Giustizia: a Ferragosto c’è chi va al mare… e chi va in galera di Dimitri Buffa L’Opinione, 10 agosto 2010 L’obiettivo è semplice: a Ferragosto i Radicali italiani, che notoriamente sono laici, adempiranno quello che è un precetto cristiano per antonomasia, visitare i carcerati. Portar loro conforto. Specie nella attuale situazione in cui si avviano allegramente verso quota 70 mila, in strutture che a malapena possono contenerne 44 mila. Lo scorso anno l’iniziativa del “Ferragosto in carcere” ha avuto un grande riscontro: in tre giorni, grazie alla disponibilità di 165 parlamentari, sono state visitate quasi tutte le oltre duecento strutture penitenziarie presenti sul territorio. La più massiccia e importante visita di sindacato ispettivo mai effettuata in Italia. “Quest’anno - si auspicano i Radicali la cui delegazione sarà condotta da Rita Bernardini e Marco Pannella - se possibile, dobbiamo fare meglio, completando con le nostre visite tutte le carceri, compresi gli istituti per minori”. Insomma si spera che in questi tre giorni, dal 13 al 15 agosto, gli italiani possano vedere lo spettacolo molto civile (e d’altronde in Gran Bretagna i deputati sono dei “civil servants”) di duecento e più tra deputati e senatori che si fanno carico di dare una risposta a qualcosa cui per la verità anche il ministro Alfano aveva tentato di darla. Con il cosiddetto decreto, poi ddl, “svuota carceri”, che alla fine è stato svuotato lui, da un abile gioco delle parti in Commissione giustizia tra Lega Nord, Di Pietro, parti del Pd (la capogruppo Donatella Ferranti) e del Pdl. Certo, vista l’eterna atmosfera preelettorale, nel nostro Paese nessuno vuole restare con il cerino in mano di avere aiutato i più bisognosi anche di aiuto a tornare sulla retta via. Dall’inizio dell’anno sono morte 110 persone in carcere? “E chi se ne frega”, è il motto implicito coniato da un deputato leghista che ogni volta che la Bernardini in aula ha fatto presente che c’era stato un nuovo suicidio tra i detenuti esclamava “uno in meno”. Peccato che si suicidino anche gli agenti, i direttori, i provveditori: tutti quelli che hanno a che fare con questi luoghi maledetti. Indifferenza e tracotanza ovviamente valgono finché non diventano loro, i politici, magari gli stessi leghisti, dei detenuti: a quel punto scatta il garantismo. Per fortuna ci sono i Radicali con il loro 2 e rotti per cento a far saltare questi squallidi calcoli e a riportare almeno parte dei rappresentanti eletti in Parlamento a un ruolo più alto dei loro compito. Giustizia: non solo Lega, i forcaioli sono bipartisan di Rita Bernardini (deputata Radicale eletta nelle liste Pd) Il Manifesto, 10 agosto 2010 Vorrei portare Roberto Maroni, Silvio Berlusconi e Angelino Alfano nel carcere di Gazzi a Messina così ben raccontato nel reportage “Dalle celle alle stalle” pubblicato sul manifesto di domenica scorsa. Vorrei girare con loro ogni angolo di quell’istituto, andare alle celle della sezione “Sosta”. Vorrei incrociare i loro sguardi mentre da quell’ammasso di corpi costretti nella sporcizia e nell’indigenza più nera si leva la voce di un anziano detenuto che dice: “Qui i gatti si pauriscono dei topi”, indicando il cartone attaccato al cancello per tener fuori le pantegane. Vorrei sussurrare al Presidente e al Ministro “la civiltà di un Paese si misura...” Il mio amico Patrizio Gonnella ha scritto su questo giornale di essersi scandalizzato perché la lettera di invito ai parlamentari per il Ferragosto in carcere è stata firmata anche dai capigruppo Lega e Pdl della Commissione Giustizia della Camera. Lacrime di coccodrillo, ha detto. Io invece li ringrazio come ringrazio gli oltre 40 parlamentari di Pdl e Lega che andranno a visitare le carceri italiane il 13, 14 e 15 agosto. Da nonviolenti siamo convinti che la conoscenza della realtà è la migliore consigliera del legislatore e di chi ci governa. L’approccio è lo stesso di quando si fa uno sciopero della fame. C’è chi lo usa come un ricatto: “Se non fate quello che., dico io, minaccio di lasciarmi morire”. E c’è chi punta a far emergere il lato migliore dell’interlocutore: “Cerco - afferma il nonviolento radicale - di trasmettere a te la forza che io perdo. Con il digiuno, affinché tu possa trovare dentro di te le ragioni dell’assennatezza delle mie richieste e se non le trovi, non cedere per pietà nei miei confronti, finirebbe ogni forma di dialogo!” Invito Patrizio a riflettere: a forza di limitare le iniziative al campo degli “amici” si rischia di non rendersi conto che quel campo è sempre più piccolo e infruttuoso. Quando, dopo un nostro lungo digiuno, il Ministro Alfano elaborò il ddl sulla detenzione domiciliare per l’ultimo anno di pena, tutti i gruppi parlamentari gridarono allo scandalo. Si realizzò una sorta di unità nazionale per affossarlo. Dal centrodestra urlavano “no all’indulto mascherato, no allo svuota-carceri”, dal centrosinistra “niente automatismi, non si può eludere il potere dei magistrati”. Mentre le associazioni (tranne Ristretti Orizzonti e poche altre) si esercitavano al tiro al bersaglio al ddl. Risultato: oggi i detenuti sono quasi 70.000 anziché 55.000. L’approvazione di quel ddl prima dell’estate sarebbe stata una boccata d’ossigeno su cui innestare altre lotte nella direzione della de-carcerizzazione e delle misure alternative. Ma sia i compagni che i “forcaioli” hanno preferito giocare la partita del tanto peggio tanto meglio. Concludo. Un deputato europeo, un compagno puro e duro, mi ha scritto che rinuncia a fare la sua visita. “Cara Rita - mi ha scritto - sono troppo disperato e pessimista per andare a visitare il carcere a Ferragosto. Mi sentirei come un turista che va a “vedere” la povertà di Benares... Insomma, scusatemi, cancellatemi dalla lista, e naturalmente contate su tutta la mia solidarietà per la vostra azione”. Il commento al pessimismo cosmico di questo autorevole eurodeputato, lo lascio, se vuole, al mio amico Gonnella. Giustizia: i Radicali invitano la Cei a partecipare al Ferragosto in carcere Agenzia Radicale, 10 agosto 2010 Il Segretario di Radicali Italiani, Mario Staderini, e la deputata radicale Rita Bernardini, hanno scritto al Presidente della Cei Angelo Bagnasco e a tutti i Vescovi e gli Arcivescovi italiani per chiedere la loro partecipazione all’iniziativa “Ferragosto in carcere”, che si terrà dal 13 al 15 agosto e che ha già avuto l’adesione di 152 parlamentari di tutti gli schieramenti. L’art. 67 dell’Ordinamento Penitenziario, infatti, riconosce agli Ordinari diocesani la prerogativa di visitare gli istituti penitenziari senza preavviso per l’esercizio del loro ministero. “Ricordiamo il significato che ebbe dieci anni fa il Giubileo nelle carceri fortissimamente voluto da Giovanni Paolo II e le parole che utilizzò nel messaggio inviato allora: “astenersi da azioni promozionali nei confronti del detenuto significherebbe ridurre la misura detentiva a mera ritorsione sociale, rendendola soltanto odiosa”. Proprio per questo Le chiediamo di operare affinché anche gli Ordinari diocesani si uniscano in quest’incontro con una umanità sofferente che ha estremo bisogno di ascolto”. Così scrivono gli esponenti Radicali nella lettera al Presidente della Cei, dopo aver richiamato le condizioni disumane e degradanti in cui l’intera comunità penitenziaria è costretta a vivere. “Siamo certi - proseguono i Radicali - che comprenderà l’importanza che un Suo gesto potrà avere per il rispetto dei diritti umani fondamentali di uomini e donne che, come ha ricordato Benedetto XVI, “hanno perso la libertà, ma non la dignità”. Richiamando le parole di Gesù “ero carcerato e mi avete visitato”, Staderini e Bernardini hanno inviato analoga lettera a tutte le sedi vescovili, sottolineando quanto una loro vasta partecipazione aiuterebbe la società italiana a essere più informata e attenta sulle condizioni indegne in cui vivono decine di migliaia di persone. La lettera al Cardinal Bagnasco Eminenza, le condizioni in cui versano le carceri italiane sono disperanti. Indubbiamente questo è l’anno più difficile per tutta la “comunità