Giustizia: “mettete una branda in più in ogni cella”, il vero e unico piano carceri è iniziato di Massimo Numa La Stampa, 7 agosto 2010 Ferragosto, tempo di tutto esaurito. Anche nelle carceri. Ma il provveditore regionale Vito Fabozzi non s’è perso d’animo. A Ivrea, dove l’istituto di pena ha da tempo superato i limiti della capienza, una soluzione s’è trovata: una branda in più in ogni cella. Va bene, i reclusi dovranno rinunciare al tavolino e a quel poco spazio ancora disponibile, ma pazienza. La legge europea prevede che ogni detenuto dovrebbe avere a disposizione almeno 7 metri quadrati, mentre in Italia, e pure nelle carceri piemontesi, lo spazio s’è ridotto a 3 o a 4. In alcune celle i detenuti possono alzarsi solo a turno, e le condizioni igienico-sanitarie, sia per i prigionieri che per la polizia penitenziaria le cui risorse sono ormai ridotte al lumicino, hanno ormai superato il livello di guardia. Ma torniamo a Ivrea. Scrive il provveditore, con lettera protocollata del 2 agosto, nella sua prosa molto tecnica ma del tutto chiara, anche ai non addetti ai lavori: “Con riferimento alla precorsa corrispondenza, considerato che gli occupanti della sezione in parola godranno di un maggior numero di ore di permanenza all’esterno della camera detentiva, si conferma la necessità di installazione del terzo letto, escludendo soluzioni che prevedono castelli a tre posti. Pertanto, il terzo letto dovrà essere posizionato nella parete opposta ai castelli due posti, previo smontaggio del tavolino pensile e collocazione di un tavolino su gambe in altro posto. Data l’apertura della finestra, la postura prevista per l’occupante del terzo letto, sarà quella contraria rispetto alla tradizionale. Si resta in attesa di riscontri al riguardo...”. Il segretario regionale Osapp, Gerardo Romano spiega che “non è tanto il piano ad essere sbagliato, anche se i detenuti saranno costretti a vivere in una specie di labirinto, ma è la politica generale dello Stato che non funziona più. La questione della “postura” del detenuto può anche far sorridere, ma la gestione delle carcere senza mezzi, senza risorse, senza prospettiva è già di per se una fonte di disequilibrio sociale. Non è con il terzo letto che si risolve il problema dell’affollamento”. Parole dure. E la tensione i pericoli per gli agenti della polizia carceraria, aumentano con il trascorrere nei mesi. Con una lettera del 27 luglio, inviata a tutti i direttori delle carceri del Piemonte, viene sollevato il problema delle misure anti-evasione, dopo le recenti e clamorose fughe di detenuti, avvenute negli ultimi giorni. Scrive tra l’altro Fabozzi: “Nella quasi totalità dei casi i tentativi avvengono dalla cinta muraria... il muro di cinta non è presidiato in modo stabile e tale situazione può indurre i detenuti che avessero in animo di mettere in atto un progetto di evasione ad utilizzare la via del muro di cinta, identificato quale “punto debole” del sistema di sicurezza. Si è consapevoli dell’impossibilità... di garantire la sorveglianza continua e completa in tutti i presidi e pertanto è necessario operare alcune scelte...”. Quali? “I direttori dovranno garantire, al di là della predisposizione della vigilanza armata, lungo il muro di cinta, un’autopattuglia radio formata da 2 unità, ben visibile sia ai de- tenuti che ad eventuali fiancheggiatori esterni. Detta autopattuglia opererà con il lampeggiante acceso ed effettuerà anche una ricognizione all’esterno di detto perimetro...”. Giustizia: solo con un’attenzione costante è possibile tutelare la dignità dei detenuti di Adriana Tocco (Garante dei diritti dei detenuti della Campania) La Repubblica, 7 agosto 2010 Denunce sempre più frequenti e allarmate sulla situazione carceraria italiana e campana si sono succedute in questi giorni. L’ultima scoperta nel corso di una mia visita ad alcuni detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere è stata quella della mancanza dell’acqua durante il giorno. Il che mi ha indotto a chiedere al sindaco del Comune come intenda risolvere questa situazione paradossale che coinvolge 1.700 persone tra detenuti e operatori. Fortunatamente non tutte le notizie sono cattive: il detenuto che da otto mesi aspettava l’intervento è entrato in ospedale, merito delle denunce fatte e dell’intervento del Provveditorato all’amministrazione penitenziaria. Un esempio dunque di fattiva collaborazione istituzionale. Una goccia come ho detto altre volte, ma una goccia che fa ben sperare nella velocizzazione degli interventi sanitari. Ed è certamente positiva la risposta del Consiglio regionale nel suo complesso alle denunce. Infatti il convegno tenutosi il 15 luglio dal Forum della salute, l’audizione promossa il 27 luglio dal presidente della commissione contro il mobbing e le discriminazioni, la conferenza stampa del 28 luglio organizzata dall’ufficio