Giustizia: dopo il Ferragosto in carcere, ora vediamo se alle parole seguono i fatti di Silvia D’Onghia Il Fatto Quotidiano, 19 agosto 2010 Circa duecento persone, tra parlamentari, amministratori locali e garanti per i detenuti, hanno trascorso il Ferragosto in carcere aderendo ad un’iniziativa dei Radicali. Hanno avuto la possibilità di vedere con i propri occhi le condizioni disumane in cui vivono i reclusi. L’iniziativa ha avuto un’adesione bipartisan, così come ora bipartisan è l’augurio che non rimanga soltanto un bel gesto di mezz’estate. “Il direttore del penitenziario di Pescara, che ho visitato - racconta il deputato Pd Giovanni Bachelet - mi ha spiegato che basterebbero alcune piccole modifiche alla legge Bossi Fini sull’immigrazione. Per esempio, a un extracomunitario a che serve partecipare ad un programma di reinserimento, imparare un mestiere, per poi essere espulso una volta fuori?”. Uno spreco di risorse, umane ed economiche, ma anche il venir meno dell’articolo 27 della nostra Costituzione, che recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. “Basterebbe che nel provvedimento di espulsione si tenesse conto del percorso di rieducazione - prosegue Bachelet - e, se questo dovesse dare un esito positivo, bisognerebbe sospendere l’espulsione”. C’è da considerare che circa la metà della popolazione detenuta è composta da stranieri. Ma sono parole che difficilmente trovano l’adesione della maggioranza di governo. “La soluzione per gli extracomunitari - secondo il deputato Pdl Luigi Vitali, ex sottosegretario alla Giustizia, che il 15 ha varcato la soglia degli istituti di Taranto e Bari - è quella di intervenire con i paesi di origine per stipulare accordi bilaterali solidi”. E non sui viaggi dei disperati. “Si potrebbero costruire nuove carceri in quei paesi, per mandare li a scontare la pena quelli che hanno una sentenza passata in giudicato”. L’onorevole Vitali ha un’idea precisa degli immigrati che arrivano in Italia: “O li chiamiamo noi perché siamo in grado di offrire loro un lavoro, oppure rischiano di diventare manovalanza a buon mercato per la criminalità”. L’ex sottosegretario però è tra i firmatari della proposta, la cui discussione dovrebbe riprendere a settembre in Senato, per far scontare ai domiciliari l’ultimo anno di pena: “Le dico di più, avevo fatto inserire una norma sulla messa alla prova dei detenuti, istituto che esiste nell’ordinamento minorile. Ma l’intesa non si è trovata per il disaccordo della Lega e di una parte del mio partito, e così l’ho stralciata. Ora temo che sia su un binario morto”. Chi si dice pronto a presentare, alla riapertura dei lavori parlamentari, interrogazioni e proposte di legge è il senatore democratico Vincenzo Vita, che a Ferragosto ha visitato le carceri di Massa Carrara, La Spezia e Chiavari: “Occorre depenalizzare alcuni reati, incentivare le misure alternative. Bisognerebbe poi riuscire a strappare qualche soldo in più nella prossima legge Finanziaria”. Ipotesi che, vista la situazione, fa sorridere. “Un grande problema per i detenuti è anche la legge Cirielli - prosegue Vita - fatta per salvare i potenti e ricaduta drammaticamente sugli ultimi. Un processo in genere dura molti anni, la persona si fa la carcerazione preventiva, poi esce e magari ricomincia a lavorare, mette su famiglia. Poi arriva la sentenza e deve tornare in carcere, perdendo tutto ciò che ha costruito”. L’iniziativa dei Radicali, che ha generato qualche polemica per l’adesione di Dell’Utri e Cosentino, non è piaciuta neanche al sindacato di polizia penitenziaria Sinappe: “Sono venuti a commemorare l’amministrazione penitenziaria - il duro commento dei segretario, Roberto Santini hanno fatto la loro passerella, ma per noi Ferragosto o 25 dicembre sono giorni come tutti gli altri”. Giustizia: il mio leader politico ideale? un uomo libero, che si preoccupa di chi non è libero di Valeria Parrella La Repubblica, 19 agosto 2010 La situazione delle carceri non è un problema che ci si può porre una volta l’anno, il 15 agosto. Perché c´è un senso politico nella rieducazione. Ogni volta che ho pensato di suicidarmi, lo dico senza compiacimento, ma ci ho pensato qualche volta, sì, in momenti di afflizione che mi parevano senza scampo, o intollerabili per lungo periodo, ma insomma: tutte le volte che io ho pensato di suicidarmi, ho pensato di farlo lanciandomi dal sesto piano di casa mia - è un palazzo antico, ogni piano è più di 5 metri: con molta probabilità, e un po’ di fortuna, sarebbe stata morte sul colpo. Il sette gennaio di quest’anno, nella Casa circondariale di Verona, Giacomo Attolini, un uomo di 49 anni, si è impiccato utilizzando una maglietta legata alle sbarre. Quando l’ho letto ho pensato che forse se invece del sesto piano avessi avuto una maglietta, e invece di un sms a Pierluigi o una chiamatina in lacrime a Nicola fossi stata piantonata in un reparto di infermeria, forse oggi non starei a scrivere queste righe. Non sono una detenuta e non la voglio fare semplice. Ma non posso non pensarci nell’unico modo in cui riesco: immaginandolo. È cominciato il giorno in cui l’associazione “il carcere possibile” ha fatto l’esperimento “detenuto per un minuto”. A piazza dei Martiri, che ha una bella colonna in memoria dei napoletani caduti per la Libertà, è stata installata una cella, chiusa, vera, per la quale le stesse guardie carcerarie che hanno coadiuvato i penalisti nell’esperimento si meravigliavano: “è fatta proprio bene, avvocà”. Entravamo in un corridoio, fuori c’era il sole, così lasciavamo i nostri effetti personali e il sole, rispondevamo a un questionario e poi venivamo introdotti in questa cella. Per un minuto. Un minuto simbolicamente scandito da una clessidra, seduti lì dentro sulle brande con gente che non conoscevamo, chiusi dentro. Un minuto in cui non si poteva stare in piedi tutti insieme per mancanza di spazio. Solo questo, ma quanto bene e quanto meglio mi ha fatto, dopo aver girato siccome imbecille nella spirale di Richard Serra piazzata da Bassolino a piazza Plebiscito uno di questi natali, e mai spiegata, mai offerta veramente. Perché c’è una politica (nel senso di farsi cittadini) che avvicina, e una che allontana. Una che immerge e una che distoglie. E c’è un momento, questo, in cui non si può fare finta. Appena qualche giorno fa, per il secondo anno, i parlamentari hanno fatto finta: su invito degli infaticabili Radicali, 200 tra parlamentari, eurodeputati e consiglieri regionali sono entrati a ferragosto nelle carceri italiane. Cosa avranno veduto? Uso sempre (solo?) l’immaginazione: pochi metri quadri, dieci persone, un solo servizio igienico a vista e un lavabo in cui ci si lava e si lavano gli alimenti, che vengono cucinati nel medesimo spazio; letti a castello che arrivano all’unica finestra che dà luce alla stanza, dove si fa a turno a scendere dal letto per poter stare in piedi; la televisione sempre accesa, unico diversivo oltre alle sigarette che vengono fumate senza sosta: detenuti bagnano asciugamani da mettere vicino la finestra per filtrare l’insopportabile caldo. Tutto questo per ventidue ore al giorno, mentre per le restanti due è consentito passeggiare in un cortile assolato. Cosa è rimasto di questa immagine? Qualcuno lo sa? È ovvio che, se non lo diciamo noi che siamo fuori, a quale atto dovremo affidarci perché qualcuno di essi, larve del nostro tempo da noi non solo non riabilitati ma umiliati e offesi, senza diritti, alzi la voce? Risse che finiscono in laghi di sangue a opera della polizia penitenziaria, lenzuola bruciate dai finestrini, scioperi della fame? È questo quello che ci aspettiamo facciano, o meglio: che non ci aspettiamo che facciano giacché la gran parte dei cittadini se ne strafotte dei detenuti, e anzi la detenzione ha pure questo di punitivo oltremodo: il regalo dell’invisibilità. Ovviamente io non sto parlando di indulto, bensì di carcerazione che si svolga secondo i dettami della Costituzione, e di quella costituzione più ampia che si chiama diritti dell’uomo e del cittadino: nel