Giustizia: carceri care come alberghi a 4 stelle, ma condizioni al limite della sopravvivenza di Carmine Sarno Milano Finanza, 24 agosto 2010 Strutture sovraffollate, suicidi in costante aumento e mancanza di sicurezza. Ma per ogni detenuto lo Stato spende più di 113 euro al giorno, l’equivalente di un soggiorno in un grande albergo. Carceri cari come alberghi a quattro stelle. Ma le condizioni di vita per i detenuti sono al limite della sopravvivenza: spesso, infatti, in non più di 16 metri quadrati vivono fino a sei persone. A conferma di una situazione ormai al limite, ieri è arrivata la notizia di un nuovo suicidio di un detenuto, questa volta nel carcere di Parma. È l’ennesimo di una lunga lista, esattamente il 42esimo caso dall’inizio dell’anno, ha denunciato Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del sindacato di polizia penitenziaria Sappe. Una situazione drammatica, che assume il tono del paradosso viste le cifre e i costi che lo Stato si sobbarca ogni anno per la gestione di carceri e penitenziari. Di fatto, nel 2010 per mandare avanti gli istituti di detenzione lo Stato spenderà 2,77 miliardi di euro, con un costo medio di oltre 113 euro al giorno per ogni detenuto. Una cifra analoga a quella che un turista potrebbe pagare per alloggiare in una stanza singola in un qualsiasi hotel a quattro stelle nel centro di Roma o Milano. Premesso che la detenzione non dovrebbe essere intesa come una vacanza, in un Paese civile, però, la carcerazione non dovrebbe diventare una pena nella pena. Confrontando gli ultimi dati diffusi dal ministero della Giustizia sui costi medi giornalieri per detenuto, è possibile ricostruire fino all’ultimo centesimo come verranno spesi gli oltre 2,7 miliardi (vedere tabella in pagina). Dei 113,04 euro che rappresentano il costo giornaliero per ognuno dei 67.156 detenuti (dati aggiornati al 27 luglio 2010), il grosso è rappresentato dalla spesa per il personale di polizia penitenziaria. Si tratta di poco più di 95 euro, pari a 2,3 miliardi per tutto il 2010. In questa voce rientrano praticamente tutte le spese per il personale di servizio: dagli stipendi, al vestiario, dalle armi fino ai buoni pasto. Altri 4,42 euro al giorno (poco più di 108 milioni l’anno) è quanto lo Stato sborsa per la manutenzione delle carceri, le bollette del riscaldamento e la formazione del personale. Il mantenimento, l’assistenza, la rieducazione e il trasporto dei detenuti costano invece 180 milioni l’anno (7,36 euro al giorno). E bisogna precisare che dal 2008 le funzioni relative all’assistenza sanitaria negli istituti (tranne per quelli situati nelle Regioni a statuto speciale e nelle province autonome) sono a carico del Sistema sanitario nazionale e non più dell’amministrazione penitenziaria. Gli ultimi 5,6 euro (137,1 milioni annui), invece, appartengono alla voce “investimenti”, ossia le spese per l’edilizia penitenziaria, l’acquisto di mezzi di trasporto e i servizi delle industrie penitenziarie o colonie agricole. Sebbene il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, in più occasioni abbia ribadito che “il piano carceri messo appunto dal governo per fronteggiare il sovraffollamento degli istituti penitenziari vada avanti” i sindacati di polizia penitenziaria denunciano una situazione al limite del collasso. E a rendere ancora più allarmante questa situazione, il fatto che circa 6 mila posti detentivi sono inutilizzati per mancanza di agenti, ha sottolineato il Sappe. Attualmente, hanno aggiunto dal sindacato, mancano dalle piante organiche non meno di 6.500 agenti. Altro nodo spinoso è quello della sicurezza all’interno dei penitenziari, una situazione figlia del generale degrado del sistema carcerario. Secondo quanto hanno riportato dalla Uilpa penitenziari nel 2010 sono stati 165 gli agenti penitenziari feriti; a cui si aggiungono i 13 detenuti evasi e le 12 evasioni sventate. Giustizia: suicidi in carcere anche per colpa di carenze nell’organizzazione degli istituti Il Messaggero, 24 agosto 2010 Non è solo colpa dell’estate. Non è solo colpa della disperazione, di errori commessi e non superati se non con la fuga verso la morte. I suicidi in carcere sono diventati una piaga e con il giovane di 30 anni impiccatosi a Parma si è saliti a quota 42 dall’inizio dell’anno. Si trattava di un detenuto italiano al quale mancavano meno di due anni di carcere per espiare totalmente la sua pena. Il problema è più complesso e tocca anche le strutture penitenziarie, l’organizzazione dei servizi, la proporzione tra il personale di sorveglianza e la popolazione detenuta. Un problema di qualità della pena, se vogliamo. Un problema che si evidenzia ed esplode in penitenziari dove il sovraffollamento assume dimensioni drammatiche, il tutto a fronte di strutture carcerarie, anche nuove come quella di Rieti, dove invece le potenzialità sono sfruttate sì e no per un terzo. E questo per l’assoluta mancanza di personale. Sull’emergenza sono ieri di nuovo tornati i sindacati di categoria del Sappe e della Uilpa, evidenziando come “ sarebbe stato opportuno approvare definitivamente il disegno di legge Alfano sulle pene detentive brevi, prima della pausa estiva. Approvazione che avrebbe portato il corpo di polizia penitenziaria ad avere i 2mila agenti di cui si parla ormai da due anni”. “In Italia - spiega il segretario nazionale del Sappe, Giovanni Battissti Durante - ci sono circa 6mila posti detentivi inutilizzati per mancanza di agenti. Infatti ne mancano 6.500 dalle piante organiche. Sarebbe quindi opportuno prevedere l’assunzione