Giustizia: via libera della Camera a ddl su detenzione domiciliare, il testo passa al Senato Ansa, 1 agosto 2010 La Commissione Giustizia della Camera ha approvato in sede legislativa con 22 sì e 2 no e l’astensione della Lega il progetto di legge che prevede la detenzione domiciliare per chi deve scontare condanne inferiori ad un anno. A favore del provvedimento si sono espressi Pd, PdL, Udc. Il no è arrivato dall’IdV e da Giancarlo Lehner (PdL). Donatella Ferranti, capogruppo Pd in commissione Giustizia, esprime soddisfazione: “È un provvedimento per il quale ci siamo battuti molto e dunque siamo soddisfatti per il risultato raggiunto. Con l’ok al ddl sulla detenzione domiciliare - spiega - viene restituita ai magistrati di sorveglianza e ai direttori dei penitenziari la valutazione sulla possibilità di far scontare l’ultimo periodo della pena, quanto è inferiore ad un anno, presso il proprio domicilio. Non è un provvedimento che sostituisce la necessità del “piano carceri”, annunciato e mai realizzato dal ministro Alfano. È il contributo del Parlamento allo stato di emergenza dei nostri penitenziari per il quale il governo ha fatto ben poco”. La Ferranti evidenzia che “non si tratta, come strumentalmente qualcuno ha dichiarato, di un provvedimento di clemenza ma di uno strumento che tiene conto della funzione rieducativa della pena. Inoltre, il nostro voto favorevole - così ancora la Ferranti - è stato determinato dal fatto che il testo inizialmente era a costo zero, ora prevede un adeguamento del corpo di polizia penitenziaria con assunzione di personale nel ruolo di agenti e assistenti, corsi-concorso per la nomina di agenti di polizia”. Secondo Lorenzo Ria componente della Commissione, il ddl “svuotacarceri” rappresenta, nel testo approvato, uno strumento per alleviare il dramma del sovraffollamento degli istituiti penitenziari e dunque con responsabilità abbiamo espresso il nostro voto favorevole a un provvedimento che abbiamo fortemente contribuito a migliorare. Il provvedimento, nelle intenzioni iniziali del governo unitamente al sempre annunciato e mai realizzato piano carceri, doveva rappresentare la soluzione per l’emergenza delle carceri, in realtà anche a causa delle divergenze interne alla maggioranza è diventato solo un palliativo. Ci auguriamo che alla ripresa dei lavori parlamentari, su questo tema il governo abbia un approccio diverso”. Giustizia: nel ddl “svuota-carceri” prevista anche l’assunzione di 2.000 agenti penitenziari Dire, 1 agosto 2010 Via libera alla Camera, in sede legislativa (ossia senza passaggio in aula), al ddl Alfano che concede i domiciliari a chi deve scontare un anno di carcere. In commissione Giustizia hanno votato sì Pdl, Pd e Udc. La Lega si è astenuta, mentre l’Idv ha detto no. Ha votato contro, a titolo personale, anche il deputato Pdl, Giancarlo Lehner. Il ddl, ribattezzato ‘svuota-carcerì, deve ora ottenere il sì definitivo del Senato. Nel testo entrano alcune modifiche. Con un emendamento del governo si stabilisce l’assunzione di nuovi agenti e assistenti penitenziari “per fronteggiare la situazione emergenziale in atto”. Si prevedono poi corsi per la nomina ad agente di polizia penitenziaria, della durata compresa tra i sei e i 12 mesi, divisi in due cicli. Gli allievi che supereranno la scuola diventeranno agenti. Prevista la figura dell’agente “in prova”: chi supererà il primo ciclo di corso potrà essere assegnato a servizi che richiedano qualificazione ma non in servizi di istituto, fino al superamento definitivo della scuola. Approvato anche un emendamento bipartisan a firma Contento (Pdl), Ferranti (Pd), Bernardini (Radicali) e Ria (Udc), che precisa un passaggio del testo che poteva creare problemi di interpretazione. Non era chiaro infatti se, in caso di sentenza definitiva comminata durante la permanenza in carcere, pur con un residuo di pena inferiore a 12 mesi, si potesse beneficiare dei domiciliari. Ora si stabilisce che se il condannato è già detenuto, la pena detentiva non superiore a un anno, anche se costituente parte residua di maggior pena, può eseguita in casa o negli altri luoghi indicati dal ddl, su richiesta del pm o della difesa al magistrato del Tribunale di sorveglianza. La Lega aveva presentato un emendamento per far rientrare nel testo anche l’assunzione di 3 mila agenti tra polizia e carabinieri. La proposta è però stata ritirata visto il parere contrario della commissione Bilancio, non essendoci le risorse. Giustizia: al Senato non c’è spazio per approvare subito ddl; il Governo pensa a un decreto Dire, 1 agosto 2010 Il governo tentato dal decreto legge per fronteggiare l’emergenza carceri. Che potrebbe arrivare già mercoledì 4 agosto in Consiglio dei ministri. è quanto si apprende da fonti parlamentari. Il motivo, viene spiegato, è che in Senato non ci sarà lo spazio per approvare il ddl Alfano, che concede i domiciliari a chi deve scontare un anno di pena, entro la prossima settimana. Il ministro della Giustizi invece, vorrebbe far entrare in vigore le nuove norme già ad agosto. L’unica strada percorribile è quindi un provvedimento di urgenza, che recepirà il testo licenziato oggi per via legislativa alla Camera. A confermare che a Palazzo Madama il ddl Alfano, ribattezzato svuota-carceri, non potrà essere affrontata prima della pausa estiva, è il presidente della commissione Giustizia, Filippo Berselli (Pdl). “Non abbiamo una finestra - dice - la commissione verrà convocata in via straordinaria solo lunedì 2 agosto, assieme alla Affari costituzionali, per il Codice Antimafia che deve essere in aula martedì. Tra l’altro - aggiunge il senatore - il Codice arriverà in assemblea quasi sicuramente senza relatore. Con un solo giorno d’esame in commissione non ce la facciamo ad approvare il testo”. Giustizia: Bernardini (Radicali); sì al decreto legge, ma col testo originario del ddl Alfano Agi, 1 agosto 2010 “Al Presidente del Consiglio e al Governo chiedo l’immediata approvazione di un decreto legge e il coraggio di ritornare al testo originario del Ministro Alfano che rispondeva almeno all’emergenza del sovraffollamento carcerario”. L’appello è di Rita Bernardini, deputata radicale della Commissione Giustizia, che torna a lanciare l’allarme sovraffollamento nelle carceri italiane. “La versione licenziata ieri dalla Commissione Giustizia della Camera, dopo mesi e mesi di discussione e di saccheggio del testo originario - afferma la Bernardini - è invece solo un’aspirina per la comunità penitenziaria ridotta allo stremo. Il testo originale del ddl “Alfano”, potrebbe restituire, con la detenzione domiciliare di circa 12.000 persone, un minimo di legalità alle carceri italiane ridotte in uno stato di totale abbandono umano e civile, mai verificatosi in passato in proporzioni così sconvolgenti”. Giustizia: Vitali (Pdl); la detenzione domiciliare non servirà a svuotare le carceri Il Velino, 1 agosto 2010 “La detenzione domiciliare non è quello che serve perché, scontare a casa gli ultimi 12 mesi come prevede la norma in discussione, a