carcere di Bollate diretto da Lucia Castellano i reclusi sono addetti alla vita interna dell’istituto, e altri lavorano alle dipendenze di aziende esterne o al servizio di cooperative sociali e altri ancora proprio all’esterno sulla base dell’art. 21 e tutte queste occasioni non solo abbattono il sovraffollamento ma diventano “riabilitazione”? Un venerdì mattina (il venerdì è il giorno delle visite per il padiglione Salerno, dalle 7 alle 12) andai con una mia amica pressante al mercato di Poggioreale per comprare le scarpe - Poggioreale è un quartiere struggente di Napoli su cui insistono tre cimiteri, un carcere e un aeroporto -, ebbene fin dal principiare di questa strada lunga, scandita dalle traversine dei binari del tram 29, io cominciai a vedere, ma già da piazza Nazionale, dico, una piazza anni settanta ottagonale, larga abbastanza da aprire su una prospettiva ampia, iniziai a scorgere una fila di donne e uomini, più donne e meno uomini, di bambini piccoli, alcuni aggrappati al seno delle madri, di vecchi decrepiti. Una fila che radeva il muro del muro di cinta della casa circondariale e poi continuava, codazzo senza speranze, senza nessuno potersi proteggere da sole e intemperie, come io non ne avevo vedute mai nella mia Napoli di così misere e vessate e silenti, ordinate, non chiassose e trafelate come ce le si immagina al sud. E difatti di quale sud trattavasi ché scure in volto erano molte di quelle donne, e stracce, eppure di quello straccio che si riconosce subito essere l’abito migliore, quello messo da parte per la festa. E così in questo venerdì, passo svelto, io avanzavo e superavo la fila, ché il caldo era già forte e non si procedeva affatto, ma anzi l’ultima parte di questa fila si incanalava in una doppia parete antiproiettili di “protezione” che quindi regalando la possibilità di entrare, costringeva all’immobilità degli spazi. Andavano per trovare i loro detenuti. E pareva, nei miei occhi, come in quelle descrizioni senza tempo di Agotha Kristof o come in Resurrezione di Tolstoj senza il conforto della pagina finale del Vangelo, sembrava che dovessero patire pure loro: che a essere le madri e le mogli e i figli dei carcerati, fossero anche loro destinati a spartire parte della pena. Perché era chiaro che gli ultimi di loro, buona parte della fila, non sarebbero entrati. Eppure restavano. E sarebbe passata un’altra settimana e forse due senza vedere marito o madre o figli. E chiedevo - di dove siete? - e di dappertutto nel mondo erano, per le strade dell’umanità erano arrivati là fuori, e se non erano algerini o marocchini, se non erano dell’Est o di Napoli, allora erano di Pescara o delle Calabrie, e avevano raccattato i figli la mattina all’alba e li avevano messi sul treno. Alcuni non sapevano rispondermi. Non conoscevano la lingua. E se questa è l’umanità fuori io non ho potuto che immaginare (ancora, sempre) l’umanità dentro. In un certo senso per il cittadino libero, per me, vale con il detenuto che non conosco (ma che rappresento e mi rappresenta in quanto Sostanza dello Stato), quello stesso principio di rapporto che vedo tra le famiglie dei detenuti e i detenuti: ci si può sentire dignitosi, cioè degni, fuori, solo se si assicura dignità dentro. E qualcuno ne deve rendere conto. Lo sto aspettando quell’uomo politico, andrei di corsa a votare un leader che nel suo programma si facesse carico di questa responsabilità: un uomo libero che si preoccupi di chi non è libero, che ridefinisca le condizioni e di questa libertà e di questa reclusione, in breve che si domandi che cosa è un Uomo, o che si auguri per sé quell’attimo che Goethe per bocca di Faust si augurava per tutti, quello del Vedere e vivere, su libero suolo come un popolo libero. Quello è l’unico discorso politico che ancora può prendere vita, e questo uno dei luoghi da cui nascere, perché veramente, ma davvero: non esiste altra possibilità per l’individuo che voglia vivere con dignità, che il garantire o il lottare affinché questa dignità sia bene condiviso. Giustizia: Osapp; la Polizia penitenziaria al Ministero degli Interni ed il lavoro ai detenuti Adnkronos, 19 agosto 2010 Due disegni di legge: uno che attui e favorisca il passaggio della nostra categoria alle dipendenze del Ministero dell’interno; l’altro, che introduca nuove norme per rendere obbligatorio il lavoro dei detenuti. Sono i progetti indicati da Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, alla maggioranza di Governo e più in generale alla classe politica italiana. “La campagna di sensibilizzazione promossa da Rita Bernardini - sottolinea il leader sindacale - ha avuto un solo effetto: quello di far cessare per un attimo qualsiasi tentativo di suicidio o di rissa tra detenuti. Per il resto vedremo a settembre se il contributo di chi ha dato vita all’iniziativa ferragostana sarà considerato di supporto alle battaglie che la Polizia Penitenziaria sta portando avanti in questo momento”. “Infatti, - aggiunge - se è vero che i politici fanno bene al carcere e ai carcerati, presto andranno verificati i benefici per la polizia penitenziaria visto che per ora, in parte anche grazie alle visite di Ferragosto, ci sono migliaia di ore di straordinario non retribuite e di giorni di riposo non concessi al personale, e non si sa neanche se ci siano i soldi per le 2mila unità aggiuntive promesse dal Ministro Alfano e che, comunque, rappresentano oramai una goccia nel mare”. “La nostra è e vuole essere una battaglia di diritto e di legalità - aggiunge il segretario -. Per sconfiggere le piaghe del sistema penitenziario e per fare sì che cessino i gravi eventi di questi ultimi mesi, quali aggressioni e suicidi, e il carcere ritorni (se mai lo è stato) a rappresentare anche una effettiva possibilità di emenda e di recupero, ovvero di speranza nel futuro, è necessaria una comunione di intenti su un solo modo di intendere l’istituzione: per concepire un sistema penitenziario con maggiori garanzie sui risultati che da tempo mancano nonostante spese ingentissime a carico della Collettività nazionale da anni”. “Il nostro - spiega Beneduci - non è un controsenso, almeno più di quanto non sia stata contraddittoria fino adesso la Politica. Da anni aspettiamo riforme strutturali che il Piano di costruzione di nuovi istituti, in quanto visione e soluzione parziale del problema, ha letteralmente affossato. Da anni attendiamo che dalla parte sana di questo Paese arrivino segnali concreti. Da anni, inoltre, la polizia penitenziaria sopporta la gogna di essere considerata minore rispetto le altre forze di Polizia”. “È giunta l’ora che qualcuno si riarmi di quel sano buon senso oramai perduto, e per far questo - conclude l’Osapp - bastano due semplici disegni di legge, che alla ripresa dei lavori in Parlamento auspichiamo i partiti possano finalmente portare in discussione alle Camere”. Giustizia: Sappe; “schermare” le carceri, per evitare l’utilizzo abusivo dei telefonini Il Velino, 19 agosto 2010 “La notizia del rinvenimento di un secondo telefono cellulare in una cella del carcere di Genova Marassi che ospita detenuti lavoranti, a poco più di una settimana da un analogo rinvenimento, ci impone di tornare a chiedere al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria interventi concreti quali, ad esempio, la dotazione ai reparti di polizia penitenziaria di adeguata strumentazione tecnologica per contrastare l’indebito uso di telefoni cellulari o altra strumentazione elettronica da parte dei detenuti nei penitenziari italiani”. Lo sottolineano in una nota Donato Capece e Roberto Martinelli, segretario generale e segretario generale aggiunto (commissario straordinario per la Liguria) del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe). “Ci fa piacere - aggiungono - mettere in particolare evidenza che il rinvenimento avviene (come anche accadde in un analogo episodio del 10 agosto scorso) grazie all’attenzione, allo scrupolo e alla professionalità di personale di polizia penitenziaria in servizio a Marassi, uomini che lavorano in difficili condizioni