del Garante, sono state preziose occasioni di riflessione e di confronto con gli esponenti del nuovo Consiglio, sia di maggioranza che di opposizione, e in particolare con i presidenti e vicepresidenti delle commissioni mobbing e sanità. Ne sono scaturite significative proposte, come lo studio di fattibilità di strutture ospedaliere a Poggioreale e a Secondigliano, l’incontro con i parlamentari campani da farsi a settembre per promuovere interventi legislativi sull’annosa e sempre irrisolta questione dei tossicodipendenti, e ancora la creazione di un osservatorio permanente costituito da consiglieri di tutti i gruppi parlamentari che non solo ascolti le denunce e le proposte dell’ufficio del Garante e delle associazioni, ma le faccia anche seguire da concreti interventi. Fra le cose già fatte ha destato attenzione la pubblicazione della guida multilingue per i detenuti, la sperimentazione degli sportelli di consulenza giuridica, psicologica e di mediazione culturale presso alcuni istituti penitenziari, e l’intervento di messa a norma dei laboratori in tutte le carceri che favorirà l’inserimento lavorativo dei detenuti. Sono, come si vede, proposte operative e fatti concreti, ed è con piacere che osservo che tali proposte sono condivise dalle associazioni impegnate in attività a sostegno dei detenuti e riprese con favore dal presidente del Consiglio, Paolo Romano, come apparso recentemente su questo giornale. L’impegno del presidente che fa esplicito riferimento a tutto il Consiglio è un appello alla trasversalità politica, indispensabile di fronte a condizione di vita così disperanti del mondo della reclusione, ed è un elemento di alta garanzia. I cittadini che devono pagare, come è giusto, il loro debito alla società con la privazione della libertà non possono però essere colpiti nei diritti fondamentali. Che il nuovo Consiglio si impegni a rispettare la dignità umana dei detenuti è motivo di speranza per quanti fra noi hanno fiducia nella convivenza democratica. Giustizia: Sappe; nei penitenziari le tensioni hanno raggiunto livelli preoccupanti Adnkronos, 7 agosto 2010 “È del tutto evidente che la crescente tensione nelle carceri italiane sta raggiungendo limiti preoccupanti”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), la prima e più rappresentativa organizzazione di categoria, che si dice anche ancora un volta molto preoccupato per quanto avvenuto nelle ultime ore in alcuni penitenziari del Paese “Nonostante la dichiarazione d’emergenza del 13 gennaio scorso del Governo però - prosegue Capece - stentano a vedersi interventi concreti per ridurre il pesante sovraffollamento e la violenza in carcere è sempre all’ordine del giorno. Solo nella giornata di ieri 4 agenti di Polizia penitenziaria hanno rischiato la vita nel carcere di Genova Marassi per un principio di incendio provocato da un detenuto straniero, altri colleghi sono stati aggrediti a Messina mentre questa notte un detenuto tunisino si è suicidato, a Brindisi”. “È del tutto evidente - spiega ancora Capece - quali e quanti siano le criticità del sistema. Eppure si continua ad ignorare, a più di sei mesi dalla dichiarazione dello stato d’emergenza per la questione penitenziaria, che le carceri stanno per esplodere, con quasi 69mila detenuti presenti. Si continua a voler ignorare che 172 istituti penitenziari italiani su 204, pari all’84,31%, superano la capienza regolamentare. E che 103 istituti su 204, pari al 50,49%, superano la capienza tollerabile”. “La mancata previsione ed approvazione di interventi strutturali sull’esecuzione della pena e sul sistema penitenziario nazionale - conclude Capece - hanno nuovamente portato gli istituti di pena del Paese in piena emergenza, lasciando soli a loro stessi gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria che conta carenze quantificabili in 6mila unità. E intanto il più volte annunciato piano carceri non vede luce e le annunciate assunzioni di 2mila nuovi agenti restano solamente una dichiarazione d’intenti”. Giustizia: Osapp; la politica si disinteressa delle carceri, agenti si sentono impotenti e soli Agi, 7 agosto 2010 “Mai così in basso”. Così Leo Beneduci, segretario del sindacato di Polizia Penitenziaria Osapp commenta la notizia del 40esimo suicidio di un detenuto nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno. “I poliziotti penitenziari - spiega Beneduci - si sentono impotenti e soli rispetto agli eventi che si consumano davanti ai loro occhi. Non possiamo non attribuire le responsabilità almeno morali, di quanto accade ai detenuti e a noi ogni giorno e sempre più spesso nelle carceri italiane, al concreto disinteresse della politica ed in particolare del ministro Alfano: infatti, se per le duemila unità aggiuntive per la polizia penitenziaria il Guardasigilli, oltre che preannunciarle in ogni occasione da oltre un anno, ne