Rassegna stampa 27 ottobre

 

Giustizia: Di Somma (Dap); a marzo avremo 70 mila detenuti

 

Ansa, 27 ottobre 2009

 

No all’aumento della capienza del sistema carcerario, soluzione prospettata dal governo e i cui dettagli non sono ancora noti, ma un pacchetto di misure coerenti col rispetto dei diritti umani e che riveda l’utilizzo preponderante della pena detentiva in carcere come strumento penale. Mentre continua a crescere la popolazione carceraria che a marzo toccherà quota 70 mila detenuti, Antigone, l’associazione che si batte per i diritti nelle carceri, propone una serie di soluzioni da adottare nel breve e nel lungo periodo, a cominciare dall’effettivo impiego di misure alternative già previste, come il lavoro esterno per i detenuti, e fino alla riforma del codice penale in direzione di un nuovo approccio ai temi della tossicodipendenza.

"È necessario - ha spiegato il presidente dell’associazione, Patrizio Gonnella, presentando, oggi a Roma, le proposte - scegliere una serie di fatti meno rilevanti ed evitare che producano pene detentive in carcere".

I detenuti nelle carceri italiani hanno superato la soglia delle 65 mila presenze e crescono ad un ritmo di 800 persone al mese, tanto che a marzo 2010, come ha osservato il vicedirettore dell’amministrazione penitenziaria Emilio Di Somma, presente all’incontro, si arriverà a 70 mila detenuti, rispetto alla capienza regolare di 43 mila posti.

Circa la metà delle persone detenute (il 48,2% al 30 settembre), segnala Antigone, sono in custodia cautelare, e sono diminuiti negli ultimi anni i detenuti condannati a pene lunghe, mentre sono aumentati quelli con pene fino a tre anni, i tossicodipendenti (il 33% del totale), gli stranieri (quasi la metà degli ingressi in carcere).

Alla luce di questo è necessario, secondo l’associazione, l’effettiva applicazione di norme già esistenti come l’affidamento in prova per i detenuti tossicodipendenti, e l’abrogazione di quelle misure ritenute responsabili dell’aumento di presenze straniere in carcere, come l’aggravante di immigrazione clandestina.

Rita Bernardini, rappresentate dei Radicali alla Camera, ha annunciato una mozione parlamentare di indirizzo al governo che raccoglie anche le proposte presentate da Antigone, e che nei suoi auspici potrà essere condivisa anche dalla maggioranza.

Giustizia: le proposte di "Antigone" contro il sovraffollamento

di Susanna Marietti

 

www.linkontro.info, 27 ottobre 2009

 

Si è tenuto questa mattina a Roma un seminario a porte chiuse promosso dall’associazione Antigone volto a trovare soluzioni urgenti al problema del sovraffollamento penitenziario. Hanno preso parte al seminario - cui hanno avuto accesso pochissimi giornalisti, tra cui Dino Martirano del Corriere della Sera e Liana Milella di Repubblica - esponenti delle forze politiche, dell’amministrazione penitenziaria, della magistratura, dell’avvocatura, dell’associazionismo.

Tra i presenti, i parlamentari Guido Melis e Vincenzo Vita (Pd), Fabio Evangelisti (Idv), Rita Bernardini (Radicale, Pd), Roberto Rao (Udc), l’esponente di Magistratura Democratica Angelo Caputo, il responsabile dell’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere Penali Alessandro De Federicis, il vice-capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Emilio Di Somma, il direttore generale del Personale del Dap Massimo De Pascalis, il presidente del Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa Mauro Palma, il presidente dell’associazione "A buon diritto" ed ex sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi, l’assessore al Bilancio della Regione Lazio Luigi Nieri, il Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone, il presidente del Vic-Caritas don Sandro Spriano.

Antigone ha presentato, quale punto di partenza per la discussione, un documento dal titolo "Prigioni sovraffollate: cercando soluzioni", titolo che ricalca il nome dato dal Consiglio d’Europa alla Conferenza dei Capi delle Amministrazioni Penitenziarie promossa a Edimburgo nello scorso settembre proprio per valutare la situazione europea in relazione al sovraffollamento penitenziario.

Il documento esprime l’esigenza di affrontare il problema in oggetto con strategie politiche di sistema e a lungo termine, che non si limitino a costruire su palafitte un castello normativo e amministrativo inevitabilmente destinato prima o poi a crollare. Tuttavia, Antigone ribadisce parallelamente la necessità di interventi urgenti per far fronte alla drammatica situazione attuale, che vede oltre 65.000 detenuti per una capienza di 43.074 posti letto. È per questo che le proposte dell’associazione si sviluppano su più livelli.

Un primo livello comprende alcune proposte a breve termine, così qualificate tanto perché politicamente attuabili in tempi contenuti quanto perché pensate per produrre rapidamente i propri effetti. A queste seguono nel documento un pacchetto di proposte a medio termine e un pacchetto di proposte a lungo termine, da un lato più interessanti perché più complesse e preoccupate di riformare in maniera organica il sistema penale e penitenziario, così da guardare a quel diritto penale minimo che Antigone professa da anni quale unico vero obiettivo da perseguire da parte di una società democratica in ambito penale, dall’altro meno praticabili in una fase politica di pesantissima recessione culturale su questi temi quale quella attuale.

Antigone, forte dei tanti contributi qualificati raccolti in occasione dell’incontro di oggi, presenterà a breve le proprie proposte al Governo e al Parlamento, quale praticabile alternativa a un piano carceri - unica soluzione a oggi prospettata da Berlusconi e Alfano - tanto irrealizzabile quanto inutile, come lo stesso Consiglio d’Europa ha anche a Edimburgo ribadito.

Giustizia: muore detenuto 31enne; picchiato fino ad ucciderlo?

di Francesca Sassoli

 

www.cnrmedia.com, 27 ottobre 2009

 

Morte sospetta in carcere. Dieci giorni fa Stefano Cucchi viene arrestato per possesso di un piccolo quantitativo di droga, entra nel carcere romano di Regina Coeli per non uscirne più: il corpo del 31enne è coperto di lividi, ha il volto tumefatto, i genitori sono sconvolti, non hanno avuto neppure la possibilità di vederlo nei giorni dell’agonia, quando era ricoverato nel reparto detentivo dell’ospedale Pertini.

"Voglio sottolineare il fatto che quando mio fratello è uscito di casa coi carabinieri dopo la perquisizione della sua abitazione stava bene e camminava con le sue gambe e non aveva nessun segno sul viso - sottolinea a CNRmedia Ilaria, sorella di Stefano Cucchi - la mattina dopo c’è stato il processo per direttissima e mio padre ha visto che Stefano aveva il viso gonfio. Ai miei genitori è stato comunicato il sabato successivo che mio fratello era stato ricoverato in ospedale, per tre giorni non li hanno fatti entrare, prima dicendo che non c’era l’autorizzazione del carcere, poi che non c’erano i medici. L’epilogo giovedì: intorno alle 12.30 i carabinieri si presentano a casa di mia madre per notificarle il decreto del pm per l’incarico del consulente d’ufficio per l’autopsia per il decesso di mio fratello. Così i miei genitori scoprono che Stefano è morto, all’alba. Mio fratello sapeva che stava morendo, aveva chiesto anche una Bibbia. Ci hanno vietato di stargli accanto, non ci hanno spiegato cos’è successo e perché è morto. Ora lo Stato ci deve rispondere".

"Siamo cauti, aspettiamo che la magistratura faccia le sue indagini, collaborando con la polizia penitenziaria e si farà chiarezza sul caso - spiega Donato Capece, Segretario Generale del Sappe sindacato agenti polizia penitenziaria. La polizia penitenziaria è garante dell’incolumità fisica dei detenuti, ma bisogna tenere presente che siamo in una situazione emergenziale, dove le carceri scoppiano e sicuramente, man mano che si restringono gli spazi, aumentano i problemi della convivenza dei detenuti".

