Giustizia: 68mila detenuti alla “conta” delle 17:00... manca chi è in permesso o al lavoro esterno di Dina Galano Terra, 6 agosto 2010 I dati dell’amministrazione penitenziaria sono impietosi: superata la soglia dei 68mila detenuti. In realtà la popolazione reclusa è perfino più numerosa. Troppi i condannati per droga e gli stranieri. Al 31 luglio 2010 i detenuti nei penitenziari italiani risultano 68.121. La capienza regolamentare delle strutture, invece, è ferma a 44.576. Esiste un buon margine entro il quale la situazione è considerata “tollerabile”, ma il 2010 ha ampiamente superato anche questa soglia. Le carceri scoppiano, come denunciano ormai ininterrottamente tutti coloro che, per diverse ragioni, ne sono a contatto. Ma, se interrogati, nessuno sa fornire dati precisi. Quelli sopra citati, infatti, sono gli unici disponibili e di fonte ufficiale: al di fuori del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il mistero è fitto. Secondo Ristretti Orizzonti “la popolazione detenuta in realtà ha raggiunto le 70mila unità” e l’equivoco si spiega così: “Da alcuni mesi è cambiato il metodo di rilevazione. Fino al 2009, infatti, la conta che si aveva a riferimento era quella di mezzanotte. Ora, invece, si computano i detenuti presenti in carcere alle ore 17:00, con conseguente esclusione di coloro che hanno lasciato provvisoriamente la cella perché beneficiari di permessi premio o, ancora, perché impegnati in lavoro all’esterno”. Se a questi si aggiungono i minorenni, reclusi negli Ipm, ecco che si arriva a quota 70mila. La motivazione offerta dal Dap per il cambio di strategia statistica si limita alla “opportunità organizzativa”. Fatto sta che la fotografia resa, già in sé allarmante, è soltanto il negativo di una situazione di dimensioni più estese. Il Dap, guidato dal Franco Ionta, fedelissimo di Alfano, è l’unica istituzione a poter accedere alla banca dati degli istituti penitenziari. Prima della sua nomina, funzionava diversamente: i direttori dei penitenziari potevano sapere, ad esempio, quanti detenuti erano presenti in altre strutture, con garanzie di trasparenza che si riflettevano sul buon funzionamento della macchina interna. Poliziotti, personale amministrativo e volontari del carcere potevano tarare i loro interventi e agire con consapevolezza. Alla rete si è preferito l’accentramento che, tuttavia, non ha finora impedito di arginare l’emergenza che è sotto gli occhi di tutti. Non solo per il numero record di suicidi, 39 in soli sei mesi, ma per le condizioni di alcuni istituti dove al sovraffollamento si somma la promiscuità dei reclusi, problematiche sociali e nazionalità molto diverse tra loro. Secondo gli stessi dati ufficiali, infatti, il 40 per cento della popolazione detenuta è straniera, oltre un terzo è tossicodipendente e quasi la metà passa dal carcere per ragioni di custodia cautelare, quando ancora vale la presunzione di non colpevolezza. I condannati definitivi, poi, sono soltanto 37.219 mentre in 13.987 aspettano in cella la sentenza di primo grado. “La promiscuità rispetto alla tipologia di reato commesso”, rileva Leo Beneduci del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, “non agevola il processo di recupero del detenuto né l’attività di custodia degli agenti”. Accade così che un tossicodipendente venga a contatto con chi si è macchiato di reati molto più gravi oppure, come hanno denunciato dal carcere di Pesaro, che le detenute siano controllate da agenti maschi per carenze di organico nella struttura. Dei 39.800 poliziotti in servizio, soltanto 20mila sono effettivamente impegnati nell’attività di custodia a contatto diretto con i reclusi. “In condizioni normali significa un agente ogni dieci detenuti”, spiega Beneduci precisando che “in periodi festivi come agosto e nei servizi notturni il rapporto sale a uno ogni 50, o anche 100”. Se serve un piano di investimenti nel carcere, perfino la polizia non crede che la risposta sia rappresentata dal piano di edilizia straordinaria promosso dal Guardasigilli Alfano. “Con questa politica”, avverte il segretario dell’Osapp, “viene tradito il principio per cui il carcere serve perché ci sia sempre meno carcere”. Giustizia: il ddl Alfano va avanti, in attesa di una riforma globale delle misure alternative di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 6 agosto 2010 E introdotta nel nostro sistema penitenziario la possibilità di scontare presso la propria abitazione, o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, la pena detentiva non superiore a un anno, anche qualora si tratti di parte residua di pena maggiore. La Commissione Giustizia della camera ha approvato in sede deliberante, per cui non ci sarà passaggio in Aula, il disegno di legge governativo sulla detenzione domiciliare. Ora la palla passa al senato che tratterà la questione oramai dopo l’estate. Rispetto al testo originariamente presentato dal ministro Alfano, varie le modifiche che hanno di certo ulteriormente ridotto la portata deflativa del provvedimento. È stato introdotto un termine finale per l’applicazione della detenzione domiciliare: il nuovo istituto è infatti destinato a restare in vigore sino al 31 dicembre 2013. Viene evocato un nuovo programma generale di riforma delle misure alternative. Nulla si dice a proposito di quali saranno i contenuti di quest’ultimo. Inoltre nel testo approvato è stata cancellata la concessione automatica del beneficio; spetta quindi al magistrato di sorveglianza il controllo dei presupposti per la concessione della misura alternativa i quali sono: concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga; sussistenza di specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti; insussistenza di un domicilio idoneo ed effettivo, anche in funzione delle esigenze di tutela della persona offesa dal reato. Tra i detenuti esclusi dal beneficio vi sono coloro che hanno compiuto crimini di cui all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, i delinquenti abituali, professionali o per tendenza, i soggetti sottoposti al regime di sorveglianza particolare in carcere. A differenza, invece, dell’istituto della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter O.P., esso può trovare applicazione anche in caso di recidiva reiterata ai sensi dell’art. 99, quarto comma del codice penale. Si assiste così a una attenuazione del regime previsto dalla legge ex Cirielli nei confronti dei recidivi. La procedura prevede che gli Uffici locali dell’esecuzione penale esterna