avesse anche disposto l’assunzione, negli istituti, forse, ci sarebbe stato qualche suicidio di meno e i colleghi non impazzirebbero ogni giorno per coprire gli infiniti posti di servizio, per tornare a casa dopo i turni in orari decenti o per avere riposi e ferie”. Anche per Donato Capece, leader del sindacato Sappe, “si continua ad ignorare, a più di sei mesi dalla dichiarazione dello stato d’emergenza per la questione penitenziaria, che le carceri stanno per esplodere, con quasi 69mila detenuti presenti. Si continua a voler ignorare che 172 istituti penitenziari italiani su 204, pari all’84,31%, superano la capienza regolamentare. E che 103 istituti su 204, pari al 50,49%, superano la capienza tollerabile. La mancata previsione ed approvazione di interventi strutturali sull’esecuzione della pena e sul sistema penitenziario nazionale hanno nuovamente portato gli istituti di pena del Paese in piena emergenza - conclude Capece - lasciando soli a loro stessi gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria che conta carenze quantificabili in 6mila unità“. Lettere: l’Ugl scrive ad Alfano; assumere 45 educatori per sostituire quelli rinunciatari Comunicato stampa, 7 agosto 2010 Questa O.S. ha già avuto modo di rappresentare quanto ritenga assolutamente indispensabile operare delle cospicue immissioni di personale all’interno della realtà penitenziaria, afflitta da un sovraffollamento di detenuti senza precedenti. In particolare, assume carattere di priorità assoluta a parere di chi scrive, stante anche il costo zero dell’operazione, l’assunzione di 45 idonei del concorso per educatori penitenziari di cui all’oggetto, che andrebbero a sostituire il pari numero di vincitori rinunciatari: in questo modo, si andrebbe a completare il numero di assunzioni previste dal concorso (397 unità). Tale soluzione appare oltremodo urgente alla luce di quella che è stata giustamente battezzata come emergenza carceri, una vera e propria bomba ad alto potenziale che solo la grande abnegazione e lo straordinario senso del dovere del personale, civile e di polizia, che vi presta servizio, ha finora evitato di far esplodere. Ma crediamo fermamente che la corda non si possa tirare troppo, e che soltanto con nuove assunzioni di personale di polizia penitenziaria, di funzionari educatori, di assistenti sociali, di psicologi, si potrà fronteggiare la difficilissima situazione attuale, insieme con la realizzazione di nuove strutture. Confidiamo nella sensibilità delle SS. LL. e chiediamo intanto, in via prioritaria assoluta, l’assunzione dei 45 idonei al concorso di educatori, in attesa di ulteriori e cospicue nuove assunzioni relative a tutte le figure penitenziarie. Si ringrazia per l’attenzione e si resta in attesa di conoscere le determinazioni delle SS. LL. Il Segretario Nazionale Paola Saraceni Liguria: finanziamento di 200mila euro per dare avvio a progetti sperimentali in carcere Agi, 7 agosto 2010 “Di fronte all’ennesimo episodio avvenuto ieri nel carcere di Marassi di Genova, dove un detenuto ha dato fuoco ad un materasso, a testimonianza delle difficili condizioni della comunità penitenziaria, esprimiamo la nostra solidarietà al personale di polizia penitenziaria, oltre alla preoccupazione per le condizioni di sovraffollamenti delle carceri, e manifestiamo la disponibilità della Regione ad sostenere progetti sperimentali legati al carcere”. Così si sono espressi oggi gli assessori regionali alle politiche sociali Lorena Rambaudi e al Bilancio e al patrimonio Pippo Rossetti che hanno annunciato la loro adesione all’iniziativa “Ferragosto in carcere”, promossa da deputati, senatori e consiglieri regionali di tutti gli schieramenti che nelle giornate del 14, 15 e 16 agosto visiteranno gli Istituti penitenziari. “Siamo molto preoccupati - ha detto Rambaudi e Rossetti - per la carenza di personale di polizia penitenziaria in Liguria, pari a circa 400 unità in meno, che mette a rischio a livelli di sicurezza e determina fatti come quello accaduto ieri a Marassi. A questo proposito la Regione ha intenzione di lavorare, sia sul versante del sostegno sociale, sia su quello della formazione professionale. A settembre - sostengono Rambaudi e Rossetti - come Regione vogliamo dare il via ad una rete istituzionale sul tema delle carceri per affrontare insieme a tutti gli Enti una serie di tematiche legate agli istituti penitenziari della Liguria e, grazie ad un finanziamento di 200mila euro, dare avvio a progetti sperimentali a valenza regionale”. Liguria: Sappe; agente aggredito da un detenuto, situazione ben oltre limite della tolleranza Secolo XIX, 7 agosto 2010 Questa la cronaca dell’episodio di violenza raccontata da Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria - Sappe: “Nella tarda serata di ieri, un detenuto marocchino di 22 anni, malato di Hiv e che nei giorni scorsi si era