Giustizia: 34enne s’impicca nel carcere di Parma: il 599° suicidio nelle carceri italiane in 10 anni Ristretti Orizzonti, 23 agosto 2010 Matteo Carbognani, 34 anni, si è ucciso ieri sera nel carcere di Parma impiccandosi con le lenzuola. L’uomo era in carcere dal 2004, quando fu arrestato assieme alla moglie Bidò Mateo Raquel, originaria di Santo Domingo, e ad altre sei persone, nell’ambito di un’operazione contro il traffico di cocaina a Parma. Carbognani era stato condannato a otto anni per traffico di stupefacenti, quindi gli rimanevano da espiare meno di due anni di reclusione. Ultimamente aveva manifestato segni di disagio psichico: era seguito da uno psichiatra, che lo aveva visitato solo due giorni prima del suicidio. Nelle carceri di Parma in poco più di un anno si sono uccisi quattro detenuti, un “record” negativo che supera perfino quello del penitenziario di Sulmona (13 suicidi in 10 anni, ma “solo” 2 negli ultimi 15 mesi), Da inizio anno a livello nazionale salgono così a 42 i detenuti suicidi nelle carceri italiane (36 impiccati, 5 asfissiati col gas e 1 sgozzato), mentre il totale dei detenuti morti nel 2010, tra suicidi, malattie e cause “da accertare” arriva a 116 (negli ultimi 10 anni i “morti di carcere” sono stati 1.714, di cui 599 per suicidio). Inoltre sono avvenuto altri 2 suicidi di persone “detenute”, seppur non ristrette in carcere: Tomas Göller, semilibero di 43 anni (che si è ucciso impiccandosi ad un albero in un bosco in Provincia di Bolzano per il timore di dover tornare in carcere) e Yassine Aftani, un tunisino di 22 anni che si è impiccato a nella “camera di sicurezza” della Questura di Agrigento dopo aver appreso la notizia che sarebbe stato rimpatriato. Giustizia: Sappe; ancora un suicidio, grave che classe politica non abbia trovato soluzioni Il Velino, 23 agosto 2010 “Ancora morte in carcere, ancora un detenuto suicida per impiccamento. Quello di ieri sera nel carcere di Parma è l’ennesimo fatto drammatico che testimonia ancora una volta l’urgente necessità di intervenire immediatamente sull’organizzazione e la gestione delle carceri, dove il numero esorbitante dei detenuti ricade pericolosamente sulle condizioni lavorative dei baschi azzurri del corpo di polizia penitenziaria e impedisce di svolgere servizio nel migliore dei modi”. Lo rende noto Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria, che affronterà una compiuta analisi del sistema penitenziario nazionale nel corso di una riunione programmata per la giornata di domani, 24 agosto, nel carcere calabrese di Paola. “Come può - si domanda Capece - un agente, da solo, controllare 80/100 detenuti? Con un sovraffollamento di quasi 69mila detenuti in carceri che ne possono contenere a mala pena 43mila, accadono purtroppo anche questi tragici episodi. Non dimentichiamo che alcuni recenti orientamenti sul suicidio in carcere del Comitato nazionale per la Bioetica hanno autorevolmente sottolineato come la prevenzione del suicidio passa innanzitutto attraverso la garanzia del diritto alla salute (inteso, come oggi avviene, come promozione del benessere psicofisico e sociale della persona) e del diritto a scontare una pena che non mortifichi la dignità umana. Condizioni, oggi, assai precarie nel contesto penitenziario italiano. E si tenga conto che se la situazione non si aggrava ulteriormente è grazie alle donne e agli uomini del Corpo che, in media, sventano ogni mese 10 tentativi di suicidio (molte centinaia ogni anno) di detenuti nei penitenziari italiani. La percentuale stessa di suicidi in carcere in questi ultimi anni è attestato attorno a un tasso del 9 per cento calcolato su 10mila detenuti, tasso che nel periodo 1997-2001 fluttuava invece tra il 10 ed il 12,50 per cento”. Per Capece è “grave” che la classe politica, dopo aver visitato in massa le carceri il 15 agosto dello scorso anno e di questo 2010, “non sia ancora stata in grado di trovare soluzioni politiche e amministrative al tracollo del sistema penitenziario italiano come invece trovò nel 2006 con la legge fallimentare dell’indulto. Rinnoviamo oggi ai tanti rappresentanti dei cittadini, in particolare a quelli che si sono recati in visita nelle carceri, l’invito e il monito a non sottovalutare la portata storica del loro gesto. Il corpo di polizia penitenziaria ha mantenuto fino ad ora l’ordine e la sicurezza negli oltre duecento Istituti penitenziari a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza perdere il senso del dovere e dello Stato nonostante vessati da continue umiliazioni e aggressioni, da parte di una popolazione detenuta esasperata dal sovraffollamento. Proprio in Calabria - sottolinea infine Capece - i 12 penitenziari regionali ospitano in media più di 3.200 detenuti a fronte di 1.867 posti letto regolamentari”. Giustizia: Osapp; il silenzio di Alfano sui suicidi in carcere è assordante Adnkronos, 23 agosto 2010 “Quello della Giustizia è un ministro che interrompe le vacanze per incontrare i colleghi di partito o per andare ai funerali del presidente Cossiga, ma le continua nel fragore di un silenzio, il suo e non di certo il nostro, che sta diventando davvero assordante davanti ad eventi così drammatici che hanno necessità di una risposta”. Lo afferma Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, l’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria riguardo il record dei suicidi in carcere. “Probabilmente Angelino Alfano lo fa perché valuta le emergenze del suo dicastero con il metodo dell’appartenenza politica - attacca Beneduci - più che con il giudizio di chi deve ricoprire un ruolo istituzionale. Il suicidio di oggi, di una persona che aveva poco da scontare, dimostra