Una rissa fra detenuti, quindi ipotizza il dottor Capece, ma allora come si fa a condurre un’indagine fra galeotti? "Ci sono molti detenuti che collaborano e se qualcuno ha visto, parlerà". Non è rischioso rientrare in cella dopo aver fatto la spia? "No, perché la polizia carceraria ha il potere di controllare chi l’aiuta", se è così, dovrebbe essere anche in grado di evitare un pestaggio mortale: "No, perché c’è il sovraffollamento: una guardia controlla 100 detenuti, è impossibile vigilare su tutto e comunque aspettiamo le indagini".

Di diverso avviso l'avvocato Fabio Anselmo che si occupa del caso e che ne ha già seguiti due simili: quello di Federico Aldrovandi, a Ferrara e di Riccardo Rasman a Trieste: "Se si fosse trattato di una rissa fra detenuti dovrebbero dei detenuti arrestati e degli indagati. Noi non diciamo che siano state le guardie carcerarie, mi risulta che il direttore del carcere abbia detto che il ragazzo stava già male quando è entrato - spiega il legale. Noi ci chiediamo perché un ragazzo di 31 anni viene affidato allo Stato in regime custodiale, quindi è in una situazione di minorata difesa ed è in totale balia dello Stato, dato che al momento dell’arresto si perde la libertà personale e lo Stato ha un completo obbligo di tutela, entri un buona salute e ne esca morto. E poi ci chiediamo perché ai familiari è stato impedito di sapere nulla e, siccome è morto dopo diversi giorni in ospedale, perché gli è stato negato di vedere in punto di morte la sorella e i familiari più stretti".

Si tratta di un reato, conferma il garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni: "Aver impedito ai genitori di far visita al figlio moribondo è un reato ed è di una gravità estrema - ribadisce a CNRmedia.com - È previsto dall’ordinamento che si consenta ai parenti di visitare il malato anche quando è in stato di detenzione e se gli è stato vietato per evitare che possa parlare e raccontare quello che gli è successo, è un reato di occultamento. Gli è stato proibito di denunciare i suoi aggressori". In questi casi come si muove: "Trasferisco tutti i dati alla magistratura, sia in presenza di un reato, ma anche nell’ipotesi di un reato". Ma com’è morto Stefano Cucchi? "In effetti non si sa, il referto dell’autopsia non c’è ancora - spiega l’avvocato Anselmo - non abbiamo avuto l’autorizzazione a fare le foto al cadavere, i genitori non hanno potuto parlare neppure con un medico dell’ospedale. Il corpo non presenta lesioni vitali, ci sono segni di traumi, ha due vertebre fratturate non consequenziali, una lombare e una sacrale, avrebbe avuto perdite di sangue dalla schiena e il volto tumefatto, raccontano i familiari che l’hanno visto per il riconoscimento all’obitorio".

 

Interrogazione di Rita Bernardini (Radicali-Pd)

 

La deputata Radicale-Pd membro della Commissione Giustizia, Rita Bernardini, ha presentato un’interrogazione urgente ai ministri della Giustizia e della Difesa sul caso di Stefano Cucchi, il detenuto 31enne morto in circostanze poco chiare presso l’ospedale Pertini di Roma nella notte tra le 22 e il 23 ottobre scorsi. Rita Bernardini si è rivolta ai ministri Alfano e La Russa, si legge in una nota, per chiedere di "fare chiarezza, negli ambiti di rispettiva competenza, sulle circostanze che hanno portato alla morte del detenuto 31enne e di prendere provvedimenti nei riguardi di eventuali responsabili".

La deputata Radicale ha inoltre ribadito al ministro della Giustizia "l’urgenza di un’indagine conoscitiva sui decessi in carcere che stanno in modo drammatico scandendo il tempo dell’illegalità penitenziaria" italiana. "Mentre diramiamo questo comunicato, infatti, ci giunge notizia - scrivono i Radicali - che un altro ragazzo, un romeno di 24 anni si è suicidato impiccandosi nel carcere di Tolmezzo. La notizia è stata confermata dalla direttrice Silvia Della Branca che ancora una volta, come tutti i direttori dei penitenziari italiani, ha stigmatizzato l’insostenibile carenza di personale".

 

Interrogazione di Maria Antonietta Farina Coscioni (Radicali-Pd)

 

Maria Antonietta Farina Coscioni, deputata radicale eletta nelle liste del Pd, ha presentato un’interrogazione urgente ai ministri della Giustizia e del Lavoro e della Sanità sul caso di Stefano Cucchi, arrestato e successivamente deceduto. Ai ministri interrogati la parlamentare chiede di "avere tutte le notizie disponibili in relazione alla morte del signor Stefano Cucchi, avvenuta all’ospedale Pertini (reparto detentivo) di Roma".

In particolare Farina Coscioni chiede di sapere "se sia vero che il signor Cucchi sia stato arrestato il 16 ottobre 2009 dai carabinieri, dopo essere stato trovato in possesso di un modesto possesso di droga; che al momento dell’arresto, secondo quanto riferito dai familiari, stava bene, camminava sulle sue gambe, non aveva segni di alcun tipo sul viso; che la mattina seguente, all’udienza per direttissima, il padre ha notato tumefazioni al volto e agli occhi; che al signor Cucchi non siano stati concessi gli arresti domiciliari, nonostante i fatti contestati non fossero di particolare gravità; che dal carcere il signor Cucchi sia stato ricoverato all’ospedale Pertini di Roma, pare per dolori alla schiena".

Ancora, la parlamentare chiede se sia vero "che ai genitori del signor Cucchi non sia stato consentito di vedere il figlio; che l’autorizzazione al colloquio sia giunta per il giorno 23 ottobre 2009, troppo tardi perché il signor Cucchi muore la notte tra il 22 e il 23 ottobre; che i genitori quando hanno possibilità di vedere il corpo del figlio, per il riconoscimento all’obitorio, si trovano di fronte a un viso-devastato; che ai consulenti di parte è stata negata la possibilità di fare le-fotografie di quel viso".

"Se quanto sopra premesso corrisponde a verità", Farina Coscioni chiede di sapere "che tipo di traumi presentava il signor Stefano Cucchi e chi glieli ha provocati? Perché il signor Cucchi è stato ricoverato all’ospedale Pertini? La morte è dipesa da possibili violenze subite? Per quale motivo ai genitori è stato impedito di incontrare il figlio per ben sei giorni? Per quale motivo non sono stati concessi gli arresti domiciliari al signor Cucchi, neanche fosse il più efferato criminale? Per quale motivo non vengono rese pubbliche le foto del viso-tumefatto posto che in Italia capita spesso che i verbali degli interrogatori a base di inchieste importanti vengono immediatamente-trascritti sui giornali?".

 

Interrogazione di Della Seta (Pd) e Poretti (Radicali-Pd)

 

"La morte di Stefano Cucchi, il 31enne arrestato a Roma per possesso di droga e morto dopo sei giorni di detenzione, ricorda in qualche modo la drammatica vicenda di Federico Aldovrandi, il ragazzo morto nel 2005 a Ferrara dopo una colluttazione con dei poliziotti che lo stavano arrestando.

I motivi che hanno portato alla morte del giovane romano devono essere chiariti nel più breve tempo possibile, facendo luce sui troppi punti oscuri della vicenda". Lo dichiarano i senatori Roberto Della Seta (Pd) e Donatella Poretti (Pd-radicali), preannunciando un’interrogazione urgente al ministri Alfano e La Russa. "Una persona viene arrestata - proseguono i due senatori del Pd - condotta in carcere e dopo sei giorni in cui viene negato ai familiari il permesso di visitarlo muore per un arresto cardiaco nel reparto carcerario dell’ospedale Pertini, ma dopo aver subito quello che appare quasi certamente come un pestaggio: i familiari riferiscono di aver visto il volto del loro congiunto tumefatto, con la mandibola storta ed un occhio fuori dall’orbita oculare".