di almeno altri 3mila agenti di polizia penitenziaria, oltre ai 2mila già previsti, in modo da poter aprire tutte le strutture ancora chiuse, come quella di Trento, Ancona, Rieti e il centro clinico di Catanzaro e tanti altri”. Giustizia: Osapp; urgente “passaggio” della Polizia penitenziaria al Ministero dell’Interno Il Velino, 24 agosto 2010 “Qualsiasi cosa ne dicano i sindacati che hanno tutto l’interesse a mantenere l’attuale status quo nel ministero della Giustizia, a ragion veduta, per la sopravvivenza del Corpo e per ottimizzare il funzionamento degli istituti penitenziari, è ogni giorno più urgente il passaggio della polizia penitenziaria alle dipendenze del ministero dell’Interno”. Questo il commento di Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) alla notizia della pubblicazione, quest’oggi sulla Gazzetta Ufficiale, del bando di concorso per 1.600 agenti della polizia di Stato. “Anche se l’organico della polizia di Stato è più di due volte il nostro e sussiste la disponibilità di maggiori risorse anche economiche - sostiene il leader dell’Osapp - è di tutta evidenza che in quel dicastero rispetto al ministero della Giustizia, i risultati si perseguano con costanza e l’organico del personale venga potenziato con priorità assoluta, nell’interesse della collettività e degli stessi operatori di polizia”. Secondo il segretario Osapp, infatti, “è sotto gli occhi di tutti che nonostante l’emergenza penitenziaria sia diventata quella di maggiore rischio per la sicurezza dei cittadini (68211 presenze detentive per 44585 posti disponibili alle 17 di ieri) nella polizia penitenziaria da più di un anno non ci sono nuovi bandi di assunzione, mentre prosegue la favola delle 2.000 unità in più che, se e quando ci saranno, tenuto anche conto di coloro che stanno andando in pensione anche per infermità da stress, colmeranno non oltre il 30 per cento delle carenze esistenti nel Corpo. Vista la persistente inadeguatezza politica e il progressivo impoverimento che contraddistingue la gestione della polizia penitenziaria e delle carceri - conclude Beneduci - il dubbio che ogni giorno si consolida è che per gli istituti di pena si voglia fare altro e che l’ipotesi di una forte volontà di privatizzare i servizi e la vigilanza interna, a esempio nelle nuove strutture del cosiddetto piano carceri, non sia affatto remota”. Giustizia: Vitali (Pdl) all’Osapp; basta attacchi al Ministro Alfano, serve collaborazione Ansa, 24 agosto 2010 “In questi ultimi tempi si nota una insolita vena dichiarativa da parte del segretario dell’Osapp, Leo Beneduci, che si sviluppa in attacchi al ministro Alfano perdendo di vista i veri interessi della polizia penitenziaria”. Lo afferma Luigi Vitali, responsabile dell’ordinamento penitenziario del Pdl, replicando alle numerose dichiarazioni critiche mosse da Beneduci al ministro della Giustizia. “In un momento di particolare difficoltà del sistema carcerario - spiega Vitali in una nota - è normale far sentire la voce della polizia penitenziaria, la quale ha indubbiamente grande merito e continua ad arginare con la sua professionalità il momento di crisi. Se non che, così come ogni salmo finisce in gloria, ogni dichiarazione di Beneduci finisce con un attacco al ministro Alfano. Capiamo che il segretario dell’Osapp avrebbe preferito un ministro di altro colore politico ma non si può consentire questo continuo attacco che non rende merito agli sforzi profusi dal ministro e ai risultati raggiunti”. “Non è attaccando il proprio ministro che si fanno gli interessi degli agenti. Quando poi la vena polemica arriva ad auspicare il passaggio della polizia penitenziaria sotto la giurisdizione di un altro dicastero, la misura è veramente colma. Mi auguro - conclude Vitali - che le altre sigle sindacali vogliano ristabilire la verità, nel rispetto reciproco e nel solco della leale collaborazione”. Giustizia: 1 agente per 150 detenuti e celle “singole” con 3 persone, così non può continuare di Massimiliano Peggio La Stampa, 24 agosto 2010 Un agente ogni 150 detenuti durante i turni di notte. Straordinari resi “obbligatori” per il protrarsi dei servizi ma non pagati. Giornate di riposo non rispettate. Norme di sicurezza sacrificate per il sovraffollamento delle celle. È scontro aperto tra l’Osapp, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, e il comandante del corpo presso il carcere torinese, accusato di aggravare con “provvedimenti arbitrari” e “atteggiamenti provocatori” i malanni cronici degli istituti di pena. Una rivolta penitenziaria al contrario, sollevata questa volta dai “custodi” dei carcerati. “Per la prima volta in 30 anni chiediamo ufficialmente di sostituire il comandante - spiega Gerardo Romano, segretario regionale dell’Osapp -. Lo facciamo perché il rapporto col personale è diventato insostenibile”. Con cartelli, trombe e tamburi, ieri pomeriggio duecento agenti aderenti al sindacato e altri colleghi hanno manifestato di fronte ai cancelli del carcere “Lorusso e Cotugno”, accompagnati anche da mogli e figli. “Purtroppo - dice Natale Basile, assistente capo - sono proprio le nostre famiglie a patire i turbamenti del nostro lavoro. A volte torno a casa così stressato che non riesco a dare retta ai miei figli”. Senza parlare poi della sicurezza durante i turni di notte. “Con un solo agente in servizio per quattro sezioni - racconta Antonio Catapano, addetto alla vigilanza dei padiglioni - può succedere di tutto. Se qualcuno tenta di togliersi la vita in cella, prima di poterlo soccorrere passano minuti