Rettifica: nota Coordinamento Magistrati Sorveglianza su chiusura degli Opg è dello scorso anno Ristretti Orizzonti, 4 agosto 2010 La nota del Coordinamento nazionale dei Magistrati di Sorveglianza (Conams), a cui alcuni organi di stampa hanno dato risalto nei giorni scorsi, collegandola all’ispezione eseguita dalla “Commissione Marino” negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, risale allo scorso anno, quando l’inchiesta della Commissione parlamentare doveva ancora essere avviata. Ieri al riguardo abbiamo riportato un’agenzia dal titolo “Il Coordinamento Magistrati Sorveglianza preoccupato per progetto chiusura Opg”, che come detto non ha alcun carattere di attualità. Ci scusiamo per il disguido. Giustizia: nelle carceri un’emergenza che non fa notizia, perché è invisibile al mondo di Alessandro Pallaro www.politicamentecorretto.com, 4 agosto 2010 “Le carceri scoppiano, gli istituti di pena non ce la fanno più”. Quante volte abbiamo letto queste parole? Quante volte abbiamo sentito parlare di carceri inadeguate, di strutture fatiscenti, di sistema ingolfato? Fu Papa Giovanni Paolo II che, nel giugno del 2000, iniziò a riaprire la questione dell’amnistia dopo anni di silenzio sul tema. Fu lui a intervenire sull’esigenza impellente che questo nostro Paese aveva di adottare misure deflattive per un sistema penitenziario che stava andando verso il pieno collasso. Allora, i numeri erano stratosfericamente lontani da quelli che ci troviamo a rappresentare ora. Lui, però, parlava di detenuti, di persone rinchiuse, con un pensiero a quanti, famiglie, amici ma anche agenti penitenziari, vivevano la dimensione carceraria come una realtà quotidiana. Dal 2000, il fascicolo “amnistia” ha sfiorato gli scranni vellutati del Senato della Repubblica giusto qualche volta, per approdare definitivamente nel 2006 (dopo 6 anni di tentennamenti) sul tavolo del Governo, col beneplacito della parte avversa e il dissenso di Antonio Di Pietro e di qualche fedele della destra più intransigente. Sia ben chiaro: di clemenze in passato ce ne sono state, e tante. Di solito, tra una legislatura e l’altra. Ma sempre accompagnate dalla totale e piena consapevolezza politica che quel gesto rappresentava. Nel 2006, l’indulto - che, ricordiamo, non elimina il reato, ma solo la pena del condannato - ha segnato un’epoca di grandi speranze, ha ipotecato un’era di forti cambiamenti. Quel progetto di legge ha svuotato per metà gli istituti di pena. A beneficiarne sono stati poco più di 27 mila persone, sulle 59.523 che erano i detenuti al 31 dicembre del 2005, alleggerendo sì il sistema, ma ingolfando le aule giudiziarie vista la perentorietà di celebrare comunque i processi secondo il codice di procedura penale. Due anni di cambiamenti e stravolgimenti politici, ma l’emergenza oggi è ancora lì. Un appuntamento mancato, quello del 2006, tanto vano da polverizzare, in soli 24 mesi, tutto il vantaggio ottenuto da un provvedimento che aveva l’ardire di recuperare carenze strutturali, disguidi organizzativi e dare una boccata di ossigeno al sistema. Ma certe “cambiali”, si sa, in un modo o nell’altro bisogna saldarle. Le hanno pagate, come al solito, i cittadini: detenuti e agenti penitenziari, reclusi e guardie. Due realtà della stessa medaglia, due entità tipiche, agli antipodi di un ‘guadò rispetto a quanti con il carcere non c’entrano assolutamente nulla. Ma è poi così vero che col carcere noi cittadini non c’entriamo assolutamente nulla? Dal 2006, ormai in pochi ne parlano, trattando il fenomeno senza conoscere veramente l’argomento: sono anni che sentiamo dire che la situazione è drammatica, che urgono provvedimenti. E c’è sempre il politico di turno che se ne viene fuori con la ricetta magica del momento. Del momento, appunto. Il disinteresse verso il problema carcerario rimane ancora oggi legato a una serie di fattori che comprendono il linguaggio (e chi utilizza quel linguaggio), l’analisi poco obiettiva dei problemi dei detenuti e degli operatori, la forte politicizzazione (schierarsi con il detenuto non sempre vuol dire schierarsi con il più debole) e il fatto che l’argomento non venga affrontato con un approccio unico: viene considerato solo l’ambiente e non anche i protagonisti che popolano quell’ambiente. Il problema del sovraffollamento - quella particolare condizione che attualmente stanno vivendo circa 68 mila persone, rinchiuse in spazi stretti e quasi asfissiaci - non buca il muro dell’informazione. A meno che non accadano casi di morti eclatanti, aggressioni, suicidi o episodi di automutilazione. L’essenza del problema sta tutta lì: una scarsa attenzione dell’opinione pubblica verso una dimensione troppo lontana dalla realtà che vive quotidianamente. Ma così stanno veramente le cose? Ora, direbbe qualcuno, che utilità c’è a parlare di carceri, che efficacia deriva dal sensibilizzare l’opinione pubblica verso un dramma che coinvolge comunque pochi soggetti? In fondo, quanta gente è interessata? Con un rapido sondaggio, proprio come farebbe la casalinga con le mele e le patate, abbiamo calcolato che tra persone recluse, familiari, parenti e amici, avvocati, magistrati e personale dell’amministrazione giudiziaria, soggetti legati ad associazioni di volontariato, insegnanti, religiosi, esperti e consulenti, personale della Polizia penitenziaria e personale - a cui si possono aggiungere i familiari - oggi arriviamo a contare 700/800 mila persone legate al fenomeno. Ottocentomila cittadini del nostro Paese: poco più dell’uno per cento del totale della popolazione italiana. Il dato assume un valore ancor più significativo se confrontato con quello di altri settori della società civile, come la scuola o la sanità, che interessano praticamente a tutti. Pertanto, rispondendo al quesito di cui sopra: a chi interessa il carcere? A nessuno, probabilmente, se questo ragionamento lo proponiamo con il crudo metodo dei numeri. Ma se tentassimo un altro tipo di approccio, se imboccassimo tutt’altro percorso logico, ci accorgeremmo che il fenomeno può assumere altri connotati. Noi consideriamo il carcere come se fosse la nostra “pattumiera”. In fondo, a livello sociale è così: emblematiche sono le espressioni attribuite a un detenuto come “rifiuto della società”. In questo caso, la questione assume un valore trascurabile, poiché nel “menage” familiare occupa poco spazio a livello gestionale: ci si deve solo preoccupare di non tenere troppo a lungo la spazzatura dentro casa e di buttarla ogni santa mattina. Ma cosa succede quando i rifiuti si accumulano e magari si vive in un monolocale o in spazi ridotti? O non si consuma, con la paura di non ingolfare il piccolo appartamento e ci si mette nell’ordine di idee per essere più ordinati e puliti. A mali estremi, estremi rimedi: ci si trasferisce in un appartamento più grande. Intendiamoci, di spazzatura vera, in qualche regione del sud si è vissuta un’emergenza che adesso si direbbe del tutto risolta. Ma per il sistema carcerario, i numeri ci dicono che il problema è del tutto irrisolto e che, nel vivo della bella stagione, l’emergenza rischia di trasformarsi in tragedia (provate a immaginare in che modo vivono, a livello igienico-sanitario, 8 persone strette in una cella di pochi metri quadrati, soprattutto quando fa caldo...). I sovraffollati penitenziari italiani (come abbiamo detto, oltre 68 mila presenze su una capienza regolamentare di 44.236 posti letto e un limite tollerabile di 66.979 unità) ci dicono che la situazione non è più sostenibile. Ed è un bel po’ che la situazione è così. Dall’ultimo provvedimento di clemenza, un’inesorabile e costante escalation di affluenza ha riportato di fatto i numeri ai drammatici standard del passato. E, paradosso dei paradossi: in passato si stava anche meglio. Ciò vuol dire che il limite, il punto di non ritorno, è stato più che superato. Non stiamo parlando solo di affluenza, ma anche di strutture comunque fatiscenti, di un turnover che toglie sempre più personale di servizio. Gradualmente, ciò ha generato un sistema dove i suicidi si susseguono implacabilmente (dall’inizio di quest’anno, siamo arrivati già al 39mo) e di cui nessuno oramai di scandalizza, perché è normale, come normale è pensare che, per una discarica umana, l’unico provvedimento necessario sia quello di svuotare il pattume o costruire altri siti. La crisi carceraria è un’emergenza che non fa scandalo, perché non “puzza”, a differenza dell’emergenza rifiuti in Campania o a Catania. Non scuote le coscienze, non drammatizza, perché non se ne sente il “lezzo”. Non si percepisce perché non è visibile: nessun cronista la racconta. D’altra parte, non si può andare sul posto, come accaduto a