Giustizia: tra morti e sovraffollamento, dietro le sbarre lo scandalo cresce ogni giorno di Livia Ermini Il Messaggero, 13 agosto 2010 Una passerella sotto i riflettori mediatici. Viene vista così oggi l’abituale visita di Ferragosto dei parlamentari ai detenuti. Quest’anno tra senatori, deputati e amministratori locali saranno 200. E il giorno dopo la tremenda situazione dei reclusi è immutata. “I politici nelle carceri a Ferragosto sono come i cantanti a Sanremo - accusa Mimmo Nicotra, vicesegretario dell’Osapp, il sindacato autonomo di Polizia. Una moda che aggrava ulteriormente le già precarie condizioni degli agenti, costretti a rinforzare i servizi per fare bella figura, proprio nel momento in cui il personale, già fortemente carente, fruisce delle ferie”. Sintomo che il clima è surriscaldato, le morti arrivano ormai con drammatica cadenza. Due, tre, quattro al mese. Da ogni parte d’Italia. “Scandali” che colpiscono per qualche ora. Poi vengono archiviati. Due giorni fa Riccardo Greco, impiccandosi nel carcere romano di Rebibbia, ha fatto segnare quota 41 alla conta dei suicidi del 2010 (35 impiccati, 5 asfissiati col gas e 1 sgozzato), 14 solo dall’inizio di giugno, secondo i dati dell’associazione Ristretti Orizzonti. In totale, tra malattie e cause da accertare, si arriva nell’ultimo anno a 113 decessi. Dal 2000 i morti di carcere sono stati 1.711, di cui 597 per suicidio. Senza contare le decine di tentativi sventati come a Genova, Piacenza, Locri o Rovereto. Si muore di stenti, di violenza, di abbandono. Si muore in celle di 2 metri x 2 condivise con 5 compagni. In compagnia di topi e scarafaggi. In attesa di un colloquio che arriva dopo 7 mesi, di un educatore. Sì muore soffocati da un’estate che non dà tregua. Che ha trasformato in forni migliaia di prigioni lungo la penisola, da un sovraffollamento che ha dell’inverosimile. Ben 69 mila detenuti rinchiusi in strutture che potrebbero contenerne solo 44 mila. Con un incremento mensile di circa mille unità. La metà (37 mila) in attesa di condanna definitiva. 12 mila 500 stranieri. E un’endemica carenza di personale che non garantisce più la sicurezza all’interno, 6.500 in meno agenti rispetto alla normale pianta organica. A giugno il Comitato di sorveglianza, di cui fanno parte Dap, Ministero della Giustizie e Protezione civile, ha approvato il Piano carceri presentato dal Commissario straordinario Franco Ionta e varalo nel gennaio scorso dal Consiglio dei Ministri che prevede la costruzione dì 11 nuovi penitenziari, dì 20 nuovi padiglioni per ampliare le strutture già esistenti e creare un totale di 10 mila posti in più. I lavori dovranno essere portati a termine entro il 2012. La spesa complessiva dovrebbe essere di 661 milioni di euro, di cui circa 500 milioni provenienti da uno stanziamento “ad hoc” presente nella finanziaria e ì rimanenti 161 dai capitoli dì bilancio ordinario del Dap e dalla Cassa delle Ammende. Prevista anche l’assunzione dì 2mila nuovi agenti dì Polizia penitenziaria. Ma ad oggi nessun cantiere è partito. Le forze dell’ordine sono scettiche. “Finora non abbiamo visto nulla. Siamo preoccupati. Se dovesse scoppiare una rivolta non riusciremmo a contenerla - denuncia il segretario generale del Sappe Donato Capece - ci sono situazioni scandalose come l’Ucciardone di Palermo, come San Vittore dove due sezioni sono inagibili, o Savona, strutture vergognose costruite 120 anni fa in cui è impossibile vivere. Eppure un certo numero di posti c’è già. A Trento esiste una costruzione ultramoderna costata 110 milioni dì euro che non viene aperta perché manca il personale e così ad Ancona dove su 700 posti ne vengono utilizzati solo 100”. In Commissione Giustizia alla Camera sì discute il disegno dì legge voluto dal Ministro della Giustizia Alfano che consente di scontare ai domiciliari pene inferiori ad un anno ai domiciliari. Provvedimento contestato dallo stesso Ministro della Giustizia Maroni che qualche mese fa affermava: “Non siamo in grado di controllare le circa 10mila persone che andrebbero ai domiciliari: la metà è costituita da stranieri e molti sono clandestini, senza casa, dove dovrebbero scontare i domiciliari?”. Intanto il presidente dell’Associazione Antigone per la tutela dei detenuti Patrizio Gonnella chiede l’avvio di una commissione d’inchiesta sulle condizioni dì vita in carcere per fare luce sulle responsabilità di ciascuna morte negli istituti di pena”. Giustizia: torna l’iniziativa “Ferragosto in carcere” per denunciare un sistema ormai al collasso di Kenka Lekovich Il Piccolo, 13 agosto 2010 Nei penitenziari italiani ci sono 23mila detenuti di troppo. Il tasso di affollamento è superiore al 150 per cento. Dall’inizio dell’anno 41 persone si sono tolte la vita dietro le sbarre. Agosto 2010. Nelle 206 carceri italiane vivono 68.121 cittadini privati della libertà. Ben 23.545 oltre la capienza regolamentare di 44.576 persone detenute, pari a un tasso di affollamento superiore al 150%. Oltre il 70% ha un’età tra i 25 e i 34 anni. Gli stranieri, molto spesso con pene che prevedono gli arresti domiciliari - per chi un domicilio ce l’ha - , sono 24.675, il 38% sul totale, di cui 80% irregolari. Dall’inizio dell’anno 41 persone detenute si sono tolte la vita, una ogni 5 giorni, e 400 ci hanno provato ossia 2 al giorno. Il totale dei morti in carcere nel 2010, tra suicidi, malattie e cause da accertare arriva a 113: uno ogni secondo giorno. Soltanto questa settimana se ne contano 3, mentre altre 2 persone sono finite in coma irreversibile. L’anno più nero in assoluto è stato il 2009, con 72 persone recluse morte per suicidio: 12 volte di più in rapporto alla popolazione libera. Nei primi 7 mesi del 2010 si sono uccisi 4 agenti della Polizia Penitenziaria, e il 23 luglio si è dato la morte il provveditore alle carceri della Calabria. In contemporanea con le agghiaccianti notizie sul resoconto della Commissione Marino al termine del suo tour nei 6 Ospedali Psichiatrici Giudiziari italiani. Cinque dei quali da chiudere in tronco. Sono soltanto le cifre più salienti di un collasso che si consuma davanti ai nostri occhi: quello del sistema penitenziario del Bel Paese. Con tanto di sigla del Consiglio dei Ministri che già il 19 gennaio scorso aveva dichiarato l’emergenza carcere. A convalidare il non cessato allarme sarà ora una commissione di deputati, senatori, parlamentari europei e consiglieri regionali di tutti gli schieramenti politici, che nei prossimi 3 giorni a partire da oggi resteranno blindati negli oltre 200 istituti di pena italiani, allo scopo di perlustrarli da cima a fondo. “Ferragosto in carcere”, così si chiama la missione, organizzata per la seconda estate consecutiva in cooperazione con i garanti dei diritti dei cittadini detenuti e con il sostegno di associazioni in prima linea per una giustizia a misura d’uomo. “Possiamo fare un utile monitoraggio per tutti coloro che si occupano di carcere” si legge in una nota diffusa dai promotori. “E, soprattutto, possiamo portare il nostro saluto e la nostra attenzione