Giustizia: oltre 68.000 i detenuti a fine luglio, un tasso di affollamento che supera il 150% Redattore Sociale, 5 agosto 2010 Dati al 31 luglio del ministero della Giustizia. Solo 137 in meno rispetto al dato di giugno. La capienza regolamentare dei 206 istituti di pena è di 44.576 reclusi: nelle celle quindi ci sono ben 23.545 persone in più di quanto sarebbe previsto. Carceri sempre sovraffollate: al 31 luglio i detenuti in Italia sono 68.121, secondo i dati forniti oggi dal Ministero della Giustizia. Solo 137 in meno rispetto al dato di giugno. La capienza regolamentare dei 206 istituti di pena è di 44.576 reclusi: nelle celle quindi ci sono ben 23.545 persone in più di quanto sarebbe previsto. Gli stranieri sono 24.675 (291 in meno rispetto a giugno). Le donne 2.967. La regione con più detenuti è la Lombardia dove sono 9.093, che è anche quella con più “esuberi”, ben 3.426. Seguono Sicilia (8.054 detenuti di cui 2.861 esuberi), Campania (7.625, 2.119 esuberi), Lazio (6.294, 1680 esuberi), Piemonte (5.214, 1.170 esuberi) e Puglia (4.769, 2.551 esuberi). Il 42,5% dei detenuti (pari a 28.941 persone) è ancora imputato. In particolare, sono 13.987 quelli in attesa del primo giudizio, 7.966 quelli sottoposti al processo in appello, 5.261 i ricorrenti in Cassazione e altri 1.727 hanno più giudizi ancora in corso. Le comunità straniere più numerose nelle carceri italiane sono quella marocchina (5.229 detenuti), romena (3.309), tunisina (3.155), albanese (2.290) e nigeriana (1.203). Giustizia: Bernardini (Ri); carceri luogo di tortura e di morte, basta annunci serve riforma vera Agenzia Radicale, 5 agosto 2010 Il 4 agosto 2010 la Camera dei Deputati ha votato una mozione di sfiducia a Giacomo Caliendo, Sottosegretario alla Giustizia coinvolto nell’inchiesta giudiziaria sulla P3. La mozione Franceschini-Donadi è stata respinta: 299 voti contrari, 229 a favore e 75 astenuti. La delegazione radicale ha votato per la sfiducia. Ecco l’intervento integrale di Rita Bernardini trasmesso in diretta da Radio Radicale. La deputata radicale è stata interrotta dopo due minuti. Riportiamo di seguito quello che sarebbe stato il testo integrale dell’intervento. “Per la delegazione radicale, il voto su questa mozione è un’occasione. Noi consigliamo al Presidente del Consiglio - come dice il dispositivo della mozione - di invitare (la formula è blanda) il Giacomo Caliendo a rassegnare le dimissioni da Sottosegretario di Stato alla Giustizia. Montecitorio I processi vanno fatti fuori da quest’aula, ma le valutazioni politiche si fanno qui, anche se quest’aula è spesso il luogo non del dibattito per giungere a decisioni legislative ma quello delle ratifiche di decisioni prese altrove. Il sottosegretario Caliendo sa quale sia la critica severa che gli abbiamo rivolto per come ha gestito, per conto del Governo, il problema della Giustizia, il più importante problema politico che l’Italia si trova ad affrontare. Dalla crisi strutturale del problema Giustizia dipende la sofferenza estrema della democrazia nel nostro Paese. Dipende la sofferenza dei cittadini italiani sul piano economico, sociale, e delle libertà civili. [a questo punto l’intervento di Rita Bernardini viene interrotto] Una strage di legalità e di diritto che rischia di divenire strage di popolo. Il Governo ha avuto a disposizione due strumenti parlamentari per affrontare le riforme che l’Italia attende e che prontamente i cittadini hanno votato con i referendum radicali: la risoluzione per una riforma strutturale della giustizia e la mozione sulle carceri. Ma gli strumenti offerti dai regolamenti parlamentari sono divenuti carta straccia: il Governo è riuscito invece nella non facile opera di peggiorare - e ce ne voleva! - la situazione italiana. Sì, Presidente Berlusconi, sì Ministro Alfano, invitate il sottosegretario Giacomo Caliendo a dimettersi e voi, assumetevi finalmente le responsabilità delle riforme che a parole dichiarate a reti unificate di volere, ma che nei fatti fino ad ora, non solo avete messo nel cassetto, ma avete proposto, approvato o tentato di approvare solo controriforme. Volete la riforma delle Csm per bandire le correnti? Volete la separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri? Volete sì o no la responsabilità civile dei magistrati? Siete favorevoli o contrari agli incarichi extragiudiziari e ai distacchi dei magistrati? Guardatevi intorno e fate i conti di quanti magistrati sono distolti dai loro impegni e se ne stanno lì distaccati proprio presso il ministero della Giustizia! Potevate cambiare e non lo avete fatto! Passate dalla politica degli annunci alla vera riforma Giustizia operando da subito perché quel luogo di tortura e di morte che è il sistema carcerario italiano, possa rapidamente rientrare nella legalità costituzionale.” Giustizia: due ex esponenti dei Nar “sepolti vivi”… tenuti in isolamento da oltre 20 anni Ansa, 5 agosto 2010 Il vicepresidente in quota Pdl del consiglio regionale dell’Umbria, Andrea Lignani Marchesani, ha scritto al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, per chiedere di declassificare il regime carcerario di Gilberto Cavallini e Pasquale Belsito, entrambi ex esponenti dei Nar e condannati all’ergastolo per alcuni omicidi, ora reclusi, in isolamento, nella sezione di alta sicurezza del carcere di Terni. Lo riferisce lo stesso Lignani in un comunicato diffuso dopo la sua visita al carcere ternano, dove ha incontrato Cavallini e Belsito. “Un paese civile - afferma Lignani nella nota - non può permettersi di avere dei sepolti da oltre 20 anni vivi nelle proprie carceri e non solo per la constatazione che i detenuti cinquantenni di oggi sono altre persone rispetto ai ventenni assassini di 30 anni fa. Con le case circondariali italiane che letteralmente scoppiano - conclude