza. Ma vedete, noi abbiamo fatto Live Sicilia perché volevamo un giornale migliore e lettori migliori. Non pecore da blandire o da accarezzare. Persone adulte con cui intraprendere una relazione sincera nell’asprezza e nell’accordo, nel dissenso e nel consenso. Pensiamo di esserci riusciti. Ecco perché possiamo dirvelo, guardandovi negli occhi. Il livello dei vostri commenti all’osceno incancrenimento del sistema penitenziario siciliano da noi denunciato è scarso di quantità e spesso non corretto nella forma. In altre occasioni - nella politica - ruggite e vi scornate con audacia e qualità. Il carcere non vi interessa. Invece, anche quella è vita e va abbracciata con le sue stimmate. È vita di povera gente, è vita di innocenti (sì) e colpevoli, è vita di piccolissimi pesci e di grandi fetidi squali. Noi partiamo da una certezza: il carcere non può essere tortura per nessuno di loro, nemmeno per il più abbietto. Altrimenti, intendiamo che sia tortura, inferno, dissoluzione continua? Benissimo, però non basta la volontà. È necessario in aggiunta il coraggio di scriverlo sulla carta della legge: la galera è vendetta. Fino quando quelle parole non saranno marchiate a fuoco, Live Sicilia continuerà a indignarsi e a denunciare. E speriamo di avervi al nostro fianco, con noi, con la nostra stessa rabbia. Questa battaglia vale più di un rimpasto. E non possiamo perderla. Udine: detenuto in coma profondo dopo tentativo suicidio, si pensa a espianto organi di Luana De Francisco Messaggero Veneto, 8 agosto 2010 Ramon Berloso, il serial killer reo confesso dell’omicidio di due escort che, mercoledì notte, ha tentato di uccidersi, impiccandosi in carcere, è in coma profondo. Le sue condizioni si sono aggravate nella mattinata di ieri, quando i medici della Clinica di Anestesia e rianimazione hanno avviato le procedure di risveglio pilotato del paziente dal coma farmacologico, nel quale era stato tenuto fin dal suo arrivo in ospedale. Invece di riprendere coscienza, attraverso la graduale sospensione della somministrazione farmacologica, l’uomo ha manifestato i sintomi dell’ipossia, cioè di un ridotto apporto di ossigeno al cervello, evidenziando un quadro clinico già gravemente compromesso dal soffocamento che si era procurato in carcere. Dove, a pochi minuti dalla mezzanotte di mercoledì, approfittando del cambio della guardia degli agenti incaricati di piantonarlo nella cella d’isolamento nella quale è rinchiuso dal 20 luglio, aveva arrotolato e passato sul cardine della finestra un lenzuolo, vi aveva infilato la testa e si era lasciato cadere nel vuoto. Pochi secondi appena e l’agente, accortosi del gesto, aveva aperto la cella e liberato il detenuto dal cappio. I sanitari del 118 giunti sul posto di lì a poco avevano fatto il resto, stabilizzando il paziente e trasportandolo poi in ospedale. Pochi secondi, dunque, ma evidentemente sufficienti a causare al 35enne goriziano lesioni così gravi, da metterne in seria discussione le possibilità di sopravvivenza. Da qui, la decisione di sottopporlo a un’ulteriore Tac. Esame che, in effetti, nel pomeriggio di ieri ha evidenziato la presenza un edema cerebrale molto diffuso. Da qui, la decisione di mantenere la prognosi riservata, ma anche di procedere, in serata, con un elettroencefalogramma, l’esame che registra l’attività elettrica del cervello e attraverso il quale i medici contavano, quindi, di misurare la gravità delle alterazioni riportate dal paziente. Esame che, invece, alla fine non è stato eseguito, rinviato forse di qualche ora. Privato ormai del supporto farmacologico, Berloso è piombato così in uno stato di coma profondo. “Vivo - ha riferito il procuratore aggiunto, Raffaele Tito -, ma in una situazione considerata drammatica”. Situazione della quale la madre Gloria, con la quale da oltre un anno Ramon si era trasferito a vivere, nella casa di Aiello, è stata tenuta costantemente informata dai medici che, al “Santa Maria della Misericordia”, si stanno occupando di Berloso. In stretto contatto anche il difensore