Giustizia: le visite parlamentari nei gironi infernali, sovraffollati, sporchi e senza soldi Agenzia Radicale, 14 agosto 2010 Situazioni spesso inumane nelle carceri italiane. Per sovraffollamento, sporcizia, diritti umani che non vengono rispettati, mancanza di soldi delle strutture stesse. Il quadro che parlamentari e consiglieri regionali hanno iniziato a vedere da oggi visitando le prigioni è - come si prevedeva - a dire poco desolante. A Sassari nel carcere di San Sebastiano i detenuti da più di un mese non hanno nemmeno la carta igienica. All’Ucciardone di Palermo - con 700 reclusi, 300 in più del previsto - l’acqua calda è un sogno e nelle casse di questa struttura ottocentesca ormai fatiscente, sono rimasti appena 200 euro che devono bastare sino alla fine dell’anno. Mentre a Lucca per i 251 detenuti (100 in più rispetto alla capienza massima), 98 dei quali tossicodipendenti e 50 con problemi psichiatrici, non è prevista alcuna attività (palestra e biblioteca sono inagibili) e la vita si svolge in celle dove ognuno ha meno di tre metri quadri, la soglia stabilita dalla Corte europea per i diritti umani sotto la quale il trattamento è inumano. Situazioni comuni a tante altre realtà, che rivelano il livello di emergenza raggiunto nei penitenziari italiani e che oggi sono state toccate con mano dai parlamentari e dai consiglieri regionali che hanno aderito a “Ferragosto in carcere”, l’iniziativa di sensibilizzazione promossa dai Radicali e sostenuta da rappresentanti di tutte le forze politiche. Si tratta di tre giornate, a partire da oggi, di visite ispettive, nella quasi totalità dei 216 istituti sparsi sul territorio nazionale e alle quali partecipano più di 200 tra deputati, senatori, europarlamentari e consiglieri regionali, garanti per i diritti delle persone private della libertà e magistrati. Mai sinora le carceri sono state così affollate: i detenuti sono 68.206 in istituti pensati per contenere circa 45 mila reclusi; 41 i suicidi dall’inizio dell’anno, a cui si aggiungono i quattro di agenti della polizia penitenziaria, il cui organico non è mai stato così ristretto come oggi. È un “delitto”, un “crimine da Corte penale internazionale” quello che compie lo Stato italiano per le condizioni in cui fa vivere i detenuti nelle carceri, dichiara il leader dei Radicali Marco Pannella che oggi con Marco Cappato e il deputato del Pd Antonio Rugghia ha visitato il carcere romano di Regina Coeli, dove in spazi pensati per 724 detenuti sono ristretti in 1.400. E mentre i sindacati della polizia penitenziaria chiedono di puntare sul lavoro per il recupero dei detenuti, e in particolare l’Osapp suggerisce di rendere obbligatorio per le aziende che prendono contributi pubblici garantire “un’aliquota di impiego ai condannati”, il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria fa sapere che a Ferragosto 85 detenuti saranno impegnati in attività di tutela ambientale a Palermo, Roma e Milano. Giustizia: a Ferragosto le carceri si aprono… ai democraticamente eletti di Dina Galano Terra, 14 agosto 2010 Le carceri si aprono ai democraticamente eletti. Sono oltre duecento i politici europarlamentari, nazionali e regionali che hanno firmato l’appello dei Radicali, apprestandosi ad andare in visita in un istituto penitenziario. Magari quello appartenuto al proprio bacino elettorale, oppure vicino al luogo prescelto per le vacanze. La pausa estiva, per il secondo anno consecutivo, è intramezzata dall’esperienza del “Ferragosto in carcere”, l’iniziativa che approfittando della sospensione dei lavori dell’Aula permette ai rappresentanti del popolo di andare a toccare con mano le disperate condizioni di chi è recluso nei penitenziari italiani. Quotidianamente denunciate, esemplificate dai numeri del sovraffollamento e delle emergenze: quasi 70mila reclusi e 112 morti dall’inizio dell’anno. L’hanno già rinominata “la passerella dei politici”, ma si tratta di una ricognizione ispettiva che vuole essere un primo atto per prese di posizione ulteriori. Nel 2009 l’impatto con il carcere - per molti politici è stata la prima esperienza - ha avuto come effetto la presentazione di molte interrogazioni parlamentari sulla situazione dei penitenziari. Quest’anno, ad emergenza conclamata, l’obiettivo è arrivare a concrete misure in grado di defaticare il sistema carcere. Associazioni e operatori hanno approntato moduli di compilazione in cui saranno inseriti, oltre ai dati sensibili dei singoli detenuti, anche una fitta serie di informazioni riguardanti le strutture e il personale in servizio. La radiografia, promettono da “Il detenuto ignoto”, confluirà in un dossier “che invieremo al Comitato Onu contro la tortura. Tutto ciò che esorbita dai canoni della legalità sarà segnalato alla giurisdizione competente affinché sia messa fine all’inerzia legislativa”. Troppi infatti i progetti di legge lasciati alla deriva o svuotati di efficacia: dal piano straordinario per l’edilizia penitenziaria che in un anno e mezzo ancora non ha visto posata la prima pietra, al decreto Alfano sulla detenzione domiciliare la cui approvazione è slittata nei mesi. Intanto, avvertono i Radicali, si continua a “morire di carcere” e le condizioni sono ancora peggiori di quelle, da record, registrate lo scorso anno. Dove il sovraffollamento aveva portato i letti a castello in celle tarate per due - tre persone al massimo, oggi si è arrivati al terzo piano. Le condizioni igieniche sono precarie in molti istituti: sifilide e scabbia non sono poi malattie così rare. Piove nelle celle dove si fa a turno per stare in piedi. Qua e là crollano i cornicioni mentre alcuni bracci sono interdetti per inagibilità. Poggioreale a Napoli, San Vittore a Milano, San Sebastiano a Sassari, il Gazzi di Messina sono soltanto alcuni esempi di una trasversale emergenza. Che sarà oggetto di “un attento monitoraggio”, spiega Rita Bernardini, capofila nella battaglia per la dignità dei reclusi e prima sostenitrice dell’iniziativa ferragostana. Che precisa: “Non si tratta di una visita simbolica, bensì di qualcosa di molto serio previsto, tra l’altro, dall’articolo 67 dell’ordinamento penitenziario. Spetterà poi alla sensibilità del singolo deputato decidere come reagire”. Giustizia: Ferragosto nei penitenziari, tra onorevoli dichiarazioni e umanissime attese di Giuseppe Anzani Avvenire, 14 agosto 2010 Visitare i carcerati è un’opera di misericordia, e compierla è virtù. Può darsi che si sentano virtuosi i parlamentari che oggi, vigilia di Ferragosto, visitano le carceri italiane, e quelli che lo faranno domani, secondo programma. Saranno in tanti, forse più di duecento, i politici illustri in visita. E vedranno cose che, come sappiamo già tutti, li faranno trasecolare; e poi diranno parole assennate e gravi che, come sappiamo già tutti, denunceranno il disastro carcerario: i 68mila reclusi ammassati in spazi disumani, i 40 suicidi in sette mesi, le strutture fatiscenti, il personale di custodia sotto organico. E forse, quelli un po’ più sensibili ai problemi delle persone che ai guai delle strutture, diranno qualcosa anche per gli arrestati presunti innocenti in attesa di giudizio quando il giudizio non arriva, per la schiera infinita dei tossicodipendenti, per i malati di epatite e di Hiv, per i segnati da disturbi mentali, e insomma per quest’aria di disperazione infinita che sempre più si va respirando nelle carceri italiane. Lo diranno e saranno commossi. Noi a queste parole staremo attenti, perché le troviamo giuste, e lo diciamo senza ironia. Ma staremo attenti soprattutto al succo dell’incontro, al finale del discorso: se ci sarà o se mancherà un proposito, una promessa concreta, se ci sarà o se mancherà una decisione “politica” per i giorni a venire. Perché il disastro carcerario è anche frutto di una sciagurata insipienza di cui essi devono sentire il peso. Anche a Ferragosto dell’anno scorso vennero in 167 a visitare le carceri, videro cose, dissero parole. S’indignarono, si capisce. Non ricordo che cosa promisero. Dopo un anno quel che è cambiato è cambiato in peggio. Quel che è successo in mezzo è la dichiarazione dello stato di emergenza, una scoperta, o un’autocertificazione di fallimento, del passato gennaio. Oggi dovrebbe dichiararsi l’emergenza aggravata, se servisse a qualcosa dichiarare anziché risolvere (mestiere per il quale politici e governanti sono eletti e pagati). Noi vorremmo che l’incontro dei politici con il pianeta carcere, stavolta, facesse capire non per un giorno ma una volta per tutte che il solo modello penitenziario che può prenotare speranza, oltre che riprendere dignità, è quello che si misura con il percorso di emenda dei condannati. Quanto remota a questo concetto è la visione della violenza massiva sui corpi e sulla psiche. Dice un direttore di carcere che “nelle celle vedo solo sguardi di gente disperata”. Questo è il punto. Questo è il punto dal quale prende avvio, in quotidiana e silenziosa fedeltà, un volontariato di assistenza carceraria che conta ormai più di diecimila persone. Non arruolate per Ferragosto, o per qualche virtuosa passerella o intervista, ma per tutto l’anno; dentro uno stile di vita, dentro la sola ragione di dare conforto a chi soffre. A Ferragosto si potrebbe dar loro qualche visibilità, anche se loro non vogliono, anche se loro non ci tengono. Sono loro, in fondo, l’anello che tiene congiunti i reclusi con il mondo degli affetti umani solidali e non ne fa degli espulsi. Molti, fra loro, sono animati da una fede religiosa. E fanno pensare al radicale problema che investiga il senso della pena alla luce del bisogno ultimo di pacificazione e di riconciliazione. Nella stessa quotidianità si iscrive il ministero dei cappellani delle carceri, costruttori di speranza, dentro le storie devastate di rimorso o di straniamento, per dare certezza che esistono braccia di perdono e di rinascita, sempre. Se leggi, strutture, politica, governo prendessero lezione da questa umile sapienza. Giustizia: Ferragosto tra le sbarre… perché nessuno debba più “morire di carcere” di Valter Vecellio Europa, 14 agosto 2010 Due numeri: 40 e 110. Quaranta sono i detenuti che si sono tolti la vita, 110 sono invece i detenuti che sono morti nel 2010. Il primo di questi 40 si chiamava Pierpaolo, aveva 39 anni. Se n’è andato il 2 gennaio, dal carcere di Altamura, per togliersi la vita ha scelto di annusare il contenuto di una bomboletta usata per cucinare, il gas gli ha consentito di farla finita senza soffrire. Al numero 29 corrispondeva un altro detenuto, si chiamava Alessandro: aveva 34 anni, arrestato per rapina, si è ucciso il 6 giugno, doveva scontare solo un anno e mezzo di carcere, che evidentemente gli sono sembrati più insopportabili della morte. È una strage quella che si consuma nelle nostre carceri. Nel 2000 61 suicidi, 165 detenuti morti. Nel 2001 69 suicidi, 177 decessi. Nel 2002 52 suicidi, 160 decessi. Nel 2003 57 suicidi, 157 decessi. Nel 2004 52 suicidi, 156 decessi. Nel 2005 57 suicidi, 172 decessi. Nel 2006 50 suicidi, 134 decessi. Nel 2007 45 suicidi, 123 decessi. Nel 2008 46 suicidi, 142 decessi. Nel 2009 69 suicidi, 172 decessi. In dieci anni, 594 suicidi, 1.702 decessi. Ognuno di questi numeri corrisponde a una persona. Era una persona il tredicesimo suicida di quest’anno, si chiamava Giuseppe: 35 anni, detenuto a Padova, si è impiccato con un lenzuolo. Del suicidio numero otto conosciamo solo le iniziali, e che era un tunisino, 27 anni, in carcere per spaccio. Si è impiccato anche lui. La catastrofe, lo sfacelo carcerario italiano non sta solo in queste cifre. Ci sono le decine di tentati suicidi sventati dagli agenti della polizia penitenziaria, il centinaio di agenti aggrediti e feriti più o meno gravemente; i suicidi tra gli stessi agenti della polizia penitenziaria. Una catastrofe e uno sfacelo alla faccia di Cesare Beccaria e della nostra Costituzione. “Se stanno in carcere, un motivo ci deve essere”, si sente dire spesso in giro. Abdelkija Mahroui, un marocchino con regolare permesso di soggiorno e di lavoro dal 1995, è stato arrestato nel febbraio del 2009, con l’accusa di stupro. Dieci mesi di carcere, poi l’assoluzione: non era lui. Si presenta in questura, per rinnovare il permesso di soggiorno, scaduto. Gli viene invece notificato il