preziosi”. I dati forniti ieri bastano a spiegare l’emergenza carceraria: su 1598 detenuti presenti a Torino, gli agenti sono 808. “Stando al decreto ministeriale del 2001 che fissa i livelli di organico - afferma Gerardo Romano - dovrebbero essere 1.129. Di fatto ne sono stati assegnati 972, ma 164 sono stati sottratti per sopperire le carenze di altri centri”. Anche i colleghi di altri istituti piemontesi vivono le stesse condizioni. Così vale ad per Fossano e per Asti. In quest’ultima struttura i carcerati stanno attuando lo sciopero della fame a rotazione per denunciare il sovraffollamento delle celle. “Le sezioni di alta sicurezza - spiega Domenico Favale, segretario provinciale Osapp - sono strutturate con stanze singole che all’occorrenza possono ospitare due carcerati. Ma in quasi tutte ce ne sono tre. Pura follia. Nelle prossime settimane faremo un sit-in ad Asti”. Solidali con la polizia penitenziaria anche il Pd Piemontese. “La situazione - si legge in una nota disastrosa e regge solo grazie alla professionalità del personale. Finora il Governo di destra ha fatto annunci e promesse, senza fatti. Mancano risorse indispensabili per consentire agli agenti di fare il loro mestiere, ai detenuti di vivere in condizioni accettabili e ai cittadini di sentirsi più sicuri”. Giustizia: Pd Piemonte; solidarietà ad agenti di polizia penitenziaria in stato di agitazione Adnkronos, 24 agosto 2010 Il Pd “è solidale con gli agenti della polizia penitenziaria che quest’oggi hanno manifestato davanti alla casa circondariale di Torino e sostiene le proposte avanzate dall’Osapp per il miglioramento delle loro condizioni di lavoro”. È quanto fanno sapere in una nota il segretario regionale del Pd del Piemonte, Gianfranco Morgando, e quello provinciale di Torino, Gioacchino Cuntro”. “Il Partito democratico - spiegano - è attento alle problematiche del sistema penitenziario, a cominciare da quella del sovraffollamento che ha raggiunto limiti intollerabili, e nei mesi scorsi i nostri parlamentari e dirigenti hanno visitato le più importanti carceri del Piemonte incontrando i rappresentanti di tutti coloro che vi operano, dagli agenti al personale amministrativo ai volontari. Abbiamo riscontrato una situazione disastrosa che regge solo grazie alla loro professionalità e al loro impegno”. “Finora il Governo di destra - prosegue la nota - ha fatto annunci e promesse, ma mancano i fatti. Mancano, soprattutto, le risorse indispensabili per consentire agli agenti di fare il loro mestiere, ai detenuti di vivere in condizioni accettabili, ai cittadini tutti di sentirsi più sicuri. L’emergenza del sistema carcerario - concludono i vertici del Pd piemontese - dimostra quanto la sicurezza sia per la destra solo una bandiera da far sventolare in campagna elettorale”. Giustizia: Maniero, ma anche Vallanzasca e Omar; la nuova vita dopo il carcere di Cesare Fiumi Corriere della Sera, 24 agosto 2010 C’è il pentito di ‘ndrangheta che, trasferito a nord dal programma protezione, esce ogni mattina, puntuale, per andare al lavoro che non ha, ciondolando in giro fino a mezzogiorno, prima di tornare a casa a pranzo. S’è dovuto inventare un mondo parallelo per sostenere, davanti ai tre figli, quella strana verità e poter rispondere alla solita domanda: “Com’è andata oggi, papà?”. C’è il pentito di mafia sistemato da anni negli Usa (sono quasi trecento i protetti dallo Stato) che vuol riprendersi la vita, e sarebbe la terza stavolta perché domani non è mai come prima. E comunque ora che la paura d’essere ammazzato - lui e i suoi familiari - ormai svapora e quella leggera plastica facciale e gli anni trascorsi han mutato i lineamenti, forse è il caso di rischiare. E oggi c’è anche Felicino Maniero, 55 anni, già boss della mala del Brenta (quattordici delitti imputati alla sua banda, tra gli anni Ottanta e Novanta, soprattutto sull’asse Venezia-Padova, che ha chiesto di essere iscritto alla lista - avendo fatto molti nomi, mai quello del luogo dove avrebbe nascosto il suo tesoro - alla nuova vita e della nuova identità, scegliendosi per cognome Mori, come il generale dèi carabinieri. Forse per ricordare che proprio da carabinieri erano travestiti i dieci banditi che riuscirono a farlo scappare di prigione, in una delle sue tre evasioni. Rifarsi una vita dopo averne disfatte. Negli Stati Uniti, in materia, c’è corposissima letteratura e ottima sceneggiatura per fiction e film. Da noi queste storie restano sospese tra il diritto e l’indignazione - i parenti delle vittime che non se non sanno farsene una ragione - e al tempo stesso quasi dei pro-memoria di vicende buie, un tempo emotivamente coinvolgenti, e oggi arrivate all’ultima puntata. Alla seconda occasione di una vita per chi a qualcuno non ne ha lasciata neppure una. Felice Mori, già Maniero, è soltanto l’ultima puntata del pentitismo da malavita che muta vita, quello che raccoglie il maggior numero di casi e di storie e che ha come incipit quel signore dalla nuova identità - assegnatagli per proteggere le sue parole - che se ne andava tranquillo in crociera ma fu riconosciuto da un giornalista di Oggi: il crocierista era Tommaso Buscetta, il giornalista l’attuale senatore Di Gregorio. E oggi la teoria delle tristemente celebri identità nascoste - che è l’ossimoro di questo rifarsi la vita dopo il reato - ha in elenco storie come quella di Gaspare Mutolo, già autista di Totò Riina, che è un po’ la faccia artistica del “pentitismo”, visto che la sua, di faccia, al momento non esiste. Non più. Nessuna foto, nessuna indicazione per