dell’indagato, avvocato Roberto Mete, che fino all’altro giorno si era recato in carcere per incontrarlo. Ieri, intanto, la Procura ha fatto luce anche sull’ultima delle tre lettere scritte da Berloso prima di impiccarsi e trovate nella cella, in fondo al letto, in una busta contenente gli atti del processo. Era quella scritta in portoghese e indirizzata all’amica brasiliana che, forse, avrebbe voluto raggiungere quando, braccato da polizia e carabinieri, aveva tentato la fuga verso Milano. “L’abbiamo tradotta - ha detto Tito - ma come le altre due (una rivolta alla figlia di 6 anni, l’altra alla madre, ndr) - non conteneva messaggi tali, da far sospettare propositi suicidi”. Il direttore del carcere: i controlli sono continui, l’agente è intervenuto subito “Sono anni che, a Udine, non succedeva qualcosa del genere. O almeno, non di così grave. Certo, i detenuti che si fanno qualche taglietto con la lametta li abbiamo anche noi, ma casi di autolesionismo così estremo non ne capitavano da tempo”. Il giorno dopo il tentato suicidio di Ramon Berloso, il direttore della casa circondariale di via Spalato, Francesco Macrì, si dice sorpreso di quanto avvenuto. Anche perché, nella cella d’isolamento nella quale era stato rinchiuso il 20 luglio, il 35enne goriziano reo confesso dell’omicidio di due escort era tenuto sotto stretto controllo. “Ventiquattro ore su ventiquattro - afferma Macrì. E la prova sta nel fatto stesso che l’agente incaricato di controllarlo si è accorto subito di ciò che aveva fatto. In caso contrario, Berloso sarebbe morto subito”. Né, fino a quel momento, il detenuto aveva mostrato segni d’insofferenza. “Nessun comportamento anomalo - conferma il direttore -. E le uniche persone che ha incontrato sono stati l’avvocato, gli inquirenti e i magistrati. La madre, che aveva da poco ottenuto l’autorizzazione a fargli visita, non ha fatto in tempo a vederlo”. Oltre a essere costantemente osservato attraverso le sbarre e lo spioncino dagli agenti della Polizia penitenziaria, Berloso aveva a propria disposizione un numero assai ristretto di oggetti: pochi abiti e qualche effetto personale, le carte relative al suo arresto e quel che serve per la toilette (la cella è dotata di bagno). “Tutti oggetti di plastica - si affretta a precisare Macrì -, così come i piatti e le posate adoperate per mangiare. L’unica cosa con cui avrebbe potuto attentare alla propria vita erano proprio le lenzuola”. Napoli: a Secondigliano stoccaggio e recupero di rifiuti speciali non pericolosi Apcom, 8 agosto 2010 Una piattaforma di stoccaggio e recupero di rifiuti speciali non pericolosi all’interno del carcere di Secondigliano, allo scopo “non solo di permettere il completo riciclaggio dei rifiuti prodotti all’interno della struttura penitenziaria che lo ospita, ma anche poter apportare un benefico contributo al territorio campano circostante ricevendo analoghi rifiuti dalle piattaforme di stoccaggio e dalle isole ecologiche limitrofe”. L’impianto, che è stato autorizzato dalla Provincia di Napoli, sarà presentato il prossimo 12 agosto. A gestire il tutto c’è una cooperativa sociale, la Secondigliano recuperi, formata anche da detenuti. All’interno del penitenziario sarà possibile trattare - si spiega in una nota - rifiuti di carta, cartone e cartoncino; plastica e imballaggi; ferro, acciaio, ghisa; metalli non ferrosi e loro leghe; paraurti e plance di auto in materie plastiche; scarti di legno e sughero; pneumatici fuori uso, camere d’aria. Ai detenuti che partecipano all’iniziativa è garantito un lavoro stabile e duraturo, regolarmente retribuito. Inoltre viene favorito un futuro reinserimento nel mondo del lavoro ‘esternò, una volta terminata la pena, grazie alle conoscenze ed all’esperienza maturata sul campo. Modica (Rg): agente penitenziario si risveglia dal coma, aveva tentato il suicidio La Sicilia, 8 agosto 2010 Si è risvegliato dal coma farmacologico l’assistente capo di polizia penitenziaria che, nei giorni scorsi, aveva tentato il suicidio nella propria abitazione di Modica. L’uomo, in