decreto di espulsione, perché non ha un lavoro. Non ha un lavoro perché dopo l’arresto lo hanno licenziato. Arresto e detenzione ingiusti, accusa infondata, lavoro perso, espulsione...Non è un caso limite; sui circa 70mila detenuti, la metà è in attesa di giudizio, e migliaia verranno dichiarati innocenti, prosciolti come Mahroui. Di quei 40 che quest’anno si sono tolti la vita, dei 594 suicidi di questi ultimi dieci anni, non sappiamo quanti erano in attesa di giudizio, quanti innocenti; ma innocenti o colpevoli che fossero, lo stato era responsabile della loro incolumità fisica e psichica. Per ognuna di queste morti è stata presentata un’interrogazione. Sarebbe prova di sensibilità istituzionale, umana e cristiana se dal ministero della giustizia giungesse una risposta. Invece sempre e solo silenzio. Anche per questo è importante e necessaria l’iniziativa del Ferragosto radicale e nonviolento in carcere. Giustizia: Cei; la Chiesa è vicina ai detenuti, ben venga l’iniziativa dei Radicali Asca, 14 agosto 2010 “Ben venga” l’iniziativa dei radicali per portare i parlamentari in visita nelle carceri nel giorno di Ferragosto. A dirlo, in una dichiarazione resa al Foglio, è il portavoce della Cei, don Domenico Pompili, rispondendo alla lettera inviata qualche giorno fa da Marco Pannella al presidente dei vescovi, card. Angelo Bagnasco, per chiedergli di invitare i vescovi italiani a visitare anche loro le carceri, sfruttando una prerogativa loro concessa dalla legge. “L’iniziativa che vede i parlamentari italiani visitare le carceri nei giorni di Ferragosto - risponde don Pompili - è senz’altro un gesto concreto per dare rilievo a una condizione che oggi presenta particolari urgenze, come dimostra l’alto numero di suicidi che si sono susseguiti dall’inizio dell’anno. Ben venga, quindi, l’iniziativa”. “La Chiesa - ricorda il portavoce della Cei - è vicina ai detenuti tutti i giorni, con i suoi cappellani che assistono chi cerca di ricominciare a vivere e anche con i singoli vescovi che più volte l’anno visitano i carcerati. La comunità cristiana, infatti, non giudica ma sta accanto a chiunque soffra”. Don Pompili, in conclusione, ricorda la “recente visita del Santo Padre al carcere di Sulmona”, che” è solo l’ultimo atto, in ordine di tempo, che dimostra su questo tema la sollecitudine della Chiesa. La quale annuncia che solo Gesù Cristo dà la vera liberta”‘. Giustizia: l’imprevedibile alleanza tra Radicali e Chiesa, per denunciare lo scandalo delle carceri Il Foglio, 14 agosto 2010 “Le chiediamo di operare affinché anche gli ordinari diocesani si uniscano in quest’incontro con una umanità sofferente che ha estremo bisogno di ascolto”. Così, in una lettera indirizzata al presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco, il segretario di Radicali italiani, Mario Staderini, e la deputata radicale Rita Bernardini hanno chiesto ai vescovi di partecipare all’iniziativa “Ferragosto in carcere”, alla quale hanno già aderito oltre duecento “tra deputati, senatori, euro parlamentali e consiglieri regionali di tutti gli schieramenti politici, garanti per i diritti delle persone private della libertà, ma anche magistrati di sorveglianza, presidenti di tribunali e procuratori generali”. L’iniziativa è partita ieri con una serie di visite, tra le quali quella di una delegazione guidata da Marco Pennella al carcere romano dì Regina Coeli. “La legge riconosce agli ordinari diocesani la prerogativa di visitare gli istituti penitenziari senza preavviso, per l’esercizio del loro ministero - spiega Pannella al Foglio - ed è importante che quella norma sia conosciuta e usata. Così come accadde nel 1986, quando una nostra delegazione incontrò Papa Wojtyla per presentargli il Manifesto contro l’Olocausto per la fame nel mondo, vorremmo che potesse esserci il riconoscimento di una battaglia comune tra tutti coloro che vogliono combattere le condizioni disumane in cui versano i detenuti italiani”. Sono quarantuno i suicidi avvenuti in carcere dall’inizio dell’anno. Erano stati settantadue nel 2009, ed era già un record assoluto, mentre un altro record è quello del numero delle persone attualmente detenute (68.206), molte delle quali in attesa di giudizio. E mentre Staderini e Bernardini, nella loro lettera ai vescovi, sottolineano “il significato che ebbe dieci anni fa il Giubileo nelle carceri, fortissimamente voluto da Giovanni Paolo II, e le parole che utilizzò nel messaggio inviato allora: “Astenersi da azioni promozionali nei confronti del detenuto significherebbe ridurre la misura detentiva a mera ritorsione sociale, rendendola soltanto odiosa”. Pannella ricorda la comunanza di intenti che “registriamo per esempio con la Comunità di sant’Egidio su questa vicenda delle carceri, così come è stato nell’azione per la moratoria sulla pena di morte. La tragedia sociale delle carceri è sotto gli occhi di tutti, è impossibile ignorarla o dire “non sapevamo”. Eppure, nonostante questo, va peggiorando di anno in anno, in modo esponenziale. L’arretrato della giustizia italiana cresce come il debito pubblico, si moltiplica. Fuori da ogni massimalismo, dice ancora Pannella, “vorrei che l’attuale situazione carceraria fosse freddamente confrontata a quella dell’infame regime fascista. Non è provocatorio ma semplicemente pragmatico constatare che nel ventennio c’era un ideale di giustizia, malgrado tutto, con costi umani accettabili. Mentre quella che oggi si svolge sotto i nostri occhi è una storia di mancanze di stato che producono violenze di stato”. Mentre Pannella sogna, o almeno “non dispera”, di vedere “un giorno piazza San Pietro riempita in nome della solidarietà con chi si trova nelle carceri”, il portavoce della Cei, monsignor Domenico Pompili, dice al Foglio che “l’iniziativa che vede i parlamentari italiani visitare le carceri nei giorni di Ferragosto è senz’altro un gesto concreto per dare rilevo a una condizione che oggi presenta particolari urgenze, come dimostra l’alto numero di suicidi che si sono susseguiti dall’inizio dell’anno. Ben venga, quindi, l’iniziativa. La chiesa è vicina ai detenuti tutti i giorni, con i suoi cappellani che assistono chi cerca di ricominciare a vivere e anche con i singoli vescovi, che più volte l’anno visitano i carcerati. La comunità cristiana, infatti. non giudica ma sta accanto a chiunque soffra. La stessa recente visita del Santo Padre al carcere di Sulmona è solo l’ultimo atto, in ordine di tempo, che dimostra su questo tema la sollecitudine della chiesa. La quale annuncia che solo Gesù Cristo dà la vera libertà”. Giustizia: troppi “ergastoli bianchi”; l’allarme arriva dagli Ospedali psichiatrici giudiziari di Ilaria Sesana Avvenire, 14 agosto 2010 Nicola potrebbe tornare in libertà in pochi giorni. Da tre anni il magistrato di sorveglianza ha dato il via libera alla sua dimissione dall’ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Secondigliano eppure si trova ancora dietro le sbarre. “In attesa di trasferimento in una comunità terapeutica”, si legge nel rapporto della delegazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia del Servizio sanitario nazionale che, il 22 luglio scorso, ha effettuato una visita a Secondigliano. In quelli che una volta si chiamavano “manicomi criminali” oggi vivono 1.452 persone (capienza regolamentare di 1.322 posti, ndr): uomini e donne accomunati dalla malattia mentale e dal fatto di aver commesso un reato. Ben 413 internati (399 maschi e 14 femmine) però potrebbero uscire in breve tempo se sul territorio ci fossero strutture in grado di accoglierli. Ma è proprio qui che si incontra la prima strettoia: “Non c’è posto nelle comunità, non ci sono risorse, non ci sono progetti”, spiega Valeria Calevro, psichiatra e direttrice dell’Opg di Reggio Emilia. Una delle strutture più affollate d’Italia con 284 internati a fronte di una capienza regolamentare di 132 posti. “Da due anni abbiamo messo i letti a castello - aggiunge la direttrice - una situazione pericolosa per pazienti che assumono psicofarmaci”. I reclusi di Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere (Mantova), Montelupo Fiorentino (Firenze), Aversa (Caserta), Napoli e Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) sono persone che, pur avendo commesso reati, non vengono processate perché incapaci di intendere e di volere. Nei loro confronti viene invece disposta una misura di sicurezza che, nei casi più gravi, può arrivare all’internamento che si protrae fino a quando l’internato viene considerato pericoloso. Ma anche se l’internato non ha nessuno che possa prendersi cura di lui una volta uscito dall’Opg. In questo modo ai due, cinque o dieci anni decretati dal giudice, se ne sommano altri, dai sei mesi in su. Decine di persone si trovano in questa palude. A Montelupo, ad esempio, un internato su tre è in regime di proroga mentre l’Opg di Secondigliano detiene il record di “ergastoli bianchi”: il 40% dei detenuti è in regime di proroga. È il caso di Leonardo che, condannato a due anni di internamento, ne ha trascorsi ben 25 in Opg. Un meccanismo perverso, che si sta cercando di spezzare, attraverso l’accordo siglato il 26 novembre 2009 in sede di Conferenza Stato - Regioni: entro la fine del 2010 “le Regioni si impegnano a raggiungere l’obiettivo di circa 300 dimissioni”. L’applicazione, però, risulta complessa: il compito di gestire gli internati dimessi dagli Opg spetta ai dipartimenti di salute mentale e le Regioni se li “rimpallano”. La prima tappa dell’attuazione della legge prevede che all’interno di ogni Opg restino solo gli internati di un determinato “bacino”. A Reggio Emilia, ad esempio, dovrebbe restare solo chi proviene da Triveneto, Trentino, Emilia Romagna e Marche. Mentre Castiglione delle Stiviere dovrebbe accogliere (oltre alle donne provenienti da tutto il Nord) gli uomini provenienti da Piemonte, Lombardia e Valle d’Aosta. Eppure, ad aprile 2010, nell’Opg di Reggio Emilia erano presenti 106 internati lombardi che, in buon numero, potrebbero essere presi in carico dalla loro Asl. “Ma è un braccio di ferro - commenta Valeria Calevro. Inoltre, da gennaio, avrebbero dovuto cessare gli ingressi di pazienti extra - bacino. E invece non è così”. Giustizia: “andiamo a trovare i nostri amici in cella”, quasi 10.000 persone fanno volontariato in carcere di Ilaria Sesana Avvenire, 14 agosto 2010 La parola chiave, per Emanuele Pedrolli, è “amicizia”. “Tra i volontari della nostra associazione, anche ad agosto c’è chi resta a Milano - spiega. siamo in città e andiamo a trovare i nostri amici in carcere. Un normalissimo rapporto di amicizia”. Ma anche uno straordinario gesto di speranza e di solidarietà in un momento drammatico per la vita delle carceri nel nostro Paese reso ancora più difficile dallo “stacco” agostano di buona parte delle attività che gravitano attorno al carcere. Finita la scuola, sospese le attività lavorative, scarseggiano anche le attività del privato sociale. Con i turni per le (sacrosante) ferie degli agenti di polizia, in molte carceri si accorcia anche l’ora d’aria. E così aumentano le ore da trascorrere in cella, stesi sulla branda. Pedrolli, che da oltre dieci anni fa volontariato nelle carceri milanesi con l’associazione “Incontro e presenza”, è uno dei volontari che continua a prestare il suo servizio anche durante l’estate. “Durante l’anno siamo circa 80 - spiega - ma nel mese di agosto i ranghi sono veramente ridotti: sette - otto volontari che possono intervenire in caso di urgenze”. E che si rendono disponibili per una chiacchierata (“quanto mai preziosa in momenti di vuoto come questo”, puntualizza) oppure per accogliere un detenuto nuovo giunto che arriva in carcere e non ha nulla per lavarsi né vestiti. Un vero e proprio esercito, quello dei volontari in carcere: nel 2009 sono state 9.576 le persone che hanno donato il loro tempo libero all’assistenza dei detenuti (7.646 fanno parte di associazioni o enti non profit, mentre i restanti 1.930 svolgono il servizio in maniera individuale). Quasi un terzo dei volontari attivi in carcere si è adoperato per organizzare iniziative culturali, sportive e ricreative; altrettanti per dare sostegno economico e morale ai reclusi e alle loro famiglie; circa 1.800 volontari si sono impegnati nella formazione scolastica