a tutta la comunità penitenziaria che, ancora una volta pur nelle grandi difficoltà che vive, sta dimostrando un senso di responsabilità encomiabile al quale è doveroso che le istituzioni rispondano con atti concreti che affrontino e risolvano i tanti problemi”. Ma sarà un Ferragosto “in prigione senza passare per il via” anche per i giornalisti, qualora espressamente ingaggiati dagli ispettori. Giornalisti che una volta tanto potranno raccontare all’opinione pubblica le patrie galere rischiando di farlo in presa diretta, bypassando le mille e una burocrazia che normalmente li ostacolano. Con motivazioni non giustificate da alcuna normativa esplicita, al momento. Giustizia: un Ferragosto dentro le carceri, per voltare pagina di Mauro Palma * Il Manifesto, 13 agosto 2010 Nei prossimi giorni più di centosettanta rappresentanti della collettività nazionale, parlamentari, consiglieri regionali, amministratori locali, garanti dei detenuti e anche alcuni magistrati, entreranno a vedere le condizioni di detenzione della quasi totalità degli istituti penitenziari italiani. Una giornata diversa per molti di loro e anche per l’informazione che sarà così chiamata a dare visibilità a un mondo spesso non visibile e non visto. Per il Comitato per la prevenzione della tortura che ha il compito istituzionale di monitorare i luoghi di privazione della libertà nell’esteso territorio europeo, al fine di prevenire situazioni offensive della dignità delle persone in essi ristrette, il contributo della società esterna è elemento essenziale e irrinunciabile. Lo è affinché i diritti fondamentali, spesso enunciati come valori e che riguardano ogni persona, non contrastino con la realtà concreta dei luoghi dove è ancor più forte la necessità della loro affermazione. Per questo vanno ringraziati radicali, promotori di un’iniziativa che vuole essere di conoscenza e di presa in carico del problema; così come vanno ringraziati gli operatori penitenziari che, pur lavorando in condizioni particolarmente difficili - perché la situazione attuale delle carceri italiane ha effetti in chi vi è detenuto, ma anche in chi vi lavora - consentiranno lo svolgimento delle visite. Il fatto che nel gruppo di visitatori siano inclusi membri di forze politiche diverse, di opposizione, ma anche di maggioranza, fa sperare che l’approccio alle misure da adottare sin dal giorno successivo alla visita non trovi schieramenti ideologici opposti, magari accentuati da ricerca di consenso in una società ansiosa. Al contrario che ci si ritrovi uniti nell’adottare quelle soluzioni, da tempo individuate, perché si coniughino in modo diverso l’esigenza di sicurezza, l’uso oculato della privazione della libertà personale e il rispetto dei diritti umani, che sono patrimonio anche di chi ha commesso un reato. E ci si ritrovi altresì uniti nell’inviare messaggi in tal senso alla comunità esterna, facilitando la conoscenza del mondo detentivo e investendo nel sociale affinché non venga richiesto al carcere di risolvere problemi che altrove sorgono e altrove devono trovare risposte. Questo è il senso da dare alle visite. Nella consapevolezza che finora tutto ciò non è avvenuto. E non è avvenuto scientemente, nonostante non mancassero analisi e fotografie di una realtà che andava degenerando, nonché indicazioni di quali provvedimenti legislativi e quali culture erano alla base di quanto si andava sviluppando. Non si può scoprire a ferragosto che la popolazione detenuta è più che raddoppiata rispetto a venti anni fa, mentre non sono mutati gli indici di criminalità; che i posti ufficiali di detenzione sono circa i due terzi di quelli necessari e che l’Italia è stata condannata dalla Corte di Strasburgo un anno fa per violazione di quell’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti umani che stabilisce che nessuno può essere sottoposto a pene inumane o degradanti. Non c’è infatti alcun bisogno oggi di una semplice ulteriore denuncia. La situazione è nota a chi aveva ed ha responsabilità per intervenire. Già da tempo sono state realizzate analisi anche in sede internazionale e sono state inviate ai governi italiani che si sono succeduti, raccomandazioni che però attendono conseguenti risposte concrete. Leggendo i rapporti del Comitato per la prevenzione della tortura sulle sue visite - queste sì ispettive, perché i luoghi da visitare non venivano preventivamente annunciati, come avviene invece nelle visite dei prossimi giorni - ha più volte evidenziato deficienze e distanza tra quanto stabilito da Ordinamento penitenziario e regolamento di esecuzione (adottato nel 2000) e quanto di fatto attuato, nonostante il livello professionale e la dedizione di molti operatori. Ha reiterato le proprie raccomandazioni e ha recentemente organizzato anche una visita speciale - “ad hoc” - centrata sul problema del disagio e sul numero di suicidi in carcere. Numero, questo, che tuttavia ancora recentemente veniva sottovalutato dal sottosegretario alla giustizia con delega al carcere, in sua dichiarazione. Le linee su come intervenire, quindi, sono state già evidenziate. Così come è stato più volte evidenziato che un fattore decisivo del profondo star male che avvolge il mondo penitenziario e che purtroppo porta a volte a decisioni drammatiche, è l’irrilevanza del tema nella discussione politica più generale, l’abbandono teorico e pratico di interesse verso tali istituzioni. L’iniziativa di questo ferragosto ha un significato forte. Ma, lo ha solo nella direzione di segnalare l’intenzione effettiva di voltare pagina; altrimenti rimane un punto in una immutabile rappresentazione. E solo nell’intenzione del voltare pagina, si può leggere positiva la presenza di alcuni visitatori che mai hanno obiettato adottando provvedimenti che predeterminavano la situazione odierna. Quindi, è nell’affermazione della volontà di adempiere pienamente agli obblighi internazionali che concernono la tutela dei diritti delle persone private della libertà che voglio oggi leggere l’iniziativa che si sta avviando. Anche superando - e qui parlo solo dal punto di vista nazionale, come presidente onorario di Antigone - alcune perplessità che un impegno episodico, certo non di chi organizza bensì di chi ogni anno aderisce, suscita; nonché quelle che avrebbero consigliato a mio parere di evitare di includere nel gruppo di autorevoli visitatori del carcere coloro che, stando alle sentenze, potrebbero esservi ospitati. * Presidente del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura, dei trattamenti e delle pene inumane o degradanti (Consiglio d’Europa) Giustizia: quelle carceri dimenticate… di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 13 agosto 2010 A Roma i pensionati Inpdap ricevono dall’istituto un bonus mensile di 300 euro se affittano a 200 euro una stanza di casa a uno studente universitario, ma a una condizione: devono offrire almeno 8 metri quadrati. Non ne garantisce altrettanti lo Stato ai 68.120 detenuti rinchiusi in 44.576 posti, e infatti per questo viene condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo 0 messo in mora dai Tribunali di sorveglianza. È curioso come, benché ad esempio molti dei “no” alla recente mozione per le dimissioni del sottosegretario alla Giustizia Caliendo siano stati motivati con richiami a “garantismo” e “presunzione di innocenza”, nessuno invece badi più a che ben oltre la metà dei detenuti è in carcere non in forza di una sentenza definitiva ma in custodia cautelare; e che ben 14 mila sono senza neanche una prima sentenza e tuttavia in celle (come a Messina anche 8 persone in 12 metri quadrati su letti a castello a quattro piani e una sola malconcia doccia per 36 prigionieri) teatro dall’inizio dell’anno di 40 suicidi riusciti e 73 tentati, 13 evasioni riuscite e 11 sventate, 139 aggressioni ad agenti (sotto organico di almeno 5 mila uomini su 45 mila chiamati). Se l’azienda municipalizzata milanese dei trasporti Atm richiede ai candidati guidatori di bus o tram di non avere precedenti penali o inchieste in corso, ormai sembra invece normale che a legiferare in tema di giustizia siano decine di parlamentari pregiudicati, o condannati in gradi intermedi, o indagati; e che in particolare, attivissimi nel nuovo derby tra “disfattisti” e “irresponsabili” (i finiani secondo i berlusconiani, e viceversa), di queste focose etichette si siano istantaneamente dimenticati andando in vacanza senza prima aver saputo definitivamente varare nemmeno un mini - provvedimento utile al più a far scontare ai domiciliari l’ultimo anno di pena a forse 1.700 - 2 mila detenuti. Puntuale, in compenso, la legge - mancia estiva ha spalmato sui collegi elettorali anche in quest’anno di vacche magre, come giorni fa ha qui raccontato Sergio Rizzo, una spesa pubblica estemporanea di 51 milioni di euro: stridente, ad esempio, proprio con il crollo dei soldi che lo Stato dedica in media alle necessità di un detenuto, dai 198 euro di tre anni fa ai 113 odierni, di cui solo 7,3 per cibo - igiene, 4,7 per acqua - luce, e appena 8 centesimi per trattamento e assistenza psicologica. Il pluri - annunciato piano - carceri (500 milioni dalla Finanziaria e 161 tolti invece ai progetti di recupero sociale dei detenuti nella Cassa delle ammende) se va bene a fine 2012 avrà prodotto 10 mila nuovi posti tra 11 carceri e 20 padiglioni: ma già solo nei sei mesi trascorsi tra la dichiarazione governativa di stato d’emergenza e l’ok al piano - carceri del Comitato di sorveglianza Alfano - Matteoli - Bertolaso i detenuti son cresciuti di 3mila il che vuol dire che alla fine del 2012 i 10 mila nuovi posti costruendi neppure basteranno a pareggiare l’aumento dei detenuti, che saranno ormai 30 mila più dei posti. In queste condizioni il fatto che più di 100 parlamentari raccolgano il rinnovato invito della radicale Rita Bernardini a farsi ispettori delle carceri a Ferragosto sarebbe notizia confortante. Ma a patto che non si limitino a passeggiare. Giustizia: che fine ha fatto il piano carceri? Avvenire, 13 agosto 2010 Un giro di vite non serve, servono fondi adeguati. I sindacati penitenziari concordano: questa doppia evasione di detenuti addetti alle pulizie non deve mettere in discussione l’impegno del carcere di Bollate per un trattamento impostato alla rieducazione. Il problema - dicono in coro - sono le risorse carenti. E “l’oceano di impegni assunti e non mantenuti dal governo Berlusconi e dal ministro Alfano”, come sintetizza la Uil Pa. L’evasione facile dei due di Bollate - 11 detenuti al lavoro in una caserma di 10 piani controllati da un solo agente - riaccende il dibattito sull’inadeguatezza delle risorse per una realtà afflitta da sovraffollamento patologico, pesanti carenze nell’assistenza sanitaria, insufficienza cronica di personale (di vigilanza e rieducativo) da anni sotto organico. Il segretario generale della Uil Pa, Eugenio Sarno, non ha dubbi: “Il precipitare della situazione è direttamente proporzionale” alle promesse disattese dell’esecutivo. Quali? “L’inutile dichiarazione dello stato di emergenza, l’indefinito piano carceri, le (soltanto) annunciate assunzione”. Bollate non è un’eccezione. Il sovraffollamento in Lombardia - spiega - è al 60%: 9.071 detenuti stipati in 5.667 posti. San Vittore, Opera e Monza le situazioni più a rischio. Nel 2010 nella regione ci sono state 4 evasioni, 5 suicidi, altri 7 sventati, 18 ferimenti di agenti. Per la Uil Pa però “non va messa in discussione la vocazione trattamentale di Bollate”, ma “certi percorsi di reinserimento e risocializzazione non debbono prescindere da adeguati livelli di sicurezza. La realtà però è fatta di tagli sul bilancio”. “Un episodio grave che non può intaccare la positiva funzionalità del progetto Bollate, impostato sul dettato costituzionale della rieducazione - concorda Donato Capece del Sappe - ma il trattamento è sicurezza”. Polemico anche l’Osapp: “La questione penitenziari è legata alla problematica della sicurezza pubblica. Ma quando il ministro Alfano e il capo del Dap se ne accorgeranno, sarà sempre troppo tardi”. Giustizia: parlamentari in visita alle carceri… seguite i suggerimenti di Ristretti Orizzonti di Luca Liverani Avvenire, 13 agosto 2010 Duecento parlamentari oggi e domani andranno di persona a constatare i mille problemi dei penitenziari italiani. Sono di maggioranza e opposizione i deputati, senatori e consiglieri regionali di tutti i partiti che, assieme ad alcuni euro parlamentari e magistrati, hanno aderito all’iniziativa “Ferragosto in carcere 2010”. Un esercito di “ispettori” volontari che visiteranno ben 216 istituti in tutta Italia. L’iniziativa, giunta alla seconda edizione, è promossa dai Radicali assieme a un gruppo “bipartisan” di deputati. Per l’occasione Ristretti Orizzonti offre consigli mirati per una “visita informata”: colloqui con i familiari, assistenza sanitaria, celle e servizi igienici gli ambiti da controllare. Senza dare per scontata - ricorda il sito di cultura e informazione sul carcere - la disponibilità di acqua calda, lo stato delle lenzuola, la qualità del vitto. A lanciare “Ferragosto in carcere” ci sono i capigruppo in commissione Giustizia alla Camera, Matteo Brigandì (Lega), Enrico Costa (Pdl), Donatella Ferranti (Pd), Elio Vittorio Belcastro (Gruppo misto), Federico Palomba (IdV) e Roberto Rao (Udc). Tra le tante adesioni anche i democratici Olga D’Antona, Giovanni Bachelet e Pierluigi Castagnetti, il finiano Benedetto Della Vedova, e nel Pdl Enrico La Loggia e Marcello dell’Utri. E sulla partecipazione di Dell’Utri - a giugno condannato in appello a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa - interviene polemicamente Mauro Palma, presidente onorario di Antigone e del Comitato europeo prevenzione tortura del Consiglio d’Europa. Forse, dice Palma, sarebbe stato più opportuno “evitare nel gruppo di autorevoli visitatori del carcere coloro che, stando alle sentenze, potrebbero esservi ospitati”. “Mi sembrano osservazioni di poco conto - replica Dell’Utri - e ognuno vede quanto siano inutili come affermazioni. Come posso rispondere a cose così insignificanti?”