Giustizia: allarme carceri, un escalation di suicidi che fa pensare all’indulto www.giornalettismo.com, 11 agosto 2010 Il ministro Alfano premia gli agenti che hanno impedito ad alcuni detenuti di togliersi la vita. Mentre l’associazione Nessuno tocchi Caino lancia l’ennesima denuncia. E un recente ddl del PdL propone nuove estinzioni della pena. Nel giorno in cui il ministro della Giustizia ringrazia alcuni agenti di Polizia Penitenziaria per aver salvato dal suicidio due detenuti arriva l’ennesimo allarme per la situazione in cui è costretti a vivere dietro le sbarre nel nostro Paese. Concetta Di Gloria e Calogero Rizzuto sono due assistenti capo di Polizia Penitenziaria che nei giorni scorsi, nelle rispettive sezioni del carcere di Agrigento Petrusa hanno tratto in salvo due detenuti che stavano tentando il suicidio in cella. Hanno ricevuto gli “elogi ufficiali” dal capo del dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, su proposta del guardasigilli Angelino Alfano. Come loro, per le stesse motivazioni, hanno ricevuto l’elogio anche l’assistente capo Sebastano Camineti e l’agente scelto Filippo Maranto della struttura penitenziaria di Livorno. Impedendo una tragica fine per i detenuti hanno dimostrano non solo professionalità, capacità di intervento, prontezza, ma anche e sopratutto umanità. Si tratta di casualità di percorso o la preoccupante escalation è dovuta alle condizioni pessime delle strutture carcerarie? Non ha dubbi l’associazione Nessuno tocchi Caino. Che oggi denuncia una situazione “esplosiva”, il sovraffollamento - ha detto il presidente Sergio D’Elia alla presenza del leader radicale Marco Pannella - “ha superato anche i livelli di guardia”. L’associazione ha invocato oggi l’istituzione di un Garante regionale dei detenuti per la Puglia chiedendo al Nichi Vendola di cominciare ad applicare una legge apposita approvata quattro anni fa. “Siamo ormai a quasi 70 mila detenuti - ha detto D’Elia - e la Puglia è la seconda regione in quanto a sovraffollamento. Si sta rischiando di battere anche un altro triste primato, quello dei morti in carcere per suicidi. Sono già quattro dall’inizio dell’anno”. “Chiedo a Vendola, difensore dei diritti umani e soprattutto degli ultimi - ha aggiunto - di istituire questa figura che non è garante solo per i detenuti, ma che serve a garantire la vita della comunità penitenziaria e quindi anche degli operatori delle carceri, vittime tutti della stessa catastrofe umanitaria e del vero e proprio stato di illegalità in cui versano le nostre carceri”. Della gravità del problema è cosciente anche la maggioranza di governo. non è un caso che un senatore del PdL, Luigi Compagna abbia provveduto, meno di un mese fa, a presentare un disegno di legge di concessione di amnistia e di indulto: “Dopo l’audizione alla Camera del ministro Alfano al principio della legislatura non si è riusciti finora a varare provvedimenti che rendessero meno disumane le condizioni delle nostre carceri”, sottolineava in un comunicato il parlamentare. “Esse vivono ormai un dramma che le pone al di fuori di ogni principio della Carta dei diritti dell’uomo”, faceva sapere Compagna. Quindi l’esigenza, secondo il senatore PdL, di ricorrere ad una “potestà di clemenza”, che il Parlamento aveva a suo tempo pensato di limitare, fissando in una maggioranza di due terzi il quorum necessario alla deliberazione. “Ho assunto questa iniziativa - precisava Compagna - perché di fronte a tanta sofferenza il Parlamento deve essere sollecitato a un uso ragionevole e non arbitrario della potestà di clemenza prevista nella nostra Costituzione. Mi auguro che, di maggioranza o di opposizione che siano, anche altri colleghi non siano insensibili a queste ragioni”. È il tempo di un nuovo indulto? Giustizia: Patriciello (Pdl); quasi 70mila detenuti, servono soluzioni legislative adeguate Il Velino, 11 agosto 2010 “La campagna di sensibilizzazione lanciata dai radicali e colta da esponenti politici bipartisan ha l’obiettivo di conoscere meglio e direttamente come vivono la realtà quotidiana direttori, agenti, medici, psicologi, educatori e detenuti, per essere così capaci di interpretare i bisogni e di proporre le soluzioni legislative e organizzative adeguate”. Così Aldo Patriciello, europarlamentare del Pdl, in merito all’iniziativa “Ferragosto in carcere”, promossa dai radicali per la giornata di sabato 14 agosto e rivolta ai parlamentari di tutti gli schieramenti politici con lo scopo di effettuare una ricognizione approfondita della difficilissima situazione dei 205 carceri dislocati sul territorio italiano. “Purtroppo - continua Patriciello - come riferito dallo stesso ministro della Giustizia, Angelino Alfano - la situazione delle carceri italiane appare “fuori dalla Costituzione”. Ci stiamo avvicinando alla soglia dei settantamila detenuti, ma gli spazi restano gli stessi, quelli costruiti e pensati per quarantaduemila persone. La galera è diventata la risposta, spesso l’unica, ai problemi sociali: tossicodipendenza, immigrazione, povertà, disagio psichico. Le misure alternative vengono date con il contagocce. Il personale è insufficiente, non solo la polizia penitenziaria, ma anche gli educatori che dovrebbero costruire insieme al detenuto percorsi di reinserimento, gli psicologi, gli assistenti sociali. Mancano gli spazi per le attività comuni, trasformate in cameroni dove si convive in nove o quindici persone”. L’esponente del Pdl spiega che è necessario “conoscere le dinamiche carcerarie al fine di identificare nuovi percorsi normativi di modernizzazione del sistema penitenziario italiano. A tal riguardo è opportuno sottolineare che gli istituti penitenziari devono essere non solo luogo di espiazione della pena, ma strumento per realizzare a pieno i valori sanciti dall’articolo 27 della Costituzione italiana secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Per quel che riguarda tutti i lavoratori che prestano la loro attività a ogni livello negli istituti carcerari, Patriciello dice che devono essere garantite condizioni di lavoro moralmente, socialmente ed economicamente adeguate ai profili professionali ricoperti, “che diano il giusto riconoscimento ai compiti di esemplare responsabilità espletati e che consentano di dare completa attuazione ai risultati delle rivendicazioni e delle conquiste, purtroppo oggi ancora in larga parte disattese”. Giustizia: Di Stanislao (Idv); nelle carceri un mix esplosivo che scoppierà molto presto Il Velino, 11 agosto 2010 “Al secondo anno dell’iniziativa Ferragosto in Carcere la situazione del sistema penitenziario è decisamente peggiorata. Circa 68.000 detenuti costipati in strutture che possono ospitarne al massimo 44.000, una deficienza organica di agenti di polizia penitenziaria, di educatori e di personale mai riscontrata in passato, suicidi, quotidiani atti autolesionistici, proteste e rivolte, uniti ad una totale incapacità del governo a gestire una tale emergenza fanno un mix esplosivo che così esploderà molto presto”. Questa l’opinione di Augusto Di Stanislao (Idv), che parteciperà anche quest’anno all’iniziativa. “Sembra che il tanto decantato e virtuale piano carceri potrebbe essere in grado di dare 9.000 posti in più, e oltre a non essere affatto sufficiente, non è prevista la benché minima previsione di nuove assunzioni di personale penitenziario. È evidente dunque che il governo non è in grado di portare avanti gli impegni presi ed è per questo che ho proposto, dopo una serie di interrogazioni e una mozione approvata all’unanimità, una commissione parlamentare d’inchiesta sulla situazione delle carceri in Italia, perché si valutino concretamente le molteplici problematiche e si avvii un piano di soluzioni efficace per affrontare un’emergenza che diventa sempre più grave.” Giustizia: i Radicali vogliono Silvio in carcere… almeno a Ferragosto di Bartolomeo Scappi Italia Oggi, 11 agosto 2010 Rita Bernardini, radicale eletta con il Partito democratico, vuole vedere Silvio Berlusconi in carcere: ma solo per un giorno, a Ferragosto, in occasione delle tradizionali visite che i fedelissimi di Marco Palmella organizzano nei penitenziari italiani. A Radio Radicale ha lanciato l’appello al premier, per vederlo almeno qualche ora dietro le sbarre: non nei panni del condannato ma del parlamentare, per dialogare con i detenuti. In via di Torre Argentina sanno benissimo che si tratta di un sogno irrealizzabile: raccontano che sarebbe uno smacco plateale per il ministro della Giustizia Angelino Alfano, che non potrebbe nascondere l’invivibilità delle patrie galere. Lo scorso anno l’iniziativa del Ferragosto in carcere ha avuto grande riscontro: in 3 giorni, grazie alla disponibilità di 165 parlamentari, sono state visitate quasi tutte le oltre duecento strutture penitenziarie presenti sul territorio. “S’è