penitenziaria”: mai in passato i detenuti ristretti nelle nostre carceri sono stati così tanti (68.206) e il personale di ogni livello così ridotto nel suo organico, Ciò ha comportato e comporta che oggi - più che nel passato - il carcere sia sempre di più (e spesso esclusivamente) il luogo della pena, che poco o niente ha a che vedere con la pietas oltre che con quanto sancito dall’art. 27 della Costituzione Italiana, secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha di già condannato l’Italia per il trattamento disumano e degradante cui sono ridotti i reclusi. Dall’inizio dell’anno sono 40 i detenuti suicidi (34 si sono impiccati, 5 si sono asfissiati col gas e 1 si è tagliato la gola), mentre il totale dei detenuti morti nel 2010, tra suicidi, malattie e cause “da accertare” arriva a 110 (negli ultimi 10 anni i “morti di carcere” sono stati 1.703, di cui 594 per suicidio). Nei primi sette mesi del 2009 (anno che ha fatto registrare il “record storico” di suicidi in carcere, con 72 casi), il numero dei detenuti suicidi era attestato a 31, quindi 7 in meno rispetto a quest’anno. Un trend negativo che, a meno di clamorose inversioni, a fine anno rischia di produrre un numero di decessi in carcere mai visto, né immaginabile fino a pochi anni fa. Ma non sono soltanto i detenuti a “morire di carcere”: da inizio anno già 4 agenti di Polizia penitenziaria si sono tolti la vita e il 23 luglio si è ucciso anche il Provveditore alle carceri della Calabria, Paolo Quattrone. Lo scorso anno l’iniziativa del”Ferragosto in carcere” da noi organizzata ha avuto un grande riscontro:in tre giorni, grazie alla disponibilità di 165 parlamentari, sono state visitate quasi tutte le oltre duecento strutture penitenziarie presenti sul territorio. Si è trattato indubbiamente della più massiccia e importante visita di sindacato ispettivo mai effettuata in Italia. Le scriviamo per informarLa che ripeteremo l’iniziativa anche quest’anno nei giorni 13, 14 e 15 agosto. Parlamentari e consiglieri regionali di tutti gli schieramenti politici, assieme ai garanti per i diritti delle persone private della libertà, incontreranno la “comunità penitenziaria”. Conosciamo il lavoro che svolge la Chiesa cattolica all’interno degli istituti e ricordiamo il significato che ebbe dieci anni fa il Giubileo nelle carceri fortissimamente voluto da Giovanni Paolo II, le parole che utilizzò nel messaggio inviato allora: “astenersi da azioni promozionali nei confronti del detenuto significherebbe ridurre la misura detentiva a mera ritorsione sociale, rendendola soltanto odiosa”. Proprio per questo Le scriviamo per chiederLe di operare affinché questa volta anche gli Ordinari diocesani, che in base all’art. 67 dell’Ordinamento Penitenziario (L. 354/75) hanno la prerogativa di visitare gli istituti penitenziari senza preavviso per l’esercizio del loro ministero , si uniscano a noi in quest’incontro con una umanità sofferente che ha un estremo bisogno di ascolto. E non ci riferiamo solamente ai detenuti, ma anche al personale, ai direttori, agli agenti di polizia penitenziaria, agli educatori, agli psicologi, agli assistenti sociali, ai medici e agli infermieri. Siamo certi che comprenderà l’importanza che un Suo gesto potrà avere per il rispetto dei diritti umani fondamentali degli uomini e delle donne che, come ha ricordato Benedetto XVI, “ hanno perso la libertà, ma non la dignità”. “Ero carcerato e mi avete visitato”: un’opera di misericordia, di ri-conoscimento in quei “poveri” cui si riferisce Gesù nel Vangelo, che permetterebbe alla società italiana di essere più attenta e informata sulle condizioni indegne in cui vivono decine di migliaia di persone. Rita Bernardini (deputata Radicali) Mario Staderini (Segretario Nazionale di Radicali Italiani) Giustizia: Alfano ringrazia agenti Polizia penitenziaria che hanno salvato detenuti da suicidio Ansa, 10 agosto 2010 Su proposta del ministro della Giustizia Angelino Alfano, il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta ha firmato gli elogi ufficiali per i due assistenti capo di Polizia Penitenziaria, Concetta Di Gloria e Calogero Rizzuto, che nei giorni scorsi, nelle rispettive sezioni del carcere di Agrigento “Petrusa”, hanno tratto in salvo due detenuti che stavano tentando il suicidio in cella. Per le stesse motivazioni hanno ricevuto l’elogio anche l’assistente capo Sebastiano Camineti e l’agente scelto Filippo Maranto della struttura penitenziaria di Livorno. A Ionta il Guardasigilli ha espresso la propria soddisfazione per la prontezza e la grande capacità di intervento dimostrate dagli agenti in un momento in cui “nervi saldi e professionalità possono fare, come in questo caso, la differenza fra la vita e la morte”. “Professionalità e umanità - ha aggiunto Alfano - che costituiscono parte integrante del profilo degli appartenenti al Corpo della Polizia Penitenziaria che, quotidianamente e a volte con grande sacrificio, onorano un compito di grande responsabilità volto ad assicurare la sicurezza dei cittadini e il recupero del detenuto alla società civile. Oltre che, come in questo caso, la salvaguardia della vita stessa all’interno delle strutture carcerarie”. Giustizia: un programma di attività di recupero ambientale affidate ai detenuti www.giustizia.it, 10 agosto 2010 Roma - 3 agosto - Prende il via il progetto di recupero del patrimonio archeologico della capitale svolto attraverso l’impiego di detenuti, frutto di un protocollo d’intesa tra la Sovraintendenza ai beni culturali del Comune ed il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - Direzione Generale dei detenuti e del trattamento, con la collaborazione di Ama S.p.A. (Azienda Municipale Ambiente). Dal 1 agosto al 31 dicembre 2010, 5 detenuti ristretti nella Casa di reclusione di Rebibbia saranno impiegati per la manutenzione ordinaria e la pulizia delle aree archeologiche della capitale. Napoli - 12 agosto - Nell’istituto penitenziario di Secondigliano, verrà formalmente avviato un progetto per la raccolta differenziata dei rifiuti, realizzato grazie al protocollo d’intesa siglato tra Dap - Direzione generale dei detenuti e del trattamento, ed il Consorzio di cooperative sociali Rolando Innocenti, con il patrocinio dell’Area Tutela Ambientale della Provincia di Napoli.Al programma prenderanno parte 15 detenuti che saranno impiegati non solo nelle operazioni di raccolta e gestione dei rifiuti interni, ma anche nell’ambito di progetti collegati, gestiti in collaborazione con gli enti locali. Palermo - 13,14,15 agosto - Un’operazione di pulizia delle spiagge sarà affidata a 10 detenuti della casa circondariale di Pagliarelli che ripristineranno anche alcune aree degradate del litorale di Mondello, sotto la direzione tecnica dell’A.M.I.A. di Palermo. Roma 15 -agosto - Altra iniziativa ambientale per la pulizia degli spazi verdi dell’Esquilino con l’impiego di 10 detenuti ristretti nell’istituto penitenziario di Roma Rebibbia. Milano - 15 agosto 65 detenuti degli istituti penitenziari di Bollate, Opera e Monza, prenderanno parte ad un’imponente operazione di pulizia di un’area naturale protetta del Comune di Vanzago. Giustizia: Osapp; bene visite parlamentari alle carceri, ma non solo a Ferragosto Il Velino, 10 agosto 2010 “I peggiori nemici del carcere in Italia sono il silenzio e la disinformazione, per questo non solo plaudiamo all’iniziativa di alcuni parlamentari di visitare gli istituti penitenziari a Ferragosto, ma auspichiamo che le visite proseguano, in massa, nei giorni e mesi successivi e, soprattutto, che siano effettuate senza preavviso agli organi dell’amministrazione”. Ad affermarlo è il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, per il quale la presenza e l’attività ispettiva continua dei parlamentari nelle carceri costituisce l’unico deterrente all’assenza di notizie e di trasparenza su quello che accade in ambito penitenziario in Italia. “Infatti, benché l’Osapp sia un sindacato di categoria e, quindi, sia costituito da addetti ai lavori - prosegue il sindacalista -, secondo le disposizioni emanate dal capo