Rassegna stampa 12 ottobre

 

Giustizia: 20mila nuovi posti in 2 anni; il piano carceri da 2 mld

 

Ansa, 12 ottobre 2009

 

"Realizzare in meno di due anni prigioni civili per 20 mila posti": il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha scelto la festa del Pdl di Benevento per un annuncio che mette fine agli indugi sul piano carceri. Il premier ha detto che in questo modo l’Italia "tornerà ad essere uno Stato civile". L’argomento, ha spiegato Berlusconi, sarà definito mercoledì prossimo insieme con il ministro della Giustizia Angelino Alfano.

Come ha detto più volte nelle sue visite nelle zone abruzzesi devastate dal terremoto, per le carceri sarà adottato lo stesso modello che ha portato in sei mesi a consegnare le nuove abitazioni agli sfollati in seguito al sisma. Dunque, per il piano - che secondo i sindacati della polizia penitenziaria si era trasformato in una chimera per i continui rinvii - si passa dalle parole ai fatti.

Pochi giorni fa, rispondendo alla Commissione Giustizia della Camera, il Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta, nominato commissario straordinario per l’edilizia, aveva detto che "per un piano edilizio che permetta di stabilizzare il sistema e creare 17-18 mila posti detentivi in più, ci sono costi rilevanti orientativamente intorno a 1 miliardo e 600 milioni di euro". Il premier rilancia e parla di tremila posti in più.

L’impegno di spesa, stando agli addetti ai lavori, dovrebbe aggirarsi sui due miliardi di euro. Nel gennaio scorso, quando Alfano illustrò gli obiettivi del piano, fu detto che gli interventi avrebbero seguito tre filoni: la costruzione di nuove strutture, la realizzazione di padiglioni da annettere alle strutture esistenti, la ristrutturazioni delle strutture vecchie e fatiscenti. Le indiscrezioni circolate in questi giorni indicano una novità rilevante: sei o sette strutture "leggere" da realizzare da nord a sud nelle grandi aree metropolitane destinate ad ospitare gli arrestati e detenuti con pene di lieve entità. Le carceri "leggere" avranno 400-500 posti e sorgeranno nelle città in cui è maggiore il flusso di detenuti in entrata e in uscita.

L’altro punto qualificante è che il progetto non riguarda solo l’edilizia ma ridisegna la "filosofia" del sistema penitenziario prevedendo un intervento per adeguare il personale con cinquemila nuovi agenti. Più che aumento di organico, si tratta di rimettere a posto le cose visto che l’organico della polizia penitenziaria è fissato per legge a 45.121 unità e oggi gli agenti in servizio sono all’incirca 40 mila. Nel nominare Ionta commissario, Alfano spiegò che il governo avrebbe attinto ai fondi della "Cassa delle ammende", (su cui giacciono circa 170-180 milioni di euro destinati a progetti di reinserimento dei detenuti), alla "corsia preferenziale che consente l’accesso ai fondi previsti dal decreto anticrisi" e "al ricorso a finanziamenti privati".

Lo scorso maggio la questione è stata discussa da Alfano con il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e il presidente dei Costruttori (Ance) Paolo Buzzetti. È scettico Leo Beneduci, segretario dell’Organizzazione Sindacale Autonoma di Polizia Penitenziaria. "Dove troverà il Governo i soldi per realizzare il piano e gli agenti per adeguare gli organici? - osserva -. Sull’organico c’è un fraintendimento di fondo: delle cinquemila unità in meno il 60 per cento è dovuto a carenze relative a concorsi interni e non ad assunzioni dall’esterno. Ci vorrebbe un aumento netto di organico, fermo al 1992, quando i detenuti erano circa 35 mila".

Giustizia: carceri "leggere", costruite con il "modello Abruzzo"

di Luciano Fioramonti

 

La Sicilia, 12 ottobre 2009

 

"Realizzare in meno di due anni prigioni civili per 20 mila posti": il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha scelto la festa del Pdl di Benevento per un annuncio che mette fine agli indugi sul piano carceri. Il premier ha detto che in questo modo l’Italia "tornerà ad essere uno Stato civile".