mio parere non aiuterà a svuotare le carceri”. Lo ha detto Luigi Vitali, componente della consulta Giustizia del Pdl, che ha presentato in commissione Giustizia, alla Camera dei deputati, un ordine del giorno con cui impegna il Governo all’assunzione straordinaria di vice commissari della Polizia penitenziaria già idonei al servizio e presenti nella graduatoria dell’ultimo concorso espletato. L’iniziativa nasce all’interno della discussione in sede legislativa del provvedimento presentato dal Governo sulla detenzione domiciliare. “Tra l’altro - ha detto ancora Vitali -, dalla discussione è stata anche stralciata la norma della messa alla prova, un provvedimento che avrebbe potuto davvero liberare dal sovraffollamento gli istituti di pena italiani. Dal momento che la situazione di sovraffollamento nelle carceri italiane è diventata particolarmente allarmante, com’è noto, è stata autorizzata l’assunzione straordinaria di 2000 unità tra agenti e assistenti della Polizia Penitenziaria. Appare però ragionevole - ha aggiunto il parlamentare pugliese del Pdl -, stabilire anche una quota proporzionale di funzionari, i vice commissari appunto, sempre all’interno della previsione numerica ed economica indicata dalla norma. Per velocizzare le procedure di assunzione, si potrebbero reclutare gli idonei, risultati non vincitori all’ultimo concorso per vice commissari, facendo scorrere così - ha concluso l’on. Vitali -, la graduatoria già esistente”. Giustizia: Udc; positivo ddl su detenzione domiciliare, ma è solo palliativo Apcom, 1 agosto 2010 “Il ddl “svuota-carceri” rappresenta, nel testo approvato, uno strumento per alleviare il dramma del sovraffollamento degli istituiti penitenziari e dunque con responsabilità abbiamo espresso il nostro voto favorevole ad un provvedimento che abbiamo fortemente contribuito a migliorare”. Lo sottolinea, in una nota, il deputato Udc Lorenzo Ria, componente della commissione Giustizia della Camera. “Il provvedimento - aggiunge - nelle intenzioni iniziali del governo unitamente al sempre annunciato e mai realizzato piano carceri, doveva rappresentare la soluzione per l`emergenza delle carceri, in realtà anche a causa delle divergenze interne alla maggioranza è diventato solo un palliativo”. “Ci auguriamo che alla ripresa dei lavori parlamentari, il governo su questo tema abbia un approccio diverso: basta con annunci e spot, occorre un serio lavoro legislativo condiviso”, conclude Ria. Giustizia: Sappe; la tensione nelle carceri ha raggiunto il “livello di guardia” Ansa, 1 agosto 2010 “È del tutto evidente che la crescente tensione nelle carceri italiane sta raggiungendo limiti preoccupanti. Nonostante la dichiarazione d’emergenza del Governo, però, stentano a vedersi interventi concreti per ridurre il pesante sovraffollamento e la violenza in carcere è sempre all’ordine del giorno”. Lo afferma Donato Capece, segretario generale del Sappe, il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. Capece sottolinea che solo nella giornata di ieri “5 agenti di polizia penitenziaria sono stati aggrediti nel carcere di Trapani, 2 in quello di Arienzo (Caserta) mentre a Reggio Emilia 20 detenuti extracomunitari hanno dato vita a una rissa all’interno della sezione detentiva in cui erano ristretti”. “A tutti gli agenti coinvolti - prosegue Capece - va la solidarietà e la vicinanza del Sappe. Ma si continua a ignorare, a più di sei mesi dalla dichiarazione dello stato d’emergenza per la questione penitenziaria, che le carceri stanno per esplodere, con quasi 69 mila detenuti. Si continua a voler ignorare che 172 istituti penitenziari italiani su 204, pari all’84,31%, superano la capienza regolamentare. E che 103 istituti su 204, pari al 50,49%, superano la capienza tollerabile”. Puglia: Sappe; i detenuti sono il doppio rispetto ai posti previsti, situazione incandescente Corriere del Mezzogiorno, 1 agosto 2010 Un pezzo di cornicione in cemento armato che si stacca e rischia di colpire un gruppo di detenuti nel carcere di Taranto. Poi ancora due suicidi nel giro di qualche settimana avvenuti nel penitenziario di Lecce e tre detenuti ustionati, sempre a Lecce, per l’esplosione di una bomboletta di gas usata per cucinare all’interno della loro cella. Casi legati tra loro non solo per una questione cronologica, ma anche perché sintomi lampanti di un profondo malessere che attraversa le carceri pugliesi e in particolare quello di Lecce. Nel 2010 - denuncia il sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) - la Puglia risulta essere la regione in cui le carceri sono le più affollate d’Italia e i suicidi, i tentati suicidi e più in generale gli episodi di violenza sono aumentati in “maniera preoccupante”. I numeri la dicono tutta: nella regione il numero dei carcerati ha quasi superato il 100% dei posti disponibili con 4.550 presenze a fronte di circa 2.300 posti. “Per fare un esempio - spiega il segretario nazionale del Sappe Federico Pilagatti - notiamo che le carceri in Lazio con 4.600 posti ospitano circa 6.250 detenuti; la Campania con circa 5.500 posti ha 7.700 detenuti; la Lombardia con 7.950 posti ha 9.000 detenuti”. In Puglia secondo i dati aggiornati al 7 luglio scorso la situazione è drammatica: fatta eccezione per Lucera perché il carcere è quasi vuoto e chiuso per metà. Ad Altamura ci sono 98 detenuti su 52 posti; a Bari 600 su 296; a Foggia 740 su 370; a Lecce 1.420 su 660; a Taranto 600 su 260; a Turi 200 su 110; a Trani 250 su 220; a Brindisi 190 su 200 e a San Severo 100 su 64. C’è da aggiungere che nei penitenziari pugliesi scarseggiano addirittura letti, lenzuola e materassi. Oltre ai suicidi dei giorni scorsi “ciò che preoccupa - aggiunge Pilagatti - è il clima di tensione e violenza che serpeggia nelle carceri pronto ad esplodere in qualsiasi momento di questa calda estate”. Le prime avvisaglie, secondo il sindacato, sono le manifestazioni di protesta (per ora pacifiche) che “vedono i detenuti sbattere violentemente le suppellettili contro le inferriate”. È accaduto a Bari, Lucerà, Foggia, Brindisi, Lecce e Taranto, ma queste forme di ribellione si stanno allargando a macchia d’olio in tutte le carceri della regione. Il disagio dei detenuti si manifesta - è stato documentato - con i tentativi di togliersi la vita che nei primi sei mesi dell’anno hanno superato i 60 casi avvenuti dove è concreto il problema del sovraffollamento, come Lecce, Foggia, Bari e Taranto. Stesso discorso per le proteste dei detenuti che nel primo semestre del 2010 hanno superato i 500 episodi; 220 i casi di autolesionismo; 50 gli episodi di scontri fisici tra i detenuti finiti spesso con ferimenti anche gravi. “Purtroppo - aggiunge ancora Pilagatti - la miscela esplosiva che si è formata nelle carceri rischia di esplodere a brevissimo tempo considerate le condizioni igienico sanitarie e di promiscuità in cui sono costretti a vivere i detenuti, che pone all’attenzione un altro grave problema che riguarda l’emergenza sanitaria”. Il Sappe ha segnalato più volte alle autorità competenti, che nelle