. Il senatore del Pdl sarà in visita al carcere di Como e non è la prima volta: “Lo faccio sempre - dice Dell’Utri - sono stato a San Vittore, al Beccaria, a Benevento dove ho fatto recitare l’Apologia di Socrate... Io mi sono sempre occupato della condizione dei detenuti. Bisognerebbe che ci andassero tutti, perché il problema dei carcerati è un problema fin troppo trascurato”. I promotori sottolineano che mai in passato i detenuti in Italia “sono stati così tanti, ben 68.206, e il personale di ogni livello così ridotto nel suo organico. Ciò ha comportato e comporta che oggi, più che nel passato, il carcere sia sempre di più e spesso esclusivamente il luogo della pena, che poco o niente ha a che vedere con quanto sancito dall’articolo 27 della Costituzione italiana, secondo il quale - ricordano - le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Ristretti Orizzonti suggerisce dunque come scongiurare visite istituzionali superficiali. Prima tappa, gli ambienti per i colloqui familiari: adeguatamente ventilati, per evitare che caldo e sovraffollamento vanifichino l’incontro trasformandolo in un momento di stress. Da controllare anche l’infermeria, se è adeguatamente attrezzata e assolve “senza ritardi” le richieste di visite. Ogni sezione poi deve avere un defibrillatore, funzionante. Le celle devono avere “non meno di 15 metri quadri per quattro detenuti” Da verificare infine se c’è un “ascolto adeguato” per la prevenzione dei suicidi. Giustizia: Cosentino e Dell’Utri vanno in carcere, ma per denunciare l’emergenza di Claudia Fusani L’Unità, 13 agosto 2010 Le visite cominciano stamani e vanno avanti domani e domenica. Tra i 195 che hanno aderito all’iniziativa Radicale anche 5 garanti dei detenuti, 2 euro parlamentari, 2 magistrati, un procuratore generale. Le vie della coscienza conoscono strade infinite e percorsi imperscrutabili. Di fronte ai quali possiamo solo fermarci e osservare. Magari stupirci, mai dare giudizi. Capita così di osservare che, in occasione della tradizionale visita di mezza estate nelle carceri italiane organizzata dai Radicali, nella lunga lista di 195 tra deputati senatori e consiglieri regionali che dedicano alcuni giorni delle loro vacanze a toccare con mano il disastro umano e civile dei nostri penitenziari compaiono anche i nomi dell’onorevole, ex sottosegretario, Nicola Cosentino. E del senatore Marcello Dell’Utri. Sul primo, costretto alle dimissioni da sottosegretario all’Economia per via dell’inchiesta sulla P3 in cui è indagato, pende una richiesta di arresto per concorso esterno in associazione mafiosa che è stata respinta a novembre scorso dalla Camera dei Deputati. Il secondo è stato destinatario poco più di un mese fa di una condanna in secondo grado a 7 anni per lo stesso reato, concorso esterno in associazione mafiosa. Bene. Sia Cosentino che Dell’Utri hanno deciso di voler aderire all’iniziativa Radicale. Il primo andrà a Secondigliano, il secondo a Como. È la prima volta, per entrambi. Si vede che il disastro in cui sono costretti a vivere i 68 mila detenuti - ventimila in più rispetto alla capienza - è tale per cui anche i più, finora, distratti rispetto all’argomento, si sono messi una mano sulla coscienza e hanno deciso di andare a vedere. Almeno per capire cosa si può fare per restituire un po’ dignità a chi, pur avendo sbagliato, non può certo vivere come bestie. Il livello di civiltà di un paese si misura anche dal livello di civiltà dei suoi penitenziari: se è vero questo, l’Italia è un paese incivile. Fuori dalla Costituzione laddove la Carta recita che la pena serve a rieducare e a recuperare. I Radicali lo sanno, è un tema che vanno denunciando da sempre e in questi ultimi due anni sempre di più anche in Parlamento perché i numeri, oramai, raccontano di un sistema, quello carcerario ben oltre il collasso e che solo per un miracolo, dei detenuti e degli agenti penitenziari, non è ancora sfociato in una rivolta che ogni giorno manda segnali: piccola rivolte, incidenti, agenti feriti e aggrediti. Un numero, più di tutti: 41 i detenuti suicidi (35 impiccati, 5 asfissiati col gas e 1 sgozzato), mentre il totale dei detenuti morti nel 2010, tra suicidi, malattie e cause da accertare arriva a 113. Negli ultimi 10 anni i “morti di carcere” sono stati 1.711, di cui 597 per suicidio. Nei 206 istituti di pena italiani sono previsti 44.576 posti ma ci vivono reclusi in 68.121 di cui 24.667 stranieri. Negli ultimi due anni sono stati presentati vari piani straordinari ma nessuno è andato a buon fine. Otto mesi fa è stato dichiarato lo stato di emergenza. Giustizia: Bernardini; istituti di pena affollati e tagli alla spesa, il governo ha fallito di Gioia Salvatori L’Unità, 13 agosto 2010 La deputata radicale: molti detenuti vivono ormai in condizioni disumane. Occorre puntare su pene alternative e dare ai reclusi la possibilità di lavorare. Morti sospette, sovraffollamento, suicidi, baby detenuti innocenti in cella al seguito delle madri. I mali delle carceri non guariscono, anzi. Da Poggioreale a San Vittore dall’Ucciardone a Secondigliano e Sulmona, i numeri raccontano i fallimenti del sistema carcerario italiano. Pochi soldi, poco personale, troppi detenuti. “Molte madri di carcerati morti durante la detenzione, ci hanno chiamato dopo il caso Cucchi per chiederci di indagare sulla fine dei loro figli” dice Rita Bernardini, deputata radicale eletta nelle liste del Pd. Contro i mali della prigione, per un carcere più umano, da oggi e fino a domenica, 200 parlamentari e consiglieri regionali italiani ispezionano 216 istituti penitenziari in tutta la Penisola. Aderiscono alla seconda edizione dell’iniziativa dei radicali “Ferragosto in carcere”. Rita Bernardini sarà in sei istituti siciliani. Qual è la più grave pecca da parte delle istituzioni? “Lo Stato che va contro la Costituzione contravvenendo all’articolo 27, che dice che il carcere deve rieducare. In Italia invece l’80 per cento dei detenuti quando esce torna a delinquere. Questo per via delle condizioni disumane di detenzione. Questa legislatura ha delle colpe: i tagli sulla spesa per detenuto, coi costi giornalieri di mantenimento calati di tre euro in due anni (da 10, 80 a 7, 80 euro), l’approvazione di leggi affolla carceri e lo svuotamento del ddl Alfano sulle pene preventive: scritto dal ministro dopo un nostro sciopero della fame, ad ora è lettera morta”. Cosa servirebbe contro il sovraffollamento e contro la recidività? “Pene alternative alle detenzione che significa dare la possibilità ai carcerati di lavorare: in Italia hanno l’opportunità di farlo solo 15mila detenuti, in Francia lo fanno in 250mi - la e in Gran Bretagna in 300mila, tanto per descrivere la nostra arretratezza. Poi servono norme contro la carcerazione preventiva da approvare forti di un dato: che il 50 % dei carcerati in via preventiva viene poi dichiarato innocente”. Il senatore Marcello Dell’Utri visiterà il carcere di Como e l’ex sottosegretario Nicola Cosentino quello di Secondigliano. Che ne pensa della loro adesione? “Attraverso