Lignani - non si può continuare a tenere un’intera ala del carcere ternano dedicata alla custodia di soli due detenuti, tra l’altro oggi molto meno pericolosi se non inoffensivi”. Giustizia: nasce il Centro di comunicazione di Dedalo Alternative… per comunicare il carcere Carta, 5 agosto 2010 Quello che accade dentro le mura delle prigioni italiane riguarda e deve riguardare anche chi sta “fuori”. Da qui nasce il Centro di comunicazione del progetto Dedalo Alternative. Le carceri sono sovraffollate. Mentre scriviamo, il numero dei suicidi dall’inizio del 2010 è salito a 39. I dati che snocciolano le agenzie, i sindacati di categoria, gli enti del terzo settore che si occupano delle persone detenute raccontano di un sistema sull’orlo del collasso, gonfio al punto di esplodere. Nel frattempo però, i segni di cedimento sono all’interno. Il sistema della detenzione italiana, sta implodendo. Prova ne è il numero dei suicidi. Quello che sorprende, in tutto questo, è l’apparente indifferenza dell’opinione pubblica nei confronti di notizie gravi come queste. Certamente esse si inseriscono in un contesto generale di crisi di sistema, ma quello che accade “dentro” riguarda anche [e soprattutto] “fuori”. E se fuori non ci si sente toccati di quanto accade dentro le mura, potrebbe anche essere a causa di problemi di comunicazione. Per questo motivo nasce il Centro di Comunicazione del progetto Dedalo Alternative [www.dedaloalternative.it] di Oasi2, finanziato dai fondi Fesr per conto della Regione Puglia. Citando dal progetto: “È impossibile che si disinneschi del tutto il cosiddetto paradosso del disinteresse del pubblico nelle questioni di interesse pubblico che, seppur in misura ridotta, caratterizza qualunque collettività. In definitiva la collettività funziona come se i problemi legati al reinserimento di persone ritenute socialmente pericolose non la riguardasse, reificando così fenomeni di esclusione, negazione e stigmatizzazione”. Per questo motivo, quindi “si è scelto di considerare l’attivazione di una serie di attività di carattere multimediale. Tali azioni sono finalizzate alla costruzione di un processo comunicativo costante tra Interno ed Esterno, che si porrebbe come substrato all’attivazione di processi autopoietici e significanti intorno ai temi trattati. L’attivazione di una redazione, composta anche dagli stessi utenti, permette di attivare e gestire un sito internet, una newsletter e di organizzare momenti informativi per la comunità locale. Tali servizi oltre che le ricadute sulla collettività e sulle modalità di percezione del fenomeno, hanno ricadute significative anche sull’utenza. Questa infatti ha l’opportunità di essere motore creativo di un processo culturale la cui posizione è alla base dell’implementazione di nuovi significati nella comunità locale, acquisendo così valore e responsabilità”. In poche parole: comunicare il carcere non serve solo a ricordare alla comunità che esso esiste e di essa fa parte, una presa di coscienza non da poco, ma serve anche alle persone detenute che hanno così la possibilità di riflettere sulla loro condizione. Campania: carceri affollate e senz’acqua, detenuti in sciopero della fame ad Avellino La Repubblica, 5 agosto 2010 Vita impossibile. Resa ancor più insostenibile dal caldo. A Santa Maria Capua Vetere come a Bellizzi Irpino e come nelle altre carceri della Campania, tutte sovraffollate. I detenuti della casa circondariale avellinese di Bellizzi Irpino, da ieri, hanno dato il via allo sciopero della fame. Doppio problema. Da una parte le celle troppo affollate. A fronte di una struttura che dovrebbe ospitare al massimo 350 unità, il carcere di Bellizzi ospita 494 detenuti. A questo si aggiungono una serie di ostacoli strutturali che rendono ancora più difficile il mantenimento di un accettabile livello delle condizioni detentive, a cominciare dalla carenza di acqua che non arriva nei padiglioni posti ai piani superiori della struttura. Infine la carenza dell’organico di polizia penitenziaria che determina una difficile gestione dell’istituto, con ricadute pesanti nelle attività quotidiane dei detenuti. Allo sciopero della fame non hanno aderito le recluse del reparto femminile e quello che ospita i detenuti in regime di isolamento. “Siamo di fronte ad una situazione critica - commenta il segretario nazionale della Uil-Penitenziari, Eugenio Sarno - in un carcere dove la vivibilità dei detenuti e del personale da molto tempo è precaria e oggi sta per diventare insostenibile”. Intanto la garante dei detenuti, Adriana Tocco, ha visitato il carcere di Santa Maria Capua Vetere. “È veramente inaudito - ha detto la garante - che 1.700 persone vivano in una condizione di estremo disagio e di pericoli igienico sanitari, tra l’altro con queste temperature altissime, perché nessuno si preoccupa di portare l’acqua nel carcere. Dunque anche qui la mancanza dell’acqua come a Bellizzi durante le ore diurne, in quanto l’istituto non risulta ancora allacciato alla rete idrica del Comune ma solo collegato a un pozzo che durante il giorno rifornisce una cisterna, che poi nel corso della notte eroga acqua per i detenuti”. La garante ha inviato una lettera al sindaco di Santa Maria chiedendo notizie sulla soluzione del problema. Campania: quello che il Consiglio regionale farà per l’emergenza carceri… di Paolo Romano (Presidente del Consiglio regionale della Campania) La Repubblica, 5 agosto 2010 Approdare a un equilibrio sostanziale tra le esigenze di sicurezza sociale e la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti non è solo possibile. È semplicemente doveroso. Dunque, ben venga l’apprezzabile intervento, ieri su queste pagine, di Samuele Ciambriello e di Dario Stefano Dell’Aquila che, tornando a riaccendere un riflettore sul dramma dell’emergenza