"Se quanto asserito dai familiari di Cucchi - continuano gli esponenti del Pd - corrisponde al vero si tratterebbe inequivocabilmente di percosse fisiche subite quando il soggetto era trattenuto dall’autorità giudiziaria. Per la giustizia di un paese che non deve conoscere pratiche da regimi dittatoriali, e per rispetto nei confronti dei famigliari della vittima, è indispensabile chiarire rapidamente chi e quando ha inflitto le percosse al giovane, se è stata prestata tutta l’assistenza medica necessaria e se non vi siano state omissioni, o peggio, coperture nei riguardi di chi ha causato le lesioni, e forse la morte, del giovane Cucchi. Chiediamo ai ministri Alfano e La Russa - concludono Della Seta e Poretti - se non ritengano necessario avviare un’approfondita indagine su questa tragica vicenda, e di procedere con la massima severità nei confronti di chi, all’interno della pubblica amministrazione, si sia reso corresponsabile della morte di un ragazzo di 31 anni".

 

Staderini (Radicali): su detenuto morto istituzioni diano spiegazioni

 

"Quando un uomo entra in carcere con le sue gambe e ne esce morto dopo pochi giorni, è indispensabile che le istituzioni spieghino cosa è successo in maniera pronta e trasparente. E se necessario, ammettano le loro responsabilità". È quanto dichiara Mario Staderini, della Direzione nazionale di Radicali Italiani, in merito alla vicenda dell’uomo arrestato per droga e ricoverato pochi giorni dopo all’Ospedale Pertini, dove è morto.

"Stefano Cucchi, 31 anni, non aveva segni sul viso quando fu arrestato per possesso di una modesta quantità di stupefacenti - aggiunge Staderini - è morto 6 giorni dopo all’Ospedale Pertini di Roma, senza che ai genitori fosse consentito neanche un colloquio. La denuncia di Luigi Manconi e dell’Associazione Antigone richiede l’immediato accertamento della verità, senza pastoie burocratiche che allontano dall’obiettivo".

"Giusto, quindi - per Staderini - che siano rese pubbliche le foto del viso tumefatto di Cucchi ed i suoi interrogatori, come accadrebbe se si trattasse di inchieste importanti. Al detenuto ignoto Stefano restituiamo almeno ora quella dignità che solo la forza della verità potrà dare alla sua famiglia. E ricordiamoci che - conclude - in ogni caso, è morto per le conseguenze di un arresto per mero possesso di droga".

 

Nieri (Regione Lazio): troppe ombre su questo episodio

 

"Ci sono troppe ombre afferma l’assessore al Bilancio della Regione Lazio, Luigi Nieri, ex Rifondazione Comunista, ora Sinistra e Libertà. Mi auguro che venga fatta luce sull’intera vicenda. In una società civile non possono accadere episodi di questo genere, non si può accettare che una persona muoia senza che si conoscano le ragioni del decesso".

Giustizia: Bernardini; indagine conoscitiva su morti in carcere

 

Apcom, 27 ottobre 2009

 

La deputata Radicale-Pd membro della Commissione Giustizia, Rita Bernardini, ha presentato un’interrogazione urgente ai ministri della Giustizia e della Difesa sul caso di Stefano Cucchi, il detenuto 31enne morto in circostanze poco chiare presso l’ospedale Pertini di Roma nella notte tra le 22 e il 23 ottobre scorsi. L’uomo era stato arrestato dai carabinieri per possesso di stupefacenti nella notte tra il 15 e 16 ottobre. Al momento del fermo, secondo i familiari, era in buona salute ma il giorno successivo, all’udienza per direttissima, il padre aveva notato tumefazioni al volto e agli occhi del figlio.

Nonostante i fatti contestati a Cucchi non fossero di estrema gravità, all’uomo - spiega - non sono stati concessi gli arresti domiciliari e alla famiglia non è stato permesso di vederlo fino al giorno 23 ottobre, quando l’uomo era già deceduto presso il reparto detentivo dell’ospedale Pertini. I familiari hanno potuto rivedere Stefano Cucchi solo all’obitorio, per il riconoscimento, e in quella sede si sarebbero trovati davanti a un "volto devastato", che ai consulenti di parte è stato impedito di fotografare.

Rita Bernardini si è dunque rivolta ai ministri Alfano e La Russa per chiedere di fare chiarezza, negli ambiti di rispettiva competenza, sulle circostanze che hanno portato alla morte del detenuto 31enne e di prendere provvedimenti nei riguardi di eventuali responsabili.

La deputata Radicale ha inoltre ribadito al ministro della Giustizia l’urgenza di un’indagine conoscitiva sui decessi in carcere che stanno in modo drammatico scandendo il tempo dell’illegalità penitenziaria italiana. "Mentre diramiamo questo comunicato, infatti, ci giunge notizia che un altro ragazzo, un rumeno di 24 anni si è suicidato impiccandosi nel carcere di Tolmezzo. La notizia è stata confermata dalla direttrice Silvia Della Branca che ancora una volta, come tutti i direttori dei penitenziari italiani, ha stigmatizzato l’insostenibile carenza di personale".

Toscana: Sappe; denunciamo da tempo una situazione esplosiva

 

Il Velino, 27 ottobre 2009

 

"Constatiamo che sulla grave situazione penitenziaria di Firenze e della Toscana arrivano oggi le allarmanti dichiarazioni del garante dei detenuti di Firenze Franco Corleone su scioperi dei detenuti lavoranti. Che la situazione penitenziaria sia esplosiva noi, rappresentati del primo e più rappresentativo sindacato della polizia penitenziaria quale è il Sappe, lo diciamo da tempo.

Fino a oggi il governo, il ministero della Giustizia, il dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e lo stesso Garante dei detenuti fiorentino Corleone si sono fatti scudo della drammatica situazione attraverso il senso di responsabilità del Corpo di polizia penitenziaria; ma queste sono condizioni di logoramento che perdurano da mesi e continueranno a pesare sulle circa duemila e 200 persone in divisa in servizio in Toscana per molti mesi ancora se non la si smette di nascondere la testa sotto la sabbia.

Quanto si pensa possano resistere gli uomini e donne della polizia penitenziaria che sono costrette a trascurare le proprie famiglie per garantire turni massacranti con straordinari nemmeno pagati? Un atto di serietà politica e di onestà intellettuale sarebbe quello di ascoltare chi in carcere ci lavora da anni, la polizia penitenziaria appunto e non improvvisarsi ad amministratori che non fanno i conti con la realtà". Lo ha dichiarato Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe alle dichiarazioni odierne del garante dei detenuti Franco Corleone secondo il quale dal prossimo primo novembre i detenuti lavoranti faranno sciopero per una settimana.

"La Toscana - prosegue la nota - è una delle Regioni italiane fuori legge dal punto di vista penitenziario. A fronte di una capienza regolamentare pari a 3.017 posti letto, oggi le carceri regionali ospitano 4.322 detenuti, dei quali circa il 50 per cento stranieri. Siamo dunque in una situazione di sovraffollamento pesantissima, a tutto discapito delle difficili condizioni di lavoro delle donne e degli uomini appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria.

Dato altrettanto grave è proprio quello relativo al personale di polizia penitenziaria in servizio in Toscana. Mancano ben 800 unità: invece dei 3.021 Baschi Azzurri previsti dalle piante organiche, ne abbiamo in servizio realmente 2.227 (il 73 per cento). Il Corpo di polizia penitenziaria ha mantenuto fino ad ora l’ordine e la sicurezza negli istituti penitenziari toscani, a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza perdere il senso del dovere e dello Stato, nonostante continue e costanti umiliazioni e aggressioni.

Ma la situazione rischia di degenerare ogni giorno di più. Per questo abbiamo auspicato anche recentemente, a seguito di un proficuo incontro, l’autorevole intervento del prefetto di Firenze Andrea de Martino presso le varie articolazioni del ministero della Giustizia. Dove è stato fino ad oggi il garante dei detenuti Corleone?".