le commissioni giustizia abbiamo invitato tutti i parlamentari ad aderire, nessuno si è opposto a che invitassimo anche Dell’Utri e Cosentino e io dico grazie anche a loro due per aver aderito. I parlamentari hanno l’importante prerogativa di ispezionare le carceri e loro due non l’hanno persa”. Giustizia: a settembre la Commissione parlamentare su errori sanitari visiterà le carceri Il Velino, 13 agosto 2010 “Nell’esprimere apprezzamento e condivisione per le visite di numerosi parlamentari nelle carceri italiane in occasione del ferragosto, il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta su errori e disavanzi sanitari, Leoluca Orlando, ha comunicato che l’Ufficio di presidenza della Commissione di inchiesta, dopo aver avviato una specifica indagine sulla tutela della salute e sulle condizioni di vita nelle carceri italiane, ha fissato un primo e organico programma di visite in alcuni istituti penitenziari sul territorio nazionale, che avranno luogo alla ripresa dei lavori parlamentari dopo la pausa estiva”. È quanto si legge in una nota. “Con riserva di successiva conferma, questo il calendario di massima individuato dall’Ufficio di Presidenza, lo scorso 28 luglio, per lo svolgimento di tali missioni: lunedì 27 settembre 2010: visita al carcere di Opera (Lombardia); venerdì primo ottobre 2010: visita al carcere di Sollicciano (Toscana); lunedì 11 ottobre 2010: visita al carcere Ucciardone - Pagliarelli (Sicilia); lunedì 25 ottobre 2010: visita al carcere di Poggioreale (Campania). Sono stati altresì previsti sopralluoghi nel carcere romano di Rebibbia, nella struttura di Laureana di Borrello (Rc), che avrà luogo nell’ambito della missione a Reggio Calabria prevista nella prima settimana di lavoro parlamentare dopo la pausa estiva e, infine, nelle strutture di Bari e Trani, in occasione della nuova missione che la Commissione effettuerà in Puglia, come convenuto nel corso della recente visita a Castellaneta (Ta)”. “La tutela della salute dei detenuti e, più in generale, nelle carceri - ha commentato il presidente della Commissione Leoluca Orlando - deve essere nella agenda delle attenzioni delle istituzioni parlamentari e di governo”. Giustizia: Marino (Pd); dopo il caso Cucchi cambiano protocolli su ricovero detenuti Il Velino, 12 agosto 2010 “Nessuno potrà restituire Stefano Cucchi alla sua famiglia. Ma adesso si potrà evitare che altri casi come quello del giovane morto all’ospedale Sandro Pertini di Roma, a una settimana dal suo arresto per possesso di droga, accadano nuovamente. In seguito alle indicazioni della Commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, il ministro della Giustizia Angelino Alfano mi ha comunicato, con una sua lettera ufficiale, che i correttivi introdotti nel protocollo organizzativo della struttura protetta del Sandro Pertini saranno estesi a tutte le strutture protette italiane”. A renderlo noto il presidente della Commissione, Ignazio Marino (Pd). “In altre parole - spiega Marino - se al momento del ricovero di Stefano Cucchi vi era di fatto la proibizione di comunicare con i familiari, in caso di aggravamento di un paziente detenuto, da oggi il medico, di fronte a una persona privata della libertà, potrà fare ciò che ogni medico pratica con ogni paziente: nel momento dell’aggravamento l’assiste e immediatamente dopo informa i familiari delle condizioni cliniche del loro caro. Fino ad oggi per fare questo c’era la necessità di un permesso del magistrato di sorveglianza, richiesto attraverso il carcere. Occorrevano giorni. Ora bastano minuti. In seguito a quella drammatica vicenda, in qualità di presidente della Commissione d’inchiesta sul Ssn - ha ricordato Marino - avevo chiesto una modifica del protocollo organizzativo della struttura di medicina protetta che aveva ospitato Stefano Cucchi. Ciò è avvenuto al Sandro Pertini e già questa mi è parsa una grande e importante novità, per tutti i detenuti che in quell’ospedale saranno ricoverati. Ma il fatto che tali modifiche siano estese a tutte le strutture credo sia davvero un fatto importante per tutti coloro che prima di tutto sono persone, e poi carcerati”. Giustizia: il Garante Fleres; fare luce su morte detenuto a Palermo Ristretti Orizzonti, 12 agosto 2010 “Apprendo del decesso di Dino Naso con immenso dispiacere e alla famiglia inoltro le mie più sentite condoglianze”. Lo afferma il senatore Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti, che aggiunge: “Ho già chiesto all’Ucciardone (carcere palermitano ndr.) di poter disporre di una dettagliata relazione sui fatti accaduti in modo da fare luce su questo triste episodio, riservandomi di intraprendere tutte le azioni utili, ivi compresa la costituzione di parte civile in un eventuale procedimento giudiziario, affinché, ove risultassero omissioni, esse possano essere valutate da chi di competenza”. Fleres ribadisce poi la necessità che “la Regione proceda con la massima celerità per aumentare il livello di assistenza medica all’interno delle carceri”. Giustizia: mancano agenti penitenziari, il ministero schiera i pensionati volontari La Stampa, 13 agosto 2010 Se gli agenti della polizia penitenziaria sono pochi, che si ricorra pure ai pensionati. È una convenzione sottoscritta dal ministero della Giustizia con un’associazione di “secondini” pensionati (aderenti tuttavia a un unico sindacato, il Sappe), che consente questa possibilità. L’accordo è del luglio scorso e proprio in questi giorni, presso il carcere di Reggio Calabria, è entrato in “servizio volontario” un ispettore in pensione. “Si tratta di un’iniziativa disastrosa - lamenta il segretario del sindacato Osapp, Leo Beneduci - e di un caso pressoché unico di parzialità, predilezione e cogestione, nel panorama sindacale italiano. Detti pensionati - continua il leader sindacale - potranno essere chiamati a svolgere incarichi ufficiali all’interno degli istituti penitenziari. L’assurdo è tale che già le iniziative sono in corso, come a Reggio Calabria dove, in mancanza di addetti di polizia penitenziaria, un pensionato sarà per tre giorni a settimana nell’apposito ufficio del carcere, per distribuire gli effetti di vestiario e casermaggio agli agenti in servizio”. Questa novità, peraltro, emerge nel weekend in cui la politica dedica una particolare attenzione ai problemi del nostro sistema penitenziario. Da oggi fino a domenica, infatti, per iniziativa dei Radicali, 195 tra parlamentari e consiglieri regionali entreranno nelle 170 carceri italiane per verificarne di persona le pesantissime carenze. I numeri dicono tutto: i detenuti sono quasi 70 mila (68.206, ma in costante crescita) in uno spazio che ne potrebbe ospitare al massimo 43 mila. Solo questo fenomeno numerico trasforma di per sé le celle in luoghi che nulla hanno a che vedere con quanto sancito dall’articolo 27 della Costituzione, secondo il quale “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. In sostanza le carceri italiane sono diventate un inferno: negli ultimi dieci anni ci sono stati quasi 600 suicidi, di