carceri pugliesi una grande percentuale di detenuti sono a rischio per tutta una serie di patologie gravi di cui sono affetti. A questi si vanno ad aggiun-gere anche i carcerati con gravi problemi psichiatrici. Il Sappe “ricorda inoltre che, a fronte di una popolazione detenuta che in Puglia negli ultimi anni è raddoppiata, si è vista ulteriormente ridurre l’organico a seguito dei tanti pensionamenti nonché per le condizioni di lavoro divenute insostenibili e stressanti”. È necessario aumentare il numero dei poliziotti penitenziari - secondo il Sappe - di almeno 400 unità per far fronte all’emergenza. Domani intanto la Federazione nazionale sicurezza (Fns) visiterà i penitenziari di Foggia e San Severo per verificare le condizioni lavorative del personale, le pari opportunità nella gestione del servizio, l’igiene dei luoghi di lavoro e lo stato di sicurezza. Sicilia: Commissione Regionale; situazione carceri è insopportabile, intervenga Alfano Ansa, 1 agosto 2010 “Le carceri siciliane scoppiano, la situazione è ormai diventata insopportabile per via del sovraffollamento delle celle dove è costretto a convivere un numero di detenuti sempre più alto”. Lo dice il vicepresidente della commissione attività produttive all’Ars, Pino Apprendi, commentando quanto avvenuto al penitenziario di Trapani dove cinque detenuti hanno aggredito agenti della polizia penitenziaria. “È solo - continua il deputato del Pd - l’ultimo drammatico episodio che testimonia l’insofferenza e la tensione di una situazione che è ormai giunta al collasso con detenuti costretti a vivere in spazi angusti e strutture fatiscenti, agenti sottodimensionati e in carenza di organico costretti a turni stressanti e inaccettabili pur di garantire il servizio”. “Tutto ciò - conclude Apprendi che da lunedì inizierà una visita agli istituti penitenziari, partendo da Palermo - accade mentre in Sicilia ci sono quattro carceri a Gela, Villalba, Noto e Favignana, completati e non presi in carico dall’amministrazione penitenziaria. Il ministro Alfano intervenga per accertare le cause delle non fruibilità delle strutture, verificare i motivi di tali ritardi e velocizzare gli iter burocratici che ne impediscono la presa in carico da parte dell’amministrazione penitenziaria”. Roma: medico che visitò Cucchi denuncia; allontanato da Regina Coeli, da mesi senza lavoro Corriere della Sera, 1 agosto 2010 Lo scorso ottobre fu il primo a diagnosticare la gravità delle condizioni di Stefano Cucchi al suo ingresso a Regina Coeli. Ora Rolando Degli Angioli denuncia di essere stato allontanato dal suo posto. “A dicembre del 2009, dopo il ritorno dal mio viaggio di nozze ho tentato di rientrare in servizio a Regina Coeli dove lavoravo come medico di guardia ininterrottamente da sei anni e non ci sono riuscito” riferisce Degli Angioli. All’indomani dell’arresto di Cucchi, il medico visitò il giovane romano, diagnosticandogli un pericolo di vita. In seguito, Degli Angioli segnalò di aver subito pressioni per autosospendersi dal servizio. Cucchi morì il 22 ottobre 2009 nell’ospedale Sandro Pertini, una settimana dopo il suo arresto per possesso di droga. Per la sua morte la procura ha indagato 13 tra medici, infermieri e agenti penitenziari. Per accertare le eventuali pressioni sul medico e possibili collegamenti con il caso Cucchi il 22 dicembre scorso la Procura di Roma ha aperto un fascicolo. “Da sei mesi ormai sono senza lavoro e non riesco a spiegarmene il motivo. Ho sempre lavorato con i detenuti e non lo posso più fare. Mi auguro che la Procura di Roma faccia chiarezza al più presto su queste che spero essere delle semplici coincidenze. Credo e continuerò sempre a credere nella legge”, spiega il medico. Degli Angioli ha anche riferito di “un tentativo di conciliazione” avviato, attraverso il suo avvocato Carlo Pereno, “circa un mese fa con la Asl Rm A, la dirigenza sanitaria di Regina Coeli e la commissione provinciale del Lavoro per la riammissione e il risarcimento dei danni subiti”. Bologna: niente proroga per Desi Bruno, i detenuti rimangono senza il Garante dei diritti Dire, 1 agosto 2010 I timori si sono avverati. Desi Bruno, garante dei detenuti del Comune di Bologna, lascia il suo incarico dopo cinque anni. Il commissario Anna Maria Cancellieri ha infatti deciso di non prorogarla per il prossimo anno, fino all’elezione del prossimo Consiglio comunale. Le sue funzioni sono state conferite al difensore civico di Palazzo D’Accursio, Vanna Minardi. “Si interrompe un lavoro di cinque anni - commenta con amarezza Bruno - mi viene da dire che forse abbiamo lavorato anche troppo bene”. Di certo l’ormai ex Garante non ha gradito questa soluzione. “È una decisione che non salvaguarda la continuità del lavoro - afferma Bruno - con tutto il rispetto per il difensore civico, che è persona che stimo, non è la soluzione migliore che serviva al carcere e al Cie”. Ora bisognerà aspettare l’elezione del prossimo Consiglio comunale, che nominerà il prossimo Garante. “Le mie preoccupazioni restano inalterate - attacca Bruno - non si è tenuto conto della complessità della situazione. Il ruolo del Garante richiede una competenza molto specifica. Io avrei voluto una soluzione di prosecuzione nelle mani di una persona esperta in materia. Non ci si improvvisa competenti in questo campo”. Con Cancellieri però non si è mai confrontata. “Non mi ha interpellato- conferma Bruno- le ho chiesto un incontro a marzo e poi a luglio ho sollecitato una soluzione di continuità“. Ma nulla da fare. “Io ero disposta a traghettare l’ufficio fino all’elezione del prossimo Consiglio comunale - spiega ancora Bruno - ora è prematuro dire se tra un anno sarò ancora disponibile”. Di certo sarà a disposizione del difensore civico per collaborare. Anche se, ribadisce Bruno, “è difficile passare un lavoro di cinque anni così complesso a chi non è esperto in materia”. Bruno ci tiene a precisare che la sua non è amarezza umana, ma professionale. “Si interrompe un rapporto di cinque anni - ricorda l’ormai ex Garante dei detenuti - ci saranno problemi per i progetti avviati e per lo sportello dentro il carcere. Inoltre Bologna non coordinerà più il tavolo di coordinamento di tutti i garanti italiani”. Anche da loro era arrivata nei giorni scorsi la richiesta a Cancellieri di prorogare Bruno al suo posto, così come si era speso per la Garante anche il provveditore regionale delle carceri. Il commissario invece ha deciso diversamente. La nomina di Bruno, si legge nella delibera approvata giovedì da Cancellieri, è scaduta lo scorso 16 luglio 2010 e a termini di legge non è prorogabile per più di 45 giorni. Tra l’altro, la carica di Garante che dura cinque anni arriverebbe “ben oltre la durata della gestione commissariale e pertanto è opportuno demandarne l’elezione al Consiglio comunale di prossimo insediamento”. Per questo il commissario ha deciso di affidare il ruolo al Difensore civico del Comune, la cui “natura giuridica è coerente con quella del Garante per i diritti dei detenuti”. Il prossimo Consiglio