del Dap Franco Ionta, da tempo ci è persino preclusa la possibilità di conoscere il numero effettivo dei detenuti presenti e che, oggi, sarebbero ufficialmente 68.179 mentre, invece, noi sappiamo essere almeno 600 in più, a cui vanno aggiunti ulteriori 470 detenuti negli istituti penali per minorenni e, quindi, per una cifra che comincia ad avvicinarsi alle fatidiche 70.000 unità. Altrettanto - aggiunge ancora il leader dell’Osapp -, non abbiamo alcuna notizia ufficiale su dove, come e quando inizierà la costruzione dei 20 padiglioni e degli 11 istituti del c.d. ‘piano carcerì di Ionta e Alfano, benché i lavori delle nuove infrastrutture influiranno gravemente sui carichi di lavoro e sui diritti del personale di polizia penitenziaria nonché, sulla sicurezza interna ed esterna degli attuali penitenziari. Infine - conclude Beneduci - solo per diretta conoscenza, ci si può rendere conto di quale ‘carnaiò siano diventate le carceri in Italia e del fatto che, quali che siano gli ostacoli e i ripensamenti governativi, il Parlamento debba agire in fretta per la riorganizzazione del sistema e della polizia penitenziaria”. Puglia: le carceri scoppiano, serve il Garante dei detenuti (e non solo) Agenzia Radicale, 10 agosto 2010 A Brindisi conferenza stampa di Pannella e D’Elia, sul sovraffollamento delle carceri. A Palazzo Granafei-Nervegna, Marco Pannella, leader del Partito Radicale, Sergio D’Elia, segretario di “Nessuno tocchi Caino”, ed il sindaco di Brindisi, Domenico Mennitti, hanno tenuto una conferenza sul “sovraffollamento carcerario” della Puglia, che figura al secondo posto nella classifica nazionale. Saluto di Domenico Mennitti, sindaco di Brindisi Nella classifica nazionale del “sovraffollamento carcerario” la Puglia figura al secondo posto. Alla fine di giugno, i detenuti presenti nelle carceri della regione erano 4.601, oltre 2.000 rispetto alla “capienza regolamentare” e 600 in più anche di quella “tollerabile”. La Regione Puglia non merita questo infelice primato, anche perché nella scorsa legislatura il Presidente Vendola ha voluto che venisse istituito con una legge ad hoc il Garante Regionale dei Diritti delle persone private della libertà. Ma sono passati già quattro anni e alla legge scritta non hanno fatto seguito gli atti conseguenti: il decreto attuativo della legge e la nomina del Garante. Per questo, nei giorni scorsi i Radicali, con una lettera aperta, si sono appellati a Vendola per il completamento di un’opera che è di estrema attualità, necessità e urgenza. Nella Conferenza di Brindisi, i Radicali rilanciano l’appello al quale ad oggi non è giunta ancora risposta. Alla conferenza parteciperanno numerosi operatori penitenziari e del volontariato sociale, esponenti politici e amministratori di comuni della provincia di Brindisi, parenti di detenuti organizzati nella neonata Associazione Famiglie Fratelli Ristretti. In serata, alle ore 19, nella sala consiliare del Comune di Torre Santa Susanna, Marco Pannella e Sergio D’Elia parteciperanno alla presentazione del libro di Nazareno Dinoi “Dentro una vita” - I 18 anni in regime di 41 bis di Vincenzo Stranieri, edito da Reality Book. Dichiarazione di Marco Pannella Il sessantennio di regime partitocratico ha ridotto la Giustizia italiana e la sua appendice carceraria ad una condizione incommensurabilmente più incivile, criminale e criminogena, violenta, illegittima e illegale, socialmente disastrosa e istituzionalmente aberrante, di quel che aveva compiuto e prodotto il ventennio fascista. Giustizia e universo carcerario sono lo specchio dello Stato, del Regime, vigenti. Oggi più che mai. Ordine e welfare senza libertà, senza Democrazia, senza Stato di diritto producono fatalmente, se si aggiunge strage di legalità come oggi accade (e non nel ventennio ufficialmente totalitario del fascismo), strage di popoli. Questo oggi non accade ancora perché il popolo italiano sta resistendo in modo mirabile, miracoloso, nel suo vissuto di civiltà e democrazia; sul piano etico, su quello morale, antropologicamente. Così una società “chiusa”, come quella carceraria, oggi finisce per vivere come una straordinaria Comunità Penitenziaria, a cominciare, in primo luogo, per merito dei suoi operatori, dirigenti, polizia, amministrazione, letteralmente massacrati dal Regime, e per merito di un popolo di detenuti letteralmente sequestrati e martirizzati in una detenzione estranea e contraria a quella prevista dalla Legge fondamentale e dalle leggi e norme attuative. Governi e opposizioni di Regime non sono altro che espressione di una realtà da decenni, criminale e criminogena. Si è compiuta così “la metamorfosi del male” del ventennio fascista nel suo opposto: il male “antifascista”, partitocratico, traditore delle leggi e dello Stato di diritto, della Costituzione, sul piano tecnico associazione seriale per delinquere, nell’illusione di poter in tal modo legittimare e governare con l’arbitrio il proprio Potere. Sicilia: Apprendi (Pd); il carcere di Gela è terminato, accelerare l’apertura Agi, 10 agosto 2010 “Una struttura quasi ultimata, costantemente sorvegliata dagli agenti per evitare atti di vandalismo che potrebbero danneggiarla. Per rendere funzionale e sicuro il carcere di Gela devono essere portati avanti alcuni lavori che riguardano l’esterno dell’edificio e l’impiantistica interna. Per questa ragione, il ministro della giustizia, Angelino Alfano, potrebbe intervenire e accelerare tutte le procedure che ne rallentano il completamento, al fine di concedere una boccata d’ossigeno alla popolazione carceraria costretta a fare i conti con un’emergenza intollerabile. A stare male non solo soltanto i detenuti, ma anche gli agenti, i psicologi e gli educatori che non sono messi nelle condizioni di lavorare bene”. Lo afferma il vicepresidente della commissione Attività produttive dell’Ars, Pino Apprendi (Pd)che ha cominciato una serie di visite nelle strutture carcerarie dell’Isola, comprese quelle ancora chiuse e non assegnate all’amministrazione penitenziaria come quelle di Favignana, Villalba e Noto. Apprendi lancia anche un appello al presidente della Regione, Raffaele Lombardo perché intervenga “subito a sostegno della famiglia del detenuto dell’Ucciardone in coma al Buccheri La Ferla. Si tratta -conclude Apprendi- di un caso gravissimo del quale il sindaco di Palermo, Diego Cammarata, non si è minimamente occupato. Avrebbe potuto mandare gli assistenti sociali dalla moglie e dalla figlia del detenuto Dino Naso. Ma la vicenda è stata del tutto ignorata. Per questo chiedo al presidente Lombardo di fare quanto possibile per aiutare questa famiglia”. Apprendi mercoledì prossimo si recherà all’Ucciardone per incontrare i detenuti che erano nella stessa cella con Dino Naso. Livorno: Marco Solimano nominato Garante dei diritti dei detenuti Asca, 10 agosto 2010 Dopo settimane di polemiche il sindaco di Livorno Alessandro Cosimi (Pd) ha firmato ieri l’atto di nomina di Marco Solimano, ex militante di Prima Linea e oggi presidente dell’Arci di Livorno, a Garante dei diritti dei detenuti. La notizia è annunciata dal Comune di Livorno. Il Garante è una figura di raccordo tra il Consiglio Comunale, la Giunta e il mondo carcerario e come previsto dall’apposito Regolamento rimarrà in carica cinque anni e comunque non oltre la durata del mandato del Sindaco che lo ha nominato. Tra i numerosi compiti assegnati al Garante, ci sono quelli di promozione dell’esercizio dei diritti fondamentali dei detenuti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi. La nomina di Solimano è stata, nei mesi scorsi, oggetto di polemiche proprio per la passata appartenenza a Prima Linea. Nato il 27 ottobre del 1952 a Venosa (Pz), residente a Livorno con una figlia di 24 anni, Solimano (consigliere comunale dal 1999 al 2009 prima con i Ds e poi con il Pd) da oltre 20 anni, si legge nella nota del Comune, opera per le marginalità sociali, in maniera specifica tossicodipendenze, problemi legati all’emergenza abitativa, alla detenzione e alla esecuzione della pena, povertà sociali. Da 11 anni è presidente dell’Arci