cui 40 solo in questo scorcio di 2010 (34 impiccati, 5 asfissiati con il gas, 1 si è tagliato la gola). Da gennaio a oggi, inoltre, si sono uccisi anche 4 agenti di custodia e il provveditore alle carceri della Calabria: l’inferno, insomma, si trasmette anche a chi ci lavora. Il mese scorso è stato approvato un piano carcerario straordinario che prevede di realizzare a spron battuto (dato che è stato nominato a questo scopo un commissario, nella persona del direttore del dipartimento Franco Ionta) 11 nuovi istituti di pena per un totale di 20 padiglioni. Spesa stimata: 671 milioni. “Ma anche se questi nuovi istituti dovessero essere pronti tra un anno o due - dice Beneduci - resta il drammatico problema dell’organico della polizia penitenziaria. Oggi siamo quasi 40 mila, ma a contatto con la popolazione carceraria siamo meno della metà (19 mila), mentre gli altri svolgono altre funzioni. Questo significa che, considerando i turni di lavoro, ciascun agente ha in media 15 detenuti a cui badare e, considerando ferie, malattie, permessi e simili, si può arrivare a un agente ogni 50 detenuti”. Solo per le nuove carceri, che dovrebbero ospitare quasi 10 mila persone, servirebbero altri 5 mila agenti. Giustizia: per sapere cosa ne pensa la gente delle carceri lo Stato si affida ai sondaggisti La Repubblica, 13 agosto 2010 Il Dap commissiona un’indagine a campione. I sindacati: “Che bisogno c’era?”. Dopo la politica, i sondaggi conquistano le carceri. Fa discutere l’idea del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di commissionare un’indagine demoscopica per conoscere il parere degli italiani sulla gestione degli istituti di pena. Per il numero uno del Dap Franco Ionta, il sondaggio, che sarà presentato a settembre, consentirà al Dipartimento “di intervenire con maggiore incisività nella comunicazione istituzionale”. Ma le condizioni delle carceri, dice il segretario del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria Donato Capece, “sono già sotto gli occhi di tutti, con le cronache del sovraffollamento che ha superato il livello di guardia”. Perplesso per l’iniziativa è anche il senatore Idv Stefano Pedica, che sta lavorando a un dossier dopo avere visitato carceri in tutto il Paese e segnala, tra gli altri, i casi di Sassari (“il soffitto del secondo piano del penitenziario sfondato”) e di Rieti e Viterbo: “Qui, le telecamere di sorveglianza sono guaste da tempo e i direttori delle strutture hanno più volte chiesto le riparazioni. Finora, inutilmente”. Lettera: quelle onorevoli visite alle carceri… di Luisa Prodi (Presidente Nazionale Seac) Avvenire, 13 agosto 2010 Gentile direttore, da qualche anno intorno al ferragosto le carceri italiane vengono visitate da alcuni parlamentari, a cui la legge consente di entrare e di ispezionare l’istituto e di porre domande ai detenuti e al personale. Questa iniziativa, ideata da alcuni onorevoli radicali, si è estesa a esponenti di varie parti politiche e ha il merito di portare alla ribalta almeno una volta l’anno un argomento che media e opinione pubblica tendono concordemente a dimenticare. In effetti non è un argomento piacevole. È un bel peso sulla coscienza di una società sapere che ci sono circa 70.000 persone (poco meno) che vivono in condizioni generalmente inadeguate quanto a spazi, igiene, cure mediche, possibilità di lavoro, di istruzione e di contatti con le famiglie. La cosa appare oltretutto irragionevole, se sì riflette al fatto che questa dovrebbe essere la modalità con cui lo Stato attua l’art. 27 della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Bene, quindi, se i parlamentari che entreranno nelle carceri useranno la loro visibilità e la loro voce per richiamare la coscienza distratta degli italiani in vacanza su una questione così importante. Vorrei a questo proposito sottolineare due aspetti: 1. La legge penitenziaria italiana, quella che regolamenta la vita delle carceri del nostro Paese, è una delle migliori sul piano europeo. Da dieci anni esatti è in vigore un regolamento di attuazione di questa legge. È opportuno che chi ha facoltà di accedere al carcere metta a confronto quanto delineato da questi testi normativi e la situazione osservata “sul campo”. 2. L’aumento vertiginoso di detenuti registrato negli ultimi anni non deriva da un aumento reale della criminalità, ma dalla risposta mediante il carcere ad alcuni fenomeni sociali in forte espansione (legati prevalentemente alla tossicodipendenza e all’immigrazione) su cui in anni passati il Parlamento ha deciso di legiferare in un certo modo. La visita dei parlamentari può avere il senso di una autovalutazione: abbiamo fatto queste leggi e abbiamo prodotto questa situazione. E a mio parere dovrebbe portare ad un ripensamento profondo. Palermo: Apprendi (Pd); ecco come è morto Dino Naso Ansa, 13 agosto 2010 “È impensabile che in una struttura penitenziaria dove sono reclusi 707 detenuti, ci sia un solo medico di turno impegnato a tamponare le emergenze ed evitare gli imprevisti. Questo si traduce in una mancanza quasi totale di sicurezza per i carcerati, del tutto intollerabile”. Lo dice il vice presidente della commissione attività produttive all’Ars, Pino Apprendi (Pd) alla notizia della morte a Palermo del detenuto Dino Naso, ricoverato all’ospedale Buccheri La Ferla dopo avere accusato un malore all’Ucciardone lo scorso 4 agosto. Apprendi, che ieri, insieme a Beppe Bruno, componente dell’associazione Giuristi Democratici, ha visitato la struttura penitenziaria ed incontrato i detenuti che erano nella stessa cella di Dino Naso, si è anche recato nella sala operativa del 118 e in ospedale per ricostruire, con l’ausilio della cartella clinica, le ultime ore di vita di Dino Naso. “Il detenuto - racconta Apprendi - ha accusato un malore alla gola sostenendo di avere le placche, presumibilmente alle 9,30 del mattino e ha così chiesto qualcosa per alleviare il fastidio. Pare che gli siano state portate una pillola e una bustina. Continua a sentirsi male anche se in maniera lieve e verso le 13 si prepara una camomilla, la situazione degenera intorno alle 15,30 quando inizia la crisi respiratoria. I detenuti chiedono aiuto e viene chiamato il medico che si trovava alla sesta sezione per un altro caso. Alle 16,25 Dino Naso riceve le prime cure in infermeria così come registrato nella cartella clinica, alle 16,57 viene chiamato il 118 che arriva all’Ucciardone alle 17,10. I medici e gli operatori sanitari del 118, dopo avere prestato le prime cure urgenti, ripartono verso l’ospedale alle 17,56. Il detenuto arriva in condizioni gravissime al Buccheri La Ferla alle 18,12. Una ricostruzione - conclude Apprendi - davvero drammatica e sulla quale sono state aperte due inchieste, una da parte della magistratura, la seconda da parte dell’amministrazione carceraria. Ci aspettiamo che le indagini chiariscano definitivamente quanto accaduto affinché emerga tutta la verità sul caso. Resta la vergogna di condizioni di totale inciviltà in cui lo Stato continua a mantenere i detenuti in tutta