trattato indubbiamente della più massiccia e importante visita di sindacato ispettivo mai effettuata in Italia”, dicono i radicali: “Quest’anno, se possibile, dobbiamo far meglio, completando con le nostre visite tutte le carceri, compresi gli istituti per minori”. Ma i radicali hanno scritto anche al cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana: “Siamo certi che comprenderà l’importanza che un suo gesto potrà avere per il rispetto dei diritti umani fondamentali di uomini e donne che, come ha ricordato Benedetto XVI, hanno perso la libertà, ma non la dignità”. Giustizia: la Consulta decide sulle licenze all’internato finalizzate al recupero sociale Altalex, 11 agosto 2010 La Corte costituzionale interviene sulla disciplina relativa alle licenze fruibili dall’internato per un programma di risocializzazione. Il Magistrato di sorveglianza di Modena, con cinque ordinanze - quattro della quali di analogo tenore - sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, secondo comma, primo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà),nella parte in cui, secondo l’interpretazione adottata dalla Procura generale della Corte di cassazione, non consente che siano concesse all’internato, sottoposto alla misura di sicurezza della casa di lavoro, più licenze quindicinali in via continuativa, finalizzate alla fruizione di un programma extramurario di risocializzazione, ovvero alla fruizione di un programma terapeutico per superare la tossicodipendenza o l’alcooldipendenza. Il remittente era chiamato a provvedere in merito ad istanze di concessione di licenze quindicinali continuative avanzate da soggetti sottoposti alla misura di sicurezza della casa di lavoro; seguendo l’opzione interpretativa restrittiva, che vieta la concessione delle licenze come richieste, si verificherebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra internati sottoposti a misure di sicurezza detentive e detenuti in esecuzione di pena, con incidenza anche sul diritto alla salute, nei casi in cui le licenze siano finalizzate alla fruizione di un programma terapeutico contro la tossicodipendenza. A differenza dei detenuti, gli internati non possono accedere alle misure alternative che consentono periodi anche prolungati di permanenza all’esterno, funzionali a percorsi di risocializzazione ovvero di carattere terapeutico, e come, pertanto, l’unica esegesi costituzionalmente orientata della norma censurata sarebbe quella che ammette la concessione delle licenze in via continuativa. Ad avviso del remittente, l’interpretazione restrittiva, seguita dalla Procura generale della Corte di cassazione, non potrebbe essere considerata alla stregua di un “semplice parere od opinione di parte”, poiché nel sistema penitenziario le posizioni assunte dall’organo inquirente possono risultare vincolanti, come accade per la concessione dei benefici penitenziari ai detenuti ed internati per delitti dolosi, che risulta vietata nei casi in cui il Procuratore nazionale antimafia o il procuratore distrettuale comunichi l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. La Corte costituzionale ha dichiarato tutte le questioni inammissibili per una ragione assorbente: il giudice a quo non aveva fornito alcuna indicazione sulla rilevanza dell’opzione interpretativa attribuita alla Procura generale della Corte di cassazione in riferimento ai procedimenti a quibus, né aveva attribuito a tale opzione le connotazioni del diritto vivente. Di conseguenza, nella specie “il dubbio di legittimità costituzionale così prospettato si risolve in un improprio tentativo di ottenere da questa Corte l’avallo della (diversa) interpretazione della norma propugnata dal rimettente, con uso evidentemente distorto dell’incidente di costituzionalità”. Giustizia: Sappe; oltre diecimila detenuti di fede islamica iniziano il ramadan Il Velino, 11 agosto 2010 “Uno dei problemi fondamentali nella gestione delle carceri è determinato dai detenuti tossicodipendenti e da quelli stranieri. Per quanto riguarda questi ultimi, dei 68.121 detenuti presenti al 31 luglio scorso, il 36,22 per cento sono stranieri, per un totale di 24.675; di questi circa ventimila sono extracomunitari. Attualmente, dai dati derivanti dagli ingressi in carcere, oltre 10mila detenuti circa si sono dichiarati di fede islamica, quindi, praticanti e rispettosi dei precetti religiosi, a partire dal mese del Ramadan, da domani, in cui digiunano durante il giorno”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), in occasione dell’inizio del Ramadan. Per Capece l’Amministrazione deve fornire un vitto separato dagli altri detenuti, poiché quelli di fede islamica non mangiano alcuni cibi. “Sono tutte diversità - spiega - che unite a quelle della lingua contribuiscono a rendere ancora più difficile il lavoro all’interno delle carceri. Rispetto a questi detenuti l’attenzione della Polizia penitenziaria è maggiore, anche per monitorare l’eventuale rischio di diffusione del fondamentalismo. Ricordiamo che in alcune carceri italiane sono rinchiusi anche circa 50 detenuti per il reato di cui all’articolo 270 bis del codice penale (Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico), appartenenti ad Al Quaeda e ad altre associazioni terroristiche”. La cella, sottolinea il segretario generale Sappe, “potrebbe diventare il luogo in cui, sempre più spesso, piccoli criminali vengono tentati da membri di organizzazione terroristiche detenuti: da tempo abbiamo espresso preoccupazioni per le recenti conversioni, in carcere, di detenuti italiani all’Islam. Del resto, già nel nostro recente passato le Brigate Rosse avevano inteso le carceri quali luoghi di lotta e proselitismo. Analogo stratagemma potrebbe essere messo in atto oggi da esponenti del terrorismo islamico, i quali cercano così di mimetizzare la propria attività infiltrando propri adepti fedeli e non sospetti, in quanto occidentali”. Il Sappe ritiene, quindi, necessario uno “sforzo formativo” dell’Amministrazione penitenziaria teso a dare uomini e donne alla Polizia penitenziaria, “carente di seimila unità nei propri organici”, e tutti quegli strumenti tecnico-cognitivi per incrementare la propria professionalità, “adattando le competenze e i metodi esistenti con nuovi standard operativi, in modo da trattare tali situazioni senza prescindere dalla diverse culture che si incontrano all’interno del carcere. In tali termini - conclude - la Polizia penitenziaria può giocare un ruolo di primaria importanza all’interno dell’opera di prevenzione di tali fenomeni dal fronte delle carceri”. Giustizia: Uil-Pa; contro il sovraffollamento dal Governo solo parole, fallimento del Dap Il Velino, 11 agosto 2010 “La pausa ferragostana rischia di confinare ancor più nel dimenticatoio l’emergenza carceri, la cui drammatica attualità, invece, è facilmente rilevabile dai numeri che la caratterizzano. Alle 17 di ieri erano ristretti complessivamente 67.780 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 43.584. Il superamento della soglia di capienza massima è un dato comune a tutti gli istituti d’Italia”. Lo ha detto il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno. “Purtroppo - ha aggiunto - il precipitare della situazione penitenziaria è direttamente proporzionale all’oceano di impegni assunti e non mantenuti dal governo e dal ministro Alfano. Dall’inutile dichiarazione dello stato d’emergenza, all’indefinito piano carceri, alle (soltanto) annunciate assunzioni. Se l’impegno concreto del presidente Berlusconi e del ministro Alfano sul fronte penitenziario fosse stato almeno pari all’impegno verbale oggi avremmo un sistema penitenziario degno della Patria di Cesare Beccaria”. Il segretario generale, poi, non ha nascosto il rammarico per le troppe occasioni perdute. “Il ddl Alfano poteva, doveva, essere il momento delle svolte e delle decisioni bipartisan. Purtroppo - ha continuato Sarno - sono prevalse le logiche partitiche che hanno svuotato di ogni effetto deflazionante il disegno di legge originario. L’attuale testo, quant’anche approvato in Senato in autunno, nulla risolverà rispetto al sovraffollamento. Così come le 2.000 assunzioni previste in polizia penitenziaria si concreteranno in tempi incompatibili con i reali, urgenti, bisogni. Su questo avevamo confidato in un decreto legge prima della pausa estiva. Nulla. L’ennesima occasione mancata. Di certo gli attestati e i riconoscimenti, al personale che si è particolarmente distinto, fanno piacere ma il ministro Alfano e il capo del Dap non possono pensare che da soli bastino a calmierare le esigenze della polizia penitenziaria che andrebbe premiata in blocco per l’impegno, la dedizione, la disponibilità, la competenza e la professionalità messa in campo in questi momenti terribili che è chiamata a gestire in splendida solitudine e nel più