L’argomento, ha spiegato Berlusconi, sarà definito mercoledì prossimo insieme con il ministro della Giustizia Angelino Alfano. Come ha detto più volte nelle sue visite nelle zone abruzzesi devastate dal terremoto, per le carceri sarà adottato lo stesso modello che ha portato in sei mesi a consegnare le nuove abitazioni agli sfollati in seguito al sisma.

Dunque, per il piano - che secondo i sindacati della polizia penitenziaria si era trasformato in una chimera per i continui rinvii - si passa dalle parole ai fatti. Pochi giorni fa, rispondendo alla Commissione Giustizia della Camera, il Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco tonta, nominato commissario straordinario per l’edilizia, aveva detto che "per un piano edilizio che permetta di stabilizzare il sistema e creare 17-18 mila posti detentivi in più, ci sono costi rilevanti orientativamente intorno a 1 miliardo e 600 milioni di euro". Il premier rilancia e parla di tremila posti in più. L’impegno di spesa, stando agli addetti ai lavori, dovrebbe aggirarsi sui due miliardi di euro. Nel gennaio scorso, quando Alfano illustrò gli obiettivi del piano, fu detto che gli interventi avrebbero seguito tre filoni: la costruzione di nuove strutture, la realizzazione di padiglioni da annettere alle strutture esistenti, la ristrutturazioni delle strutture vecchie e fatiscenti.

Le indiscrezioni circolate in questi giorni indicano una novità rilevante: sei o sette strutture "leggere" da realizzare da nord a sud nelle grandi aree metropolitane destinate ad ospitare gli arrestati e detenuti con pene di lieve entità. Le carceri "leggere" avranno 400-500 posti e sorgeranno nelle città in cui è maggiore il flusso di detenuti in entrata e in uscita.

L’altro punto qualificante è che il progetto non riguarda solo l’edilizia ma ridisegna la "filosofia" del sistema penitenziario prevedendo un intervento per adeguare il personale con cinquemila nuovi agenti. Più che aumento di organico, si tratta di rimettere a posto le cose visto che l’organico della polizia penitenziaria è fissato per legge a 45.121 unità e oggi gli agenti in servizio sono all’incirca 40 mila.

Nel nominare Ionta commissario, Alfano spiegò che il governo avrebbe attinto ai fondi della "Cassa delle Ammende", (su cui giacciono circa 170-180 milioni di euro destinati a progetti di reinserimento dei detenuti), alla "corsia preferenziale che consente l’accesso ai fondi previsti dal decreto anticrisi" e "al ricorso a finanziamenti privati". Lo scorso maggio la questione è stata discussa da Alfano con il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e il presidente dei Costruttori (Ance) Paolo Buzzetti.

Berlusconi ha detto in più occasioni che anche per le carceri il governo intende adottate il "modello Abruzzo". Ma se la consegna delle prime case ai terremotati è avvenuta in sei mesi, per la realizzazione dei nuovi istituti "leggeri" - vista la particolarità e lo scopo a cui sono destinati - viene considerato un ottimo risultato se la conclusione dei lavori avvenisse nel giro di un anno.

Giustizia: Alfano; lo Stato non cerca vendetta verso i detenuti

 

Ansa, 12 ottobre 2009

 

Prenderà il via nei prossimi giorni il piano carceri del Governo che prevede ventimila nuovi posti. Lo ha annunciato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, oggi a Palmi, ricordando che dal maggio 2008 al 31 dicembre 2009 il Ministero "ha già aperto o aprirà 1.409 nuovi posti nelle carceri". "Allo stato attuale - ha detto Alfano - siamo tornati, come popolazione carceraria, al periodo preindulto. Ci siamo accorti che dal 1948 al 2008 sono stati varati circa 30 provvedimenti di indulto ed amnistia che hanno svuotato le carceri ma solo temporaneamente perché i detenuti, ai quali evidentemente non si è insegnato a lavorare, sono tornati a delinquere e sono stati nuovamente arrestati.

Pensando ad un piano per risolvere la questione carceraria abbiamo deciso, prima di tutto, cosa non dovevamo fare, cioè procedere sulla via vecchia. È per questo che variamo il piano da ventimila posti per evitare che chi perde la libertà perda anche la dignità. Lo Stato non cerca la vendetta nei confronti dei detenuti". Alfano ha poi ricordato che un terzo dei detenuti è di nazionalità straniera ed ha ribadito l’esigenza che anche l’Unione Europea si faccia carico del problema.