di Livorno, referente regionale per i problemi del carcere e delle marginalità sociali. Bologna: niente soldi e tre detenuti per cella, alla Dozza, strada senza uscita di Amelia Esposito Corriere della Sera, 10 agosto 2010 Viaggio nel carcere più sovraffollato d’Italia, dove rieducare è un miraggio. Guardie ai minimi termini: nelle fasi critiche ognuna vigila su 150 detenuti. Nove agosto 2010: 1.121 detenuti, di cui quasi 800 nel reparto giudiziario, dove viene rinchiuso chi è in attesa di giudizio definitivo o in custodia cautelare. Varcato il confine del carcere più affollato d’Italia, lasciandosi alle spalle l’alto muro che lo separa dal resto del mondo, si intuisce subito quale sia questo reparto. Basta osservare le finestre - alle sbarre è appesa ogni sorta di cosa e tende improvvisate con giornali o asciugamani proteggono le celle dal sole estivo - e poi guardare in basso, sotto le finestre, dove cumuli di cartacce e altri scarti lanciati dall’alto, che altrove non si vedono, ci raccontano come lassù ci siano tante, troppe persone. Visitiamo la Dozza dopo aver scritto a lungo del sovraffollamento di un carcere che, in teoria, dovrebbe ospitare 482 persone. Oggi i numeri dell’emergenza sono leggermente inferiori a quelli dei mesi scorsi, quando si raggiunse il picco drammatico di 1200 detenuti, ma in quel girone dantesco che è il reparto giudiziario sono ancora tre per cella. Tre esseri umani in dieci metri quadri, bagno compreso. Incontriamo Palma Mercurio, una delle tre vicedirettrici di un carcere la cui complessa gestione è da ormai otto anni affidata a un vertice tutto femminile. Incontriamo il comandante della polizia penitenziaria, Roberto Di Caterino, e la coordinatrice degli educatori, Maria Di Palma. Assieme a loro cerchiamo di capire come può vivere un detenuto alla Dozza, consapevoli che cercheranno di darci una versione edulcorata della realtà. Ci mostrano infatti i laboratori, la cappella dipinta a mano dai detenuti, gli stencil lungo i muri della sezione femminile e i giochi delle ludoteche. Entriamo nel settore penale per vedere da vicino come vivono i detenuti con il fine pena più lungo. Attraversiamo la cosiddetta “porta girevole”, ossia il corridoio che collega il settore penale a quello giudiziario. Quest’ultimo, il peggiore, il più fatiscente, il più affollato è off limits. È al collasso. Qui ci sono detenuti che entrano ed escono in continuazione: il 4% ci rimane meno di 4 giorni, il 20% meno di un anno. Sappiamo già che il sovraffollamento comporta rischi igienico-sanitari. Scopriremo che a risentirne è la quotidianità tutta. Capiremo che un carcere sovraffollato, e sempre più a corto di fondi statali, non può garantire l’applicazione del principio della finalità rieducativa della pena, nonostante gli sforzi di chi ci lavora. Diritti sacrosanti come i colloqui con i propri cari e le telefonate a casa, alla Dozza, non sono scontati. I colloqui sono più rari perché l’amministrazione deve far fronte al triplo delle normali richieste. Anche la ludoteca maschile, inaugurata con orgoglio l’anno scorso, è un lusso perché può ospitare solo tre nuclei familiari per volta. Alla sera il centralino è intasato, le linee telefoniche sono appena due e il Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) ha appena rigettato la richiesta dell’installazione di una terza linea. La ragione sempre la stessa: non ci sono soldi. Un refrain che, puntuale, ripetono ogni anno anche dal Prap (Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria) a proposito dei posti di lavoro. La Dozza ha l’autorizzazione per 179 posti, ma quest’anno a lavorare sono solo 111. Fra i cosiddetti “generici” (coloro che non hanno specializzazioni e, dunque, svolgono mansioni semplici come la pulizia delle aree comuni) c’è chi lavora appena una volta ogni tre mesi, non riuscendo a guadagnare neppure i soldi per una telefonata. Di detenuti che non hanno un euro, né parenti che li aiutino, ce ne sono tantissimi. È il caso degli extracomunitari: il 65% del totale. I 7 posti da bibliotecai, tanti quante sono le biblioteche, una volta erano retribuiti ora sono affidati al volontariato dei detenuti. Esperienze preziose come la tipografia rischiano di finire perché le commesse diminuiscono. Oggi, in tipografia, c’è solo Giulio, 38 anni: sta stampando da solo la carta intestata per il Comune di Modena. La sua speranza è che altre pubbliche amministrazioni si rivolgano alla Dozza. Altra nota dolente è l’istruzione. Anche la Dozza (che fa parte del decimo istituto comprensivo) ha subito i tagli alla scuola. Eppure la domanda di istruzione è in forte crescita. Se i detenuti sono troppi, le guardie sono poche, 380 invece delle 567 previste. Ci sono giorni in cui in trenta, quaranta sono assegnate a servizi esterni, come gli accompagnamenti in tribunale e i piantonamenti in ospedale. Nei momenti più critici è capitato che una sola guardia badasse a due sezioni, ovvero 150 detenuti, con evidenti rischi per la sicurezza. L’amministrazione ce la mette tutta e ha più volte denunciato pubblicamente la mancanza di soldi da Roma. Nei mesi scorsi, la direttrice Ione Toccafondi è arrivata a chiedere alla città delle brandine da campeggio per evitare che i detenuti dormissero a terra. Ma da Roma arrivano solo dei rifiuti a cui ora si è aggiunto anche il rifiuto bolognese del commissario Cancellieri di prorogare il mandato della garante Desi Bruno, il cui lavoro è da tutti apprezzato alla Dozza. In un contesto simile a dare sollievo c’è il lavoro prezioso degli oltre 100 volontari che ogni giorno entrano alla Dozza. Ma la collaborazione dell’esterno non è ancora sufficiente. Un esempio per tutti: il detenuto più anziano ha 70 anni ed è ricoverato in infermeria perché molto malato. Non dovrebbe stare lì, ma non c’è nessuna struttura, fuori, che intenda farsene carico. Anche per questo c’è un costo. Batterista o tipografo: così il “definitivo” sopravvive al girone Franco, 45 anni di cui una ventina passati in galera e tre ancora da scontare, si prende in giro: “Ma sì, parliamo. Sono finito tante volte negli articoli di cronaca nera, vorrà dire che per la prima volta si scriverà bene di me”. Mauro, stessa età di Franco e stesso fine pena, ma qualche anno di galera in meno alle spalle, fa lo stesso: “Avrei voluto fare il batterista, ma poi è andata diversamente”. E per dimostrare che dice sul serio si fa accompagnare da una guardia nella sala musica, prende le bacchette e suona. E nel settore penale rimbomba tutto. Le storie dietro le sbarre di Franco e Mauro, come quelle degli altri detenuti che incontriamo con loro (l’operaio Wisset e il tipografo Giulio), sono, nonostante tutto, positive. Sebbene la loro condanna sia definitiva, se la passano meglio di tanti altri detenuti (la maggior parte) che alla Dozza sono in transito. Il settore dei “definitivi”, con i suoi circa 350 ospiti, è la meno congestionata. “Sono arrivato qui nel 2008 e, dopo un tirocinio di due mesi, ho iniziato a lavorare nell’officina dove si riciclano elettrodomestici. Ora sono assunto a quattro ore al giorno, lo stipendio è quel che è ma meglio di niente, va benissimo perché così peso meno sulla mia famiglia”, racconta mostrando le mani sporche di olio e indicando la lavatrice che ha appena smontato. Franco partecipa anche ai laboratori dell’associazione “Beati voi”, che si occupa di disabili. Ha appena finito di realizzare un cd che propone una versione per non vedenti del film “Un cittadino al di sopra di ogni sospetto”. “Io leggevo i commenti tra una scena e l’altra”, spiega. Anche Mauro si ritiene più fortunato di tanti altri, quelli del giudiziario. “Lì sono al collasso”, dice. Mauro, che proviene dal carcere di Rimini, è riuscito a entrare nell’ambitissima squadra del Mof (Manutenzione ordinaria fabbricato). Questi detenuti-manovali tengono in piedi il carcere, intervenendo ogni qual volta c’è una parete da dipingere o un muro da riparare. Torino: Osapp; carcere di Ivrea rischia di scoppiare, condizioni di lavoro disastrose La Sentinella, 10 agosto 2010 È l’ennesimo grido d’allarme sulle