carceraria, non hanno esitato a superare il confine della mera riflessione ideologica per affrontare con alcune proposte la questione di fondo della tutela dei diritti dei detenuti. Su questa, la mia personale esperienza politica, le diverse visite che ho tenuto presso alcune strutture carcerarie della nostra regione ma, anche e soprattutto, la diretta conoscenza dell’Aula che oggi ho l’onore di presiedere, mi portano, più di ieri, a un certo ottimismo: il legislatore regionale, che si è oggi visto infatti attribuire specifiche materie in competenza esclusiva o prevalente, può fare molto. E poiché non v’è dubbio che il percorso federalista ne amplierà la portata, l’impegno dell’assemblea legislativa non potrà che rivelarsi determinante. Da parte mia e, sono certo, dell’intero Consiglio regionale, la volontà di cambiare registro rispetto a una pagina disastrosa della nostra storia regionale, c’è tutta. Così come quella di aprire al contributo di quanti da anni sono impegnati, a diverso titolo, sul campo. Così, anche l’idea lanciata da Ciambriello e Dell’Aquila, quella di un coordinamento tecnico unico tra le diverse amministrazioni, carceraria e regionale, potrà costituire un positivo momento di riflessione. Personalmente immagino tutt’altro che un luogo di confronto fine a sé stesso o di mera denuncia politica. Penso nei fatti a uno strumento tecnico di supporto al legislatore regionale al quale toccherà poi, nello specifico, programmare gli interventi. Una sorta di cabina di regia nella quale rendere parti diligenti e attive le rappresentanze di tutti gli attori in campo: detenuti, agenti di polizia penitenziaria, la Regione stessa nelle sue diverse articolazioni, il Garante, le amministrazioni locali, le aziende sanitarie, gli enti di formazione e istruzione, con l’obiettivo di ridisegnare finalmente un futuro dignitoso della detenzione in Campania. Anche l’istituzione di un comitato di indagine conoscitiva sulla condizione detentiva, un organismo permanente a costo zero composto da una giusta rappresentanza bipartisan di consiglieri regionali, può rivelarsi senz’altro utile. Più complessa appare, però, la materia del sovraffollamento che per motivi di competenze ci vede, da legislatori regionali, sostanzialmente fuori gioco. Programmi che privilegino l’istanza terapeutica e il recupero sociale dei detenuti in regime di detenzione domiciliare o in comunità sono più che auspicabili. E mi pare, ritengo doveroso rimarcarlo, che è anche in questa direzione che va il piano carceri varato il 12 gennaio scorso dal governo Berlusconi che, dichiarando lo stato di emergenza carceraria, oltre a dare il via libera a quei lavori di edilizia penitenziaria che dovranno portare la capienza delle strutture carcerarie italiane a poter ospitare almeno 80 mila detenuti (20 mila in più di quelli attuali), già prevede il regime di detenzione domiciliare per i condannati per reati non gravi ai quali resta da scontare meno di un anno di detenzione. Calabria: la Giunta regionale approva all’unanimità un Ordine del giorno sulle carceri Agi, 5 agosto 2010 Il segretario-questore dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, Giovanni Nucera (Pdl) esprime il suo plauso per l’approvazione all’unanimità, ieri in Aula, di un ordine del giorno sulle carceri di cui lo stesso si è reso promotore. “Il documento - ha detto Nucera - impegna il Presidente e la Giunta regionale ad intervenire presso il Governo nazionale affinché solleciti la costruzione di un nuovo istituto penitenziario nell’area di Lamezia Terme ed il completamento delle strutture penitenziarie previste nella regione, con particolare riferimento a quella di Arghillà a Reggio Calabria”. “Il quadro, davvero allarmante, delle condizioni in cui versano le carceri in Calabria - ricorda Nucera - è stato al centro di una serie di iniziative politiche ed istituzionali che sono servite a meglio sviscerare le problematiche connesse individuando le maggiori criticità. Il sovraffollamento delle carceri, la vetustà delle strutture insieme al sottodimensionamento del personale addetto ai servizi penitenziari, determinano una pesante compromissione dei diritti e delle stesse condizioni essenziali di vivibilità all’interno degli Istituti di pena”. “Nelle 12 carceri calabresi - è scritto nell’ordine del giorno - risultano reclusi circa 3.100 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 1.849 posti. Si registra una situazione di sovraffollamento, pari a 1.200 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare (di questi, circa 800, sono stranieri), peraltro in linea con i dati nazionali, ma che ha superato abbondantemente i livelli toccati nel luglio 2006, quando fu approvata l’ultima legge di concessione dell’indulto”. Bologna: l’Associazione Papillon; senza il Garante dei diritti dei detenuti sarà un disastro Redattore Sociale, 5 agosto 2010 L’associazione Papillon teme che molte battaglie portate avanti negli ultimi 5 anni finiscano nel nulla, soprattutto in una città dove la situazione carceraria è già particolarmente delicata, con la Dozza carcere più sovraffollato d’Italia. Si aspetta un disastro. Soprattutto per la condizione di chi è in carcere e per loro chance di lavoro all’esterno, le cosiddette misure alternative. L’associazione di ex detenuti Papillon per l’Emilia-Romagna teme che, dopo il mancato rinnovo dell’ufficio per il garante dei detenuti all’avvocato Desi Bruno e l’assegnazione dell’incarico al difensore civico Vanna Minardi, molte battaglie portate avanti in questi anni finiscano nel nulla. Cinque anni buttati, dice il presidente dell’associazione Valerio Guizzardi, soprattutto per una città dove la situazione carceraria è già particolarmente delicata, con la Dozza carcere più sovraffollato d’Italia, e il Centro di identificazione ed