comunale, però, si precisa nella delibera, dovrà nominare il nuovo Garante entro il 31 ottobre 2011. Reggio Emilia: rissa tra una ventina di detenuti magrebini appartenenti a bande rivali Ansa, 1 agosto 2010 Rissa nella casa circondariale di Reggio Emilia, nella mattina, tra una ventina di detenuti marocchini e tunisini appartenenti a bande rivali. Lo ha reso noto il sindacato di polizia penitenziaria Sappe. Armati di lamette e forchette, hanno dato vita a una rissa all’interno della sezione detentiva in cui erano ristretti. Nella sezione, in quel momento, c’era un solo agente che ha dato l’allarme: “dopo l’arrivo di altri pochissimi agenti, la rissa è stata sedata, per fortuna senza feriti tra il personale di polizia”, ha detto il segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante. Nel carcere di Reggio Emilia, in questi giorni, in servizio ci sono meno di 100 agenti, 26 sono distaccati in altri istituti. I detenuti sono 346, a fronte di una capienza di 163 posti detentivi; gli stranieri extracomunitari sono circa il 60%. Nonostante queste gravi difficoltà operative l’Amministrazione continua a garantire ai detenuti tutte le attività previste dall’ordinamento, anche se ciò non sembra essere sufficiente ad assicurare la tranquillità all’interno della struttura. Il Sappe chiede l’immediata esclusione dalle attività ricreative e sportive di quanti si rendono responsabili di questi gravi episodi disciplinari, nonché l’invio di almeno dieci agenti di polizia penitenziaria, per far fronte all’ emergenza. Inoltre - conclude Durante - sarebbe opportuno prevedere l’espulsione immediata dei detenuti stranieri che mettono in crisi l’ordine e la sicurezza all’interno degli istituti penitenziari. Trapani: 5 poliziotti penitenziari feriti a seguito di un’aggressione di detenuti La Sicilia, 1 agosto 2010 Cinque poliziotti penitenziari sono rimasti feriti nel carcere di Trapani dopo essere stati aggrediti dai detenuti. È accaduto venerdì mattina, come riferisce il coordinamento regionale della Uil-pa Penitenziari Sicilia. Il primo caso al momento della conta, con il detenuto che ha reagito rompendo anche uno sgabello; il secondo, all’apertura dell’ora d’aria. “In entrambe le azioni, i detenuti coinvolti erano italiani e hanno deliberatamente attaccato il personale di polizia penitenziaria”, denuncia il sindacato che parla di “violenza inaccettabile perché il Corpo di Polizia penitenziaria sta ponendo in essere tutte le energie affinché l’insopportabile situazione del sovraffollamento non carichi ulteriormente la popolazione detenuta”. Cinque le aggressioni che nell’ultimo anno hanno interessato la polizia penitenziaria Trapanese, con oltre dodici agenti sottoposti alle cure mediche. A Trapani si è toccata la soglia dei 530 detenuti, di cui oltre 130 alta sicurezza e la capienza regolamentare è di 284 posti: “Quindi abbiamo 256 detenuti in più, non abbiamo più nemmeno i materassi e offriamo addirittura quelli fuori uso ai detenuti, e il personale di polizia penitenziaria che vigila si aggira a 25/30 unità per turno”, conclude la Uilpa. Secondo la ricostruzione dei fatti, il personale di polizia penitenziaria in servizio presso il Reparto Mediterraneo è stato provocato e aggredito da due fratelli, detenuti comuni di origine napoletana. Gli episodi si sono verificati a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro “e hanno come denominatore comune - spiega il Sappe - i problemi legati al sovraffollamento delle celle che rende difficile la convivenza tra detenuti”. Durante il tentativo di persuadere il detenuto dal desistere dalle azioni di protesta verso l’amministrazione penitenziaria, questi ha prima distrutto un tavolo di legno, poi si è scagliato contro gli agenti rompendo gli occhiali a uno di essi. Tre agenti, nel contenerlo e immobilizzarlo, hanno però riportato contusioni varie guaribili in sei giorni. A rendersi protagonista del secondo episodio di violenza nei confronti di altri due agenti, accaduto a distanza di pochi minuti, è stato il fratello che, mentre si apprestava a uscire dalla cella per recarsi ai passeggi, dopo aver chiesto notizie di suo fratello, ha sferrato degli schiaffi e dei pugni al personale di servizio nel reparto. “È stata una giornata campale - commenta il comandante di reparto del San Giuliano, commissario Giuseppe Romano - oggi il carcere è stracolmo di detenuti, 530 in totale, numero mai raggiunto prima d’ora. Sono frequenti gli episodi di intolleranza o di arroganza verso gli operatori penitenziari, ma tutti legati al sovraffollamento. In pochi giorni, questa è la terza aggressione che si verifica all’interno del penitenziario”. “È del tutto evidente che la crescente tensione nelle carceri italiane sta raggiungendo limiti preoccupanti. Nonostante la dichiarazione d’emergenza del 13 gennaio scorso del governo, però, stentano a vedersi interventi concreti per ridurre il pesante sovraffollamento e la violenza in carcere è sempre all’ordine del giorno”, afferma Donato Capece, segretario generale del Sappe, il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. Capece sottolinea che solo nella giornata di ieri “5 agenti di polizia penitenziaria sono stati aggrediti nel carcere di Trapani, 2 in quello di Arienzo (Caserta) mentre a Reggio Emilia 20 detenuti extracomunitari hanno dato vita a una rissa all’interno della sezione detentiva in cui erano ristretti”. “A tutti gli agenti coinvolti - prosegue Capece - va la solidarietà e la vicinanza del Sappe. Ma si continua a ignorare, a più di sei mesi dalla dichiarazione dello stato d’emergenza per la questione penitenziaria, che le carceri stanno per esplodere, con quasi 69 mila detenuti. Si continua a voler ignorare che 172 istituti penitenziari italiani su 204, pari all’84,31%, superano la capienza regolamentare. E che 103 istituti su 204, pari al 50,49%, superano la capienza tollerabile”. Firenze: all’Opg di Montelupo detenuta transessuale resta chiusa in cella tutto il giorno La Repubblica, 1 agosto 2010 Lei vive chiusa dentro una piccola cella a Montelupo. Ha trentacinque anni, viene da una regione del Nord Italia, ha alle spalle storie di tossicodipendenza ed è transessuale. La sua è una detenzione nella detenzione perché l’ospedale psichiatrico giudiziario non ha una sezione per le transessuali e quindi questa persona divide lo stesso braccio con altri pazienti, ma a differenza di altri pazienti, la porta della sua stanza resta chiusa durante il giorno. Montelupo è un Opg maschile. “Per uscire o per gli spostamenti deve essere sempre accompagnata dal personale” spiega il dottor Franco Scarpa direttore sanitario della struttura che in provincia di Firenze ospita attualmente 170 pazienti e che è sovraffollata anche perché un’ala della villa medicea è temporaneamente fuori uso per i lavori di ristrutturazione e ampliamento. Intanto concorda con il senatore Ignazio Marino, l’assessore regionale Salvatore Allocca: “Montelupo è da chiudere, pensiamo di farlo entro un anno”. L’ispezione a sorpresa del presidente della commissione