che le soluzioni messe in campo devono essere sicuramente altre”. Il sindacalista fa notare poi che il governo “ha messo in atto provvedimenti che con noi e la detenzione non hanno nulla a che fare. Per l’esecutivo non c’è politica, non esiste lungimiranza nell’affrontare le dinamiche di un fenomeno che proprio con le vicende del trattamento dei 41 bis ha avuto il suo culmine in questi ultimi giorni”. “Richiamiamo le forze parlamentari - conclude - affinché con la ripresa dei lavori il progetto di legge sulla detenzione domiciliare venga ripreso e approvato. Un richiamo che si estende e che deve avere i suoi punti nodali in altre ben più importanti iniziative di legge, che concepiscano il lavoro obbligatorio per i condannati e rilancino l’ordinamento professionale della polizia penitenziaria con il passaggio della nostra categoria alle dipendenze del ministero dell’Interno”. Giustizia: torna libero Felice Maniero, l’ex boss della “mala del Brenta” La Repubblica, 23 agosto 2010 Una vita tra yacht, rapine e sparatorie Felice Maniero, 55 anni. Oggi finisce di scontare la sua pena. Tra i reati di “faccia d’angelo” sequestri, sette omicidi, traffico di droga e di armi. Un gang spietata: se una guardia giurata resisteva si trovava sotto una tempesta di colpi. C’è stata un’epoca, diversa da questa popolata sulla strada da fantasmi, commercianti di droga e morti di fame, in cui il criminale ci teneva ad essere riconosciuto come criminale. E ad applicare un’antica morale: distorta, ma sempre morale, e cioè “Non si spara sui poliziotti”. Felice Maniero - al quale sono stati dedicati libri, speciali Tg e siti Internet - era uno di questi ormai “dinosauri” della malavita, anche se ha appena 55 anni. Ma siccome la prima Ferrari l’ha comprata a 18 anni, e non certo grazie al sudore della fronte di un giovane figlio di operaio, nato nella provincia di Campolongo Maggiore, è da molto tempo che ha fatto parlare e scrivere di sé, e dei suoi cattivi compagni, in quelli che ai gangster sembravano bei tempi, ma alle loro vittime decisamente un po’ meno. Oggi Maniero ha finito di scontare la sua pena, che era di venticinque anni per sette omicidi (lui se ne attribuisce però 5), associazione a delinquere di stampo mafioso, rapine, traffico di droga e sequestri, ridotta a diciassette. Aveva già lasciato gli arresti domiciliari, gli restava il soggiorno obbligato: fine. Adesso può mantenere la nuova identità, girare in Europa, fare quello che sa fare: l’imprenditore. Una volta era un “manager calibro 9”, ora - è sperabile - non più. Era uno dei tanti “faccia d’angelo” della mala: capelli a caschetto, eleganza da boutique, un’aria in apparenza serena, sorriso pronto. A Milano c’era, con quel soprannome, Francesco Turatello, boss incontrastato e con le conoscenze ai piani altissimi del Psi craxiano. Maniero, che con Milano aveva frequenti contatti, era il capobanda della Mala del Brenta. Il boss, più che di un’organizzazione, di una compagnia criminale molto mobile ed efficiente, con base nel Veneto, spietata nelle rapine: se una guardia giurata resisteva, si trovava sotto una tempesta di proiettili. Sono quattordici gli omicidi attribuiti alla gang e per gli anni Ottanta e Novanta - tra evasioni (tre, e in una lo liberò un commando di dieci uomini travestiti da carabinieri), traffici di droga, assalti ai furgoni blindati, al Casinò di Venezia e a un carico d’oro in partenza dall’aeroporto Marco Polo - “Felicetto” è stato un pezzo da novanta, con manie di grandezza. Un arresto a Capri su uno yacht lussuoso e le comparse nelle aule di tribunale dove, nelle pause, ordinava uno spaghettino all’aragosta, hanno contribuito a dargli una fama da viveur, non del tutto meritata. Grande amore per la mamma (proprio come Turatello), citava tra i suoi maestri i mafiosi Fidanzati, che stavano a Milano, e Totuccio Contorno, rivendicando però di aver sempre “lavorato in proprio”. Guadagnando sin troppo con la droga, eroina e coca: in Svizzera aveva un Renoir e un De Chirico, in Italia si favoleggia del suo tesoro mai trovato, ma non pochi miliardi (in lire) gli vennero sequestrati, insieme con la sua villa sfarzosa. Conoscenze? Vaste, non è che gli imprenditori del Nord Est rifiutassero di averlo come socio occulto in qualche impresa. “Le banche sapevano chi ero, ma mi davano anche la carta di credito”, scherzava lui. Finché, quando quella stagione di sangue, soldi e piombo è finita, ha fatto come molti altri: ha parlato, ha aperto qualche “file” della sua memoria, ha contribuito alla cattura di 400 persone, compreso qualche dipendente dello Stato infedele. È successo alla fine del ‘94, e cioè in una stagione irripetibile per l’Italia e per le organizzazioni criminali. Sotto il maglio di Tangentopoli, politici e industriali confessavano a ruota libera sul sistema delle mazzette, gente che s’era intascata miliardi di lire faceva due giorni di cella e usciva. Per boss, picciotti e malandrini, uno shock: “Ma io mi sto facendo vent’anni per 50 milioni, c’è qualche cosa che non torna”, erano i loro discorsi. Sembrava cambiare un’epoca: sembrava. “La mia passione era ideare le rapine - diceva Maniero - adesso ciò che conta è solo la mia famiglia”: e lo ha segnato una tragedia familiare, il suicidio quattro anni fa della sua amatissima figlia Elena. Aveva diciotto anni quando il papà aveva “saltato il fosso”, diventando un collaboratore, lei aveva dovuto cambiare vita, sparire dal Veneto. A trent’anni, bella e triste, alla fine di un amore - quando l’amore però è una parola che copre altri vuoti e bisogni - Elena non ha resistito più. “Da un certo punto di vista Maniero è un uomo nuovo, una persona molto