completo abbandono”. Il segretario Sarno ha, inoltre, ricordato i suicidi e i tanti episodi di violenza che dal primo gennaio a oggi si sono susseguiti: “Sono 40 i detenuti suicidatisi e 83 quelli salvati in extremis dal personale di polizia penitenziaria, compreso il detenuto salvato stamani a Rimini. Ciò - ha riferito - dimostra che le indegne e vergognose condizioni di detenzione amplificano la depressione e spingono verso gli autolesionismi e le auto soppressioni”. Anche sul fronte della sicurezza le cose non stanno meglio: “10 detenuti evasi e 12 evasioni sventate. Qui i record sono già stati abbattuti. Gli agenti penitenziari feriti da detenuti e che hanno riportato prognosi superiori ai cinque giorni assommano a ben 159. Il sovraffollamento - ha concluso - determina l’impossibilità di una gestione oculata delle allocazioni. Soventemente per la mancanza di posti i detenuti si è costretti a ricorrere al materasso a scomparsa, ovvero il materasso posto sul pavimento infilato sotto l’ultimo posto dei letti a castello multipiano. La promiscuità tra etnie e appartenenze criminali è un ulteriore elemento di tensione. Non è certo un caso l’aumento esponenziale delle risse. Il carcere è tornato ad essere l’università del crimine: con regole, gerarchie e violenze. Questo è il vero fallimento del Dap”. Giustizia: Osapp; ieri feriti 5 poliziotti penitenziari, nelle carceri situazione drammatica Il Velino, 11 agosto 2010 “Giornata campale, ieri 10 agosto, nelle carceri campane dove cinque poliziotti penitenziari sono dovuti ricorrere alle cure mediche”: a segnalarlo è il segretario generale dell’Osapp Leo Beneduci. “Presso la casa di reclusione di Carinola - aggiunge - un esponente di spicco della mafia pugliese con fine pena nel 2025, al rientro da un consiglio di disciplina, si è scagliato contro gli agenti addetti al reparto detentivo e contro l’ispettore di sorveglianza generale. I tre poliziotti penitenziari hanno riportato lesioni guaribili in 3, 5 e 10 giorni. Presso il già tristemente noto ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, invece - indica ancora il sindacalista - un folto gruppo di internati ha divelto le gambe di alcuni tavolini dando vita ad una violentissima rissa. Solo dopo due ore gli agenti presenti sono riusciti a ristabilire la calma e due agenti sono rimasti contusi mentre un internato sarebbe stato ricoverato in ospedale in gravissime condizioni”. Come sindacato, come poliziotti e come cittadini - conclude Beneduci - soprattutto in questi giorni, non ci resta altro che denunciare, segnalandoli agli organi di informazione, i continui sviluppi drammatici della condizione penitenziaria italiana, nella consapevolezza che non proveranno interventi e correttivi, soprattutto a sostegno dei poliziotti penitenziari, dal governo e, nello specifico, dal ministro Alfano e dal capo del Dap Ionta. Giustizia: Sappe; evasione da Bollate, servono circuiti penitenziari differenziati Il Velino, 11 agosto 2010 “L’evasione di due detenuti dal carcere milanese di Bollate è indubbiamente motivo di preoccupazione ma ora l’interesse primario è coadiuvare attivamente le ricerche con le altre Forze di Polizia per catturare i fuggitivi. Questo episodio, pur grave, non può intaccare la positiva funzionalità del progetto Bollate, impostato concretamente sul dettato costituzionale della rieducazione del reo che vuole la pena funzionale appunto alla rieducazione. Trattamento è sicurezza. Per questo, a nostro avviso, si impone con urgenza l’esigenza di definire quanto prima i circuiti penitenziari differenziati. Non è possibile oggi avere in un carcere (e spesso anche nella stessa cella) delinquenti dai diversi gradi di pericolosità: dai criminali incalliti al tossicodipendente. In questa direzione, c’è una soluzione alternativa per l’edilizia penitenziaria ed è un progetto, molto usato negli Stati Uniti, che riguarda un sistema modulare, vale a dire un edificio con grandi capacità di resistenza agli agenti atmosferici, agli attacchi chimici o ad altri processi deteriorativi, che può essere sopraelevato senza particolari misure strutturali e con costi competitivi e tempi di esecuzione estremamente rapidi. Si tratta di edifici con 600 posti letto costruibili in quattro mesi, con un costo inferiore ai 20 milioni di euro e posti in opera in soli sette mesi. Questa potrebbe essere una prima rapida soluzione per deflazionare le affollate carceri italiane. Perché non provarci?”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), in relazione all’evasione di due detenuti oggi dal carcere milanese di Bollate. “Questo grave episodio deve fare riflettere, tanto più se avviene dopo che in poco più di un mese si sono avute analoghe evasioni a Lecco e Pisa ed ai tentativi sventati dalla Polizia Penitenziaria a Firenze Sollicciano, a Milano Beccaria e dal tribunale di Alessandria. Ma nonostante ciò, sull’evasione di Bollate bisogna dire che il poliziotto penitenziario in servizio è stato comunque bravissimo e nulla può essergli imputato. Dieci piani di caserma, undici detenuti lavoranti sconsegnati, una sola unità di Polizia Penitenziaria che è riuscita a dare l’allarme nemmeno mezz’ora dopo l’apertura dei detenuti. Cosa vogliamo di più? Da tempo immemore il Sappe sostiene l’esigenza di definire i circuiti penitenziari differenziati in relazione alla gravità dei reati commessi, con particolare riferimento al bisogno di destinare, a soggetti di scarsa pericolosità, specifici circuiti di custodia attenuata e potenziando il ricorso alle misure alternative alla detenzione per la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale. Esigenza tanto più sentita oggi quando, a fronte di 43mila posti letto, ci sono quasi 69mila detenuti presenti. Non è possibile, come succede oggi, avere nella stessa cella condannati ed imputati o soggetti in attesa di giudizio”. Puglia: la denuncia dei Radicali; la situazione è esplosiva Corriere della Sera, 11 agosto 2010 I Radicali hanno scelto Brindisi per denunciare la gravissima situazione che si vive nelle carceri italiane. Proprio nell’istituto di detenzione cittadino pochi giorni fa l’ultima vittima di questa mattanza silenziosa: un tunisino si era tolto la vita legandosi al collo un cappio fatto con la maglietta. Eppure proprio recentemente un’ispezione della sottosegretaria Maria Elisabetta Alberti Casellati e del senatore Michele Saccomanno aveva promosso la struttura per metà ristrutturata e che ospita solo 180, al massimo 200 detenuti con 153 unità della Polizia penitenziaria. Secondo l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere ci sono stati solo nel 2010 40 suicidi (34 impiccati, 5 asfissiati col gas e 1 sgozzato). Da qui la denuncia dei Radicali di una situazione “esplosiva”, con il sovraffollamento che “ha superato anche i livelli di guardia”. Alla presenza del leader radicale Marco Pannella, il presidente dell’associazione “Nessuno tocchi Caino”, Sergio D’Elia, ha invocato oggi l’istituzione di un “Garante regionale dei detenuti” per la Puglia chiedendo a Nichi Vendola di cominciare ad applicare una legge apposita approvata quattro anni fa. “Siamo ormai a quasi 70 mila detenuti - ha detto D’Elia - e la Puglia è la seconda regione in quanto a sovraffollamento. Si sta rischiando di battere anche un altro triste primato, quello dei morti in carcere per suicidi. Sono già quattro dall’inizio dell’anno”. “Chiedo a Vendola, difensore dei diritti umani e soprattutto degli “ultimi” - ha aggiunto - di istituire questa figura che non è garante solo per i detenuti, ma che serve a garantire la vita della comunità penitenziaria e quindi anche degli operatori delle carceri, vittime tutti della stessa catastrofe umanitaria e del vero e proprio stato di illegalità in cui versano le nostre carceri”. “È una situazione di tortura per milioni di famiglie italiane - ha aggiunto Pannella - addirittura un terzo del popolo italiano, secondo una valutazione del Consiglio d’Europa, che è alle prese con i problemi del malfunzionamento della giustizia italiana. Nei, in media, dieci anni di percorso processuale le famiglie vengono letteralmente distrutte. È una tragedia civile”. “Noi radicali - ha insistito il vecchio leader - ci auguriamo che si ricordi che esiste una legge che consente l’accesso alle carceri non solo ai politici, ma anche gli ecclesiastici, ai rappresentanti di tutte le religioni e ai magistrati”. Nasce il club per aiutare i detenuti. Con Pannella Il grande giorno è arrivato. Alle 11 in punto, presso il terminal privato di Costa Morena, si procederà al taglio del nastro per l’inaugurazione della sede dell’associazione “Famiglie fratelli ristretti”. Per Renato De Giorgi, 42 anni e Francesco Nardelli, 41, rispettivamente presidente e segretario dell’associazione sarà un momento importante. Si tratta del primo