Tolmezzo (Ud): detenuto romeno 24enne si è suicidato in cella

 

Apcom, 27 ottobre 2009

 

Un romeno di 24 anni si è suicidato impiccandosi nel carcere di Tolmezzo. La notizia è stata confermata alla deputata Radicale Rita Bernardini dalla direttrice dell’istituto di pena, Silvia Della Branca "che ancora una volta, come tutti i direttori dei penitenziari italiani, ha stigmatizzato l’insostenibile carenza di personale".

Isernia: morto detenuto straniero 30enne, ancora ignote cause

 

Ansa, 27 ottobre 2009

 

Un detenuto extracomunitario di 30 anni del carcere di Isernia è morto nella sua cella. Secondo le prime notizie le cause non sono state ancora accertate; nella tarda mattinata il magistrato dovrebbe stabilire quando dovrà essere eseguita l’autopsia. Con precedenti per spaccio di sostanze stupefacenti, il detenuto era stato trasferito nel carcere molisano da pochi giorni.

Benevento: rivolta nel carcere minorile di Airola, evadono in 4

 

Corriere della Sera, 27 ottobre 2009

 

Quattro detenuti sono evasi in serata dall’istituto per minori di Airola, nel Beneventano. Sono tutti di Napoli e due di loro sono accusati di omicidio. Il quartetto ha aggredito le guardie carcerarie (tre hanno dovuto far ricorso alle cure dei sanitari dell’ospedale "Rummo" di Benevento) e poi é fuggito a bordo di un’auto sottratta all’esterno della casa di rieducazione.

I quattro evasi - Giuliano Landieri, Manuel Brunetti, Giovanni Savarolo e Marcello Picardi, ora maggiorenni -, sono originari dei quartieri napoletani di Scampia e Ponticelli. Due di loro sono accusati di omicidio, gli altri due erano rinchiusi per detenzione e traffico di droga. Approfittando della pausa per la cena, i quattro giovani detenuti che hanno finto una rissa, sono riusciti ad immobilizzare tre guardie carcerarie nel refettorio, aggredendole con pugni e testate al volto. Dopo essersi impossessati delle chiavi di uno degli agenti di custodia, sono usciti dal portone e si sono impadroniti di un’auto. Ma, dopo aver percorso pochi metri, la vettura (un’Alfa 156) dotata di antifurto satellitare si é bloccata. Gli evasi ne hanno preso un’altra con la quale si sono dileguati. La macchina della fuga è stata ritrovata alla periferia di Torre del Greco, in provincia di Napoli. Ora le ricerche si stanno concentrando nei due quartieri napoletani di residenza degli evasi, appunto Scampia e Ponticelli.

"Quello che è accaduto nel carcere minorile di Airola, da dove sono evasi quattro detenuti, potrebbe avvenire anche negli istituti penitenziari per adulti: ormai è vera emergenza sovraffollamento e disorganizzazione". La dura dichiarazione è di Leo Beneduci, segretario generale del sindacato Osapp, uno dei sindacati degli agenti di custodia, che punta l’indice contro "la cattiva organizzazione da parte del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e della giustizia minorile. A fare le spese di tutto ciò è sempre e soltanto la polizia penitenziaria. Per altro - aggiunge Beneduci - uno degli evasi da Airola é ritenuto responsabile dell’omicidio di una guardia giurata, e all’amministrazione carceraria era stato fatto presente di non trasferire un detenuto di tale pericolosità proprio nel carcere di Airola".

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha già inviato nel Sannio il capo del Dipartimento della giustizia minorile, Bruno Brattoli, che ascolterà già oggi i tre agenti feriti (e già dimessi dall’ospedale). All’inchiesta parteciperà anche la direttrice dell’Istituto, Mariangela Cirigliano, che al momento dell’evasione si trovava a Roma.

Benevento: Uil; questa maxi-evasione è la Caporetto di Alfano

 

Ansa, 27 ottobre 2009

 

"L’evasione di quattro detenuti dall’Ipm di Airola avvenuta ieri sera segna la Caporetto del Ministro Alfano. Dopo aver levato, invano e inascoltati, ogni sorta di allarme dobbiamo registrare lo smacco di veder evadere quattro giovani criminali, uno dei quali macchiatosi di un efferato omicidio in danno di una guardia giurata"

Non le manda certo adire Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari. "Il nostro pensiero va ai colleghi feriti ma anche all’intera collettività che da oggi è molto meno sicura. Purtroppo il Ministro Alfano, ma l’intera Amministrazione della Giustizia Minorile, hanno evidenti responsabilità per quanto accaduto stasera ad Airola. Il Ministro per aver lasciato cadere nel vuoto i nostri solleciti, i nostri pressanti inviti, i nostri allarmi sul decadimento dei livelli di sicurezza. L’Amministrazione Centrale della Giustizia Minorile per aver ignorato i moniti di inopportunità circa l’assegnazione in Campania dell’omicida ora evaso.

La rabbia è tanta - ammette Sarno - perché c’è la consapevolezza di aver per tempo individuato falle nel sistema sicurezza. Ora Alfano sui concentri almeno un pochino sulle criticità del sistema penitenziario. Accolga i nostri inviti al confronto, segni il suo operato con la saggezza e non con la presunzione. Sia ben chiaro, e lo diciamo alto e forte, che oggi tutte le carceri sono a rischio.

Questo è un problema di ordine pubblico e non solo una questione sociale Invito l’intero Governo a trovare una sintesi unitaria sul problema. Quando chiedemmo l’ausilio dei militari in compiti di sorveglianza ai penitenziari avevamo ben presente la situazione. Purtroppo il Ministro La Russa è stato sordo ed insensibile.

Lo stesso Tremonti frappone ostacoli economici alle nuove assunzioni, che pure Alfano ha chiesto, per la polizia penitenziaria. Sono ben 5mila, infatti, le vacanze organiche. Nella sola Giustizia Minorile il gap è di circa il 30% delle dotazioni previste. Siamo al fondo del barile, nulla più c’è da raschiare se non recuperare quelle unità i cui servizi non sono ben definiti. Prima che accada nuovamente, e può accadere in ogni momento, il bis in idem di Airola".

Benevento: Osapp; evasione, colpa è di cattiva organizzazione

 

Ansa, 27 ottobre 2009

 

"Quello che è accaduto nel carcere minorile di Airola, da dove sono evasi quattro detenuti, potrebbe avvenire anche negli istituti penitenziari per adulti: ormai è vera emergenza sovraffollamento e disorganizzazione". Ad affermarlo è Leo Beneduci, segretario generale del sindacato Osapp, che punta l’indice contro "la cattiva organizzazione da parte del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e della giustizia minorile".

"A fare le spese di tutto ciò è sempre e soltanto la polizia penitenziaria. Per altro - aggiunge Beneduci - uno degli evasi da Airola sarebbe ritenuto responsabile dell’omicidio di una guardia giurata, e all’amministrazione era stato fatto presente di non trasferire un detenuto di tale pericolosità proprio nel carcere di Airola".

"L’evasione è stata preceduta da una finta sommossa. Si registra il ferimento di due agenti di polizia penitenziaria in servizio" riferisce il segretario Generale della Uil Pa Penitenziari Eugenio Sarno, secondo cui l’ episodio "conferma appieno gli allarmi" lanciati sullo stato del sistema penitenziario dai sindacati del settore.

"Ora - sostiene - il Governo deve fare mea culpa e provvedere con immediatezza alle prima e vera emergenza: la grave deficienza organica del personale. Sono ben 5mila le unità di polizia penitenziaria che mancano agli organici ufficiali. Nella sola Giustizia Minorile il gap è pari a circa il 30%. Incredibilmente nessuno parla di uomini ma solo di carceri da costruire e questi sono, purtroppo, i risultati".