segnalino eventuali episodi rilevanti avvenuti durante l’esecuzione della misura. Per quanto riguarda i condannati tossicodipendenti o alcol dipendenti sottoposti a un programma di recupero o che intendano sottoporsi a esso è previsto che la detenzione domiciliare possa essere eseguita presso una struttura sanitaria pubblica o una struttura privata accreditata ai sensi del testo unico sugli stupefacenti. La portata deflativa del disegno di legge è anche compromessa dalla previsione di un aumento di pena per il reato di evasione e dalla introduzione di una nuova circostanza aggravante consistente nel fatto che il soggetto abbia commésso un delitto non colposo durante il periodo in cui era ammesso a una misura alternativa alla detenzione. In materia di personale penitenziario (altro pilastro del piano carceri) l’articolo 4 del disegno di legge, introdotto in Commissione, modifica l’articolo 2, comma 215, della legge finanziaria 2010 (legge n. 191 del 2009), prevedendo che le risorse derivanti dalla gestione dei crediti relativi alle spese di giustizia di cui al comma 213, oltre che le maggiori entrate derivante dall’attuazione del comma 212 (in materia di contributo unificato) siano destinate anche alla finalità dell’adeguamento dell’organico, del Corpo di polizia penitenziaria occorrente per fronteggiare la situazione emergenziale in atto. La disposizione demanda ad un decreto del ministro della giustizia l’introduzione di disposizioni per abbreviare i corsi di formazione iniziale degli agenti del Corpo di polizia penitenziaria. Vedremo quale sarà la reazione delle organizzazioni sindacali viso che non si tratta di una vera e propria assunzione di personale bensì di una più generica dichiarazione di intenti. A votare a favore della proposta di legge sono stati 22 deputati (Pd, Udc e Pdl, tranne Giancarlo Lehner). Idv contraria e Lega astenuta. Giustizia: il ddl sulla detenzione domiciliare crea anche una “questione di disuguaglianza” di Stefano Anastasia e Fiorentina Barbieri Terra, 6 agosto 2010 Tecnicamente, Balducci è agli arresti domiciliari in attesa di essere rinviato o meno a giudizio e/o che decadano (o meno) le esigenze cautelari che ne limitano la libertà in vista del processo. Ma il domicilio è il domicilio, e ognuno fa come può. Sguazza in piscina, e poi si affaccia da un terrazzino vestito solo di una toga “alla romana”: è Angelo Balducci, l’ex-Presidente del Consiglio nazionale dei lavori pubblici, secondo l’accusa il gran sacerdote della cricca degli appalti pubblici, “il detenuto” cui l’Espresso ha dedicato la copertina la scorsa settimana. Tecnicamente, Balducci è agli arresti domiciliari in attesa di essere rinviato o meno a giudizio e/o che decadano (o meno) le esigenze cautelari che ne limitano la libertà in vista del processo. Ma il domicilio è il domicilio, e ognuno fa come può. Le disuguaglianze, fuori dal carcere, tornano a essere visibili: Balducci in piscina, a Montepulciano; altri a pestarsi i piedi in appartamenti poco più grandi delle celle che li hanno ospitati fino a ieri. Il problema è Balducci? No, il problema sono le disuguaglianze che rendono così diversi gli arresti domiciliari di un ricco e potente signore dalla claustrofobica detenzione in casa di un povero Cristo qualsiasi. E, tra i dettagli delle eccezioni alla regola, si nasconde il diavolo della disuguaglianza che mina dall’interno l’efficacia del disegno di legge sulla detenzione domiciliare approvato dalla Camera e che in autunno sarà all’esame del Senato, salvo che il Governo - un po’ propagandisticamente - non voglia trasformarlo in un decreto-legge ferragostano. Dei potenziali 12mila detenuti definitivi sotto l’anno di pena, sì e no duemila potranno usufruirne: preclusioni per titolo di reato e per etichettatura soggettiva si sommano alla (in)disponibilità di un domicilio, e alla sua improbabile “idoneità” allo scopo. Peccato, perché nelle carceri il personale, in attesa di qualsiasi cosa che possa alleggerirne il carico, ci spera da tempo: da vari mesi i più attenti preparano proiezioni e applicazioni simulate. È l’unica cosa che possono fare - man mano che cresce la popolazione detenuta, i fondi per le strutture ed il personale si restringono invece che aumentare - per dare una qualche soluzione al degrado degli ambienti e alla disperazione che monta tra i detenuti. Hanno aperto sprazzi di speranza, non solo - purtroppo - tra quelli che realmente potrebbero beneficiarne. L’altro giorno, in un carcere romano, un detenuto ci ha chiesto chiarimenti in merito, compitando con un dito i suoi calcoli scritti su una mano, poi, girato l’angolo, abbiamo sorpreso un educatore che anche lui stava mentalmente (lavoro intellettuale, non sulla mano!) conteggiando i mesi di un detenuto che ha in assegnazione per capire se e quando potrebbe avere i domiciliari. “Scusi, ma quanti uscirebbero da qui, eventualmente?” - abbiamo chiesto -. “Una trentina, pare”, su 1.700 circa. Sic! Altro che Balducci e la sua villa con piscina! Giustizia: il 30% degli internati potrebbe essere dimesso, ma gli Opg rimangono necessari di Giovanni Tamburino (Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma) Ristretti Orizzonti, 6 agosto 2010 La mia posizione sugli Opg rimane quella ricavabile dagli esiti della ricerca sugli Opg (pubblicata con il titolo “Anatomia degli Opg” nel 2003) che ho voluta quando ero all’Ufficio Studi del Dap, curata dal prof. Andreoli e fondata su un metodo di rilevamento che ha visto, per la prima volta, l’accesso di giovani ricercatori, molto motivati, in ogni istituto per esaminare una per una le posizioni degli allora 1.200 internati. Ecco in sintesi estrema le mie idee: a) non si può fare a meno, ancora, per determinati casi, di una struttura chiusa; b) la struttura modello deve essere del tipo Castiglione delle Stiviere anche se i costi economici di tale struttura e la durata media dei ricoveri sono maggiori; c) è opportuno che gli Opg siano di piccole dimensioni (massimo 100 pazienti-internati); d) è opportuna una territorialità, ossia una dislocazione maggiore sul territorio, oggi mancante, con ricadute negative. Sono convinto - e del resto emerge dalla ricerca citata sopra - che almeno il 30% degli attuali internati potrebbero uscire, se esistessero modalità e condizioni adatte per assisterli all’esterno. Ricordo il caso di un internato che si trovava ad Aversa da oltre 50 anni. Più di qualunque condannato all’ergastolo. Ebbene, il Dap (e non solo per altruismo ...) tentava in tutti