piccolo, piccolissimo traguardo. Un momento importante a suggellare, quasi, il loro aver cambiato vita. Da ex detenuti a fondatori di un organismo assolutamente inedito sul territorio nazionale che ha come obiettivo primario quello di assistere le famiglie dei detenuti che spesso si ritrovano a combattere con difficoltà materiali e psicologiche legate a pregiudizi o ritardi istituzionali. L’inaugurazione dell’associazione avverrà alla presenza di Marco Pannella e dell’onorevole Sergio D’Elia, segretario dell’associazione radicale “Nessuno tocchi Caino”. Al termine del taglio del nastro si svolgerà presso palazzo Granafei Nervegna una conferenza, alla presenza di Pannella e D’Elia sul tema: “Le carceri pugliesi scoppiano, serve il Garante dei detenuti (e non solo)”. In Puglia non c’è il Garante per i detenuti In Puglia non è mai stato nominato il Garante per i detenuti, anche se una legge regionale lo ha istituito 4 anni fa. Intanto le carceri della regione sono sovraffollate e ben 4 detenuti si sono tolti la vita da inizio anno. Una mancanza che pesa, denuncia a CNRmedia Sergio D’Elia, segretario di “Nessuno Tocchi Caino”. In Puglia non c’è il Garante per i detenuti. Una legge regionale ne ha disposto la nomina 4 anni fa, ma non si è mai trovato l’accordo sulla persona da designare. Intanto le carceri della regione sono sovraffollate e ben 4 detenuti si sono tolti la vita da inizio anno. Una situazione molto grave denunciata dall’associazione “Nessuno Tocchi Caino” in un convegno oggi a Brindisi. “Come capita spesso ai governanti di questo Paese, sembra sempre troppo difficile - se non impossibile - per loro passare dalle parole ai fatti”, commenta a CNRmedia Sergio D’Elia, segretario di “Nessuno Tocchi Caino”. “Il caso della Puglia è veramente grave perché l’istituzione del Garante per i detenuti è avvenuta con una legge ad hoc nel 2006, durante la prima consigliatura di Vendola - aggiunge - e quella legge diceva che entro 180 giorni andava fatto il decreto attuativo e la nomina del Garante. Sono passati 4 anni e non c’è ancora questa figura. Un’assenza che pesa. Soprattutto perché la Puglia è la seconda regione italiana per sovraffollamento nelle carceri. “Il numero dei detenuti supera di 600 quello che il ministero definisce la capienza tollerabile - prosegue D’Elia - La Puglia rischia di diventare anche primatista per quanto riguarda le morti in carcere. Sono già 4 da inizio anno i detenuti che da inizio anno si sono tolti vita impiccandosi”. L’ultimo episodio proprio pochi giorni fa a Brindisi, dove un 43enne tunisino si è suicidato, esasperato dalla situazione del carcere. “Il Garante potrebbe riportare un po’ di controllo, di garanzia e di rispetto dei diritti umani - conclude D’Elia - ma soprattutto potrebbe proporre soluzioni per questa catastrofe umanitaria in cui versano le carceri italiane in generale e soprattutto quelle pugliesi”. Friolo (Pdl) chiede certezze sul garante per i detenuti Le promesse non mantenute di Vendola sono ormai un elenco infinito. Bravo nell’annunciarle ma incapace a realizzarle, il presidente della Regione Puglia è ora additato come cattivo esempio d’Italia pure dai radicali che giustamente chiedono, d’intesa con il sindaco di Brindisi Domenico Mennitti e numerose associazioni di impegno sociale e civile, la nomina del Garante regionale dei Diritti delle persone private della libertà. La speranza è che Vendola si decida al più presto a rispettare una legge regionale di quatto anni addietro che istituisce questo ruolo e ne specifica i compiti. L’atteggiamento di completo disinteresse, soprattutto su questo problema, mostrato nel suo primo mandato sembra continuare immutato anche ora, dopo aver giurando e spergiurando in campagna elettorale di voler realizzare qualsiasi dei suoi fumosi progetti. La verità è che non è riuscito a dare concreta attuazione neppure ad una legge della Regione. Presenterò sull’argomento un’interrogazione e chiederò che Vendola venga in Consiglio regionale per fornire personalmente giustificazioni per il grave inadempimento. Il problema va affrontato con impegno e sollecitudine e pretenderò garanzie affinché prima di fine anno si provveda sia ad emanare il decreto attuativo della legge che a nominare il Garante. Costui ha tra i suoi numerosi compiti la promozione dell’esercizio dei diritti fondamentali dei detenuti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi. Il garante riceve segnalazioni sul mancato rispetto della normativa penitenziaria, sui diritti dei detenuti eventualmente violati o parzialmente attuati e si rivolge all’autorità competente per chiedere chiarimenti o spiegazioni, sollecitando gli adempimenti o le azioni necessarie. Il garante può avere colloqui con i detenuti e visitare gli istituti penitenziari senza dover richiedere alcuna apposita autorizzazione. Aver sprecato quattro anni è da irresponsabili, pertanto Vendola pronunci pubblicamente il “mea culpa” e ascolti le nostre sollecitazioni a porre rimedio. Puglia: 3,5 milioni dalla Regione per progetti di inclusione sociale rivolti ai detenuti La Repubblica, 11 agosto 2010 Tre milioni e mezzo per 27 percorsi di formazione professionale riservata ai detenuti. È pronta la graduatoria relativa a un avviso fatto dalla Regione nel febbraio scorso. L’assessorato guidato da Alba Sasso ha provveduto in questi giorni ad emanare le determine dirigenziali che approvano gli elenchi dei soggetti proponenti per l’attuazione di percorsi formativi, negli istituti di pena pugliesi, finalizzati al sostegno dei processi di rieducazione e reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti. I corsi di formazione, della durata di 600 e con classi di massimo 15 allievi si legge in una nota della Regione - dovranno assicurare una proposta formativa di carattere educativo, culturale e professionale, che consenta ad ogni soggetto in formazione di ottenere un risultato soddisfacente in termini di acquisizione di una qualifica professionale e la possibilità di proseguire il proprio iter formativo, nell’ambito dell’istruzione, della formazione professionale e dell’apprendistato, al fine trasformare il periodo di permanenza negli Istituti di pena in opportunità per la propria crescita. Le risorse sono quelle del fondo sociale europeo riservate a progetti di inclusione sociale. I progetti sono orientati a creare e sperimentare dietro le sbarre le condizioni di lavoro normale. Come se le sbarre non ci fossero. Era lo stesso bando a prevedere che più della metà della durata del percorso di formazione fosse dedicata alla simulazione lavorativa all’interno del carcere. Per lo svolgimento dei corsi saranno coinvolti le “centrali” che si occupano di formazione ma anche di lavoro. Questo per favorire l’integrazione con gli istituti scolastici superiori. “Il nostro obiettivo - spiega l’assessore Alba Sasso - è di sottrarre alla malavita la possibilità di reclutare soggetti che, dopo un periodo di detenzione, sono a forte rischio di esclusione sociale. Questi progetti, invece, devono mettere i detenuti coinvolti nelle condizioni di sviluppare la consapevolezza del proprio progetto di vita”. Che la Regione tenga in particolare ai progetti formativi negli istituti di pena lo dimostra la previsione di frequenti e costanti azioni di monitoraggio sull’esito delle sinergie. “I casi accertati di inserimento lavorativo per i detenuti che hanno svolto corsi di formazione - conclude Sasso - saranno registrati dal servizio formazione professionale e custoditi per un riconoscimento di premialità in avvisi successivi”. Puglia: piene, sporche e cattive, le carceri pugliesi sono le peggiori d’Italia La Repubblica, 11 agosto 2010 Dicono che ci sia “una miscela esplosiva, che rischia di esplodere a brevissimo”. A lanciare l’allarme è il Sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe) che, numeri alla mano, assegna alla Puglia il primato di regione con le case circondariali più affollate della penisola: 4.550 detenuti a fronte di 2.300 posti circa. Il doppio quando invece nelle altre le regioni lo scarto è molto minore: in Lazio con 4.600 posti ospita circa 6.250 detenuti, in Campania c’è un sovraffollamento del 20 per cento, lo stesso di Lombardia e Sicilia. “Questi numeri - spiegano dal sindacato- poi causano tragedie come quelle di questi giorni”. Il riferimento è al suicidio avvenuto nel carcere di Brindisi di un cittadino tunisino, trovato morto in cella il 6 agosto scorso. Si chiamava Mohamed Hattabi, aveva 43 anni e due figli piccoli, doveva scontare una pena per detenzione e porto abusivo di armi fino al maggio 2012. Non ce l’ha fatta. È riuscito ad eludere la sorveglianza fabbricando in segreto il suo strumento di morte, al chiuso del bagno della cella, un cappio rudimentale ricavato da una maglietta, legata alle sbarre della finestra. La procura di