parlamentare e dei Nas dei carabinieri, con un rapporto in cui si denunciano le carenze strutturali e l’affollamento disumano di alcuni reparti (anche in 9 in una stanza, con 3 metri quadrati di spazio a testa), lascia il segno. Sulla chiusura della struttura Allocca spiega in una nota: “Figuriamoci se in Toscana non consideriamo questa una cosa doverosa, contiamo di poter dismettere l’Opg di Montelupo al più presto”. Vent’anni per portare a regime la legge Basaglia sui manicomi. Per gli ospedali psichiatrici giudiziari il cammino sembra essere ancora più lungo. “Ma respingo l’ipotesi che ci siano state irregolarità nei registri dei malati - dice Scarpa riferendosi al rapporto dei Nas - chi è stato legato nei letti di contenzione risulta regolarmente nelle carte”. “Siamo sempre stati più che convinti sulla necessità del superamento di queste strutture - riprende l’assessore ricordando l’impegno di chi nell’Opg opera - abbiamo sempre lavorato per questo ma,a causa del ritardo nelle normative nazionali e delle diverse competenze che si sono intrecciate, non è stato ancora possibile chiudere Montelupo”. La legge che dispone il passaggio delle competenze sanitarie alle Regioni in questa materia è del 2008 “ma soltanto nel dicembre 2009 si sono costituiti i cosidetti "bacini territoriali di riferimento". In pratica - sostiene l’assessore - con questi bacini si è stabilito che Montelupo fosse il riferimento per le persone originarie di Toscana, Sardegna, Liguria e Umbria”. Il fatto è che alcune aree sono in ritardo nell’applicazione della normativa e per questo a Montelupo restano internate persone che dovrebbero già essere altrove. “In Toscana - spiega Allocca - abbiamo già due strutture intermedie che potrebbero accogliere le persone che hanno terminato la misura di sicurezza (per la quale erano state internate) ma che non sono ancora in grado di essere dimesse. Una è in provincia di Firenze, una ad Aulla, una è in costruzione ad Arezzo. Per chi deve terminare il percorso della misura di sicurezza si sta organizzando Solliccianino (il “Gozzini”) a Firenze, che diventerà una struttura di carattere sanitario con una sorveglianza soltanto esterna. A Solliccianino sarà possibile ospitare anche le donne che attualmente sono nell’Opg di Castiglione delle Stiviere. Infine i pazienti che possono essere dimessi perché hanno terminato la custodia cautelare, saranno prese in carico dai servizi territoriali”. Lecce: Cgil; i detenuti sono 1.450 e del “piano carceri” finora non c’è traccia Asca, 1 agosto 2010 Dopo il via libera di Alfano, Bertolaso e Matteoli al piano carceri del giugno scorso, continuano le dichiarazioni di malcontento e le forti critiche da più parti (ultime quelle della Cgil), per un provvedimento che metterebbe a dura prova la situazione dei penitenziari pugliesi e di quello leccese. Il piano carceri dà infatti l’avvio alla costituzione di 11 nuove istituti e di 20 padiglioni in carceri già attive. Tale provvedimento, secondo la federazione a tutela dei lavoratori, se non accompagnato da una congiunta implementazione del personale di polizia penitenziaria, significherebbe aggravare una situazione già critica. “Il personale di Polizia Penitenziaria in servizio nella Casa Circondariale è allo stremo. Il grave sovraffollamento di detenuti e le conseguenze che ne derivano in termini di carichi di lavoro, ormai inaccettabili per il personale di Polizia Penitenziaria, non può continuare a passare inosservato”, dichiara la segreteria aziendale Fp Cgil della casa circondariale di Lecce. “Il Governo “ha scelto di non decidere” su come affrontare l’allarme che già da mesi lasciava presagire che la situazione del sovraffollamento, in mancanza di interventi preventivi, si sarebbe aggravata fino ad arrivare alla ormai difficilissima gestione del fenomeno. Il cosiddetto “piano carceri”, risorse finanziarie permettendo, aumenterà la capienza degli Istituti di altri 9-10.000 posti, senza peraltro un incremento dell’organico di Polizia Penitenziaria. L’assunzione “promessa” di 2.000 agenti, per la quale la Commissione bilancio della Camera non ha dato parere favorevole, qualora dovesse concretizzarsi non sarà sufficiente a sostituire le 2.500 unità che andranno in pensione nel prossimo futuro”. Sul penitenziario di Lecce poi aggiunge: “La presenza di detenuti a Lecce ormai ha superato quota 1.450. Le numerose tipologie delinquenziali, le diversità culturali (gli stranieri sono all’incirca il 20%), le differenti situazioni sanitarie con numerosi tossicodipendenti, alcolisti o soggetti affetti da malattie psichiatriche (complessivamente oltre 100 detenuti) accrescono le difficoltà giornaliere e ne pregiudicano la sicurezza dell’Istituto e del personale che in esso vi opera. Negli ultimi tre anni, 50 poliziotti sono andati in pensione e non sono stati mai sostituiti; altri 10 invece, sono ancora impiegati per la sorveglianza ai varchi del Tribunale piuttosto che, in questa particolare situazione, in compiti istituzionali demandati al Corpo”. “È un grido d’allarme della polizia penitenziaria che ci auguriamo venga ascoltato perché ogni soggetto interessato, Amministrazione Penitenziaria, Parlamentari e politici regionali, Asl, ognuno faccia la propria parte”. Cagliari: il cortile dell’aria ospita un concerto e la presentazione del libro “Liberi dentro” La Nuova Sardegna, 1 agosto 2010 Il cortile dell’aria trasformato in teatro per ospitare un concerto e parlare di un libro che dice tutto nel titolo: “Liberi Dentro”. La letteratura che spalanca le porte di una prigione. Teatro all’aperto con prato verde sintetico, posti in piedi, in platea e nel loggione. Visi sorridenti. Le donne da una parte con una suora vincenziana, sorride pure lei nel suo abito celeste. Claque. Tatuaggi. Molti volti sardi. Gruppi di africani, altri sono dell’Est europeo. È la globalizzazione penitenziaria multietnica. Quelli che soffrono non si vedono. Sono rimasti nelle celle del carcere costruito dall’architetto Gaetano Cima a fine Ottocento nel colle di Buoncammino che dà il nome alla prigione del capoluogo dell’isola. Da dietro le grate panni stesi, detersivi, tante scarpe. E braccia che salutano. Di detenuti Buoncammino ne accoglie poco più di cinquecento, non è tra i più sovraffollati. “È il carcere che più di altri si apre all’esterno, è quello che in Italia svolge il maggior numero di manifestazioni culturali”, ha detto Sandro Marilotti direttore della giustizia minorile nell’Isola. L’occasione è offerta dal libro di un giornalista della Nuova Sardegna, Luciano Piras. “Ne apprezziamo l’impegno civile, la serietà”, ha detto tra gli applausi il direttore del carcere Gianfranco Pala. Quando prende la parola l’autore è una ovazione: “Di voi si parla poco, non siete solo detenuti, siete extraterrestri, i diritti sanciti dalla Costituzione non sono applicati. Noi vogliamo aiutarvi a vivere di diritti, abbiamo il dovere della denuncia, vogliamo che siate accettati dalla società quando avrete scontato la pena”. Le pagine del libro - 106, molte foto, molte