Napoli, e girare filmati per i vicoli dei quartieri spagnoli. Le telecamere non sono ammesse nei reparti di detenzione e, seppur qualche telegiornale entra nei “bracci”, ciò che vede è quello che l’amministrazione penitenziaria vuole far vedere, come se ci fosse una “scaletta” già prefigurata: il detenuto che soffre, il poliziotto con le chiavi in mano, il disagio umano e sempre celle singole. Di detenuti tossicodipendenti non se ne vede l’ombra nei reportage, gli extracomunitari si ammazzano e si organizzano in bande, ma in tv niente, non se ne sa nulla. Ad ogni modo, il carcere non è una discarica a cielo aperto, non esistono persone che manifestano, non s’impedisce l’ingresso dei tir di raccolta, come è avvenuto a Chiaiano. Nelle nostre prigioni si racconta, da anni, sempre lo stesso disagio. Si racconta, ma non lo si risolve. La domanda allora ritorna prepotentemente: perché non rendere conto di ciò che accade lì, perché non portare avanti una battaglia di democrazia nei confronti di una politica cieca, che considera ancora la questione come fosse legata solamente agli spazi da costruire (il cosiddetto piano carceri)? Perché non esporre la condizione del detenuto come legata, a doppio filo con quella del poliziotto penitenziario? Perché non porre l’accento sulla sicurezza delle carceri quale questione di interesse nazionale, se non di sicurezza nazionale? Perché non sottolineare continuamente, come fosse un mantra, la condizione di vita di chi è costretto a ridursi a brandelli perché spera di essere portato in infermeria, di poter prendere degli antidolorifici o dei farmaci, o anche solo per poter fumare una sigaretta? Perché? Come ha sostenuto Adriano Sofri in una recente intervista pubblicata giorni fa su l’Espresso: “La realtà è che nelle carceri italiane c’è la tortura. Non in senso generico o metaforico, proprio in senso tecnico. A queste condizioni, anche senza botte o provocazioni volontarie, l’istituzione si configura come una tortura di Stato. Per cui, se esiste un torturato, esiste anche un torturatore. E il torturato”, precisa ancora Sofri, “a parte il detenuto può essere individuato di diritto anche nella figura dell’agente penitenziario”. Per quanto riguarda invece il torturatore, ci permettiamo di sostenere, insieme a Sofri, quanto sia necessario cambiare direzione e orientarci su altri soggetti che in questo Paese hanno un potere politico e con i quali, sia il detenuto, sia la guardia carceraria devono fare i conti. Autorità che non intendono, che non comprendono, che fanno del problema un puro e semplice argomento di discussione in sede di convegni. “Quella stessa gente che, per cattiveria o imbecillità - spiega Sofri - studia e attua leggi che spediscono in carcere persone che non ci dovrebbero andare (come per esempio la legislazione sulle droghe, quella sull’ordine pubblico e sull’immigrazione di recente approvazione in Parlamento). E che non prende alcuna misura per evitare la situazione tragica a cui le condanna”. Ci interroghiamo sull’utilità del carcere. Ma poi, molto perentoriamente, ci stupiamo del fatto che quel particolare articolo della Costituzione (art. 27, terzo comma) non venga più rispettato. Il carcere non “buca”, non interessa a nessuno, non fa scandalo, apparentemente, non investe questioni politiche primarie: il carcere non piace, perché non puzza. Giustizia: le carceri costano 2,5 miliardi l’anno, ma per “rieducare” i detenuti solo briciole di Ilaria Sesana Avvenire, 4 agosto 2010 La pena “deve tendere alla rieducazione del condannato”. È quanto prevede il terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione. In concreto, significa che ai detenuti devono essere offerte una serie di possibilità (attraverso lo studio, la formazione e l’avviamento al lavoro, ad esempio) per arrivare al “fine pena” con la concreta possibilità di non tornare più in carcere. Un obiettivo estremamente impegnativo, forse il più importante, cui dovrebbe tendere l’intero sistema carcere. Che però può contare su una dotazione economica irrisoria: meno di venti centesimi al giorno per detenuto a fronte di una spesa complessiva giornaliera di 113 euro per ogni persona che si trova dietro le sbarre. È quanto emerge da uno studio realizzato dal centro studi Ristretti Orizzonti del carcere Due Palazzi di Padova, sulla base dei dati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, dalla Corte dei Conti e dal ministero della Giustizia. Numeri che permettono di avere un’idea sul costo del sistema penitenziario nel suo complesso: 2 miliardi e 204 milioni nel 2010. “Per quanto riguarda la rieducazione, la spesa risulta a livelli irrisori - spiegano da Ristretti Orizzonti. Nel trattamento della personalità e assistenza psicologica vengono investiti ben otto centesimi di euro al giorno. Appena maggiore il costo sostenuto per le attività scolastiche, culturali, ricreative e sportive, pari a 11 centesimi al giorno”. È con questi soldi che si dovrebbero pagare, ad esempio, gli psicologi che, nella quasi totalità, lavorano in convenzione con l’amministrazione penitenziaria e che possono giocare un ruolo fondamentale nella prevenzione dei suicidi. “Nel 2008 la spesa per il carcere ha segnato il massimo storico, con quasi 3 miliardi di euro”, spiegano ancora da Ristretti Orizzonti. Ma nel 2010, per effetto dei tagli imposti dalla Finanziaria del 2008 e del 2009 e della sottrazione di 80 milioni di euro relativi all’assistenza sanitaria diventata di competenza del ministero della salute, la spesa fa segnare il minimo storico, con 2 miliardi e 204 milioni di euro. “Così mentre il sovraffollamento ha raggiunto livelli mai visti - denuncia Ristretti Orizzonti - la spesa media giornaliera pro capite è passata dai 198 euro del 2007 ai 113 di oggi”. A fare la parte del leone (80% del budget) sono i costi relativi al personale: polizia penitenziaria, amministrativi, dirigenti, educatori etc.) mentre solo il 13% del budget è destinato al mantenimento dei detenuti: vitto, corredo, istruzione e assistenza sociale). E c’è poi un’altra voce di spesa molto importante ma che conta su una dotazione economica ridotta: le cosiddette mercedi dei lavoranti, cioè i compensi per i detenuti addetti alle pulizie, alle cucine e alla manutenzione ordinaria. “Il fabbisogno stimato per il funzionamento dei servizi domestici sarebbe di 85 milioni di euro all’anno - concludono da Ristretti Orizzonti - ma per il 2010 ne sono stati stanziati solo 54”. Risultato: i pochi scopini e spesini che lavorano si sono visti ridurre gli orari (e i compensi) mentre nelle carceri domina la sporcizia e l’incuria. Giustizia: da Milano a Trapani… l’assurdità di uno “sfollamento” a una settimana dal fine pena di Ilaria Sesana Avvenire, 4 agosto 2010 Uno dei tanti paradossi delle carceri italiane. Uno “sfollamento” di una trentina di detenuti dal carcere di Opera (Milano) a quello di Favignana (Trapani) quando, a queste persone, mancava solo una settimana al termine della pena. “Una traduzione, cioè uno spostamento, costa dai 3 ai 4mila euro a detenuto”, denuncia Salvo Fleres, Garante dei detenuti della Sicilia. Un caso singolo che però sintetizza gli sprechi e le difficoltà di gestione del sistema carcere. Alle prese con numeri record: al 30 giugno scorso i detenuti presenti erano 68.278, a fronte di una capienza regolamentare di 44mila unità. Una situazione particolarmente difficile è quella siciliana dove non solo il sovraffollamento ha raggiunto livelli drammatici (8.207 detenuti stipati in spazi pensati per 5.193) ma le strutture sono spesso fatiscenti, come ha denunciato, in più occasioni, lo stesso garante. A Catania piazza Lanza e all’Ucciardone di Palermo la situazione strutturale è pessima, mentre quello di Favignana è un vero e proprio lager con celle situate sotto il livello del mare. E il caldo rende le condizioni di vita per i detenuti ancora più insopportabili soprattutto in quelle strutture dove, spesso, manca persino l’acqua. In Sicilia, come a San Vittore. Nel penitenziario milanese infatti i detenuti sono più di 1.600 a fronte di una capienza effettiva di 712 posti: “Siamo di fronte a una situazione di sofferenza incredibile - denuncia il garante dei detenuti di Milano, Giorgio Bertazzini - E con l’estate si assiste a una cronica carenza d’acqua: ci sono difficoltà nel pompaggio e nelle celle arrivano poche gocce al mattino e alla sera”. Per limitare i danni, i detenuti mettono i secchi sotto le tubature corrose. In una situazione del genere, parlare di rieducazione o reinserimento pare quasi utopia. A San Vittore (come in molte altre carceri) l’unico obiettivo è sopravvivere, malgrado gli sforzi dei volontari. E anche le ore d’aria si