riconoscere questo signore di mafia con la passione per la pittura. Già, perché Mutolo s’è fatto pittore in galera, prima di finire in galleria e pure venduto bene. E allo stesso filone si possono iscrivere il suo ex compagno di cella Luciano Liggio e quell’altro Luciano, Lutring, mala anni Sessanta di Milano, passato con la massima naturalezza dalle rapine alla tavolozza, con tanto di premi e buoni riscontri di critica. Ha detto Mutolo: “Quando sto davanti a uria tela dimentico di esistere. Non so più chi sono”. Quasi un epitaffio sul passato e un’autocertificazione di identità mutata. Fin qui, pentitismo malavitoso, mafioso e ‘ndranghetista che si danno una riverniciata. Ma le nuove identità che più lasciano il segno sono quelle che richiamano delitti. E delitti efferati, forse perché si tratta di pentitismo senza tornaconto di Stato, come la scelta di cambiare è personale e mai verificabile. È quanto accaduto, lo scorso marzo, quando Omar Favaro - l’Omar di Erika - è tornato in libertà, a nove anni dall’omicidio della signora Susanna Cassini e del piccolo Gianluca, a Novi Ligure. Omar ha scritto: “Io non provo vergogna di farmi vedere in giro”. E anche: “Ma voglio una nuova vita”. Farsi vedere in giro: è quello che da un po’ di tempo fanno, a Mon-tecchia di Crosara, accompagnato dagli assistenti sociali, i due complici di Pietro Maso nell’eccidio familiare del ‘91. Ed è quello che fa Ferdinando Carretta che due anni prima sterminò, a Parma, la sua famiglia, prima di fuggire a Londra, confessare la strage, finire assolto per incapacità di intendere e di volere e, oggi, di fare l’impiegato. Come impiegata, a pena scontata, è la signora Doretta Graneris, grafica presso il centro di Don Ciotti a Torino: la donna che nel ‘75 uccise i genitori, i fratello e i nonni materni. Tre storie estreme, scandite da anni e contesti diversi, ma che si portano appresso un senso di destini incompiuti e (ri)consentiti assieme. E comunque cambiare identità resta, nella maggior parte dei casi, un trapianto sconvolgente. E non solo facciale, i tratti mutati e con lo specchio impietoso che non si lascia guardare mentre cerchi di accettare l’idea d’aver cambiato pelle, la tua. Non è solo questione di vedovanza dal proprio aspetto, ma è quel passato non più concesso a fare la differenza. E non soltanto il proprio. Perché una nuova identità si trascina dietro, a forza, le vite degli altri, mogli e figli, che si chiudono dietro per sempre affetti, amicizie, percorsi di studi: all’orizzonte un innesto complicato, delicato. A volte impossibile, che il rigetto è sempre in agguato. Si chiamava Elena e aveva diciotto anni quando il padre decise di cominciare a collaborare e lei dovette svanire, cambiare abitudini, città, vita e far scordare il suo nome, quello vero. E ne aveva trenta, quattro anni fa, quando, complice un amore finito male ma pure quell’identità sempre e comunque da celare, decise di farla finita. Oggi si sarebbe potuta chiamare Elena Mori. Era la figlia di Felice Maniero. Lettere: Bologna; i detenuti al Commissario comunale; mantenere il Garante Desi Bruno Ristretti Orizzonti, 24 agosto 2010 Egregio Commissario di Bologna, Le scriviamo a nome della popolazione detenuta del carcere di Bologna riguardo all’imminente destituzione dell’avv. Desi Bruno dall’incarico di Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. Incarico che l’avv. Desi Bruno ha ricoperto e svolto con la massima dedizione, affrontando con competenza e delicatezza le molteplici e ardue problematiche che via via si sono susseguite nel corso del suo mandato, non sottraendosi mai alle traversie che hanno richiesto la sua presenza, e portando con senso dell’equilibrio e obiettività le nostre istanze su giornali e telegiornali. La dott. Desi Bruno ha riscosso ampio apprezzamento presso i detenuti e gli organi competenti, è stata un faro per tutti noi i cui animi, malgrado l’avvicendarsi di fortissimi disagi e sofferenze causati dal cronico estremo sovraffollamento, ha provveduto a placare, insegnandoci che attraverso il dialogo e la calma si possono raggiungere i risultati. L’allontanamento dal ruolo che lei riveste sarebbe un trauma e una grave perdita per noi e per Bologna poiché verrebbe meno un punto di riferimento vitale. Tra i suoi meriti rientra quello, non meno rilevante, di essersi adoprata per la realizzazione di diversi progetti che hanno conosciuto un discreto successo andato oltre le mura. Oltre all’impegno profuso e alla passione dimostrata, senza l’avv. Desi Bruno verrebbe a mancare una eminente figura professionale con un grande bagaglio di esperienza e profondamente conoscitrice delle leggi penali e penitenziarie. Pertanto, alla luce di questa realtà, Le chiediamo di voler prendere in seria considerazione l’opportunità, dettata dalla necessità, della concessione di una proroga inerente al mandato conferito all’avv. Desi Bruno nel ruolo di Garante sino al momento in cui si terranno le prossime elezioni politiche comunali. La ringraziamo per l’attenzione dedicataci e La salutiamo cordialmente, fiduciosi in una risoluzione costruttiva. Qualora non fosse possibile concedere la proroga richiesta, auguriamo all’avv. Desi Bruno di rivestire in futuro un ruolo politico di prestigio nell’ambito della giustizia con possibilità decisionali finanche maggiori di quelle previste dal ruolo di Garante. I detenuti della “Dozza” di Bologna Lettere: sono uno dei tanti genitori che hanno vissuto l’esperienza di un figlio in carcere… Ristretti Orizzonti, 24 agosto 2010 Sono uno dei tanti genitori che