espulsione (insieme a quello di Modena gli unici Cie dell’Emilia Romagna) in condizioni difficili. “A Bologna siamo una ventina, 5/6 fuori dal carcere, il resto dentro. Le nostre attività si concentrano soprattutto fuori dall’istituto di pena, visto che dentro c’è già un’attività di volontariato molto forte - racconta Guizzardi. Papillon è nata nella biblioteca del carcere di Rebibbia di Roma, organizzando incontri, seminari e convegni. Poi è arrivata anche qui: e ora, per trovare casa e lavoro ai detenuti ammessi alle misure alternative, abbiamo aperto una cooperativa a Casalecchio”. Lavoro che non sempre viene garantito per i detenuti che possono accedere ai benefici di legge, e che in questi ultimi tempi ha avuto una forte compressione. Con conseguenze negative - raccontano a Papillon - sulla condizione dei detenuti: secondo le statistiche del ministero della Giustizia i lavoro all’esterno riduce infatti drasticamente il rischio di recidiva perché favorisce il reinserimento sociale. “Nelle carceri italiane c’è un giro vorticoso di partenze e arrivi. In cinque anni si può essere trasferiti anche dieci volte, e tutto questo per evitare che i detenuti socializzino o si organizzino in bande. Ma è una misura che sfascia le famiglie: un parente non può tutte le settimane partire da Bologna, ad esempio, per andare a Palermo. E annulla i tentativi di dare continuità alle attività culturali. Per uno straniero che fa un corso di lingua, essere trasferito dopo tre mesi annulla tutto. Il problema più grosso resta quello delle misure alternative: se un detenuto inizia la pratica per poter lavorare all’esterno e riesce a ottenerla, quando viene trasferito deve ricominciare tutto da capo”. Da Papillon nulla contro la persona del difensore civico Vanna Minardi: “Sicuramente farà bene il suo lavoro, ma il garante è un’altra cosa rispetto alle pratiche burocratiche del difensore civico. Ruolo utilissimo ma non c’entra niente col carcere”. È la stessa Minardi a confermare di non aver mai avuto alcun rapporto istituzionale con il mondo del carcere e aggiunge: “Sono due ruoli completamente diversi. Entrambi si occupano di garanzie ma in ambiti differenti. Il difensore civico cura il rapporto tra cittadini e amministrazione, l’altro è specifico: quella di prendere l’incarico del garante mi era stata segnalata come ipotesi, e io avevo dato la mia disponibilità se non si fossero trovate soluzioni più logiche. Un impegno istituzionale in una situazione contingente, in cui si tratta di dare continuità al lavoro messo in piedi egregiamente dall’avvocato Bruno. Un traghettamento fino all’elezione del prossimo garante. Fino al 31 agosto comunque la responsabile è Desi Bruno, con cui mi sono sentita. Poi si tratterà di impostare il lavoro, ma sarà appunto un traghettamento, non una vera e propria presa in carico. E comunque è presto per parlarne, la situazione si sta ancora concretizzando”. Nuoro: a Badu ‘e Carros in costruzione un nuovo padiglione detentivo di massima sicurezza di Simonetta Selloni La Nuova Sardegna, 5 agosto 2010 Lavori top secret per un nuovo padiglione. Il direttore: nessuno sa chi andrà in quelle celle. L’allarme di Mustaro (Cisl) che ricorda i fatti di sangue degli anni 80 dentro il penitenziario, si teme per l’arrivo di terroristi e mafiosi. Da quel “ventre di vita sepolta”, come l’avrebbe chiamato padre Turoldo, rischia di riprendere vigore un mai sopito braciere. Alimentato dal nuovo disegno contenuto nel piano carceri che riporterebbe il penitenziario di Badu ‘e Carros, a Nuoro, nella cerchia degli istituti italiani dove rinchiudere detenuti ai quali si applica il regime del “41 bis”. Carcere durissimo. Mafiosi, camorristi, esponenti della ‘ndrangheta; ma anche della nuova eversione e del terrorismo internazionale. Per citarne uno, Mohammed l’egiziano, sospettato di essere una delle menti della strage di Madrid del 2003 e sistemato in una cella con vista sull’Ortobene - dopo un periodo nel carcere di Macomer - assieme ad altri 15 reclusi di varia nazionalità e pari estrazione criminale. A sollevare il problema che Nuoro si prepari a un rientro in grande stile nei vertici della guida Michelin delle carceri, è il segretario della Funzione pubblica della Cisl di Nuoro, Giorgio Mustaro. Parte da un dato di fatto. E scrive al neo sindaco di Nuoro Sandro Bianchi. “Sono in corso da diverse settimane, all’interno del carcere di Badu ‘e Carros, consistenti lavori di sbancamento. Dalle poche notizie che abbiamo potuto verificare l’amministrazione penitenziaria sta realizzando un nuovo padiglione per i detenuti. A noi interessa sapere se l’amministrazione comunale sia stata informata preventivamente di questo ampliamento ma, cosa ancora più importante, se sia stata definita la tipologia dei detenuti che dovranno andare ad occupare, si dice fra un paio d’anni, la nuova costruzione”. Gli squilli d’allarme. “Non avremmo voluto capire male ma il piano carceri predisposto dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria prevede anche nuovi bracci detentivi per i così detti “41 bis”, cioè detenzione in regime di sorveglianza speciale. La storia di Badu ‘e Carros, sorto alla fine degli Anni ‘60 come istituto per un modello nuovo di carcerazione, la conosciamo tutti e purtroppo Nuoro ha vissuto le diverse conseguenze dell’installazione in città di un braccio speciale negli anni 70”. E per chi avesse la memoria corta, breve ripasso. Nel carcere che il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa individuò tra quelli di massima sicurezza, è passato il gotha della criminalità organizzata. Una storia fatta di sangue, con le rivolta del 1980 guidata dai brigatisti Morucci, Franceschini, Rossi e Ognibene che si concluse con l’omicidio di due detenuti. Un anno dopo, l’uccisione di Cesare Olivati e del