operative per le risapute carenze organiche di ben 160 Agenti. Non a caso, in più occasioni il primo sindacato della polizia penitenziaria, il Sappe, ha richiamato l’attenzione delle autorità regionali e dipartimentali penitenziarie in ordine ad alcune situazioni che con una certa frequenza interessano gli istituti di pena, in particolare sull’indebito uso di telefoni cellulari e altra strumentazione elettronica da parte dei detenuti per le comunicazioni con l’esterno. Rinnoviamo l’augurio - continuano - che dopo il nuovo ritrovamento di un altro telefono cellulare all’interno della cella del carcere di Genova Marassi si faccia concretamente qualcosa per contrastare questo grave fenomeno”. Il Sappe ricorda che “sulla questione relativa all’utilizzo abusivo di telefoni cellulari e di altra strumentazione tecnologica che può permettere comunicazioni non consentite è ormai indifferibile adottare tutti quegli interventi che mettano in grado la polizia penitenziaria di contrastare la rapida innovazione tecnologica e la continua miniaturizzazione degli apparecchi che risultano sempre meno rilevabili con i normali strumenti di controllo. A nostro avviso - concludono gli esponenti del Sappe - appaiono pertanto indispensabili interventi immediati compresa la possibilità di schermare gli istituti penitenziari al fine di neutralizzare la possibilità di utilizzo di qualsiasi mezzo di comunicazione non consentito e quella di dotare tutti i reparti di polizia penitenziaria di appositi rilevatori di telefoni cellulari per ristabilire serenità lavorativa ed efficienza istituzionale, anche attraverso adeguati ed urgenti stanziamenti finanziari”. Lettere: quando l’informazione (e la verità) fanno paura… di Eugenio Sarno (Segretario generale della Uil Pa Penitenziari) www.grnet.it, 19 agosto 2010 All’indomani della divulgazione della circolare - bavaglio a firma del Capo del Dap, nella quale sostanzialmente si impediva a qualunque appartenente all’Amministrazione Penitenziaria di rilasciare dichiarazioni se non preventivamente autorizzate (forse anche concordate), la Uil Pa Penitenziari annunciò che avrebbe surrogato la stessa Amministrazione nella necessaria (doverosa) azione di informare la società, la stampa e la politica di cosa accadesse all’interno delle fatidiche mura. Ciò era, ed è, una naturale e coerente prosecuzione di una linea che deriva da elementare convincimento: gli operatori penitenziari non hanno nulla da nascondere e nulla da cui nascondersi. Non a caso già vent’anni fa coniammo lo slogan: per abbattere le mura dei misteri occorre abbattere i misteri di quelle mura. Chi ha vissuto, negli anni bui e difficili del sistema penitenziario, sulla propria pelle gli effetti della deviazione della verità (favorita dall’omertà degli amministratori) sa bene cosa significa essere seppelliti dai sospetti e dai pregiudizi. Per troppo tempo abbiamo subito, da ultimi del sistema, questo ostracismo alla trasparenza ed alla verità, che faceva comodo ai capitani di turno. Troppo semplice, in quelle condizioni, scaricare le proprie colpe e nascondere le proprie inefficienze e incapacità. Anche per questo abbiamo deciso di fare da cassa di risonanza e di favorire la completa informazione di quanto avviene all’interno degli istituti penitenziari. Perché la società sappia, la stampa sia informata, la politica ragguagliata. Ci chiediamo, infatti, quante morti, quante aggressioni e anche quante evasioni o tentate evasioni sarebbero ancora “notizie riservate” se la Uil Pa Penitenziari non ne avesse dato tempestiva divulgazione, consegnando un quadro reale di quanto avviene in carcere. Un quadro che è fatto di violenze, soprusi, illegalità, inciviltà, incompetenze. La nostra puntuale informazione ha potuto contribuire (speriamo) a sovvertire nella pubblica opinione la leggenda metropolitana che voleva i poliziotti penitenziari feroci picchiatori e crudeli torturatori di inermi e indifesi detenuti. I 172 agenti penitenziari feriti a seguito di aggressioni subite da parte dei detenuti ( e ci limitiamo a monitorare solo le prognosi superiori a 5 giorni) e i 90 suicidi sventati (quindi 90 vite salvate) dai colleghi solo in questo 2010 (nel 2009 circa 310 agenti feriti e 140 suicidi sventati) consegnano un’altra verità. Informare significa rendere un quadro veritiero della situazione, spesso offuscata dalle passerelle mediatiche. Padova, ne è un esempio lampante. Si fa a gara a indicare la Casa di reclusione Due Palazzi quale modello di carcere sostenibile. Si esaltano le esperienze delle cooperative con annesse pasticcerie. Ma si omette di dire quali sono le condizioni di detenzione e qual è il prezzo che paga il personale per garantire quel modello. Se solo quest’anno a Padova si sono tolti la vita tre detenuti, sono state sventate due evasioni e la polizia penitenziaria è in protesta permanente qualche domanda viene spontanea porsela. Ma il circo mediatico vuole Padova eletto a eden penitenziario, quando è molto più prossimo ad un infernale girone dantesco. Per quanto ci riguarda quello che avevamo da dire lo abbiamo scritto nella nostra relazione a seguito della visita effettuata nel novembre del 2008. Questo per dire che la verità dei fatti spesso viene sostituita dal racconto mediatico. E questi racconti alimentano carriere. Ecco perché l’Amministrazione Penitenziaria vuole che si taccia sulla verità. Se non lo avessimo denunciato noi chi mai avrebbe saputo che a Lucca si sono spesi migliaia e migliaia di euro per costruire un tetto nuovo su un edificio abbandonato e dichiarato inagibile, nel mentre la caserma è sepolta da escrementi di piccioni ed una palestra costata centinaia di milioni (di lire) non è mai stata attivata? Per non dire delle centinaia di unità di polizia penitenziaria impiegate nei palazzi del potere di cui tutti sanno ma nessuno parla. Forse abbiamo esagerato nel definirle acchiappamosche, camerieri e portaborracce ma quelle definizioni rendono bene l’idea della piaga di un sistema di raccomandazioni e privilegi che Ionta ed Alfano non hanno la forza di smantellare, nonostante i dichiarati intenti. Chi mai avrebbe saputo, se la Uil non facesse informazione anche attraverso la visite negli istituti, degli ottanta sacchi di immondizia raccolti (dopo la nostra denuncia) ai piedi delle celle del carcere di Frosinone. Con la nostra puntuale informazione la società, la stampa, la politica hanno un quadro più definito della verità. Ma informare, dire la verità, costa ed ha un prezzo. E noi lo abbiamo puntualmente pagato. Ma sono prezzi che paghiamo volentieri in nome della trasparenza e dell’informazione. Ci dispiace solo che qualche solerte dirigente penitenziario (che ha dato prova di manifesta incapacità gestionale) non trovi di meglio che tentare d sminuire la verità con risibili smentite delle nostre affermazioni (chissà se con la preventiva autorizzazione del Capo del Dap); ci dispiace che molti di questi dirigenti penitenziari (i cui istituti rischiano di affondare nel sudiciume) facciano a gara per intimorire i nostri quadri paventando provvedimenti disciplinari; ci dispiace che anche taluni Comandanti (o pseudo tali) avvertano analoga necessità. Semmai sono proprio quei direttori e comandanti che ad agosto, in piena bagarre, nonostante il divieto (ma chi esegue gli ordini del Dap?) di ferie congiunte hanno lasciato la barca per mettere le chiappe ad ammollo. Forse sono quei direttori o comandanti (o pseudo tali) che prima di assicurarsi un mese di ferie hanno ordinato di ridurre le ferie al personale. Semmai sono gli stessi che raddoppiano o triplicano i turni agli agenti (senza nemmeno pagare lo straordinario). Ma queste sono cose che si fanno ma che non si debbono dire… invece noi le diciamo, le gridiamo e le denunciamo. Per questo invitiamo tutti i colleghi, iscritti o meno alla Uil, ad informare degli eventi critici ma nel contempo a denunciare le angherie, i soprusi, le incapacità, le incompetenze e le marachelle di chi invece di gestire e coordinare vuole mettere il bavaglio alla verità. C’è