Brindisi sta indagando, per chiarire se quella tragedia si poteva scongiurare oppure no. Fintanto che l’inchiesta non sarà chiusa, le certezze che giustificano l’allarmismo vengono proprio dalle statistiche. Hattabi è il quarto detenutosuicida in Puglia dall’inizio dell’anno, nel 2009 furono tre in tutto. Secondo l’Osservatorio permanente sulle morti nelle carceri, che all’indomani della tragedia nel carcere brindisino ha divulgato i numeri sui suicidi, quello del 43enne tunisino è il 40esimo in Italia dall’inizio dell’anno. Numeri che crescono, con progressione inquietante. Soprattutto se confrontati con i drammi, tradotti in dati, che si consumano quotidianamente nelle carceri pugliesi, che non solo il sindacato di polizia penitenziaria, ma anche l’Osservatorio sulle morti in carcere, e ancora l’associazione Penelope e i radicali, da tempo mettono in relazione diretta con il fenomeno del sovraffollamento. Il triste primato della Puglia, un esubero di detenuti pari al 100 per cento e oltre, si traduce in un clima di tensione e violenza pressoché quotidiana. “Proteste pacifiche, per il momento”, avverte il segretario nazionale del Sapp, Filippo Pilagatti. “Sempre più spesso - continua - i detenuti sbattono violentemente le suppellettili contro le inferriate, avviene soprattutto laddove il sovraffollamento raggiunge proporzioni inaccettabili come a Lecce, Foggia, Bari e Taranto”. Ai circa 60 tentativi di suicidio, scongiurati all’ultimo momento grazie all’intervento della polizia penitenziaria, si sommano i numeri della violenza, variamente declinata, che si manifesta in scontri fra i detenuti costretti a vivere ammassati in celle anguste dove la privacy è un lusso impossibile, ma anche in esplosioni di rabbia violenta contro il personale in divisa. Il totale è da capogiro: oltre 500 episodi di violenza registrati dall’inizio dell’anno, circa 60 tentativi di suicidio, 220 episodi di autolesionismo, per finire agli atti violenza pura con quasi 50 episodi di scontri fisici con ferimenti, anche gravi. A fronteggiare l’emergenza in crescita un numero sempre più esiguo di agenti. Un carcere come quello di Lecce, destinato a reclusi cosiddetti speciali come quelli di mafia, che conta una popolazione carceraria di 1.420 detenuti a fronte di una capienza di 660 posti, la polizia penitenziaria è sotto organico di cento posti. E i poliziotti che rimangono ricorrono sempre più spesso a cure specialistiche per fronteggiare condizioni di lavoro insostenibili e stressanti. Sicilia: Cgil; nelle carceri della regione ci sono 8mila detenuti, situazione ingovernabile La Sicilia, 11 agosto 2010 Si torna a parlare dell’emergenza sovraffollamento nelle carceri,e ancora una volta ad alzare l’attenzione sul tema sono i sindacati del corpo di polizia penitenziaria. Questa volta ad inviare una nota è la Cgil, che sottolineando come siano state inviate diverse richieste di intervento al ministro Angelino Alfano, al governatore Lombardo e ai vertici dell’amministrazione penitenziaria, rimarca come nulla sia stato ad oggi fatto per risolvere il problema. “I recenti dati - si legge nella nota - parlano di una popolazione detenuta pari a circa 8.000 unità, dato questo che da diversi anni ha una crescita esponenziale, mentre i dati riferiti al personale evidenziano una carenza stimata di 1.000 unità di polizia penitenziaria (dato questo destinato a crescere anch’esso in modo esponenziale a causa delle unità prossime al raggiungimento della tanto agognata età pensionabile con conseguente depauperamento degli organici). La contingenza di questi dati produce solo un unico e deleterio effetto sul personale del Corpo che è riconducibile all’aumento dei carichi di lavoro per effetto di una maggiore popolazione detenuta ed una sempre minore presenza di personale di Polizia penitenziaria”. Il sindacato, inoltre, aggiunge che il lavoro in più degli agenti non viene “confortato” dal punto di vista economico, dato che gli straordinari sono stati decurtati e le missioni non vengono saldate per carenza di fondi. Allo stesso modo non vi sarebbe il denaro per pagare il carburante dei mezzi e la loro manutenzione, oltre che per riparare i condizionatori d’aria all’interno delle strutture. “L’unico intervento del Governo posto in essere per fronteggiare l’emergenza penitenziaria - prosegue la nota - che dovrebbe prevedere incrementi di almeno duemila unità di poliziotti penitenziari e i fondi per la ristrutturazione di molte strutture fatiscenti, stenta a decollare. Aggiungiamo, ancora, che nel 2010 si sono tolti la vita 41 detenuti e 4 agenti di polizia penitenziaria. Il governo si rivela incapace di affrontare un tema incontrollabile. Quello che si dimentica - si legge ancora - è che a fine anno è automatico, è inevitabile, è fatale che il sistema penitenziario, destinato a ospitare 43.500 detenuti al massimo, ne dovrà ospitare 70 mila e oltre. Siamo ben oltre il collasso. Tanto vale dichiararsi sconfitti e accettare la resa”. Sicilia: il Garante dei diritti dei detenuti aderisce al “Ferragosto in carcere” dei Radicali Agi, 11 agosto 2010 Il garante dei diritti dei detenuti in Sicilia, il senatore del Pdl Salvo Fleres, ha aderito all’iniziativa del Partito Radicale “Ferragosto in carcere”, da lui considerata “particolarmente interessante ed utile”. Fleres pertanto venerdì visiterà gli istituti per minori di Acireale e di Catania e la casa circondariale di San Cataldo. “È mio intendimento in quell’occasione -ha detto Fleres - abbinare un ulteriore iniziativa, denominata coloriamo il nostro futuro consegnando ai minori reclusi delle confezioni di matite colorate, affinché, i giovani possano esprimersi attraverso i loro disegni e, come è già accaduto in circostanze analoghe, avrò poi il piacere di esporli i lavori presso le sedi dell’Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti. Mi auguro che i colleghi partecipanti a “Ferragosto in carcere” possano, alla ripresa dei lavori parlamentari, fornire il loro contributo per una più serena valutazione dei testi all’esame del Parlamento, con particolare riferimento a quelli che riguardano le misure atte a risolvere il problema del sovraffollamento e quelle riguardanti il lavoro in carcere”. Matite colorate dietro le sbarre… ma è un’idea sbagliata, di Roberto Puglisi Ci saranno matite colorate in carcere. La friabilità del pastello dietro le sbarre dure. Le tonalità del sole, della pioggia, del vento, del mare, del cielo, dell’asfalto, delle nuvole, delle marmitte delle macchine…. Tutta un’esplosione di coriandoli dove il mondo - quando proprio vuole rallegrarsi - riesce a imitare con fatica e somma pena il grigio. È un’idea sbagliata. Un solerte comunicato avverte: “Coloriamo il nostro futuro. È questo lo slogan dell’iniziativa del senatore Salvo Fleres, garante dei diritti dei detenuti in Sicilia, che venerdì prossimo regalerà matite ai minori reclusi nel carcere di Acireale e di Catania e a San Cataldo. I disegni saranno poi esposti nell’ufficio del garante dei diritti dei detenuti. “Ho aderito - dice Fleres - alla proposta Ferragosto in carcere lanciata dai radicali. Speriamo che i colleghi parlamentari possano, alla ripresa dei lavori d’aula fornire il loro contributo risolvere il problema del sovraffollamento e quelle riguardanti il lavoro in carcere”. Salvo Fleres è un ottimo garante dei detenuti. Conosce il problema a memoria. si regge sul lavoro di un ufficio - in cui campeggia il gigantesco sforzo dell’avvocato Lino Buscemi - impegnato strenuamente nel tentativo di ribaltare l’inclinazione orrenda delle galere siciliane. Tuttavia, l’idea è sbagliata delle matite, perché propone il belletto, non la svolta radicale e auspicata. I colori hanno un senso dove possono colorare. Se ricevono il corrispettivo di un foglio su cui stendersi. Altrimenti costruiscono un rimpianto. Dicono in ogni momento lo strazio, raccontano in ogni momento la luce inafferrabile del mondo di fuori che scorre senza te. Il carcere dietro i cancelli è una dolente e indistinta monocromia di colpevoli e innocenti. E non ha riscatto. È uno spurgo, una fossa biologica senza rimedio. Non fa più male la goccia di sole se il buio è irredimibile? I colori che mai potranno colorare le pareti di una cella non rischiano di gravare ulteriormente sulle spalle e sul cuore chi sperimenta la pena della loro assenza, nel regno dello squallore infinito? Costruite una galera che non sia soltanto grigia. Lì, i colori saranno una preghiera, una benedizione. Lazio: il Garante; accusato di violenza sessuale e ora assolto, ma ha perso lavoro e verrà espulso Dire, 11 agosto 2010 “Dal 1995 in Italia, con un lavoro regolare e il permesso di soggiorno, ha visto la sua vita cambiare radicalmente per un’accusa - rivelatasi infondata - di violenza sessuale. Ma, a causa di quella vicenda, ha perso l’impiego