già reso protagonista di analoghi gravi episodi, ha dato fuoco al materasso nella sua cella al primo piano della IV Sezione, con grave rischio per tutta la struttura detentiva. La situazione è ben oltre il limite della tolleranza. Ora basta davvero: la misura è colma! Vogliamo per prima cosa esprimere la nostra solidarietà ai colleghi in servizio, 4 dei quali sono dovuti ricorrere alle cure dei sanitari per il rischio soffocamento, che hanno impedito che il fuoco ed il fumo sprigionatisi potessero provocare gravi conseguenze nel carcere di Genova Marassi. Ed è grave che ad aver fatto questo sia stato lo stesso detenuto straniero protagonista di un analogo episodio pochi giorni fa. È davvero troppo. Cosa pensano di fare le istituzioni per tutelare gli agenti di Marassi? Di cos’altro hanno bisogno per intervenire? La carenza di personale di Polizia Penitenziaria a Marassi - oltre 150 Agenti in meno negli organici! -, il pesante sovraffollamento (quasi 800 detenuti presenti a Marassi - circa il 60% gli stranieri - rispetto ai 450 posti letto regolamentari, con le conseguenti ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate oltre ogni limite) sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi. Spesso, come a Genova Marassi, il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Le tensioni in carcere crescono in maniera rapida e preoccupante: bisogna intervenire tempestivamente per garantire adeguata sicurezza agli Agenti e alle strutture! Perché ad esempio non si mandano i detenuti stranieri a scontare la pena nelle galere del Paese di provenienza, modificando anche l’attuale legislazione che prevede il paradosso del consenso delle persone interessate? Per ora ci sembra che le Autorità amministrative ma anche quelle politiche si fanno scudo della drammatica situazione penitenziaria attraverso il senso di responsabilità del Corpo di Polizia Penitenziaria; ma queste sono condizioni di logoramento che perdurano da mesi e continueranno a pesare sulle 39 mila persone in divisa per molti mesi ancora se non la si smette di nascondere la testa sotto la sabbia. Quanto si pensa - conclude Martinelli - possano resistere gli uomini e donne della Polizia Penitenziaria che sono costrette a trascurare le proprie famiglie per garantire turni massacranti con straordinari nemmeno pagati? Quanto stress psico-fisico si pensa possa sopportare una persona in divisa costretta a convivere con situazioni sanitarie da terzo Mondo, esposta a malattie infettive che si ritenevano ormai debellate in Italia, ma che sono largamente diffuse in carcere, attenta a scongiurare suicidi, a schivare ma spesso anche a subire violente aggressioni da parte dei detenuti?”. Frosinone: un detenuto malato di hiv muore per infarto; il defibrillatore non funzionava Dire, 7 agosto 2010 Il settimo detenuto morto, nel 2010, negli istituti del Lazio. L’ultimo caso è successo ieri pomeriggio, un decesso per arresto cardiaco nella cella della sezione per tossicodipendenti del carcere di Frosinone. La notizia del settimo decesso in un carcere della regione nel 2010 (di cui due per suicidio) è stata diffusa dal Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni. La vittima si chiamava Mauro M.. “È il secondo decesso per malattia che si verifica, dall’inizio dell’anno, a Frosinone - si legge nella nota del garante. Il 20 maggio scorso era morto per un attacco di cuore, fra le braccia del fratello con cui divideva la cella, un uomo di 32 anni. Lo scorso 28 luglio, invece, gli agenti di polizia penitenziaria e i detenuti avevano salvato un recluso romeno che aveva tentato di suicidarsi”. Secondo i collaboratori del Garante la vittima, di cui ancora non è stata resa nota l’età, “era tossicodipendente, malato di Hiv ed epatite ed era sottoposto a terapia psichiatrica”. Il suo corpo senza vita è stato scoperto intorno alle 17 di giovedì pomeriggio. La causa del decesso, secondo le autorità sanitarie del carcere, sarebbe un arresto cardio-circolatorio. L’infermeria dell’Istituto di Frosinone è dotata di un defibrillatore semi-automatico. Questo strumento salvavita, a quanto appreso dal Garante, “sarebbe però inutilizzabile perché avrebbe le batterie scariche e le placche scadute”. La notizia della sua morte si è rapidamente diffusa all’interno del carcere ciociaro dove, a fronte di una capienza regolamentare di 325 posti, i ristretti superano le cinquecento unità. “Probabilmente la morte per cause naturali di quest’uomo non farà gridare allo scandalo contro il sovraffollamento e le precarie condizioni di vita nelle carceri italiane - ha detto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - ma per l’ennesima volta invito tutti quanti a chiedersi se fosse davvero il carcere, e non una struttura esterna adeguata, la soluzione migliore per una persona in quelle condizioni di salute”. Aversa (Ce): Antigone; l’internato