boss della mala milanese Francis Turatello. Allora. Chiusa la seconda sezione (detenuti comuni) per lavori e quasi vuota la terza (lavoranti, ce ne sono solo trenta), resta l’Alta sicurezza. Centodieci reclusi di grosso calibro, tra i quali qualche ex “41 bis”. La domanda è: chi sarà collocato nella nuova ala che dovrebbe essere aperta tra un anno? “Con i 41 bis Badu ‘e Carros farebbe un salto qualitativo che forse sarebbe il caso di evitare. Le rivolgiamo la presente richiesta - scrive Mustaro al sindaco - sicuri che saprà dare una risposta certa, non solo a chi scrive, ma all’intera comunità locale che anche sul fronte carcere meriterebbe dallo Stato attenzione e sensibilità diverse. Non sono queste le eccellenze dei servizi pubblici che chiediamo dallo Stato italiano, che nel mentre sta portando via dal nostro territorio presidi storici e consolidati, le scuole, l’Università e con esse i nostri giovani e tutte le loro speranze. Non si può accettare in silenzio l’installazione di un nuovo braciere acceso”, conclude Mustaro. Per ora nessuno sa nulla. L’amministrazione comunale è stata informata dei lavori - che modificheranno in modo sostanziale anche la fisionomia architettonica del carcere - più per cortesia che altro. Così fa il ministero della Giustizia, una zona franca che - in tema di edilizia carceraria - non deve spiegazioni ad alcuno. Nulla sa il garante dei detenuti, Carlo Murgia. “Ho chiesto di visitare i padiglioni, mi è stato detto che non si può”. Il direttore Patrizia Incollu è tra gli ignari. “Nessuno è in grado di dirci con certezza chi andrà in quelle celle. Lo vedremo alla fine”. Forse non sarà un bel vedere. Cisl: non vogliamo detenuti al “41-bis” L’allarme che nel carcere di Nuoro, Badu ‘e Carros, possano tornare mafiosi e terroristi, è stato lanciato dalla Cisl Funzione pubblica di Nuoro in una lettera inviata al sindaco Sandro Bianchi, nella quale fra l’altro si spiega che sono in corso da diverse settimane, all’interno del carcere, consistenti lavori di sbancamento per la realizzazione di un nuovo padiglione detentivo. La Cisl ha chiesto al sindaco se “sia stato informato preventivamente di questo ampliamento” e “se sia stata definita la tipologia dei detenuti che dovranno andare ad occupare, forse fra un paio d’anni, il nuovo padiglione. Sarà un nuovo braccio detentivo per i così detti 41 bis, cioè in regime di sorveglianza speciale? Non sono queste le eccellenze dei servizi pubblici che chiediamo - ha sostenuto il sindacato - lo Stato sta portando via, dal nostro territorio, presidi storici e consolidati, le scuole, l’università e con esse i nostri giovani e tutte le loro speranze”. Negli anni in cui Badu ‘e Carros fu carcere speciale, fra i 70 e gli 80, conobbe rivolte sanguinose, con l’uccisione di boss e fiancheggiatori, presenze di terroristi di primo piano. Nel 2000 registrò anche l’unico vero tentativo (fallito) di fuga organizzato da Renato Vallanzasca. Sassari: dalla Camera Penale un atto di accusa durissimo; vita da bestie dietro le sbarre La Nuova Sardegna, 5 agosto 2010 È un atto di accusa durissimo che si conclude con una esortazione alla magistratura, Procura della Repubblica e Tribunale di Sorveglianza, a verificare le responsabilità di quanti potevano e dovevano intervenire per rendere dignitose le condizioni di vita dei detenuti nella casa Circondariale San Sebastiano. Invece non hanno fatto niente per evitare “il sovraffollamento ormai insopportabile, con i detenuti che patiscono gravissime lesioni al diritto alla salute, alla vita di relazione, alla partecipazione ai programmi rieducativi secondo i canoni sanciti dall’articolo 27 della Costituzione”. Giuseppe Conti, presidente della Camera penale “Enzo Tortora”, ieri ha depositato in cancelleria un esposto che elenca quindici punti critici sui quali è necessario fare chiarezza nella casa circondariale di San Sebastiano. Si va dall’adeguatezza delle strutture interne al carcere alla condizione di salute dei detenuti, dal rispetto degli spazi allo stato delle celle, dalle condizioni igieniche delle cucine alla modalità di svolgimento dell’ora d’aria. “Condizioni inumane - taglia corto il presidente della Camera penale - ben note alle istituzioni che avrebbero il dovere di intervenire per porvi rimedio”. “L’indagine che si invoca - scrive l’avvocato Conti - è indispensabile per verificare la sussistenza di eventuali reati conseguenti a omissioni, false attestazioni e violazioni di leggi che quotidianamente procurano ai detenuti un danno ingiusto”. Secondo il presidente della Camera penale “occorrerebbe verificare se tutte le autorità competenti, preso atto delle eventuali relazioni delle Asl o comunque della pubblica notizia del sovraffollamento e delle condizioni igienico-sanitarie, abbiano in concreto esercitato il potere-dovere di segnalazione e di intervento”. Quello aperto dalla “Enzo Tortora” è il fronte sassarese di una guerra dichiarata dall’Unione nazionale delle Camere penali per portare sotto la luce dei riflettori il pianeta carcere. Analoghi esposti sono stati presentati alla magistratura in tutta Italia. Terribile la descrizione delle condizioni della casa circondariale Sassarese. Conti ricorda la denuncia del Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria, sul degrado di uno stabile in grado di ospitare 150 reclusi e che invece nonostante l’inagibilità di un intero piano “ne ospita attualmente duecento”. “La gran parte delle celle - entra nel dettaglio il presidente Conti - afflitte da malsana umidità e infiltrazioni di acque maleodoranti, contengono un numero di detenuti superiore alla umana sopportazione (cubicoli con tre persone, celle da sei con otto detenuti, e celle da otto anche con dodici detenuti) con le immaginabili conseguenze sotto il profilo dell’igiene e della