Italia”. Venezia: sovraffollamento e caldo, morto un detenuto di 45 anni La Nuova di Venezia, 13 agosto 2010 “Il carcere è tornato ad essere l’università del crimine: con regole, gerarchie e violenze” afferma il segretario generale della Uil Pubblica amministrazione Eugenio Sarno, che denuncia in particolare la situazione di Santa Maria Maggiore. “Il carcere sta diventando sempre più il ricettacolo dei rifiuti della società. Oggi ci si riempie la bocca di giustizia, ma la giustizia arriva inesorabilmente solo per i morti di fame” sostiene don Antonio Biancotto, il cappellano dell’istituto di pena maschile in centro storico. E non è un caso che l’ultimo detenuto morto - si chiamava Giorgio, aveva 45 anni ed era veneziano - era un poveraccio in carcere per piccoli reati contro il patrimonio. È morto alcune settimane fa per un infarto, non si è suicidato e non lo hanno ammazzato; le sue condizioni di salute non erano ottime ma le condizioni in cui viveva non l’hanno facilitato: è morto a luglio, quando nelle celle dell’ultimo piano di Santa Maria Maggiore - quelle sotto il tetto - c’erano 40 gradi ed era rinchiuso in spazi dove sono previsti due o tre detenuti, mentre ve ne sono dieci. In quei giorni di gran caldo, un detenuto che aveva avuto il trasferimento al Sud, e non andava certo in un albergo ma in un altro carcere, ha commentato: “Quando ho saputo che mi portavano via da Venezia ero felice quasi come se mi stessero liberando”. Il segretario della Uil fornisce i dati: al maschile di Venezia, che dovrebbe ospitare al massimo 111 detenuti, ora sono in 361, più del triplo della capienza, mentre in altre carceri venete, come Padova o Verona i detenuti sono poco meno del doppio della capacità ricettiva (nel primo 812 invece che 439 e nel secondo 913 invece che 589). “Purtroppo il precipitare della situazione penitenziaria - commenta Eugenio Sarno - è direttamente proporzionale all’oceano di impegni assunti e non mantenuti dal governo Berlusconi e dal ministro della Giustizia Angelino Alfano. La disattenzione e la distrazione verso i problemi reali ha determinato una situazione che è alle soglie dell’ingestibilità. E Santa Maria Maggiore presenta non solo gravi carenze strutturali, quanto problemi organizzativi e logistici che vanno risolti anche con il contributo degli enti locali”. “Il 90 per cento dei detenuti a Venezia - segnala ancora don Antonio a “Gente Veneta” - non sono chissà che criminali: hanno problemi psicologici e comportamentali e hanno sbagliato. In cella, comunque, costano alla società ognuno 400 euro al giorno e quando avranno scontato la pena non usciranno migliori”. “Conviene continuare così e non pensare ad un sistema di pene alternative, più economico e rieducativo?” si chiede il cappellano. E aggiunge il segretario della Uil: “Sul fronte del sovraffollamento è necessario prevedere un percorso deflattivo che restituisca alla detenzione connotati di civiltà e legalità”. Civitavecchia: detenuta suicida in cella, indagata la direttrice del carcere di Giulio De Santis Il Messaggero, 13 agosto 2010 L’ipotesi è omicidio colposo, perché Patrizia Bravetti, ex direttrice del carcere di Civitavecchia, avrebbe sottovalutato i problemi psichici di una detenuta trovata impiccata nella sua cella a tre giorni da un altro tentativo di suicidio. E Insieme all’ex direttrice sono indagati per lo stesso reato Marco Celli, facente funzione di comandante delle Guardie del penitenziario, Cecilia Ciocci, responsabile del reparto femminile, e Paolo Badellino, lo psichiatra che aveva in cura la donna. La tragedia avvenne il 20 giugno dello scorso anno. Quel giorno le guardie aprirono la cella dove era detenuta A.T., 35 anni, trovandola impiccata alla finestra. Tre gironi prima la donna aveva tentato di togliersi la vita battendo la testa contro il muro. Per A.T., affetta dalla sindrome bipolare, era stato disposto un regime di “grande sorveglianza”, che prevedeva un controllo della detenuta a intervalli di dieci minuti. Un lasso di tempo sufficiente alla donna per suicidarsi. Il pubblico ministero Pantaleo Polifonie della procura di Civitavecchia ha da poco concluso le indagini e si appresta adesso a chiedere il rinvio a giudizio dei quattro indagati, ritenuti responsabili del suicidio della detenuta. Nel corso dell’istruttoria, durata oltre un anno, sono state smentite le voci, risultate del tutto infondate, che insinuavano la tossicodipendenza della donna. La tragedia comincia nel dicembre del 2008 quando A.T. viene arrestata per una rapina in un supermercato. La giovane trascorre la detenzione nel penitenziario di Rebibbia, dove rimane fino all’inizio del giugno 2009, quando A.T. viene trasferita nel casa circondariale di Civitavecchia. I problemi psichici della donna non tardano a presentarsi. Il 13 giugno, la detenuta prova a togliersi la vita legandosi intorno al collo il cavo di un apparecchio televisivo. Salvata per un soffio dalla morte, la donna tenta di nuovo il suicidio quattro giorni dopo, battendo con violenza la testa sul muro. Segnali minacciosi che, per il pm, avrebbero dovuto destare l’allarme di chi aveva la responsabilità di sorvegliare la detenuta. Tuttavia, le misure poste in atto per impedire nuovi tentativi di suicidio sarebbero stati poco efficaci, almeno secondo l’accusa. La detenuta soffriva della sindrome bipolare che le provocava sbalzi d’umore improvvisi e incontrollabili. Alternava fasi di apatia ad altre in cui invece era sovraeccitata. Lo psichiatra del carcere, anche lui indagato, aveva avvertito i superiori delle necessità di approntare un controllo a vista della detenuta dopo il secondo tentativo di suicidio. Suggerimento rimasto disatteso, perché il giorno della morte la donna era ancora soggetta a un regime di “grande sorveglianza” con controlli a intervalli di dieci minuti. A.T. avrebbe approfittato del lasso di tempo che intercorreva tra un controllo da parte degli agenti e l’altro per mettere in atto il suo progetto. “I suicidi in carcere sono ormai una costante - commenta l’avvocato Valerio Aulino, difensore dei familiari della giovane donna - la magistratura fa bene a indagare sulle cause della morte di un detenuto. In questo caso poi le responsabilità sembrano lampanti”. Reggio Emilia: Opg sovraffollato, Meo (Sel) chiede risposte alla Regione Asca, 13 agosto 2010 L’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia si troverebbe in una situazione di sovraffollamento, con “274 detenuti a fronte di una capienza regolare di 132”, e la stessa struttura presenterebbe “diverse disfunzioni”, tra cui “infiltrazioni, sporcizia e sanitari in pessimo stato di manutenzione”. È quanto emerge da un’interrogazione della consigliera regionale Gabriella Meo (SEL), in cui si evidenzia, sulla base della relazione annuale dell’Associazione Antigone, che “la struttura opera dal 2007 anche come casa di cura e custodia. Negli ultimi due anni - si legge - sono fortemente in aumento gli internati tossicodipendenti in CCC (Case di cura e custodia) ed è sempre più raro il ricorso alla misura non