Giustizia: il Governo pensa a 80mila detenuti, ma non ha i soldi

 

Ansa, 12 ottobre 2009

 

Il Governo conta di avere, nei prossimi anni, una popolazione carceraria in Italia di 80mila detenuti. Un numero altissimo, il doppio della capacità dei penitenziari oggi. Ecco perché si pensa alla costruzione di carceri "leggere". Ma non basta.

Il Governo conta di avere una popolazione carceraria stabile di 80 mila detenuti. Il doppio della capienza di oggi. È questo il vero progetto dietro al piano carceri che sarà presentato nei prossimi giorni. I penitenziari italiani, sovraffollati oggi all’inverosimile con oltre 63mila persone incarcerate, potrebbero contenerne 40 mila. Il piano prevede un investimento di due miliardi di euro ma al momento ci sono solo 400 milioni.

"Al di là di creare nuovi istituti, in particolare carceri-filtro, noi chiediamo provvedimenti urgenti per deflazionare il sistema. Qui il vero problema è che finché costruiscono le carceri "leggere" rischiamo di avere 80-100 mila detenuti. Non possiamo permettercelo, già ora gli spazi vitali non ci sono più". Così Donato Capece, segretario del sindacato di Polizia Penitenziaria Sappe, ai microfoni di Cnr media. "So che il governo - aggiunge Capece - punta ad avere una popolazione carceraria stabile di 80mila detenuti. Se non vengono prese delle misure deflattive, come un ampliamento degli arresti domiciliari, il sistema non può reggere. Inoltre, dei due miliardi necessari per il piano carceri, al momento ci sono disponibili solo 400 milioni".

Giustizia: Osapp; il piano carceri? dove trovano soldi e agenti?

 

Ansa, 12 ottobre 2009

 

Dove troverà il Governo i soldi per realizzare il piano e gli agenti per adeguare gli organici? Sono questi gli interrogativi posti da Leo Beneduci, segretario dell’Organizzazione Sindacale Autonoma di Polizia Penitenziaria (Osapp) sulla fattibilità del piano carceri che il presidente del Consiglio si appresta a varare. "Per i 20 mila posti in più previsti serviranno due miliardi di euro - osserva Beneduci - ma per il momento sono disponibili soltanto 350 milioni di euro, 150 dei quali della Cassa depositi e prestiti".

Gli interventi previsti inizialmente relativi alla costruzione di nuove strutture e alla realizzazione di nuovi padiglioni - dice il segretario dell’Osapp - sono stati integrati dalle cosiddette "carceri leggere". "Saranno leggere per i detenuti ma non per la polizia penitenziaria - fa notare - perché i servizi (immatricolazioni, controllo delle sezioni, prevenzione del pericolo di fuga) saranno gli stessi di un carcere tradizionale.

Sull’organico c’è un fraintendimento di fondo: delle cinquemila unità in meno rispetto all’ organico previsto per legge, il 60 per cento è legato a carenze relative a concorsi interni e non ad assunzioni dall’ esterno. Ci vorrebbe un aumento netto di organico, fermo al 1992, quando i detenuti erano circa 35 mila. Inoltre, se non viene tolto il blocco delle assunzioni, ogni anno mille agenti vanno in pensione e possono essere rimpiazzati soltanto da cento".

Beneduci accenna, infine, al sproporzione di organico tra strutture femminili e maschili: "Sulla carta le poliziotte penitenziarie sono di più del previsto: circa tremila rispetto alle 2.700 detenute presenti. Su 61 mila detenuti, e una previsione di 42 mila agenti sulla carta, in servizio effettivo gli agenti sono circa 38 mila".

Giustizia: Osapp; trattamento detenuti, condizione medioevale 

 

Il Velino, 12 ottobre 2009

 

"Assoluta e insostenibile inefficienza delle relazioni sindacali presso l’Amministrazione Penitenziaria; completo dissesto dell’organizzazione e gestione degli istituti di pena e dei servizi penitenziari; autoreferenzialità dei direttori e provveditori regionali e assoluta mancanza di controlli ed interventi da parte dell’Amministrazione centrale: queste sono le cause che ci portano all’immediato abbandono dei tavoli di trattativa con questa rappresentanza politica e ad indire, subito, lo stato di agitazione con la possibilità di promuovere iniziative a sostegno delle nostre rivendicazioni".