Ravenna: dopo trasferimento 63 detenuti situazione è migliore

 

Il Resto del Carlino, 27 ottobre 2009

 

Nel carcere di Ravenna "la situazione in questi mesi è migliorata. Ho avuto un riscontro positivo dagli operatori e dai volontari, nella visita che ho fatto recentemente, e che ripeterò ogni sei mesi". Lo fa sapere il sindaco di Ravenna Fabrizio Matteucci, che questa mattina, a Palazzo Merlato, ha fatto il punto sulla situazione della casa circondariale, assieme all’assessore comunale ai Servizi sociali Pericle Stoppa, al provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Nello Cesari e alla direttrice del carcere Carmela De Lorenzo. Di fatto, ciò che ha finalmente fatto tirare il fiato alle guardie ravennati, è stata la significativa riduzione del numero dei detenuti.

"Siamo passati dai 176 di agosto ai 113 di questa mattina - spiega Stoppa - e prevediamo di ridurre ulteriormente il numero attraverso una serie di interventi". I detenuti mancanti, chiarisce la direttrice, "sono stati trasferiti in altre carceri italiane". Inoltre, il provveditore annuncia un piano triennale di interventi strutturali per 1 milione 580 mila euro. "Investimento che però - precisa Cesari - fino ad ora è solo in termini di proclama, aspetto la conferma dal Ministero". Tuttavia, per quanto riguarda la capienza, spiega il provveditore (che negli anni ‘80 è stato direttore del carcere di Ravenna) "lo spazio è piccolo, sono 97 metri per 98, c’è poco da intervenire".

L’ideale, afferma il provveditore regionale, "sarebbe avere un carcere nuovo. Ma mancano i fondi, tant’è che nei programmi del governo non è previsto". Una soluzione alternativa secondo Cesari però ci sarebbe, ed è quella adottata per costruire il nuovo carcere di Avezzano: "stimare il valore del vecchio carcere e del suo terreno per venderlo a dei costruttori che si prendano l’impegno di realizzare quello nuovo". Insomma, far finanziare l’opera da privati, una sorta di project financing.

Proprio di questo, Matteucci parlerà venerdì a Filippo Berselli, presidente della Commissione Giustizia in Senato, in un incontro specifico sulla questione del carcere di Ravenna. "Nel piano regolatore- fa sapere il sindaco- c’è già l’area da destinare alla nuova struttura".

Ferrara: detenuti ed agenti costretti in condizioni "fuori-legge"

di Daniele Lugli (Difensore Civico dell’Emilia Romagna

 

La Nuova Ferrara, 27 ottobre 2009

 

La situazione del carcere di Ferrara è da qualche tempo portata all’attenzione dei cittadini. C’è un dato, riportato dai giornali, dal quale si può ricavare la vastità e profondità del disagio. Ospita il doppio dei detenuti rispetto alla capienza regolamentare e le guardie sono la metà dell’organico previsto. In queste condizioni i diritti fondamentali, la dignità stessa di carcerati e operatori sono messi in discussione.

È una condizione generalizzata nel Paese. Contraddice brutalmente la previsione costituzionale dell’articolo 27: Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Di fatto l’unica promessa è quella della rapida costruzione di nuove carceri: una risposta edilizia al bisogno di sicurezza dei cittadini ed alla prospettiva di reinserimento dei condannati.

Sicurezza e reinserimento sono due aspetti strettamente collegati. Sanno bene, ad esempio, gli operatori come l’espiazione della pena in forme alternative alla detenzione, o a questa combinata, abbassi in modo significativo la recidiva, riducendola mediamente ad un terzo o ad un quarto. L’applicazione più ampia di tali misure, la loro estensione anche in via normativa, richiede operatori in gradi di lavorare serenamente, collaborando a che siano poste le basi per il reinserimento sul territorio, a pena espiata, dell’ex detenuto.

E questo è interesse e responsabilità di tutti i cittadini e delle loro istituzioni, in primo luogo Comuni e Province. L’uso politico dell’insicurezza ispira invece risposte semplificate e illusorie che, nel preteso rigore, aggravano la situazione. Nell’assumere l’incarico di Difensore civico della Regione Emilia - Romagna avevo segnalato che un terreno privilegiato del mio impegno sarebbe stato rivolto a cittadini privati o limitati nella libertà personale.

È un compito al quale sto dedicando crescente attenzione, nei limiti delle competenze attribuitemi e per la collaborazione con le Garanti dei detenuti, con i responsabili dell’Amministrazione penitenziaria, con i Magistrati di sorveglianza. La mia disponibilità a un impegno anche maggiore su questo terreno è nota agli amministratori regionali, che hanno mostrato apprezzamento, non seguito però da provvedimenti a mio avviso utili a questo fine. Come Difensore civico regionale mi sento comunque pienamente coinvolto per le responsabilità che mi sono affidate di tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini presenti sul territorio regionale. Reclusi e lavoratori si trovano a condividere condizioni gravose e contrarie alle disposizioni di legge e tali da compromettere la loro salute. È un aspetto sul quale ritengo di dovere intervenire. Un piccolo segno di vicinanza e condivisione sarà la mia partecipazione alla manifestazione di mercoledì prossimo.

Ferrara: domani scatterà la protesta dei poliziotti penitenziari

 

La Nuova Ferrara, 27 ottobre 2009

 

Non c’è carcere in Italia dove non esistono problemi. Sovraffollamento, pochi agenti, turni massacranti. Questa volta a protestare sono i sindacati della polizia penitenziaria di Cgil Fp, Cisl Fps, Uil Pa, Sappe, Sinappe, Fsa Cnpp, Osapp, Siappe e Uspp che mercoledì 28 ottobre terranno un sit-in di protesta ed un corteo che andrà dalla Casa circondariale di Ferrara al Comune.

"Parteciperemo con estrema convinzione a questa iniziativa - dichiara Francesco Marcolin, coordinatore provinciale della Uil Pa penitenziari di Ferrara - perché ne condividiamo in pieno le ragioni. Oggi siamo qui, per l’ennesima volta, a rivendicare condizioni di lavoro decenti, turni regolari, carichi di lavoro non afflittivi e soprattutto un’attenzione da parte di chi dovrebbe gestire questo stato di cose.

A Ferrara, afferma Francesco Marcolin, ci sono 166 agenti a fronte dei 232 previsti dal dm del 2002, dove ogni agente deve vigilare circa 80 detenuti e di notte anche il doppio, al contrario la popolazione detenuta è arrivata oltre le 530 unità a fronte di una capienza di 256. Con questa manifestazione, ricorda Marcolin, vogliamo portare a conoscenza delle forze politiche e di tutta la cittadinanza le condizioni in cui i poliziotti penitenziari lavorano effettuando notevoli ore di straordinario, viaggiano con mezzi obsoleti e inaffidabili ed allo stesso tempo denunciare le condizioni del carcere di Ferrara come del resto quelli di tutta l’Emilia Romagna.

I cittadini devono sapere che gli spazi degli istituti sono inferiori a quelli a disposizione degli animali dello zoo ed in questi spazi i lavoratori della polizia penitenziaria devono operare e rispondere alle esigenze delle persone detenute sempre più pigiate dentro le celle. Il lavoro prevalente della polizia penitenziaria è divenuto ormai quello di stoccaggio dei detenuti. I lavoratori della polizia penitenziaria - conclude il comunicato - sono stanchi, nauseati ed esasperati dall’assenza di risposte da parte dell’amministrazione penitenziaria".

Teramo: in due mesi 5 agenti aggrediti e 2 tentativi di suicidio

 

Il Centro, 27 ottobre 2009

 

Cinque agenti di polizia penitenziaria aggrediti e due tentati suicidi di detenuti sventati in poche settimane: è ancora emergenza nel carcere di Castrogno. I sindacati tornano a denunciare la carenza di personale e il sovraffollamento di una struttura che ospita circa 400 detenuti. Su iniziativa dell’Uspp per l’Ugl e in collaborazione con Sappe, Cgil, Cisl, Uil e Osapp, è stato sottoscritto un documento rivolto alle istituzioni e in particolare all’assessore regionale per le politiche sociali Paolo Gatti .