detentiva della libertà vigilata”. Meo ricorda anche che la Regione Emilia - Romagna, con la delibera di Giunta 314/2009, ha preso atto delle disposizioni contenute nel Dpcm 1/4/2008 (allegato C) che, al punto 4, prevede che la stessa Regione giunga al superamento dell’Opg reggiano in tempi definiti, attivandosi per una presa in carico degli internati emiliano - romagnoli da parte dei Dipartimenti di salute mentale e dipendenze patologiche dell’Ausl. L’allegato C - si legge ancora nell’interrogazione - prevede anche l’”Accordo concernente definizione di specifiche aree di collaborazione e indirizzi di carattere prioritario sugli interventi negli Opg e nelle Case di cura e custodia (CCC)”, al cui interno viene individuato, tra gli impegni delle Regioni, il raggiungimento dell’obiettivo di circa 300 dimissioni entro il 2010. Meo cita anche la delibera della Giunta regionale 18/2010 dove, tra i vari richiami, si afferma che la struttura dell’Opg reggiano non sarebbe “idonea all’attuazione di programmi sanitari e riabilitativi” e dove si indicherebbe il Forte Urbano di Castelfranco Emilia (Mo), di proprietà demaniale ed in uso al Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), quale nuova struttura idonea ad ospitare circa 120 detenuti dell’Opg, dopo un’adeguata ristrutturazione “per renderla funzionale entro due anni dalla stipula dell’accordo”. La consigliera chiede quindi alla Giunta regionale se sia stata stipulata la Convenzione tra le parti, prevista dalla delibera di Giunta 18/2010, sulla base delle disposizioni contenute nell’Accordo tra Ministero della Giustizia e Regione Emilia - Romagna per l’attuazione di quanto sancito dall’allegato C del Dpcm 1/4/2008, se sia iniziata la ristrutturazione del Forte Urbano di Castelfranco Emilia, se sia cominciato il programma di dimissioni degli internati e se non si ritenga urgente accelerare le procedure per il superamento dell’Opg, vista la grave situazione della struttura. Nuoro: il sindaco scrive ai parlamentari sardi; no a detenuti del 41 bis a Badu e Carros Adnkronos, 13 agosto 2010 Il sindaco di Nuoro, Alessandro Bianchi, ha inviato ai parlamentari sardi una lettera nella quale si chiede di presentare una interrogazione parlamentare urgente al Ministro di Grazia e giustizia, Angelino Alfano, in merito ai criteri che verranno adottati per la destinazione del nuovo padiglione in costruzione all’interno del carcere nuorese di Badu ‘e Carros e nella quale viene manifestata la disapprovazione dell’Amministrazione comunale alla possibilità che nel carcere nuorese vengano trasferiti detenuti in regime di sorveglianza speciale. ‘Da diverse settimane - scrive il primo cittadino, all’interno del carcere di Badu ‘e Carros, sono in atto lavori di sbancamento per la realizzazione di un nuovo padiglione detentivo. Questa Amministrazione Comunale non è a conoscenza della destinazione che il Ministero della Giustizia intende adottare per il nuovo padiglione. Il timore che accompagna l’avvio di questi lavori è che il nuovo padiglione possa venire assegnato alla custodia dei detenuti in regime di 41/bis, cioè in regime di sorveglianza speciale, destinato appunto ai carcerati considerati di massima pericolosità”. Già negli anni 70 e 80 - prosegue Bianchi - il carcere nuorese di Badu ‘e Carros venne dichiarato carcere speciale e conobbe una stagione di rivolte, spesso sanguinose, che videro protagonisti alcuni terroristi di primo piano, oltre che boss della malavita organizzata. Tutto ciò ebbe un impatto traumatico sulla vita quotidiana cittadina ed ora esiste il timore e la preoccupazione che Nuoro sia costretta a rivivere quelle stagioni drammatiche. Assistiamo in questi anni - aggiunge Bianchi - ad un preoccupante arretramento dello Stato, con la conseguente chiusura o con il ridimensionamento di importanti uffici pubblici che hanno costituto una voce fondamentale dell’economia della nostra città, senza che vi sia una attività istituzionale compensativa che individui e realizzi nuove forme di politiche utili alla crescita economica e sociale di Nuoro e del centro Sardegna. A fronte di questo - afferma ancora il sindaco - ci ritroviamo a dover paventare la possibilità che la nostra città torni ad essere al centro dell’attenzione del Governo nazionale esclusivamente per ciò che riguarda la creazione di strutture di massima sicurezza per detenuti speciali, che non hanno alcuna ricaduta positiva sulla città, sulla sua economia e soprattutto sulle condizioni di vita dei detenuti e quelle lavorative del personale dell’istituto di pena. Per queste ragioni siamo fortemente contrari alla possibilità che nel carcere di Badu ‘e Carros vengano trasferiti detenuti in regime di sorveglianza speciale. Pur riconoscendo al Ministero della Giustizia l’autonomia necessaria - conclude Bianchi - , non si può però non tenere conto di un protocollo firmato tra la Regione Sardegna e il Ministero della Giustizia nel Febbraio del 2006 e relativo alla Territorialità della Pena. Vi chiedo pertanto di voler proporre una interrogazione parlamentare urgente al Ministro Angelino Alfano, in merito ai criteri che verranno adottati per la destinazione del nuovo padiglione in costruzione all’interno del carcere di Badu ‘e Carros. Milano: preso uno dei due detenuti evasi dal carcere di Bollate Ansa, 13 agosto 2010 È stato arrestato Pasquale Pagana, 35 anni, uno dei due detenuti evasi l’altro ieri dalla caserma della Polizia penitenziaria del carcere di Bollate. L’uomo, prima di evadere, aveva lasciato una lettere di scuse indirizzata alla direttrice del carcere, Lucia Castellano. “Mi rendo conto che questo le creerà grossi problemi. Ma ho problemi più urgenti che devono essere affrontati e risolti”. Pagana è stato trovato in un appartamento in viale Fulvio testi. Era a casa della suocera con la moglie. Lo hanno arrestato gli agenti del commissariato Greco Turro che da qualche ora controllavano il palazzo. Quando la polizia ha cercato di entrare in casa, l’uomo si è barricato. I poliziotti hanno dovuto usare un piede di porco per sfondare. Poi l’evaso si è consegnato. Pagana, nella sua breve latitanza, secondo quanto appurato dagli investigatori, aveva commesso una rapina in una farmacia in viale Suzzani rubando 500 euro. Pagana, prima del colpo nella farmacia che ha fornito indicazioni per la sua cattura, aveva tentato un’altra rapina in un negozio di compravendita di oro e gioielli, ma era scappato. L’uomo insieme con Pasquale Romeo, anche lui 35 enne, erano addetti alle pulizie della caserma agenti del carcere che si trova all’esterno della struttura e hanno scavalcato una recinzione. Intorno alle 9 di mercoledì mattina, hanno approfittato della poca sorveglianza, e sono scappati. Una volta fuori hanno fermato un’automobilista e lo hanno costretto a scendere. Pagana, ha anche lasciato una lettera in cui chiedeva scusa per il gesto e lo attribuiva al fatto che il tribunale di sorveglianza avesse respinto, qualche giorno fa, una richiesta di misura alternativa al carcere. Cioè l’affidamento in comunità.