È il testo integrale del telegramma che il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, ha inviato oggi al ministro della Giustizia Alfano e al vicecapo del dipartimento Emilio Di Somma. "Non è la prima volta - prosegue Beneduci - che l’Osapp lo annuncia e lo mette in pratica. È un’indecenza che dopo annunci ripetuti questa Amministrazione e questo ministro della Giustizia, oseremo dire dell’Ingiustizia, si permettano di disonorare la divisa che indossiamo con promesse fatte a inizio legislatura, promesse poi proseguite a fine novembre, rinviate con il Piano carceri e riproposte ad aprile, quando sembra che il Guardasigilli ha ricevuto ufficialmente e da tempo il progetto di nuove carceri dalle mani di Ionta: promesse false, inesistenti!".

"Ma la lista - continua Beneduci - è tremendamente lunga ministro Alfano. Vogliamo ricordare i braccialetti? Quando cioè promise di iniziare la sperimentazione di sistemi di controllo per i condannati a pene leggere, eravamo a fine 2008, di tutto ciò non si è visto nulla e i congegni che abbiamo acquistato giacciono in qualche magazzino del ministero degli Interni. Le ricordiamo quando ci promise il riallineamento delle carriere, gli aumenti di stipendio negati dal ministro Brunetta, gli straordinari mai veramente garantiti.

Le ricordiamo ministro le promesse tese alla soluzione del problema del sovraffollamento: le nuove carceri mai costruite, padiglioni da ristrutturare che presentano una condizione oramai medievale del trattamento del detenuto. Il piano carceri promesso, poi, invocato anche da Berlusconi ieri, è una leggenda che va avanti da un po’ di tempo e si autoalimenta di giorno in giorno. Non tutti sanno che per i 20 mila posti in più previsti serviranno due miliardi di euro - osserva Beneduci - ma per il momento sono disponibili soltanto 350 milioni di euro, 150 dei quali della Cassa depositi e prestiti".

"Sull’organico poi - dichiara il segretario dell’Osapp - c’è un fraintendimento di fondo: la dotazione prevista per legge è ferma al 1992 quando i detenuti erano circa 35 mila, e poi, delle cinquemila unità in meno il 60 per cento è legato a carenze relative a concorsi interni e non ad assunzioni dall’esterno. Ma noi non interrompiamo le relazioni sindacali solo per questi motivi, lo facciamo perché sappiamo che è in atto, già da tempo, un depauperamento delle istituzioni penitenziarie periferiche che, per questo genere di motivi, vengono lasciate totalmente allo sbando, in mano a feudali del ventunesimo secolo, e ci riferiamo ai direttori e provveditori regionali che concepiscono il potere non come servizio reso alla società ma ancora come difesa di una posizione dominante: siamo ritornati al Medioevo".

Giustizia: Uil; il piano carceri è ultima occasione per il Governo

 

Comunicato Uil, 12 ottobre 2009

 

Il varo di un piano carceri che risponda alle emergenze e alle criticità del sistema penitenziario è l’ultima occasione che il Governo può offrire per recuperare, tra gli operatori penitenziari, quella credibilità oramai evaporata nei fumi degli annunci e soffocata nelle sabbie mobili dell’immobilismo. Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari, commenta con malcelato scetticismo le parole del Presidente del Consiglio sul piano-carceri pronunciate ieri durante la convention di Benevento.

Il premier, come suo solito, ha voluto rilanciare alla grande. Apprendiamo, pertanto, che i 17mila posti di cui avevano parlato sin qui autorevoli membri del Governo e del Ministero della Giustizia sono sostituiti dai 20mila annunciati dal Presidente Berlusconi, ieri a Benevento. In ogni caso al di là del totale dei posti previsti è necessario strutturare una proposta credibile ma soprattutto percorribile. Prioritariamente occorre trovare gli stanziamenti adeguati. I circa 350 milioni ora disponibili rappresentano meno di un quarto della somma preventivata e il paventato ricorso a capitali privati ci pare un desiderio e una speranza piuttosto che una reale e concreta possibilità. Per questo è necessario che il Consiglio dei Ministri oltre ad approvare la proposta del Commissario Straordinario, Ionta, trovi anche le risorse economiche per garantire l’edificazione dei nuovi istituti e l’assunzione di nuovi agenti.