condizioni disumane del carcere di Ivrea. Un sovraffollamento strutturale che con il caldo dell’estate diventa ancora più insopportabile per i detenuti e più difficile, da parte degli agenti della polizia penitenziaria, da tenere a bada. In Piemonte sono due le strutture che scoppiano: Ivrea e Asti. In queste carceri è, ormai, routine rimuovere dalle celle singole i tavolini per fare spazio a un terzo letto da aggiungere a quello a castello. A denunciare la situazione di sovraffollamento degli istituti di Ivrea e Asti è la segreteria generale dell’Osapp, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che mette l’accento anche sulla carenza di personale per sorvegliare il grande numero di detenuti. “Riteniamo - dichiara Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) - che difficilmente l’amministrazione penitenziaria piemontese riuscirà a sopravvivere al mese di agosto, visto che ormai si sta raggiungendo la capacità tollerabile dei circa 5.500 detenuti, mentre quella regolamentare supererebbe di poco le 3.400 unità. E non serve giustificare l’aggiunta del terzo letto col fatto che i detenuti passeranno più tempo fuori, perché in questo caso il loro controllo da parte nostra è ancora più difficile”. Quelle di Ivrea e Asti sono situazioni del tutto simili. Nel primo carcere l’organico degli penitenziari dovrebbe essere di 249 unità, ma sono solo 175 di cui 30 in distacco esterno, a fronte di una presenza di 288 detenuti su 178 di capienza. Nel secondo, il personale è di 174 unità di cui 28 in distacco, su 254 previste, contro un parco di 400 reclusi anziché 300. “Sono condizioni di lavoro disastrose - conclude Beneduci - in cui non sappiamo più che pesci pigliare. Il ministro e il capo del Dap si occupano d’altro e commettono errori macroscopici, come l’avere assegnato ad Asti, dove manca una sezione femminile, circa 30 agenti donne. Ormai l’unica alternativa è che non si arresti più nessuno”. Una situazione, quella della casa circondariale di Ivrea che si trascina di tempo. Nell’aprile scorso, erano state le otto sigle sindacali, dai confederali agli autonomi passando per Ugl, a protestare. In una lettera la polizia penitenziaria in servizio annunciava lo stato di agitazione e chiedeva un incontro con il provveditore regionale. Nel documento, sintetico quanto duro, non si lesinano critiche al direttore della struttura. Il sindacato, unitariamente, arrivava a chiedere, addirittura, il suo avvicendamento e minacciava iniziative di mobilitazione, compresa una manifestazione davanti al carcere. “È una situazione disastrosa” aveva sottolineato Luca Massaria, di Osapp. Nel luglio scorso, un detenuto aveva aggredito a pugni un agente penitenziario procurando allo stesso ecchimosi, contusioni ed un lieve trauma cranico e facciale. Trasportato prontamente in infermeria per gli interventi del caso, lo stesso detenuto aveva colpito con un pugno l’assistente capo addetto alla sorveglianza generale procurandogli lievi ecchimosi. Nel giugno scorso, la casa circondariale di Ivrea era stata visitata dal parlamentare del Pd Anna Rossomando e dai consiglieri regionali Nino Boeti e Stefano Lepri proprio per porre l’accento sulle condizioni di sovraffollamento dei detenuti e guardare da vicino la realtà lavorativa di polizia penitenziaria ed educatori. Trento: la Provincia ha speso 112 mln € per nuovo carcere, ma rimane chiuso per mancanza agenti L’Adige, 10 agosto 2010 Il nuovo carcere di Trento, a Spini di Gardolo, rischia di diventare uno scandalo nazionale. La Provincia ha speso 112 milioni di euro per la costruzione e ora che è pronto da settimane non apre perché mancano 250 guardie. Il ministero latita e non si sa quando metterà a disposizione fondi e uomini. Così il carcere più moderno d’Italia è chiuso, mentre detenuti e polizia penitenziaria continuano a vivere nel fatiscente e sovraffollato carcere di via Pilati. Il vice presidente della Provincia, Pacher, spera: “Credo che ci siano le condizioni per aprire entro fine anno”. Abbiamo il carcere più moderno d’Italia. Una delle poche strutture detentive del Paese dove il dettame costituzionale, che vuole la pena finalizzata alla riabilitazione, potrebbe essere rispettato grazie a laboratori e spazi attrezzati per attività di formazione e di lavoro dei detenuti. Invece niente. Il carcere per ora è vuoto, resta in attesa di un trasloco dalla vetusta struttura di via Pilati che slitta in avanti mese dopo mese. E così il carcere modello di Spini di Gardolo rischia di diventare una “cattedrale nel dederto”. Proprio in questi termini ne parla “Il Fatto quotidiano” di domenica. Insomma dopo che la Provincia ha speso 112 milioni di euro, ora sulla stampa nazionale rischiamo pure di fare la figura dei fessi benché - va sottolineato - le responsabilità per la tardiva apertura del nuovo penitenziario “high-tech” siano tutte romane. “Mi pare esagerato parlare di cattedrale nel deserto - replica il vive presidente della Provincia Alberto Pacher - ma certo noi faremo tutto il possibile per evitare che questo possa accadere. La nostra parte l’abbiamo fatta fino in fondo e in tempi rapidi, ora siamo preoccupati perché una struttura chiusa rischia di deperire. Credo però che ci siano le condizioni per chiudere questa partita entro fine anno, evitando quindi il rischio di trovarci davvero una cattedrale nel deserto”. Novità all’orizzonte però pare non ce ne siano. “Non abbiamo ricevuto indicazioni particolari dal ministero - dice Pacher - i nostri tecnici sono comunque costantemente in contatto. Il carcere è pronto, mancano solo alcuni arredi, ma si tratta di poca cosa. Tra l’altro è una struttura che adotta tecnologie avanzate in fatto di controllo: con monitor, telecamere e sistemi automatizzati di apertura delle porte. Questo dovrebbe facilitare la gestione da parte del personale”. È questo il tasto dolente: non ci sono abbastanza agenti di polizia penitenziaria per gestire la nuova struttura. Il carcere, progettato per ospitare 244 detenuti, ha bisogno di circa 350 agenti, ma a Trento sono solo un centinaio. I rinforzi promessi dal Ministero per ora non si sono visti. Sondrio: sovraffollamento e scarsità di personale, situazione esplosiva La Provincia di Sondrio, 10 agosto 2010 “Una situazione davvero esplosiva”. A denunciarla l’onorevole lecchese Lucia Codurelli e il consigliere regionale Angelo Costanzo, entrambi del Pd, reduci dalla visita alla casa circondariale di Sondrio. Il dito è puntato contro i tagli alle risorse sia per le attività dentro le mura, sia per il personale. “Il problema del personale è gravissimo - sottolinea Lucia Codurelli -: in un anno le guardie carcerarie in attività sono passate da 30 a 25. Un taglio che significa sottoporre il personale ad uno stress fortissimo con difficoltà incredibili a coprire i turni, che sono di 24 ore, e anche le ferie. È evidente che la situazione non può continuare ad andare avanti così: è necessario rivedere quelle leggi che hanno portato al sovraffollamento delle carceri e cioè la ex Cirielli, la Bossi-Fini e ancora di più la Bossi-Giovanardi (sulla droga) che porta dietro le sbarre anche soggetti che potrebbero essere sottoposti a misure alternative”. Basti pensare che al momento attuale dei 40 ospiti presenti in via Caimi ben 15 sono tossicodipendenti. “Persone - insistono Codurelli e Costanzo - per le quali sarebbero meglio altre soluzioni”. Costanzo annota lo stato di vetustà, degrado e squallore nel quale versano le strutture - a partire dalla palestra per arrivare agli angusti spazi a disposizione per l’ora d’aria - e le attrezzature. “Il segno dei tempi lì si vede tutto - ancora il consigliere regionale -, ma se non ci fosse un continuo taglio delle risorse queste cose si potrebbero migliorare ed offrire condizioni di vita migliori oltre che possibilità di attività in grado di facilitare il reinserimento”. Rimini: detenuto egiziano tenta di togliersi la vita, salvato in extremis da un agente Ansa, 10 agosto 2010 Un detenuto egiziano nel carcere dei Casetti salvato in extremis da una guardia carceraria. La guardia carceraria stava facendo