servizio presso la casa circondariale catanese di piazza Lanza, da qualche mese era distaccato presso la casa circondariale di Ragusa. A rendere noto l’episodio il segretario generale provinciale della Fns-Cisl. “Esprimiamo solidarietà al collega e ai familiari - sostiene Carrieri - ritenendo che l’estremo tentativo posto in essere costituisce l’emblema di uno stato di malessere generale che da tanto, da troppo tempo orami, affligge i poliziotti penitenziari. Numerose sono state le denunce esposte dalle organizzazioni sindacali agli organi superiori circa l’intero sistema penitenziario giunto ormai al collasso, in un clima da bollino rosso”. Il sindacalista esprime la massima preoccupazione per una situazione che rischia di ripetersi in altre realtà anche se con modalità analoghe. “Il personale di polizia penitenziaria in servizio negli istituti penitenziari della Repubblica - afferma ancora Carrieri - è costretto ad operare in condizioni abnormi ed al limite della sopportazione, ove spesso inesistenti sono i livelli di sicurezza. il sovraffollamento della popolazione detenuta, il decremento del personale di Polizia penitenziaria, il taglio delle risorse assegnate a missioni, straordinari che oltretutto vengono assicurati su base obbligatoria, beni e servizi, il mancato rinnovo del contratto oramai scaduto da due anni, costituiscono enorme disagio ai poliziotti penitenziari che operano negli istituti e nei nuclei operativi traduzioni e piantonamenti. Tuttavia, il nostro rammarico cresce poiché, nonostante i numerosi incontri delle organizzazioni sindacali, tra cui la Cisl Fns, con i superiori uffici regionale e nazionali, non hanno mai prodotto delle aspettative positive per i poliziotti, poiché tutte le nostre denunce sono rimaste inascoltate e dunque inevase. Il tentativo del collega di farla finita è dunque l’epilogo negativo di un poliziotto, che oltretutto è anche una persona, che non ha mai avuto riscontro nelle numerose istanze di ricongiungimento al proprio nucleo familiare. Nella fattispecie, il collega, peraltro primo nella graduatoria nazionale dei trasferimenti per Ragusa, non era stato accontentato”. Brescia: detenuti e volontari insieme per pulire le “cattive strade” Brescia Oggi, 8 agosto 2010 Al via da settembre il progetto approvato nei giorni scorsi all’unanimità dalla giunta comunale. Fino a 12 ospiti di Verziano e Canton Mombello in campo per attività di prevenzione della protezione civile. Detenuti e volontari fianco a fianco tra rovi, cespugli e torrenti per dare vita al progetto “Ripuliamo le cattive strade”. Ospiti di Canton Mombello e del carcere di Verziano lasceranno per qualche ora le loro celle per collaborare con alcune associazioni nelle attività di prevenzione della protezione civile e svolgere quindi un’attività a favore dell’intera collettività. Il Progetto, approvato nei giorni scorsi dalla giunta comunale, con voto unanime degli assessori, è unico nel suo genere. “È un progetto particolarmente innovativo - commenta Carlo Alberto Romano, presidente dell’associazione Carcere & territorio che ha proposto la sperimentazione - e sono molto soddisfatto per l’approvazione. Per il risultato ottenuto sono assolutamente da ringraziare l’assessore alla Sicurezza Fabio Rolfi e Giandomenico Brambilla, il direttore responsabile del Settore sicurezza urbana e protezione civile del Comune e le associazioni che hanno dato la loro disponibilità a questa innovativa forma di collaborazione”. “Ripuliamo le cattive strade” debutterà a settembre, i lavori dovrebbero cominciare non appena finirà il periodo di ferie. In sostanza fino a dodici detenuti, ospiti a Canton Mombello o nel carcere di Verziano, potranno affiancare i volontari di alcune associazioni di volontariato nelle attività di prevenzione di protezione civile. I volontari sono già rodati nell’attività di controllo, prevenzione e intervento e volentieri metteranno le loro competenze a disposizione delle persone che mirano a un reinserimento lavorativo. I detenuti che potranno