i modi di farlo uscire. Fu difficile. Nessuno lo voleva. Lui stesso, divenuto ormai anziano, si barricava in camera per non andarsene. Questa è la vita umana. Anche questa. Giustizia: Orlando (Pd); se il Pdl è davvero garantista dia segnali sul sistema carcerario Adnkronos, 6 agosto 2010 “È sorprendente che il ministro Alfano, in carica da più di due anni, denunci il cattivo funzionamento dell’organizzazione giudiziaria come se la cosa dipendesse da altri, ma tant’è. Sulla base delle sue affermazioni ci aspetteremmo che il confronto politico e parlamentare, dopo la pausa estiva, riprenda con un confronto sul tema della semplificazione del processo civile, della ridefinizione delle circoscrizioni giudiziarie, dell’informatizzazione del servizio e non invece, come pare, con la ripresa dell’iter del processo breve che è, a proposito di confusione, tra garantismo e impunità un vero e proprio manifesto”. Lo afferma Andrea Orlando, responsabile Giustizia del Pd. “Se, comunque, il Pdl intende davvero ridefinire i contenuti del proprio garantismo, fin qui invocato a beneficio esclusivo dei potenti, lo dimostri dando segnali chiari sul tema delle condizioni del nostro sistema penitenziario. Le carceri da tempo stanno per esplodere e i diritti fondamentali che la Costituzione prevede per ogni essere umano sono, in molte realtà carcerarie del nostro Paese, lettera morta e la maggioranza di governo - conclude Orlando - ha fatto, fin qui, poco o nulla”. Giustizia: Osapp; continue aggressioni ad agenti, così non si può andare avanti Adnkronos, 6 agosto 2010 “Oramai non sappiamo cosa e se voglia fare qualcosa la politica per le carceri, ma quel che è certo è che così non si può andare avanti”. Questo è quanto afferma il segretario generale dell’Osapp Leo Beneduci che preannuncia “l’ennesimo, intervento epistolare all’indirizzo del Presidente del Consiglio Berlusconi e delle altre autorità politiche e parlamentari”. “Quella di ieri è stata l’ennesima giornata campale per i poliziotti penitenziari sul territorio nazionale - prosegue il segretario generale - considerati i 4 agenti che a Genova-Marassi hanno rischiato il soffocamento nello spegnimento dell’incendio appiccato ad una cella da un detenuto o gli agenti che nel tribunale di Messina sono stati aggrediti da un detenuto o, ancora i due agenti che nel limitrofo istituto sono oggetto di pugni e morsi da parte di un altro detenuto che aveva appena tentato di dare fuoco alla propria cella. Ma anche quella di l’altro ieri è stata una giornata tragica - aggiunge ancora il sindacalista dell’Osapp - tenuto conto dei tanti eventi critici accaduti, non ultimo quello di Monza in cui durante una perquisizione in un sezione ad alta sicurezza un detenuto dapprima impediva al personale di entrare nella propria cella e poi aggrediva due ispettori ed un sovrintendente i quali, nonostante prognosi variabili da 4 a 10 giorni, richiedevano di permanere comunque in servizio per non aggravare ulteriormente la già preoccupante carenza di organico”. “Sappiamo già, che il capo del Dap Franco Ionta non andrà in ferie nel mese di agosto anche a causa della condizioni di rischio degli istituti penitenziari e conosciamo i molteplici impegni nella maggioranza di governo che coinvolgono il Ministro Alfano anche nella Capitale in questo momento. Ma - conclude Beneduci - appare più che altro una beffa avere un capo dell’Amministrazione e un Ministro presenti a livello centrale e che, tra l’altro, avendo già scelto di dare priorità esclusiva alle iniziative edilizie, mentre i poliziotti penitenziari rischiano la propria vita ogni giorno, non risultano in grado di alleviare in alcun modo i gravissimi disagi del personale e dell’utenza delle carceri”. Lettere: “sovraffollamento e carenza di organico”… oramai è diventato un mantra di Giovanni Battista De Blasis www.poliziapenitenziaria.net, 6 agosto 2010 “Sovraffollamento e carenza di organico”... questo ritornello, asfissiante e un po’ patetico, comincia a diventare imbarazzante anche per noi addetti ai lavori che, se non fosse per la tragedia quotidiana che ogni giorno si consuma all’interno delle carceri italiane, avremmo voglia pure noi di smetterla con questa litania. Siamo pressoché alla metà di questo interminabile duemiladieci ed i numeri della tragedia sono di quelli da fare tremare le vene ai polsi: trentotto suicidi di detenuti, quattro suicidi di poliziotti penitenziari e un suicidio di un provveditore regionale; decine e decine di suicidi sventati dal personale di sorveglianza e centinaia di aggressioni ai poliziotti penitenziari. Più che la cronaca di ordinaria detenzione sembra un bollettino di guerra. A questo punto è lecito domandarsi a chi faccia comodo mantenere la situazione dell’esecuzione penale italiana al livello di uno stato sudamericano degli anni settanta, del secolo scorso. È inevitabile chiedersi se non esista una Cricca, una sorta di P4, che ha l’inspiegabile interesse di far permanere la situazione borderline all’interno delle carceri italiane. Non sembra possibile, infatti, in uno Stato normale che le istituzioni, il governo, la politica, i mass media e l’opinione pubblica in generale, restino a guardare inermi lo svolgersi di una simile tragedia. Dopo il fallimento dell’indulto, nel 2006, che è stato concesso senza essere accompagnato da adeguate riforme strutturali del sistema, ad aprile del 2009 si è cominciato a parlare, per la prima volta apertamente, di emergenza penitenziaria e della necessità di un Piano Carceri Straordinario. A gennaio di quest’anno, addirittura, è stato proclamato dal Presidente del Consiglio lo stato di emergenza delle carceri italiane. Eppure, nonostante tutto ciò, ad oggi, nessun provvedimento concreto è stato adottato dal Governo o dal Parlamento. Si pensi, ancora, che già nel 2000 Papa Giovanni Paolo II lanciò un appello (in occasione del Giubileo) allo Stato italiano affinché affrontasse la degradata situazione delle carceri. Lo stesso Wojtyla riprese l’argomento tre anni più tardi parlando solennemente alle Camere, riunite per l’occasione. Il Presidente Berlusconi, e con lui Gianni Letta, hanno condiviso più volte la necessità di un Piano Carceri straordinario. Quest’anno ne ha parlato anche il Presidente Napolitano nel messaggio augurale di fine anno. Per non dire, infine, di tutte le dichiarazioni rilasciate dal Ministro Alfano e dal Capo del Dap Ionta. Come è possibile, allora, che non succede nulla? Qualcuno può spiegare perché una questione che raccoglie i