La Uil Pa Penitenziari dichiara rammarico per il mancato confronto durante la redazione del piano-carceri. "Sia il Capo del Dap che il Ministro Alfano avevano dichiarato la disponibilità ad un confronto con le OO.SS. sulla redazione del piano. Invece navighiamo nell’ombra e ragioniamo per sentito dire. È il caso, ad esempio, delle "carceri leggere" sulle quali pure nutriamo un certo interesse quale strumento deflattivo delle presenze brevi e di primo filtro. Ma aspettiamo che il Cdm dia il via libera e poi leggeremo per commentare. Di sicuro - sottolinea Sarno - con gli attuali 64.800 detenuti qualcosa occorre fare. Il Governo ha scelto la strada più difficile, più lunga e meno certa assumendosi in pieno le responsabilità del disastro che appare oramai inevitabile. Ciononostante la nostra disponibilità al confronto resta intatta se non fosse che i naturali interlocutori, ovvero il Ministro e il Capo del Dap, continuano ad essere sfuggenti perpetrando un silenzio enigmatico quanto ingiustificato ed offensivo".

Intanto sull’intero territorio nazionale le proteste non si placano, anzi si moltiplicano. "La Uil ha già protestato in sette piazze d’Italia e siamo pronti a riprendere. Dalla Lombardia all’Emilia, dalla Toscana all’Abruzzo, dalla Basilicata alla Puglia, dal Lazio alla Sicilia le proteste del personale aumentano ogni giorno. Dover subire quotidianamente ogni sorta di abuso e sopruso; dover operare in ambienti malsani ed insicuri; essere consapevoli degli enormi rischi che si corrono nel più totale abbandono sono molto più che buone ragioni per manifestare disappunto, rabbia, demotivazione e sfiducia.

Di certo così non si mette nelle condizioni ideali il personale di adempiere al proprio mandato. Eppure se il sistema regge ed ha retto si deve solo ai sacrifici e alla professionalità di queste donne ed uomini che operano, ogni giorno, nel grigiore delle carceri. Sia ben chiaro che la questione penitenziaria non è solo il sovraffollamento, che pure esiste, delle strutture penitenziarie. È anche la questione degli organici e delle condizioni di lavoro. Vogliamo credere- chiude il Segretario della Uil Pa Penitenziari - che nel varare il piano carceri ci sia anche una disposizione che preveda l’assunzione del personale necessario ad aprire ogni nuova singola struttura. Altrimenti non si andrà da nessuna parte. Nel frattempo si dovrà necessariamente ragionare sulle tante unità di polizia penitenziaria sottratte all’operatività degli istituti per essere impiegate nei" palazzi del potere". Analogamente vogliamo credere che si ponga fine allo scandalo della mancata assegnazione dei direttori penitenziari. Oggi abbiamo circa 500 dirigenti penitenziari ma 60 carceri sono privi di un direttore titolare, con situazioni davvero paradossali. A San Gimignano (SI), per esempio, il Dap manda un direttore in missione per tre giorni a settimana mobilitandolo dalla propria sede che è a Castelvetrano, in Sicilia!

Liguria: Sappe; nelle carceri 1.632 detenuti e 1.140 posti-letto

 

Apcom, 12 ottobre 2009

 

La segreteria regionale del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria, chiede che il ministro della Giustizia Alfano ed il capo del Dap Ionta "attivino soluzioni percorribili, ed abbandonino l’idea di un piano carceri fatto solo di sogni o soluzioni pittoresche" a fronte di situazioni come quella presente in Liguria, dove al 30 settembre 2009 si registravano 1.632 detenuti a fronte di 1.140 posti letto.

"Abbiamo scritto al Ministro Alfano ed Capo dell`Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta - spiega in una nota Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe e responsabile regionale per la Liguria - per denunciare una situazione allarmante, che ricade principalmente sulle donne e gli uomini della Polizia penitenziaria. La grave e critica situazione della Liguria emerge infatti chiaramente esaminando i dati relativi agli organici del corpo di polizia ed alle presenze di detenuti nelle sette Case Circondariali della Regione".