provata, ma per saperlo bisognerebbe conoscerlo più a fondo”, dice il suo avvocato, Gian Mario Balduin. Ma chi può dire di conoscerlo? Anche Michele Festa, lo “sbirro” veneziano che l’ha catturato per ultimo, lo ricorda come “sensibile e nello stesso tempo cinico”, capace di scherzare con una canzone di Lucio Battisti al momento dell’arresto: “Ancora tu? Non dovevamo vederci più…”. Ora, invece, potrà capitare di vederlo anche in giro, anche se lui è e dev’essere prudente: alcuni anni fa era arrivato in Veneto un bazooka per farlo saltare in aria, alcuni vecchi conti con la mala non sono chiusi, forse non si chiudono mai. Sardegna: Conferenza Volontariato Giustizia; il carcere deve essere strumento di recupero La Nuova Sardegna, 23 agosto 2010 “Per essere sicuro un paese deve avere un sistema carcerario che produce recupero e reinserimento non un sistema che produce altro crimine. Tuttavia nell’ultimo decennio si è accentuato il ricorso alla sola pena detentiva, spacciata come unica via per garantire la sicurezza delle comunità”. Su questo principio, la Conferenza regionale del volontariato giustizia della Sardegna aderissce alla campagna di mobilitazione generale del volontariato. In una nota, a firma della responsabile della Conferenza, Roberta Pisano e del cappellano dell’Istituto minorile di Quartucciu, don Ettore Cannavera, viene tracciato il punto sulla situazione attuale. “In Italia, - si legge nel documento - si sfiorano i 70.000 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 44.592 posti; gravissime carenze di personale di polizia penitenziaria, educatori, psicologi e mediatori culturali; 41 suicidi dall’inizio del 2010. Il piano per l’edilizia penitenziaria e il ddl Alfano sulla detenzione domiciliare sono provvedimenti inutili a produrre effetti significativi sul sovraffollamento. Nei 12 istituti penali - prosegue la nota - sardi sono presenti oltre 2.200 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 1.970 posti. La Conferenza Regionale Volontariato della Sardegna, convinta che non sia più il tempo di assistere ma di agire e condividendo le preoccupazioni del Consiglio direttivo della Cnvg, aderisce alla campagna di mobilitazione del volontariato. Chiediamo al governo nazionale e alla Giunta regionale il rispetto dell’art. 27 della Costituzione con l’applicazione delle misure alternative al carcere e con l’approvazione di un “piano sociale straordinario per le carceri” che assicuri il reinserimento sociale attraverso la formazione, il sostegno lavorativo, l’attivazione del terzo settore e associazionismo. Attendiamo la vera riforma della giustizia - conclude il documento - centrata sulla dignità della persona e sul rispetto dei suoi diritti, in vista di un efficace percorso di reinserimento sociale”. Puglia: Uil Pa; la situazione delle carceri sempre più critica, manca anche l’acqua Adnkronos, 23 agosto 2010 “Da gennaio ad oggi, quattro detenuti suicidatisi in cella e tre tentati suicidi sventati in extremis dalla polizia penitenziaria, che a sua volta annovera tra le proprie fila 5 agenti feriti da detenuti. Un bilancio pesante e triste che grava sulle coscienze di chi non ha saputo dare adeguate risposte alle incivili condizioni di detenzione e di lavoro all’interno delle carceri italiane. Vogliamo sperare che alla ripresa dei lavori parlamentari i nostri politici sappiano, e vogliano, trovare quelle soluzioni necessarie al sistema penitenziario e alla comunità penitenziaria. In tal senso non mancheremo di organizzare iniziative di sensibilizzazione sul territorio pugliese”. Questo il commento del Segretario Regionale Uil Pa Penitenziari della Puglia, Donato Montinaro, dopo la morte di un detenuto che il 5 agosto aveva tentato di impiccarsi e che era stato, temporaneamente salvato dagli agenti penitenziari. La Uil pugliese rilancia l’allarme sullo stato del sistema penitenziario regionale. “Abbiamo più volte - ricorda Montinaro - richiamato l’attenzione sul grave sovraffollamento delle strutture pugliesi e l’esiguità dei contingenti di polizia penitenziaria. Occorre ricordare che la ricettività massima degli istituti pugliesi assomma a 2.551 ma si registra la presenza di 4.557 detenuti. Mi pare eloquente il dato che indica nella Puglia le seconda regione d’Italia (dopo l’Emilia Romagna) per indice di affollamento (circa il 79%)’. “Da troppo tempo - prosegue Montinaro - l’intera organizzazione penitenziaria regionale sconta la mancanza di un Dirigente Generale preposto alle mansioni di Provveditore Regionale. Questa grave assenza da modo alle situazioni di incancrenirsi, rendendo più difficile l’individuazione delle possibili soluzioni. E di situazioni al limite ce ne sono tante tra cui spiccano, senza alcun dubbio, Bari, Foggia e Lecce. Un sistema che - aggiunge - cade letteralmente a pezzi, e non solo per i cornicioni di Taranto quant’anche per l’insufficienza del servizio sanitario e per l’approssimativa erogazione d’acqua”. Ed è proprio sul penitenziario di Borgo San Nicola che il Segretario Regionale focalizza l’attenzione non risparmiando considerazioni critiche. ‘Oggi i detenuti presenti sono 1.474 contro i 650 ospitabili, ciò pone Lecce tra i primi posti della classifica degli istituti più affollati d’Italia. Ma - spiega Montinaro - come abbiamo più volte denunciato non è solo il sovraffollamento, che pure incide, il solo problema di Borgo San Nicola. Non possiamo non rilevare come nel mentre il personale deve dibattersi tra infinite criticità ed emergenze il Direttore ed il Comandante siano in ferie contemporaneamente, nonostante gli espressi divieti del Dipartimento. Con un Provveditore Regionale sul posto questo, forse, non sarebbe