il suo solito giro di ronda tra le celle dei “Casetti” quando, dallo spioncino, ha visto il corpo di un detenuto egiziano 55enne che ha tentato l’estremo gesto cercando di impiccarsi con la corda dell’accappatoio al terzo livello del letto a castello. Il pronto intervendo della guardia, che ha immediatamente tolto il cappio dal collo e praticato il massaggio cardiaco al detenuto, è riuscito a strappare dalla morte l’egiziano che, pare, avesse già tentato altre volte di suicidarsi e di compiere gesti di autolesionismo. Il detenuto è stato poi soccorso dal personale sanitario ed è stato trasportato d’urgenza nell’ospedale di Rimini dove, secondo i medici, non sarebbe in pericolo di vita. Caserta: sventato un tentativo di evasione dal carcere di S. Maria Capua Vetere Ansa, 10 agosto 2010 Aveva lamentato lo smarrimento delle lenzuola ma in realtà le aveva nascoste e poi annodate con l’obiettivo - è questo il sospetto - di mettere a segno un tentativo di evasione. La vicenda è avvenuta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. Protagonista un detenuto rumeno di 30 anni, in cella per una violenza sessuale consumata lo scorso anno a Roma. Il detenuto era alloggiato nell’infermeria del penitenziario (dove era rientrato dopo un ricovero in ospedale) perché aveva detto che non avrebbe più mangiato. Gli agenti della polizia penitenziaria, coordinati dal commissario Michele Fioretti, hanno eseguito una perquisizione ritrovando le lenzuola annodate per una lunghezza di 5 metri. Le lenzuola. che sarebbero servite per calarsi dal muro di cinta che sarebbe stato raggiunto durante l’ora d’aria, erano custodite in una cella che affaccia sul cortile, oltre il quale c’è il cantiere per la costruzione di un nuovo reparto dell’istituto penitenziario. Le indagini affidate alla sezione di polizia giudiziaria della penitenziaria, vanno avanti. La scorsa settimana, sempre gli uomini della penitenziaria, hanno ritrovato in una cella nel corso di una perquisizione un pezzo di ferro lavorato che molto probabilmente sarebbe servito per minacciare uno degli agenti. Cagliari: donazione di zaini, matite, quaderni e cancelleria per figli dei detenuti a Buoncammino Agi, 10 agosto 2010 Zaini, matite, quaderni e cancelleria di ogni genere: anche quest’anno, per il terzo consecutivo, alla vigilia di Ferragosto i volontari del Comitato oltre il carcere: “Libertà e giustizia” hanno promosso la raccolta di materiale per la scuola da distribuire ai figli dei detenuti del carcere cagliaritano di Buoncammino. “Dalle 9 alle 21 - hanno spiegato Antonio Volpi e Alessandra Bertocchi, del Comitato - in collaborazione con la direzione dell’Istituto e con la polizia penitenziaria, raccoglieremo quanto verrà portato dai cagliaritani e da quanti vorranno contribuire per il sostegno ai figli dei reclusi”. L’anno scorso sono stati riempiti una sessantina di zaini e buste, con tutto l’occorrente per la scuola, e per quest’anno gli organizzatori sperano di poter fare ancora meglio, “nonostante - hanno detto - sia un periodo di ferie. Anche molti turisti lo scorso anno hanno aderito, portando anche solo un quaderno o delle matite. Tutto è ben accolto”. A chi porterà materiale verrà consegnato un numero per la partecipazione ad una lotteria. “Ringraziamo - ha ricordato Alessandra Bertocchi - Giulio Montanucci, gallerista di Orvieto, che ci ha donato tre quadri. Sabato, a fine serata, ci sarà l’estrazione e l’assegnazione delle tre tele”. L’iniziativa del Comitato, ha detto Antonio Volpi, “è rivolta all’anello debolissimo della catena che porta al mondo carcerario, cioè i figli dei detenuti. Non dobbiamo poi mai dimenticare i problemi delle nostre carceri, a partire da Buoncammino, con un sovraffollamento crescente e i disagi sia per i detenuti che per la polizia penitenziaria”. Ascoli: manifestazione dell’Ascoli Boxe, incontri di pugilato all’interno del carcere Corriere Adriatico, 10 agosto 2010 Ha suscitato grande interesse, la manifestazione agonistica di pugilato, organizzata dalla Asd Ascoli Boxe 1898 Silab Group, all’interno del carcere di Marino. Il sodalizio ascolano aveva già organizzato nel 1995 e nel 1996, manifestazioni analoghe, all’interno di questa struttura, poi interrotte per questioni legate alla sicurezza nel carcere dove era detenuto Totò Riina. Un ringraziamento particolare va alla direttrice Lucia Di Feliciantonio, al comandante Pio Mancini, a Simone Cannelli della Saving Lab e a tutto il corpo di polizia penitenziaria che hanno collaborato fattivamente per la riuscita di questa iniziativa. Tra i motivi essenziali che hanno spinto i dirigenti dell’Ascoli Boxe a realizzare questa iniziativa, innanzitutto la prevenzione, far conoscere ai ragazzi che praticano questa disciplina che in carcere si sta male, molto più di quello che si possa pensare e, quindi prima di fare qualche sciocchezza o di delinquere è il caso di pensarci. E poi il fatto di poter regalare un’emozione, un sorriso, una giornata diversa a persone che hanno sbagliato, ma che non debbono essere reiette dalla società civile. Venendo alla parte tecnica Andrea Marziali, campione italiano universitario e vice campione italiano assoluto, ha incantato la platea superando ai punti il rappresentante della Pug. Giuliese Fabrice Pompeo. Di rilievo la prestazione offerta da Roberto Bassi, vice campione italiano universitario 2010 e medaglia di bronzo agli assoluti di Milano 2008 che ha sconfitto sulla distanza olimpica delle tre riprese l’ottimo Matteo Di Giacomo. Buona prestazione anche per Andrea D’Angelo. Massa: ordinanza del Sindaco, un premio di 500 euro a chi denuncia i writer La Stampa, 10 agosto 2010 La guerra ai writers passa anche attraverso la delazione, ricompensata. Succede a Massa, dove il sindaco, Roberto Pucci, ha rispolverato una vecchia ordinanza comunale che prevede una contravvenzione salata per chi imbratta i muri e un premio in denaro per chi fa la spia. L’ordinanza è in fase di rielaborazione: presto i grafomani colti in flagrante dovranno sborsare mille euro. Cinquecento saranno destinati a chi, con tanto di nome e cognome, denuncerà il responsabile delle scritte; l’altra metà servirà per ripulire muri e monumenti imbrattati. Non è la prima volta che il sindaco di Massa ricorre alle maniere forti contro chi, armato di bombolette spray, non resiste alla tentazione di lasciare ovunque sigle, firme e disegni. Nel 2000, anno del suo primo mandato, nel capoluogo apuano imperversava un anonimo che si firmava con una doppia “M” in ogni dove. Dopo l’ordinanza, però, le scritte cessarono di colpo: probabilmente Fautore si sentì braccato e decise di smettere o di cambiare piazza. “L’idea - spiega il sindaco, ricordando anche di essere stato minacciato - ebbe un certo successo”. Di parere contrario, invece, i consiglieri dell’opposizione: “Di sicuro allora nessun massese presentò denuncia - sostengono -; e non fu consegnata alcuna ricompensa”. Con la crisi che imperversa, e il ricco premio in palio, questa potrebbe essere la volta buona. Cinema: “La bocca del lupo”, di Pietro Marcello di Alessandro Cadoni La Nuova Sardegna, 10 agosto 2010 Cosa passa tra la Genova di “La bocca del lupo” di Remigio Zena e quella del film omonimo di Pietro Marcello? Un secolo, innanzitutto. Zena pubblica il suo libro nel 1892: in mezzo, il Novecento, richiamato nel film da un montaggio di immagini di repertorio che mostrano lo sviluppo e lo scacco della modernità. Ai due estremi, le storie: quella romanzesca, ricordata poco più che nel titolo, è una vicenda intrisa di verismo, riportata agli stessi angiporti dove si anima quella di Enzo e Mary, interpreti di sé stessi, protagonisti di un film che sperimenta un’originale commistione di documentario, testimonianza memoriale e finzione. Enzo - un puro volto cinematografico - è emigrato a Genova da bambino, ma la sua parlata protesta ancora l’origine siciliana. Una vita, la sua, passata tra lavoretti portuali, piccolo contrabbando e un “incidente” - un conflitto a fuoco con dei poliziotti - che lo confina, per 14 anni, in una cella dove - coi tredici anni precedenti - ha passato circa metà della sua vita. Proprio in galera conosce Mary, transessuale tossicodipendente, e tra i due nasce un amore destinato a lunga durata. Mary uscirà presto, però con una nuova prospettiva di vita che le permette di liberarsi dalla dipendenza, coltivando l’attesa del suo uomo. Il tempo è lenito da scambi epistolari incisi in audiocassette che scorrono, in diversi punti del film, in colonna sonora, innestando sull’immagine la materialità del documento. Quando finalmente la coppia si ricompone, l’idillio - lungi da facile consolazione - risulterà imperfetto. Enzo fatica a riconoscersi tra i tentacoli della città e non riesce a trovare che qualche sporadico impieguccio. Eppure, al di là della sorte avversa, il primo desiderio, quello di ricongiungimento, è in effetti concretizzato: dissolto purtroppo, al di là del film, dalla scomparsa di Mary, avvenuta nei giorni scorsi. Si capisce, comunque, che la visione di questo film all’Asinara (sabato sera, nel corso del festival “Pensieri e parole”) ha destato particolare impressione: non tanto perché si tratta di un gioiello del cinema italiano contemporaneo - questo già lo sapevamo - quanto perché materialmente proiettato sul muro imbiancato del supercarcere di Fornelli. Non ha mancato di notarlo lo stesso Pietro Marcello, che alla fine del film ha dialogato con Sante Maurizi, insieme alla montatrice Sara Fgaier - responsabile anche delle preziose ricerche sui filmati d’archivio - e al musicista Marco Messina. Il tutto in una serata già aperta dallo spettacolo “Mediterraneo” della compagnia “Stabile Assai” della casa di reclusione di Rebibbia, organizzato con la collaborazione del Centro Studi Urbani dell’Università di Sassari: un evento, anche questo, carico di evidenza simbolica. Da un intenso dialogo tra momenti musicali e parti monologate hanno preso vita le storie raccontate da detenuti di Rebibbia provenienti da diverse sponde del Mare nostrum. Ciò che più ha colpito è l’avvitarsi attorno all’elemento marittimo - simbolo di incontro, secondo uno studioso della “mediterraneità” come Braudel - di uno spettacolo di narrazione corale attuato da uomini detenuti o in semilibertà, in una spirale che li ha visti nell’ex carcere in mezzo al mare dell’Asinara: quale luogo migliore per esporre il risultato di un esperimento educativo prezioso come l’attività teatrale - che sta per ricerca, espressione e libertà - nei contesti carcerari? Il mare, dunque, e l’esperienza detentiva, la resistenza e l’opposizione alla repressione detentiva, la riconquista della libertà: questi temi si sono rincorsi da uno spettacolo all’altro, col filo conduttore della cornice insulare: lasciando emergere - e il film di Marcello ne è una limpida prova - il tentativo miracoloso, al di là degli steccati estetici - documentario o finzione -, di impressionare la pellicola con quel senso di dignità morale che fiorisce in contesti “marginali”. Pochi, a iniziare dal Pasolini di “Accattone”, hanno saputo coniugare così questi elementi. Immigrazione: Caritas; “irregolari” in crescita, a dispetto degli accordi con la Libia Corriere della Sera, 10 agosto 2010 “C’è un flusso costante e una pressione migratoria che rimane sostanzialmente immutata se non aumentata al di là e a dispetto di tutti gli accordi presi tra Italia e Libia”. È quanto afferma Oliviero Forti, responsabile nazionale della Caritas, commentando la riprese degli sbarchi di immigrati nel sud Italia e anche in Sicilia, da ultimo con l’arrivo di 50 immigrati a Linosa la scorsa notte. “Un Paese come la Libia - prosegue Forti - oggi deve assolvere al ruolo di sentinella dell’Europa, ci si chiede fino a quando questo potrà accadere perché sappiamo tutti che la Libia ha un ritorno economico rispetto al ruolo che ricopre”. “Nel momento in cui non si riesce più a sostenere questa dinamica - prosegue il responsabile della Caritas - assistiamo alla ripresa degli sbarchi, non nella stessa quantità del passato ma comunque un numero di sbarchi che sommati fanno centinaia di persone e alle quali comunque bisogna dare delle risposte”. “Ci chiediamo allora - spiega Forti - come possano avvenire questi sbarchi se teoricamente è in vigore un pattugliamento così serrato come è stato annunciato e che in alcuni casi sembra non funzionare. Gli arrivi di questa notte a Linosa dimostrano che i pattugliamenti non funzionano poi così bene. Ci rendiamo conto che c’è bisogno di una politica che guardi oltre questi provvedimenti e che cerchi di dare delle risposte alle migliaia di persone che cercano di sbarcare sulle nostre coste”. In merito alla politica del governo sull’immigrazione, la Caritas conferma le sue critiche per i “deprecabili respingimenti in mare a nostro avviso in contrasto con la libertà personale”. “Ma al di là dell’efficacia diretta - spiega ancora Forti - quello che noi temevamo è che nei fatti questa politica non avrebbe risolto il problema alla radici ma lo avrebbe solo spostato più a sud. Il caso dei 200 eritrei detenuti in Libia ci danno la misura di come forse l’Italia ha supportato un carico minore di immigrati, e tuttavia dato che a noi come Caritas stanno a cuore le persone e le vite umane, del destino di queste persone non si è risolto nulla. Ciò di cui ci dobbiamo preoccupare è proprio questo: quanti arrivano da noi hanno almeno qualche possibilità di sopravvivenza decente, altrove questa possibilità viene meno. D’altro canto questi stessi migranti intervistati in Libia hanno ribadito, proprio per tali ragioni, di voler rimettere piede in Europa”. Il grosso degli immigrati, circa l’80%, continua ad arrivare nel nostro Paese via terra nonostante l’attenzione sia sempre rivolta agli sbarchi via mare, peraltro le rotte nel Mediterraneo sono in continua mutazione. Spiega Forti: “Quello che noi sappiamo delle nuove rotte - afferma il dirigente Caritas - è lo spostamento verso est; facendo riferimento alle coste del nord Africa, la cosa significa soprattutto battere la via turca, che poi passa attraverso la Grecia e quindi arriva in Puglia. Questo è uno degli ultimi scenari che si erano delineati con l’arrivo di curdi, iracheni eccetera, quindi è quella più facilmente percorribile. Ma ciò non toglie - aggiunge - che rimane assai elevato il numero di persone che segue una via interamente terrestre. Su questo fronte non ci sono stati grossi investimenti per il contrasto all’immigrazione clandestina o comunque non sono stati così enfatizzati come il contrasto via mare. Eppure nel 2008, quando ci furono migliaia di sbarchi nel sud Italia, quel flusso non rappresentava che il 20% del totale di quanti arrivavano nel nostro Paese, perché l’80% arrivano via terra e questo flusso continua”. “L’Italia - osserva Forti - nonostante il pacchetto sicurezza e gli accordi con la Libia ha visto aumentare il numero di cittadini irregolari. Lo scenario quindi non è così tranquillizzante come potrebbe apparire”. Ma il ministero dell’Interno in riferimento all’affermazione della Caritas secondo cui il numero degli sbarchi sarebbe di nuovo in aumento a dispetto degli accordi raggiunti con la Libia ci tiene a precisare le cifre in suo possesso: dal 1 agosto 2009 al 31 luglio scorso sulle coste italiane sono sbarcati 3.499 immigrati clandestini, contro i 29.076 del periodo 1 agosto 2008-31 luglio 2009, con una diminuzione dell’88%. In particolare, sottolinea il Viminale, per Lampedusa, Linosa e Lampione il calo degli sbarchi, nello stesso intervallo di tempo, è stato del 98%: i clandestini arrivati in queste località dal 1 agosto 2009 al 31 luglio 2010 sono stati appena 403, contro i 20.655 del periodo 1 agosto 2008-31 luglio 2009. Afghanistan: nel carcere di Herat si finisce anche per aver amato chi non si deve di Francesca Marretta Liberazione, 10 agosto 2010 A 19 anni Arizo Muhibi sogna ancora di sposare il ragazzo di Herat con cui è fuggita da Kabul. Per questa ragione, da un mese e mezzo, è rinchiusa nel carcere femminile della città orientale afghana. Fahima e Rahimi Jusufi, sorelle di 22 e 23 anni, entrambe avvocate, spiegano che lui non la prenderà più in moglie. Non