e professionale dei detenuti. “In carcere, ad agosto, la vita rallenta un po’ come ovunque. Se ci fossero più attività lavorative sarebbe diverso, ci sarebbe comunque qualcosa da fare”, spiega Nicola Boscoletto, presidente del consorzio di cooperative sociali “Rebus” di Padova. I lavoratori - detenuti del consorzio, infatti, hanno approfittato della pausa agostana per svolgere quei lavoretti (pulizie e manutenzione straordinaria) che durante l’anno si rimandano sempre. “Agosto serve per rilanciare e ripartire - sintetizza Boscoletto - trovare nuovi sbocchi per i nostri prodotti e nuove commesse”. Il consorzio infatti lavora con aziende esterne (ad esempio Roncato e Morellato): “La nostra produzione è legata al mercato. Il timore è che a settembre possano calare le richieste. Per questo stiamo cercando nuove opportunità”. Complessivamente, il consorzio “Rebus” ha poco meno di 450 dipendenti: circa 110 lavorano all’interno del carcere “Due Palazzi” di Padova, una quindicina lavorano all’esterno in misura alternativa e una sessantina sono disabili psichici e fisici. “Quello che è venuto meno nel carcere, come in molti altri i settori della nostra società, è la passione per quello che fai - conclude Boscoletto. E la passione deriva dalla presenza o meno del gusto del vivere. Se non c’è il gusto del vivere non c’è passione per niente. Né per il lavoro, la scuola o la politica”. Giustizia: Pannella; le condizioni delle carceri? un crimine “da Corte penale internazionale” Ansa, 14 agosto 2010 Un “delitto”, un “crimine da Corte penale internazionale”: è quello che compie lo Stato italiano per le condizioni in cui fa vivere i detenuti nelle carceri, secondo il leader dei Radicali Marco Pannella che ieri ha aperto a Roma con una visita a Regina Coeli il “Ferragosto in carcere”, l’iniziativa promossa dal suo partito ma appoggiata da tutte le forze politiche e alla quale hanno aderito oltre 200 tra parlamentari e consiglieri regionali. “Il sistema è fuori legge, le condizioni di detenzione sono illegali” rilancia Marco Cappato, che lo ha accompagnato nella “ispezione”, insieme con il deputato del Pd Antonio Rugghia, e che spiega che negli altri Paesi quando il sistema penitenziario raggiunge la sua capienza massima, come accade ora in Italia, “non può accettare nuovi detenuti”; per questo è un “dovere” per lo Stato italiano liberare alcuni reclusi, aggiunge Cappato, auspicando l’intervento della giustizia internazionale perché “la tortura è intollerabile”. Pannella si augura che in questi giorni ci sia “una corale manifestazione di civiltà” e che oggi e domani nelle carceri vadano anche “cardinali e arcivescovi”, insomma si mobiliti “la classe ecclesiastica”, così come accadde agli inizi degli anni ‘80 per la battaglia contro “lo sterminio per fame”, che vide Giovanni Paolo II incontrare i radicali. Ma spera anche in un “segnale” dei “magistrati capaci e onesti”: “dovete manifestarvi e rappresentare che siete pronti ad amministrare giustizia”, dice loro Pannella, che denuncia gli “11 milioni di processi che non si celebrano”. Giustizia: Favi (Pd); nelle carceri condizioni di vita e di lavoro disumane e degradanti Ansa, 14 agosto 2010 I parlamentari del Pd, assieme agli altri deputati e senatori di altri partiti che hanno aderito al Ferragosto in carcere 2010, stanno visitando le nostre carceri, che soffrono del più elevato grado di sovraffollamento della storia della Repubblica. Lo afferma Sandro Favi, responsabile Carceri del Pd. “Le condizioni di vita dei 70mila detenuti, quelle di lavoro dei 40mila lavoratori penitenziari, sono state descritte e documentate ampiamente da giornali e televisioni e sono altresì oggetto di allarmata attenzione da parte degli organismi comunitari per il concentrarsi di trattamenti disumani e degradanti. Per il Pd - prosegue Favi - questo appuntamento rappresenta la continuità di un impegno politico assunto nell’ultimo anno per riportare nelle sedi istituzionali il problema carcere, la lesione delle regole minime di trattamento e di rispetto della dignità umana, la carenza dei servizi per la tutela della vita e della salute che emergono in diversi casi con assoluta tragicità.” “Nonostante sia stato dichiarato lo stato di emergenza, il ministro Alfano e il capo del Dap Ionta, non sono riusciti a porre rimedio ai gravi problemi e a superare le contraddizioni interne alla maggioranza di governo che impediscono il superamento di quelle politiche della sicurezza tanto propagandistiche quanto inefficaci, che colpiscono i più deboli e indifesi”. “Mentre ogni investimento finanziario viene destinato alla realizzazione di un futuribile quanto già inadeguato piano di aumento dei posti di detenzione, la logica dei tagli indiscriminati fa mancare ogni giorno - conclude Favi - al nostro sistema penitenziario i servizi minimi essenziali”. Giustizia: anche quest’anno l’Udc aderisce convintamente alla campagna “Ferragosto in carcere” Dire, 14 agosto 2010 Saranno in visita in diversi istituti di pena sul territorio nazionale i parlamentari: Enzo Carra (al carcere di Civitavecchia), Amedeo Ciccanti (al super carcere di Ascoli), Teresio Delfino (alle carceri di Saluzzo e di Cuneo), Anna Teresa Formisano (al carcere di Cassino), Pierluigi Mantini (al carcere de L’Aquila), Roberto Rao (alla Casa circondariale Buoncammino di Cagliari), Lorenzo Ria (alla Casa circondariale Borgo S. Nicola di Lecce), Mario Tassone (al carcere di Siano ed al carcere minorile di Catanzaro) e Domenico Zinzi (al carcere di Santa Maria Capua Vetere). “L’occasione - spiega in una nota Roberto Rao, che ha sottoscritto l’iniziativa promossa dai radicali italiani insieme agli altri capigruppo della Commissione Giustizia della Camera - sarà utile per evidenziare la necessità, più volte denunciata, di interventi urgenti per alleviare l’insostenibile situazione in cui versano le carceri italiane. L’elevato numero di suicidi e di gesti autolesionistici, la necessità di interventi di manutenzione e di creazione di nuove strutture detentive, la carenza d’organico degli agenti della polizia penitenziaria, a cui va il nostro sentito ringraziamento, rendono chiara l’esigenza di adeguare a standard minimi di accettabilità la ricettività delle nostre prigioni e le condizioni non solo dei detenuti ma anche di chi lavora ed opera all’interno dei penitenziari”. “Ci siamo già fatti promotori in Parlamento e confermiamo il nostro sostegno ad ogni iniziativa volta a dare impulso a interventi migliorativi. Confidiamo - conclude Rao - che Ferragosto in carcere con la sua caratterizzazione bipartisan possa favorire ed accelerare una convergenza su un vero e proprio Piano nazionale delle carceri e finalmente dare piena soluzione a criticità che investono il sistema penitenziario italiano nel suo complesso”. Giustizia: Ferragosto in carcere; polemiche sulla presenza di Dell’Utri e Cosentino tra i visitatori di Giulia Pacifici Il Manifesto, 14 agosto 2010 Ferragosto in carcere per 195 parlamentari. L’iniziativa, promossa anche quest’anno dai Radicali, servirà ad accendere i riflettori sui mali del sistema penitenziario, dal sovraffollamento alla carenza di personale. Ma la presenza del senatore condannato per mafia suscita critiche. “Stando alle sentenze, potrebbe essere ospitato in galera” I due parlamentari indagati in visita agli istituti di pena con i radicali. Idv: “La loro è una presenza provocatoria”. Ferragosto al fresco per i parlamentari che da ieri a domenica visiteranno circa 200 carceri italiane. L’iniziativa, promossa come l’anno scorso dai Radicali, ha riscosso un buon successo e vi hanno aderito 195 tra deputati, senatori ed europarlamentari. Un risultato che soddisfa i Radicali ma che, allo stesso tempo, fa storcere il naso all’Italia dei Valori e a Mauro Palma, presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa. La polemica nasce soprattutto dalla notizia che tra i parlamentari in giro per le prigioni ci saranno anche il senatore Pdl Marcello Dell’Utri e l’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino. Il primo andrà a Como e il secondo a Secondigliano. Due nomi noti ai magistrati italiani e non certo per opere lodevoli come quella in cui saranno impegnati in questi giorni. Il senatore dell’Utri è stato infatti condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa mentre Cosentino è indagato per lo scandalo P3. Sarebbe stato meglio “evitare di includere nel gruppo di autorevoli visitatori del carcere coloro che, stando alle sentenze, potrebbero esservi ospitati” polemizza Mauro Palma. L’Italia dei valori ha raccolto la palla al balzo. Il portavoce Leoluca Orlando conferma la sua partecipazione alle visite di Ferragosto “nonostante la provocatoria presenza - sottolinea - di strani personaggi come Cosentino e Dell’Utri che, in virtù della loro impunità politica e di leggi ad personam, non hanno conosciuto e non conosceranno mai il carcere”. Prese di posizione dure, che non piacciono ai radicali. Che offrono la propria radio alla replica di Dell’Utri. Il senatore non si infuoca più di tanto: “Mi sembrano osservazioni di poco conto - afferma - e ognuno vede quanto siano inutili come affermazioni. Come posso rispondere a cose così insignificanti?”. E così sarà in visita al carcere di Como, e non sarà la prima volta. “Lo faccio sempre - spiega - . Sono stato a San Vittore, al Beccaria, a Benevento. Mi sono sempre occupato della condizione dei detenuti”. I Radicali si pronunciano in favore del senatore ma tentano di non soffiare troppo sul fuoco. “Non è il caso di escludere nessuno tra coloro che hanno aderito all’iniziativa e che, in base all’articolo 67 dell’ordinamento penitenziario, può effettuare visite in carcere senza preventiva autorizzazione”, dice Rita Bernardini. “Sono convinta - aggiunge - che il senatore Dell’Utri farà un ottimo lavoro di sindacato ispettivo, come accadrà per gli altri parlamentari di tutti i gruppi politici che parteciperanno alle visite negli oltre 200 istituti penitenziari”. “È una polemica un po’ sterile - taglia corto il segretario dei radicali romani Riccardo Magi - chi vuole strumentalizzare la presenza di Cosentino e Dell’Utri finirà per sminuire tutto l’evento in sé”. Polemiche a parte, la questione centrale restano il malfunzionamento e il degrado degli istituti penitenziari italiani. I numeri del sovraffollamento sono spaventosi, 68.121 reclusi in istituti che ne potrebbero ospitare al massimo 44.576. Anche i dati dei suicidi e delle morti in carcere fanno capire che la situazione esige una soluzione. Nel 2010 sono state 113 le morti in carcere di cui 41 suicidi, 35 impiccati, 5 asfissiati col gas e uno sgozzato. Non si può dimenticare poi il caso Stefano Cucchi, il ragazzo morto nel reparto detentivo dell’ospedale Pertini di Roma. I genitori seppero della morte solo quando arrivò loro il decreto autorizzativo dell’autopsia. Il radicale Rocco Berardo, uscito dal giro delle carceri ciociare, sottolinea il sovraffollamento: “A Frosinone sono detenute 528 persone con un surplus di 128 rispetto alla capienza del carcere, anche Cassino ha circa una trentina di detenuti in sovrannumero - racconta - . Un’altra questione allarmante è la carenza di personale soprattutto per quanto riguarda Frosinone in cui il turnover è fermo da 10 anni e lavorano sotto organico, con 210 agenti penitenziari invece dei previsti 260”. Situazione difficile anche nel carcere romano di regina Coeli, visitato sempre ieri da Marco Pannella e Marco Cappato, e dal democratico Antonio Rugghia: “Al momento sono detenute circa 1.400 persone, mentre la struttura ne può ospitare al massimo 724 - ha spiegato Rugghia. I problemi di Regina Coeli sono gli stessi degli altri istituti italiani: una riduzione forte delle risorse che registra un meno 30 per cento dal 2007 e colpisce i costi del personale e manutenzione”. Una situazione che fa dire a Cappato che “le condizioni di detenzione in Italia sono illegali”. Giustizia: Dap; a Ferragosto detenuti impegnati in attività di tutela ambientale in diverse città Comunicato stampa, 14 agosto 2010 “Nei giorni di ferragosto a Palermo, Roma e Milano decine di detenuti saranno impiegati nelle attività di lavori socialmente utili per la tutela ambientale. Un importante operazione di pulizia delle spiagge è prevista