riducono sempre più, a causa della carenza di agenti di polizia: i detenuti trascorrono anche 20 ore al giorno in quelle che il regolamento definisce “camere di pernottamento “. La situazione è grave anche nei 14 istituti penitenziari del Lazio (6.200 i reclusi, 1.600 in più rispetto alla capienza regolamentare), come denuncia il garante Angiolo Marroni: “Iniziano a scarseggiare beni di prima necessità come sapone e quanto serve alla cura dell’igiene intima”. A Cassino e Civitavecchia, ad esempio, sono finite le scorte di carta igienica ma in tutte le strutture della Regione si registrano problemi legati alla carenza di materiale, con docce insufficienti e temperature altissime. “Abbiamo il timore - conclude il garante - che questa situazione unita alla calura e al sovraffollamento, possa portare a un peggioramento delle condizioni sanitarie nelle carceri. Con il rischio che aumentino i focolai di malattie da contatto come la scabbia”. Il carcere, così come lo vediamo oggi, “non è una catastrofe naturale, ma la conseguenza di leggi che portano dietro le sbarre persone tossicodipendenti, poveri e disadattati”, è la denuncia del garante dei detenuti di Firenze, Franco Corleone. Le situazioni più critiche in Toscana sono quelle registrate nelle grandi città (Firenze, Livorno, Pisa e Prato), oltre che nell’ospedale psichiatrico di Montelupo. A dare una dimensione della gravità della situazione sono i numeri degli atti di autolesionismo (900) e dei tentati suicidi (155) registrati nel 2009. “Numeri sempre più alti - conclude Corleone. Gesti estremi di persone senza speranza cui è rimasto un unico linguaggio: ferirsi e tagliarsi”. Giustizia: Sappe; impiegare i militari per la sorveglianza dei muri di cinta delle carceri Adnkronos, 4 agosto 2010 “Per tamponare l’emergenza carceri una prima soluzione tampone potrebbe essere quella di far fronte alla grave carenza di personale di Polizia Penitenziaria con l’impiego di 5 mila militari per la sorveglianza dei muri di cinta delle carceri oggi quasi completamente sguarniti proprio per la mancanza di agenti della Penitenziaria”. È quanto afferma Donato Capece segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) sottolineando inoltre la necessità di una riforma del Corpo, “indispensabile al riassetto gerarchico e funzionale della Polizia Penitenziaria a quasi vent’anni dalla precedente riforma”. Capece ha evidenziato un altro aspetto fondamentale: “Non si può fare sicurezza senza un’adeguata formazione ed aggiornamento professionale: quella che attualmente ci propina la Direzione Generale del Personale e della Formazione del Dap è vecchia di trent’anni ed è abbondantemente superata. Vi è quindi l’indifferibile necessità di elevare la funzionalità del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, - ha continuato Capece - dotandolo di strumenti organizzativi che lo rendano efficiente e in grado di garantire una razionale distribuzione delle risorse di cui dispone. Questo obiettivo non può prescindere da una più adeguata organizzazione del Corpo di Polizia penitenziaria. Occorre dunque garantire la piena funzionalità della Polizia penitenziaria, con l’istituzione della Direzione generale del Corpo, in seno al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, per raggruppare tutte le attività ed i servizi demandati alla quarta Forza di Polizia del Paese”. Giustizia: Osapp; a fine agosto avremo 69mila detenuti, ferie a rischio per il personale Vita, 4 agosto 2010 “Al 31 luglio i detenuti avevano superato la soglia delle 68 mila presenze, ciò vuol dire che a fine mese raggiungeremo anche il limite estremo dei 69mila”. È la denuncia che fa il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, della situazione dei penitenziari italiani. “In un momento quale quello attuale servirebbero provvedimenti urgenti intesi ad alleviare tensioni e disagi nelle carceri sia per i detenuti e sia per il personale - afferma Beneduci - e invece, al Dap e al ministero della Giustizia, pensano bene di ingolfare gli istituti, e gli uffici matricole, in vista di una legge, quella della detenzione domiciliare per i reclusi con un residuo di pena non superiore un anno, che tra l’altro, viste le burrasche politiche degli ultimi tempi difficilmente andra’ in porto nell’attuale stesura”. “Comunque - prosegue Beneduci - tenuto conto che la possibilità di ottenere la detenzione domiciliare, così come prevista nel disegno di legge, riguarderebbe principalmente la particolare tipologia dei detenuti italiani già tossicodipendenti, dopo le prime uscite dal carcere, non è difficile immaginare ulteriore sovraffollamento per i non improbabili rischi di evasione dal domicilio e di recidiva”. “Nonostante ciò, il capo del Dap ha incaricato le direzioni degli istituti, attraverso i Provveditori e la direzione degli uffici di esecuzione penale esterna, di monitorare tutte le situazioni di particolare crisi attinenti i detenuti che dovranno usufruire dei vantaggi della legge. Ciò significa - spiega Beneduci - effettuare un delicato e articolato lavoro di screening, su tutto il territorio nazionale, di tutti i condannati: predisporre elenchi dei potenziali fruitori, favorire momenti di incontro e colloquio con le rispettive famiglie, con i rischi di tentativi di evasione come avvenuto a Firenze-Sollicciano”. “Gli uffici matricola, si legge nel provvedimento, cureranno la compilazione degli elenchi dei detenuti con pena da eseguire e laddove manchino le informazioni necessarie - sottolinea Beneduci - il personale incaricato dovrà compensare con ulteriori accertamenti. Che allo stato di fatto vuol dire far lavorare il personale già sfiancato dalla mancanza di ricambi nei turni di servizio e dalle gravissime penurie di organico che deve anche provvedere alle ordinarie attività di sorveglianza e tutela. Ma per il Dap far lavorare a vuoto il suo personale non conta, infatti secondo il provvedimento le direzioni assicureranno una adeguata presenza degli operatori, cioè degli agenti penitenziari, anche attraverso un’accorta programmazione delle ferie del personale. In modo da garantire la funzionalità dei servizi. Accorta programmazione - conclude Beneduci - che in soldoni significa ferie negate per i nostri poliziotti penitenziari”. Giustizia: quando Elvira Sellerio decise di donare 69mila volumi alle biblioteche delle carceri di Salvo Fallica L’Unità, 4 agosto 2010 Nel 2001 Elvira Sellerio decise di donare 69mila volumi alle biblioteche dei penitenziari italiani. Un gesto che esprime bene la sua filosofia. Così lo raccontò l’Unità il 20 ottobre 2001 nell’articolo che segue. “Tanti libri, tante vite”, è questa una delle frasi più care ad Elvira Sellerio, che adesso ha deciso di regalare tante “vite” e tante “esperienze” ai carcerati italiani. Sono, infatti, sessantatremilanovecento i libri donati dalla casa editrice Sellerio che verranno distribuiti in tutte le biblioteche dei penitenziari italiani. Titoli che spaziano dalla letteratura alla poesia, dalla filosofia alla prosa, dai saggi di storiografia alla sociologia, titoli che hanno segnato la storia culturale italiana degli ultimi anni, ed altri testi minori, nei quali spesso si nascondono autentiche chicche intellettuali. A questa ricerca culturale, a questa scoperta di mondi e di dimensioni letterarie, filosofiche e scientifiche, potranno dedicarsi i detenuti dei penitenziari italiani. Ad aver avuto questa idea, è Elvira Sellerio, colei che assieme a Leonardo Sciascia ha fondato una casa editrice che è divenuta parte integrante della storia culturale del Sud e dell’Italia intera degli ultimi decenni. Una struttura editoriale che da Palermo testimonia la vivacità culturale della Sicilia e che negli ultimi anni ha la sua punta di diamante nei libri di Andrea Camilleri. L’autore che per la Sellerio ha pubblicato la serie incentrata sul celebre commissario Montalbano, e sempre per la casa editrice palermitana, ha pubblicato i romanzi storici, spesso sottovalutati da buona parte della critica italiana, in realtà i migliori lavori dell’autore agrigentino. Elvira Sellerio ieri mattina nel carcere palermitano dei Pagliarelli, dove resteranno 5.000 degli oltre 69.000 volumi donati, ha presentato questa originale iniziativa. La donazione, tradotta in termini economici equivale ad un miliardo e mezzo. L’auspicio di Elvira Sellerio è che questa scelta culturale ed etica non resti isolata ed altri editori si ispirino a questa iniziativa. Elvira Sellerio nella presentazione di questa scelta editoriale ha spiegato di aver conosciuto le carceri italiane andando a trovare il suo amico Adriano Sofri, e ha potuto così conoscere la condizione esistenziale nella quale vivono i