poesie - sono interpretate dalla musica. Che diventa messaggio poetico con la voce di Gigi Sanna, pastore a Badde Manna di Nuoro e tenore in limba per l’Europa, leader di uno dei gruppi più impegnati, gli Istentales. Giuliano Marongiu - presentatore tv, studioso e conoscitore del folk sardo più puro - firma la regia della serata con professionalità elegante e sensibile. Cantano i detenuti. Debutta un coro che prende il nome di “Liberi Dentro”. È la prima per un “tenore” di detenuti della Barbagia. Cantano bene. Tanti gli applausi. È una battaglia vinta dagli Istentales e dal giornalismo. I concerti in carcere erano vietati. Il primo si tenne proprio a Buoncammino nel 2004. Ieri è stata la seconda volta. Grandi meriti al direttore Pala e al suo staff. Poi concerti a Badu ‘e Carros, Mamone, Spoleto. Con gli Istentales che ricordano Osposidda, coinvolgono il pubblico con Barones sa tirannia, è straziante sentire l’ode per Luisa, Luisa Manfredi, assassinata a 14 anni a Lula. Sul palco parlano Maria Grazia Caligaris dell’Associazione “socialismo e riforme”, il presidente della commissione Diritti civili del Consiglio regionale Silvestro Ladu, la portavoce di “Antigone” Ursula Ruiu (“Dal 2009 abbiamo creato il difensore civico dei detenuti”). Il presidente del tribunale Francesco Sette: “Ho ammirato la compostezza e la felicità dei detenuti per aver vissuto due ore di alto significato civile”. Altri cori. A s’andira, Deo no isco (io non so) di Peppino Mereu con le rime carabinieri-bancarottieri (in libertà). Gli Istentales chiudono con Vagabondo dei Nomadi. Un coro urla “lassù mi è rimasto Dio”. Sul palco Istentales e Piras. In cielo, sopra il cortile dell’aria, volteggiano tre gabbiani. Liberi. Fuori. - Giacomo Mameli Volterra: niente lenzuola appese alle finestre… la nostra evasione è salire sul palcoscenico Il Tirreno, 1 agosto 2010 Da dentro a fuori. Le parole sono in rivolta. “Si alzano leggere e volano, a comporre sogni e nuove vite senza vergogna”. A lanciarle Amleto, la Dama Bianca, la Prostituta, Yorik, Ofelia, Alice e tutti quei personaggi della fantasia che sconfinano dalla tragedia all’immaginazione. Insieme a chi arriva “dal mondo vero che si estende a venti metri da qui oltre il muro di cinta”. Benvenuti nel “Teatro della corte, ci vuole coraggio per entrare qua dentro”, inquietanti le grida, infernale la risata dell’oratore-regista Punzo. Welcome nel fantastico mondo di “Hamlice”. Qui per i detenuti attori trasformazione è possibilità. Qui lo specchio è doppio, quello della corte nera di chi sta dietro le sbarre. E l’altro, il mondo bianco di Carroll, che riflette l’animo di chi guarda “oltre al rifiuto”. In una parola, libertà di essere e non essere. Evasione dalla “folla insensata che non usa il giudizio ma lo sguardo”. “Meglio evadere a teatro che in altri modi, sicuramente questo spettacolo è liberatorio. Siamo orgogliosi di questa Compagnia”, ci scherza su la direttrice del carcere Maria Grazia Gianpiccolo. Il riferimento all’evasione di due detenuti dal carcere di Pisa con tanto di lenzuolo è d’obbligo. Così pure quella avvenuta proprio tra le mura volterrane nei giorni scorsi, perché il carcerato in permesso che non ha fatto più ritorno al Maschio è proprio uno dei detenuti attori della Compagnia della Fortezza edizione 2009. Quel moro di Francois amante dei bei vestiti e della bella vita. “Qui dentro è radio carcere, le notizie arrivano subito”, ha appena finito di allestire “la stanza buia” Salvatore. Lo scorso anno era personaggio, questa volta fa il tecnico. Con i suoi 30 anni e 11 già trascorsi dentro e altrettanti da scontare non ha alcuna voglia di mollare. “Ma sei matto evadere, oggi, che hai la possibilità di beneficiare di permessi - esclama - È la volta buona che quando vieni ripreso poi ti sei definitivamente rovinato la vita per sempre, e già qui lo stiamo facendo”. Studia al Geometri di Volterra il giovane di Agrigento, ha un diploma di ragioneria che mette al servizio del penitenziario e poi partecipa a tutte le attività del carcere. Pensa a domenica e sospira: “Mi viene a trovare la famiglia da giù, con i nipotini. Li guardo e vedo il futuro”. Ha il coraggio di guardare avanti consapevole di quel che ha fatto, Salvatore. “Pago per il grande sbaglio che ho commesso. L’incubo più grosso che mi perseguita tutti i giorni è quello di aver tolto una vita”. Immigrazione: al Cie di Bari scontri con i soldati, fughe e arresti di Luca Fazio Il Manifesto, 1 agosto 2010 Una rivolta per la libertà, violenta come tutte le rivolte. Gli scontri con la polizia e con i militari del battaglione San Marco. I feriti, diciannove tra i rivoltosi e tredici tra le “forze dell’ordine”. Gli arresti, diciotto persone ammanettate, immancabile ritorsione che si abbatte sui ribelli per piegarli definitivamente. Ma questa volta anche la fuga, con sei persone che scappano braccate per tutta Bari da decine di uomini in divisa. È la città del sindaco Pd Emiliano, il capoluogo della regione governata da Vendola. A parte il fatto che da posti come questi (Centri di identificazione ed espulsione) casomai le persone si allontanano e non fuggono - essendo per legge non prigionieri ma semplici “ospiti” in attesa di espulsione perché senza documenti - non si capisce perché mai rivolte e tentativi di fuga non dovrebbero essere normali e all’ordine del giorno. Del resto, il Cie di Bari Palese, a parte le quotidiane vessazioni (o pestaggi), a parte l’invivibilità del luogo documentata da ispezioni, visite e anche video, è lo stesso luogo di costrizione che si vede in un filmato girato con un telefonino da Beseghaier Fahi, un detenuto tunisino espulso lo scorso inverno. Il video, intercettato dalla redazione di Radio Radicale, che ha deciso di diffondere le immagini solo dopo verifiche scrupolose, non ha bisogno di commento. Si vede un uomo con la bocca spaccata, un altro su una carrozzella con un ginocchio gonfio e bendato, un altro ancora con un dito rotto e fasciato, e poi interviste e materassi di spugna rosicchiata, bagni inguardabili, doccie piene di muffa e fuori uso, insomma uno schifo di cui uno stato che si vuole civile avrebbe il dovere di vergognarsi. E poi un’implorazione: “Per favore fate qualcosa, noi qua stiamo soffrendo”, Strano voler fuggire da lì? In quella galera peggio di una galera, dove si man3: già per terra perché non ci sono nemmeno i tavoli, c’è finito anche Ammar, “il clandestino eroe”, il ra-gazzo che lo scorso febbraio si buttò nell’Arno per salvare una donna (italiana), guadagnandosi il suo quarto d’ora di celebrità e la promessa mai mantenuta di un permesso di soggiorno. È nel Cie di Bari anche lui, un altro testimone: “Non ho mai visto un posto così, la gente sta male, l’altro giorno 70 persone sono salite sul tetto, volevano scappare da questo posto...”