nei giorni di ferragosto - 13, 14 e 15 agosto, a Palermo. Dieci detenuti della Casa Circondariale di Pagliarelli, infatti, parteciperanno attivamente all’iniziativa, ripulendo dai rifiuti e ripristinando alcune aree degradate del litorale di Mondello, sotto la direzione tecnica dell’Amia di Palermo. Nel giorno di ferragosto, a Roma, è prevista un’altra iniziativa ambientale per la pulizia degli spazi verdi dell’Esquilino con l’impiego di 10 detenuti dell’istituto penitenziario di Roma Rebibbia. L’iniziativa sarà realizzata grazie al rapporto di collaborazione proficuamente avviato tra il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, il Comune di Roma ed Ama Spa. Nella stessa giornata del 15 agosto, a Milano, 65 detenuti degli istituti penitenziari di Bollate, Opera e Monza, prenderanno parte a una vasta operazione di pulizia di un’area naturale protetta del Comune di Vanzago. “L’impiego di detenuti in questo tipo di attività rappresenta un ottimo esempio di reinserimento sociale per la persona detenuta, ma nello stesso tempo un esempio di civiltà che dal carcere arriva ai cittadini - ha affermato il Capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta”, nel corso della conferenza stampa che ieri si è svolta nel carcere di Napoli Secondigliano, dove è stato presentato il progetto “Secondigliano recuperi”. Nell’istituto penitenziario napoletano, che sorge nei pressi del rione Scampia”, è stato infatti installato un impianto per la lavorazione di rifiuti in plastica, dove sono già stati impiegati 15 detenuti, che hanno seguito un corso di formazione organizzato dalla provincia di Napoli. A breve, a Secondigliano, ma anche in altri istituti, sarà avviata la raccolta dei rifiuti “porta a porta”. “L’Amministrazione penitenziaria - ha dichiarato Ionta - mantiene salda la fiducia in un sistema penitenziario che può offrire alle persone detenute un’occasione concreta di riscatto, proprio attraverso l’acquisizione di competenze professionali e la costruzione di una consapevolezza autentica che il passaggio dall’illegalità alla legalità è sempre possibile. Vedendo al lavoro i detenuti della Secondigliano recuperi, ho percepito un clima positivo, una voglia di impegnarsi in questo cambiamento che certamente va sostenuto e incoraggiato, non solo dall’Amministrazione penitenziaria, ma da tutte le istituzioni e anche dai cittadini. In questo sforzo congiunto l’informazione ha certamente un ruolo importante, aiutandoci a far conoscere all’opinione pubblica che il carcere, pur tra tante difficoltà, è in grado di offrire opportunità. Al personale penitenziario, in primis alla Polizia Penitenziaria che opera con competenze professionali e qualità umane in situazioni difficili, soprattutto in questo periodo estivo, va il mio ringraziamento e il riconoscimento per tutti quegli atti di quotidiano eroismo, che quasi mai conquistano le pagine dei giornali”. I progetti di tutela ambientale hanno preso avvio lo scorso 3 agosto, con il progetto di recupero del patrimonio archeologico della città di Roma svolto attraverso l’impiego di detenuti degli istituti penitenziari della Capitale. L’iniziativa è frutto di un protocollo d’intesa tra la Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune ed il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - Direzione Generale dei detenuti e del trattamento, con la collaborazione di Ama Spa (Azienda Municipale Ambiente). Dal 1 agosto al 31 dicembre 2010, 5 detenuti ristretti nella Casa di Reclusione di Rebibbia (ammessi al lavoro all’esterno ex art. 21 O.P. ovvero in regime di semilibertà) saranno impiegati per la manutenzione ordinaria e la pulizia delle aree archeologiche della capitale. Dr.ssa Assunta Borzacchiello direttore Ufficio Stampa e Relazioni Esterne Dipartimento Amministrazione Penitenziaria Giustizia: Osapp; la riforma delle carceri deve partire dal lavoro ai detenuti, non dall’edilizia Il Velino, 14 agosto 2010 “Tutti i detenuti definitivi devono lavorare, così come prevede la legge”. È la proposta di Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) in occasione del primo dei tre giorni denominati Ferragosto 2010 in carcere, organizzati dai radicali per sensibilizzare la questione degli istituti italiani. “È necessario distinguere i detenuti dal circuito ordinario del lavoro, in modo da non sacrificare le liste di disoccupazione, come necessaria è l’esigenza che il lavoro carcerario non gravi più esclusivamente sul bilancio dello Stato e dell’Inps”, ha detto Beneduci che ha poi aggiunto: “Per questo le aziende devono contribuire alla sicurezza nazionale assicurando idonea occupazione per quanti siano destinati a scontare la pena in carcere: perché il carcere è e deve tornare ad essere questione di sicurezza nazionale. Di conseguenza - ha spiegato il leader sindacale - le imprese che accedono ai contributi pubblici devono garantire una aliquota di impiego ai condannati, esclusi i reati di maggiore allarme sociale”. Fino adesso,ha sottolineato il segretario generale, il lavoro non è mai stato concepito come forma obbligatoria di occupazione ma è stato sempre organizzato su base volontaria. Nè tantomeno è mai stato concepito come forma di risarcimento del danno: è giunto il momento che si stravolgano le regole”. Tra le altre iniziative promosse, secondo Beneduci, la possibilità, data al condannato, di lavorare in maniera continuativa percependo una retribuzione non superiore nel massimo ai 400 euro al mese e con il versamento. “Sosteniamo questo da tempo perché più di quanto già non viene sprecato tra stipendi, sussidi, incentivi al detenuto, lo Stato ogni anno spende più di 80 milioni di euro dei cittadini italiani. Per la maggior parte dei casi per iniziative di lavoro estemporanee e spesso basta che il recluso lavori 78 giorni di seguito per avere garantito poi un sussidio di disoccupazione dall’Inps di 700 euro mensili. Aderiamo a qualunque iniziativa che porti la luce su ciò che sta accadendo nei penitenziari italiani e sorvoliamo su certe polemiche innescate oggi dall’Idv sull’opportunità di vedere sfilare anche Cosentino o Dell’Utri tra i parlamentari aderenti”. Secondo però Beneduci “di iniziative concrete sul tavolo ce ne sono ben poche adesso. Forse solo l’On. Ignazio Marino, con la sua Commissione di inchiesta sugli ospedali psichiatrici, negli ultimi tempi ha determinato forti ed importanti cambiamenti per la questione degli internati”. L’Osapp ritiene urgente “un vero cambiamento di rotta e che lo sforzo debba partire proprio da quel vituperato articolo 27 della Costituzione e dalla condizione dell’individuo. Restituire la dignità al recluso e proprio attraverso lo strumento del lavoro e rendere più sicura la società”, ha concluso Beneduci. Giustizia: Sappe; il Governo ha 100 giorni per salvare il sistema penitenziario Il Velino, 14 agosto 2010 “Siamo alla vigilia di un fatto storico: non si è mai vista una concentrazione di visite politico-parlamentari in tanti istituti penitenziari in così poche ore come quelle iniziate da qualche giorno. Ma è ovvio che il bilancio su quanto queste visite influiranno concretamente per definire l’agenda politica alla ripresa dei lavori parlamentari, potremmo farlo soltanto nelle prossime settimane. Come sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), il primo e più rappresentativo della categoria, proponiamo allora fin d’ora un termine di cento giorni entro i quali trovare soluzioni politiche e amministrative condivise per evitare il tracollo del sistema penitenziario italiano. Termine ultimo entro il quale ci auspichiamo sarà raggiunto un accordo bipartisan dopo discussioni serie, responsabili, a costo di non rivolgere lo sguardo a immediati consensi elettorali, certi che solo l’onestà politica e intellettuale possa essere l’unica arma contro l’omicidio che si sta perpetrando nei confronti del corpo di Polizia penitenziaria. Quanti di coloro che sono andati e andranno in visita in questi giorni nelle carceri italiane è disposto a mettere nero su bianco questo impegno concreto?”. È la proposta-sfida che lancia alle autorità istituzionali e politiche Donato Capece, segretario generale del Sappe, in relazione alla annunciate visite di oltre 190 parlamentari nelle carceri del Paese nel giorno di Ferragosto. “Ringraziamo i politici di tanta disponibilità dimostrata in giornate in cui ognuno vorrebbe pensare ad altro e accantoniamo la domanda: ‘perché tranne rarissime eccezioni, un decimo di questa disponibilità non siete riusciti a trovarla negli altri 364 giorni dell’anno?”, dichiara Capece. “L’attuale emergenza dovrebbe travalicare qualunque calcolo politico e possibili passerelle mediatiche. Il momento di estrema gravità che i nostri 39 mila colleghi della Polizia penitenziaria e le loro famiglie sono costretti a vivere, sopportare, subire, per le indifferenze mostrate fino ad oggi da tutto l’arco parlamentare, ci impongono, come primo sindacato di Polizia penitenziaria, di vigilare sulle prossime iniziative che scaturiranno da queste visite in carcere nelle giornate di Ferragosto - prosegue il segretario generale - Rivolgiamo ai tanti rappresentanti dei cittadini che si sono recati e si recheranno in visita nelle carceri italiane l’invito e il monito a non sottovalutare la portata storica del loro gesto”. La Polizia penitenziaria, dice Capece, “ha mantenuto fino ad ora l’ordine e la sicurezza negli oltre duecento istituti penitenziari a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza perdere il senso del dovere e dello Stato nonostante vessati da continue umiliazioni e aggressioni, da parte di una popolazione detenuta esasperata dal sovraffollamento che vede quasi 69mila persone ristrette in carcere e da politiche repressive che non hanno avuto il coraggio e l’onestà politica e intellettuale di riconoscere i dati statistici e gli studi Universitari indipendenti su come il ricorso alle misure alternative e politiche di serio reinserimento delle persone detenute attraverso il lavoro avvalendosi anche di nuove strutture penitenziarie costruire secondo il sistema modulare e con sistemi di controllo mai seriamente utilizzati, come a esempio il braccialetto elettronico, siano l’unico strumento valido, efficace, sicuro ed economicamente vantaggioso, per attuare il tanto citato quanto non applicato articolo 27 della nostra Costituzione. L’intero corpo di Polizia penitenziaria è allo stremo e questo, per le aspettative generate dalla risonanza mediatica che ha raggiunto l’iniziativa delle visite in carcere dei Parlamentari, rischia di trasformarsi in un gigantesco boomerang se non si tradurrà in iniziative concrete sia da parte dell’esecutivo che della sovrana attività parlamentare, conclude il segretario del Sappe. Giustizia: la storia di Giuseppe Gulotta, che ha trascorso 22 anni in prigione da innocente di Nicola Biondotutti L’Unità, 14 agosto 2010 Di sicuro c’è solo che è innocente. Innocente ma con 22 anni di galera alle spalle. Innocente ma accusato di strage. È la storia di Giuseppe Gulotta e di un eccidio senza colpevoli, quello di Alcamo Marina, provincia di Trapani, avvenuto il 27 gennaio 1976 e che costò la vita ai carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta. Giuseppe Gulotta nel 1976 aveva 18 anni. “Fu una cosa terribile, in paese ne parlavamo tutti. Due giovani carabinieri, quasi miei coetanei, trovati uccisi in una piccola caserma di fronte al mare”. Delitto inspiegabile, misterioso. Uccisi nel sonno, la serratura fusa dalla fiamma ossidrica, pistole e divise che spariscono. Una vita serena, di provincia, quella di Giuseppe. Non poteva immaginare che di lì a poco sarebbe finito nel tritacarne di un mistero di Stato. Lui che di politica nulla sapeva. Anni 70, roba per stomaci forti, quando i sogni di un mondo migliore stavano svanendo in un delirio di piombo. “La mia era una vita di lavoro. Prima dal barbiere, poi muratore. Ero un ragazzino riservato, timido con le ragazze”. L’unico lusso una vespa arancione, qualche sera in pizzeria e in discoteca, “ma io facevo tappezzeria” ricorda Giuseppe. Sempre in compagnia di Gaetano e Vincenzo, gli amici con cui era cresciuto. Quando i due carabinieri vengono uccisi, Giuseppe sta aspettando una chiamata dalla Guardia di Finanza dopo aver sostenuto tutti gli