carcerati. Da questa esperienza è scaturita l’origine di questa iniziativa, proprio perché - sottolinea la Sellerio - “è nel libro, che è simbolo di libertà, che Sofri trova la forza per continuare la sua testimonianza”. E chissà se Elvira Sellerio, pensando a Sofri, non avrà anche ricordato l’insegnamento di Sciascia: “manda in libreria i libri che presteresti agli amici”. Giustizia: ubriaco in bicicletta, finisce ai domiciliari; evade per comprare un salame e ora è in carcere di Massimo Gramellini La Stampa, 4 agosto 2010 Enrichetto ha 55 anni e un cuore di bambino. Gira in bicicletta, estate e inverno, nascosto sotto un cappello con la coda che i bambini veri si divertono a tirare. Un giorno in cui pedala troppo a zig-zag viene fermato per guida in stato di ebbrezza. Due mesi agli arresti domiciliari, come uno della Cricca. Enrichetto. A lui sta persino bene, basta non gli tolgano il suo cane e il suo cappello. Una mattina si alza con la voglia di un salame. Ricorda di averlo visto nella vetrina del macellaio, prima del suo arresto, chissà se c’è ancora. Esce per andare a controllare. Una vicina che si è auto assegnata l’incarico di fare la guardia lo intercetta attraverso lo spioncino e avverte i carabinieri. Allarme, il prigioniero è evaso! Enrichetto torna a casa col salame, tutto contento, ma sulla porta trova le guardie. Adesso giace nell’infermeria del carcere astigiano di Quarto. Rifiuta il cibo, come chi si sta lasciando morire. La sua non è una protesta. È che gli è venuta la malinconia. Sa che a settembre lo condanneranno per evasione e a lui non sembra giusto, ecco. Tutto perché una volta è salito in bici un po’ brillo e un’altra volta è uscito di casa per comprare un salame. Per favore, Enrichetto, ricomincia a mangiare. Ti prometto che un giorno instaureremo la repubblica del buonsenso, dove le leggi non saranno più il trastullo dei potenti e la trappola dei semplici. E se nel frattempo qualche magistrato chiudesse un occhio sui tuoi efferati delitti, a casa ci sono un cane, un cappello e un salame che ti aspettano per festeggiare. Alfano promette interessamento per “caso Enrichetto” Donadi andrà domani al carcere di Asti perché “non è possibile ignorare il fatto che le carceri italiane siano piene di persone come “Enrichetto” e che, invece, uomini potenti e importanti, che hanno commesso reati gravi, riescano sempre a scamparla. Una palese ingiustizia di uno Stato che non sempre riesce ad essere equo e giusto”. Invece “un poveraccio come Enrichetto rischia la morte in carcere per un salamino e gente come il detenuto Balducci, capo della presunta cricca, se la spassa agli arresti domiciliari nella sua villa con piscina a Montepulciano. Un paese davvero democratico - osserva Donadi - deve avere il coraggio di sbattere in galera i delinquenti della cricca, e magari di gettare via la chiave, ma è un atto di vigliaccheria tenere in carcere gente come Enrichetto”. Alfano è subito intervenuto in Aula spiegando di essere stato a sua volta colpito dal caso. Una vicenda portata all’attenzione dei più dal pezzo del 31 luglio in cui Massimo Gramellini parla di quell’uomo ai domiciliari per guida di bicicletta in stato di ebbrezza e che ora si sta lasciando morire per un salamino, poiché questo sarebbe il movente della evasione dai domiciliari. “Ho già interessato gli uffici”, assicura Alfano, perché “valutino se esistono i presupposti che possano consentire l’intervento del ministero della Giustizia”. “Il ministro della Giustizia sottolinea che in questa vicenda “il tratto di gravità è sotto il profilo di un pezzo dell’articolo 27 della Costituzione, troppo spesso trascurato. Non quello della funzione rieducativa della pena ma quello per cui la pena non può essere contraria al senso di umanità”. E questo, osserva ancora Alfano, “mi era apparso immediatamente visibile e proprio per questo mi ero attivato”. Campania: tre proposte per superare l’emergenza carceri di Samuele Ciambriello e Dario Stefano Dell’Aquila * La Repubblica, 4 agosto 2010 È difficile, oggi, anche per chi ha minore sensibilità sul tema, negare che il carcere, in Campania, come nel resto del paese, stia attraversando una fase di grave emergenza. È difficile perché questo stato di emergenza è stato ufficialmente proclamato dal governo e perché i numeri, storie e testimonianze raccontano di una situazione che va ben oltre il senso di umanità. Quota ottomila detenuti, per una capienza di circa cinquemila posti e nel solo carcere di Poggioreale, ad esempio, vi sono detenuti per il doppio della sua capienza (arriviamo a quota 2.700). E sia dal mondo del volontariato che da quello istituzionale (pensiamo al Garante) giungono segnalazioni di condizioni detentive che si possono definire quanto meno “degradanti”. La preoccupazione per questo stato di cose è un tratto che accomuna partiti di diverso schieramento. Si resta però incerti sulle possibili risposte. Vorremmo proporne alcune, partendo dall’assunto che è possibile garantire un equilibrio tra la tutela dei diritti fondamentali e le esigenze di sicurezza sociale. In primo luogo, considerato poteri e ruolo della Regione, ci appare indispensabile un coordinamento tecnico unico tra il Dipartimento dell’amministrazione regionale e i diversi settori dell’amministrazione regionale (sanità, formazione, istruzione, politiche sociali) per programmare interventi e risorse in una unica sede, valorizzando al meglio le poche risorse disponibili e per immaginare la realizzazione di interventi di breve periodo per migliorare le condizioni detentive, con particolare attenzione al diritto alla salute. In secondo luogo, sarebbe,a nostro avviso, opportuna l’istituzione di un comitato di indagine sulla condizione detentiva in Campania, che, composto da consiglieri regionali di tutti gli schieramenti, effettuasse un giro di visite negli istituti penali campani. Il comitato, in virtù delle prerogative dei consiglieri e coinvolgendo i componenti delle commissioni competenti per le diverse materie, potrebbe, in breve tempo e senza oneri, redigere proposte condivise e dare man forte a organismi quali il Garante regionale al monitoraggio della condizione della carceri campane. In terzo luogo, bisogna avere la consapevolezza che solo modificando alcune norme della legislazione penale è possibile ridurre il ricorso al carcere per quei casi di ridotto allarme sociale che in larga parte affollano le nostre prigioni. Pensiamo, ad esempio, ai tossicodipendenti, che costituiscono il 33 per cento della popolazione detenuta. In questo senso, una proposta di legge redatta dall’associazione Antigone, il Cnca, Forum Droghe e il Gruppo Abele, propone di contenere l’attuale drammatico sovraffollamento delle strutture penitenziarie, agendo in particolar modo sulle persone tossicodipendenti autrici di reato, intervenendo lungo tre direttrici, rappresentate dall’ingresso in carcere delle persone tossicodipendenti in custodia cautelare, dagli effetti per i tossicodipendenti dell’apparato sanzionatorio previsto dalla normativa sugli stupefacenti,e dai meccanismi atti a favorire il funzionamento delle misure alternative al carcere. Si tratta, senza entrare nel merito tecnico, di istituzionalizzazione di servizi che potrebbero contribuire a contenere l’ingresso dei tossicodipendenti in carcere in misura cautelare, in grado di realizzare programmi terapeutici, e di facilitare l’accesso alle misure alternative dei tossicodipendenti autori di reato, dando maggior peso al profilo terapeutico e sanitario, che dovrebbe avere invece rilevanza fondamentale, e aumentando le ipotesi per l’affidamento in prova. Una proposta di buon senso, che non ha trovato aperta ostilità nemmeno da parte del governo, e sulla quale anche i parlamentari campani, alla luce della nostra emergenza regionale, potrebbero interessarsi. Ora noi siamo certi che il problema è complesso e che la sua soluzione non è a portata di mano. Sappiamo anche che nell’opinione pubblica spesso prevale l’idea che “peggio per loro, così imparano a commettere un reato”. A nostro avviso, c’è una malintesa opposizione tra chi parla di legalità e chi parla di giustizia. Qui parliamo di diritti fondamentali,e dovremmo essere in grado di tutelarli in ogni luogo e per ogni persona, perché è difendendo i diritti di ognuno che garantiamo i diritti di tutti. Gli autori sono rispettivamente presidente dell’Associazione La Mansarda e responsabile di Antigone Campania Campania: a Santa Maria Capua Vetere detenuti senza acqua; la Garante “è inaudito” Il Mattino, 4 agosto 2010 La dottoressa Adriana Tocco ha inviato anche una missiva al sindaco Giudicianni sollecitando la risoluzione della spinosa questione. “È