consensi di tutti, nessuno escluso, non riesce a trovare soluzione? Nel frattempo, però, si sprecano le direttive e i suggerimenti ai Direttori, ai Comandanti ed al personale della Polizia Penitenziaria, per affrontare al meglio l’emergenza estiva. In particolare, va per la maggiore un nuovo modo di svolgere il servizio, moderno ed innovativo: la vigilanza dinamica. In buona sostanza, si tratterebbe di una interpretazione abbastanza elastica dei posti di servizio e del modo di ricoprirli, non più in modo statico e rigido ma, appunto, in maniera dinamica. In pratica, si intende superare il dogma di far presidiare tutte le sezioni da almeno un agente e si vogliono sopprimere definitivamente tutti i posti di sentinella sui muri di cinta, surrogati da servizi di vigilanza esterna automontata. In altre parole, si sta cercando di riciclare, con definizioni moderne e neologismi, il buon vecchio sistema di far ricoprire più posti di servizio allo stesso agente. Bella scoperta... A me sembra che, oramai, siamo diventati come diceva il buon De Niro nel film Gli intoccabili: Chiacchiere e distintivo... Tutti chiacchiere e distintivo. E meno male che il trucco di mettere sagome di agenti di cartone sul muro di cinta è venuto in mente per primi agli argentini perché, altrimenti, l’evasione di massa ce l’avremmo avuta noi, qui, nella Repubblica delle Banane. Lettere: dal Garante dei detenuti del Lazio molte iniziative concrete per il reinserimento di Salvatore Buzzi (Presidente Cooperativa 29 giugno) Ristretti Orizzonti, 6 agosto 2010 Qualche mese fa ho ricevuto, da parte dell’Ufficio del Garante dei Detenuti del Lazio, una pubblicazione relativa all’attività di quell’ufficio in merito alla missione ad esso affidatagli dalla Regione Lazio: la difesa dei diritti dei detenuti per una loro reintegrazione sociale, cosi come prevede la Costituzione. È una pubblicazione possente, per la quantità di iniziative realizzate ed al tempo stesso puntigliosa e dettagliata rispetto alla qualità delle specifiche azioni messe in campo sempre, è bene ribadire, in coerenza con il dettato Costituzionale e la Legge Regionale istitutiva del Garante. Tengo a precisare che il Garante Marroni svolge questo ruolo non solo per conto della Regione Lazio ma anche per la Provincia ed il Comune di Roma, in virtù di un protocollo istituzionale sottoscritto dalle parti ed, in quanto tale, da esse legalmente riconosciuto. Chi scrive è un imprenditore “sociale”, presidente di una cooperativa che occupa centinaia tra detenuti in semilibertà ed ex-detenuti, che nel corso di tanti anni ha avuto modo di collaborare (sempre nel solco del reciproco rispetto dei rispettivi ruoli) con Marroni e con il suo ufficio, traendo da questa collaborazione un impulso vitale affinché la Coop. 29 Giugno diventasse ciò che poi è diventata: una realtà affermata nel mondo dell’impresa sociale nazionale, ed un punto di riferimento e di speranza per tutti coloro che, avendo acquisito la consapevolezza degli errori commessi, hanno tuttavia la possibilità per accedere ad un’effettiva e reale reintegrazione sociale basata sul diritto al lavoro. Questi sono fatti concreti riscontrabili nello sviluppo oggettivo delle cose. Il resto, come nel caso che ci occupa, è un gioco irresponsabile, fatto sulla pelle di chi soffre. Non ne conosco i motivi ispiratori e non mi interessa conoscerli, anche perché questa specie di inutile infima polemica, sollevata da Antonini, la considero ne più ne meno che volgare spazzatura politica. Lettere: gli assistenti sociali dell’Uepe di Vercelli e Biella scrivono al Ministro Alfano Ristretti Orizzonti, 6 agosto 2010 Problematiche Uepe di Vercelli e Biella - carenza di personale. Il personale di servizio sociale dell’Uepe di Vercelli segnala la grave situazione operativa e professionale in cui versa, determinata da serie problematiche riconducibili alla grave carenza di risorse umane ed economiche, che rischiano di compromettere non solo il mandato istituzionale dell’Ufficio, ma anche il benessere psicofisico dei lavoratori, che devono far fronte, in condizioni di grave disagio, al consistente carico di lavoro, che negli ultimi mesi è considerevolmente aumentato. A fronte di una carenza di personale di servizio sociale più volte evidenziata, si aggiunge il pensionamento del Direttore e da giugno 2100 un distacco presso altro Uepe di una assistente sociale per un anno. L’ufficio da tempo si avvaleva di personale in missione semestrale da altro Uepe della Regione Piemonte, come da disposizioni del Prap di Torino, ora queste missioni sono bloccate. Gli assistenti sociali, per la carenza di personale di servizio sociale, sono costretti, visto il carico di lavoro dell’Ufficio, a coprire più territori e più Istituti Penitenziari, molto distanti tra loro, con difficoltà di spostamenti ( vista l’impossibilità di raggiungere molti utenti con i mezzi pubblici e le criticità legate all’utilizzo dell’auto di servizio, con l’accompagnamento del personale di polizia penitenziaria). Vi è una grave difficoltà a conciliare i turni di presenza in ufficio con le esigenze di lavoro esterno (carcere, visite domiciliari, verifiche lavorative, lavoro in rete), non avendo il dono dell’ubiquità! Occorre sottolineare che tutti gli interventi esterni richiedono tempo per le registrazioni e tempo per la stesura di relazioni, per garantire uno standard di buona qualità nelle relazioni, come indicato dal Pea 2003 e dalle recenti circolari del Dap. La situazione dell’aspetto economico segue di pari passo le difficoltà sopra esposte: nell’ultimo anno sono stati drasticamente tagliati i capitoli di spesa per il funzionamento degli uffici e lo svolgimento delle attività; negli ultimi mesi del 2009 la mancanza di fondi per il carburante ha prodotto una drastica riduzione delle visite domiciliari in genere e delle verifiche lavorative nelle esecuzioni penali esterne. Attualmente una assistente sociale AF3 ha l’incarico della Direzione e due assistenti sociali AF3 sono capo area. In ufficio lavorano altri quattro assistenti sociali, di cui uno in part-time. Data l’esiguità del personale la Direttrice e le Capo area oltre a espletare le mansioni che il ruolo professionale richiede, hanno assegnati fascicoli di utenti in quantità superiore a quanto definito nella contrattazione sindacale. Queste incombenze richiedono tempo ed energie che vanno ad incidere sulle mansioni di Direzione e capo area, con limiti alla buona riuscita del mandato professionale e agli impegni