potuto accadere”. Anche l’organizzazione dell’istituto, per il sindacalista, “mostra più di qualche lacuna. Non è del tutto inutile sottolineare - fa notare - come dei 657 agenti in forza 121 siano assenti per malattia, 57 avviati alla Commissione Medica Ospedaliera di Taranto per patologie da stress o ansiose-depressive. Delle unità restanti circa 200 sono assenti a vario titolo (ferie comprese) . Ciò determina dover espletare turni da 8/9/ e 10 ore al giorno, senza tra l’altro poter garantire i livelli minimi di sicurezza previsti”. “Ma sono - denuncia Montinaro - proprio le assenze per malattie un chiaro indicatore delle criticità in atto. La frustrazione e il malessere coniugate alla sensazione dell’abbandono nella più completa solitudine sono fattori patogeni di quella depressione che si riscontra nelle prognosi dei medici. Eppure si cerca di garantire il servizio mantenendo alta la soglia dell’attenzione e della vigilanza”. Montinaro conclude sottolineando che “nel momento di maggiore difficoltà per il personale appare davvero difficile capire la ratio per la quale la Direzione ha voluto organizzare diverse attività ricreative per i detenuti, compresa una frisellata in notturna con tanto di bagno in piscina con figli a seguito. Possiamo condividere la necessità di alleviare le condizioni incivili e disumane della detenzione”. “Ma - aggiunge - non è giusto farlo solo con i sacrifici del personale. Quest’aumento delle attività genera un surplus di lavoro straordinario di cui non è garantita la copertura economica. Come dire : direttore e comandate in ferie, detenuti impegnati in attività ludiche e la polizia penitenziaria che lavora gratis. Oltre al danno della mancata remunerazione di spettanze maturate - conclude - anche la beffa di dover garantire straordinari che potrebbero non essere pagati”. Marche: sovraffollamento, le carceri scoppiano; la denuncia del Sappe Ansa, 23 agosto 2010 La situazione delle carceri marchigiane, secondo Aldo Di Giacomo del Sappe, è “catastrofica”. I detenuti presenti nelle 7 strutture penitenziarie della regione sono 1.128 (di cui 38 donne) contro i 762 di capienza regolamentare: “366 detenuti in più pari al 33%. Nello specifico (dati aggiornati al 10 agosto 2010), ad Ascoli Piceno, sono presenti 123 detenuti (103 regolamentari), gli stranieri sono 34 pari al 28%, gli imputati 68, i condannati 55; a Camerino 48 presenti, 33 ospitabili, gli stranieri sono 28 pari al 58%, gli imputati 34, i condannati 14; Fermo 84 presenti, 45 regolamentari, gli stranieri 38 pari al 46%, gli imputati 17, i condannati 67; a Fossombrone, presenti 148, regolamentare 209, stranieri 13 pari al 9%, imputati 14, condannati 134; a Pesaro presenti 304, capienza regolamentare 176, stranieri 161 di cui 10 donne pari al 53%, gli imputati 173, i condannati 131”. Di Giacomo continua: “l’Istituto di Ancona è al collasso, sono presenti 405 detenuti, di cui 116 di alta sicurezza, a fronte di una capienza regolamentare di 172 (140% di popolazione detenuta in più), gli stranieri sono 170 pari al 43%, gli imputati sono 244, i condannati 161. Oltre al grave sovraffollamento di detenuti, con percentuali altissime di stranieri, vi è una gravissima carenza del personale di polizia penitenziaria: a fronte di un organico previsto di 208 unità ne risultano realmente presenti 123 con una carenza di 85 unità”. “È evidente - conclude Di Giacomo - che con questi numeri la gestione del carcere diventa difficile. Una recente sentenza della corte di giustizia europea stabilisce che se un detenuto ha meno di tre metri di cella a disposizione si considera tortura”. Piemonte: Osapp; i detenuti aumentano ogni giorno, ma di posti non ce ne sono più La Stampa, 23 agosto 2010 Riceviamo da Gerardo Romano, segretario regionale dell’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria (Piemonte e Valle d’Aosta), la lettera indirizzata al Provveditore Regionale, al Capo del Dap Ionta e al ministro Alfano sulla situazione carceri. “I portoni, o per alcuni le finestre, della politica riaprono a settembre, noi Poliziotti Penitenziari, invece, non smettiamo né di lavorare né, quando è il caso come ora in Piemonte e Valle D’Aosta, di protestare, comunque nell’interesse dei Cittadini”. “A Torino, ad Asti, ad Ivrea, ad Alessandria Don Soria, a Fossano, a Cuneo, a Saluzzo, a Biella e nei restanti Istituti Penitenziari la tensione è altissima, i detenuti aumentano ogni giorno, anche se di posti non ce ne sono più ed i problemi di vivibilità di ordine e di organizzazione, sono e restano pressoché esclusivamente a carico dei pochi poliziotti penitenziari in servizio - aggiunge il sindacalista - che rispondono e fanno quello che possono ed assai di più di quanto dovrebbero”. “Ad Asti, le protese da parte dei detenuti di particolare pericolosità e rischio sono all’ordine del giorno, mentre a Torino il clima è reso particolarmente insopportabile da alcuni atteggiamenti e dalle esternazioni dell’attuale comandante del reparto - indica ancora il leader dell’Osapp - mentre aumentano le prestazioni straordinarie effettuate e non pagate e i riposi settimanali sono fruiti solo dopo 20/25 giorni di lavoro continuativo e le indennità di missione non vengono pagate da mesi” “Per rendersi conto di quello che realmente vivono i poliziotti penitenziari in Piemonte e V.d.A., basterebbe recarsi presso la Commissione Medica Ospedaliera a Torino e chiedere quanti poliziotti penitenziari, rispetto agli appartenenti alle altre Forze di Polizia, sono in cura o lasceranno il servizio entro l’anno, per riforma a seguito di infermità legate a stress e a patologie della sfera psichica - conclude Beneduci - ed è per