"Gli ultimi eventi", si legge nel documento dei sindacati, "ci preoccupano fortemente e ci hanno indotto ad intraprendere questa iniziativa di sensibilizzazione, in quanto riteniamo che il pianeta carcere sia un problema sociale che non può non essere oggetto di un’attenzione particolare da parte di tutti gli organi politici e sociali. Chiediamo a Gatti di farsi carico delle problematiche esposte ed intercedere verso i superiori organi governativi, affinchè attuino interventi per far sì che nell’istituto teramano tornino ad esserci condizioni di lavoro, di sicurezza e vivibilità".

Nel documento, inoltre, i sindacati tornano ad elencare i dati dell’emergenza Castrogno: 185 agenti per 400 detenuti e problemi di igiene all’interna della struttura. "Nei posti di servizio ad uso del personale e nei reparti in cui si trovano i detenuti", scrivono i sindacati, "l’igiene è inesistente: nei bagni ad uso del personale non sono forniti sapone e carta igienica.

Le pulizie dei locali effettuati dai detenuti lavoranti è fatta senza l’uso di prodotti e disinfettanti, ma solo con acqua poiché la direzione non li fornisce. L’assistenza sanitaria è carente. Il nucleo di traduzioni e piantonamenti effettua più movimenti di detenuti che i restanti istituti della regione messi insieme. La movimentazione detenuti in entrata e in uscita, oltre mille dall’inizio dell’anno, è pari alla movimentazione di tutti gli istituti dell’Abruzzo messi insieme".

Genova: progetto "raccolta differenziata", in carcere Marassi

 

Secolo XIX, 27 ottobre 2009

 

Più di sessanta tonnellate di carta e plastica raccolte in un anno nella Casa Circondariale di Marassi per il progetto di raccolta differenziata lanciato dall’intesa tra Provincia, Amiu e Direzione del carcere che coinvolge detenuti e personale della Polizia Penitenziaria, rafforzando il rispetto per l’ambiente e la responsabilità civica anche dentro le mura e le celle dell’istituto penale genovese. I risultati e la prosecuzione dell’iniziativa sono stati presentati a Marassi dall’assessora provinciale Milò Bertolotto, dal presidente di Amiu Riccardo Casale e dal direttore della Casa Circondariale Salvatore Mazzeo.

La raccolta differenziata avviene in tutte le celle del carcere, curata da cinque detenuti che svolgono questa attività con borse lavoro finanziate da Amiu, e nella caserma interna la raccolta (che riguarda anche uffici e servizi amministrativi della Casa circondariale, mensa e bar interno) è svolta direttamente dalla Polizia Penitenziaria. "I detenuti sono impegnati fattivamente - ha detto il direttore Mazzeo - in questo progetto che sta andando molto bene e che, caso forse unico in Italia, vede una partecipazione determinante e congiunta anche della Polizia Penitenziaria".

La percentuale di raccolta differenziata all’interno del carcere "oggi è in linea con quella della città, intorno al 20% - ha detto il presidente di Amiu Casale - anzi addirittura migliore di alcuni quartieri e siamo convinti che la sua prosecuzione potrà farla crescere ulteriormente, mentre stiamo lavorando per far crescere la raccolta differenziata di Genova." La raccolta differenziata a Marassi fa parte anche dei progetti che la Provincia condivide o promuove per migliorare la qualità della vita nel mondo carceraria, nel rispetto dei diritti delle persone detenute, degli operatori e della Polizia Penitenziaria. "In questo senso - dice l’assessora Bertolotto - diamo impulso a corsi di studio, formazione professionale, progetti teatrali per favorire il reinserimento sociale e occupazionale. A Marassi stiamo

anche definendo tirocini professionalizzanti di detenuti per rendere operativo il nuovo progetto di falegnameria sostenuto dalla Direzione del carcere ed altri progetti sono in corso anche a Chiavari e Pontedecimo". E il direttore Mazzeo (che difende la sua struttura "dicono spesso che sia vecchia, obsoleta, ma questo carcere è stato completamente ristrutturato all’interno nel 1990") dice "cerchiamo di guardare sempre oltre, non ci accontentiamo dei risultati ottenuti: sono stati fatti cospicui investimenti anche per dotare la Casa circondariale di una panetteria, tra le prime in Italia dove ci sono detenuti che lavorano per una cooperativa, sta partendo la nuova falegnameria e stiamo progettando anche un laboratorio per confezionare il pesce azzurro, con particolari trattamenti, come l’azoto, che ne conservano molto più a lungo la freschezza."

Volterra: il ristorante "mille sbarre", nella cappella del carcere

 

Il Tirreno, 27 ottobre 2009

 

Il luogo è di quelli che non ti scordi. Le sbarre e le porte che si chiudono alle spalle con rumori metallici, una volta entrati, lasciano il segno. Eppure i detenuti che ti accolgono al ristorante "Mille sbarre" nel ruolo di maitre e camerieri sono pronti a regalare sorrisi e gesti impeccabili. C’è Nino all’entrata. Professionista della tavola, s’inchina. Mostra la via. Destinazione la cappella del carcere di Volterra.

È la magia di una sera galeotta. Di Francesco Innocenti, grossetano del monte Amiata, che si occupa dei passatelli in guazzetto. Deve scontare ancora tanti anni là dietro quelle sbarre. È uno di quei trenta, impeccabili in tenuta bianco-nera, protagonisti di un progetto che riesce a dare la spinta per coltivare la voglia di ricominciare e provare a dare un cambio alla loro vita. "In cucina io sono una frana, ma queste sono occasioni d’oro per stare in mezzo alla gente e rompere per un attimo la solitudine nella quale viviamo", aggiunge Dorian Cenka, 26enne albanese. Sta varcando la soglia della cucina con due piatti di mazzancolle in mousse di patata da portare ad alcuni dei cento commensali.

"I ragazzi sono stati eccezionali, noi non abbiamo portato niente dal ristorante", racconta Natasha Santandrea della Tenda Rossa di San Casciano Val di Pesa che ha seguito la regia della cena insieme agli chef del locale Maria Drobst e Cristian Santandrea. "Sono la prima ragazza ad affiancarli in questo progetto - dice Maria - avevo il timore che non mi rispettassero e non seguissero le mie indicazioni.

Invece, loro sanno perfettamente che chi viene da fuori si trova in difficoltà e fanno il possibile per metterlo a suo agio. Insomma, dopo un po’ questi muri non fanno più paura e addirittura dimentichi di trovarti in un carcere". L’entusiasmo è tanto anche tra i commensali e tra i promotori dell’iniziativa (il ricavato viene devoluto in progetti di solidarietà).

Il sindaco Marco Buselli è uno di questi, insieme all’assessore Paolo Moschi e alla capogruppo di opposizione Rosa Dello Sbarba. "Ci piacerebbe riuscire ad inserire in Comune - dice il primo cittadino - nel settore delle manutenzioni alcuni di questi detenuti che lavorano fuori, in regime di semilibertà". La proposta è chiara: su quel ponte in costruzione tra carcere e comunità l’amministrazione vuole salirci.

 

La direttrice: pena come rieducazione

 

"Quando sono arrivata 6 anni fa c’era solo un detenuto che lavorava fuori, adesso siamo quasi a trenta". Orgogliosa dei "suoi" progetti, carica, raggiante nel suo scialle rosso la direttrice del carcere di Volterra Maria Grazia Giampiccolo fa gli onori di casa.

Quella volterrana è una delle poche realtà che nonostante la carenza di organico e la mancanza di fondi riesce a dare esecuzione al mandato costituzionale della pena che deve tendere alla rieducazione dei detenuti. Un carcere che ha in piedi moltissime iniziative, dalla compagnia teatrale della Fortezza con la regia di Armando Punzo, la scuola con sezioni di elementari, medie e geometri, le cene galeotte, appunto, la sartoria che realizza manufatti patchwork per l’amministrazione penitenziaria e prodotti d’eccellenza.