una questione morale nel sistema penitenziario. Lo diciamo da anni. Ora, però, nei nostri penitenziari ci sono questioni umanitarie, sanitarie e sociali che debbono essere risolte. Pidocchi, topi, pantegane, gatti e gabbiani sono abituali frequentatori delle discariche sociali che sono le nostre prigioni. Prigioni che reggono ancora solo ed esclusivamente all’umanità, alla sensibilità, alla professionalità del personale come hanno unanimemente dichiarato tutti i politici che hanno visitato quegli zoo penitenziari in cui aids, epatiti, micosi e malattie infettive e psicotiche regnano incontrastate. Speriamo solo che dopo aver scaricato nelle telecamere e sui taccuini la loro indignazione per quanto verificato si indignino anche in Parlamento per trovare ed imporre soluzioni concrete. Ma l’esperienza dello scorso anno non alimenta l’ottimismo. Lettere: nelle Marche il “Sel” è rimasto fuori dal Consiglio regionale… e dalle carceri Marcello Pesarini (Sinistra Ecologia e Libertà) Liberazione, 19 agosto 2010 Ho letto i report del “Ferragosto in carcere” sui giornali e su Ristretti. Quest’anno nelle Marche i nostri compagni non hanno partecipato, perché non più presenti in consiglio regionale, ed è un peccato perché alcuni di noi avevano seminato con umanità ed intelligenza, sia nella nuova legge sulle carceri, sia nel tentare di suscitare nelle istituzioni una sua applicazione e politiche utili a non distaccare ancora di più la società dal “mondo a quadretti”. Non si è potuto recare in carcere neanche il Garante dei detenuti, Samuele Animali, il primo a ricoprire questo posto degnamente, a lavorare per la valorizzazione dell’impegno profuso dalla Conferenza Volontariato e Giustizia e delle associazioni a lei affiliate. Il nostro “Ombudsman” stava formando altre persone per rendere il proprio impegno continuativo, perché sapeva di dipendere dalle evoluzioni dei politici. È stato previdente, perché il Pd ha deciso di preferirgli un’altra persona, senza spiegare il perché. Lettere: carceri sovraffollate, il senatore Santini ha perso la memoria… di Cosimo Rondò (Sinistra Ecologia Libertà) www.trentinoweb.it, 19 agosto 2010 È ufficiale: il senatore Giacomo Santini ha perso la memoria! Il suo stato di amnesia è così grave che - senza sostituirci ai medici - vogliamo comunque aiutarlo a ricordare. Caro Santini, lei è un senatore della Repubblica, iscritto al gruppo parlamentare del “Partito della libertà”. Il suo leader politico è il cav. Silvio Berlusconi che per sua fortuna è anche l’attuale presidente del Consiglio. Il Ministro della Giustizia è tale Angelino Alfano, anche lui del Pdl. Lei sostiene - senza tentennamenti - da molti anni Berlusconi e la sua politica. È Berlusconi che l’ha messa lì, in Senato, si ricordi. Questo vuol dire che non ha alcun bisogno di usare carta e penna per scrivere a Berlusconi e a Alfano ed implorarli di intervenire per il nuovo carcere di Trento, come se lei fosse un cittadino qualunque. Inoltre questo significa che la sua amnesia le sta facendo fare involontariamente la figura dello sciocco. Infatti, nel merito, le carceri sono sovraffollate grazie alla politica del suo Governo che non passa giorno che si inventi un nuovo reato (si ricorda il “reato di clandestinità”?). Un Governo che criminalizza tutti i diversi, che invece di aiutare chi ha bisogno (sociale o economico) preferisce risolvere tutto mettendo le persone in carcere. Nel metodo, come parlamentare può presentare mozioni, interpellanze e interrogazioni e - vista la decadenza della vostra Repubblica - può anche suonare ad una delle tante case di Berlusconi e chiedergli perché il suo Governo - che è anche il suo - ha tagliato pesantemente il bilancio di giustizia e pubblica sicurezza. Se ci fossimo sbagliati e lei, caro Santini, fossi ancora orientato nel tempo e nello spazio, sarebbe gravissimo il suo tentativo di strumentalizzare la sofferenza di chi è in carcere, facendo finta che i problemi siano stati creati da un destino cinico e baro, anziché da un Governo spregiudicato e violento con i più deboli. Come il suo. Puglia: carceri affollate, ma 10 strutture costruite negli anni 90 non sono mai entrate in funzione Il Fatto Quotidiano, 19 agosto 2010 Uno di questi a Bovino, in provincia di Foggia. Un carcere che avrebbe dovuto ospitare 120 detenuti. “Un assurdo, una vergogna”, dice Vincenzo Nunno, assessore al comune di Bovino, che da anni si batte per cercare di sbloccare la situazione. “Abbiamo chiesto ripetutamente al ministero di sapere che cosa intendevano fare di questa struttura - continua l’assessore - ma fanno fatica a risponderci e poi ci dicono cose spesso contraddittorie. In pratica ancora non si sa se questo patrimonio abbia una qualche destinazione”. Una paralisi sconcertante a cui però Nunno non si rassegna. “Le carceri di Foggia scoppiano - dice - e noi abbiamo questo penitenziario che a poco a poco cade a pezzi. Non credo che valga la pena di recuperarlo come carcere: è stato costruito senza le minime garanzie di sicurezza, con le porte in cartone, e senza le sbarre protettive necessarie. Meglio pensare a un diverso utilizzo: abbiamo già fatto delle proposte, ma non ci danno retta. E Bovino non è l’unico comune pugliese che si trova in queste condizioni”. Il caso più clamoroso infatti si trova a Monopoli, in provincia Bari: “Una struttura carceraria di trent’anni fa - dice Vincenzo Nunno - mai inaugurata e che non ha mai ha ospitato carcerati. Ora occupato da sfrattati, almeno quello un qualche uso l’ha trovato”. Ma l’elenco delle carceri abbandonate è lungo. Ci sono strutture mai entrate in funzione nella zona di Foggia a Volturara, Castelnuovo della Daunia e Accadia e in provincia di Bari a Minervino Murge, a Casamassima e ad Altamura. “Tutti questi edifici hanno un padrino: Franco Nicolazzi (il ministro delle “carceri d’oro”, condannato in via definitiva a 5 anni di reclusione)”, spiega l’assessore Vincenzo Nunno. “Aveva i soldi e le imprese da far lavorare. Bastava mettersi d’accordo con il segretario comunale e le carceri sono cresciute come funghi. Non importa che poi siano finite come sono finite. Quello era il modo di governare. Per troppi anni si sono chiusi gli occhi su questi scempi: è ora di rimediare, di salvare il salvabile. Noi di idee ne abbiamo tante per recuperare patrimoni che comunque potrebbero essere messi a disposizione della collettività, ma non possiamo muoverci. Abbiamo bisogno di avere un interlocutore credibile nel ministero, altrimenti siamo paralizzati. Si tratta alla fine di risorse nate male ma che non si devono dimenticare. Soprattutto in periodi come questi, con i comuni alla disperata ricerca di risorse per dare risposte ai bisogni dei cittadini”. Puglia: il Sappe scrive a Vendola; assistenza sanitaria ai detenuti, situazione drammatica Ansa, 19 agosto 2010 Dal punto di vista dell’assistenza sanitaria, “quello che sta accadendo nelle carceri pugliesi è drammatico poiché si registrano in alcuni casi, carenze nella somministrazione dei medicinali, anche salvavita, diminuzione dell’assistenza ai detenuti e l’esplosione delle gite turistiche per i detenuti che vengono trasportati presso strutture sanitarie esterne, anche per togliere punti di sutura, fare medicazioni, cure dentarie, semplici radiografie per patologie che prima erano tranquillamente trattate all’interno dei penitenziari”. Lo sottolinea il segretario generale del Sappe, Federico Pilagatti, il quale aggiunge: “A Turi per esempio, hanno dovuto trasportare con un furgone un detenuto scortato da tre agenti fino ad Andria per effettuare una visita dentistica! ma quanto è costata questa visita?”