hanno vissuto l’esperienza di un figlio in carcere per aver commesso sicuramente un errore, ma che porterà il segno di questa esperienza per tutta la vita. La detenzione presso la Casa Circondariale di Ancona per fortuna è durata pochi mesi, ma ci ha fatto vedere una realtà che non è degna neanche del terzo mondo. Non voglio entrare nella situazione vissuta all’interno, che conosco solo in parte da qual poco saputo da mio figlio, e che ritengo nessuno può conoscere fino in fondo, proprio perché anche i detenuti stessi non riescono ad esprimere la situazione vissuta. Ma la sensibilità di un genitore credo possa vedere negli occhi e nei comportamenti dei propri figli i segni lasciati da questa esperienza che annulla la personalità e la mente. Ma gli errori dei figli li fanno pagare duramente anche a noi genitori, ed ecco perché voglio cercare di portare una testimonianza che possa servire a qualcuno per riflettere. Penso sia inutile parlare in questo dibattito della realtà del sovraffollamento del carcere di Montacuto, della mancanza di ogni rispetto umano, della difficoltà di qualsiasi contatto con l’esterno anche solo per la richiesta di un permesso, per l’invio di un fax/telegramma, della mancanza di qualsiasi forma di attività di relazione. Situazione comoda per i responsabili per non avere problemi e poter mostrare all’esterno una situazione tranquilla che tranquilla non lo è affatto. È una vergogna che in un paese cosiddetto “civile” si continui a parlare di riforma carceraria, leggi sulla sicurezza, garanzie dei diritti umani e poi si viva la realtà che molte delle persone che saranno presenti a questo dibattito bene conoscono. Ci riempiamo la bocca di buoni propositi, ma poi che facciamo e cosa fanno le istituzioni? Il personale che ho avuto modo di incontrare nelle lunghe ore di attesa per i colloqui sicuramente è nella maggior parte dei casi “umano” e non ha colpa della completa mancanza di organizzazione già visibile per i colloqui, anche perché la carenza di personale degli agenti di custodia è un altro degli argomenti tanto a cuore dei nostri amministratori locali, che ogni tanto pensano bene di farsi un po’ di pubblicità sui giornali con visite alla casa circondariale, peraltro senza nessun effetto reale. Sicuramente si ritiene che i parenti dei detenuti siano persone che non lavorano, che possono stare mattinate intere in uno stanzone affollato in attesa del tanto sospirato colloquio perché intanto non hanno diritto anche alla propria vita; chiaramente giovani madri che si accollano viaggi in autobus con bambini piccoli e pacchi devono pagare in qualche modo gli errori delle persone a cui vogliono bene. E poi, se si riesce ad entrare (visto lo spazio dedicato ai rapporti con i familiari sempre nel tema “cittadino dentro e fuori”) è ancora più aberrante la modalità di colloquio, con un bancone di marmo e qualche seggiolino nelle due parti visitatori/detenuti che sono comunque inutili visto che le persone sono attaccate una all’altra e per parlare con il congiunto occorre urlare e avvicinarsi il più possibile sopra il bancone. E questo riteniamo possa essere considerato rispetto delle persone? Ma come è possibile che non si possano predisporre spazi più umani dove si possa veramente mantenere il rapporto fisico e verbale con i propri cari? La cosa che mi dispiace di più non poter essere presente a questo dibattito è quello di non poter incontrare la Sig.ra Castellano, che nel suo libro è riuscita a dare un’idea di quello che ha ottenuto in termini di reali cambiamenti. È un libro vero, molto rispondente alle realtà italiane, e penso che molti responsabili delle istituzioni italiane dovrebbero leggerlo e imparare ad assumersi le responsabilità affinché veramente si possa ricominciare da dentro il carcere un percorso di vita da continuare nella socialità esterna. Un grazie particolare e pubblico va a tutti i volontari della Caritas Ancona Osimo, che si adoperano in modo fattivo e vero nell’aiuto ai carcerati e alle loro famiglie, ma che vengono spesso bloccati in ogni iniziativa proposta a sostegno dei detenuti. Sono state le uniche persone di riferimento in questo bruttissimo periodo che ci hanno aiutato in tutto quello che era possibile e soprattutto ci hanno ascoltato. Un grazie a tutti loro anche per l’impegno profuso in questa iniziativa, che ci auguriamo possa essere veramente un aiuto per costruire un confronto serio tra gli organismi regionali a sostegno delle persone con problemi di giustizia. Lettere: detenuti nel carcere di Lanusei denunciano; qui viviamo in condizioni disumane Ansa, 24 agosto 2010 In questo istituto non si tende alla rieducazione del condannato, ma solo a reprimerlo cancellando ogni spazio e diritto dei detenuti. Le strutture sono una vergogna nazionale perché sicuramente neanche nel terzo mondo si può trovare un simile rudere dove si calpesta la dignità dell’uomo”. Sono le parole di otto detenuti del carcere di Lanusei che hanno inviato all’associazione Socialismo Diritti Riforme una lettera-denuncia spedita al Magistrato di Sorveglianza e per conoscenza al Presidente della Repubblica e al Ministro della Giustizia. “A parte la struttura medioevale del carcere - sottolineano tra l’altro i ristretti di Lanusei - siamo costretti in una cella 6 x 3 metri dove siamo stipati in sette, otto con un bagno in un angolo senza protezione, praticamente all’aperto. Ma le umiliazioni non finiscono qui. Non esiste la socialità, la notte viene spenta la tv e viene riaccesa la mattina alle 9, quando è prevista l’ora d’aria