e, soprattutto, il titolo per restare legalmente in Italia”. La vicenda del 40enne marocchino Abdelmijd Mahraoui è stata denunciata dal Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni secondo cui, l’uomo si trova ora “in una sorta di limbo giuridico-amministrativo da cui non riesce a riemergere. Senza permesso di soggiorno, infatti, non può cercare lavoro e rimanere in Italia. Una cosa cui avrebbe pieno diritto visto che l’infamante accusa che gli è stata rivolta si è rivelata assolutamente infondata”. Abdelmijd, viene precisato nel comunicato, è stato arrestato il 24 febbraio del 2009 con l’accusa di violenza sessuale e subito trasferito nella sezione precauzionale del carcere di Regina Coeli. Durante la detenzione l’uomo, che si è sempre dichiarato innocente, ha perso il lavoro e non ha potuto rinnovare il permesso di soggiorno, scaduto a maggio 2009. Scarcerato dopo dieci mesi, il 10 dicembre scorso, Abdelmjid va alla Questura di Roma per il rinnovo del permesso scaduto ma qui gli viene notificato il decreto di espulsione. Nel frattempo, “la giustizia fa il suo corso”. A marzo 2010 il marocchino viene assolto dal Tribunale di Roma con formula piena e, sulla base di questa sentenza, l’avvocato chiede l’annullamento del Provvedimento di Espulsione, accordato a giugno, e il risarcimento per l’ingiusta detenzione. “Ci stiamo adoperando, insieme all’avvocato - spiega Marroni - affinché quest’uomo possa ottenere al più presto il titolo per tornare a vivere la vita che aveva prima. Al momento infatti Abdelmjid non è più espulso, ma senza il permesso di soggiorno non può lavorare ed avere una vita onesta. Spero davvero che le autorità facciano celermente quanto il loro potere per scrivere definitivamente la parola fine a questa ingiustizia”. Piemonte: Radicali; la Regione nomini urgentemente il Garante dei detenuti Adnkronos, 11 agosto 2010 La nuova giunta del Piemonte, presieduta da Roberto Cota, nomini urgentemente il Garante regionale dei detenuti. È l’appello lanciato da Giulio Manfredi, del Comitato dei Radicali italiani, che ha annunciato una serie di visite ai penitenziari del Piemonte, per attirare l’attenzione sul problema del sovraffollamento carcerario nel periodo più critico dal punto di vista delle condizioni di vita all’interno degli istituti, quello di agosto. “Le visite però - spiega Manfredi - servono fino a un certo punto, occorre che la nuova giunta nomini subito il garante”. La figura del garante, spiega, è stata istituita dalla legge regionale 28 del dicembre 2009. “In altre Regioni, come il Lazio - sottolinea Manfredi - esiste già ed è molto utile”. Nell’arco delle prossime due settimane, i Radicali visiteranno, insieme a consiglieri regionali e deputati, diversi penitenziari del Piemonte. Prima tappa, venerdì, con il carcere delle Vallette di Torino, per proseguire sabato con Novara, poi con Asti e probabilmente altri istituti di pena. Roma: detenuto suicida Rebibbia, era appena stato estradato dalla Spagna Ansa, 11 agosto 2010 Un detenuto cinquantenne, Riccardo Greco, si è tolto la vita impiccandosi questa notte nella sua cella del carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso. Lo rende noto il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. È l’ottavo decesso in un carcere della Regione nel 2010, il terzo per suicidio. A quanto appreso dai collaboratori del Garante, Greco era arrivato quattro giorni fa a Rebibbia Nuovo Complesso proveniente dalla Spagna, da dove era stato estradato. L’uomo era recluso in una cella singola del braccio G 9 in attesa di essere trasferito nella sezione di Alta Sicurezza. A trovarlo senza vita sono stati, questa mattina, gli agenti di polizia penitenziaria. “Non conosciamo i motivi che hanno spinto quest’uomo a togliersi la vita - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - ma, al di là del caso specifico, è certo che le condizioni di vita nelle carceri sono sempre più difficili, fra strutture fatiscenti, sovraffollamento, carenze di agenti e, soprattutto, di supporti psicologici e materiali. Il dramma è che, in queste condizioni, non sono pochi coloro che vedono nel suicidio la soluzione a tutti i problemi”. Palermo: sulla vicenda del detenuto in coma all’Ucciardone, sentiti i compagni di cella La Repubblica, 11 agosto 2010 Un farmaco somministrato in carcere e poi l’infarto. I familiari di Dino Naso, il detenuto di 41 anni dell’Ucciardone, in coma dopo un attacco cardiaco in cella, aggiungono un altro particolare nella loro denuncia contro il penitenziario. L’uomo, in coma irreversibile e in morte cerebrale, aveva accusato una crisi respiratoria il 4 agosto. In cella c’erano otto compagni, tutti fumatori, che ieri sono stati sentiti per ricostruire le fasi dei soccorsi. Naso era in cella per scontare due anni per droga. La famiglia di Naso, assistita dall’avvocato Enrico Tignini, nella denuncia presentata alla Procura ha indicato un buco di tre ore dal momento in cui Naso si è accasciato in cella fino al suo arrivo nell’ospedale Buccheri La Ferla. Una ricostruzione non condivisa dalla direzione del carcere che ha replicato nei giorni scorsi: “Il detenuto è uscito dalla cella con le sue gambe ed è stato assistito a dovere”. “Abbiamo saputo che quando mio marito ha avuto i primi problemi respiratori gli è stata data una pillola - accusa invece Giovanna Castello - Mio marito è rimasto in cella sette minuti. Voglio sapere cosa gli hanno fatto. Ho quattro figli e siamo una famiglia distrutta”. Intanto il vice presidente della commissione attività produttive all’Ars, Pino Apprendi, lancia un appello al presidente della Regione, Raffaele Lombardo, per chiedergli di “intervenire subito a sostegno della famiglia di Dino Naso”. “Si tratta di un caso gravissimo del quale il sindaco di Palermo, Diego Cammarata, non si è occupato - conclude Apprendi, che domani andrà a trovare gli otto compagni di cella del detenuto in coma - Avrebbe potuto mandare gli assistenti sociali dalla moglie e dai figli. Ma la vicenda è stata del tutto ignorata”. Napoli: a Secondigliano detenuti al lavoro per smaltire rifiuti speciali Agi, 11 agosto 2010 Un progetto di lavorazione dei rifiuti che impegnerà 15 detenuti che hanno già partecipato a un corso di formazione professionale della Regione Campania, all’interno del carcere di Secondigliano. L’iniziativa sarà presentata domani, 12 agosto alle 11,30, con una conferenza stampa nel penitenziario del capoluogo campano, cui prenderanno parte Franco Ionta, capo dell’Amministrazione Penitenziaria, Sebastiano Ardita, direttore generale dei detenuti, Tommaso Contestabile, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Liberato Guerriero, direttore dell’istituto penitenziario di Secondigliano. La Provincia di Napoli sarà presente con propri rappresentanti. L’idea di avviare presso l’istituto di Secondigliano un’attività nel campo della raccolta differenziata dei rifiuti, si legge in una nota del Dap, nasce da una convenzione sottoscritta nel novembre 2008 dal direttore dell’Ufficio centrale detenuti e trattamento del Dap Sebastiano Ardita ed il Consorzio di cooperative sociali Rolando Innocenti, rappresentato da Adelchi Innocenti. Il Centro penitenziario di Secondigliano, aderendo al protocollo d’intesa tra il consorzio ed il Dap, il 21 gennaio del 2009 aveva sottoscritto una specifica convenzione con la quale è stato concesso alla Coop. Liasa 97 (poi trasformata nella Secondigliano Rifiuti) l’uso di un terreno di circa 2.500 mq all’interno della struttura, da impiegare per la installazione dell’impianto per la lavorazione dei rifiuti, ottenendone come contropartita l’impegno all’assunzione di detenuti. Completate le opere di urbanizzazione e di montaggio dell’impianto e acquisite le prescritte autorizzazioni, in collaborazione con l’Area Tutela Ambientale della Provincia di Napoli, si è finalmente giunti al formale avvio dell’attività. Sono oggi 15, destinati ad aumentare, i soci della Secondigliano Recuperi, scelti tra i detenuti che hanno proficuamente partecipato ad un corso di formazione professionale della Regione Campania sulla raccolta differenziata dei rifiuti, che avranno una opportunità di lavoro all’interno dell’istituto con prospettive anche per il dopo fine-pena. Il progetto non limita i suoi orizzonti al di qua del muro di cinta: oltre a “gestire” i rifiuti “interni”, la Secondigliano Recuperi opererà a pieno titolo nel territorio urbano, cercando di offrire un contributo al superamento del problema dello smaltimento dei rifiuti e offrendo opportunità lavorative stabili a quella parte della cittadinanza che più di altre soffre delle difficoltà economiche generali. “Il progetto per la lavorazione dei rifiuti all’interno del carcere di Secondigliano - afferma Franco Ionta - è un esempio di virtuosa collaborazione e interazione tra carcere