questo, perché non ne possiamo proprio più, che protestiamo e chiediamo che il Provveditore Regionale Fabozzi, nonché il Capo del Dap Ionta e il Ministro Alfano, anche per le gravi responsabilità che si stanno assumendo non attuando alcunché, dispongano per gli accertamenti necessari sulle condizioni degli istituti del Piemonte e Valle d’Aosta e sullo stato di salute del Personale in servizio, ponendo in essere gli urgenti correttivi del caso”. Bologna: gli ultimi giorni di mandato per il Garante dei diritti dei detenuti Dire, 23 agosto 2010 Il 31 agosto scade il mandato. Fino alle prossime elezioni comunali il ruolo verrà assunto dal difensore civico. Desi Bruno manterrà la carica di coordinatrice nazionale, ma “da settembre mancherà una figura che assicuri un rapporto tra dentro e fuori”. Stupore. Incredulità. Confusione. Sono i sentimenti che i detenuti delle carceri bolognesi hanno espresso in una lettera inviata al commissario Cancellieri a pochi giorni dalla scadenza del mandato quinquennale del garante. Mancano pochi giorni al 31 agosto e Desi Bruno sta trascorrendo il maggiore tempo possibile tra i carcerati per spiegare loro cosa è successo (e cosa presumibilmente succederà) e risolvere i problemi urgenti. “Io ci sono fino alla fine di agosto - spiega - poi si apre una voragine. Ai detenuti che mi chiedono cosa accadrà dopo, non so cosa rispondere”. C’è grande preoccupazione nelle parole dell’ex garante, ma soprattutto amarezza per l’interrompersi di un percorso durato 5 anni che ha portato a risultati notevoli, come la chiusura del reparto di alta sicurezza femminile della Dozza o l’ordinanza sulle condizioni igienico-sanitarie adottata da Sergio Cofferati. Un percorso attraverso il quale i carcerati hanno sviluppato un’idea di cittadinanza. “Si tratta di un passaggio importante: i detenuti oggi si riconoscono come cittadini - racconta - e si esprimono come tali attraverso le istanze collettive o le lettere di protesta firmate con il proprio nome e cognome.” Una cosa è certa però: anche dopo la scadenza del mandato Desi Bruno continuerà a occuparsi di carcere. Su richiesta dei garanti territoriali, l’avvocato bolognese manterrà, infatti, il ruolo di coordinatrice nazionale. “Si tratterà solo di interventi di carattere generale - spiega l’ex garante -. Mancherà, invece, una figura che assicuri un rapporto tra dentro e fuori, un’assenza, questa, che mi preoccupa moltissimo”. Compito del garante è, infatti, quello di assicurare una verifica continua e un controllo di ciò che accade ogni giorno dietro le sbarre. A partire dal primo settembre tutte queste competenze andranno a sommarsi a quelle del difensore civico, un passaggio di consegne che preoccupa Desi Bruno che non legittima l’attribuzione di funzioni operata dal commissario Cancellieri, “perché il carcere non si improvvisa”. Lo scorso 20 agosto l’ex garante ha ribadito inoltre la necessità di istituire il garante nazionale dei diritti dei detenuti, così come previsto dalle convenzioni internazionali, “una figura fondamentale in un Paese democratico”. La sua istituzione, chiarisce Desi Bruno, sarebbe uno scatto culturale importante perché affiderebbe il controllo a un organismo indipendente e consentire avere una normativa omogenea del settore. Nuoro: Sdr; detenuto ottiene il trasferimento a Prato per poter seguire gli studi universitari Agi, 23 agosto 2010 Un detenuto dominicano è stato trasferito da Nuoro alla casa circondariale di Prato per motivi di studio. Lo comunica Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” che aveva segnalato il caso al direttore generale del Dap parlando di “paradossale situazione in cui si trovava il giovane che, iscritto nell’ateneo emiliano in base a una convenzione tra il dipartimento e l’università, si era visto respingere la richiesta di sostenere gli esami”. “Il Dipartimento - sottolinea Caligaris - ha accolto le sollecitazioni dei diversi volontari che avevano denunciato l’incongruenza del diniego ed in particolare il dettato del magistrato di sorveglianza del tribunale di Nuoro Maria Paola Vezzi che ha dichiarato l’illegittimità del rigetto dell’istanza di traduzione a Bologna e quindi la violazione di un diritto. Identica valutazione è stata espressa peraltro dal pubblico ministero. Grazie al trasferimento il giovane potrà sostenere gli esami di inglese, diritto costituzionale italiano e comparato e di diritto pubblico nella sessione dal 27 settembre al 22 ottobre prossimi a Bologna.”. Il detenuto che era stato trasferito a Nuoro nel mese di ottobre del 2009, - si legge in una nota - si trovava precedentemente recluso a Bologna dove, anche grazie alla convenzione dell’Ateneo si era iscritto nel 2008 al corso di Scienze dell’Amministrazione e dell’Organizzazione, una specializzazione non presente negli atenei sardi. Avendo sostenuto con profitto i primi esami, a settembre 2009 aveva confermato l’iscrizione nella facoltà per il secondo anno. Nonostante il trasferimento, non richiesto e di cui non ha mai saputo la ragione, il 22 febbraio 2010 è stato tradotto a Bologna per sostenere due esami entrambi superati brillantemente ed è rimasto nel capoluogo emiliano fino al 10 aprile. Benché avesse richiesto di restare nel carcere di Bologna non solo era stato trasferito di nuovo a Nuoro ma gli era stata negata anche la possibilità di permanere nella sede prossima all’Università almeno fino alla sessione estiva per poter così completare gli esami senza costi aggiuntivi per l’amministrazione. In seguito al diniego aveva dovuto rinunciare all’esame di inglese, previsto per il 22 giugno e a quelli di Diritto costituzionale italiano e comparato, fissato dall’Ateneo emiliano