impedendoci così la mattina di ascoltare le notizie. In tutti gli altri Istituti d’Italia invece i detenuti usano la televisione a loro piacimento. In tutte le carceri d’Italia ci sono i frigoriferi in sezione, acquistati con i fondi ministeriali, qui invece - conclude la lettera - non c’è neanche il frigo. L’arretratezza di questo carcere è evidente”. Cagliari: detenuta nigeriana di 25 anni tenta il suicidio a Buoncammino Agi, 24 agosto 2010 Una detenuta nigeriana di 25 anni, che si dichiata innocente, ha tentato il suicidio nel carcere di Cagliari. La notizia è stata diffusa da Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, che sottolinea come il gesto disperato “sintetizzi drammaticamente la condizione di oppressione dell’esperienza detentiva”. La giovane ha tentato di togliersi la vita dopo la condanna a 6 anni di reclusione, nonostante il connazionale con cui si trovava al momento dell’arresto per traffico di droga ne avesse dichiarato la totale estraneità. L’uomo aveva ingerito prima della partenza ovuli con quasi un chilogrammo di eroina, fatto del quale la ragazza ha sempre affermato di non essere mai stata a conoscenza. La nigeriana aveva già manifestato propositi autolesionisti. “La giovane donna, che si professa innocente, è stata colta da una crisi di sconforto avendo appreso - sottolinea Caligaris - del difficile stato di salute della figlioletta che vive con una zia in Nigeria. La depressione - evidenzia la presidente di SDR - rende anche l’individuo più forte e determinato in uno stato di indifferenza nei confronti della vita. Ciò a maggior ragione quando la persona privata della libertà è convinta di essere vittima di un errore. Aldilà della buona volontà degli operatori, è evidente che una struttura detentiva per poter svolgere un capillare lavoro di prevenzione dell’autolesionismo deve poter contare su un numero adeguato di figure professionali di ogni livello. Quando invece scarseggiano le Agenti, sono insufficienti gli psicologi e gli educatori, quando le attività sono limitate purtroppo gli episodi drammatici si moltiplicano”. La nigeriana nei mesi scorsi si era rivolta all’ambasciata nigeriana, ad Amnesty International e all’associazione internazionale per i Diritti Umani. Il legale Herica Dessì ha presentato istanza per differimento pena per le condizioni di salute. Teramo: Forza Nuova; per risolvere sovraffollamento espellere stranieri condannati Agi, 24 agosto 2010 “Anche in Abruzzo, come nel resto d’Italia, il sovraffollamento carcerario ha superato da un pezzo la soglia di tolleranza. Secondo un rapporto recente, redatto da CRI e sindacati, il 40% degli istituti di pena della regione è colpito da questa devastante piaga con Teramo a guidarne la classifica. Suicidi, tentati suicidi, tentate evasioni ed aggressioni ad agenti penitenziari che meritano una profonda e costante attenzione e che inducono a diverse riflessioni”. Lo dice Marco Forconi, segretario provinciale di Teramo di Forza Nuova. “Senza entrare nel merito di questioni molto più complesse (amnistie, indulti, carceri nuove, lodi ecc.) è doveroso - dice - ricordare che se esiste questo sovraffollamento ciò è dovuto anche al crescente numero di stranieri detenuti negli istituti di pena italiani. Percentuali assurde, che superano largamente il 30%, e sulle quali questo governo ed i precedenti non hanno mai assunto posizioni coraggiose e radicali. La segreteria provinciale esprime, pertanto, solidarietà ai detenuti italiani rinchiusi nel carcere teramano di Castrogno e ribadisce le posizioni nazionali del movimento, secondo cui l’unico metodo per contrastare la piaga del sovraffollamento degli istituti di pena è il blocco dell’immigrazione per un determinato periodo temporale e l’immediata espulsione di cittadini, anche comunitari, che si siano macchiati di reati in Italia o nei loro Paesi d’origine”. Catania: intesa tra Garante dei detenuti e la Camera Penale, per la legalità nelle carceri Italpress, 24 agosto 2010 Il Garante dei diritti dei detenuti, Salvo Fleres, ha stipulato una convenzione con la Camera Penale di Catania, rappresentata da Giuseppe Passarello, finalizzata “all’assistenza legale per eventuali episodi di cui fossero vittime reclusi, ai fini della costituzione di parte civile del Garante”. La convenzione riguarda anche una giù generale collaborazione legata alla diffusione della cultura della legalità e del recupero. “La decisione di costituire parte civile l’Ufficio del Garante - ha dichiarato Fleres - si è resa necessaria al fine di contribuire in modo formale alla ricerca della verità nelle ipotesi di violazione della legge in carcere, nei casi di suicidio, sovraffollamento, carenza nella attività di assistenza sanitaria”. Siracusa: nuova aggressione ad un agente nella Casa circondariale di Augusta La Sicilia, 24 agosto 2010 Non sembra frenarsi l’escalation di aggressioni dei detenuti nei confronti del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria. L’ennesimo episodio si è verificato questa mattina presso la struttura penitenziaria di Augusta, dove l’agente addetto al controllo e smistamento dei detenuti, nel tentativo di porre fine ad una lite tra carcerati, è stato aggredito da uno dei due uomini, di origine straniera. L’episodio, che grazie all’intervento dei colleghi si è risolto senza gravi danni alla persona, ha portato all’ennesima denuncia da parte del sindacato. “È imbarazzante notare il silenzio dell’amministrazione, il silenzio dello Stato - si apprende dalla nota inviata dal vice segretario nazionale Ugl-Fnpp, Sebastiano