e territorio, un’occasione per impiegare i detenuti in un’attività di grande utilità sociale, offrendo loro la possibilità di acquisire competenze che potranno utilizzare una volta che avranno pagato il loro debito con la giustizia. Il lavoro socialmente utile - prosegue Ionta - è certamente una strada da percorrere e potenziare affinché il carcere possa offrire, attraverso il lavoro, un’occasione di reinserimento sociale”. Questo progetto non è l’unico messo in atto dalla direzione del carcere di Secondigliano: esso, infatti, fa parte dei programmi trattamentali interni gestiti in stretta collaborazione con gli enti locali, tra cui il progetto giardinaggio gestito in collaborazione con il Comune di Napoli, i corsi di formazione professionale organizzati dalla Regione. Di particolare rilievo il progetto di ‘solarizzazionè dell’Istituto, finanziato dai ministeri della Giustizia e dell’Ambiente, le cui attività sono in corso e prevedono la realizzazione di uno stage per un gruppo di detenuti che conseguiranno, al termine, la qualifica professionale di installatori e manutentori di impianti solari termici. Nuoro: carcere duro a Badu ‘e Carros, dalla Regione arriva un primo “no” L’Unione Sarda, 11 agosto 2010 Duro intervento di Silvestro Ladu, presidente della commissione diritti civili, dopo la notizia dei lavori in corso nel carcere nuorese dove è iniziata la costruzione di un nuovo padiglione. “Abbiamo ancora chiaro in mente il terribile focolaio che i tanti terroristi mandati negli anni 70 causarono nel territorio”. “Badu ‘e Carros supercarcere? Un’ipotesi che non deve essere sottovalutata. E su cui la regione Sardegna dirà la sua. Visto che abbiamo approvato una mozione in cui espressamente si dice che “Deve essere garantita la tutela dei detenuti sardi da infiltrazioni derivanti dalla convivenza in carcere con elementi della criminalità organizzata appartenenti alla delinquenza nazionale e internazionale”“. Così il presidente della commissione diritti civili della Regione Silvestro Ladu, che interviene dopo la notizia dei “lavori” in corso nel carcere nuorese. Dove è iniziata la costruzione di un nuovo padiglione che il Dap potrebbe decidere di assegnare alla custodia di detenuti in regime di 41 bis, il carcere duro destinato ai soggetto di “massima pericolosità”. “In questa fase non si può prevedere tale eventualità - spiega Ladu - anche perché la costruzione delle celle e relativi servizi sono pressoché uguali in tutte le carceri di nuova costruzione (in Sardegna ne sono previsti quattro nuovi che sono già a buon punto, più il nuovo braccio di Badu ‘e Carros). E bisogna vedere cosa deciderà in seguito il Dap”. “Quello che è certo - continua Ladu - è che tale dipartimento, pur avendo una propria autonomia, non può prescindere dalla volontà delle popolazioni interessate della Regione Sardegna. Tale volontà è stata espressa con risoluzioni approvate dalla commissione regionale competente dei diritti civili e da una mozione, approvata dal consiglio regionale nel luglio del 2009, la quale espressamente dice: “Deve essere garantita la tutela dei detenuti sardi da infiltrazioni derivanti dalla convivenza in carcere con elementi della criminalità organizzata appartenenti alla delinquenza nazionale e internazionale”“. “Si tratta di un no all’arrivo dei detenuti speciali - sottolinea Ladu - mentre si sollecita il rientro dei detenuti sardi che stanno espiando la pena in diverse carceri italiane (rispetto del principio della territorializzazione della pena) e l’attuazione del protocollo d’intesa siglato tra il ministero della giustizia e la Regione. Che prevede l’attuazione di alcuni punti importanti per migliorare la vivibilità all’interno degli istituti di pena, come l’assistenza sanitaria e altri servizi, compresa l’istituzione della commissione interministeriale permanente, organismo determinante per la compiuta esecuzione dello stesso, che ancora non c’è”. “La posizione della Regione è chiara - spiega Ladu - e va difesa al momento opportuno e sempre, poiché sono altre le esigenze e le eccellenze che la Sardegna chiede. Nello specifico caso di Badu ‘e Carros l’esperienza del braccio negli anni ‘70-80 è stata veramente traumatica non solo per ciò che è successo all’interno del carcere, ma anche per l’impatto che ciò ha avuto a Nuoro e in tutto l’ambiente circostante. Il ricordo del “braciere acceso” nella città capoluogo e l’idea che si possa tornare indietro è deleteria, di grande preoccupazione e non verrà accettata dalla popolazione”. “Il Dap e il Ministero competente - attacca Ladu - pensino invece a risolvere il problema del sovraffollamento dei detenuti e della vivibilità all’interno delle strutture carcerarie, compresa la possibilità di poter lavorare all’interno e all’esterno per non pesare troppo sul bilancio delle proprie famiglie e per recuperare appieno il detenuto, nel vero spirito della riforma penitenziaria”. “Si affrontino una vota per tutte - dice Ladu - i seri problemi della carenza di agenti di Polizia Penitenziaria e del personale civile che in certi casi supera il 50%, magari attivando una seria politica di rientro delle migliaia di agenti che attualmente lavorano nella penisola”. “Questo confronto fra Regione, Dap e Ministero competente - chiude il consigliere regionale Pdl - ha bisogno di alcuni approfondimenti che non sono più rinviabili, affinché le risoluzioni e le mozioni approvate dal Consiglio Regionale non rimangano lettera morta”. Salerno: fredde e razionate le docce per i detenuti del carcere di Fuorni La Città di Salerno, 11 agosto 2010 Da due settimane, per lavarsi, sono costretti ad usare acqua gelata. Non solo. Se il guasto alle caldaie, l’ennesimo, è più facilmente sopportabile, per ovvi motivi, in estate che in inverno, con il caldo diventa invece difficile accettare di non potersi fare una doccia tutti i giorni, così come previsto dalla legge 230 del 2000, ma di doversi accontentare del tetto massimo delle tre volte a settimana. Nel mirino finiscono nuovamente le pessime condizioni in cui vivono i detenuti del carcere di Fuorni che, in una lettera, hanno denunciato l’ennesimo disservizio patito da quanti si trovano all’interno di una casa circondariale tarata per 280 persone, ma che di fatto, a oggi, ne ospita circa 465. Sovraffollamento, spazi angusti, servizi ridotti all’osso e personale addetto alla sorveglianza a dir poco carente: sono questi i problemi che attanagliano in generale le carceri italiane e, nello specifico, anche quello salernitano. “La direzione sta facendo i salti mortali - ha spiegato Lorenzo Longobardi, segretario provinciale della Uil penitenziaria - Da anni chiediamo un confronto con le istituzioni ed ora la situazione è diventata insostenibile. Il Governo ha tagliato i fondi. Non ci sono soldi per il vitto e neppure per acquistare la carta igienica. Il carcere sta scoppiando e se si consentisse a tutti i detenuti di usufruire tutti i giorni delle docce, l’impianto salterebbe perché è vecchio e andrebbe sostituito. Ecco perché ora, per l’ennesima volta, l’acqua calda manca. Perché le caldaie hanno subìto un guasto che deve essere riparato. Ma non si può andare avanti con continui rattoppi senza una programmazione specifica e la certezza di una copertura delle spese”. A fine giugno, per cinque giorni, i detenuti protestarono, rifiutando il vitto e battendo contro le sbarre con degli oggetti metallici, per denunciare le gravissime carenze igienico-sanitarie della struttura. I detenuti di Fuorni avevano sottolineato la difficile situazione in cui da tempo versano, a causa dell’ormai inadeguatezza della struttura con “ogni cella da 22 metri quadri che ospita otto persone, con evidenti problemi di igiene”. Ma anche che “l’attesa per una visita medica specialistica è tra i quattro e sei mesi, mentre il dentista è inesistente”. Oltre a problemi legati all’alimentazione. “Il vitto è completamente insufficiente. I prezzi per chi vuole comprare qualcosa extra sono tre volte superiori a quelli di mercato. Chiediamo - scrivono infine - almeno in estate, la possibilità di una doccia al giorno”. Il problema, però, non solo non è stato risolto, ma anzi si è riproposto in tutta la sua emergenza, considerata anche l’afa di questi giorni. • “Non ci servono le visite di deputati e senatori, se a queste non seguono interventi concreti - ha continuato Longobardi - Poi ci stupiamo di suicidi, droga, depressioni e quant’altro. Quella che fanno i detenuti non è vita. Senza considerare i problemi che sono costretti a sopportare gli agenti della penitenziaria, costantemente esposti al rischio e ad un livello di stress altissimo dovuto al super lavoro”. Rieti: ambulatori medici pronti da anni, ma i detenuti per le cure vengono portati fuori Il Messaggero, 11 agosto 2010 Il problema non è nuovo ma col tempo, invece di