veramente inaudito che 1.700 persone vivano una condizione di estremo disagio e di pericoli igienico-sanitari, tra l’altro con queste temperature altissime, perché nessuno si preoccupa di portare l’acqua nel carcere”. È quanto ha dichiarato la Garante dei Detenuti, dott.ssa Adriana Tocco a margine di una sua personale visita nel Carcere di Santa Maria Capua Vetere, una iniziativa che rientra nell’ambito delle visite che la stessa Garante sta effettuando negli ultimi giorni in tutti gli istituti di pena della Regione Campania. Nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, la Tocco ha raccolto il profondo disagio dei detenuti e del personale civile, che hanno denunciato il gravissimo problema della mancanza dell’acqua durante le ore diurne, in quanto l’istituto non risulta ancora allacciato alla rete idrica del Comune, ma solo collegato ad un pozzo che durante il giorno rifornisce una cisterna che poi nel corso della notte eroga l’acqua agli “ospiti” del carcere. Ed è per questo, che la Garante dei Detenuti nel raccogliere la denuncia e il grave stato di tensione, ha inviato una lettera al sindaco di Santa Maria Capua Vetere, chiedendo notizie ed informazioni sull’iter della risoluzione della spinosa questione. Lazio: appello alla Polverini; la regione realizzi una Icam per le detenute madri Redattore Sociale, 4 agosto 2010 La richiesta di portare a termine il progetto avviato nella scorsa legislatura parte dall’ex presidente della commissione Sicurezza della regione Lazio, Laurelli: “È stato già individuato il casale dove ospitare 12 donne con bambini”. Un appello alla presidente della regione Lazio, Renata Polverini, per la realizzazione di una Istituto a custodia attenuata per detenute madri con figli fino a tre anni (Icam). La lettera porta la firma di Luisa Laurelli, nella scorsa legislatura presidente della commissione Sicurezza e lotta alla criminalità della regione Lazio. Il progetto di realizzazione della Icam di Roma, che non è stato portato a termine durante la scorsa legislatura “anche a causa della vicenda Marrazzo”, aveva già incassato il consenso non solo del Consiglio regionale, degli assessorati alla Sicurezza e all’Ambiente, dell’Ente Parco, del Garante dei detenuti, ma anche del comune di Roma, del Dipartimento Amministrazione penitenziaria e degli uffici interessati presso il ministero di Giustizia. “Sui fondi dell’assessorato regionale alla Sicurezza nell’anno 2009 sono stati stanziati 450 milioni di euro necessari per la ristrutturazione e la messa in sicurezza di un casale individuato dall’assessorato alle Politiche sociali del comune di Roma e dal V Municipio nel parco di Aguzzano - si legge nella lettera -. Nel casale si possono ospitare 12 detenute con bambini che potranno vivere in una normale casa senza celle, con un giardino a loro riservato, con personale del ministero in tenuta borghese: in definitiva in modo meno traumatico, pur nel dolore di una detenzione fin da piccolissimi e senza colpe”. Per questo l’ex presidente della commissione Sicurezza della Regione Lazio chiede alla presidente Polverini di “ripartire da dove ci si era fermati”, rendendo il Lazio “la seconda regione dopo la Lombardia, a sperimentare questo modo diverso di gestire un servizio per la detenzione”. Lazio: Camilloni (Osservatorio sociale); rimpatriare i detenuti stranieri tossicodipendenti Dire, 4 agosto 2010 “Che i carcerati vivessero in uno stato di emergenza è cosa chiara a tutti ed è dimostrato dal fatto che il governo ha decretato lo stato di urgenza fino al 31 dicembre. La cosa inaccettabile è che a questa consapevolezza non siano seguite le opere necessarie per evitare il collasso estivo delle condizioni minime di vivibilità per i detenuti”. Lo dice in una nota Luigi Camilloni, presidente dell’Osservatorio sociale. “Il problema del sovraffollamento trovi la prima soluzione nel rimpatrio dei soggetti stranieri con problemi di tossicodipendenza. D’altronde le strutture sanitarie nelle carceri per la cura delle dipendenze sono insufficienti per il numero degli aventi bisogno - continua Camilloni. Senza contare che, i detenuti stranieri con problemi di salute nel proprio paese possono contare sull’assistenza e la vicinanza delle proprie famiglie, cosa che in Italia non avviene”. “Una possibile alternativa per questi soggetti - conclude Camilloni - sarebbe proprio quella di garantire programmi alternativi alla detenzione per i carcerati che hanno commesso reati relativi all’uso ed abuso di sostanze stupefacenti; offrendo loro l’opportunità di cura a persone in condizioni di disagio che facciano espressa richiesta di rientro in Patria; garantire la continuità assistenziale a tali persone nel territorio del Paese d’origine”. Lecce: Sappe; 1.500 detenuti dove ci sarebbe posto per 660, chiudere le sezioni della vergogna Ansa, 4 agosto 2010 Nel carcere di Lecce, a fronte di 660 posti disponibili, è stato raggiunto il numero di 1.500 detenuti: lo denuncia il sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe che chiede l’intervento del sindaco per “chiudere le sezioni della vergogna”. “Purtroppo nonostante i diversi appelli, anche attraverso i mass media e uomini politici, l’amministrazione penitenziaria - denuncia il Sappe - continua incurante a spedire carne umana nel macello di Borgo San Nicola riducendo le stanze detentive in tanti piccoli lager, poiché si è arrivati a sfiorare le 1.500 presenze a fronte di circa 660 posti disponibili, in celle in cui sono rinchiusi pezzi da 90 della delinquenza organizzata (mafia, camorra, ndrangheta) mescolati a detenuti affetti da patologie anche gravi”. Il Sappe si chiede, come mai nonostante la corte di giustizia europea, la Costituzione e leggi varie, a Lecce si continuino a calpestare i diritti umani fondamentali di migliaia di detenuti ed operatori penitenziari. “La situazione - si denuncia - diventa ogni giorno che passa sempre più preoccupante poiché in stanze di circa 9 mq (compreso il cesso) in cui dovrebbe essere ospitato un solo detenuto, se ne buttano dentro almeno 3. Si provi ad immaginare cosa siano meno di 3 mq lordi per persone; vuol dire non poter nemmeno stendere le braccia, oppure fare un passo (di numero), oppure dormire al 3° piano a castello a 30 centimetri dal soffitto”. Genova: agente aggredito da un detenuto nel carcere di Pontedecimo Ansa, 4 agosto 2010 Ancora un episodio di violenza all’interno delle carceri genovesi. Vittima è, per l’ennesima volta, un Agente di Polizia Penitenziaria in servizio nel carcere cittadino di Pontedecimo. “La situazione è ben oltre il limite della tolleranza. Ora basta davvero: la misura è colma!”, è il commento di Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. “Vogliamo per prima cosa esprimere la nostra solidarietà al Collega che ha comunque contenuto l’aggressività del detenuto ed ha impedito che la situazione degenerasse. L’aggressione è stata improvvisa e proditoria. L’agente era intervenuto per separare due detenuti che litigavano ma uno di questi, un italiano dentro per ricettazione e spaccio di sostanze stupefacenti, lo ha colpito con un pugno ed un calcio. Questa è la seconda aggressione ai danni di appartenenti alla Polizia Penitenziaria di Pontedecimo in quindici giorni. È davvero troppo. Dove sono le istituzioni? Cosa pensano di fare per tutelare gli agenti di Pontedecimo? Di cos’altro hanno bisogno per intervenire? Per ora ci sembra che le Autorità amministrative ma anche quelle politiche si fanno scudo della drammatica situazione penitenziaria attraverso il senso di responsabilità del Corpo di Polizia Penitenziaria; ma queste sono condizioni di logoramento che perdurano da mesi e continueranno a pesare sulle 39 mila persone in divisa per molti mesi ancora se non la si smette di nascondere la testa sotto la sabbia. Quanto si pensa possano resistere gli uomini e donne della Polizia Penitenziaria che sono costrette a trascurare le proprie famiglie per garantire turni massacranti con straordinari nemmeno pagati? Quanto stress psico-fisico si pensa possa sopportare una persona in divisa costretta a convivere con situazioni sanitarie da terzo Mondo, esposta a malattie infettive che si ritenevano ormai debellate in Italia, ma che sono largamente diffuse in carcere, attenta a scongiurare suicidi, a schivare ma spesso anche a subire (come a Pontedecimo, sovraffollato da 187 detenuti presenti nonostante una capienza regolamentare di 96 posti ed in cui mancano più di 60 agenti di Polizia Penitenziaria in organico) violente aggressioni da parte dei detenuti? Perché ad esempio non si mandano i detenuti stranieri (che a Pontedecimo sono il 60% circa dei presenti) a scontare la pena nelle galere del Paese di provenienza, modificando anche l’attuale legislazione che prevede il paradosso del consenso delle persone interessate?”