salute”. L’avvocato Conti scrive che per mitigare queste “bestiali condizioni di vita, da pochissimo tempo è consentito fare la doccia ogni giorno (e non sempre con acqua calda) in luogo delle precedenti tre settimanali. Tuttavia, per compensare tanto lusso, giova rammentare che nelle celle in cui vivono e mangiano i detenuti sono presenti anche i servizi alla turca”. Secondo il presidente della Camera penale, “le descritte condizioni igieniche minano e compromettono inevitabilmente la salute e l’equilibrio psicofisico dei detenuti in aperta violazione dei principi costituzionali, delle norme dell’ordinamento penitenziario e della legislazione speciale in materia di salute, igiene e distribuzione degli alimenti”. “La magistratura - conclude Conti - svolga in questo drammatico contesto il suo compito, investigando sulle violazioni di legge eventualmente commesse e individuando i responsabili”. Modena: Sindacati Polizia penitenziaria; politici danno i numeri, promessi 41 agenti e arrivati 24 Dire, 5 agosto 2010 Stop alla propaganda sul carcere Sant’Anna. Lo chiedono i sindacati modenesi Cgil e Uil della Polizia penitenziaria dopo che, si legge in una nota, “lo scorso anno, più volte hanno preso atto degli annunci di arrivi di nuovi agenti che si aggiungevano a quelli presenti oltre al trasferimento di 150 detenuti”. Forse “anche per effetto del clima elettorale, alcuni rappresentanti politici si sono cimentati a “dare i numeri” che poi nella realtà non sono stati confermati dai fatti”. In pratica, è stato annunciato l’arrivo di 41 nuovi agenti, ma “si è registrato l’arrivo di 24 agenti (8 donne e 16 uomini) in carne ed ossa. Si prende atto, quindi che esiste un numero di agenti 17 fantasma”. Questi, proseguono Cgil e Uil, “i numeri veri”: il “resto è solo propaganda”. I sindacati invitano “tutti gli esponenti politici modenesi ad una attenta riflessione sull’imminente pericolo per la sicurezza al carcere S. Anna visto che, con l’ampliamento dell’istituto, la popolazione detenuta sicuramente aumenterà mentre non si è a conoscenza di nessun incremento di agenti, peraltro già insufficiente per far fronte alla situazione attuale”. La situazione, poi, “ha risentito anche della discutibile gestione dell’istituto modenese e che ha contribuito notevolmente ad alimentare un clima di sfiducia tra i lavoratori della polizia penitenziaria che si auspica possa migliorare con la nomina, al più presto, di un nuovo dirigente”. Nel contempo, conclude il comunicato, “per quanto riguarda l’eventuale annuncio di nuovi agenti dei quali è innegabile la necessità sarebbe opportuno parlarne eventualmente solo se in possesso di dati certi, anzi sarebbe meglio dopo l’arrivo degli agenti per evitare situazioni a dir poco imbarazzanti”. Barbolini (Pd): le promesse non mantenute del centrodestra Il sen. Barbolini del Pd replica alle affermazioni di esponenti del centrodestra sulla dotazione d’organico del personale di custodia al carcere di Sant’Anna. “Come al solito, i rappresentanti del centrodestra, anche davanti all’evidenza dei numeri, raccontano cose non vere, dimenticandosi degli impegni assunti e delle promesse non mantenute. Per questo riteniamo sia utile rinfrescare la memoria con alcuni dati incontrovertibili riguardanti le dotazioni di organico del carcere di Sant’Anna. 1) L’entità degli agenti di custodia promessi era di 40 agenti effettivi di pianta organica (e non in missione come quelli arrivati in gennaio) che quindi avrebbero dovuto prestare servizio permanente al carcere di Sant’Anna; 2) Parte di quei 21 agenti (20, ad essere più precisi, perché un’agente donna non è arrivata) citati dai consiglieri Aimi e Leoni in realtà non sono stati assegnati in via definitiva al carcere di Modena ma si sono limitati a tamponare momentaneamente la situazione; 3) La promessa di trasferire 150 detenuti in altre sedi - ribadita più volte da esponenti del centrodestra - non è stata mantenuta; 4) Quindi i dati forniti dal Pd in conferenza stampa sono reali e confermati in tutta la loro gravità mentre quelli forniti dai rappresentanti del Pdl sono inesatti e mirano, ancora una volta, a manipolare la verità. Un’ultima considerazione: sarebbe bene che gli esponenti modenesi del centrodestra badassero di più alle richieste del territorio e della comunità di appartenenza invece di fare gli avvocati delle cause perse (che sono tante) del governo. Un governo più preoccupato di approvare leggi per mettere “in sicurezza” il premier che di dare risposte alla domanda di sicurezza dei cittadini”. Leoni (Pdl): Barbolini come il Titanic, di gaffe in gaffe affonda inesorabilmente “Barbolini come il Titanic. Di gaffe in gaffe affonda inesorabilmente. Non contento di aver rimediato una superfiguraccia spaziale dicendo che non era arrivato neanche un agente della Polizia Penitenziaria al carcere di Modena ora ammette che ci sono”. Il Consigliere regionale del Pdl Andrea Leoni replica alle dichiarazioni del Senatore Pd rilasciate oggi. “Cerchiamo di ricapitolare per provare a stare dietro agli infortuni barboliniani. Solo pochi giorni fa, secondo il Senatore Pd, non era arrivato neanche un agente ora invece ammette che ne sono arrivati ben 20. Di questo passo tra un paio di giorni alla prossima rettifica confesserà che effettivamente ne sono arrivati trenta tra l’ottobre 2009 e il febbraio 2010. Per quanto riguarda poi il trasferimento dei 150 detenuti, l’ordine del Ministero è arrivato al provveditore regionale che fatto le sue valutazioni trasferendone 50 dal carcere di Modena e 100 da quello di Bologna. Quindi nessuna responsabilità politica. Ci sarebbe invece da chiedersi quanti agenti sia mai riuscito a portare al carcere di Modena il Senatore Barbolini quando governava la sinistra. La credibilità di Barbolini era già scarsa dopo la prima