. La situazione - secondo Pilagatti - “oltre a creare forti disagi alla polizia penitenziaria che deve comunque assicurare l’accompagnamento dei detenuti presso le strutture pubbliche (nonostante la carenza degli organici) sguarnendo ancora di più le sezioni detentive con rischi alla sicurezza, sta diventando un serio problema di ordine pubblico poiché tantissimi detenuti (ergastolani, o appartenenti alla criminalità organizzata, mafia, camorra, ndrangheta) che non hanno nulla da perdere, avendo percepito la facilità di uscire dal carcere, potrebbero mettere in essere azioni violente, eclatanti, anche attraverso aiuti esterni. Stesso discorso - continua Pilagatti - per i ricoveri in ospedale ove i detenuti vengono vigilati nelle corsie a stretto contatto con altri degenti e loro familiari”. Cagliari: il direttore; i fondi per curare i detenuti sono esauriti, in cassa solo 3 euro L’Unione Sarda, 19 agosto 2010 Il direttore di Buoncammino Gianfranco Pala solleva la cartella in pelle poggiata sulla scrivania. “Per la sanità penitenziaria in cassa abbiamo appena 3,38 euro”. C’è poco da stare allegri nel carcere cagliaritano, il più grande dell’Isola: pochi spiccioli, una miseria, per garantire la salute di 521 detenuti. Il futuro è, se possibile ancora più nero, da incubo: i contabili dell’istituto di pena aspettano con ansia il finanziamento da mezzo milione di euro del ministero del Tesoro. Sarà, quando arriverà, l’ultimo. Poi saranno guai seri. La Sardegna è, con la Sicilia, l’unica in Italia a non aver ancora completato il passaggio di consegne tra Stato e Regione per la sanità carceraria. Tutto bloccato in chissà quale cassetto della commissione paritetica, capace sino a oggi solo di mettersi d’accordo su componenti e presidente. Un’ancora di salvezza era rappresentata dall’emendamento proposto dall’assessorato alla Sanità di un milione di euro. Ma la proposta è stata bocciata miseramente dal Consiglio regionale. Qualcuno, e questo è nei fatti, rema contro. Una posizione scellerata che mette a rischio un bene ancora più prezioso della libertà: la salute. La visita a Ferragosto di deputati e consiglieri regionali nell’istituto di pena sul colle omonimo ha fotografato una situazione al limite del collasso: troppi detenuti (521 su una capienza regolamentare di 332) e pochi agenti (117 in servizio, 267 quelli previsti dalla pianta organica). “A Buoncammino il problema non è più il sovraffollamento, ma la Sanità penitenziaria”, afferma Pala. E i numeri, purtroppo gli danno ragione. Oltre 170 reclusi soffrono di patologie psichiatriche, 103 sono affetti da epatite C, 48 sono tossicodipendenti. Pazienti prima che detenuti, che avrebbero bisogno di cure e strutture attrezzate e non di sbarre. Non solo non si ottiene il recupero, ma la loro reclusione rappresenta un costo non più sostenibile per gli scarsi bilanci statali. “Per il primo semestre di quest’anno ci sono stati assegnati 913.081 euro”, spiega dal suo ufficio del carcere il direttore Pala. L’ultimo resoconto è misero: per le cure dei detenuti ci sono a disposizione neanche quattro euro. “Stiamo aspettando mezzo milione di euro bloccati alla Ragioneria del ministero del Tesoro. Soldi che comunque non basteranno per arrivare a fine anno. Se non ci saranno novità non ci resta che tagliare, a partire da guardie mediche e infermieristiche”. Pala chiede certezze. “Non possiamo fare affidamento sul buon cuore del Consiglio regionale, il passaggio di consegne va definito”. Al più presto, perché dal 31 dicembre il ministero non verserà più un centesimo per la sanità penitenziaria e tutti i costi, non ancora programmati, saranno a carico della Regione. Così come sarà necessario affrontare l’argomento dei detenuti sardi rinchiusi negli ospedali psichiatrici giudiziari. A fine anno anche loro dipenderanno dalle Asl isolane che, in caso di accordo non completato, dovranno accollarsi i costi delle rette. Antonio Cocco, segretario regionale del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria) denuncia come “ormai gli istituiti di pena sono polveriere pronte a scoppiare. Sovraffollamento, carenza di personale, tossicodipendenti sono problemi non solo per i reclusi, ma soprattutto per gli agenti di polizia penitenziaria”. Il rappresentante sindacale annuncia battaglia. “A settembre il Sappe metterà in campo iniziative per denunciare quali e quante siano le responsabilità della classe politica”. Donati 80 kit scolastici ai figli dei carcerati Sono ottanta, venti in più dell’anno scorso, i kit scolastici donati dai cagliaritani ai figli dei detenuti. L’iniziativa di beneficenza è stata curata, per il quarto anno consecutivo, dai volontari del comitato “Oltre il carcere” che sabato scorso (vigilia di Ferragosto) hanno stazionato davanti all’ingresso del carcere di Buoncammino per accogliere i benefattori. La risposta dei cagliaritani è stata ancora una volta pronta e generosa: sono stati infatti consegnati zaini, astucci, quaderni, penne, matite, compassi, squadrette e altro materiale scolastico che sarà utilizzato per comporre dei kit completi che i genitori reclusi regaleranno a settembre ai loro figli. Chi si è presentato in viale Buoncammino ha avuto la possibilità di partecipare a una lotteria gratuita. In palio c’erano tre quadri dell’artista Alberto Montanucci, il cui padre Giulio gestisce una galleria d’arte a Orvieto. “Molte persone”, rivela Alessandra Bertocchi, coordinatrice del comitato “Oltre il Carcere”, “si sono limitate a donare senza accettare il biglietto della lotteria. Tuttavia, a beneficio di chi ha partecipato, comunichiamo che i tagliandi estratti sono quelli recanti i numeri 26, 43 e 47”. Per ritirare il premio i vincitori possono telefonare al numero di cellulare 328/3188014. Tolmezzo (Ud): un’inchiesta sulle botte in carcere, dopo la lettera dei detenuti alla Procura Il Gazzettino, 19 agosto 2010 Pestaggio con secondini che manganellano un ragazzo e poi lo imbottiscono di psicofarmaci o semplice intervento delle guardie carcerarie per riportare l’ordine in sezione? Le versioni sui fatti accaduti venerdì 13 agosto, tra le mura della casa circondariale di Tolmezzo, fornite dai detenuti e dal carcere divergono una dall’altra. Sarà quindi con ogni probabilità un’inchiesta della Procura del capoluogo carnico a fare chiarezza sulla vicenda. Il 15 agosto, dopo quello che definiscono “l’ennesimo pestaggio avvenuto nelle carceri italiane” dopo i casi Lonzi, Cucchi e Frapporti, alcuni detenuti di Tolmezzo prendono in mano carta e penna e scrivono una lettera aperta di denuncia sulla difficile situazione carceraria italiana. “Denunciamo quello che, ancora una volta, è successo venerdì 13 agosto proprio qui a Tolmezzo, dove un ragazzo, M.F., è stato picchiato con tanto di manganelli nella sezione infermeria - si legge. Se come per altre volte i protagonisti dell’aggressione erano, tra gli altri, graduati ormai noti ai detenuti per le loro provocazioni, l’altra costante è stata la completa assenza del comandante delle guardie e della direttrice dell’istituto. La nostra situazione è fin troppo pesante per accettare la sottomissione fisica dopo quella psicologica. Per noi tacere oggi potrebbe voler dire ricevere bastonate domani se non fare la fine dei vari Stefano o Marcello domani l’altro”. Dichiarazioni sulla vicenda, la direttrice del carcere non le rilascia. Ma la versione che arriva dal penitenziario tolmezzino è completamente diversa; conferma una colluttazione e nega invece qualsiasi pestaggio. L’intervento delle guardie, quel giorno, si sarebbe in pratica reso necessario per riportare l’ordine in sezione dopo che un detenuto aveva dato in escandescenze. E una segnalazione alla Procura è partita proprio dalla casa circondariale, nei confronti di qualche detenuto, ipotizzando la violenza a pubblico ufficiale. Gli atti sono arrivati al pubblico ministero Olivotto che ora disporrà alcuni accertamenti di riscontro. Denunce formali da parte dei detenuti, invece, non sono partite. Trento: il nuovo carcere pronto a ottobre, ma per aprirlo servono almeno 90 agenti in più Trentino, 19 agosto 2010 In via Pilati si scoppia, con 145 detenuti per 60 posti. A Spini di Gardolo, intanto, il nuovo carcere costato alla Provincia 112 milioni di euro è pronto da luglio, ma è ancora chiuso. Per il Ministero “mancano agenti”. Ma in Trentino si spera di aprire a ottobre. Il nuovo carcere di Spini di Gardolo è pronto dai primi di luglio. Una struttura