"C’è un detenuto a lavorarci, due volte a settimana. I manufatti sono andati anche alla mostra nazionale dell’artigianato a Firenze", racconta. Con il microfono in mano, accanto alle istituzioni cittadine, ringrazia i commensali. Guarda i ragazzi in "uniforme" bianco-nera con portate in mano e sorrisi per tutti: "Anche stasera riusciranno a stupirvi", dice.

Poi il calice che si alza, in onore di chi è in cucina e di quelli seduti ai tavoli. Domani si torna alla routine, ai numeri, a progetti vecchi e nuovi da portare avanti, lei che all’interno di quelle mura conta 147 detenuti a fronte di una capienza di 175, 122 comuni, 25 in alta sicurezza.

Palermo: intercettazioni abusive, direttore carcere sotto inchiesta

 

Ansa, 27 ottobre 2009

 

Una centrale telefonica per intercettare tutte le telefonate in arrivo e in partenza dal carcere Pagliarelli di Palermo. Ma l’apparecchiatura illegale si trovava nell’ufficio del direttore dell’istituto, Laura Brancato.

Per questo motivo la Procura di Palermo, dopo mesi di indagini condotte nel massimo riserbo, ha chiesto il rinvio a giudizio del funzionario. Il capo d’imputazione, come ricostruisce oggi l’edizione locale di Repubblica, fa riferimento al reato previsto dall’articolo 617 bis: "Installazione di apparecchiature atte a intercettare".

I titolari dell’inchiesta, il procuratore aggiunto Leonardo Agueci e il sostituto Antonio Altobelli, nel provvedimento ipotizzano anche i reati di truffa, falso e abuso d’ufficio: al direttore del Pagliarelli viene infatti contestato di avere usufruito di esami e servizi sanitari gratuiti previsti solo per i detenuti. I magistrati hanno sollecitato il rinvio a giudizio anche per l’ex dirigente sanitario del carcere, Sergio Cavallaro, che avrebbe agevolato il direttore.

L’inchiesta è scaturita dall’esposto presentato da un sindacalista della polizia penitenziaria. L’avvocato Vincenzo Lo Re, legale della Brancato, sostiene che nell’ufficio del direttore "c’è solo un normale centralino dal quale non è possibile effettuare alcuna intercettazione" e si dice certo di riuscire a confutare anche le altre accuse.

Immigrazione: soccorso un "barcone" con 300 persone a bordo

di Francesco Viviano

 

La Repubblica, 27 ottobre 2009

 

Dopo tre giorni di rimpalli, di accuse di mancato soccorso tra Italia e Malta, ieri finalmente i 297 extracomunitari sono stati salvati dalle motovedette italiane e da un rimorchiatore e portati a Pozzallo. Tutti, tranne uno, un uomo di colore, che è stato trovato cadavere quando sono arrivati i soccorsi. Com’è è morto? Poteva essere salvato se Italia e Malta avessero deciso cosa fare già tre giorni fa? Sono domande alle quali dovrà trovare una risposta l’inchiesta della procura di Siracusa o di Ragusa.

Per tre giorni e tre notti i migranti, partiti dalle coste libiche, sono stati in balia delle onde con il rischio di affondare con un mare che ha anche raggiunto forza sette. E, come è già accaduto altre volte, Malta ed Italia hanno a lungo discusso su chi dovesse intervenire. Fino a quando l’Italia non ha dirottato sul posto una petroliera, l’Antignano, che ha raggiunto il barcone senza però poter eseguire il trasbordo degli immigrati.

"Non potevamo fare granché, è stato uno strazio vedere tutta quella gente ammassata su quel barcone che rischiava di affondare", racconta al telefono Agata Torrisi, allieva di coperta che con il comandante Mariano Ad ragna e gli altri componenti dell’equipaggio ha seguito e scortato il barcone. Soltanto ieri sera, dopo che il comandante della petroliera aveva segnalato più volte alle autorità maltesi ed italiane che spesso perdeva di vista quel barcone che si confondeva tra le onde del mare in tempesta, Malta ha inviato una motovedetta ed un elicottero.

E, come è già accaduto più volte, la motovedetta maltese si è limitata ad osservare: "Fino a quando li barcone non è in pericolo noi non possiamo intervenire", afferma il portavoce della marina maltese. Alla fine Malta ha raggiunto il suo obiettivo guidando di fatto il barcone con gli extracomunitari a bordo verso le acque territoriali italiane.

A quel punto la nostra Marina è dovuta intervenire e, per fortuna, non è accaduto quel che molti temevano, cioè il respingimento. Peraltro i migranti minacciavano di buttarsi in mare se li avessero rispediti nell’inferno libico da dove erano fuggiti dopo mesi di sfruttamento e di violenze. E quando le unità della marina militare e della Guardia di Finanza italiana hanno raggiunto il barcone a bordo ci sono state scene di gioia ma anche lacrime.

Con difficoltà il trasbordo alla fine è riuscito e gli extracomunitari sono stati suddivisi tra le unità della marina e della finanza ed il rimorchiatore Kerop che ieri sera hanno raggiunto il porto di Pozzallo dove quei disperati hanno avuto finalmente i primi soccorsi. "Sono stati tre giorni abbastanza complicati - dice il comandante Mariano Adragna - per tre giorni siano stati ad osservare, impotenti, perché qualunque tipo di intervento avrebbe potuto pregiudicare la vita di quelle persone.

Le condizioni del mare erano pessime, l’altro ieri erano un po’ migliorate ma oggi sono nuovamente peggiorate e temevamo che il barcone affondasse. Per fortuna poi sono arrivate le motovedette italiane ed abbiamo tirato un sospiro di sollievo". Un altro componente dell’equipaggio che ha risposto al satellitare di bordo mentre il comandante era impegnato nelle operazioni di soccorso e, soprattutto, nei contatti radio con Italia e Malta che non volevano saperne di intervenire accusandosi l’un l’altro di non soccorrere quel barcone, dice che quel che è accaduto "è ignobile: perché scaricano su di noi responsabilità che non possiamo assumerci? Noi siamo marinai e non rifiutiamo soccorso a nessuno ma in questo caso potevamo fare ben poco. I maltesi quando ieri sera ci hanno raggiunto, non hanno fatto altro che "scortarci" verso le acque territoriali italiane ed una volta che hanno raggiunto il loro obiettivo, sono andati via".

Droghe: i fiumi di cocaina che scorrono nei corridoi dei palazzi

di Gianni Barbacetto e Davide Milosa

 

Il Fatto quotidiano, 27 ottobre 2009

 

La cocaina è entrata nella vicenda Marrazzo come un velo di polvere depositato per caso su una scena dove succedeva tutt’altro. Portata a casa del trans frequentato dal presidente della Regione Lazio dai carabinieri poi arrestati per il ricatto. Ora questi continuano a ripetere: "La cocaina l’abbiamo trovata là". Saranno le indagini a dire chi mente.

Certo è che la polvere bianca è ormai sempre più frequentemente ingrediente delle storie che incrociano trasgressione, politica e potere. C’è una pista di coca nella vicenda dell’imprenditore pugliese Gianpaolo Tarantini e delle sue escort, arrivate fin dentro le camere da letto di Silvio Berlusconi.

È di pochi giorni fa il rinvio a giudizio di Armando De Bonis, nipote del cardinal Donato De Bonis, un tempo potente, ma soprattutto stretto collaboratore del deputato dell’Udc (oggi passato al Pdl) Giuseppe Galati, ex sottosegretario alle Attività produttive. Le intercettazioni telefoniche ricostruiscono una storia in cui, nel 2007, Galati riceve escort dai nomi esotici, Sally, Linette, ma anche robuste dosi di cocaina.