. Avellino: detenuti in sciopero della fame, per contestare le difficili condizioni di vita Ansa, 4 agosto 2010 Hanno iniziato lo sciopero della fame i detenuti del carcere di Bellizzi Irpino. Una protesta per contestare le difficili condizioni di vita dei detenuti derivanti dal sovraffollamento. Già la scorsa settimana la casa circondariale era finita alla ribalta delle cronache perché era rimasto senza acqua e si andava avanti con le bacinelle. In quell’occasione anche la direttrice Mallardo aveva lanciato un accorato appello e aveva denunciato una situazione difficile che vedeva la struttura penitenziaria prossima “al collasso”. Da oggi la protesta dei detenuti. La situazione pare essere ormai insostenibile. Trenta per cento di agenti in meno con una popolazione carceraria che si è raddoppiata ed è vicina al limite massimo. Il sovraffollamento del carcere è oltre la tolleranza. I posti letto sono scarsi. A questo si aggiunge la carenza dell’organico di polizia penitenziaria che determina una difficile gestione dell’istituto, con ricadute pesanti nelle attività quotidiane dei detenuti. Alla protesta non hanno aderito le recluse del reparto femminile e quello che ospita i detenuti in regime di isolamento. Da sottolineare che il problema del sovraffollamento, come conferma la stessa Mallardo, direttrice della casa circondariale, si va ad aggiungere a numerosi altri problemi. Già una settimana fa, il carcere di Bellizzi era finito sotto i riflettori perché rimasto senza acqua (si è andato avanti con le bacinelle). Inoltre, ad un sovraffollamento del numero dei detenuti, c’è stata, negli ultimi tempi, una drastica riduzione delle guardie carcerarie (causa soliti tagli del personale). In ogni caso, le stime parlano chiaro: a fronte di una capienza regolare di 350 unità, allo stato attuale nel penitenziario di Avellino sono ospitate 494 persone. Trento: in arrivo un “fabbrica” all’interno del carcere per dare lavoro ai detenuti? Trentino, 4 agosto 2010 Per anni ha fatto il “tagliatore di teste” ossia era pagato per licenziare. Oggi, grazie ad una fabbrica installata all’interno del carcere di Verona, fa lavorare, a rotazione, una sessantina di lavoratori. E ora vuole fare la stessa cosa anche con i carcerati di Trento. Lui è in veronese Giuseppe Ongaro che ha raccontato la sua vita e le sue scelte in un’intervista a “Il giornale.it”. E nei suoi desideri c’è anche quello di approdare a Trento con la sua fabbrica speciale dove, per essere assunto, devi essere un detenuto. Ma non solo. Quando il periodo di carcerazione termina, scade anche il contratto di lavoro, ma non finiscono le speranze: “Cerchiamo - spiega Ongaro - di riassumerli con una cooperativa esterna”. Un’esperienza di vita, quella raccontata nell’intervista dove i detenuti hanno un peso importante. Detenuti che guadagnano dai 380 ai 540 euro a seconda del tipo di attività. E la produzione è molto varia. “Produciamo circa 16 milioni di pezzi l’anno. Magliette e gadget pubblicitari - spiega Ongaro - articoli promozionali per aziende, fiere ed eventi. Parti meccaniche e schede elettriche. Filtri per i forni delle autocarrozzerie. Nostre anche le rastrelliere portabiciclette che vede nei centri storici: ce le ha comprate persino il Comune di Catania. Nell’officina meccanica produciamo anche box per cavalli, cancelli, gazebo. Abbiamo un laboratorio d’informatica dotato di linea Adsl, una concessione assai difficile da ottenere nei penitenziari, dov’è vietata qualsiasi comunicazione con l’esterno: 12 operatori inseriscono col computer i dati per società terze come le Poste”. Un lungo elenco di attività che segue anche la stretta attualità visto che da poco è stata avviata anche una catena di produzione delle “bat box”, le casette per i pipistrelli. E di bat box in questo periodo c’è molta richiesta visto che i pipistrelli rappresentano la nuova arma nella lotta contro i pipistrelli. E fra meno di un mese, annuncia sempre Ongaro, inizierà la produzione dei pannelli solari firmati “Casa circondariale”. Certo per arrivare a questi risultati non è stato semplice. C’è stata tanta burocrazia fondamentale è stato l’aiuto arrivato da due direttori del carcere di Verona. E ora spera di trovare lo stesso clima a Trento. Pesaro: Sappe; detenute sorvegliate da agenti maschi, situazione al di fuori della legge Ansa, 4 agosto 2010 Nel carcere di Villa Fastiggi di Pesaro, le detenute della sezione femminile sono controllate in questi giorni da agenti di polizia penitenziaria maschi, in violazione di quanto prevede la legge “in modo tassativo”, fissando l’obbligo di agenti donna per la sorveglianza delle detenute. Lo denuncia il sindacato di polizia penitenziaria Sappe. “Sono episodi accaduti nei giorni scorsi per carenze di organico - spiega all’Ansa il consigliere nazionale e segretario regionale del Sappe Aldo Di Giacomo -, ma sono previsti turni affidati a uomini anche nei prossimi giorni. È una cosa inaudita, in dieci anni di sindacato non mi era mai capitata una situazione del genere”. Di Giacomo ha informato il prefetto di quella che definisce “una violazione dei diritti delle detenute da parte dello Stato”. Lo scorso anno - aggiunge - “grazie alle proteste del Sappe e alla sensibilizzazione del mondo politico”, al carcere di Villa Fastiggi, dove erano in servizio 128 agenti per oltre 320 detenuti, furono assegnate altre 8 unità. “Ma già quest’estate l’organico è sceso a 123, per pensionamenti e personale distaccato ad altri istituti di pena”. Frosinone: Uil-Pa; carcere è al collasso, a Cassino ai detenuti manca anche la carta igienica Il Tempo, 4 agosto 2010 Il carcere di Frosinone ieri mattina ha aperto le porte alla delegazione della Uil-Pa Penitenziari capitanata dal segretario generale, Eugenio Sarno; il segretario nazionale Giuseppe Sconza; il segretario regionale Daniele Nicastrini e il segretario provinciale Stefano Spila. Al termine della visita, il sindacato dei baschi blu ne ha riassunto gli esiti in una conferenza stampa tenuta proprio davanti all’ingresso del carcere. “Rispetto a un anno fa la struttura è più curata - ha spiegato il segretario generale Sarno - evidentemente anche il cambio di comandante del reparto ha giovato, comunque, persistono delle criticità causate soprattutto dai mancati finanziamenti. Sono necessari interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria in molti ambienti detentivi e in quasi tutti i posti di lavoro, dove sono evidenti tracce di infiltrazioni d’acqua piovana, muffe e pareti incrostate. L’emergenza idrica, motivo scatenante delle proteste, è stata parzialmente risolta grazie alla riparazione di un’importante perdita, ma restano le criticità tipiche di un sistema che deve provvedere al doppio dell’erogazione per cui è stato costruito”. Persiste, anche se in proporzioni minori, il problema dei rifiuti accumulati sotto le finestre delle celle. Oltre agli aspetti prettamente strutturali, il sindacato ha affrontato la problematica della cronica carenza di personale all’interno dell’istituto di pena: 226 agenti a fronte di una popolazione di detenuti che è progressivamente raddoppiata, arrivando a 521 presenze. “Una situazione sull’orlo del collasso - ha spiegato il segretario regionale Nicastrini - che costringe gli agenti a turni massacranti, anche di 12 ore per coprire ogni giorno 50 celle in 150 metri di sezione, con gli straordinari arretrati di 5-6 mesi, il congedo ordinario fermo al 2007 e costretti a fare le ferie vecchie”. La situazione non pare destinata a migliorare con la costruizione del nuovo padiglione: arriveranno altri detenuti, ma non ci sarà l’organico per garantire l’apertura a pieno regime. Nell’istituto di Cassino manca perfino la carta igienica È allarme per le condizioni sanitarie dei quattordici istituti di pena della regione: nelle celle cominciano a scarseggiare perfino i beni di consumo quotidiano per l’igiene intima. La denuncia arriva dal Garante dei diritti dei detenuti, Angiolo Marroni: “Ormai, nelle celle, oltre ai problemi legati al sovraffollamento e al caldo estivo, si soffre anche perché iniziano a scarseggiare i beni di prima necessità come il sapone e quanto altro necessario alla cura dell’igiene intima”. Nelle carceri di Cassino e Civitavecchia i detenuti hanno raccontato ai collaboratori del Garante che ormai sono finite perfino le scorte di carta igienica. Sempre a Cassino, da giorni mancano i prodotti per l’igiene intima forniti dall’amministrazione penitenziaria. Ma in quasi tutte le strutture della Regione si registrano problemi legati alla carenza di