all’avanguardia, che può accogliere 244 detenuti (204 uomini e 20 donne) in ambienti tecnologici. Alla Provincia di Trento è costato 112 milioni di euro, ma attualmente è ancora chiuso perché il Ministero della Giustizia non ha abbastanza agenti di polizia penitenziaria a disposizione. Secondo Roma ne servirebbero 350. Per la Provincia ne sarebbero necessari un centinaio di meno. Attualmente, tra Trento e Rovereto, ce ne sono 162. Dalla capitale, insomma, dovrebbero arrivare almeno 90 agenti. Al momento, però, è tutto bloccato. Ed il nuovissimo carcere di Spini resta un contenitore vuoto, mentre in via Pilati la situazione è di totale emergenza, con 145 detenuti dove dovrebbero essercene 60. Una vicenda tipicamente italiana che non va giù alla Provincia. L’assessore Alberto Pacher è pronto a chiedere un intervento per risolvere la situazione. Assessore, per la Provincia quando si potrebbe entrare nel nuovo carcere? Per quanto ci riguarda è praticamente pronto. Si potrebbe entrare in un paio di mesi, ad ottobre... Per Roma, però, non ci sono abbastanza agenti di polizia penitenziaria. Siamo sbalorditi dai numeri che sono stati fatti. Trecentocinquanta agenti mi sembrano un’enormità. La gestione spetta a Roma, ma penso ne possano bastare meno anche perché la struttura è stata creata con sistemi tecnologici (come l’apertura delle celle e le 283 telecamere interne, ndr) anche per avere meno agenti. Avete intenzione di fare pressing sul Ministero? Faremo tutto quello che è possibile affinché si possa aprire al più presto. Siamo pronti ad usare i rapporti istituzionali tra la Provincia ed il governo, ma è importante che anche la delegazione di parlamentari trentini faccia pressioni ad ogni livello. Quella struttura non può restare chiusa: va vissuta perché altrimenti avrebbe dei costi di gestione comunque elevati. Anche perché il carcere di via Pilati è inadeguato. Era inadeguato già all’inizio degli anni Ottanta, quando vi lavoravo per il Sert, figuriamoci adesso. Sarebbe inadeguato anche se il numero di detenuti fosse quello previsto: è una struttura vecchia che va lasciata al più presto. La Provincia, però, deve per forza attendere le decisioni di Roma? Sì, sulla gestione delle carceri l’autonomia può ben poco. In ogni caso, si potrebbe decidere di aprirne intanto una parte. La struttura può essere utilizzata modularmente. A Spini verrebbe trasferito anche il carcere di Rovereto? Anche questa decisione spetta a Roma, ma credo che sia improponibile mantenere aperte due strutture. È bene che il carcere di Spini possa ospitare tutti i detenuti della provincia. È un carcere moderno non solo nella struttura, ma anche nell’approccio coi detenuti. È così? Certo. È giusto che vi sia una dimensione punitiva della pena, ma è altrettanto importante che il carcere dia un’opportunità per la riabilitazione ed il reinserimento dei detenuti. A Spini ci sono le condizioni e gli spazi perché sia così. Ora bisogna solo entrarci al più presto. Firenze: i tagli del Governo lasciano senza insegnanti la scuola media dell’Ipm Provincia di Firenze, 19 agosto 2010 Continuano i danni prodotti alla scuola pubblica dal Ministro della Pubblica Istruzione. Dai tagli effettuati sugli organici per l’apertura del nuovo anno scolastico, si aggiungano altri che sono ancora più drammatici. Questo è quanto accadrà all’Istituto penale minorile Meucci, nel quale attualmente risiedono ventuno ragazzi detenuti. I dispositivi predisposti dal Ministro Gelmini comporteranno l’interruzione di un complesso e articolato percorso di apprendimento e di reinserimento sociale e culturale. Nel merito si attacca la scuola, la qualità dell’offerta formativa e soprattutto si mette in crisi il diritto costituzionale all’istruzione. Fino all’anno scorso l’insegnamento era garantito dal una convenzione con il centro territoriale di Bagno a Ripoli che dal punto di vista logistico fa capo alla Città Futura Pestalozzi, ora i tagli del Governo mettono in pericolo la continuità di questo servizio. Dopo aver eliminato il tempo pieno il Governo di centro destra continua la sua opera che mira a restaurare un modello culturale affine all’organizzazione sociale della scuola degli anni ‘50. La pericolosità di questa operazione viene denunciata dall’Assessore alla Pubblica Istruzione della Provincia di Firenze. Il quale con un passaggio che condividiamo pienamente dichiara: “Proprio oggi che si parla così spesso di riconoscimento e merito, anziché togliere questi corsi, dovremmo potenziarli e portarli ad esempio. È inaccettabile un taglio netto di queste esperienze. Ed è inaccettabile la motivazione. Tutto questo avviene perché si sta affermando un’idea meramente ragionieristica dell’istruzione, della formazione e della cultura”. Indicative sono le dichiarazioni fatte dalla Flc-Cgil la quale ha ricordato il valore significativo dei percorsi formativi fatti all’interno del carcere e i suoi risvolti sociali e culturali su un utenza debole, che ancora di più ha bisogno di difendere il diritto all’istruzione, oltre alla possibilità di contribuire ad un effettivo reinserimento nella società. Già il 3 Maggio 2010 il nostro gruppo con un Interrogazione sugli effetti dei tagli sui servizi scolastici della Provincia di Firenze, aveva richiesto interventi di merito dell’Amministrazione Provinciale su questo delicato tema. Infatti si evidenziavano gli effetti prodotti della seconda tranche dei tagli alla scuola che risultano dagli stampati negli allegati alla circolare 37 che il Ministero ha consegnato agli Uffici scolastici Regionali e Provinciali. La scure non avrebbe risparmiato neppure custodi, segretari e tecnici. La riduzione delle ore di prestazioni attinenti alla vigilanza e alla pulizia rischiava di complicare il mantenimento degli orari di accesso degli istituti scolastici, in un momento in cui sempre più famiglie, per motivi di lavoro, chiedono l’attivazione di percorsi con orario continuato. Ciò premesso gli scriventi Consiglieri Provinciali nel dichiarare il loro impegno a difendere la scuola pubblica, l’istruzione, la formazione, e la cultura dagli effetti devastanti della controriforma Gelmini chiedono al Presidente della provincia ed all’Assessore competente di riferire sui tagli alla scuola media dell’Istituto penale minorile Meucci di Firenze, cosa intende fare l’Amministrazione Provinciale per mantenere questa esperienza. Altresì chiediamo di sapere se è stato aperto un confronto sindacale anche sulle materie sopra evidenziate che riguardano la copertura degli organici, del personale docente , non docente e di sostegno. Infine chiediamo di sapere quale è lo stato dei servizi scolastici attualmente erogato nella provincia di Firenze. Gela (Cl): Apprendi (Pd); dopo 26 anni di lavori, nuovo carcere ancora “da completare”?! La Sicilia, 19 agosto 2010 Mancano gli ultimi “ritocchi” ed il carcere di Gela potrà aprire i battenti. Una storia vecchia, quella del carcere di Gela per la cui realizzazione ci sono voluti ben 26 anni e, nonostante il tempo trascorso la città continua a rimanere “al palo” nell’attesa che il carcere apra i battenti. La struttura, quasi ultimata, necessita di pochi interventi: per renderla fruibile devono essere portati avanti alcuni lavori che riguardano l’esterno dell’edificio e l’impiantistica interna. Piccoli lavori per una struttura già inaugurata nel novembre del 2007 fa dall’allora Guardasigilli Clemente Mastella, oggi sorvegliata costantemente allo scopo di scongiurare il pericolo che vandali e malintenzionati vi possano puntare gli occhi e danneggiarla. Per accelerare l’iter del suo completamento non si esclude un intervento da parte del Ministro di Grazia e Giustizia Angelino Alfano. Il completamente del carcere di Gela - seppur dotato di pochi posti - rappresenterebbe una boccata d’ossigeno alla popolazione carceraria costretta a vivere come sardine in strutture carcerarie superaffollate. Una questione spinosa, quella del sovraffollamento delle carceri che colpisce non soli i detenuti, ma gli agenti di polizia penitenziaria, psicologi