partecipare al progetto dovranno avere determinati requisiti e sarà necessario, ovviamente, il parere positivo del magistrato di sorveglianza, che valuterò ogni singolo caso. Un’opportunità importante per chi è detenuto e, con le condizioni di vita che ci sono nel sovraffollato carcere di Canton Mombello, un’occasione che non si presenta quotidianamente, dato che le possibilità di lavorare e impegnarsi sono decisamente scarse. In prevalenza verranno effettuati lavori di pulizia per prevenire problemi ambientali, dissesti idrogeologici e incendi boschivi. I detenuti collaboreranno con i volontari del gruppo Val Carobbio per attività di sorveglianza e di pulizia del torrente Val Carobbio e dei sentieri numero 1 e numero 2 del parco delle Colline. Con i volontari dell’associazione nazionale Alpini sezione di Brescia i detenuti dei carceri cittadini prenderanno parte alla pulizia e alla manutenzione degli argini dei fiumi Mella e Garza nei tratti che si snodano sul territorio comunale. In collaborazione con i volontari dell’associazione di protezione civile Gruppo volontari protezione civile Oltremella i detenuti svolgeranno attività di monitoraggio del territorio di competenza del sodalizio. E, infine, impegno dei detenuti anche insieme ai volontari del Centro operativo difesa ambiente (Coda) per attività di sorveglianza e pulizia dei sentieri del parco delle Colline. Per finanziare il progetto il Comune ha messo a disposizione la somma di 28.900 euro Ripuliamo le cattive strade parte a breve: un’occasione d’oro per i detenuti, un aiuto per i volontari e un bene per tutta la comunità. Livorno: sindaco candida Marco Solimano (ex Prima Linea) a Garante dei detenuti Ansa, 8 agosto 2010 Il sindaco di Livorno, Alessandro Cosimi, ha presentato alla conferenza dei capigruppo la candidatura di Marco Solimano a garante dei detenuti dei penitenziari di Livorno e Gorgona. Il centrodestra si è detto contrario ad attribuire l’incarico a Solimano, da anni operatore sociale, presidente dell’Arci di Livorno, ma con un passato di militante di Prima Linea, negli anni Settanta. “La discussione - ha commentato il sindaco - è stata più serena di quella delle scorse settimane. Da parte nostra abbiamo ascoltato e discusso con grande rispetto le posizioni di tutti”. Il nome di Solimano è stato al centro di una polemica politica sollevata dai consiglieri comunali del Pdl (poi querelati da Solimano) e seguita da un intervento dell’Associazione italiana vittime del terrorismo e da un’interpellanza dei senatori del Pdl Franco Mugnai e Paolo Amato. In una nota, il Comune ricorda che Solimano, 58 anni, “da oltre 20 anni è operatore per le marginalità sociali. È da 11 anni presidente dell’Arci a Livorno, è stato consigliere Ds e Pd per dieci anni e gli è stato affidato per 6 anni il compito di assistente volontario alle Sughere. Coordina i progetti di Arci alle Sughere”. Bolzano: le opere degli ex detenuti in mostra fino al 20 agosto Alto Adige, 8 agosto 2010 Il legame tra la cultura e il sociale è molto stretto, come dimostra l’esposizione “Essere e tempo. Riflessioni su un tempo in-sospeso” organizzata dal Progetto Odòs, una casa di accoglienza per detenuti ed ex detenuti, nel foyer del Comune di Bolzano e inaugurata ieri mattina. “La persona nella sua totalità non ha solo bisogni materiali - spiega Pio Fontana, direttore della Caritas diocesana e presidente della Fondazione Odar - ma ha anche la necessità di comunicare, di esprimere quello che ha dentro”. La mostra, è stata realizzata dagli ospiti di Odòs (“che in greco significa “percorso”, del quale questa mostra è solo una delle tappe”, osserva Heiner Schweigkofler della Caritas) nel laboratorio della casa: unisce orologi, quadri e riflessioni sulla vita in carcere in un ideale percorso dal buio dell’ingresso in cella alla luce della fine del periodo di detenzione. “Per questo i primi orologi esposti sono fermi - sottolinea Alessandro Pedrotti, responsabile di Odòs - non perché siano rotti ma perché, soprattutto agli inizi della reclusione, il tempo