esami. Ad Alcamo arrivano due squadre di investigatori, quella del colonnello Giuseppe Russo, un mastino dell’antimafia, e quella dell’antiterrorismo di Napoli. Scatta la caccia all’uomo. Il movente è politico, è terrorismo. Due carabinieri morti esigono un colpevole, a ogni costo. E a pagare il prezzo sono quei tre amici inseparabili: Giuseppe Gulotta, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli. A chiamarli in causa è un altro ragazzo di Alcamo, con il quale a volte uscivano: Peppe Vesco. È un tipo particolare Vesco, un po’ naif: un chiacchierone che al bar parla di rivoluzione, di anarchia e che ha perso una mano in un incidente. In paese lo chiamano “Peppe ‘u pazzo”. È il 12 febbraio 1976. Il tritacarne è in azione. Lo mettono in moto una decina di carabinieri agli ordini del colonnello Russo. Vesco viene arrestato per un’infrazione. Nella sua macchina i carabinieri trovano una pistola. In caserma Vesco viene sottoposto a torture indicibili: botte, scosse elettriche, costretto a bere acqua e sale. Prima nega qualsiasi coinvolgimento nella strage poi dice che la refurtiva sottratta sul luogo del delitto si trova in casa di un bottaio, Giovanni Mandalà, dove viene recuperata. Poi altre torture. Alla fine ammette: ho fatto la strage con i miei amici Gulotta, Ferrantelli e Santangelo. È la svolta: i tre ragazzi vengono arrestati e dopo una notte da film horror confessano tutto. Tutto ciò che non avevano mai fatto. “La mia innocenza è nelle carte” dice Gulotta che oggi, dopo 22 anni di carcere da innocente, con il processo di revisione in corso, racconta a l’Unità la sua storia. Ci sono carte che grondano sangue e lacrime. Le lacrime e il sangue di Gaetano Santangelo, Giuseppe Gulotta e Vincenzo Ferrantelli. Le carte, quelle in cui si autoaccusano, sotto tortura, della strage. Sono le 10 di sera del 12 febbraio 1976. I tre ragazzi, dopo la denuncia di Vesco, sono in stato di fermo. “Stavo riparando il bagno di casa. Fui portato in caserma”. Siamo ad Alcamo, provincia di Trapani, Italia. Ma potrebbe essere l’Argentina dei generali, il Cile di Pinochet, un gulag sovietico o una prigione talebana. Da mezzanotte all’alba Giuseppe Gulotta viene torturato come un desaparecido. Perché per tutti, lui, quel 18enne timido che voleva indossare la divisa della Finanza, ufficialmente non è lì. Il verbale di arresto segnala che Gulotta arriva in caserma alle 5 del mattino e non alle dieci di sera. Ecco il racconto dell’orrore: “Verso mezzanotte mi legano mani e piedi a una sedia. Provo a divincolarmi e spezzo il bracciolo della sedia. Iniziano a urlare che li avevo uccisi io i due carabinieri. Ovviamente nego. Mi circondano, sono una decina, tutti carabinieri in divisa. Mi picchiano in faccia, mi sputano addosso. Calci e pugni. Urlano: sei stato tu, dillo. I tuoi amici hanno ammesso tutto”. Non era vero. In quei momenti uguale trattamento subivano Gaetano e Vincenzo. Spunta anche una pistola che scortica la faccia di Gulotta. “Se non confessi ti ammazziamo”, minacciano. “Uno da dietro mi teneva la testa, mentre un altro carabiniere mi schiaffeggiava”. Era il colonnello Russo che Gulotta riconoscerà molti anni dopo. “Quando smise, un altro prese a strizzarmi i genitali. Non finivano più”. Russo finirà ucciso l’anno dopo e per uno strano caso anche lì ai sospettati verrà estorta una confessione sotto tortura. In realtà il colonnello venne ucciso da Leoluca Bagarella, allora giovane boss emergente. Carte che grondano sangue. È il verbale della confessione di Giuseppe. “Era l’alba quando mi arresi alle botte”. “Ditemi quello che devo confessare, basta che non mi picchiate più” dice agli aguzzini in divisa. “Si fermarono. Mi portarono in un’altra stanza e mi ammanettarono a un termosifone. Ero una maschera di sangue. Accanto a me c’era un avvocato, una donna giovane che fumava, non mi degnò di uno sguardo. Firmai il verbale di confessione, avevo solo diciotto anni”. La dignità non abitava in quella caserma, quella notte. C’è solo un carabiniere che non viene contagiato da quell’isteria collettiva. “Gulotta mi sembrò un pulcino impaurito e bagnato” ricorda oggi. Dopo la confessione estorta Gulotta viene portato a Trapani in carcere e poi nel pomeriggio si trova di fronte ai vertici della procura, Genco e Lumia. “Ero in uno stato pietoso. Stavo per dirlo anche a una guardia carceraria cosa avevo subito ma il carabiniere che era con me mi strinse forte il braccio. Mi ricordo bene cosa disse: “Scrivete che è scivolato in caserma su una buccia di banana”“. Ancora carte che sanguinano. “La frase finì nel verbale - dice Gulotta - I miei abiti pieni di sangue sparirono”. Raccontò tutto anche ai magistrati. “Dissi che ero innocente, dissi delle torture. Non potevo immaginare che l’avrei ripetuto a decine di altri pm per altri 30 anni. Non successe nulla”. A parte quella confessione a suon di botte, non c’è nulla che somigli a un’indagine sulla strage di Alcamo Marina. Non viene appurato con un esame, lo stub, se i quattro sospettati hanno usato armi, non si accerta il loro alibi, non si cercano altri testimoni. Vesco esce di scena nell’ottobre del 1976 dopo aver ritrattato le accuse: privo di una mano si impicca in carcere. Una versione inverosimile ma ufficiale: altre carte insanguinate. Muore con lui una delle possibilità per capire. Tra assoluzioni e condanne. Intanto Gulotta sconta 2 anni e 3 mesi di carcere. Nel 1988 ha un figlio da Michela la sua attuale compagna. Nel ‘90 la sentenza definitiva: ergastolo. Inizia a scontarlo, da innocente. Con una forza sovraumana. “Avevo degli obiettivi: la revisione del processo e aspettare i primi permessi per ritornare in famiglia. Ho sempre sperato nella giustizia”. Un detenuto modello, mai una protesta, mai pensato a fuggire, a sottrarsi a quella condanna ingiusta. Gli altri due, Ferrantelli e Santangelo, invece scappano in Sudamerica. Lui no: rimane in carcere, chiede la revisione, trova nella sua compagna e nei figli un baluardo contro l’assurdo dolore. “Ho accettato il corso della giustizia. Non volevo fuggire, volevo giustizia”. E la giustizia - o quel che ne rimane - arriva nel 2008, trentadue anni dopo l’infamia. Riappare quel carabiniere che vide Gulotta, “il pulcino bagnato e impaurito”, subire le torture. È Renato Olino e decide di parlare. Si innesca così il meccanismo che porta al processo di revisione. Il 24 giugno scorso Olino racconta tutto davanti alla Corte di Reggio Calabria. Ha riavvolto il film di quella notte, di quel branco di lupi in divisa che non la smetteva di picchiare, che non voleva la verità ma solo un colpevole, uno qualsiasi. Il 22 luglio 2010, dopo 22 anni di detenzione, Gulotta esce dal carcere in libertà vigilata. “Vorrei sapere chi e perché mi ha fatto questo. Ho iniziato a documentarmi. Siamo finiti in una vicenda enorme, legata ai misteri di questo paese. Io voglio capire cosa è successo ad Alcamo, in Sicilia, in Italia in quegli anni. Ci sarà qualcuno che mi dirà in che razza di storia sono finito, da che parte stavano i carabinieri, da che parte stavano i giudici. Siamo stati i capri espiatori di una cosa molto più grande di noi che non si doveva conoscere. Questo è stato il modo in cui alcuni carabinieri hanno creduto di fare giustizia dei loro colleghi uccisi?”. Come tutti i misteri italiani dietro la strage si intravedono 007 e traffici di armi, trame e segreti: il tritacarne di Stato in cui è caduto Gulotta. Recentemente la procura di Trapani ha aperto due inchieste. Una sulla morte dei due militari, l’altra su 4 carabinieri accusati di sequestro di persona e lesioni gravissime: sono Giuseppe Scibilia, Elio Di Bona, Giovanni Provenzano e Fiorino Pignatella. Due indagini che potrebbero rispondere alla domanda di Gulotta: perché? Gli indagati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere anche se per quei reati, per quelle torture è già scattata la prescrizione. “Questo mi fa rabbia - dice Gulotta - perché ancora una volta negare la verità? Che Stato è quello che condanna un innocente e permette a un colpevole, che è anche un carabiniere, di tacere la verità?”. Coltiva anche un sospetto terribile. “In tanti conoscevano la verità. Credo che Olino l’avrebbe potuta dire prima ma i tempi non erano maturi, qualcuno gli ha consigliato di tacere, per trent’anni”. Nessuno ha chiesto scusa a Gulotta. “Solo Olino. Dopo la sua testimonianza si è venuto a sedere vicino a me. Per un attimo ho provato quasi timore. Mi ha guardato e mi ha detto, “Alzati Giuseppe”. Mi ha abbracciato forte: “Scusami, anche a nome dei miei colleghi”. Nessun altro si è fatto sentire”. Lettere: “la possibile speranza di veder tornare alla società un cittadino utile e corretto”… di Pietro Ancona www.medioevosociale.com, 14 agosto 2010 Al contrario di quanto costituiva la filosofia della carcerazione nell’antichità, il carcere oggi ha un carattere fortemente afflittivo, non rieducativo come prescrive la Costituzione, è un luogo di vendetta dello Stato nei confronti di quanti considera suoi nemici o soltanto sue mele marce che bisogna isolare dal corpo “sano” della Nazione. Scriveva nel suo decreto il Granduca di Toscana a proposito del carcere: “la possibile speranza di veder tornare alla società un cittadino utile e corretto” dichiarando il recupero sociale la più importante finalità della pena. Questa finalità è stata contestata da assordanti campagne propagandistiche nelle quali si sono distinti la Lega e la destra e che hanno aumentato a dismisura la sensazione di insicurezza della cittadinanza al fine di aizzarla ad una concezione punitiva e vendicativa. La destra al governo ha dato vita ad una legislazione sulla “sicurezza” che ha riempito fino quasi a fare scoppiare le carceri italiane con la criminalizzazione di comportamenti che potrebbero essere soltanto contravvenzionali o che addirittura non costituiscono reato. Il carcere è luogo di afflizione e di pena dei poveri puniti per reati che raramente pongono grossi problemi di allarme sociale. Personaggi come Previti, Dell’Utri, Balducci, Tanzi, ed altri squali della stessa stazza non finiscono in carcere. Se vi finiscono ci stanno poco tempo e godono di particolari privilegi. Ottaviano Del Turco fece un mese di detenzione mantenendosi rigorosamente distante dalla popolazione carceraria di Sulmona. I potenti erano in fila per essere ricevuti nella sua cella dove venivano ammessi come alla presenza di un illustre dignitario. I grandi reati finanziari dei colletti bianchi restano quasi sempre impuniti anche se hanno provocato danni immensi a volte a centinaia di migliaia di persone o ad intere Nazioni. I responsabili della bolla immobiliare Usa che hanno truffato milioni di persone nell’acquisto facilitato delle case che poi non hanno potuto pagare perché rincarate ed hanno dovuto abbandonare perdendo tutto non sono stati puniti. Quanti hanno inondato il pianeta di titoli falsi si sono poi liquidati benefit scandalosi di milioni di dollari. Soltanto uno di loro è finito in galera mentre il furto in un supermercato viene punito con carcerazione che, a seconda della condizione dell’imputato, può anche essere ergastolo. Il Partito Radicale quest’anno come l’anno scorso ha assunto l’iniziativa di visitare le carceri italiane il giorno di ferragosto. Iniziativa ben progettata dal punto di vista propagandistico come sono soliti fare i radicali, maestri nell’arte della comunicazione. Le conferenze stampa di Pannella e dei suoi sodali saranno l’unica attività politica di un giorno destinato al relax totale dagli italiani. L’indomani della conferenza stampa che denuncerà le gravissimi intollerabili condizioni constatate dai nostri eroi sarà presentata una interrogazione, si farà uno o più digiuni e tutto tornerà come prima. In effetti la proposta radicale è per una amnistia o un indulto. Sono convinto che l’inerzia del governo che dopo aver promesso un anno fa 17 mila nuovi posti carcere non ha fatto niente tranne che commissariare per sfuggire ai controlli vuole provocare una umanitaria nelle carceri per convincere il Parlamento al varo di misure di indulto ed amnistia che servono i grandi profittatori di regime, le cricche. La sofferenza dei reclusi viene strumentalizzata ed usata per i potenti. In effetti la situazione carceraria è diventata