per il 29 giugno, e di Diritto Pubblico del 13 luglio scorso. Oristano: carcere in condizioni disastrose, l’antica struttura deve chiudere presto L’unione Sarda, 23 agosto 2010 Oggi sono 120 i carcerati che stanno in stanze enormi con tanti letti. Situazione difficile anche per gli agenti, troppo pochi. Vedi le foto “La situazione peggiora di giorno in giorno. Quella struttura è inadeguata da anni e i detenuti non possono vivere a Piazza Manno, dove oltre tutto ci sono problemi di organico: il numero degli agenti di polizia penitenziaria non è sufficiente”. A distanza di un anno il deputato Pd Caterina Pes ha trovato peggiorate le condizioni del carcere oristanese: nel corso di un sopralluogo, tenuto nei giorni scorsi, ha potuto vedere con i propri occhi come vivono i 120 detenuti. “Non si può accettare una simile situazione” ha detto. “La struttura non risponde a nessuna delle esigenze di carcerati e polizia. Le stanze sono enormi e ospitano tanti letti, con conseguenze facilmente immaginabili. Per l’ora d’aria c’è un ambiente grande appena venti metri quadrati e questo la dice tutta. Perfino nel carcere di Nuoro ci sono condizioni vivibili”. Fra tanti problemi va segnalato un aspetto positivo: “A Piazza Manno c’è un ottimo impegno nei corsi di recupero. Sono tanti i detenuti che partecipano con il loro lavoro ai corsi di recupero. Le iniziative degli operatori e degli educatori sono diverse e richiamano l’interesse dei detenuti, anche in previsione dell’uscita dal carcere e quindi del reinserimento nel mondo esterno”. Da qualche mese la sezione femminile è stata chiusa: “Una fortuna, visto che quella parte del carcere era in condizioni ancora più disastrose. Purtroppo, però, viene destinata ai nuovi arresti: non oso pensare come potrebbe stare una madre con un bimbo”. Caterina Pes sostiene che sia più che mai urgente la disponibilità della nuova struttura e, quindi, la chiusura di Piazza Manno. “La scorsa estate mi dissero che il termine dei lavori del primo braccio era fissato a settembre 2009, ma ormai a distanza di un anno quella scadenza è abbondantemente superata. Si dice l’opera abbia subito rallentamenti perché una parte dei fondi sia stata destinata all’emergenza Abruzzo”. “L’opera dovrebbe essere consegnata nel giugno prossimo” dice Adriano Sergi, vicesegretario regionale Ugl. “Nel frattempo continuiamo a lavorare in condizioni tutt’altro che buone. L’attuale organico è composto da un’ottantina di agenti, mentre dovrebbe arrivare a centoventi. Finora stiamo riuscendo a tamponare la situazione, ma chissà per quanto ancora”. Il cappellano Don Usai: qui è difficile respirare Il carcere di piazza Manno non è a misura d’uomo. La conferma arriva anche da don Giovanni Usai, da gennaio nuovo cappellano della casa circondariale. Fermamente convinto della esigenza di una riforma dell’attuale sistema penitenziario, della necessità di pene alternative a quella del carcere, e dell’importanza del lavoro per una reale rieducazione e un effettivo reinserimento dei detenuti nella società, il sacerdote paragona la casa circondariale ad un “uovo” dove tutto “è compresso e ristretto. È una struttura fatiscente - afferma - non ci sono sufficienti aree per la socializzazione, per le attività ricreative e formative dei detenuti. È una struttura che impressiona, non adeguata, con celle piccole dove è difficile perfino respirare. Non c’è neanche una spazio dove poter mangiare insieme o dove poter giocare una partita di pallavolo”. La speranza è che nel più breve tempo possibile sia pronta la nuova struttura di Massama: “Ci saranno perlomeno maggiori spazi, quelli che mancano in piazza Manno”. Rieti: Osapp; a 10 mesi dall’apertura del carcere i problemi rimangono gli stessi Ansa, 23 agosto 2010 Grido d’allarme di Francesco Spognardi, segretario dell'Osapp (Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria). “Dall’apertura del nuovo complesso penitenziario di Rieti, dal 28 ottobre 2009, non è cambiato niente. Si è andati avanti per inerzia, tra mille difficoltà e tante promesse fatte dal dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (inerenti all’integrazione del Personale di Polizia Penitenziaria, sull’ammodernamento e l’adeguamento degli automezzi, sulle mancate retribuzioni delle ore di lavoro straordinario), la Regione (inerenti la mancata nomina di medici e personale infermieristico nonché di requisire altre piccole attrezzature da impiegare all’interno della struttura in quanto vi sono un reparto Poliambulatorio con macchinari RX e odontoiatrici ed un reparto Degenze). A luglio e metà agosto sono state effettuate più di sessanta visite presso le strutture sanitarie della Provincia e questo in termini pratici significa per la direzione dell’Istituto penitenziario di Rieti sperpero di risorse economiche, fisiche e di automezzi”. Pescara: progetto Senapa, la manutenzione della città affidata ai detenuti Il Centro, 23 agosto 2010 “Via libera, a partire da martedì prossimo, 24 agosto, al Progetto Pilota predisposto da Comune, Caritas e Casa Circondariale, per la manutenzione urbana ordinaria della città affidata a quattro giovani che, mentre stanno pagando il proprio debito con la giustizia, cercano, attraverso il lavoro, il reinserimento nella società. Partiremo con la sistemazione del verde e con minimi interventi di risanamento nell’area compresa tra via Venezia, via Nicola Fabrizi, corso Umberto e corso Vittorio Emanuele. Domani (oggi ndr) fisseremo un cronoprogramma di interventi che consegneremo ai capisquadra che dovranno garantire il suo rigido rispetto”. Lo ha comunicato l’assessore ai Lavori pubblici del Comune di Pescara Alfredo D’Ercole, che ha promosso