trovare soluzioni anche parziali, diventa sempre più complicato da affrontare e venirne a capo. Parliamo del nuovo carcere di Rieti, la struttura di Vazia, inaugurata ed operativa dall’ottobre dello scorso anno ma da allora rimasta ai nastri di partenza. Nel personale destinato alla sorveglianza, nei mezzi a disposizione per affrontare le emergenze sanitarie, nelle aree adibite ad accogliere detenuti. L’unica voce che ha fatto segnare il segno più è stata quella della popolazione detenuta. Tanto che attualmente il carcere, pur essendo sfruttato per un terzo della sua potenzialità, ospita 110 detenuti in un’area dove non dovrebbero soggiornare più di 65 persone, sempre che si vogliano rispettare gli standard di sicurezza minimi. A focalizzare di nuovo l’attenzione sull’emergenza penitenziaria di Rieti, è il segretario provinciale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, Stefano d’Antonio. Che fornisce alcuni elementi che meritano un’attenta riflessione. I gabinetti odontoiatrici e radiologici, ad esempio. “Sono due anni che ci sono i macchinari - spiega D’Antonio del Sappe - ma non sono mai entrati in funzione e solo dal mese di luglio abbiamo dovuto effettuare 20 trasferimenti dal carcere alla Asl per l’effettuazione delle visite specialistiche”. Un’incombenza aggiuntiva che, in questo periodo estivo, ha portato il personale a superare anche le 12 ore di servizio continuativo. “E nonostante questo - aggiunge D’Antonio - viene chiesto agli agenti di accollarsi anche la responsabilità di tracciare profili psicologici che possano eventualmente permettere di intuire l’eventuale rischio di autolesionismo da parte dei detenuti”. Che fare? “Noi - conclude D’Antonio - non possiamo far altro che denunciare la situazione”. Basterà? Genova: Sappe; detenuti scoperti con il telefonino in cella, schermare le carceri Secolo XIX, 11 agosto 2010 La schermatura totale del carcere di Marassi e di tutti gli istituti penitenziari. È la proposta lanciata dal Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, dopo il ritrovamento di un telefono cellulare in una cella del carcere genovese. Il cellulare è stato scoperto ieri mattina dagli agenti durante una perquisizione ad alcuni detenuti extracomunitari. La notizia è stata diffusa dallo stesso sindacato che ha chiesto all’amministrazione penitenziaria “una dotazione ai reparti di polizia una adeguata strumentazione tecnologica per contrastare l’uso di telefoni cellulari o altra strumentazione elettronica da parte dei detenuti”. Il segretario generale del Sappe Roberto Martinelli sottolinea come siano “indispensabili interventi immediati compresa la possibilità di schermare gli istituti penitenziari al fine di neutralizzare l’ utilizzo di qualsiasi mezzo di comunicazione non consentito”. Non è la prima che nell’istituto penitenziario di Genova gli agenti scoprono telefonini nascosti in cella. Dieci anni fa, due cellulari erano stati nascosti dentro il locale docce, mentre quattro schede camuffate dentro gusci di noce. Un altro telefonino era stato ritrovato nella cella di un boss di un’organizzazione che in città gestiva l’installazione dei videopoker. Radio carcere, infine, aveva denunciato il lancio di stupefacenti e telefoni dalla strada, da parte di parenti ai detenuti. Droghe: narcotest, l’arroganza della tolleranza zero Susanna Ronconi (Forum Droghe) Il Manifesto, 11 agosto 2010 Conviene non far passare sotto silenzio la polemica aperta dal sottosegretario Giovanardi contro Giuseppe Bortone, della Cgil nazionale, e contro Forum Droghe, attorno al test antidroga sui lavoratori di alcune categorie (articoli su “il manifesto” del 21 e 27 luglio 2010). Perché è questione di civiltà, perché tocca molti lavoratori, molti di noi e perché riguarda la sicurezza di tutti. Bortone, commentando i dati relativi agli esiti dei test presentati dal Dipartimento governativo antidroga nella Relazione annuale al Parlamento, riproponeva una questione - tante volte sollevata negli anni addietro, anche con il centrosinistra, che sintetizzo così: i test, per essere utili a prevenire danni correlati allo stato di alterazione dei lavoratori durante lo svolgimento delle loro mansioni, devono verificare a) che davvero il lavoratore abbia assunto la sostanza subito prima o durante il lavoro, e pertanto b) che sia in uno stato di alterazione tale da compromettere funzionalità, capacità e attenzione ed esporre al rischio la sicurezza altrui e propria. In assenza di questa doppia verifica - alterazione al momento e disfunzionalità correlata - i test non solo non tutelano pragmaticamente nessuno, ma finiscono con il punire non un comportamento irresponsabile bensì uno stile di vita del lavoratore. E i dati governativi danno ragione in modo inequivocabile a questa osservazione critica, quando dicono che il 64% di chi è risultato positivo (l’1,2% dei testati) lo è alla cannabis, una sostanza i cui metaboliti sono rintracciabili nell’organismo anche 30 giorni e più dopo l’assunzione. Dunque, con le attuali metodiche di accertamento, si impone un cambiamento di mansione - con possibile perdita di reddito e ruolo, e stigma sociale annessi - a lavoratori che possono aver assunto cannabis il sabato sera, averla “smaltita” dopo poche ore, ed essere al lavoro il lunedì mattina in piena responsabilità. Facendo il parallelo con una droga legale, è come se un lavoratore brindasse a prosecco per il battesimo del figlio il sabato e andasse al lavoro il lunedì. Per capirci, stando sull’esempio: l’attuale normativa non richiede lucidità sul lavoro, impone di essere astemi. E non è la stessa cosa. Giovanardi dice tre cose: siamo ideologici, parliamo contro le evidenze scientifiche e siamo irresponsabili, non ci curiamo della sicurezza altrui (che è anche la nostra). Ideologici? Ormai, nell’orgia ideologica - quella sì - della tolleranza zero curarsi di alcuni diritti di base, come quello del rispetto della sfera privata, del lavoro o anche “solo” dell’essere penalizzati per condotte effettivamente e non ipoteticamente messe in atto, appare gesto sovversivo, “aberrante assioma”, per dirla con Giovanardi. Lo scontro è tra la mitezza di chi invoca un minimo rispetto del diritto e l’arroganza di chi impone etiche di stato e addita nemici pubblici. Evidenze scientifiche? I critici più radicali appartengono al mondo di chi studia e opera nel settore, perché a loro è noto come un’assunzione sporadica non sia una dipendenza, un test rivela l’assunzione ma non il suo momento, un’assunzione di sostanze diverse da parte di persone diverse in momenti diversi ha bisogno, per essere valutata nei suoi effetti, di qualcosa di più di un metabolita. Le reiterate affermazioni governative, anche in testi ufficiali, della totale equiparazione tra consumo sporadico e/o controllato e dipendenza, gridano vendetta alla scienza, al buon senso, all’esperienza. Siamo irresponsabili? Noi, che ci occupiamo di salute pubblica, affermiamo che la strategia repressiva e punitiva è la meno efficace per prevenire qualsiasi danno, sanitario o sociale, e che il fallimento di decenni di “war on drug” è, quello sì, “evidente”. Si previene in alleanza e non contro i lavoratori (e i consumatori), perché come ogni operatore sa, la consapevolezza e l’attivazione in prima persona dei soggetti coinvolti è il solo strumento efficace che abbiamo. Per farlo - controlli inclusi, laddove opportuno - vanno rispettati davvero criteri di scientificità e insieme un giusto (e costituzionale) bilanciamento tra sicurezza e diritti individuali. Siamo molto lontani, oggi, da tutto questo. Iran: 16 detenuti politici dopo due settimane interrompono lo sciopero della fame Ansa, 11 agosto 2010 Sedici detenuti politici iraniani rinchiusi nel carcere di Evin, a Teheran, hanno interrotto oggi uno sciopero della fame che durava da 15 giorni, secondo quanto ha reso noto il sito dell’opposizione Kaleme. “Continueremo la nostra lotta per la difesa dei diritti legali di tutti i prigionieri, si legge in una dichiarazione del gruppo pubblicata dal sito. Speriamo - si aggiunge nella nota - che il procuratore di Teheran e altre autorità non dimentichino le promesse fatte di accogliere le nostre richieste. Tra le richieste, sottolinea Kaleme, vi era anche quella di avviare procedimenti legali contro autorità che hanno insultato i detenuti politici. Secondo le notizie fornite dai siti dell’opposizione, un gruppo di 17 detenuti, tra i quali diversi giornalisti e attivisti del movimento studentesco, avevano cominciato a digiunare il 26 luglio scorso dopo un parapiglia con alcune guardie carcerarie per il trattamento riservato ai loro congiunti che erano venuti in visita. Uno dei 17 prigionieri, Babak Bordbar, è stato rilasciato tre giorni fa. Secondo Kaleme, questa era una delle richieste dei detenuti per mettere fine al digiuno.