potrebbe neanche se volesse. Per una afghana l’esperienza del carcere è un marchio a vita. Più esplicito l’interprete Razur: uscita dal carcere, una donna afghana è destinata a finire per strada chiedendo l’elemosina o a prostituirsi. Sono 115 le recluse nel carcere femminile di Herat, dice il Direttore, Generale Sadegi. Un uomo dall’aria austera, che anche quando è seduto nel salotto del suo ufficio per riceverti, pare stare sull’attenti. Sembra tenere davvero alle detenute, quando, incontrando gli stranieri chiede, se qualcuno potesse aiutare, libri, banchi e sedie per far svolgere meglio l’attività didattica alle carcerate. Il penitenziario femminile di Herat, finanziato da Unione Europea e Ministero della Difesa italiano, è stato costruito dal locale Prt (Provincial Reconstruction Team), unità dedicata alla ricostruzione e sviluppo, con una componente civile e una militare (artiglieri da montagna). Più che carcere la struttura si presenta come una casa di cura o un centro educativo. Certo, si sta chiuse dentro. Ma le celle restano aperte e si passeggia per i corridoi, dove scorazzano 90 bambini in prigione con le madri. I piccoli hanno anche una stanza per le attività ricreative e un’insegnante. Ci sono sale per il ricamo, una sala con i computer, la mensa, lo spazio esterno per giocare a pallavolo e in ogni camera, ben areata e luminosa, c’è pure il televisore. L’unico altro carcere femminile nel paese è quello di Kabul, anch’esso costruito di recente col sostegno della Cooperazione italiana. Ma nel resto dell’Afghanistan, finire in cella per una donna, significa, a parte lo stigma, essere sottoposta a violenze in luoghi sovraffollati e insalubri, che non risparmiano i loro bambini. Sembra paradossale, ma per alcune delle afghane che vi si trovano recluse questo carcere è meglio della vita tra le mura di casa. Se destinate all’esperienza della detenzione, le donne di Herat, area del paese con il maggior numero di casi di auto-immolazione come forma di suicidio al femminile, sono più fortunate che altrove in questo paese. Nel carcere di Herat, sembra quasi di non essere in Afghanistan. Nel senso che “fuori” le donne, a nove anni dalla fine del regime talebano, hanno diritti per modo di dire. Visitare le carceri è uno dei modi per convincersene. Anche se la prigione di Herat è una struttura modello, le cause di detenzione, fanno rabbrividire. C’è che è fuggita da un matrimonio infelice, chi da situazioni di violenza domestica o per un omicidio commesso da un uomo della loro famiglia. Le ragazze sotto i diciotto anni incontrate in strutture minorili in Afghanistan, in molti casi sono arrestate perché scappate da matrimoni forzati o per essere state vendute. Cosa che accaduta, a 19 anni, anche a Gulsun, in carcere a Herat. La giovane, dalla carnagione scura e grandi occhi neri, racconta di essere fuggita dalle mani di trafficanti del Baluchistan, cui era stata venduta da suo marito per l’equivalente di quattromila dollari. Dopo la fuga, il marito, a cui Gulsun era stata data in sposa a dodici anni, l’ha fatta ricercare dalla polizia dicendo che aveva abbandonato il tetto famigliare. La più anziana delle detenute che incontriamo a Herat è Leyla Obeid, intorno ai 70 anni. È in carcere perché coinvolta in un omicidio di famiglia, quello del marito, che aveva abusato della giovane Aziza, moglie del loro figlio ventenne, Juneil. Layla si è presa la colpa, ma il ragazzo è finito comunque in carcere in quanto complice. Hanno sotterrato insieme il cadavere del marito, poi ritrovato dalla polizia. In carcere, a Herat come in altre prigioni afghane, sono poi rinchiuse donne a cui piace farsi un bicchiere. Vendere alcolici è vietato nel paese, ma sottobanco si trovano. “E sono consumati da molti più afghani di quanto tu possa immaginare” racconta la responsabile di una Ong internazionale. Del resto, se l’alcol non fosse accessibile nel paese, non si spiegherebbero gli arresti di chi lo consuma. I vicini di casa di Sabar, a cui piace il vino, hanno fatto la spia. Per i benpensanti della porta accanto Sabar, che ha ventotto anni ed è istruita, era poco di buono. La giovane, che parla inglese, ha studiato ingegneria, ha divorziato ed è rimasta incinta di una bambina di un anno e cinque mesi, ora con lei in carcere a Herat, di nome Nasri. La polizia ha trovato il vino a casa sua ed è stata condannata a 2 anni di prigione. Le mancano 45 giorni all’alba. Nel suo caso vedrà davvero la luce. Se ne andrà a Dubai, dove l’attende il padre di sua figlia. In Afghanistan si trovano infine recluse per “cattivo carattere” o rimaste incinte per uno stupro. I crimini cosiddetti “morali”, che comprendono il fuggire da abusi di vario tipo, non sono codificati nel codice penale afghano, ma rimandati all’interpretazione della Sharia da parte dei giudici. “Crimine morale” si può tradurre in lingua Dari, come “esclusivamente femminile”. Brasile: per Cesare Battisti forse arriva la libertà condizionale Ansa, 10 agosto 2010 Il Supremo Tribunal Federal (Stf, la Corte Costituzionale brasiliana) discute in questi giorni la possibilità di concedere la libertà condizionale ai detenuti stranieri condannati in altri Paesi in attesa di estradizione. La misura si applicherebbe anche all’ex terrorista rosso Cesare Battisti, in carcere a Brasilia in attesa di una decisione a suo riguardo del presidente Luiz Inacio Lula da Silva. I giudici del Stf hanno dibattuto sull’eventualità di concedere la libertà provvisoria, con monitoraggio elettronico e ritiro del passaporto (quando il caso è particolarmente complesso e può richiedere molto tempo per una sentenza definitiva), la detenzione domiciliare o invece il carcere fino alla decisione definitiva sull’estradizione da parte del potere esecutivo, che ha voce definitiva in capitolo. La conclusione finale è stata che la decisione dovrà essere presa caso a caso. I detenuti stranieri che potrebbero usufruire della misura sono attualmente 73, ma è chiaro che il caso più in vista è quello di Cesare Battisti, che si trascina appunto ormai da oltre due anni, senza che ci siano per ora segnali di una presa di posizione da parte del presidente Lula. Le nuove misure del Stf (dove nel frattempo si è insediato un nuovo presidente della Corte, Cezar Peluso, che fu proprio il relatore del caso Battisti e il più fervente sostenitore dell’estradizione) potrebbero precludere ad un rilascio (almeno temporaneo) di Battisti da parte del Supremo tribunale, se la difesa dovesse avvalersi della possibilità. Il tribunale federale lascerebbe così il presidente Lula libero di ripassare la responsabilità dell’estradizione al suo successore, che assumerà l’incarico dal gennaio del 2011. Canada: protesta davanti a carcere contro la chiusura della fattoria in cui lavorano i detenuti Corriere Canadese, 10 agosto 2010 Ancora problemi al carcere di Kingston. Ieri nove persone sono state arrestate dalla polizia durante una manifestazione organizzata davanti al penitenziario per protestare contro la chiusura annunciata di una delle fattorie nelle quali lavorano alcuni detenuti del carcere. La marcia, pacifica secondo le intenzioni dichiarate degli organizzatori, era stata voluta dalla “Save our prison farm”, un’associazione nata contro la chiusura della struttura. E proprio il fondatore del gruppo, Andrew McCan, risulta tra le nove persone fermate dalla polizia durante la manifestazione. Stando alla ricostruzione fornita dagli inquirenti, che sulla vicenda hanno avviato un’inchiesta, i manifestanti avrebbero cercato di bloccare camion sui quali erano stati caricati i capi di bestiame della fattoria dismessa. Uno dei camion avrebbe cercato di forzare il blocco e da lì sarebbe nato un diverbio sfociato in rissa. Stando ai dati della centrale di polizia, alla manifestazione avrebbero preso parte circa 150 dimostranti. Sul posto, per garantire la sicurezza, le autorità hanno inviato un centinaio di poliziotti. Già domenica c’erano stati dei problemi davanti al Frontenac Institution, dove era stata organizzata una prima manifestazione contro la chiusura della fattoria.