in carcere è fermo, non passa mai”. Presenti all’inaugurazione anche il sindaco e gli assessori Trincanato e Randi. La mostra rimarrà aperta sino al 20 agosto. Messina: con l’Associazione Crivop Onlus cineforum 2010 nel carcere di Mistretta Comunicato stampa, 8 agosto 2010 Nel mese di agosto, le attività di volontariato dentro il carcere hanno un fermo per le ferie estive dei vari operatori; noi della Crivop Onlus desideriamo in questo periodo, dare un sostegno a quei detenuti che non realizzando attività, spesso, cadono in depressione e sconforto e, nello stesso tempo aspiriamo a dare un supporto agli agenti che per il calo del personale si ritrovano a dover reggere un peso gravoso per gli stati d’animo. Il progetto che porteremo avanti nella Casa Circondariale di Mistretta (Me) per tutto l’arco del mese, denominato “Onesimo 1”, consiste in un cineforum con proiezione di film settimanalmente, già selezionati e presentati in altre strutture penitenziarie italiane, con durata complessiva di circa tre ore per ogni sezione compreso il commento. Da questi film desideriamo trarre degli insegnamenti morali, sociali; lo scopo è quello di trasmettere un messaggio per sollevare, edificare e ricreare condizioni di vita morali totalmente rinnovate”. Il Presidente della Crivop Onlus Michele Recupero Iran: appello dei principali leader dell’opposizione ai 17 detenuti in sciopero della fame Ansa, 8 agosto 2010 I due principali leader dell’opposizione iraniana, Mir Hossein Mussavi e Mehdi Karrubi, hanno rivolto un appello a 17 prigionieri politici in sciopero della fame da 13 giorni nel carcere di Evin, a Teheran, perché mettano fine alla loro protesta e hanno chiesto alle autorità carcerarie di ‘rispettare i loro diritti. Lo riferiscono i siti dell’opposizione. Intanto il principale partito riformista, Mosharekat, ha rivolto un appello alla popolazione perché oggi manifesti la sua solidarietà con un digiuno simbolico. “Non possiamo fare niente per mettere fine alle loro sofferenze, ma almeno possiamo mostrare il nostro sostegno”, si legge nella nota, diffusa sul sito Kaleme. I siti dell’opposizione riferiscono che i 17 detenuti, tra i quali diversi giornalisti e leader del movimento studentesco, hanno cominciato lo sciopero della fame dopo un parapiglia avvenuto con le guardie carcerarie provocato dal trattamento riservato ai familiari dei prigionieri durante una visita. Secondo Kaleme, tre dei detenuti, il leader studentesco Majid Tavakoli e i giornalisti Bahman Amui e Keyvan Samimi, hanno cominciato anche lo sciopero della sete. Nel suo messaggio, Karrubi denuncia “il trattamento umiliante per abbattere il morale dei prigionieri politici che è stato usato nell’ultimo anno”, da quando cioè migliaia di persone furono arrestate per le proteste scoppiate dopo la rielezione alla presidenza di Mahmud Ahmadinejad. In occasione della giornata nazionale del giornalista, che si celebra oggi in Iran, Karrubi sottolinea inoltre che “secondo le statistiche internazionali, l’Iran è diventato il primo Paese per gli arresti e la repressione dei giornalisti”. Iran: impiccati cinque detenuti, condannati a morte per traffico di droga Apcom, 8 agosto 2010 Cinque uomini condannati a morte per traffico di droga sono stati giustiziati per impiccagione in un carcere della città di Ahvaz (sud-ovest). Lo ha riportato l’agenzia di stampa Fars. L’agenzia si è limitata a identificare i cinque uomini fornendo le loro iniziali senza fornire precisazioni sui capi di imputazione nei loro confronti. Sale così ad almeno 102 il numero delle persone giustiziate in Iran dall’inizio dell’anno, secondo un bilancio stilato in base alle notizie pubblicata dalla stampa locale. Nel 2009, ci sono state almeno 270 esecuzioni in Iran. In materia di diritto comune, l’omicidio, la violenza sessuale, la rapina a mano armata, il traffico di droga e l’adulterio sono passibili della pena di morte in Iran, dove le autorità ritengono che una rigorosa applicazione della legge sia indispensabile per la tutela dell’ordine pubblico.