richiesti dal ruolo direttivo. Queste problematicità alle quali i lavoratori hanno cercato di far fronte con il senso di responsabilità e di abnegazione che caratterizza la loro professionalità, dalla apertura dell’Uepe avvenuta nel 2000, non hanno mai trovato una soluzione, in quanto l’ufficio ha visto personale assunto con incarico nella sede, che ha poi trovato collocazione definitiva presso altri Uepe, per trasferimento/distacchi. L’ufficio non ha nuovi inserimenti stabili di personale da quasi 10 anni, siamo tornati alla situazione dell’anno 2000. Questa condizione di lavoro limita la possibilità di adempiere ai compiti professionali definiti nel mandato istituzionale e ribadito con le disposizioni impartite nelle circolari. Gli assistenti sociali Botta Silvia, Coppola Andrea, Corso Caterina, Rijitano Filippina Rosalba Sicilia: convenzione Garante - Camera penale di Catania per assistenza detenuti vittime di illegalità Ristretti Orizzonti, 6 agosto 2010 Il Garante dei diritti dei detenuti, Sen. Salvo Fleres, ha stipulato una convenzione con la Camera Penale di Catania, rappresentata dall’Avv. Giuseppe Passarello, finalizzata all’assistenza legale relativamente ad eventuali episodi di cui fossero vittime reclusi, ai fini della costituzione di parte civile del Garante, nei casi previsti dalla legge. La convenzione riguarda anche una più generale collaborazione tra i contraenti legata alla diffusione della cultura della legalità e del recupero. Nei prossimi giorni, una convenzione simile, sarà stipulata con l’Associazione Nazionale Forense, così da fornire ai reclusi assistenza legale per i casi riguardanti la vita detentiva. “La decisione di costituire parte civile l’Ufficio del Garante - ha dichiarato in merito il Sen. Fleres - si è resa necessaria al fine di contribuire in modo formale alla ricerca della verità nelle ipotesi di violazione della legge in carcere, nei casi di suicidio, sovraffollamento, carenza nella attività di assistenza sanitaria etc.”. Campania: Garante detenuti; risolto caso di carcerato malato grave, trasferito all’ospedale Il Velino, 6 agosto 2010 “Quando tutti gli organismi preposti lavorano con dedizione e decisione, anche le questioni più gravi, si risolvono nel migliore dei modi”. È quanto ha dichiarato la Garante dei detenuti, Adriana Tocco, nell’esprimere piena soddisfazione alla notizia assunta dalla moglie del detenuto Giuseppe Mazzone, recluso nel carcere di Poggioreale, di trasferirlo in una struttura ospedaliera per un particolare intervento di cui necessitava da ben otto mesi. Infatti il Mazzone, affetto da un problema alle vie urinarie era costretto a portare un catetere vescicale, il tutto convivendo in una cella con ben altri otto detenuti. Un caso denunciato dalla stessa Garante dei detenuti e dal Presidente della IV commissione speciale regionale (Prevenzione del fenomeno del mobbing sui luoghi di lavoro e di ogni forma di discriminazione sociale, etnica e culturale), Donato Pica nel corso di una conferenza stampa svolta lo scorso 28 luglio. “Quindi finalmente, si è risolta una questione - concludono Tocco e Pica - che stava diventando vergognosa ed insostenibile. Ed è per questo che un ringraziamento particolare va all’amministrazione penitenziaria ed in particolar modo dal direttore del Carcere di Poggioreale, che si sono veramente impegnati per far sì che si arrivasse alla soluzione più giusta”. Aversa (Ce): all’Opg muore un detenuto di 42 anni, ignote le cause, disposta l’autopsia Asca, 6 agosto 2010 È morto la scorsa notte all’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. Stefano Crocetti, 42 anni, originario di Teramo, era nel suo letto: sarà l’autopsia a chiarire le cause. Di recente era stato ricoverato per un malore. A quanto ci risulta - dichiara Dario Stefano Dell’Aquila, portavoce dell’Associazione Antigone in Campania - l’uomo aveva accusato un malore già in mattinata. Ci risulta anche che solo qualche settimana fa era stato ricoverato in una struttura ospedaliera esterna”. Negli Opg sono detenuti i sofferenti psichici autori di reato, condannati ad una misura di sicurezza. Nell’Opg di Aversa sono presenti, secondo i dati dell’ Osservatorio sulla detenzione di Antigone 302 internati, circa un quinto della popolazione internata in Italia (complessivamente 1.452 internati). “Riteniamo indispensabile - ha proseguito il portavoce dell’associazione - che si faccia chiarezza sulle cause e sulle dinamiche di questa morte, anche alla luce di quanto emerso dai rapporti del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dall’indagine della Commissione parlamentare di inchiesta sulla sanità”. “Vogliamo ricordare - evidenzia Dell’Aquila - che ora, dopo anni di denunce, non siamo più soli a rilevare lo stato di degrado e abbandono di questi posti. I Nas che hanno accompagnato, l’11 giugno scorso, la commissione parlamentare di inchiesta, presieduta dal senatore Ignazio Marino, a proposito di Aversa hanno segnalato “l’assenza di cure specifiche, (...) e la sensazione di completo e disumano abbandono” dei degenti e hanno ritenuta tutto le condizioni detentive tali da rendere disumana la permanenza di qualsiasi individuo. Riteniamo ci siano tutti gli elementi perché si approfondiscano le cause di questa triste morte. Così come riteniamo non più rinviabile la chiusura e i superamento di questi manicomi”. Udine: detenuto tenta il suicidio in cella, ora è ricoverato in ospedale in gravi condizioni Ansa, 6 agosto 2010 Ramon Berloso, il goriziano reo confesso dell’omicidio di due escort, trovate sepolte in un punto del greto del torrente Torre, nei pressi di Tapogliano (Udine), ha tentato ieri sera il suicidio nel carcere di Udine, dove si trova rinchiuso. Lo si è appreso dai Carabinieri del Nucleo operativo. L’uomo è stato trasportato all’ospedale di Udine, dove si trova in coma farmacologico. I sanitari - a quanto si è saputo - sperano di salvarlo. Berloso, che era in cella da solo - a quanto si è saputo da fonti carcerarie - ha messo in atto il suo gesto poco prima di mezzanotte, appendendo alle inferriate della finestra un lenzuolo e cercando di impiccarsi. È stato però visto appena in tempo da un agente della Polizia penitenziaria, che ha dato l’allarme. L’uomo è stato soccorso dal medico del carcere e dai sanitari del 118, che lo hanno portato all’ospedale di Udine. Nella cella di Berloso - a quanto si è appreso - sarebbero state trovate due lettere scritte alla madre e alla figlia, in cui l’uomo spiega la sua situazione, ma