morto all’Opg aveva malori da tempo Dire, 7 agosto 2010 Trovato morto nel suo letto un uomo di 42 anni, arrestato per aver tagliato più di 30 gomme di auto in sosta e aver aggredito alcune donne. Si attende l’autopsia per capire le cause. Era recluso nell’Opg di Aversa (Ce) da circa un anno, Stefano Crocetti, 42 anni, di Giulianova, arrestato per aver tagliato più di 30 gomme di auto in sosta e aver aggredito alcune donne che passeggiavano. I giudici, dopo una perizia psichiatrica, lo avevano ritenuto incapace di intendere e di volere e socialmente pericoloso, disponendo il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario. Ieri però l’uomo è stato trovato morto nel suo letto, ma non ne si conosce ancora la causa; sarà l’autopsia a fare luce sul decesso avvenuto tra la notte di mercoledì e giovedì. Intanto sulla questione, riportata stamani da “Il centro”, è intervenuta l’associazione Antigone - sezione Campania. “A quanto ci risulta”, ha dichiarato in una nota il portavoce dell’organizzazione, Dario Stefano Dell’Aquila, “l’uomo aveva accusato un malore già in mattinata. Ci risulta anche che solo qualche settimana fa era stato ricoverato in una struttura ospedaliera esterna”. Secondo i dati forniti da Antigone nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa ci sono 302 internati, circa un quinto della popolazione internata in Italia (complessivamente 1.452 internati). “Riteniamo indispensabile”, ha proseguito il portavoce dell’associazione, “che si faccia chiarezza sulle cause e sulle dinamiche di questa morte, anche alla luce di quanto emerso dai rapporti del comitato europeo per la prevenzione della tortura e dall’indagine della commissione parlamentare di inchiesta sulla sanità. Vogliamo ricordare che ora, dopo anni di denunce, non siamo più soli a rilevare lo stato di degrado e abbandono di questi posti. I Nas che hanno accompagnato, l’11 giugno scorso, la commissione parlamentare di inchiesta, presieduta dal senatore Ignazio Marino, a proposito di Aversa hanno segnalato l’assenza di cure specifiche,e la sensazione di completo e disumano abbandono dei degenti e hanno ritenuta tutto le condizioni detentive tali da rendere disumana la permanenza di qualsiasi individuo”. Udine: 35enne si impicca in cella; gravi lesioni cerebrali, è in condizioni disperate Ansa, 7 agosto 2010 Permangono disperate, all’ospedale di Udine, le condizioni di Ramon Berloso, goriziano di 35 anni, reo confesso dell’omicidio di due escort, che ha tentato il suicidio in carcere nella notte tra il 4 e il 5 agosto. Berloso, secondo quanto si è appreso, avrebbe subito gravi lesioni cerebrali dovute alla mancata ossigenazione del cervello nel tentativo di impiccagione nonostante fosse stato subito soccorso dalle guardie carcerarie. I danni neurologici subiti non possono essere ancora quantificati. L’uomo è stato tenuto in coma farmacologico per un giorno, ma nell’avviamento delle procedure di risveglio pilotato sono sopravvenute alcune complicazioni. Berloso è ricoverato nel reparto di rianimazione del reparto di anestesia dell’ospedale friulano. L’uomo era stato arrestato la mattina del 27 luglio a Padova al termine di una gigantesca caccia all’uomo cominciata il giorno prima ad Aiello del Friuli (Udine), paese dove l’uomo viveva insieme alla madre. Berloso ha confessato di aver ucciso due escort - Ilenia Vecchiato di 28 anni di Mestre (Venezia) e la romena Diana Alexiu, 24 anni, di Desenzano del Garda - finendole con un dardo di balestra. I loro corpi sono stati trovati sepolti sotto un ponte tra Campolongo al Torre e Aiello, nella bassa pianura friulana. Palermo: detenuto in coma dopo infarto in cella; la moglie denuncia ritardo nell’assistenza Ansa, 7 agosto 2010 La moglie di un detenuto nel carcere Ucciardone di Palermo, Dino Naso di 41 anni in coma dopo avere avuto un infarto in cella, ha dato mandato all’avvocato Enrico Tignini di presentare querela in Procura nei confronti del penitenziario ipotizzando responsabilità del personale per quanto accaduto al marito. L’uomo doveva scontare due anni per spaccio di droga ed era detenuto dallo scorso gennaio. “Non aveva alcuna patologia, non era un drogato e fino a martedì, all’ultimo colloquio, era sereno”, ha detto a Repubblica di Palermo la moglie, Giovanna Cappello, madre di quattro figli. L’uomo si sarebbe sentito male mercoledì scorso e avrebbe chiesto alle guardie giurate di poter uscire dalla cella, che condivideva con altre otto persone, per il troppo fumo da sigarette. All’improvviso si sarebbe accasciato, un medico ha cercato di rianimarlo, poi è stato trasferito con un ambulanza del 118 nell’ospedale Buccheri La Ferla. Secondo i familiari, il personale del carcere sarebbe intervenuto in ritardo e sostengono che dal trasferimento dal carcere in ospedale sono trascorse due ore. Replica il direttore vicario dell’Ucciardone, Carmen