. Quel posto lo ha visto poco meno di un anno fa anche il deputato pugliese del Pd Dario Ginefra. “Nelle prossime ore - dice l’unico politico che mostra un certo interesse per la rivolta di Bari - depositerò un’interrogazione urgente perché venga fatta chiarezza su questo episodio che ripropone in tutta la sua evidenza l’inadeguatezza della normativa e l’esasperazione che un’attesa di 180 giorni determina nei cosiddetti ospiti dei centri. Nelle scorse ore avevo raccolto segnalazioni di presunti episodi di violenza nei confronti di alcuni immigrati che sarebbero avvenuti nei giorni scorsi”. Ginefra ci tornerà presto nel Cie di Bari, perché deve essergli rimasto impresso nella memoria ciò che ha visto a settembre, durante un’ispezione dopo un pestaggio di due maghrebini nell’infermeria. A rivolta avvenuta, e sedata con le cattive, adesso dovrà verificare se corrisponde al vero ciò che dice la versione ufficiale. Una cinquantina di stranieri avrebbe attaccato la polizia con spranghe di metallo dopo aver sfondato le porte di tre moduli alloggiativi (con la stessa spranga avrebbero sfasciato anche due auto degli agenti); gli stessi poi avrebbero cercato di appiccare un incendio - da qui i 18 arresti per “devastazione, saccheggio, resistenza e violenza e lesioni a pubblici ufficiali”. Undici militari sarebbero rimasti feriti, due carabinieri e diciannove stranieri (uno è in prognosi riservata ma non in pericolo di vita per un trauma cranico). Gli altri avrebbero riportato fratture e traumi alle gambe, giudicati guaribili tra i 5 e 35 giorni. Mondo: pena di morte; oltre 5.600 esecuzioni nel 2009, l’88% avvenute in Cina Agi, 1 agosto 2010 Con il macabro record di almeno 5.000 esecuzioni, anche quest’anno la Cina si aggiudica il lugubre primato di Paese con il maggior numero di condannati a morte: l’88 per cento del totale (almeno 5.619, in lieve calo rispetto al 2008). Seguono l’Iran (almeno 402), l’Iraq (almeno 77), l’Arabia Saudita (almeno 69), lo Yemen (almeno 30). I dati del rapporto 2010 sulla pena di morte di “Nessuno tocchi Cain”, diffusi ieri a Roma, indicano che dei 43 mantenitori della pena capitale, 36 sono Paesi dittatoriali, autoritari o illiberali. Avvertono i curatori del dossier, anche quest’anno curato da Elisabetta Zamparutti: molti di questi Stati non forniscono statistiche ufficiali sulla pratica della pena di morte, per cui il numero delle esecuzioni potrebbe essere molto più alto. Le altre esecuzioni “sicure” dono avvenute in: Sudan e Vietnam (almeno 9), Siria (almeno 8), Egitto (almeno 5), Libia (almeno 4), Bangladesh (3), Thailandia (2), Corea del Nord (almeno 1) e Singapore (1). È possibile che esecuzioni siano state effettuate anche in Malesia, anche se non ne risultano ufficialmente. “A ben vedere - si legge nel rapporto - in tutti questi Paesi, la soluzione definitiva del problema, più che alla lotta contro la pena di morte, attiene alla lotta per la democrazia, l’affermazione dello Stato di diritto, il rispetto dei diritti politici e delle libertà civili”. Sul terribile podio dei primi tre Paesi che nel 2009 hanno compiuto più esecuzioni figurano dunque tre Stati autoritari: la Cina, l’Iran e l’Iraq. Anche se Pechino continua a considerare la pena di morte un segreto di Stato, negli ultimi anni si sono succedute notizie anche di fonte ufficiale, in base alle quali le condanne a morte emesse dai tribunali cinesi sarebbero via via diminuite fino al 30%, rispetto all’anno precedente. Tale diminuzione è stata più significativa a partire dal primo gennaio 2007 - rivelano da Nessuno tocchi Caino - quando è entrata in vigore la riforma in base alla quale ogni condanna a morte emessa in Cina da tribunali di grado inferiore deve essere rivista dalla Corte Suprema. Secondo le stime della Dui Hua Foundation, il numero dei detenuti giustiziati in Cina potrebbe essere diminuito della metà rispetto ai 10.000 giustiziati di cui ha parlato per la prima volta nel 2004 un delegato al Congresso Nazionale del Popolo. Tuttavia dati e percentuali non sono verificabili fintanto che permane il segreto di Stato sul numero reale di condanne a morte ed esecuzioni. La Fondazione Dui Hua, diretta da John Kamm, un ex dirigente d’affari che si è votato alla difesa dei diritti umani e che continua a mantenere buoni rapporti con funzionari governativi cinesi, stima che siano state effettuate “circa” 5.000 esecuzioni nel 2009, in lieve calo rispetto al 2008 quando, secondo la Fondazione, “ha superato le 5.000 e può essersi avvicinato alle 7.000”. Anche nel 2009, l’Iran si è piazzato al secondo posto di Stato-boia al mondo. In base a un monitoraggio dei principali quotidiani iraniani e alle notizie direttamente fornite da organizzazioni umanitarie come Iran Human Rights, nel Paese sono state calcolate almeno 402 esecuzioni nel 2009, 339 delle quali sono state riportate da media ufficiali iraniani. È il numero più alto dal 2000. Nel 2008 erano state messe a morte almeno 350 persone (282 riportate da media ufficiali iraniani). Secondo l’agenzia di stampa Hrana (Human Rights Activists News Agency) sono state 562 le esecuzioni per omicidio, stupro, droga e reati di opinione praticate nella Repubblica Islamica nell’anno iraniano che va dal 21 marzo 2009 al 20 marzo 2010. Secondo le notizie riportate da media ufficiali nel 2010, al 30 giugno erano già state effettuate almeno 132 esecuzioni. Ma i dati reali potrebbero essere più alti. Nel 2009 sono state giustiziati almeno 5 persone che al momento del reato erano minorenni, in aperta violazione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo che pure ha ratificato. Nel 2008 l’Iran era stato l’unico Paese al mondo in cui risulta sia stata praticata la pena di morte nei confronti di minori (almeno 13). Nel 2007 ne erano stati impiccati almeno 8. L’impiccagione è stato il metodo “preferito” con cui è stata applicata la Sharia, ma è stata praticata anche la lapidazione in almeno due casi nel 2008 e uno nel 2009 e, in un caso, anche la fucilazione. A riprova della recrudescenza del regime iraniano, anche nel 2009 sono continuate le esecuzioni di massa. Tra il 20 e il 21 gennaio, in soli due giorni, in Iran sono state impiccate diciannove persone. Nel solo mese di maggio sono state impiccate 52 persone, di cui 21 nella settimana tra il 2 e l’8. Il numero delle esecuzioni è drammaticamente aumentato dall’inizio delle manifestazioni pro-democrazia dell’estate 2009. Nel 2010, non vi è stato alcun segno di una inversione di tendenza. Le esecuzioni di massa sono continuate: nel mese di aprile sono state impiccate almeno 28 persone, 11 tra l’8 e il 9 maggio e almeno 26 tra il 18 e il 31 maggio, in sette diverse città. Il numero delle esecuzioni è notevolmente cresciuto in vista del primo anniversario della sollevazione popolare del 12 giugno seguita alle elezioni presidenziali. Tra il 3 e il 9 giugno, sono state impiccate 22 persone in cinque città. Nel corso del 2009 sono state emesse le prime condanne a morte per la partecipazione alle manifestazioni di piazza contro i risultati truffaldini delle elezioni presidenziali del 12 giugno che hanno portato alla riconferma di Mahmoud Ahmadinejad. Nel 2010 sono state effettuate le prime esecuzioni. Non c’è solo la pena di morte, secondo i dettami della Sharia iraniana, ci