non parlerebbe nè dei due omicidi, né del tentativo di suicidio. Berloso era stato bloccato da Carabinieri e Polizia il 20 luglio scorso, dopo una gigantesca caccia all’uomo, alla stazione ferroviaria di Padova, mentre tentava di prendere un treno per Milano, da dove doveva raggiungere poi il Brasile. Dopo l’arresto ha confessato di aver ucciso due escort, la romena Diana Alexiu, di 24 anni, di cui si erano perse le tracce lo scorso 20 maggio, e Ilenia Vecchiato, di 28 anni di Mestre (Venezia), scomparsa a marzo, trovate morte sul greto del torrente Torre, nei pressi di un viadotto, nel punto indicato dallo stesso Berloso, a Tapogliano di Campolongo al Torre (Udine). Brindisi: 22enne suicida in Caserma; fermato per furto bicicletta, Carabinieri sotto accusa La Repubblica, 6 agosto 2010 Aveva 22 anni ed era venuto in Italia dal Marocco in cerca di fortuna. Si suicidò nella cella di sicurezza della caserma di San Michele Salentino dove era stato recluso per aver rubato una bicicletta, nel bel mezzo di un funerale. I carabinieri che gli avevano messo le manette ai polsi avrebbero dovuto vigilare per scongiurare la tragedia, dice il magistrato inquirente che ha chiesto il rinvio a giudizio di tre militari alla custodia dei quali era affidato. Sono adesso imputati per cooperazione in omicidio colposo, a fronte della presunta omissione dell’obbligo giuridico di impedire atti di autolesionismo da parte del detenuto. È l’ipotesi di reato formulata dal pubblico ministero Silvia Nastasia a carico del comandante Vito Chimienti, del vice Giuseppe Marrazzo e dell’appuntato Vincenzo Marrazzo, tutti difesi dall’avvocato Vito Epifani. Ipotesi ancora tutta da verificare. L’ultima parola spetta adesso al giudice per le indagini preliminari, che deciderà infine se questa sciagura meriti un approfondimento in sede processuale oppure l’archiviazione. Accadde il 18 giugno, poco più di un anno fa. Quel 22enne si chiamava Abdelhafid Es-Saady. Nella comunità in cui viveva, lo conoscevano tutti. Sarebbero stati i compagni, venuti come lui dal Marocco, a rivelare nome e cognome, a chiamare i genitori in Italia. Urlarono di rabbia per una storia che, dicevano, non si poteva credere e per questo furono i primi a presentare denuncia in procura. Abdelhafid era un ragazzo allegro c’era scritto in quell’esposto, malgrado il lavoro malpagato e in nero nei campi, dove si recava tutti i giorni. Non si perdeva d’animo anche se il contratto che non arrivava non gli consentiva di mettersi in regola con la legge italiana, per la quale rimaneva un clandestino. La comunità marocchina di Brindisi contattò il sindacato, la Cgil diede mandato all’avvocato Pasquale Fistetti tramite il quale fu interpellato il consolato per ottenere l’arrivo dei genitori in Italia. Il padre Rahal Es-Saady e Malia, la madre (residenti a Freita Kalaa nella provincia di El Saraghna), ottennero il visto anche perché avrebbero dovuto sottoporsi alla prova genetica. Su disposizione della procura furono prelati campioni utili alla comparazione del Dna, necessaria poiché le impronte digitali del ragazzo morto, e quelle presenti nelle banche dati della polizia e legate a quel nome, non coincidevano. L’esame avrebbe confermato che quel ragazzino ladro di biciclette era proprio Abdelhafid Es-Saady. L’esito dell’autopsia del medico legale Giacomo Greco avrebbe invece azzerato ogni ipotesi diversa dal suicidio, non c’erano segni di violenza su quel corpo. Abdelhafid aveva confezionato il suo strumento di morte con le lenzuola, e si era impiccato nello spazio angusto della cella cadendo sulle ginocchia. Era andata così. Piacenza: Sappe; il carcere delle Novate è uno dei peggiori in Emilia Romagna Piacenza Sera, 6 agosto 2010 “Il carcere di Piacenza si segnala per essere uno degli istituti in Emilia Romagna dove più penetranti sono i limiti imposti ai momenti di socialità dei detenuti e minori sono le risorse, in termini di opportunità formative, lavorative, ludico-espressive, cui questi possono accedere”. Il Sappe di Piacenza interviene sulla difficile situazione in cui versa la struttura penitenziaria delle Novate, destino comune di molte carceri italiane. Il sindacato autonomo di polizia penitenziaria fa notare come su questa crisi è intervenuto il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che nella sua relazione di inizio anno 2010 ha detto che il documento che verrà presentato in Consiglio dei ministri riguarderà come primo punto “un piano di edilizia giudiziaria che ponga il nostro Paese al livello delle sue necessità, cioè con un livello capienza attorno agli 80mila posti”. Continua il Sappe, a proposito della struttura piacentina: “Il sovraffollamento amplifica inoltre le criticità legate all’inadeguatezza di una struttura con pesanti problemi di umidità, infiltrazioni d’acqua e salubrità degli ambienti. Una situazione, questa, aggravata dal pesante sottodimensionamento degli organici a fronte di una popolazione detenuta ben oltre i limiti di capienza tollerabile fissati dal ministero”. A Piacenza ormai il rapporto tra detenuti e organico di polizia penitenziaria è ai minimi termini: i detenuti sono circa 420 (a fronte di una capienza regolamentare di 178 detenuti e di una capienza “tollerabile” di 346 detenuti, come stabilito dalle tabelle predisposte dalla sezione statistica dell’ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema formativo automatizzato) mentre gli agenti in servizio sono poco più di 90. E oltre all’assenza di circa 30 unità, attualmente ne mancano altri 45, per vario titolo. Scrive il Sappe: “Da giugno l’organico è ulteriormente ridotto perché è in atto il piano ferie. Tale sottodimensionamento dell’organico rende quasi impossibile ogni attività di socializzazione dei detenuti che si articola per lo più in attività ludiche spontanee (biliardino, carte), o nei laboratori teatrali, ma per altre strutture, seppur presenti, resta completamente lo stato di abbandono. Un disagio piacentino al limite del dramma, non può essere lasciato senza ascolto e senza un decisivo intervento politico e sociale, attuabile con un piano carceri decisamente efficace e tempestivo, e un impegno comune all’altezza delle esigenze dei detenuti, contro il loro abbandono fisico e psicologico”. Sottolinea il Sappe: “Il ministro Alfano annuncia lo stato di emergenza delle carceri italiane. Ne fa eco la precisa denuncia del segretario generale del Sappe Donato Capece, che afferma: “La situazione penitenziaria, è ogni giorno sempre più critica a