Rosselli: “Abbiamo garantito la massima assistenza, il detenuto era in preda a una crisi respiratoria e ha lasciato la cella con le sue gambe”. Roma: niente Garante per i detenuti; il Consiglio comunale rinvia ogni decisione di Luca Bresci Liberazione, 7 agosto 2010 Il comune di Roma continuerà a non avere un suo Garante dei detenuti nonostante la città ospiti nel suo ampio perimetro diverse migliaia di detenuti e persone prive di libertà in ben 4 istituti di pena, tra case circondariali e case di reclusione maschili e femminili, un carcere minorile, un centro di identificazione ed espulsione oltre a decine di commissariati, stazioni, caserme di polizia e carabinieri, insieme ai sotterranei del Tribunale diventati tristemente famosi dopo il pestaggio mortale inferto a Stefano Cucchi. Tutti luoghi, questi ultimi, nei quali si trovano decine e decine di celle di sicurezza nelle quali vengono quotidianamente rinchiuse centinaia di persone. Il rinvio della decisione è arrivato nell'ultima riunione del consiglio comunale tenuta prima della pausa estiva. All'ordine del giorno la mozione presentata da 10 consiglieri della stessa maggioranza Pdl, tra cui il capogruppo Luca Gramazio, che proponevano il ripristino dell'ufficio del Garante comunale. Alla fine però il consiglio ha deciso di evitare ogni discussione rinviando il voto. La denuncia arriva dall'associazione Papillon-Rebibbia che ricorda come la mozione fosse stata presentata già nella seduta del 7 giugno scorso e che da allora, per ben due mesi, non è mai riuscita ad arrivare in aula fino all'ultima seduta prima delle vacanze. Il comunicato dell'associazione, composta da detenuti ed ex detenuti, ricorda anche l'assurda decisione che portò allo smantellamento dell'ufficio, allora presieduto da Gianfranco Spadaccia il cui lavoro era stato apprezzato da tutte le associazioni impegnate nel volontariato carcerario e sul tema dei diritti delle persone prive di libertà. Dietro il siluramento dell'ufficio comunale, ricorda sempre il comunicato diffuso dalla Papillon, ci fu "uno strampalato accordo tra il Comune, la Provincia e il Garante regionale dei detenuti, Angiolo Maroni". Quest'ultimo, potente cacicco del Lazio, notabile della politica che ha traversato molte delle ere geologiche, sopravvivendo alla Prima repubblica, sembra rappresentare il vero nodo gordiano della vicenda. E' attorno alla sua poltrona, alla fitta rete di relazioni politico-clientelari sapientemente tessute in modo trasversale, che trova spiegazione il sabotaggio dell'ufficio del Garante comunale percepito non come un'interlocutore ma come un'autority rivale che, oltre a togliere visibilità mediatica, poteva mettere il naso sulla destinazione e l'utilizzo concreto delle risorse messe a disposizione dal Comune e dalla Regione. Quella dei Maroni è una vera e propria saga politica familiare che ricorda le satrapie orientali. Non a caso il figlio Umberto, capogruppo del Pd in Consiglio comunale, senza il benché minimo pudore che pure avrebbe dovuto suscitare l'evidente conflitto d'interessi, si è levato contro il ripristino della figura del Garante comunale che avrebbe fatto ombra al pater familias. Già al momento del rinnovo della carica di Garante regionale, la riconferma di Maroni fece molto discutere per l'opposizione dichiarata di associazioni come l'Arci, A buon diritto, Caritas, Antigone, che avevano sostenuto la candidatura di Antonio Marchesi, per molti anni presidente di Amnesty International. La reiterazione di un accordo consociativo tra Pd e Pdl garantì il rinnovo della poltrona all'inossidabile Maroni e alla sua rete clientelare bipartizan. Reggio Emilia: Mov. 5 Stelle in visita a all’Opg; servono azioni ad hoc, la regione si impegni Dire, 7 agosto 2010 “Una struttura con peculiarità e problemi che si sommano a quelli delle semplici carceri e che per questo deve essere seguita con politiche ad hoc”. Così Andrea Defranceschi, capogruppo in regione dei grillini, dopo la visita all’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia. A febbraio la Regione, ricorda Defranceschi in una nota, “ha siglato un accordo con il ministero della Giustizia, in cui si affermava che la struttura di via Settembrini dovesse essere superata perché inadeguata ad accogliere persone che, oltre ad aver commesso il più delle volte gravissimi reati, sono innanzitutto dei pazienti psichiatrici”. Al momento, però, “non risulta che nessuna iniziativa concreta sia stata messa in campo in merito da viale Aldo Moro”. Anche se una nuova sede è già stata individuata, a Castelfranco Emilia (Mo). Durante la mattinata, sono state visitate la sezione chiusa “Centauro” - rimasta l’unica con agenti penitenziari a sorvegliare costantemente i detenuti e con celle sempre serrate -, e le altre le cui porte restano invece aperte di giorno. “Anche qui - dice Defranceschi - il