materiale di uso quotidiano, di scarsa igiene, con docce insufficienti e temperature altissime. La situazione è leggermente migliore a Velletri ma solo perché, grazie a un accordo raggiunto dalla Caritas locale, è una importante multinazionale a fornire gratuitamente ai detenuti i prodotti per l’igiene intima. “Abbiamo il timore - ha spiegato il Garante dei detenuti - che questa situazione, unita alla calura estiva e al sovraffollamento pesante, possa portare a un peggioramento delle condizioni sanitarie nelle carceri, visto che la carenza di igiene personale fa aumentare il rischio di malattie da contatto come la scabbia. Nelle scorse settimane abbiamo contattato le direzioni delle carceri per suggerire l’adozione di alcune semplici misure per migliorare la vita di tutti i giorni come aumentare l’accesso alle docce e garantire la distribuzione di acqua potabile”. Ragusa: Osapp; agente penitenziario tenta il suicidio impiccandosi, è in coma all’ospedale Il Velino, 4 agosto 2010 L’Osapp, per voce del vice segretario generale Domenico Nicotra, sottolinea il malessere che si vive nelle carceri italiane, dato da diversi fattori come il sovraffollamento e lo stress continuo causato anche dagli svariati tentativi di suicidio da parte dei detenuti. “I poliziotti penitenziari sono giornalmente caricati del gravoso compito di sorvegliare sui detenuti ed evitare il realizzarsi di questi avvenimenti ma per quanto diligente e ben istruito possa essere il poliziotto, nessuno può evitare che prima o poi questa situazione gli si rivolti contro. A testimonianza di ciò, nella scorsa notte, si è registrato l’ennesimo triste accadimento: un assistente capo ha tentato il suicidio cercando di impiccarsi. Il collega è stato distaccato da un mese circa presso la Casa circondariale di Ragusa e presta servizio effettivo preso la Casa circondariale di Catania Piazza Lanza. Il tentato suicidio è avvenuto nel garage di casa nella notte passata e ora il collega è ricoverato presso l’ospedale in coma. Sembra superfluo ripetere - continua Nicotra, alla luce di questi avvenimenti, che dietro ogni divisa ci sono un uomo o una donna che giornalmente deve affrontare una situazione lavorativa difficile, stando a contatto con una realtà spesso complicata da gestire e sicuramente invivibile per chi lavora nelle carceri e per chi è costretto a viverci”. Pescara: progetto pilota utilizzerà detenuti per la manutenzione gestione del verde pubblico Asca, 4 agosto 2010 “Per sei mesi l’amministrazione comunale di Pescara offrirà una chance concreta per reinserirsi nel mondo del lavoro a quattro giovani che hanno commesso un errore e che stanno pagando il proprio debito con la giustizia: li formeremo nel campo della manutenzione urbana e poi consentiremo loro di imparare sul campo a eseguire piccole riparazioni stradali e a garantire la gestione del verde. Al termine dei sei mesi i 4 ragazzi avranno un attestato circa il livello di professionalità raggiunto che consentirà loro, dopo essere tornati in libertà, di trovare un’occupazione. È il progetto Senapa promosso dall’amministrazione comunale di Pescara in partenariato con la Fondazione Caritas e con il direttore della nostra Casa circondariale, un progetto-pilota che, se darà i risultati che ci aspettiamo, siamo pronti a ripetere”. Lo ha detto l’assessore ai Lavori pubblici del Comune di Pescara Alfredo D’Ercole nel corso dell’odierna conferenza stampa convocata per presentare l’iniziativa, alla presenza, tra gli altri, di Sua Eccellenza, l’arcivescovo di Pescara Monsignor Tommaso Valentinetti, del direttore della Caritas Don Marco Pagniello e del direttore del carcere Franco Pettinella. “L’obiettivo del progetto-pilota è sicuramente duplice - ha spiegato l’assessore D’Ercole -: da un lato incrementare gli interventi e i lavori di pubblica utilità per la manutenzione urbana di base, ossia non i grandi cantieri di riqualificazione, ma piuttosto la chiusura di piccole buche stradali, il ripristino di un cartello o di una segnaletica o ancora la sistemazione di una mattonella sconnessa; dall’altro utilizzare tali interventi di manutenzione urbana non solo come occasione di riqualificazione della città, ma anche come occasione di recupero sociale di soggetti svantaggiati, coinvolgendo detenuti e anche cittadini over-50 che hanno perso il lavoro. Il progetto si articolerà in due momenti distinti: si inizierà a settembre coinvolgendo quattro detenuti in piccoli interventi sulla manutenzione del verde urbano, per un periodo di due mesi. A fine ottobre partirà il secondo progetto denominato “Senapa” che si articolerà in due mesi di corso di formazione sul lavoro edile che si svolgerà all’interno della Casa circondariale e sarà curato da Formedil, rivolto agli stessi 4 detenuti individuati; subito dopo gli operai formati lavoreranno per altri due mesi per il Comune di Pescara per mettere in pratica le nozioni apprese ed effettuare quei lavori di piccola manutenzione che danno il segno della cura di una città, ma che spesso è difficile far eseguire a delle imprese, come la sistemazione di qualche mattonella in una pavimentazione in betonella, o il ripristino di un cartello stradale o ancora la chiusura di una piccola buca”. La Fondazione costituirà delle squadre che, oltre ai 4 detenuti in giustizia riparativa, vedranno la presenza anche di 4 operai capisquadra e 8 volontari, ossia lavoratori over-50 in condizioni di disagio socio-economico, che hanno perso il lavoro, “i quali - ha proseguito l’assessore D’Ercole - non riceveranno una retribuzione vera e propria, ma un’indennità. Complessivamente il progetto-pilota costerà 20mila euro”. “Il progetto - ha commentato l’arcivescovo Valentinetti - è frutto della sinergia tra Comune di Pescara, Caritas e il Carcere, una sinergia che darà buoni risultati. Le forze vanno unite per garantire il recupero dei soggetti svantaggiati che per varie ragioni non riescono a entrare nel mercato del lavoro. Quello odierno è il primo passo, il primo impegno, con la speranza che tale iniziativa possa proseguire”. Milano: il gelato prodotto “al fresco” è più buono Il Giorno, 4 agosto 2010 Non è un gelato qualunque quello che si può gustare alla gelateria “Paradice” di via XXV aprile aperta a Desio da poche settimane. Coni, coppette, semifreddi, granite arrivano dal carcere di Opera. Il negozio fa parte della catena “Aiscrim-Prigionieri del Gusto”: è uno degli 8 punti vendita di prodotti realizzati in un laboratorio artigianale, all’interno del carcere milanese. L’idea è venuta a Cosimo Sabetta, alla moglie Margherita Labarile e al figlio Giovanni Sabetta, 19 anni, titolare della gelateria, che si trova a pochi passi dalla biblioteca civica e dal parco comunale. “Abbiamo conosciuto l’anno scorso il primo negozio della catena, aperto a Sovico - spiega Margherita Labarile - e abbiamo deciso di provare questa avventura, che ha un doppio aspetto positivo: abbiamo prodotti di ottima qualità e nello stesso tempo aderiamo ad un progetto di lavoro socialmente utile”. Fragola, cioccolato, fiordilatte, nocciola, tiramisù. Al bancone non mancano i gusti più classici. Ma anche altri più ricercati, come cioccolato fondente, pompelmo rosa o kinder, molto apprezzati dai numerosi clienti che arrivano in gelateria in queste prime settimane di apertura. “Per fortuna, l’attività sta andando bene, anche grazie alla posizione strategica del negozio, ben visibile e vicino alla biblioteca, a pochi passi dalla stazione. Tanti clienti, inoltre, ci riconoscono, perché qualche settimana fa anche il Tg1 ha parlato di questo progetto” dicono i gelatai, soddisfatti. Oltre al gelato, il negozio propone anche un prodotto nuovo: i “fruttini”. Assomigliano ai ghiaccioli, ma hanno un alto contenuto di frutta. In pratica,frutta fresca frullata e congelata sullo stecco. “Sembra di mangiare direttamente il frutto: kiwi, fragola, limone”. E i prezzi? “Sono contenuti” dicono i negozianti. Un fruttino costa un euro. I coni e le coppette vanno da un euro a 2.50 euro. “I prodotti sono di qualità: il latte arriva dagli allevamenti italiani selezionati, la frutta fresca direttamente dagli allevatori” precisano i negozianti. Il laboratorio artigianale del carcere di Opera è aperto dal 2008, grazie ad una convenzione tra Ministero della Giustizia e l’azienda privata “Jobinside srl”, costituita da un gruppo di persone che lavorano nel carcere già dal 2001. La linea di prodotti “Asicrim” si è presto consolidata in una società vera e propria . I detenuti al lavoro sono circa una ventina, guidati da 2 maestri gelatieri esterni. “Il marchio Aiscrim - spiegano i gelatai - è sottoposto a rigidi controlli delle procedure e delle lavorazioni”. La