Fornitore di entrambe le merci (e per questo arrestato insieme ai suoi complici) è Carmelo Di Ianni, gestore del Club 84 di Roma, locale un tempo famoso per la Dolce vita: una volta vi scorrevano fiumi di champagne, ora sono recapitati a domicilio dosi di cocaina ed escort da duemila euro a notte.

Poco più in là, all’Hotel Flora di via Veneto, ha passato la sua notte di passione il deputato Udc (poi passato all’Alleanza di centro di Francesco Pionati) Cosimo Mele, con cocaina e due ragazze. Beccato perché una di queste, Francesca Zenobi detta Pocahontas, aveva avuto un malore. È del 2002 l’informativa dei carabinieri che raccontava Gianfranco Micciché, uomo di Forza Italia e allora viceministro delle Finanze, come un consumatore abituale di cocaina, che gli veniva fornita fin dentro gli uffici del ministero.

Corriere d’eccezione, il suo collaboratore Alessandro Martello, che gli faceva spesso visita in ufficio. Ancora nel dicembre del 2008, a Palermo, veniva fermato Ernesto D’Avola, autista di Micciché. Nella sua auto aveva una busta piena di cocaina con su scritto "On. Gianfranco Micciché". Il politico ha sempre smentito categoricamente, lamentandosi di essere vittima di un servizio d’ordine deviato. Così, di fronte alle smentite imbarazzate e ai piagnucolii dei nuovi politici, si staglia la reazione di un uomo della Prima Repubblica come l’ex ministro democristiano Emilio Colombo che, seppure con qualche reticenza, quando è stato il suo momento ha ammesso di far uso di coca. Sono poco meno di un milione in Italia i consumatori di cocaina, una percentuale doppia rispetto alla media europea.

Dal 2001 a oggi la crescita è stata continua. Quasi 400 mila i consumatori che, secondo i dati ministeriali, avrebbero bisogno di un trattamento di disintossicazione, mentre sono solo 174 mila quelli in cura presso i Sert, i servizi pubblici per le tossicodipendenze. A questi si aggiunge il gruppo, non quantificabile con certezza, di coloro che si affidano a servizi privati e a psicoterapie individuali.

La coca è sempre di più assunta insieme ad altre droghe, la cannabis ma ora anche l’eroina, sniffata o fumata come sedativo dopo una nottata di piste, "Chi fa uso di cocaina non si sente un tossicodipendente, è di solito ben integrato nella vita e nel lavoro", spiega Achille Saletti, presidente dell’associazione Saman, che ha aperto cinque centri di aiuto: "Spazi neutri, non frequentati da altri tossicodipendenti, dove arrivano manager, broker finanziari, cantanti, ma anche tassisti. Non abbiamo ancora politici, ma qualche figlio di politico c’è".

A Roma la coca, che un tempo costava 160-180 mila lire al grammo, viene ormai venduta anche in piccole dosi da 15 euro luna, che permettono due o tre sniffate. Ma la qualità (e anche il prezzo) cambia molto a seconda dei fornitori.

A Milano, diventata una delle capitali europee della coca, l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri ha valutato che ogni giorno in città si consumano 12 mila dosi di cocaina, fatte affluire in Italia dalla ‘ndrangheta, in associazione con i cartelli colombiani. Il connubio sesso-cocaina è centrale: "La coca è considerata droga prestazionale per eccellenza. Chi comincia, lo fa quasi sempre nell’illusione di migliorare le proprie prestazioni sessuali", dice Saletti.

Diffusissimo anche il connubio coca-trans: "La sostanza serve per aumentare la trasgressione, ma anche per superare il trauma inconscio di una sessualità considerata dai confini incerti". E Riccardo Gatti, specialista in Psichiatria e dirigente del dipartimento dipendenze dell’Asl di Milano: "Da noi, in Italia, la cocaina viene usata come una sorta di doping della vita quotidiana. E questo le ha permesso di farsi strada nelle classi dirigenti. Ma la classe dirigente che fa uso di cocaina diventa estremamente ricattabile.

Non solo: l’uso della cocaina alza il nostro livello di ricerca del piacere, per cui per raggiungerlo si arriva a fare cose che non si sarebbe mai pensato di fare", Ormai le cronache sono ricche di storie di professionisti e cocaina. A Milano un banchiere e professore universitario è stato trovato in un centro massaggi con la sua dose di polvere. E cinque avvocati penalisti sono stati fermati mentre invece acquistavano coca vicino ai parcheggi della clinica Mangiagalli.

Usa: torture Guantanamo governo vuole udienze a porte chiuse

 

Apcom, 27 ottobre 2009

 

Il governo britannico vuole che le accuse rivolte ai servizi segreti di complicità nelle torture di cittadini britannici detenuti nel carcere militare statunitense di Guantanamo siano discusse in tribunale a porte chiuse: è quanto pubblica il quotidiano britannico The Guardian.

I legali del governo affermano infatti che in caso contrario potrebbero risentirne i rapporti della Gran Bretagna con altri Paesi, e che in ogni caso le prove fornite dall’esecutivo non dovrebbero essere rivelate ai legali della difesa.

Gli Stati Uniti potrebbero infatti restringere la condivisione delle informazioni di intelligence se l’Alta Corte britannica dovesse rendere pubbliche alcune parti di una sentenza riguardante Binyam Mohamed, presunto terrorista che aveva denunciato di essere stato torturato nel carcere militare di Guantanamo.

Nel 2008 infatti l’Alta Corte aveva accettato le accuse di Mohamed sottolineando come gli Stati Uniti avessero rifiutato di fornire informazioni importanti ai legali dell’uomo, un cittadino britannico di origine etiope. I giudici avevano però secretato parte della sentenza su richiesta del governo britannico, notando tuttavia che la riservatezza equivaleva di fatto a nascondere "prove di gravi irregolarità da parte degli Stati Uniti".

Il tribunale, dopo le denunce presentate da numerose testate, sta ora valutando la possibilità di rendere pubblica l’intera sentenza; il Segretario di Stato americano Hillary Clinton ha tuttavia avvertito l’omologo David Miliband che in questo caso la cooperazione in materia di intelligence potrebbe soffrirne.

I servizi segreti britannici avrebbero scoperto almeno 15 possibili casi in cui i funzionari si sarebbero resi complici di violenze e maltrattamenti su presunti terroristi. Nel luglio scorso erano stati alcuni parlamentari britannici a chiedere l’apertura di un’inchiesta sul ruolo dei servizi nelle presunte torture inflitte in Pakistan a cittadini britannici: funzionari dell’Mi5 avrebbero consegnato dei presunti terroristi alla sicurezza pachistana perché venissero interrogati con metodi violenti e torture, pratiche smentita dai servizi di sicurezza attraverso un comunicato trasmesso dal Ministero degli Interni: "Non abbiamo mai partecipato, sollecitato, condonato o incoraggiato l’uso della tortura".

I sospetti erano stati fermati in Pakistan su richiesta della autorità britanniche, ma erano stati lasciati nelle mani dell’Isi (i servizi pachistani) prima di essere poi interrogati da funzionari dell’Mi5; privi di qualsiasi assistenza legale o consolare, erano stati rimpatriati senza alcuna formale estradizione ed arrestati al loro arrivo nel Regno Unito.

Usa: getta escrementi su avvocato e giurati; 31 anni di carcere

 

Associated Press, 27 ottobre 2009

 

Un uomo, imputato di furto, è stato condannato a 31 anni di carcere a San Diego per aver gettato, in un’aula giudiziaria nella quale era in corso il suo processo, un sacco pieno di escrementi contro il suo avvocato e contro i giurati. L’increscioso fatto è avvenuto nel gennaio scorso, ieri la condanna. Il giudice Frank Brown ha condannato Weusi McGowan per il furto e per altri due capi d’accusa concernenti gli escrementi. Secondo gli avvocati dell’imputato, l’uomo soffre di disordini psicologici.

 

 

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