boutade dei giorni scorsi ma di questo passo sta andando sottozero. Nel Pd non sanno davvero cosa inventarsi e prendono portate in faccia degne di Fantozzi. La verità è un’altra. Ci sono troppi stranieri per lo più clandestini nel carcere di Modena. E questa situazione è piena responsabilità delle politiche pro immigrati delle Amministrazioni locali che richiamano a frotte chi non è in regola. Fino a quando Comune, Provincia e Regione governate dalla sinistra avranno questo atteggiamento paternalistico e buonista nei confronti di chi non dovrebbe stare sul nostro territorio le rigorose politiche di contrasto all’immigrazione clandestina messe in campo dal Governo Berlusconi rischiano di essere vanificate nei nostri territori. È bene che i modenesi lo sappiano”. Livorno: Uil-Pa; detenuto in “Alta Sicurezza” tenta il suicidio, salvato da un agente Il Velino, 5 agosto 2010 “Nel turno serale di ieri, un detenuto di nazionalità italiana ha tentato di togliersi la vita impiccandosi nella propria cella. Ma, grazie alla celerità dell’agente in servizio presso il reparto Alta Sicurezza, l’insano gesto non si è concretizzato”. Così il segretario provinciale Uil Pa Penitenziari di Livorno, Mauro Barile. “Sebbene si faccia sentire la forte carenza di personale, che via via assume seria connotazione, gli agenti - spiega Barile - della casa circondariale di Livorno riescono ancora ad avere lucidità, capacità lodevolmente reattiva. L’episodio registratosi il 4 agosto, ha rischiato di trovare una collocazione nell’inquietante lista nera degli eventi critici censiti”. Il segretario provinciale rivolge “un meritato elogio al collega intervenuto per primo che, nella consapevolezza che una vita umana potesse dipendere solo da egli stesso e considerando anche i fenomeni emotivi, che circostanze analoghe possono suscitare, in una sorta di corsa contro il tempo è sopraggiunto con tempestività, portando a termine il soccorso in modo encomiabile”. Barile dice, inoltre, che “nonostante le provocazioni e le denigrazioni speculative, che si ricevono da parte di alcuni organi di stampa, teniamo orgogliosamente a dichiarare di essere capaci di dimostrare competenza e peculiarità nell’esercizio delle nostre funzioni, malgrado si lavori al di sotto della soglia tollerabile e in situazioni emergenziali, notizie che non destano interesse nell’informazione”. Ad incuriosire l’esponente dell’Uil Pa Penitenziari è “sapere quale opinione si sia fatta l’amministrazione penitenziaria delle contingenti condizioni lavorative e se mai concretizzerà quanto divulgato sul risanamento degli organici, sapendo di dover forzare i c.d. equilibri”. Mauro Barile ricorda di aver più volte denunciato che la carenza di risorse umane non permette più di operare in sicurezza. “È inevitabile - conclude - che l’amministrazione penitenziaria debba dare dovuto ascolto alle nostre richieste. Siamo giunti da tempo a dover assicurare il massimo risultato con il minimo dispendio di riserve. Teoria, questa, mai condivisa, ma, in modo irragionevole, viene costantemente imposta”. Pescara: progetto di reinserimento sociale per quattro detenuti del carcere di San Donato Il Centro, 5 agosto 2010 Recuperare i detenuti della casa circondariale e favorire il reinserimento sociale con lavori di pubblica utilità, formazione teorica e attività di manutenzione urbana. È la sfida lanciata dalla direzione del carcere di San Donato, insieme alla Caritas e all’assessorato ai Lavori pubblici. Il progetto pilota è articolato in tre fasi della durata di due mesi ciascuna e coinvolgerà quattro detenuti del carcere cittadino. Lo start up è previsto tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, con una prima tranche destinata alla cura e alla pulizia di parchi e giardini pubblici della città. Dopo entrerà in gioco il Formedil, l’ente professionale per la formazione in campo edilizio, con il progetto Senapa, diviso a sua volta in due tronconi: un corso teorico bimestrale, che prevede il conseguimento di un attestato professionale, precederà l’esperienza pratica. Alla fine delle lezioni i detenuti saranno in grado di occuparsi, per conto del Comune, di piccoli lavoretti di manutenzione urbana: ripristino di cartelli stradali, sistemazione di buche e mattonelle dissestate. Con loro ci saranno quattro operai capisquadra e otto volontari, ossia “persone ultracinquantenni che hanno perso il lavoro e, al termine delle attività, riceveranno un indennizzo economico”, precisa l’assessore ai Lavori pubblici Alfredo D’Ercole. Il costo complessivo del progetto è di ventimila euro. La speranza, condivisa da Don Marco Pagniello, responsabile della Caritas, e dall’arcivescovo monsignor Tommaso Valentinetti, è che “non si limiti ad essere un’iniziativa pilota, ma possa andare avanti per generare percorsi di recupero sociale”. Come sottolinea Franco Pettinelli, direttore del penitenziario, il modello teorico di riferimento è quello della giustizia ripartiva, che supera la logica punitiva e fa ricorso al superamento del conflitto tra il reo e le istituzioni, con la riparazione del danno e la conciliazione con le vittime. “Dopo le lezioni teoriche”, spiega Pettinelli, “i detenuti lavoreranno all’esterno come previsto dall’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario”. Lucca: il Comune finanzia il “Gruppo volontari carcere” per fornitura servizi a detenuti ed ex Il Tirreno, 5 agosto 2010 Confermato l’accordo (da 52mila euro l’anno) fra Comune e Gruppo volontari carcere per gli interventi a favore dei detenuti, degli ex detenuti e delle persone in regime di semilibertà. Già da qualche anno il settore sociale del Comune si avvale dei servizi del Gruppo volontari carcere con risultati ritenuti soddisfacenti. Perciò anche per il 2010 verrà sottoscritta la convenzione che consentirà al