tragica. L’Italia è sempre stata particolarmente feroce con i suoi prigionieri e con quanti ha avuto in dominio nei lager. Già nel 1861 il neonato stato di Cavour e dei Savoia rinchiudeva nel terribile Forte Fenestrelle diecine di migliaia di soldati napoletani e meridionali per condannarli a morire di fame e di freddo. I loro corpi venivano squagliati nella calce viva. Carmine Crozza, capo popolare della rivolta antisavoia, veniva sottoposto a crudeli trattamenti che durarono fino alla sua morte in carcere. Lo stesso avveniva per Giovanni Passannante che aveva attentato alla vita di Umberto primo chiuso per dieci anni in isolamento assoluto in una cella sotto il livello del mare,costretto a mangiare i suoi escrementi. La pena per Carmine Crozza e Giovanni Passannante è proseguita oltre la loro morte. Le loro teste furono tagliate, studiate da lombrosiani e conservate in un museo di Torino dove sono esposte assieme ad altri anonimi resti di condannati per un qualche reato. L’opinione pubblica è stata avvelenata dai mass media della destra con martellanti campagne contro i reclusi attuali. La gente è stata indotta a disprezzare ed odiare i detenuti. Anche persone di orientamento democratico e di sinistra sono state attirate in questo vortice di odio violento del securitarismo. Sindaci di centro - sinistra si sono lasciati andare a misure antiumanitarie contro i migranti ed i senza tetto. I barboni vengono schedati da Maroni. Non avere casa è diventato indizio di asocialità criminale. Basterebbero alcune modeste e ragionevoli legiferazioni per ridurre la popolazione carceraria. Mi riferisco alla legge Fini - Giovanardi sulla droga ed alle leggi sulla sicurezza. Inoltre bisognerebbe modificare profondamente i regolamenti carcerari e le normative che graduano i penitenziari in tanti gironi di inferno. Lettere: a Rebibbia 2 psicologi di ruolo per 3.000 detenuti, sono in servizio da oltre 20 anni Il Messaggero, 14 agosto 2010 Di fronte al crescente numero di suicidi in carcere e, più in generale, della realtà grave della salute psichica nel sistema penitenziario, è utile dar conto di taluni effetti aberranti del Dpcm del 1° aprile 2008, che ha statuito in via definitiva il passaggio della sanità penitenziaria dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Regionale, decreto approvato tuttavia con l’obiettivo di assicurare condizioni di salute più attendibili e democratiche alla popolazione detenuta. In concreto, tale passaggio comprendeva un quantum determinato di risorse economiche; i beni e gli strumenti sanitari; il personale di ruolo medico, psicologico, infermieristico. Erano regolate altresì dallo stesso Dpcm le modalità del transito dei dipendenti nelle nuove amministrazioni, disponendo tra l’altro che quelle unità fino allora occupate non negli istituti penitenziari, bensì in uffici centrali o periferici del Ministero della Giustizia, avessero diritto a esercitare una opzione relativamente alla Asl di destinazione, in un elenco di Asl, collegate per territorio ai vari istituti, sia per adulti che per minori. La situazione di Roma era rappresentata, fra l’altro, da n. 2 psicologi di ruolo presenti per tutti gli istituti di Rebibbia (circa 3.000 detenuti), che appunto non hanno avuto diritto a optare per altre Asl ma sono stati obbligati a confluire nella Asl Rm B, anche quando, dopo circa 20 anni (!) di servizio con detenuti adulti, avessero preferito - comprensibilmente, per il loro proprio benessere psico - fisico e per l’efficacia, quindi, delle loro prestazioni - affrontare un’esperienza professionale diversa, magari con utenti del Minorile, magari con progetti sul territorio. Di più, uno di costoro, invalido per gravi patologie, è costretto a permanere sine die in carcere (notoriamente, ambiente che genera gli stress più logoranti, anche per chi vi lavora) in quanto ritenuto indispensabile (!), dimostrando l’Azienda Sanitaria una sensibilità … sanitaria, almeno, da rivedere. Da un’altra parte, quella possibilità concessa ad altri di optare per la Asl preferita, ha determinato che ben 24 Psicologi confluissero nella Asl Rm D, che comprende nel proprio territorio un Centro di Accoglienza per Minori, nel quale il numero degli ospiti, in genere zingarelli arrestati per furto, è di gran lunga inferiore a quello degli Psicologi. Ogni commento su questa scandalosa situazione sarebbe insufficiente ad esprimere lo sdegno degli onesti. Il problema dei suicidi e della salute mentale in carcere non deriva solo dal sovraffollamento (l’ultimo suicida a Rebibbia era alloggiato in cella singola), ma soprattutto dall’utilizzo intelligente, produttivo e professionale delle risorse. Quando la risorsa è data dagli psicologi le condizioni del loro operare, compreso il ricambio periodico dell’ambito e dell’ambiente professionale, rivestono un’importanza decisiva per il raggiungimento degli obiettivi. Va inoltre sottolineato come urga una Unità Operativa in carcere che abbia specializzazione eminentemente psicologica e psicoterapeutica, e sia guidata da psicologi - psicoterapeuti, non già perché carcere vuol dire luogo di cura psichica, ma in quanto le condizioni di vita là imposte determinano tuttora grave malessere, e la capacità non solo di svolgere gli specifici interventi di cura, ma anche quella di individuare le fonti istituzionali di tali malesseri e di operare per il loro progressivo superamento, non possono che essere in primis di competenza psicologica. Le cognizioni e le operatività teorico - professionali proprie della materia psicologica la cultura medica in senso stretto per lo meno disconosce. Basti pensare al caso famoso di Stefano Cucchi, per sostenere il quale nei giorni di degenza in cui egli rifiutava il cibo i medici non hanno pensato di ricorrere a uno psicologo del carcere di Rebibbia, nonostante già in precedenza per casi analoghi si fosse adottata questa opportunità. Non si può escludere che questa soluzione avrebbe avuto un effetto benefico e determinato un altro sviluppo della storia. Ma se i tempi di tali riorganizzazioni possono presumersi non brevi, la decenza vorrebbe che a quelle storture derivanti dal Dpcm del 2008, già descritte, si ponesse mano subito per correggerle radicalmente, su criteri di efficienza e non di assistenzialismo: la facoltà di avanzare un’opzione di scelta non comporta garanzia di esaurimento della stessa - se esiste almeno un prioritario interesse pubblico Dr. Daniele Rondanini Dirigente Psicologo Asl Rm B Sicilia: 3mila detenuti in più della capienza, le carceri sono invivibili e ora lo sanno pure i deputati di Stelio Zaccaria Gazzetta del Sud, 14 agosto 2010 Una situazione infernale che si concretizza in un dato: ci sono quasi 8 mila persone rinchiuse nelle carceri siciliane che ne potrebbero contenere poco più di 5 mila. Ieri in Sicilia molti deputati hanno visitato gli istituti di pena, aderendo all’iniziativa “Ferragosto in carcere” proposta e organizzata dalla parlamentare Radicale Rita Bernardini (gruppo Pd) e da Radicali italiani. A Messina, al carcere di Gazzi, si sono recati il deputato regionale del Pd Filippo Panarello accompagnato dalla segretaria della Fp Cgil di Messina Clara Crocè, i quali sono stati accompagnati in un “tour” all’interno della casa circondariale dalla vicedirettrice dell’istituto Angela Sciavicco e dal vicecommissario Antonella Machì, comandante degli agenti penitenziari. L’onorevole Panarello ha avuto modo di visitare i bracci della struttura e di colloquiare con alcuni detenuti delle problematiche relative al sovraffollamento, piaga dolorosissima anche per il carcere di Gazzi che ospita più del doppio dei detenuti che potrebbe in realtà contenere; con le relative drammatiche conseguenze che ne derivano. Anche il carcere di Agrigento, città del ministro della Giustizia Alfano, scoppia. Su una capacità massima di 260 detenuti, ne ospita quasi il doppio. A confermarlo è stata una delegazione composta da parlamentari nazionali e regionali, che ieri ha visitato la Casa circondariale di Agrigento, nel quadro dell’iniziativa nazionale “2° Ferragosto in carcere” proposta dai radicali e da tutti i gruppi parlamentari presenti alla Camera dei Deputati. La delegazione era formata da Angelo Capodicasa, Vincenzo Fontana, Giacomo Di Benedetto ed Emilio Messana. Doveva esserci pure Benedetto Adragna, ma all’ultimo minuto, per sopraggiunti problemi personali ha dovuto rinunciare. Dopo un incontro con il direttore e con gli operatori dell’istituto penitenziario, la delegazione ha visitato un’ala della casa circondariale di contrada Petrusa. Carenza di personale e sovraffollamento sono le emergenze segnalate all’attenzione della delegazione istituzionale. Una situazione simile agli altri istituti di pena dislocati lungo la Penisola. Nel carcere agrigentino, secondo i dati forniti dal Dipartimento degli agenti penitenziari, al 10 di agosto, alla casa circondariale di contrada Petrusa, erano rinchiusi 466 detenuti a fronte di una capacità massima di 260. Ma si è arrivati quest’anno a punte di quasi 500 detenuti: il doppio del previsto. Gli stranieri, comunitari e non, rappresentano la metà della popolazione detenuta presso il carcere agrigentino. Le donne della sezione femminile sono una trentina. “ Sovraffollamento ma anche carenza d’organico, anche se la mancanza di personale è dovuta - ha detto Angelo Capodicasa - anche al blocco delle assunzioni. Da qui a fine anno andranno in pensione diversi agenti. Poi c’è il fenomeno dei suicidi. Il carcere agrigentino, come è avvenuto in altre case circondariali italiane, è stato scosso da una serie di tentati suicidi in cella, sventati in tempo dagli agenti penitenziari. Dopo la stagione estiva - ricorda Vincenza Fontana - come anticipato alcuni giorni fa il ministro Alfano potrebbero esserci delle novità, che porterebbero a condizioni più ragionevoli. La visita di si pone come obiettivo di verificare la situazione all’interno della Casa circondariale, il confronto con tutte le realtà operanti nell’istituto di pena, in primis il personale di custodia, che svolge efficacemente il proprio compito nonostante le croniche carenze di organico, oltre alle difficoltà relative al sovrappopolamento”. “Ferragosto in carcere si propone di accendere i riflettori su tutta la comunità penitenziaria che sta vivendo un anno particolarmente difficile - concludono Messana e Di Benedetto - mai in passato i detenuti ristretti nelle nostre carceri sono stati così tanti e il personale di ogni livello così ridotto nel suo organico”. Puglia: Vendola; il Garante regionale dei diritti dei detenuti sarà nominato a settembre La Repubblica, 14 agosto 2010 Il governatore pugliese, in vacanza nel Mediterraneo, ha rotto il silenzio per accogliere l’appello del presidente dell’associazione “Nessuno tocchi Caino”, Sergio D’Elia, al termine di una visita nel carcere di Brindisi insieme al leader radicale Marco Pannella. “Nella prima riunione utile di settembre - assicura Vendola - la giunta proporrà la terna di candidati alla carica di Garante dei detenuti della Puglia così come previsto dalla legge regionale”. Vendola ha anche invitato Pannella a partecipare alla seduta del consiglio regionale che dovrà eleggere questa figura prevista da una legge regionale del 2006. “Chiedo al presidente del consiglio regionale Onofrio Introna e ai capigruppo dei partiti di maggioranza e di minoranza, della cui sensibilità verso questi temi sono certo - aggiunge Vendola - di mettere all’ordine del giorno quanto prima, l’elezione del Garante. Il mio impegno - conclude Vendola - è massimo in questa battaglia di civiltà. Davanti a situazioni di illegalità diffusa che attraversano le nostre carceri, siamo tutti chiamati ad assumerci la nostra responsabilità”. La visita di Pannella e D’Elia nel carcere di Brindisi è di tre giorni fa. E in quella circostanza, il presidente dell’associazione che si batte i diritti dei detenuti e il leader radicale, avevano verificato quanto “esplosiva” fosse la situazione nelle carceri italiani con un sovraffollamento che vede gli istituti di pena pugliesi tra i primi nella classifica nazionale. “Siamo ormai a quasi 70 mila detenuti - ha detto D’Elia - e la Puglia è la seconda regione in quanto a sovraffollamento e chiedo a Vendola di istituire questa figura