causa dell’inarrestabile sovraffollamento, quantificato in 68mila detenuti presenti per 43mila posti letto e chi paga nell’immediato e in prima persona lo scotto di questa pesante criticità, con condizioni di lavoro particolarmente stressanti e pericolose, sono soprattutto gli agenti di polizia Penitenziaria che in carcere lavorano 24 ore su 24”. Un’ennesima denuncia da parte del Sappe per la grave crisi degli istituti penitenziari italiani con particolare riferimento a quelli dell’Emilia Romagna. Da una dettagliata analisi emerge che il sovraffollamento nelle carceri è determinato proprio dalla presenza dei detenuti stranieri, la maggior parte dei quali è concentrata nelle regioni del Nord Italia, dove la percentuale della media nazionale sale di molto. Lanciano (Ch): gli agenti in “rivolta” hanno richiesto un’ispezione ministeriale Il Centro, 6 agosto 2010 Gli agenti di polizia penitenziaria del carcere di Villa Stanazzo hanno richiesto un’ispezione ministeriale. Reclamano chiarezza su alcune situazioni critiche tra le quali il sovraffollamento, la carenza del personale e una gestione definita “non più accettabile”. “Per questi e altri motivi e per l’ennesima volta”, affermano Pietro Di Campli (sindacato Sappe), Rocco Verì (Fsa-Cnpp), Vincenzo Del Boccio (Cgil), Bruno Fiorillo (Osapp), Ruggero Di Giovanni (Uil) e Marco Iezzi (Ugl), “le nostre sigle sindacali operative presso la Casa Circondariale di Lanciano, da tempo unite nella contestazione nei confronti di una gestione non più accettabile, richiedono un’ispezione ministeriale a carattere d’urgenza data la situazione descritta non oltremodo sostenibile”. A Villa Stanazzo svolgono servizio 150 agenti (40 unità in meno rispetto alle stime), 181 dovrebbero essere i detenuti ospitati che lievitano a 380, quota mai toccata in precedenza. Dietro ai numeri si nascondono disagi e difficoltà che hanno portato nell’ultimo anno a tre distinti episodi di aggressioni agli agenti da parte dei detenuti. E, se non bastasse, tutto è aggravato dall’alta temperatura e dalla continua mancanza di acqua che puntualmente si ripresenta con l’estate. “È sotto gli occhi di tutti”, affermano i rappresentanti sindacali, “quello che in un precedente documento non abbiamo esitato a definire il “collasso” in cui è sprofondato il penitenziario lancianese senza rischi di esagerazione con il ricorso massiccio e sistematico al lavoro a carattere straordinario, contrariamente all’ultimatum comunicato dalla direzione intenzionata ad azzerare lo stesso”. Sotto accusa è anche “la scellerata apertura del cosiddetto reparto Verde (ex femminile) nel quale sono ospitati i detenuti che la direzione considera più meritevoli. Il reparto”, affermano i sindacati, “richiede 12 unità al giorno che, però, per la cronica mancanza di personale scendono a 2 e a volte a 1 solo”. Brindisi: conferenza stampa di Pannella e D’Elia, sul sovraffollamento delle carceri Agi, 6 agosto 2010 Martedì 10 agosto alle 11,30 a Palazzo Granafei-Nervegna, Marco Pannella, leader del Partito Radicale, Sergio D’Elia, segretario di “Nessuno tocchi Caino” , ed il sindaco di Brindisi, Domenico Mennitti, terranno una conferenza sul “sovraffollamento carcerario” della Puglia, che figura al secondo posto di una classifica nazionale. Alla fine di giugno, i detenuti presenti nelle carceri della regione erano 4.601, oltre 2.000 rispetto alla “capienza regolamentare” e 600 in più anche di quella “tollerabile”. All’iniziativa parteciperanno numerosi operatori penitenziari e del volontariato sociale, esponenti politici e amministratori di comuni della provincia di Brindisi, parenti di detenuti organizzati nella neonata Associazione Famiglie Fratelli Ristretti. In serata, alle ore 19, nella sala consiliare del Comune di Torre Santa Susanna, Marco Pannella e Sergio D’Elia parteciperanno alla presentazione del libro di Nazareno Dinoi “Dentro una vita” - I 18 anni in regime di 41 bis di Vincenzo Stranieri. Genova: detenuto 22enne affetto da Hiv incendia materasso, agenti rischiano di soffocare Ansa, 6 agosto 2010 Nella tarda serata di ieri un detenuto marocchino di 22 anni, affetto da Hiv e che nei giorni scorsi si era già reso protagonista di gravi episodi, ha dato fuoco al materasso nella sua cella. Quattro agenti hanno dovuto ricorrere alle cure dei medici per il rischio soffocamento. Ne dà comunicazione, con una nota, il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe). “La situazione è ben oltre il limite della tolleranza. Ora basta davvero: la misura è colma” commenta Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato. “Vogliamo per prima cosa esprimere la nostra solidarietà ai colleghi in servizio che hanno impedito che il fuoco ed il fumo sprigionatisi potessero provocare gravi conseguenze nel carcere di Genova Marassi. Ed è grave che ad aver fatto questo sia stato lo stesso detenuto straniero protagonista di un analogo episodio pochi giorni fa”. “La carenza di personale di Polizia Penitenziaria a Marassi, oltre 150 agenti in meno negli organici - prosegue Martinelli -, il pesante sovraffollamento (quasi 800 detenuti presenti a Marassi, circa il 60% gli stranieri, rispetto ai 450 posti letto regolamentari) sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi. Spesso, come a Genova Marassi, il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è lasciato da solo a gestire all’interno delle carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno”. Messina: detenuto appicca il fuoco alla cella e poi aggredisce le guardie Il Velino, 6 agosto 2010 Ennesima aggressione in carcere, la cui causa, probabilmente, è dovuta al sovraffollamento. Ieri sera, intorno alle 18, nel carcere di Messina un detenuto ha tentato di dare fuoco alla cella, aggredendo successivamente le due guardie carcerarie intervenute in soccorso, i quali avrebbero riportato lesioni. Una delle guardie ha subito un morso ad un braccio giudicato guaribile in dieci giorni, l’altra è stata colpita violentemente al volto. Di mattina, invece, al Tribunale di Messina un detenuto ha cercato di aggredire gli agenti che lo accompagnavano. Brindisi: operatori della comunità non gli portano i figli a colloquio, detenuto si taglia le vene Agi, 6 agosto 2010 Per la seconda volta nella sala colloqui del carcere di via Appia non ha trovato i suoi figli. La motivazione è stata lapidaria: gli operatori sono in ferie, non c’era personale per condurre i bambini dal proprio papà, detenuto. L’uomo, uno straniero che soggiorna in via Appia da qualche