ed educatori costretti a lavorare in condizioni offlimits. L’appello al Guardasigilli Alfano, giunge dal vicepresidente della commissione Attività produttive all’Ars Pino Apprendi, impegnato in questi giorni in una serie di visite nelle strutture carcerarie dell’Isola, comprese quelle ancora chiuse e non assegnate all’amministrazione penitenziaria. E sul “caso” di Gela si chiedono interventi celeri affinché il suo carcere possa essere ultimato in tempi brevissimi e non continui a rimanere una cattedrale nel deserto. Dotato di 48 celle che possono ospitare singolarmente due detenuti, ad oggi, il carcere di Gela paradossalmente, continua a restare chiuso. E sol perché necessita degli ultimi ritocchi per l’adeguamento ed il completamento dei sistemi di sicurezza necessari per la sua fruizione. Milano: il presidente della Provincia; città più verde, con l’aiuto dei detenuti Ansa, 19 agosto 2010 Impiegare i detenuti per migliorare l’ambiente urbano piantando alberi e arbusti. Questa la proposta del Presidente della Provincia di Milano Guido Podestà, che darebbe così seguito in scala più ampia al progetto messo in atto a Vanzago, Oasi del WWF, dove detenuti in permesso premio o autorizzati al servizio esterno hanno affiancato gli operatori del WWF nei lavori di sfalcio del sottobosco e nella manutenzione degli habitat dell’oasi in una “Giornata della restituzione” scattata a Ferragosto. I detenuti, un centinaio in tutto, provenivano in maggioranza dal carcere di Bollate (che ha da tempo in atto progetti di reinserimento lavorativo nel verde) ma alcuni anche dagli istituti di pena di Opera, Vigevano, Cremona e Monza. “Di fronte a - carceri terribilmente sovraffollate nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e rischi e, di certo, non si rieduca - descritte dal capo dello Stato Giorgio Napolitano, c’è davvero da chiedersi se l’Italia sia ancora il Paese di Cesare Beccaria” - ha argomentato il presidente Podestà: “Pure il contatto con la Natura aiuta, del resto, a sensibilizzare i detenuti sulla necessità di impegnarsi in attività utili alla comunità danneggiata nell’atto di consumare reati. E serve, al contempo, a ribadire davanti a quella stessa comunità che le persone in esecuzione penale vogliono ristabilire il legame sociale interrotto. Proprio in quest’ottica, nelle prossime settimane proporremo all’Amministrazione penitenziaria di coinvolgere, adottando tutte le misure di sicurezza del caso, un certo numero di detenuti nel Piano di riforestazione del territorio da un milione di alberi varato dalla Provincia di Milano”. Fossombrone (Pu): Sdr; niente permesso ad ergastolano Annino Mele per visitare madre Agi, 19 agosto 2010 Nuovo rigetto ad Annino Mele di un permesso per abbracciare l’anziana madre impossibilitata per gravi motivi di salute e per età ad incontrare il figlio detenuto a Fossombrone. Lo rende noto l’associazione “Socialismo Diritti Riforme”. L’ergastolano sardo, - si legge in una nota - in carcere dal 1987 che, in base alla legge potrebbe usufruire di un permesso premio, non vede la congiunta da oltre dieci anni. Nell’ultimo decreto di reiezione del Tribunale di Sorveglianza di Ancona relativo all’articolo 30 della legge sull’ordinamento penitenziario che disciplina i cosiddetti “permessi di necessità“ si precisa che in base alla relazione sanitaria l’anziana donna “seppur affetta da varie patologie non versa in imminente pericolo di vita”. “Non vorrei andare a trovare mia madre morente - ha scritto Annino Mele all’associazione - vorrei continuare a immaginarla così com’è lucida e arzilla. Mia madre ha gli anni che ha, non è per niente in grado di poter affrontare alcun genere di viaggio. Nessun medico sosterrebbe il contrario. Un congiunto può trovarsi in condizione di paralisi, costretto a letto o in carrozzella. Questo non basta per autorizzare un detenuto a rendergli visita? O bisogna per forza parlare di morte? Cos’altro aggiungere? Non sono l’eccezione. Il diniego ai permessi attraverso questo articolo è applicato per la maggior parte dei detenuti. Spetta infatti al Magistrato di turno decidere per simpatia o altro chi mandare e chi no a visitare un proprio congiunto malato. In diversi casi vengono concessi permessi con la scorta anche se il familiare non si trova in imminente pericolo di vita. Vorrei però dire che non possono esserci discriminazioni sui rapporti familiari. Un magistrato non deve giocare su questo e comunque sarebbe ora che venisse modificata questa norma. È un articolo macabro”. “È evidente - sostiene Maria Grazia Caligaris, presidente di SdR - la difficile applicazione della norma che lascia totale discrezionalità ai Magistrati, dopo un accertamento attraverso il servizio sanitario delle condizioni di salute del congiunto del detenuto, di concedere o meno il beneficio. Il Magistrato deve quindi assumersi la responsabilità di un permesso prima che il parente abbia esalato l’ultimo respiro altrimenti la necessità cessa e subentra un altro comma dello stesso articolo. L’aspetto controverso appare ancora più evidente se si considera che il 30ter della stessa legge consente al magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell’istituto, di concedere permessi premio ai condannati con regolare condotta e non socialmente pericolosi. Permessi della durata non superiore ogni volta a quindici giorni per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro. Ma dopo quanto tempo in stato di detenzione un cittadino può essere definito non pericoloso socialmente. Insomma se dopo oltre vent’anni di reclusione un cittadino privato della libertà è ritenuto ancora pericoloso vuol dire che il sistema italiano - conclude Caligaris - deve essere rivisto e ripensato altrimenti è davvero solo un luogo in cui si emarginano i problemi sociali”. Asti: tentativo di evasione e protesta dei detenuti, che si rifiutano di rientrare in cella Ansa, 19 agosto 2010 Tentativo di evasione ieri mattina dal carcere di Asti, dove un detenuto in regime di alta sicurezza ha scavalcato la recinzione del campo sportivo, alta tre metri, ma ricadendo ha riportato lesioni che ne hanno consentito l’immediata cattura da parte degli agenti di polizia penitenziaria. Nel frattempo, i compagni di reparto dell’uomo hanno inscenato una protesta rifiutandosi di entrare nelle celle e aggredendo i poliziotti. A darne notizia è la segreteria generale dell’Osapp, sindacato autonomo di polizia penitenziaria. Secondo Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) le responsabilità sono da ricercarsi nell’organizzazione del sistema carcerario: “Proprio il concatenarsi di certi eventi nelle carceri, più che la mera osservazione a fini statistici - osserva - dovrebbe far riflettere molto di più il capo del Dap Ionta e il ministro Alfano riguardo ai crescenti rischi per la collettività e per gli agenti, tenuto conto che oggi, rispetto al passato, non si evade più da soli e in maniera occasionale, ma almeno in coppia e con il concreto aiuto dei restanti detenuti. È il segno, purtroppo assai preoccupante - conclude Beneduci - che in carcere oggi, rispetto al passato, il non fare niente tutto il giorno aiuta ad immaginare e organizzare meglio certe situazioni. Ancona: “una cella in piazza”, dal 21 al 23 agosto sensibilizzazione pubblica sul carcere Ristretti Orizzonti, 19 agosto 2010 La Conferenza Regionale Volontari Giustizia (Crvg) Marche in collaborazione con la Caritas Diocesana Ancona Osimo e il Comitato Carcere e Territorio del Comune di Ancona promuoveranno nei prossimi giorni ad Ancona un momento di sensibilizzazione pubblica sui temi della giustizia aderendo alla campagna di mobilitazione della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, condividendo le preoccupazioni della presidente Elisabetta Laganà e dell’intero consiglio direttivo. Fino ad oggi nelle carceri italiane circa 69.000 i detenuti contro una capienza regolamentare di 44.568 posti e un limite tollerabile di 67.772. Ad Ancona Montacuto la capienza regolamentare è di 172 posti, tollerabili 313, mentre i detenuti