Bergamo: da gennaio una nuova sezione "penale" con 80 posti

 

L’Eco di Bergamo, 12 ottobre 2009

 

L’attesa è finita. Dopo tre anni di tira e molla, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha assegnato una ventina di agenti, appena usciti dal 159° corso di formazione, alla Casa circondariale di Bergamo. Era l’ultimo ostacolo da superare per poter aprire la sezione penale, pronta dall’autunno 2006, ma rimasta sempre vuota, perché mancava il personale di sorveglianza (mentre le sezioni funzionanti, specialmente in questi ultimi mesi, scoppiavano per il sovraffollamento).

I nuovi agenti sono già arrivati in via Gleno, portando così il personale della polizia penitenziaria di Bergamo a poco meno di 300 unità. Quanto basta, insomma, per poter aprire la nuova sezione, che ospiterà un’ottantina di detenuti definitivi (o imputati appellanti) e sarà a "custodia attenuata".

La custodia attenuata è un circuito penitenziario differenziato, dove il recluso ha la possibilità di acquisire nuove conoscenze e accrescere la propria cultura. Per questo necessita di meno personale di sorveglianza, ma di un’attenta e accurata selezione dei detenuti da avviare al processo rieducativo.

È un progetto al quale il direttore del carcere Antonino Porcino lavora da anni, da un lato per sgravare la Casa circondariale, dall’altro per avviare con i detenuti definitivi percorsi di rieducazione e reinserimento che sono difficilmente gestibili in istituti, come è attualmente quello di Bergamo, dove il fenomeno della "porta girevole" (permanenze in carcere di pochi giorni, a volte di poche ore) è molto diffuso.

Per l’avvio della nuova sezione è questione ormai di qualche settimana, come confermato dal provveditore regionale delle carceri lombarde Luigi Pagano, che si sta occupando del progetto in stretto contatto con il direttore Porcino. In questi giorni sono iniziati i lavori di adeguamento della struttura, come ad esempio i collegamenti con il corpo principale della Casa circondariale, anche per quanto riguarda i nuovi sistemi di sorveglianza automatizzata installati di recente in via Gleno.

"Dopo le ferie invernali, la sezione potrebbe essere già in funzione" ha detto Pagano. Per cui è verosimile pensare che la nuova ala sarà attiva entro gennaio 2010, dopo oltre tre anni di attesa. La nuova ala sarà ospitata in quella che fu l’aula bunker del processo a Prima Linea, che si celebrò a Bergamo a metà degli anni Ottanta. Ristrutturata completamente con due interventi partiti alla fine degli anni Novanta, fin dal 2006 la nuova sezione, che dà su via pizzo Redorta e che è compresa nel perimetro del carcere, era già pronta per essere utilizzata. Ma senza agenti era impossibile pensare di allargare la capienza dell’istituto.

Il dibattito si spense poi con l’indulto, nell’agosto 2006, quando per migliaia di detenuti si aprirono le celle e nelle carceri di mezza Italia si tornò a respirare. Per poco tempo, però, perché bastò un anno per tornare alla situazione di sovraffollamento preindulto. A Bergamo, ad esempio, bastò poco per tornare sopra i 500 detenuti, quando la capienza massima stabilita per il carcere di via Gleno è di 280. E intanto la vecchia aula bunker, appena ristrutturata, rimaneva vuota.

Giusto un anno fa il ministro della Giustizia Angelino Alfano l’aveva inserita nella lista delle priorità. Finalmente, oggi, l’ala tanto attesa sembra essere a un passo dall’apertura. Il che non risolve evidentemente il problema del sovraffollamento, perché senza una riforma del codice penale, il numero di detenuti è destinato naturalmente a crescere, senza speranza di poterlo contenere tutto in vecchi o nuovi istituti di pena.

Firenze: in via degli Orti Oricellari… nel carcere dei minorenni

di Matteo Francini

 

www.ilreporter.it, 12 ottobre 2009

 

Laboratori, corsi di alfabetizzazione, partite di calcio e percorsi scolastici: ecco come si trascorre il tempo dietro al grande portone di via degli Orti Oricellari, nel pieno centro di Firenze. Ed ecco chi sono gli "ospiti" della struttura. Ognuno con la sua colpa e i suoi fantasmi.