Bongiovanni - dinanzi ai fatti gravissimi che si stanno susseguendo giorno dopo giorno nelle carceri d’Italia, ed a farne le spese, ancora una volta, è solo la Polizia Penitenziaria. Stando agli ultimi eventi si percepisce sempre più la debolezza dell’amministrazione centrale, la quale non sembra riuscire a gestire come si conviene quei problemi principali che poi portano alle conseguenze peggiori, cioè suicidi, aggressioni, autolesionismi, proteste”. Nella fattispecie, l’ente pubblico sarebbe colpevole di non riuscire a risolvere con adeguatezza il problema del sovraffollamento delle carceri, la rilevante presenza di stranieri detenuti e la carenza di organico della polizia penitenziaria. Se l’episodio di questa mattina non è volto al peggio, è anche merito della stretta sinergia instaurata tra il Sindacato e la direzione di Augusta, “che ringraziamo per gli sforzi che sta mettendo in atto - conclude la nota - accogliendo molte delle proposte da noi formulate in questi anni. Siamo consapevoli che questi sono solo provvedimenti di carattere decentrato e tampone, per tale motivo, chiediamo per l’ennesima volta aiuto alle istituzioni”. Sulmona: doppia inchiesta sul detenuto che ha tentato il suicidio dando fuoco alla cella Il Centro, 24 agosto 2010 Sull’ultimo episodio che ha visto un detenuto di 50 anni originario di Napoli tentare di uccidersi appiccando il fuoco al materasso della cella, la Procura di Sulmona ha aperto un’inchiesta. Stessa cosa ha fatto la direzione del carcere che mira a risalire alla ricostruzione del fatto e a eventuali responsabilità nei controlli. Anche se il detenuto si è salvato grazie al tempestivo intervento degli agenti in servizio. Non si allenta la tensione nel carcere di Sulmona. L’ultimo tentativo di suicidio ha riproposto in tutta la sua drammatica evidenza i problemi derivanti dalla carenza di organico e una situazione interna al limite del collasso. Al momento dell’incidente, che è avvenuto in una cella dell’infermeria del carcere peligno, in servizio c’erano 137 agenti di polizia penitenziaria. Mentre per rispettare i livelli minimi di sicurezza ne dovevano essere presenti almeno 180. Ed è proprio attorno a questi dati che ruota l’inchiesta del procuratore Federico De Siervo, il quale oltre a ricostruire la dinamica con cui si sono svolti i fatti, vuole scoprire se all’interno del carcere, al momento del tentativo autolesionistico, erano rispettati i livelli di sicurezza sia nei confronti dei detenuti sia nei confronti degli agenti in servizio. Qualora emergessero riscontri che potrebbero in qualche modo evidenziare precise responsabilità, non è escluso che qualcuno possa finire dentro un’inchiesta che al momento è stata aperta contro ignoti. Un’altra indagine è curata dalla direzione del penitenziario. Intanto, il sindacato torna a chiedere il potenziamento dell’organico e carichi di lavoro meno pesanti. Anche in vista della riapertura del carcere di Avezzano dove dovrebbero far ritorno una trentina di agenti attualmente in servizio a Sulmona. “Non vorremmo che in un momento così drammatico qualcuno decidesse di riportare gli agenti ad Avezzano”, afferma Gino Ciampa, segretario provinciale della Cgil, “chiediamo al provveditore che prima venga adeguato l’organico in servizio a Sulmona e che poi si proceda al trasferimento degli agenti nella Marsica”. Modena: prodotti biologici di stagione... coltivati in carcere, venduti fuori Redattore Sociale, 24 agosto 2010 Secondo anno per il mercato contadino fuori dal carcere S. Anna, progetto del gruppo Carcere-città. Ne parla la presidente Paola Cigarini: “E' un modo per far incontrare gli abitanti del quartiere”. Far vedere il carcere e realizzare un tramite tra il dentro e il fuori. Paola Cigarini, presidente di Carcere-città, gruppo che dal 1986 si occupa dei detenuti della Casa circondariale S. Anna, spiega così la scelta di realizzare un mercato contadino con i prodotti coltivati all’interno del carcere. “Gli orti di S. Anna”, così si chiama il progetto, nasce nel 2009 in occasione della “Festa dei vicini” organizzata dal Comune per creare un momento di aggregazione tra gli abitanti del quartiere. “Anche il Sant’Anna fa parte del quartiere e il nostro obiettivo era farlo conoscere ai suoi vicini”. Aprire le porte del carcere, togliendolo dall’isolamento, e farvi entrare la città, perché lo riconoscesse come una parte di sé. Il mercato contadino è diventato, quindi, il punto di contatto tra detenuti e cittadini. Da giugno a ottobre, l’ultimo sabato del mese (il prossimo appuntamento è il 28 agosto), i volontari di Carcere-città sono all’esterno del carcere per vendere i prodotti coltivati al suo interno. Insieme a loro due detenuti che lavorano in condizione di semilibertà dentro il Sant’Anna, “persone come noi che si confondono con i volontari e che la gente non riconosce come detenuti”. Sono una decina (su 450) i detenuti che lavorano la terra al Sant’Anna. Ortaggi e miele i prodotti, rigorosamente biologici e di stagione, che offrono al mercato. “Queste persone stanno facendo un percorso importante – afferma la presidente di Carcere-città – : apprendono un mestiere e imparano le regole del lavoro. Inoltre, crescere una pianta e curarla giorno per giorno spinge a riflessioni di altro tipo nel rapporto con il prodotto”. Pur essendo centrale, il quartiere che ospita il S. Anna è sprovvisto di negozi e i suoi abitanti hanno apprezzato la presenza di un mercato di prodotti biologici da raggiungere a piedi o in bicicletta. “Ci hanno accolti in modo positivo – racconta Cigarini – e non ci sono mai stati atteggiamenti ostili, reazioni sciocche o domande indiscrete. Anzi, ormai ci conoscono e con alcuni siamo diventati amici”. Certo non mancano le difficoltà, legate in particolare al carattere di non continuità che è insito in tutte le attività carcerarie, ma per i detenuti “gli Orti di S. Anna” rappresentano comunque un’occasione per uscire dalla propria cella e confrontarsi con l’esterno. “Anche se – conclude Cigarini – a loro piacerebbe poter consumare ciò che producono anche nella mensa del carcere”. Palermo: sabato arriva il “Jail tour”, per valorizzazione del lavoro carcerario Il Velino, 24 agosto 2010 Sabato 28 agosto alle ore 15,30 alla Bottega dei Saperi e dei Sapori della Legalità di Piazza Castelnuovo 13 a Palermo, la Coop. Sociale Azzurra, Libera - associazioni nomi e numeri contro le mafie, Navarra Editore e Quvivi presentano il progetto Recuperiamoci! per la valorizzazione del lavoro in carcere e il recupero del detenuto tramite un percorso “protetto” di transizione verso il reinserimento nel mondo del lavoro. Il progetto offre visibilità ai prodotti “made in carcere”, tra cui: biscotti, vino, olio, miele, zafferano, conserve alimentari, magliette e capi sartoriali di alta qualità, ferro battuto, libri, agende, computer recuperati e molto altro, in vista dell’apertura di un emporio permanente del prossimo autunno. A seguire alle ore 18,00 presso il Quvivi di Piazza Rivoluzione verrà allestita la proiezione del Video “Sul Lavoro In Carcere” con esposizione prodotti. L’economia carceraria viaggia su 4 ruote grazie a Jail Tour 2010, un’iniziativa di recuperiamoci.org per la promozione dell’economia carceraria italiana. Iran: per manifestanti morti in carcere sospesi 3 funzionari dell’apparato giudiziario Ansa, 24 agosto 2010 Tre funzionari dell’apparato giudiziario iraniano sono stati sospesi dal loro incarico per il loro presunto ruolo nella morte, avvenuta nel centro di detenzione di Kahrizak, a sud di Teheran, di tre giovani manifestanti arrestati durante le proteste antigovernative seguite alle elezioni presidenziali del giugno 2009. Lo riferisce la Bbc online citando media locali. Nel giugno scorso due carcerieri sono stati condannati a morte da un tribunale militare dopo essere stati riconosciuti colpevoli delle torture subite dai tre giovani. Durante le proteste seguite alla rielezione del presidente Mahmud Ahmadinejkad e contestate dall’opposizione oltre 150 dimostranti erano stati rinchiusi a Kahrizak e almeno tre di loro sono morti. Una delle vittime era Mohsen Ruhalamini, figlio di un esponente conservatore. Iran: violentato in carcere un giornalista oppositore del regime Ansa, 24 agosto 2010 Abdolreza Tajik è un noto giornalista iraniano, uno con la schiena dritta, scrive su quotidiani e periodici critici nei confronti del regime. Testate riformiste quali Fath, Banyan e Bahar, giornali che hanno il coraggio di scrivere la verità su Ahmadinejad e compari. Ma Tajik è soprattutto membro del Centro dei difensori dei diritti umani, fondato dal premio Nobel Shirin Ebadi, costretta all’esilio, lontana dal’Iran, per evitare l’arresto. Naturalmente il suo centro è stato chiuso dal regime. Tajik è ospite, a intervalli regolari di sei mesi, del carcere di Evin, vicino a Teheran; questo dal 14 giugno 2009, due giorni dopo le discusse e contestate elezioni presidenziali. Scarcerato, il giornalista è stato riarrestato il 29 dicembre 2009 e liberato due mesi dopo. Dopo il 12 giugno scorso, data del suo terzo arresto, ad Abdolreza Tajik, nell’inferno di Evin, è accaduto qualcosa di angosciante, che nulla ha da invidiare ai metodi dell’Argentina dei generali. Nonostante le censure degli sgherri di regime, i fatti, seppur con ritardo, sono trapelati: Tajik durante la permanenza in carcere e durante gli interrogatori è stato “hakte hormat”, disonorato. Ha subito abusi sessuali. Questa la confidenza fatta dal giornalista ai familiari durante il colloquio avvenuto oltre un mese dopo l’arresto, periodo in cui Abdolreza era letteralmente scomparso, nessuna notizia di lui. Abusi e violenze nelle carceri iraniane sono certamente all’ordine del giorno, però quanto accaduto al giornalista è ben più grave, in quanto l’atto avrebbe avuto luogo alla presenza di un alto magistrato. La notizia è stata diffusa dalla sorella di Abdolreza, Parvin e l’Alto Commissariato dell’Onu è stato sensibilizzato a “fare pressioni sulle autorità iraniane perché accettino gli ispettori delle Nazioni Unite al fine di indagare sulle accuse di maltrattamenti nelle carceri di quel paese”. Intanto Abdolreza Tajik è tuttora rinchiuso ad Evin, nelle mani di quegli stessi criminali che lo hanno “disonorato” e senza la possibilità di incontrare il suo avvocato. Svizzera: detenuto si nasconde nel cassonetto dei rifiuti destinati al compostaggio ed evade Ansa, 24 agosto 2010 Un detenuto è evaso ieri pomeriggio dal penitenziario di Zugo nascondendosi nel cassonetto dei rifiuti destinati al compostaggio. L’uomo, un 29enne serbo condannato per delitti di violenza domestica, non è considerato pericoloso, ha reso noto la polizia. Il fuggitivo stava scontando dallo scorso aprile una condanna a tre anni e mezzo di prigione. La sua scomparsa è stata notata verso le 17 dai secondini che hanno allarmato la polizia. In base ai primi accertamenti, l’uomo si è nascosto verso le 15.30 nel cassonetto dei rifiuti “verdi”. Il contenitore è stato trasportato fuori dal penitenziario e il detenuto si è dato alla fuga dirigendosi verso la stazione di Zugo.