progetto semestrale Senapa. “L’obiettivo del progetto-pilota è sicuramente duplice - ha aggiunto l’assessore D’Ercole -: da un lato incrementare gli interventi e i lavori di pubblica utilità per la manutenzione urbana di base, ossia non i grandi cantieri di riqualificazione, ma piuttosto la chiusura di piccole buche stradali, il ripristino di un cartello o di una segnaletica o ancora la sistemazione di una mattonella sconnessa; dall’altro utilizzare tali interventi di manutenzione urbana non solo come occasione di riqualificazione della città, ma anche come occasione di recupero sociale di soggetti svantaggiati, coinvolgendo detenuti e anche cittadini over-50 che hanno perso il lavoro. Il progetto si articolerà in due momenti distinti: inizieremo coinvolgendo quattro detenuti in piccoli interventi sulla manutenzione del verde urbano, per un periodo di due mesi. A ottobre partirà il secondo progetto denominato Senapa che si articolerà in due mesi di corso di formazione sul lavoro edile che si svolgerà all’interno della Casa circondariale e sarà curato da Formedil, rivolto agli stessi 4 detenuti individuati; subito dopo gli operai formati lavoreranno per altri due mesi per il Comune di Pescara per mettere in pratica le nozioni apprese ed effettuare quei lavori di piccola manutenzione che danno il segno della cura di una città, ma che spesso è difficile far eseguire a delle imprese, come la sistemazione di qualche mattonella in una pavimentazione in betonella, o il ripristino di un cartello stradale o ancora la chiusura di una piccola buca”. La Fondazione Caritas costituirà delle squadre che, oltre ai 4 detenuti in giustizia riparativa, vedranno la presenza anche di 4 operai capisquadra e 8 volontari, ossia lavoratori over-50 in condizioni di disagio socio-economico, che hanno perso il lavoro, “i quali - ha proseguito l’assessore D’Ercole - non riceveranno una retribuzione vera e propria, ma un’indennità. Complessivamente il progetto-pilota costerà 20mila euro”. Domani si svolgerà un vertice per predisporre il crono programma degli interventi, “che inizieranno martedì prossimo e che in una prima fase interesseranno le strade comprese nel quadrilatero via Venezia, via Nicola Fabrizi, corso Umberto e corso Vittorio Emanuele - ha proseguito l’assessore D’Ercole -, ossia strade estremamente trafficate e dove più di frequente si verificano problemi di manutenzione ordinaria, come lo sprofondamento di un tombino, l’apertura di una buca nel manto d’asfalto o un cartello difettoso, senza dimenticare la presenza di decine di aiuole che necessitano di interventi costanti. Nel corso della riunione fissata per domani forniremo anche un reportage fotografico della situazione attuale che andremo a confrontare con la situazione post-interventi per verificare la funzionalità e l’effettiva efficacia degli stessi”. Libri: Stefano Cucchi; la sorella Ilaria ne racconta storia in libro che uscirà ad ottobre Ansa, 23 agosto 2010 Nella notte tra il 22 e il 23 ottobre del 2009 Stefano Cucchi moriva all’Ospedale Sandro Pertini di Roma dove era stato portato in stato di arresto. Una vicenda drammatica, con un lungo epilogo polemico tra continue rivelazioni e rimpalli di responsabilità, che sarà raccontata dalla sorella Ilaria in un libro che uscirà per Rizzoli ad ottobre. Il volume di oltre 260 pagine, “Vorrei dirti che non eri solo”, è stato scritto da Ilaria Cucchi con il giornalista Giovanni Bianconi, inviato del Corriere della sera e già autore di diversi libri. Fu proprio Ilaria a denunciare con grande coraggio qualche giorno dopo la morte, il caso del fratello che probabilmente sarebbe stato altrimenti archiviato come tanti altri decessi di tossici qualunque. Questo libro è il racconto amaro che ricostruisce con lucida fermezza e con profondo amore - spiega l’editore nella presentazione - la figura e la storia di Stefano, lanciando un appello contro i maltrattamenti in carcere e il male dell’indifferenza. Un modo però per celebrare anche la vita difficile e la morte triste di Cucchi, dopo un’odissea fra carcere, tribunale e ospedali e il seguente caso giudiziario tra continui colpi di scena e rimpalli di responsabilità che non si è ancora concluso. Un nuovo atto di coraggio da parte di Ilaria che già un anno fa sconvolse l’Italia con la sua denuncia. Stati Uniti: “Mille miglia”, iniziativa di Alitalia per aiutare Carlo Parlanti Il Tirreno, 23 agosto 2010 Chiede un aiuto per poter volare negli Stati Uniti a presentare il libro sulla vicenda di Carlo Parlanti, il montecatinese detenuto con un’accusa di violenza sessuale da lui sempre respinta. Ma non chiede, come potrebbe sembrare normale in questi casi, dei soldi, bensì qualche migliaio di punti del programma “Mille miglia” Alitalia che gli consentirebbero di prenotare anche il biglietto di ritorno in Italia. Lei è Katia Anedda, la compagna di Carlo, che sin dall’inizio si batte per poter provare la sua innocenza e, soprattutto, per tirarlo fuori dalle carceri americane. In questa sua lotta ha coinvolto un pò tutti: dai ministeri degli Esteri e di Grazia e giustizia italiani, al Comune di Montecatini, fino a tutta una schiera di amici. Ed è soprattutto a loro che si rivolge con una mail. “Come molti di voi sanno - premette Katia - Carlo non riceve una visita da giugno 2009, quando sono andata a trovarlo l’ultima volta. Era programmato ci tornassi a giugno scorso, ma siccome il libro sul suo caso non era ancora terminato, ho rinunciato a questo viaggio. In settembre prossimo finalmente in tutte le librerie d’Italia sarà disponibile “Stupro? Processi Perversi - Il caso Parlanti”. È in dirittura di arrivo anche la traduzione in inglese