che non è garante solo per i detenuti, ma che serve a garantire la vita della comunità penitenziaria e quindi anche degli operatori delle carceri”. Pannella aveva ricordato che la legge consente “l’accesso alle carceri non solo ai politici, ma anche gli ecclesiastici, ai rappresentanti di tutte le religioni e ai magistrati”. Intanto, tra i parlamentari pugliesi, Pierfelice Zazzera dell’Italia dei Valori ha annunciato di aderire all’iniziativa “Ferragosto in carcere” proposta da Radicali Italiani. In due giorni il deputato pugliese visiterà due carceri: quello di Altamura questo pomeriggio, e domani mattina quello di Lucera. Calabria: Golfo (Pdl); il piano del Governo risolverà la situazione delle carceri regionali Il Velino, 14 agosto 2010 “La mia visita oggi vuole essere non solo una presa di coscienza diretta della situazione delle carceri calabresi ma anche un impegno a seguirne l’evoluzione. Credo sia fondamentale assicurare a questi detenuti quelle condizioni di umanità che non solo rappresentano un indice elementare di rispetto della dignità umana ma anche uno strumento per il loro pieno recupero sociale”. Sono le dichiarazioni di Lella Golfo, deputato Pdl, che aderendo alla campagna bipartisan “Ferragosto in carcere” è oggi in visita ai carceri di Reggio Calabria e Palmi. “I tredici istituti penitenziari calabresi presentano un indice medio di sovraffollamento del 71,2 per cento. Ho appena visitato il penitenziario reggino di San Pietro, con particolare riguardo per la sezione femminile e, pur trovandolo dignitoso nella tragedia, è innegabile che registri un sovraffollamento non più accettabile. Per questo, da parlamentare, mi sono impegnata a verificare e seguire lo stato dell’arte del nuovo penitenziario di Arghillà. È stato terminato nel 2005, pronto a ospitare fino a 300 detenuti ed è costato più di 90 milioni di Euro. Potrebbe quindi risolvere la situazione carceraria del reggino ma a quanto pare non viene utilizzato perché manca la strada per accedervi, o meglio esiste un tortuoso sentiero asfaltato che passa tra i vigneti della zona, un percorso ritenuto ‘non idoneo per il trasporto dei detenuti’”, ha detto l’esponente Pdl. “Da calabrese che ama la sua terra, non posso che prendere a cuore simili criticità ma sono anche sicura che il piano carceri varato dal governo e finanziato con 600 milioni avrà effetti importanti anche per gli istituti penitenziari della mia regione. Il piano, dichiarando lo stato di emergenza, segnala l’impegno concreto dell’esecutivo su questo fronte e contiene una serie di misure concrete che puntano a elevare la capienza totale degli istituti penitenziari e a ricorrere a misure deflattive quali la norma dei ‘domiciliari’ per l’ultimo anno di pena residua e l’impiego di detenuti in lavori di pubblica utilità”, ha sottolineato Golfo, aggiungendo che “non bisogna nemmeno dimenticare i casi virtuosi, come il carcere ‘Luigi Dagà di Laureana di Borrello, l’unico in cui viene attuata la custodia attenuata. Qui sono rinchiuse persone condannate per la prima volta, che hanno sottoscritto un impegno con lo Stato a non reiterare il reato e che svolgono un’attività lavorativa in settori come la falegnameria, ceramica e florovivaismo. L’istituto rappresenta, quindi, non solo una possibilità occupazionale in un territorio tradizionalmente povero, ma una chance concreta per i giovani detenuti, ragazzi che vanno dai 18 ai 24 anni, e che rappresentano il 50 per cento dell’intera popolazione carceraria calabrese, a cui è offerta una grande opportunità di reinserimento nella società. È un progetto importante non a caso diretto da una donna, Angela Marcello, a cui l’anno scorso abbiamo voluto consegnare il premio Marisa Bellisario. Ecco, questi esempi dimostrano che tanto deve essere fatto - ha concluso la parlamentare - ma che la via giusta può essere trovata e realizzata”. Sicilia: Apprendi (Pd); Odg per trasferimento alla Regione di competenze su sanità penitenziaria Il Velino, 14 agosto 2010 “Una commissione paritetica Stato - Regione, ministero affari regionali, si occuperà di stilare il testo contenente le norme di attuazione per trasferire al servizio sanitario regionale funzioni, risorse, attrezzature e rapporti di lavoro che riguardano l’assistenza sanitaria ai detenuti. Lo prevede un ordine del giorno presentato dal deputato regionale siciliano del Pd, Pino Apprendi e approvato nella seduta d’Aula del 28 luglio scorso. L’odg segue un decreto del presidente del consiglio dei ministri del 2007 con cui si è proceduto al “trasferimento alle Regioni delle funzioni sanitarie relativamente agli istituti penitenziari”. “L’ordine del giorno - precisa Apprendi - impegna anche la giunta a fare valere le funzioni assegnate al garante regionale dei diritti dei detenuti che la Sicilia ha istituito per legge, ma che in Italia non è ancora stato realizzato. L’analisi ed i dati forniti dai diversi osservatori istituzionali circa la situazione carceraria - continua Apprendi - registrano una presenza di circa 66 mila detenuti a fronte di una capienza di 43 mila distribuiti nei 206 istituti penitenziari d’Italia; un dato che statisticamente cresce con una media di circa mille nuovi ingressi al mese. In queste condizioni, lo stesso governo di Roma con un decreto del 13 gennaio scorso ha dichiarato lo stato di emergenza”. “Visto che in Sicilia esiste una struttura e un garante regionale dei diritti dei detenuti, mentre in campo nazionale non è ancora stata approvata una legge che istituisca lo stesso organismo, è arrivato il momento di dare il via, nell’Isola, ad una commissione paritetica in grado di stilare le norme di attuazione e di dare potere esecutivo alle istituzioni”. Napoli: Poggioreale; qui dentro viviamo come bestie, ammucchiati, non ce la facciamo più di Conchita Sannino La Repubblica, 14 agosto 2010 Nell’istituto di pena più affollato d’Europa, ieri anche il detenuto-barbiere indossa il camice inamidato per le visite istituzionali. Inferno Poggioreale. Nel carcere più affollato d’Europa, ieri anche il detenuto-barbiere indossa il camice inamidato per le visite istituzionali. “Qui dentro - mormora al deputato Idv Francesco Barbato - viviamo come bestie, ammucchiati, non ce la facciamo più”. Polveriera carcere. Dove persino l’indagato faccendiere della cosiddetta “P3”, l’ex assessore Arcangelo Martino, offre il suo show, da una cella del centro clinico: “Il criminale sarei io? Che schifo di politica. Basta con questo smidollato di Berlusconi”. La temperatura arroventa i letti a castello, in 8 o in 10 in una cella è difficile trovare l’angolo meno torrido. E quando la depressione picchia duro, gli operatori devono fare miracoli, perché i fondi per il personale e l’assistenza sono falcidiati dal governo. Mentre, per paradosso, vengono cancellati i 3 milioni di euro stanziati dalla precedente giunta regionale per gli interventi strutturali e sociali nei vari istituti in Campania. Il fallimento della politica penitenziaria italiana ha Napoli per epicentro, Poggioreale per simbolo, e per incarnazione quei cuscini impregnati di sudore notte e giorno; e le facce di quei 2.502 uomini nell’istituto che dovrebbe ospitarne non più di 1.385. E il picco è atteso tra settembre e ottobre quando, alla ripresa dei processi, torneranno ad essere “parcheggiati”, nel carcere che già esplode, altre centinaia di detenuti provenienti da altre sedi, ma imputati nelle aule giudiziarie del distretto. Voci dai padiglioni, ieri, di fronte al taccuino del deputato del’Idv Francesco Barbato, testa d’ariete degli assalti dipietristi, ma anche puntuale osservatore delle condizioni dei detenuti, eccellenti e non. Giovanni Esposito, da Quarto, chiede: “Onorè, guardate in quali condizioni stiamo. Diteci che lo stanno facendo apposta per dare un indultino”. Carmine Marmo, da Caivano, ammette: “In carcere ho imparato a ragionare e a pensare”. Gaetano Fiorentino mostra disincanto: “Passerà Ferragosto e passa pure l’attenzione per noi, che siamo come animali”. Sul corridoio del centro clinico, scoppia lo sfogo di un detenuto che esibiva potere e amicizie importanti. In pigiama celeste, mani alle sbarre, ecco Arcangelo Martino, ex assessore socialista, poi imprenditore, oggi in carcere perché accusato - con Pasquale Lombardi, Flavio Carboni e il coordinatore Pdl Denis Verdini - di aver partecipato all’associazione sovversiva “P3” e di aver provato a ostacolare, con dossier infamanti, la corsa elettorale del governatore Caldoro. “Io sarei il criminale?”, chiede Martino provocatorio. È quasi uno show. “La politica degli onesti sta fuori e io dentro? Quello smidollato sta ancora lì...?”. Barbato non fa in tempo a interrogarlo: “Chi, Berlusconi?”. Martino dice sì, aggiunge. “Digli a Di Pietro che voglio venire con voi. Voglio raccontare tutto, è da un mese che voglio parlare...”. Circostanza che tuttavia non risulta al suo avvocato Giuseppe De Angelis. Il direttore di Poggioreale, Cosimo Giordano, si affretta a contenere tali esternazioni. “Non può parlare dei procedimenti”, ricorda. E Martino continua: “Io sto parlando della politica in genere, della porcheria che è diventata la politica in questo paese”. Considerazioni che arrivano dall’uomo che, secondo la pubblica accusa, aveva collaborato alla “costruzione” di un dossier calunniatorio contro il candidato alla Regione che faceva ombra al suo sodale (co-indagato) Nicola Cosentino. Aggiungerà Barbato: “Martino mi ha detto, testuale: “Io voglio parlare, dirò tutta la verità”. E se Martino parla della P3, povero Berlusconi, altro che casa di Montecarlo”. Qualche ora più tardi, Barbato fa tappa a Pozzuoli, accolto dalla direttrice Stella Scialpi. Un istituto tra il sovraffollamento e i conti che strozzano progetti e sogni di riscatto. Dopo “Lazzarella”, il caffè commercializzato dalle detenute, un altro progetto di attività rieducativa che aveva assorbito investimenti viene stoppato dall’austerity. “Sono quattro i punti su cui è crollata l’azione del governo sulle carceri - sottolinea Barbato -. Il sovraffollamento che manda in tilt il sistema; la mancanza di spazi per attività di lavoro e socialità; la mancanza di fondi, visto che il ministro Alfano nel 2010 ha decurtato selvaggiamente le ore di straordinario, a Poggioreale da 109mila a 79mila. E, infine, l’organico carente”. Il bilancio è amaro, e finisce per dar ragione alla tesi del detenuto Giovanni. “Non vorrei che le colpe del governo - analizza Barbato - servissero a precostituire un alibi per varare un altro indultino”. Cagliari: il nuovo carcere è già a “rischio flop”, prima ancora di essere completato La Nuova Sardegna, 14 agosto 2010 A Uta, abbiamo un problema. Anzi due. La nascita del nuovo carcere, quello che manderà in pensione Buoncammino, presenta qualche intoppo. Problema di strutture, che ad oggi non sarebbero adeguate ad accogliere la popolazione carceraria, agenti e detenuti. Ma c’è anche un problema di tempi, che a questo punto slitterebbero rispetto al giugno del 2011, indicata (una speranza?) come data di fine lavori. L’allarme è scattato dopo la visita di routine che è stata effettuata nei giorni scorsi dalla commissione interna del carcere che deve monitorare lo stato di avanzamento del cantiere aperto nella piana di Uta, a due passi da Macchiareddu. Dubbi e interrogativi erano nati in realtà molto prima che iniziassero i lavori, quando si era parlato del trasferimento e del cambio d’uso di Buoncammino, il vecchio carcere che domina uno dei panorami più belli di Cagliari. Più di uno aveva sottolineato la posizione del nuovo carcere non era delle migliori e che forse sarebbe stata necessaria una ricerca un poco più accurata. Era (ed è) evidente però che la scelta era caduta su un terreno che rispondeva innanzitutto ad una esigenza: risparmiare. I terreni costavano poco e l’amministrazione carceraria, attraverso una serie di accordi con gli enti locali, aveva dato alla fine il suo benestare per l’avvio dei cantieri. Oggi dubbi e interrogativi si sono amplificati, tanto da far ricredere su Uta come soluzione migliore per il nuovo carcere. Anche perché poi il risparmio - stabilito che in città e dintorni non esistevano spazi per ospitare struttura adeguate ad una popolazione carceraria vicina alle mille unità - è diventata le regola. Da radio carcere arrivano voci che non lasciano presagire nulla di buono: “È un posto insalubre, dove sarà difficile lavorare. Un esempio? I fumi che arrivano da una vicina fabbrica sono pestilenziali e gli agenti avranno di sicuro difficoltà nei turni quotidiani. E i detenuti? Anche loro soffriranno, ma nessuno ci ha pensato, quasi che non esistesse il dovere di garantire la loro dignità”. Il cantiere va avanti come se nulla fosse ma esiste - a detta della commissione - un evidente problema di spazi: forse non nelle celle che dovranno ospitare i detenuti. “Non staranno sicuramente peggio che a Buoncammino, quattro metri per quattro, sedici metri quadri”. L’allarme riguarda le stanze e le sale dove dovranno lavorare gli agenti di polizia penitenziaria. Sembra - ma la realtà è sotto gli occhi di chi ha visto il cantiere - che si è cercato di risparmiare sugli infissi e che le finestre avranno un’apertura di una cinquantina di centimetri. Una specie di fessura, tanto che qualcuno - senza fare tanta ironia - ha pensato alle vecchie bocche di lupo: “Si è fatta una giusta battaglia di civiltà per evitare che la luce a Buoncammino filtrasse da feritoie strettissime e a Uta rischiamo di trovarci punto e a capo”. Quanto al settore destinato a direttore e funzionari, non ci saranno stanze a sufficienza ad accogliere tutti. E a proposito di soldi risparmiati: “L’amministrazione che trasferimento di ufficio degli agenti costerà una fortuna?”