famiglia Sabetta è alla sua prima esperienza in questo settore. “È il modo giusto per iniziare. Siamo in franchising e questo ci permette di non cominciare da zero. E poi, siamo contenti di dare una possibilità ai detenuti, che imparano un lavoro”. Il negozio rimarrà aperto anche per tutto il mese di agosto. Volterra (Si): quando la cena galeotta apre il carcere al pubblico Il Tirreno, 4 agosto 2010 Il carcere di Volterra è pronto ad aprire le porte al pubblico per un altro appuntamento di solidarietà, che vedrà i suoi detenuti impegnati nella preparazione di una cena d’autore. L’appuntamento con l’anteprima estiva delle cene galeotte è in calendario giovedì prossimo, per l’occasione con l’allestimento suggestivo sotto il Maschio della Fortezza medicea. Il soggetto destinatario dei fondi raccolti sarà l’associazione Libera, nata con l’intento di sollecitare la società civile nella lotta alle mafie e promuovere legalità e giustizia. A testimonianza dell’alto valore della serata sarà presente anche don Ciotti, presidente e fondatore dell’associazione Libera. Circa trenta i detenuti impegnati nella preparazione di un menù d’autore, per l’occasione aiutati in cucina dallo chef Genuino Del Duca del ristorante Del Duca di Volterra. Come sempre, l’appuntamento è promosso da Unicoop Firenze, che fornirà le materie prime e assumerà i detenuti retribuendoli regolarmente, e realizzato in collaborazione con il Ministero di Grazia e Giustizia, Fisar, la direzione della casa di reclusione di Volterra e il supporto organizzativo di Studio Umami (www.studioumami.com). L’apertura del carcere al pubblico prenotato avverrà alle ore 19,30. La cena avrà inizio alle ore 20 e avrà un costo di 35 euro a persona. Info: 055.2342777. Marocco: Youness Zarli, 37 giorni di digiuno in carcere chiedendo giustizia Redattore Sociale, 4 agosto 2010 L’11 aprile 2010 il campione italiano di kick boxing viene arrestato dall’antiterrorismo a Casablanca e detenuto in un carcere segreto. L’origine di tutti i mali? Essere il fratello di uno dei condannati per gli attentati di Casablanca Un sequestro di persona in piena regola. Quel giorno a Casablanca c’è anche Jessica. È l’11 aprile 2010. Sono a casa di Youness, stanno giocando in salotto con il bambino, è ora di pranzo. Alla porta chiedono di Youness. Lui scende, e non torna più. Lo sbattono dentro una macchina e lo portano via, bendato per tutto il tragitto, perché non riconosca la destinazione. Ma bastano le grida dei detenuti torturati, l’odore delle celle, la luce sempre accesa, gli interrogatori nel dormiveglia, e le dosi massicce di psicofarmaci per fargli riconoscere il carcere segreto di Temera, dove l’avevano portato anche nel 2005. Questa volta Youness ci passa 26 giorni, lo tengono alla fame, perde 13 chili di peso. Intanto la moglie Jessica fuori lancia appelli sulla stampa marocchina per avere notizie del marito sequestrato dalla polizia senza nessuna convalida del giudice e senza nessun mandato. Niente di strano, le spiegano. Si tratta della legge speciale antiterrorismo adottata in Marocco nel 2003 e che prevede fino a 12 giorni di custodia senza convalida del giudice, che nella pratica però spesso oltrepassano il mese. Dalla data dell’arresto passano quattro mesi. Quattro mesi rinchiuso nel carcere di Salè, vicino Rabat, lontano dalla moglie e dal piccolo Adam. A giugno Youness inizia uno sciopero della fame con altri 20 detenuti. Un giorno dopo l’altro, nutrendosi soltanto di acqua e zucchero, arrivano a 37 giorni di digiuno. Chiedono libertà e giustizia. Riprendono a mangiare solo il 7 luglio, dopo che due di loro vengono ricoverati in gravissime condizioni. Quello stesso giorno, un altro gruppo di 43 detenuti nella prigione di Kenitra entra nel sedicesimo giorno di sciopero della fame. Le rivendicazioni sono le stesse del gruppo di Salè: libertà e giustizia per essere stati ingiustamente condannati per terrorismo in mancanza di prove e dopo confessioni estorte sotto tortura. Loro sono in carcere da otto anni, e tra loro c’è anche il fratello maggiore di Youness, Salah Zarli, classe 1970. E qui sta l’origine di tutti i mali, della segnalazione di Youness all’antiterrorismo italiana e della sua persecuzione giudiziaria: essere il fratello di uno dei condannati per gli attentati di Casablanca. Salah viveva a Bergamo dagli anni Novanta, insieme a Youness e a un terzo fratello. A differenza di Youness, Salah è un uomo religioso. Lavora come autista e nelle pulizie, frequenta la moschea di viale Jenner, a Milano. E nel 1999 si reca in viaggio in Afghanistan, dove trascorre sei mesi. Il che, fino a prova contraria, non è di per sé un reato. Tre anni dopo, scoppia la guerra americana in Afghanistan contro i talebani. E di pari passo inizia la strategia dell’antiterrorismo. Basta un minimo sospetto per essere arrestati. In Afghanistan come altrove. E Salah, che in Afghanistan c’era stato, finisce dentro. Lo arrestano a Casablanca nell’agosto del 2002. Sette mesi dopo, il 16 maggio 2003, a Casablanca esplode un’autobomba e una decina di kamikaze si fanno saltare in aria in cinque punti della città, causando la morte di 45 persone. Salah viene condannato a morte come uno dei responsabili di quegli attentati, insieme a 80 coimputati, pur non essendosi mosso dal carcere nei sette mesi precedenti l’attentato. L’esecuzione viene commutata in una pena all’ergastolo. Un giudizio giudicato approssimativo anche da Amnesty International, che ha dedicato più di un rapporto all’utilizzo sistematico della tortura da parte dell’antiterrorismo marocchina per estorcere confessioni e far firmare verbali di dichiarazioni mai rese agli oltre 2.000 marocchini arrestati per terrorismo dal 2002. E Amnesty International si è spesa anche in favore di Youness Zarli con un comunicato del 29 aprile 2010, a cui ha seguito una interrogazione parlamentare alla Farnesina, presentata dai Radicali il 5 maggio 2010. Oltre ad Amnesty, il caso Zarli è monitorato dalla fondazione Karama, dalla Organizzazione marocchina per i diritti umani, ed è stato denunciato oltre che sulla stampa marocchina anche dalla televisione Al Jazeera. Brasile: i Vescovi denunciano; in 12 anni 211 casi di tortura in carcere Asca, 4 agosto 2010 Nelle carceri brasiliane, tra il 1997 e il 2009, sono stati accertati 211 casi di tortura. A darne notizia è un rapporto della Commissione per la pastorale carceraria della Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb), diffuso ieri. Secondo il coordinatore della Commissione, padre Valdir Joao Silveira, questo numero “andrebbe moltiplicato per cinque, anche se non ci sono dati precisi” in mancanza di testimoni. Solo grazie alle visite degli operatori della pastorale carceraria e alle denunce dei familiari, delle vittime e dello stesso personale delle carceri, sono infatti venuti alla luce i casi denunciati alle autorità. Raramente, tuttavia, i responsabili vengono puniti. Per questo i vescovi chiedono che in Brasile venga attuato il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura e altre pene e trattamenti crudeli, inumani o degradanti, ancora in attesa di ratifica da parte dei singoli Stati interni. Importante anche un cambiamento della mentalità della popolazione: “Agli occhi dell’opinione pubblica ogni detenuto è un criminale e come tale merita di essere maltrattato” spiega padre Silveira, definendo inoltre il sistema giudiziario nazionale “veloce per i ricchi, ma non per i poveri” che costituiscono la maggior parte dei detenuti. Svizzera: nel carcere di Givevra un tentativo di evasione fallito e una rissa tra detenuti Asca, 4 agosto 2010 Le guardie della prigione ginevrina di Champ-Dollon hanno sventato un tentativo di evasione. L’episodio, avvenuto nella notte fra ieri e oggi, ha visto protagonisti tre detenuti, che hanno cercato di rompere il vetro della propria cella. I secondini hanno dovuto usare la forza per neutralizzare il tentativo. Nei concitati momenti, quattro guardie e un altro operatore carcerario sono rimasti feriti, uno di loro si è probabilmente rotto il polso, mentre gli altri soffrono di strappi ai legamenti ed ematomi, ha precisato oggi il direttore della prigione Constantin Franziskakis, confermando informazioni dei media locali. Uno dei tre detenuti è subito stato estradato in Francia dopo il tentativo di evasione, un altro è in attesa di giudizio mentre il terzo è già stato condannato. Dovranno ora passare sei mesi in isolamento. Il carcere preventivo ginevrino è già stato teatro questo week end di diverse risse fra detenuti all’interno delle celle. La più grave di queste è finita con un accoltellamento, anche se la vittima è ora fuori pericolo, ha fatto sapere Franziskakis.