Gruppo di garantire alcuni servizi a detenuti ed ex detenuti. Fra questi c’è “l’accoglienza e ospitalità nella casa S. Francesco (all’interno dell’ex convento, appena venduto dal Comune alla Fondazione Crl) a persone uscite dal carcere o che si trovino sotto misure alternative alla pena detentiva; attività di ascolto nella casa S. Francesco e all’interno del carcere; attività educative per gli ospiti della casa S. Francesco, attività di cultura e tempo libero all’interno del carcere di San Giorgio”. Inoltre fra i servizi che il Gruppo volontari dovrà erogare ci sono anche “gli interventi straordinari urgenti a favore di persone rilasciate, come il reperimento di alloggio o l’acquisto di biglietti per spostamenti e buoni pasto”. Avellino: la sfida del Consorzio Alta Irpinia per dare assistenza sociale ai detenuti Asca, 5 agosto 2010 Le condizioni dei detenuti, le attività psicopedagogiche, i corsi di formazione e i reinserimenti lavorativi sono stati i temi dell’incontro tenutosi nella casa circondariale di Sant’Angelo dei Lombardi, dal Direttore Massimiliano Forgione e dal Direttore del Consorzio dei Servizi Sociali Alta Irpinia Giuseppe Del Giudice. L’incontro ha fornito l’occasione per avviare una collaborazione tra la casa circondariale e il Consorzio altirpino. Al termine, grande soddisfazione è stata espressa dal Direttore Del Giudice che, dopo aver ascoltato le numerose iniziative ed i tanti progetti messi in campo dall’amministrazione penitenziaria, ha assicurato, grazie alla disponibilità del consiglio di amministrazione, che metterà a disposizione dei detenuti il servizio sociale professionale. Sarà un servizio finalizzato alla promozione del benessere psicologico e dell’inclusione sociale delle persone in carcere. “Lavoreremo in stretta sinergia - ha dichiarato Del Giudice - affinché si contrasti la marginalità dei detenuti e si rafforzi la rete dei soggetti sociali e perché cada il muro della diffidenza nei confronti di tutte quelle persone che provengono da un percorso giudiziario”. Venezia: detenuto iraniano accusato di violenza sessuale; se espulso rischia la pena di morte La Nuova di Venezia, 5 agosto 2010 Se torna in Iran può rischiare la pena di morte e per questo il giudice ha scritto che il cameriere iraniano in carcere con l’accusa di aver violentato una 18enne norvegese non deve essere rimandato nel suo paese. Ma la Lega Nord ha lanciato una campagna politica contro di lui. Prima il senatore Piergiorgio Stiffoni ha lanciato un appello ai giudici veneziani sostenendo che “la magistratura deve dare un segnale alla cittadinanza e rispedire l’iraniano al suo paese dove sicuramente troverà la giusta pena per questi delitti” e l’esponente del Carroccio si riferisce alla pena di morte con cui a Teheran si puniscono i delitti sessuali. Ieri è intervenuta anche la presidente della Provincia Francesca Zaccariotto, che ha espresso la sua solidarietà alla famiglia della giovane turista, “richiamando la necessità di pene severe verso questo tipo di delinquenti”. Ma ieri, lo stesso magistrato che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il 31enne iraniano, elencando gli indizi nei suoi confronti, ha espressamente vietato la sua estradizione. A chiederla è stata la Questura, grazie alle recenti norme che prevedono il rimpatrio di cittadini extracomunitari imputati ancor prima che si concluda il processo di primo grado, che naturalmente può finire con una condanna, ma anche con un’assoluzione. Il giudice veneziano Antonio Liguori non solo avrebbe ricordato che il cittadino iraniano ha ottenuto lo status di rifugiato per motivi politici e umanitari, ma che se tornasse nel suo paese, dove è in vigore la pena di morte come in altre nazioni anche occidentali, la sua vita sarebbe in pericolo, come dimostrano le numerose condanne a morte, e questo non è permesso dalla legge italiana. Il cameriere del bed & brekfast “Absolute Venice” non solo si è difeso, negando di aver violentato la giovane. Ha spiegato che era stato chiamato da lei e dall’amica in camera loro per sistemare una tenda e ha raccontato che la giovane si era addormentata di colpo perché aveva bevuto e quando lui l’ha risvegliata si è messa ad urlare non riconoscendolo più. Ma ha anche aggiunto che ha ottenuto lo status di rifugiato perché omosessuale, visto che in Iran sono discriminati e rinchiusi nelle carceri. Affermando che non ha mai avuto rapporti sessuali con le donne e che non è attirato da loro e quindi neppure dalla 18enne norvegese. Per il giudice, che ha ritenuto credibile il racconto della ragazza, gli indizi gravi e sufficienti per tenerlo in carcere c’erano, ma avrebbe anche scritto che sono necessari ulteriori accertamenti. Medio Oriente: dal 1967 ad oggi gli israeliani hanno arrestato 12.000 minori palestinesi Infopal, 5 agosto 2010 Nuovi dati rivelati dal ministro per gli Affari dei detenuti del governo di Ramallah affermano che gli occupanti israeliani hanno arrestato 12.000 minori palestinesi dall’anno 1967, e che sono 300 i ragazzi al di sotto dei diciott’anni ad essere attualmente rinchiusi nelle loro carceri. Questi, secondo il ministro ‘Isa Qaraqè, “sono sottoposti a torture ed estorsioni, oltre che a provvedimenti giudiziari iniqui in occasione dei processi”. Tutto questo, ha ricordato il ministro durante l’apertura del Campo della libertà per i prigionieri nel villaggio di az-Zaytuna - vicino a Bayt Jala -, viola apertamente l’Accordo internazionale sui diritti del minore, che stabilisce il divieto di arrestare chiunque non abbia raggiunto la maggiore età. “L’obiettivo che cerca di raggiungere Israele arrestando i ragazzini è la distruzione totale delle nuove generazioni” ha dichiarato Qaraqè, aggiungendo che il 90% di loro subisce torture e punizioni “esemplari” durante l’arresto e la prigionia.