presenti sono 394 (dati del 13 agosto 2010). Ogni giorno si registra l’ennesimo suicidio: da inizio anno sono 41 i suicidi nelle carceri italiane (35 impiccati, 5 asfissiati col gas e 1 sgozzato), mentre il totale dei detenuti morti nel 2010, tra suicidi, malattie e cause “da accertare” arriva a 111 senza contare gli atti di autolesionismo quotidiani. A questi vanno aggiunti 4 agenti penitenziari e un dirigente d’istituto. Per sensibilizzare la cittadinanza su questi temi si svolgerà in piazza Roma, dal 21 al 23 agosto 2010, l’iniziativa “Una cella in piazza” promossa dalla Crvg con il patrocinio del Comune di Ancona. Sarà allestita una cella costruita dai detenuti di Verona per far capire alla cittadinanza la fondatezza delle preoccupazioni dei volontari, degli operatori penitenziari e delle famiglie e per indurre i politici a chiedere al governo soluzioni efficaci e tempestive per rimuovere le cause del sovraffollamento. “Condivido la preoccupazione del Crvg - afferma l’assessore alle politiche sociali Alfonso Napolitano - e per questo chiediamo al Governo di porvi rimedio al più presto. Questa iniziativa mira a sensibilizzare tutti i cittadini su una questione che non riguarda solamente coloro che sono impegnati nel “sistema giustizia”. Quanto sta accadendo va ben oltre e lede anche i diritti umani ed il rispetto della persona”. Immigrazione: dai Cie ancora una fuga di massa, la quarta in meno di cinque giorni Avvenire, 19 agosto 2010 Ancora una fuga di massa. La quarta in meno di cinque giorni. Dopo Milano, Gorizia e Brindisi, stavolta una ventina di immigrati irregolari sono riusciti a eludere la sorveglianza del Centro di identificazione e espulsione “Serraino-Vulpitta” di Trapani. Sette fuggiaschi sono stati arrestati dalle forze dell’ordine che continuano le ricerche di una quindicina di altri immigrati ancora mancanti all’appello. La posizione di un altro straniero, che è stato pure ripreso, è al vaglio del magistrato ma ancora non ci sono provvedimenti a suo carico. Per riuscire a fuggire i migranti sono riusciti a segare le sbarre della finestra di una camerata, da cui si sono poi calati all’esterno della struttura di permanenza. Ci sono stati momenti concitati. Due cittadini extracomunitari, nel tentativo di accelerare l’evasione sono precipitati al suolo e nella caduta hanno subito diverse fratture. Sono ora ricoverati nell’ospedale Sant’Antonio Abate di Trapani in condizioni non gravi. Gli arrestati devono rispondere di danneggiamento di beni dello Stato, per aver scassinato la finestra e le porte del corridoio che vi conduce. Lunedì un tentativo di fuga c’era stato anche a Cagliari. Protagonisti otto extracomunitari che hanno forzato una finestra al primo piano del centro, ma sono stati bloccati dalle forze dell’ordine. L’intervento degli agenti ha provocato una rivolta conclusasi con il danneggiamento di arredi, porte e finestre. Nel capoluogo sardo attualmente sono stati accompagnati un centinaio di immigrati irregolari giunti in Sardegna nelle ultime settimane con alcune barche provenienti dal Nord Africa. “Il periodo estivo è ogni anno quello in cui si registrano i maggiori tentatavi di fuga o di fuga realizzata. E l’esito di una tensione che deriva dalle caratteristiche della struttura”. Così il sottosegretario degli Interni, Alfredo Mantovano, ha commentato i fatti di Trapani. Per alleggerire le strutture esistenti Mantovano ha ribadito che altri Centri di identificazione saranno aperti in altre città d’Italia. “L’obiettivo -ha spiegato Mantovano - è di aprire in qualche mese dei Cie anche in regioni densamente popolate come la Campania, il Veneto, la Toscana e il Piemonte dove fino a questo momento non è stato possibile”. Dal primo gennaio di quest’anno sono circa 9.300 i clandestini che passando attraverso i Cie sono stati riaccompagnati nei paesi di origine. “Il che dimostra - ribadisce il sottosegretario - l’efficacia del meccanismo dell’espulsione. Inoltre i Cie italiani hanno i migliori standard europei in termini di qualità e di vivibilità. Basta pensare a quello che è accaduto in Francia a Calais o nelle enclave spagnole di Ceuta e Melilla per capirlo”. La polemica politica su questo fronte rimane aspra. “Siamo ai soliti annunci, non è la prima volta che si parla di costruire nuovi Cie ma poi nulla”, afferma la deputata del Pd Livia Turco, responsabile Immigrazione del partito. “Piuttosto - continua Turco -, colpisce quello che il governo non dice più: cioè, a che punto sono gli accordi bilaterali con gli altri Paesi e la programmazione dei flussi. Su questi temi c’è il totale silenzio”. A confermare che le fughe siano incentivate dal sovraffollamento è anche Felice Romano, segretario generale del sindacato ai Polizia Siulp. “Purtroppo rispetto alle intenzioni preannunciate dal governo di costruire un Cie per regione - lamenta Romano -, l’obiettivo non è stato raggiunto: i pochi centri esistenti sono troppo pieni”. Immigrazione: Fiano (Pd) il Governo la gestisce solo con annunci Italpress, 19 agosto 2010 “L’annuncio del sottosegretario Mantovano di oggi sulla costruzione di nuove Cie non è il primo e non sarà l’ultimo. Per adesso mancano però gli atti. Di annunci ne abbiamo già sentiti molti”. Lo dice Emanuele Fiano, presidente forum Sicurezza del Partito Democratico. “Per altro notiamo che la Lombardia è assente nell’elenco stilato oggi dal sottosegretario Mantovano, nonostante che Milano due giorni fa si sia registrato un episodio di rivolta con ferimento di immigrati e agenti delle forze di polizia. Sulla necessità o meno di un nuovo Cie in Lombardia, il sottosegretario Mantovano farebbe meglio a mettersi d’accordo con il collega di partito e vice-sindaco di Milano De Corato, che da anni chiede la costruzione di un nuovo centro nei pressi di Malpensa. Rimane il fatto - prosegue - che i Cie sono diventati oggi luoghi dove la permanenza degli immigrati arriva fino a sei mesi e dove, contemporaneamente, si è modificata nel tempo la provenienza dei clandestini, oggi spesso ex-detenuti nei carceri italiani in attesa di essere rimpatriati; questo ha di fatto tramutato queste strutture in un istituti para-carcerari, senza che essi ne abbiamo le caratteristiche necessarie. Se la risposta del governo ai problemi e alle rivolte che si moltiplicano nei Cie sarà unicamente l’annuncio di costruirne di nuovi, è molto probabile che in futuro saremo costretti a commentare di nuovo rivolte, violenze e fughe”. Filippine: la polizia accusata di torturare un detenuto, le prove in un video Ansa, 19 agosto 2010 Un video trasmesso da una tv locale mostra le torture selvagge inflitte a un sospettato in custodia. Il colpevole sarebbe già stato individuato ma il governo ha aperto un’inchiesta per accertare ulteriori responsabilità. Un canale televisivo filippino ha trasmesso ieri un video registrato con un cellulare che mostra alcuni agenti di polizia torturare un uomo. L’uomo, probabilmente fermato perché sospettato di aver compiuto un furto, è nudo sul pavimento, mentre un poliziotto in borghese lo picchia e tira con violenza una corda legata ai suoi genitali. Le accuse di torture alla polizia non sono una novità nelle Filippine, ma raramente sono state mostrate con questa evidenza. Il capo della polizia nazionale Jesus Verzosa ha definito la violenza “disgustosa”. Il poliziotto ritenuto responsabile delle torture è stato sollevato dal suo incarico e sarà processato: rischia di essere condannato a quarant’anni di carcere. Tutti gli agenti della stazione di polizia coinvolta sono stati sospesi e rimpiazzati, e il governo ha aperto un’inchiesta. “Proveremo a risolvere questa vicenda il prima possibile. Non ci metteremo più di un mese”, ha detto alla Cnn il capo della polizia di Manila. Il video è stato inviato anonimamente alla tv locale che lo ha poi mandato in onda. Non è noto che fine abbia fatto la persona torturata, anche se diversi a Manila sostengono che sia morto a causa delle torture subite dalla polizia. Il video è quello che segue, ed è ovviamente oltremodo violento e brutale.