problema che più salta agli occhi è il sovraffollamento”: il numero dei detenuti in cura ammonta a 279 persone, presenti fisicamente. Che sale a 320 se si calcolano anche i detenuti in permesso di durata più o meno lunga. Contro una capienza massima di 132 persone. “E questo è ancora più intollerabile che in un carcere normale - riflette Defranceschi: perché le persone costrette a convivenza hanno anche disagi psichici gravi”. C’è poi la questione di “servizi igienici e docce in condizioni a dir poco precarie”. E il tema del personale carente, sanitario come di polizia penitenziaria. Infine, “i tagli della Finanziaria stanno mettendo a rischio tutta una serie di servizi fondamentali per la riabilitazione dei pazienti, a partire dalla pet therapy con i cani”. Per questo, chiosa il capogruppo dei grillini, “al rientro dalla pausa estiva chiederemo alla Regione un impegno concreto e specifico, in termini politici come economici”. Messina: su agenti aggrediti a Gazzi è scontro tra Garante dei diritti dei detenuti e Osapp www.tempostretto.it, 7 agosto 2010 Il Sen. Fleres: “Ragionare su cause che hanno generato gesti. Condizioni struttura Messina non possono essere sottaciute”. La replica del rappresentante dell’Osapp, Nicotra: “Il Garante è rappresentante del Governo, a cui dovrebbe chiedere conto su cosa stia facendo per le carceri” La notizia emersa ieri riguardante alcune aggressioni subite da agenti di polizia nel carcere di Messina, ha contribuito ad allargare una ferita già aperta in tutto il Paese, quella della sicurezza negli istituti penitenziari. Su quanto accaduto è intervenuto per primo il Garante dei diritti dei detenuti, il senatore Salvo Fleres, che ha voluto condannare gli atti di violenza sottolineando però come la loro continuità deve indurre a riflettere sulle motivazioni che possono averli determinati. “Ritengo che occorre verificare se esistono delle cause specifiche che inducono i ristretti a compiere dei gesti che, come essi ben sanno, incidono negativamente sulla loro situazione detentiva - ha dichiarato Fleres all’Agenzia Il Velino. Il caldo, il sovraffollamento e tutte le criticità del “pianeta carcere” non possono più essere sottaciute così come occorre entrare nello specifico della struttura di Messina per comprendere in quali condizioni sono costretti a vivere i reclusi. Proprio per questo motivo ho, da tempo, presentato una dettagliata interrogazione parlamentare, anche questa, sino a questo momento, senza esito, nella quale ho espressamente chiesto un’accurata ispezione. Ritengo - ha concluso il Senatore Fleres, che il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria debba intervenire con la massima urgenza effettuando le verifiche del caso”. La risposta alle parole di Fleres è arrivata da Mimmo Nicotra, vice segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria): “Il Garante dimentica di essere rappresentante del Governo, a cui dovrebbe piuttosto chiedere conto su cosa stia facendo per le carceri - replica duramente il rappresentante sindacale. Occorrono non ispezioni, ma interventi normativi: nelle carceri abbiamo bisogno di fatti, non di demagogia. Le sue affermazioni sono fuori luogo, i colpevoli stanno nell’amministrazione penitenziaria”. Agrigento: detenuto tenta il suicidio impiccandosi, salvato da un agente Ansa, 7 agosto 2010 Un detenuto, nel carcere agrigentino, ha tentato il suicidio, alle 3, impiccandosi ma è stato salvato della Polizia Penitenziaria. L’uomo si era legato un lenzuolo al collo e un assistente capo della polizia penitenziaria lo ha sollevato evitando il soffocamento. Il sindacato Sappe sostiene che l’agente si è “distinto per l’alta professionalità, la prontezza e sprezzo della vita, riuscendo con immediatezza ad entrare, nonostante l’agitazione, nella stanza di allocazione del recluso, alzandolo di peso, insieme ad altra unità di altro settore detentivo, slacciandolo dal collo un lenzuolo che era servito da cappio”. Il sindacato autonomo di polizia penitenziaria esprime “compiacimento con il personale intervenuto per la compostezza e la lodevole gestione della situazione nonostante l’esigua presenza di agenti: nella turnazione notturna era presente una sola unità di polizia penitenziaria per la vigilanza di 150 detenuti”. Aosta: l’Associazione Volontariato Carcerario mette in mostra i prodotti dei detenuti Ansa, 7 agosto 2010 L’Associazione valdostana volontariato carcerario è presente alla Foire d’été di Aosta con un banchetto in cui vengono esposti lavori in legno, opere di intaglio, oggetti in argilla. C’è anche una confezione di miele “Dolce Evasione” prodotto dalle api allevate all’interno del carcere. Sono tutti manufatti realizzati da detenuti della casa circondariale di Brissogne che hanno seguito alcuni dei corsi organizzati dall’Associazione. Dice Piera Asiatici, responsabile dell’Associazione: “i detenuti, una volta scontata la pena, possono sfruttare le nozioni apprese con i nostri corsi per trovare lavoro e reinserirsi nella società. Abbiamo un ex detenuto che ora lavora come cameriere ed altri sei detenuti in semi libertà che, anche grazie alla nostra iniziativa, hanno trovato un impiego”. L’attività, spiega Asiatici, non sarebbe possibile senza i finanziamenti del Fondo sociale europeo e la collaborazione dell’amministrazione carceraria. “Purtroppo però la burocrazia non aiuta - ammette -. Ogni iniziativa che si vuole avviare nel carcere deve ottenere molte autorizzazioni. I tempi così si dilatano”. Chi frequenta questi corsi? “Gli extracomunitari - dice ancora la responsabile - rappresentano il 74 per cento della popolazione carceraria a Brissogne, gli italiani il 10 per cento ed i valdostani il 2 per cento, perché molti scontano la pena a Torino”. L’Associazione valdostana volontariato carcerario è nata nel 1983, un anno prima dell’apertura della struttura di Brissogne, quando il carcere si trovava ancora in via Guido Rey. Oggi l’attività è portata avanti da 39 volontari, di cui 20 attivi. Di questi, 15 operano all’interno della casa circondariale: si occupano di sostenere moralmente e materialmente gli “ospiti” con piccoli, grandi gesti, come reperire indumenti o riparare un paio di occhiali. Aiutano inoltre a mantenere i contatti con la famiglia e con gli avvocati. Gli altri 5 volontari sparsi sul territorio si dedicano invece ai detenuti agli arresti domiciliari. Iglesias (Ca): un corso di cucina in carcere per dieci aspiranti cuochi La Nuova Sardegna, 7 agosto 2010 Dietro le sbarre ma in mezzo ai fornelli, perché tra pentole e tegami, odori di erbe e spezie esotiche e nostrane si può recuperare dignità e speranza nel futuro quando si è pagato il debito con la giustizia. È la sfida di dieci detenuti del carcere mandamentale. Insieme stanno seguendo un corso di cucina che l’amministrazione penitenziaria ha organizzato con gli esperti dell’istituto alberghiero. Una scommessa vinta. Dopo 50 ore di lezioni teoriche e pratiche i 10 aspiranti cuochi hanno acquisto padronanza e competenza nel preparare piatti a base di carne e pesce ma anche dolci e cocktail. L’accordo tra i due enti è stato sottoscritto dal direttore del carcere Giancarlo Pala e dal preside della scuola professionale Alberto Mantega, che ha inviato all’interno del carcere Pasquale Franzese, docente di cucina, pronto e disponibile a trasferire ai giovani apprenditi le conoscenze acquisite in alcuni lustri di arte culinaria. Dentro le mura carcerarie, oltre a Roberto Sorgente come educatore, si sono prodigati nella riuscita dell’iniziativa il comandante e tutti gli altri operatori che hanno messo a disposizione le loro competenze. Alla fine del corso della durata di 50 ore i partecipanti sono stati fregiati di un attestato rilasciato dalla scuola dove viene certificato che l’allievo ha acquisto conoscenze di primo e secondo livello ed è in grado di lavorare tra i fornelli. “I 10 partecipanti al corso - ha spiegato Roberto Sorgente - sono stati selezionati sulla base delle attitudini e soprattutto perché ritenute persone affidabili e motivate. L’amministrazione penitenziaria, con questo corso, ha cercato di fornire ai detenuti un’opportunità e la possibilità, una volta riacquistata la libertà, di inserirsi nel mondo del lavoro”. Non mancano gli esempi: ad un giovane extracomunitario che ha ottenuto l’affidamento in una comunità nella stessa struttura, è stata riconosciuta la capacità di gestire la mensa interna. Poi è stato assunto a tempo indeterminato. Altri neo-cuochi sono stati assunti in ristoranti privati. “I corsisti - ha aggiunto Pasquale Franzese - sono oggi in grado di preparare numerosi piatti tradizionali ma anche della cucina internazionale. Couscous, pennette all’arrabbiata: dolci come il tiramisù e profiterol al cioccolato e al limone”. Tutti i piatti preparati dagli aspiranti cuochi sono stati serviti regolarmente nella mensa del carcere e i 100 detenuti hanno applaudito l’arrivo della pietanza extra. Messico: due bande rivali si affrontano in carcere, 14 detenuti restano uccisi Apcom, 7 agosto 2010 Quattordici detenuti di una prigione nel nord del Messico sono morti, dopo le violenze scoppiate tra due bande rivali. È successo a Matamoros, nello stato di Tamaulipas, che confina con il Texas. Alle 5 di questa mattina, i detenuti si sono affrontati con coltelli e armi artigianali; probabile si sia trattato di un regolamento di conti tra gruppi legati al narcotraffico, di cui le carceri messicane sono piene. Gruppi che a volte, come recentemente successo nel carcere di Gomez Palacio, nello Stato di Durango, tornano liberi per poche ore, con la complicità delle guardie, per compiere delle stragi. Dalla fine del 2006, la guerra del narcotraffico ha provocato circa 28.000 omicidi.