tempo, si è lasciato prendere dalla disperazione. Ha tentato di tagliarsi le vene. Per protesta si è ferito su tutto il corpo. L’autolesionismo non è altro che un atto di denuncia, la denuncia di chi non ha voce. L’uomo è stato salvato. Ha raccontato a coloro che lo hanno assistito che lontano dai ragazzi non ci sa stare. Trascorre le giornate nel desiderio di riabbracciarli, anche soltanto per qualche minuto. In apprensione per le loro sorti. È un padre come tanti costretto, per motivi probabilmente giusti, comunque non sindacabili, a stare lontano dalle sue creature anche quando hanno bisogno di lui. Sono situazioni limite. Il caso è particolare: anche la madre dei ragazzi è in carcere. Loro sono affidati a una casa famiglia. Il Tribunale ha disposto che una volta alla settimana i famigliari hanno facoltà di ricongiungersi. Non c’è molto tempo a disposizione ma anche pochi minuti di orologio bastano perché i giorni non scorrano tutti uguali, inutilmente. Ieri, prima settimana d’agosto, non c’era nessuno che potesse accompagnare in via Appia i figli dell’uomo. Rossano (Cs): i detenuti partecipano ad un concorso di pittura Ansa, 6 agosto 2010 La Direzione della Casa di Reclusione di Rossano ha concesso a 13 detenuti di partecipare ad una competizione artistica organizzata fuori dal penitenziario. Infatti, domenica 25 luglio, assieme ad altrettanti artisti partecipanti esterni, gli ospiti della Casa di Reclusione di Rossano hanno preso parte al concorso di pittura estemporanea a tema, organizzato dall’Associazione “Vivi il Centro Storico”, riproducendo scorci della parte antica della città di Cariati. La manifestazione artistica denominata Cariatinarte è stata patrocinata dal Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - Direzione Casa di Reclusione di Rossano, dall’Ente Provincia di Cosenza e dall’Amministrazione Comunale di Cariati. I reclusi, non potendo lasciare l’Istituto, hanno prodotto le tele, attenendosi alle regole imposte dal bando, presso il laboratorio di pittura del carcere, osservando gli scorci attraverso alcune fotografie loro fornite dall’organizzazione, unitamente alla tela sulla quale doveva essere eseguito l’elaborato. L’iniziativa, senza dubbio, ha avuto una forte valenza sociale ed è stata capace di sollecitare la coscienza civica, ponendo al centro di essa problematiche diverse ancora lontane dal trovare soluzioni: dalla necessità della conservazione, promozione e tutela dei luoghi della memoria, alla necessità di tutelare il patrimonio ambientale ed in ultimo, ma certamente la più ambiziosa, quella di stimolare atteggiamenti idonei a promuovere sistemi d’inclusione e di recupero sociale dell’uomo avversando la sempre più diffusa e nociva pratica del pregiudizio. Ed è qui che si contraddistingue l’iniziativa e la differenzia rispetto ad una mera e sterile competizione. Il direttore della Casa di Reclusione di Rossano, Giuseppe Carrà, ha commentato l’iniziativa con soddisfazione, affermando che “la considerazione del carcere, da parte di un’Associazione formata da comuni cittadini, che ha fornito ai suoi ospiti la parte principale, in un contesto esterno certamente non ostile, ma sicuramente distratto da altre cose, è sorprendentemente piacevole e ripaga dei tanti sforzi praticati dalla Direzione del Carcere per vincere il pregiudizio e creare i presupposti per una vera integrazione fra territorio e carcere”. La manifestazione si concluderà domenica 8 agosto con la cerimonia di premiazione e la consegna del premio Cariatinarte edizione 2010. L’appuntamento è in piazza Plebiscito, dalle ore 21.00 e vi parteciperanno il direttore del Penitenziario, il dottor Giuseppe Carrà ed altri autorevoli rappresentanti istituzionali. Alla serata parteciperà monsignor Marcianò, arcivescovo della diocesi di Rossano-Cariati, che consegnerà il premio speciale Cariatinarte 2010 e concluderà la fase relativa alla premiazione. Tutta l’organizzazione è stata perfettamente curata, in ogni dettaglio, dal Comandante del Reparto della Polizia Penitenziaria di Rossano, ispettore Capo Salvatore Prudente, che ancora una volta ha dato dimostrazione della grande professionalità che caratterizza la Polizia Penitenziaria per garantire la necessaria sicurezza a tutta la cittadinanza. Immigrazione: nel Cie di Bari situazione al limite della vivibilità e della dignità umana La Repubblica, 6 agosto 2010 “Situazione al limite della vivibilità e della dignità umana” per l’assessore regionale alle politiche per l’immigrazione Nicola Fratoianni che ieri mattina ha compiuto una visita lunga e articolata, della durata di più di due ore, alle strutture del Cie (il Centro per l’identificazione ed espulsione) di Bari. “Il centro è composto da otto moduli. Li ho visitati tutti - ha detto Fratoianni - e molti li ho trovati inagibili. Stanzoni con problemi igienici funzionali, con assenza di arredi, anche i più elementari, come i tavoli e le sedie. E certo queste condizioni non possono essere ricondotte ai danneggiamenti dell’altra notte, bensì ad una cronica mancanza di investimenti da parte del ministero degli interni. Gli ospiti ‘detenutì devono consumare il loro pasto seduti per terra. Ho trovato un degrado insopportabile in queste strutture nelle quali la vita è ben peggiore di quella delle carceri. Ho chiacchierato e incontrato molte delle 134 persone presenti al momento all’interno del Cie (la capienza massima è di 196 persone), la maggior parte delle quali mi ha raccontato di condizioni inaccettabili per qualsiasi essere umano, di un malessere non solo fisico e logistico ma anche psicologico. Condizioni queste potenzialmente esplosive se sommate al lungo periodo di ‘detenzionè che gli immigrati devono subire e che certamente complicano di gran lunga anche il lavoro degli operatori”. Fratoianni quindi ha ribadito “l’opposizione radicale ai centri per l’identificazione e l’espulsione dove è del tutto inaccettabile rimanere detenuto e rinchiuso senza avere, spesso e volentieri, commesso alcun reato ma solo per mancanza di documenti. Inoltre abbiamo una legislazione nazionale, la Bossi Fini, che non ha fatto altro che inasprire la situazione portandoa sei mesii termini entro i quali completare le procedure”. Nonostante questo però “occorre che il Ministero prenda atto - ha concluso Fratoianni - della situazione e intervenga rapidamente”. L’assessore Fratoianni (che ha trovato ampia collaborazione) è stato accompagnato dal direttore dell’Ente gestore del Cie e da funzionari della Prefettura di Bari.