. Insomma, Uta rischia di nascere nell’emergenza e se in corso d’opera non sarà trovata qualche soluzione, è serio il rischio di un carcere nuovo ma con i vecchi problemi. E si affaccia il problema dei tempi. Il direttore di Buoncammino Pala ha fatto una previsione: “Fine lavori giugno 2011; collaudo e poi a inizio 2012, il trasferimento”. “Ottimistico, troppo”, ricorda radio carcere. Ovvero, per chiudere il cantiere se ne riparlerà a fine 2012 e poi nel 2013 si potrà pensare al trasferimento. Altri tre anni di inferno a Buoncammino. Sai che bella prospettiva. Trieste: il direttore Sbriglia; nelle carceri possibile formazione e lavoro, serve la volontà di Kenka Lekovich Il Piccolo, 14 agosto 2010 Mentre prosegue il “Ferragosto in carcere” della commissione di esponenti politici impegnata nel sopralluogo dei 206 istituti penitenziari italiani in agonia, dallo stesso fronte giungono notizie assai più confortanti. È il rendiconto di una ricerca elaborata dal Centro Studi di Ristretti Orizzonti su dati forniti dal Ministero della Giustizia, che illustra le attività trattamentali svolte in carcere tra il 2008 e il 2009. Alcune peraltro già documentate su Youtube con video girati da professionisti interessati all’inclusione sociale. Come il ghiotto reportage a puntate sulle Colombe di Pasqua artigianali confezionate da “Pasticceri dentro”, una vera e propria scuola di alta confetteria che sta dando lavoro e speranza a dozzine di giovani detenuti nel carcere di massima sicurezza di Padova. Iniziativa non dissimile da “Bread & Bar” - letteralmente pane e sbarre - il percorso di avviamento professionale promosso dalla Casa Circondariale triestina e dal Centro di formazione “Opera Villaggio del Fanciullo”, assieme all’associazione Panificatori della provincia di Trieste e molti soggetti del privato sociale. Con un fragrante debutto a morsi di baguette e pagnotte in occasione della Festa Nazionale del Pane svoltasi nelle piazze di tutta Italia a giugno. Ogni anno negli istituti di pena si tengono più di 1.200 corsi scolastici, dall’alfabetizzazione all’università. Nell’anno scolastico 2008 - 2009 gli iscritti sono stati 14.848 (circa il 25% della popolazione detenuta) e 6.399 hanno ottenuto la promozione. E quanto sia determinante la formazione al “lavoro vero” lo dicono i dati sulle recidive. Laddove si è investito seriamente si sfiora a malapena il 3%. Diversamente - vedi l’ultimo indulto del 2007 - 9 persone su 10 tornano a delinquere e quindi dentro. Senza dimenticare che una persona detenuta costa alla comunità 350 euro al giorno, 130 mila l’anno. Progetti quali “Bread & Bar”, sostiene Enrico Sbriglia segretario nazionale del Sindacato direttori penitenziari (Sidipe) a capo della Casa Circondariale di Trieste “sono la prova che quando c’è la reale volontà di lanciare un ponte tra il mondo che sta dietro le mura e la società libera, alla teoria e alle parole, seguono i fatti”. Lo sanno bene i quasi 10 mila volontari che giornalmente entrano nelle carceri a fare un lavoro poco a dirsi titanico nel sostenere 70 mila vite ristrette, di cui ben 25 mila provenienti da culture molto diverse dalla nostra. Torino: Osapp; il 23 agosto alle Vallette un sit-in degli agenti di polizia penitenziaria Adnkronos, 14 agosto 2010 Un sit in di agenti di polizia penitenziaria davanti al carcere delle Vallette di Torino. È l’iniziativa lanciata dall’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria), per il prossimo 23 agosto per chiedere che l’attuale comandante di reparto del “Lorusso e Cotugno”, Gianluca Colella, sia sostituito. Gli agenti manifesteranno nel piazzale di fronte al carcere per chiedere un “urgentissimo intervento inteso a disporre per le procedure propedeutiche a un immediato avvicendamento del comandate di reparto di polizia penitenziaria della casa circondariale di Torino, stante il forte malessere tra il personale”. In una missiva indirizzata al prefetto e al questore il segretario regionale dell’Osapp, Gerardo Romano, spiega che l’organizzazione sindacale “si vede costretta a rivolgersi a organi esterni all’amministrazione penitenziaria a fronte del drammatico e devastante contesto operativo ed organizzativo in cui versa il personale”. La polemica dentro il carcere dura da mesi. In una lettera del 5 febbraio scorso al direttore del carcere, Pietro Buffa, lo stesso Romano segnalava un “clima caldissimo”. “È impensabile - scriveva - che si possa gestire il governo del personale, compito istituzionale delicatissimo, inveendo o peggio ancora esplodendo con frasi che si dovrebbero evitare verso i propri interlocutori, spesso etichettati come incapaci”. “In difetto di tempestive e adeguate misure - proseguiva Romano - l’Osapp si promuove fin d’ora per ogni più opportuna iniziativa di protesta utile a riportare un clima di rispettosa, se non serena, convivenza tra le mura del nucleo operativo e della casa circondariale”. “Non è davvero più possibile sopportare ed attendere oltre. Ci sia concesso di alzare la voce e urlare la nostra indignazione di fronte ad una situazione tanto grave. Il personale - concludeva Romano - va rispettato, e non costretto a subire”. Asti: Osapp; penitenziario sovraffollato e detenuti in protesta da tre settimane Adnkronos, 14 agosto 2010 Sovraffollamento ben oltre i limiti della capacità del penitenziario, con celle che dovrebbero ospitare un detenuto e invece ne ospitano tre, carenza di organico, mancanza di fondi. È il quadro del carcere di Asti, dove è in corso uno sciopero della fame da parte dei detenuti che prosegue dal 26 luglio scorso. Lo portano avanti a staffetta: per tre giorni non mangiano i detenuti di cinque celle, poi quelli di altre cinque, e così via. A denunciare la situazione del penitenziario piemontese è Domenico Favale, segretario provinciale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria), che stamattina ha visitato la struttura. Nel carcere ci sono, spiega Favale, 417 detenuti, contro una capienza regolamentare di 220. Il personale conta 178 tra impiegati e agenti, 30 dei quali distaccati in altre strutture, contro un organico previsto di 249. “C’è una situazione igienica spaventosa, anche per gli agenti di polizia penitenziaria”, denuncia Favale. “Si registrano copiose infiltrazioni d’acqua - aggiunge - e sono violate le norme del testo unico sulla sicurezza sul lavoro. Ascensori e montacarichi non funzionano, costringendo gli agenti a fare su e giù per le scale col materiale, con turni massacranti e dividendosi tra troppi incarichi”. Belluno: sono stato curato male ad una gamba; detenuto per protesta si cuce la bocca Corriere delle Alpi, 14 agosto 2010 Il giovane marocchino si è dato da solo due punti di sutura per iniziare uno sciopero della fame. I motivi dell’incredibile gesto? “Sono stato curato male ad una gamba”. Due punti di sutura “fai da te” per chiudersi la bocca e fare uno sciopero della fame: in segno di protesta. Voleva restare così tre giorni nella sua cella di Baldenich il detenuto marocchino A.S., 26 anni: ce l’ha con l’amministrazione che, a suo dire, non avrebbe fornito le adeguate cure per una pregressa frattura a una gamba che lo straniero aveva subito. Giovedì sera c’è stato bisogno dell’intervento del pronto soccorso dove è stato accompagnato. Sul posto la polizia. Erano le 22.30 circa quando al pronto soccorso del San Martino si presenta il furgone della polizia penitenziaria con un ferito, un detenuto. Il 26enne si era dato due punti sulle labbra per non mangiare: ago e filo li aveva rimediati in cella, quelli di uso comune per i rammendi pratici e veloci che si fanno in carcere su qualche strappo agli indumenti. Lui aveva deciso di protestare e di tenere la bocca chiusa per manifestare tutto il suo dissenso, forse avendo anche ricevuto la notizia secondo cui in questi giorni (a livello nazionale) è prevista la “visita” dei radicali nelle carceri italiane e probabilmente anche a Baldenich. A.S. si lamenta di non avere ricevuto le cure adeguate per una pregressa frattura alla gamba che a suo dire non gli sarebbe stata sistemata a dovere. Il ferito è stato medicato al pronto soccorso: per lui una prognosi di pochi giorni e immediatamente dopo il giovane è stato riaccompagnato nella casa circondariale. È tornato in cella ma del suo caso ora si occupa anche la polizia di stato. Dal pronto soccorso infatti, come di prassi, è partita la segnalazione per cui già giovedì sera una pattuglia del reparto Volante s’è recata al pronto soccorso e ha identificato il marocchino, refertando l’intervento e segnalando il caso alla procura. In carcere a Baldenich, in questo periodo il direttore Immacolata Mannarella è in ferie, a sostituirla la dottoressa Paolini, in missione essendo direttore del carcere di Rovigo. Del caso la dirigente è stata informata ma mantiene il riserbo sui dettagli dell’episodio, limitandosi a confermare che è avvenuto: “Sono stata informata dell’accaduto” spiega la dirigente “non posso spiegare i termini entro i quali si è verificato l’episodio. Certo, i detenuti in cella hanno una certa autonomia”. E disponibilità di alcuni oggetti, i controlli non mancano ma ago e filo l’altra sera sono stati usati per cercare di non mangiare e bere per 3 giorni. Televisione: Sky Tg24 aderisce a “Ferragosto in carcere”, stasera documentario da Rebibbia 9Colonne, 14 agosto 2010 Sky Tg24 aderisce a “Ferragosto in carcere”, l’iniziativa promossa dal Partito dei Radicali per verificare le condizioni di vita nei penitenziari italiani. Le telecamere del canale All News diretto da Emilio Carelli seguiranno le visite di esponenti politici, consiglieri regionali, garanti dei diritti dei detenuti in varie prigioni italiane, da Como a Palermo. Inoltre il canale proporrà un documentario girato nel carcere di Rebibbia. Sovraffollamento, suicidi, violenza e un reinserimento che non funziona. I problemi del sistema carcerario italiano visti con la lente di ingrandimento del più grande penitenziario romano. “Rebibbia, voci dal carcere” è il titolo dello Speciale Sky Tg24 in onda stasera (14 agosto) alle 23.05. Il reportage a cura di Jacopo Arbarello racconterà le problematiche direttamente dalla voce dei detenuti, dei poliziotti e degli educatori che lavorano in prigione. Stati Uniti: pena di morte; 35/ma esecuzione nelle carceri americane nel 2010 Ansa, 14 agosto 2010 Michael Jeffrey Land, condannato per un omicidio nel 1992, è stato giustiziato in Alabama. È la 35ma esecuzione negli Usa nel 2010. L’uomo è deceduto per un’iniezione letale. Land era stato condannato per la morte di Candace Brown, 30 anni. Il cadavere fu ritrovato nel bosco, con una pallottola alla testa, da alcuni passanti, diversi giorni dopo l’uccisione. Land, che ha trascorso 17 anni nel braccio della morte, aveva chiesto la grazia per il comportamento esemplare tenuto in carcere.