sono anche torture, amputazioni degli arti, fustigazioni e altre punizioni crudeli, disumane e degradanti. Non si tratta di casi isolati. Migliaia di ragazzi subiscono frustate per aver bevuto alcolici o aver frequentato feste cui partecipano maschi e femmine. Il terzo posto del tetro podio è occupato dall’Iraq, per la prima volta dalla caduta di Saddam Hussein (9 aprile 2003) e il successivo ripristino della pena capitale. Sono state effettuate almeno 77 esecuzioni (34 nel 2008 e 33 nel 2007), secondo i dati comunicati dalla Corte Suprema irachena. In base alla Corte, i prigionieri erano stati riconosciuti colpevoli in “casi legati al terrorismo”. Le impiccagioni avvengono attraverso una forca di legno in un’angusta cella del carcere al Kadhimiya, ex quartiere generale dell’intelligence di Saddam, nel quartiere sciita Kadhimiya di Baghdad. Non ci sono registrazioni ufficiali di queste impiccagioni, tuttavia sarebbero centinaia le persone giustiziate in questo luogo dalla fine del regime di Saddam. Oltre che assassini e stupratori, gli impiccati sarebbero in prevalenza insorti, ai quali verrebbe quindi riservata la stessa giustizia sommaria che di solito loro praticano sui loro sequestrati. In calo paesi boia: 18 nel 2009, contro i 26 del 2008 L’evoluzione positiva verso l’abolizione della pena di morte in atto nel mondo da oltre dieci anni, si è confermata nel 2009 e anche nei primi sei mesi del 2010. Lo rivela il rapporto 2010 di “Nessuno tocchi Caino” che sottolinea come nel 2009 i Paesi che hanno fatto ricorso alle esecuzioni capitali siano stati 18 contro i 26 del 2008 e 2007. I Paesi o i territori che hanno deciso di abolirla per legge o in pratica, si legge nel dossier, sono oggi 154. Di questi, gli Stati totalmente abolizionisti sono 96; gli abolizionisti per crimini ordinari sono 8; quelli che attuano una moratoria delle esecuzioni sono 6; i Paesi abolizionisti di fatto, che non eseguono sentenze capitali da oltre dieci anni o che si sono impegnati internazionalmente ad abolire la pena di morte, sono 44. Il graduale abbandono della pena di morte è anche evidente dalla diminuzione del numero di esecuzioni nei Paesi che ancora le effettuano: nel 2009 sono state almeno 5.679, a fronte delle almeno 5.735 del 2008 e delle almeno 5.851 del 2007. Nel 2009 e nei primi sei mesi del 2010, non si sono registrate esecuzioni in 9 Paesi che le avevano effettuate nel 2008: Afghanistan, Bahrein, Bielorussia (che però ne ha effettuate due nei primi mesi del 2010), Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Mongolia (che nel frattempo ha deciso una moratoria delle esecuzioni), Pakistan, Saint Kitts e Nevis e Somalia. Viceversa, 3 Paesi hanno ripreso le esecuzioni: Thailandia (2) nel 2009, dopo uno stop nel 2008; Taiwan (4) e Autorità Nazionale Palestinese (5) nel 2010, dopo cinque anni di sospensione. Ancora una volta, l’Asia si conferma essere il continente dove si pratica la quasi totalità della pena di morte nel mondo. Se stimiamo che in Cina vi sono state circa 5.000 esecuzioni (più o meno come nel 2008 e, comunque, in calo rispetto agli anni precedenti), il dato complessivo del 2009 nel continente corrisponde ad almeno 5.608 esecuzioni (il 98,7%), in calo rispetto al 2008 quando erano state almeno 5.674. Le Americhe sarebbero un continente praticamente libero dalla pena di morte, se non fosse per gli Stati Uniti, l’unico Paese del continente che ha compiuto esecuzioni (52) nel 2009. In Africa, nel 2009 la pena di morte è stata eseguita solo in 4 Paesi (con la Somalia, erano stati 5 nel 2008) dove sono state registrate almeno 19 esecuzioni - Botswana (1), Egitto (almeno 5), Libia (almeno 4) e Sudan (almeno 9) - come nel 2008 e contro le almeno 26 del 2007 e le 87 del 2006 effettuate in tutto il continente. In Europa, la Bielorussia continua a costituire l’unica eccezione in un continente altrimenti totalmente libero dalla pena di morte. Nel 2009 non sono state effettuate esecuzioni, ma nel marzo 2010 due uomini sono stati giustiziati per omicidio. In Europa i casi Bielorussia e Russia L’Europa sarebbe un continente totalmente libero dalla pena di morte se non fosse per la Bielorussia e la Russia. Lo rivelano i dati sulla pena di morte dell’ultimo rapporto di “Nessuno tocchi Caino”. La Bielorussia anche dopo la fine dell’Unione Sovietica non ha mai smesso di condannare a morte e giustiziare i suoi cittadini: secondo stime non ufficiali, circa 400 persone sono state giustiziate a partire dal 1991. In base a dati ufficiali, oltre 160 sentenze capitali sono state eseguite dal 1997 al 2008. In questo periodo, una sola persona condannata a morte è stata graziata dal presidente Alexander Lukashenko. Nel 2009 non sono state effettuate esecuzioni, ma nel marzo 2010 due uomini sono stati giustiziati per omicidio. Nel 2008, erano state effettuate 4 esecuzioni. La Russia, sebbene ancora Paese mantenitore, è impegnata ad abolire la pena di morte in quanto membro del Consiglio d’Europa e dal 1996 rispetta una moratoria legale delle esecuzioni. Per quanto riguarda il resto dell’Europa, a parte la Lettonia che prevede la pena di morte solo per reati commessi in tempo di guerra, tutti gli altri Paesi hanno abolito la pena di morte in tutte le circostanze. Usa: tre detenuti pericolosi evasi in Arizona, è in corso caccia all’uomo Agi, 1 agosto 2010 Allarme in Arizona per l’evasione dalla prigione di Golden Valley di tre detenuti considerati molto pericolosi. Secondo quanto riferito dall’Abc News, elicotteri e unità cinofile stanno dando la caccia ai tre fuggitivi armati di pistola scomparsi intorno alle 21,30 di ieri sera ora locale (le 6,30 di questa mattina in Italia). Lo sceriffo della contea di Mohave ha spiegato che i detenuti hanno sequestrato un grosso camion su cui viaggiavano altri due uomini che è stato ritrovato all’alba nei pressi di una stazione di servizio. I tre prigionieri sono Tracy Province, condannato all’ergastolo per omicidio e rapina a mano armata, Daniel Renwick, condannato a 22 anni di carcere per omicidio preterintenzionale e John McClusky, che stava scontando una condanna a 15 anni per omicidio preterintenzionale, aggressione aggravata e porto abusivo di armi da fuoco. Iran: due uomini condannati a morte per traffico di stupefacenti sono stati impiccati Ansa, 1 agosto 2010 Due uomini condannati a morte per traffico di stupefacenti sono stati impiccati in Iran, secondo quanto riferisce oggi il quotidiano Keyhan. Le esecuzioni, avvenute ieri nel carcere di Isfahan, portano ad almeno 98 il numero delle persone messe a morte in Iran dall’inizio dell’anno secondo fonti di stampa locali. I due saliti sul patibolo sono stati identificati come Behman G., di 22 anni, e Shahram A., di età imprecisata. Secondo un rapporto reso noto ieri dall’organizzazione Nessuno tocchi Caino, nel 2009 in Iran vi sono state 402 esecuzioni capitali, il numero più alto in dieci anni. La Repubblica islamica è stato lo scorso anno il Paese al mondo con il più alto numero di persone messe a morte in rapporto alla popolazione.