e la speranza è che sollevi l’interesse sia del nostro governo che, soprattutto, di quello americano. E magari di un giudice onesto che voglia vederci chiaro”. Insomma, Katia vorrebbe fare il viaggio in ottobre, per vedere Carlo e promuovere il libro. “Ma per poter realizzare questo mio intento ho bisogno di aiuto. Sia per avere contatti in loco, ma soprattutto per la situazione logistica di trasferimento. Viste le nostre risorse economiche sto cercando di sfruttare le “Mille miglia” Alitalia: al momento dispongo di 26mila miglia e con i punti della Esselunga dovrei arrivare a 30mila. Quindi potrei avere in regalo un biglietto ma per una sola tratta. Per l’andata e ritorno servono almeno 50mila miglia. Chiedo a chi avesse miglia in scadenza di trasferirle sulla mia tessera. L’altro modo è, se avete miglia a sufficienza, di prenotare voi un viaggio per me. Vi sarei molto grata. Il numero della mia tessera “Mille miglia” è: 00967534”. Giappone: pena di morte; la camera delle esecuzioni aperta ai media Ansa, 23 agosto 2010 Il ministro della Giustizia giapponese, Keiko Chiba, apre ai media la camera della morte del carcere di massima sicurezza di Tokyo. L’ex avvocato, attivista dei diritti civili e storica sostenitrice del movimento parlamentare per l’abolizione della pena capitale lo aveva promesso lo scorso luglio, dopo aver autorizzato e presenziato a due impiccagioni, le prime sotto il governo guidato dai Democratici e a un anno esatto dalle ultime. Una svolta inattesa, visto che sembrava aver preso corpo una sorta di moratoria, e in qualche modo giustificata come una provocazione. “La via da seguire per cambiare l’orientamento dell’opinione pubblica è contribuire - aveva detto - a un ampio dibattito sulla pena di morte: su questo i media possono molto”. Una sfida difficile, se non velleitaria, visto che in base agli ultimi sondaggi l’86% della popolazione resta favorevole al suo mantenimento, ma il ministro, 62 anni, che probabilmente lascerà l’incarico a settembre per la mancata rielezione al Senato, ha intenzione di lottare fino all’ultimo. La visita al carcere di Tokyo è tanto straordinaria da essere ancora da definire: procedure, criteri e selezione dei rappresentati dei media (si parla solo di quelli nipponici) sono oggetto di analisi. Si è ipotizzata la presenza di funzionari delle ambasciate europee, da sempre attive sul tema, ma - si apprende - la proposta è rientrata per evitare imbarazzi. Il ministero ha solo fatto sapere che si terrà intorno a fine agosto, certamente prima - secondo gli osservatori - delle elezioni per la leadership dei Democratici di metà settembre che potrebbero modificare radicalmente gli assetti del partito. Chiba ha promosso un comitato ministeriale per valutare se tenere o abolire la pena di morte dall’ordinamento giudiziario nel mentre ci sono 107 condannati che attendono l’esecuzione. È improbabile che possa essere eliminata nell’immediato futuro in Giappone (che con gli Usa condivide il mantenimento tra i Paesi del G8), ma gli attivisti sperano nella spinta emotiva dell’apertura delle camera della morte. Nel mirino c’è un intero sistema: i detenuti sono privati del contatto con il mondo esterno, in isolamento e costretti ad attendere in media oltre 7 anni, talvolta decenni. in minuscoli celle un ordine d’esecuzione che può arrivare in ogni momento. Amnesty International lo ha definito un regime di silenzio, isolamento e pura inesistenza che porta alla pazzia: almeno cinque detenuti nel braccio della morte sarebbero afflitti da malattie mentali e molti sarebbero anziani. Stati Uniti: software predice nuovi crimini degli ex detenuti Agi, 23 agosto 2010 Non è ancora la “Precrimen” prevista da Philip K. DIck in “Minority Riport”, ma ci si avvicina molto. Un software, già usato a Baltimora e Filadelfia, sarà impiegato a Washington per valutare se un detenuto rilasciato in prova tornerà a commettere un crimine. Sviluppato dal professore Richard Berk dell’Universita della Pennsylvania, il programma nel caso di Washington individuerà anche quale crimine l’ex detenuto commetterà. Il software aiuterà gli agenti a graduare il tipo di controllo da riservare alle persone rilasciate per buona condotta. Dopo aver accumulato un database di oltre 60.000 criminali rilasciati, usando un algoritmo di sua invenzione, il professore Berk, riesce a calcolare la quota di persone che hanno maggiori chance di macchiarsi di un nuovo crimine: invece di individuare un possibile recidivo su 100 il sistema di Berk ne identifica 8 su 100. Tagikistan: fuga dal carcere, almeno 30 evasi, varie guardie uccise Apcom, 23 agosto 2010 Almeno 30 detenuti sono evasi nottetempo da un carcere di Dushanbe, in Tagikistan, dopo avere ucciso “varie guardie”, riferisce l’agenzia Interfax. Tra i fuggitivi vi sono cinque cittadini russi e quattro afgani: tutti condannati la scorsa settimana a pene tra i 10 anni e l’ergastolo per un tentativo di colpo di stato. “Un carcerato dell’unità detentiva del Comitato di Sicurezza Nazionale ha sottratto un’arma e le chiavi della sua cella ad una guardia, verso le due di notte - racconta all’agenzia un altro founzionario degli Interni della repubblica ex sovietica del Centro-Asia - ha ucciso la guardia, è uscito, probabilmente è stato lui ad eliminare vari altri secondini, ha trovato le chiavi di altre celle e ha fatto fuggire circa 30 carcerati. Per ora la caccia agli evasi non ha dato frutti. Complessivamente sono 46 i condannati per un tentativo di golpe e adesso la maggioranza è in fuga, compresi i figli di un ex generale, Mirzo Ziyeyev, comandante di campo dell’opposizione, che sarebbe stato ucciso un anno fa dai suoi stessi accoliti.