L’entrata è un grande portone di legno chiaro, al numero 18 di via degli Orti Oricellari. Il cellulare va lasciato all’ingresso, non può esserci - una volta dentro - nessun contatto con l’esterno che non sia rigorosamente sotto controllo. Siamo nell’istituto penale minorile "Gian Paolo Meucci", in quello che una volta era un convento e, prima ancora, un ospedale per infermi e bambini abbandonati. Un bell’edificio, che porta però con sé i segni del tempo.

Entriamo. Dietro la portineria c’è subito la sala dei colloqui, dove i giovani "ospiti" incontrano le famiglie, quando queste vengono a trovarli. Non capita sempre, a volte sono troppo lontane per raggiungere Firenze, e allora ci si parla solo per telefono. Una sala rettangolare, né grande né piccola, sedie rosse tutto attorno alle pareti. Dietro si apre un grande chiostro. I muri bianchi, gli archi, un silenzio che ricorda più un convento che non un carcere. Solo una rete a fare da "tetto" e a dividere l’aria del cortile dal resto del cielo, ricordando che la libertà è là fuori. Da un lato del chiostro si aprono le stanze "di comando", quelle da cui il direttore Fiorenzo Cerruto e il vicedirettore Paolo Pecchioli mandano avanti l’istituto.

Poi, oltre l’immancabile porta blindata, c’è la "sezione detentiva". Dopotutto siamo sempre in un carcere, anche se per minori, e anche se l’aria che qui si respira non è nemmeno paragonabile a quella di una prigione "per adulti". Ed è qua, dietro la porta blindata, che ci sono le camere (tutte con finestre, niente letti a castello e ognuna con il suo bagno) sistemate su due piani, anche se uno è attualmente chiuso per carenza di personale. Sempre qui ci sono le mense, il "cinema" (la sala proiezioni così battezzata da una grande scritta sopra la porta d’ingresso) e l’area ricreativa. Uno spazio, quest’ultimo, di oltre cinquemila metri quadri, con un campo da calcio che sicuramente ha visto giorni migliori, un giardinetto con le panchine, un calcio balilla da cui i ragazzi sembrano essere molto presi.

Tutto intorno ci sono i laboratori e le aule. In una di queste si sta tenendo un corso di alfabetizzazione, mentre in un’altra Franca, un passato da artigiana, porta avanti il laboratorio di pittura, cornici e arteterapia che qui viene chiamato "Arte e natura". Le pareti sono traboccanti di quadri, tutti dipinti dai ragazzi: molti ritraggono i loro paesi d’origine, moschee e paesaggi marocchini, una nave con la bandiera rossa e verde dello stato nordafricano che lascia o raggiunge un porto, una riproduzione dell’Urlo di Munch, un volto alla cui bocca è stata attaccata una sigaretta ("bello, vero?", lo guarda Franca). Tre ragazzi, tutti magrebini, sono impegnati a dipingere, la testa bassa, non si lasciano distrarre. Proprio come bambini.

Fuori, altri parlottano a gruppetti nel giardino. Sembrerebbero giovani qualsiasi in qualsiasi parco del mondo, se non ci fosse una guardia a ricordare che devono essere sempre controllati. Sono vestiti "alla moda", jeans e scarpe da ginnastica, come i loro coetanei là fuori. Appena scorgono il vicedirettore lo circondano: "Vogliamo il parrucchiere, quando viene?". Sul giardino svettano le case di via Palazzuolo. Sembrano attaccate al carcere, farne quasi parte. Ma ci pensa un alto muro a dividere il dentro dal fuori, questi ragazzi e le loro colpe dal resto della città.

 

Le tante storie di vite già difficili

 

Anche al "Meucci", come in molte altre carceri italiane, i conti non tornano. È stata un’estate calda, la scorsa, per molte prigioni italiane, segnata dalle proteste dei detenuti per sovraffollamento e condizioni di vita. E anche se i numeri - quello dei reclusi, ma anche della dimensione della struttura - non lo rendono paragonabile a Sollicciano, l’istituto minorile di via degli Orti Oricellari deve fare i conti con le sue "emergenze". La struttura può accogliere fino a 28 ragazzi, ma da circa tre anni le camere del primo piano (che ne possono ospitare 8) sono chiuse per mancanza di personale: la sua capienza, dunque, scende a 20 posti. E attualmente i minori al suo interno sono 23. "Ma in primavera erano anche di più, 26 o 27 - racconta il vicedirettore Paolo Pecchioli - qui siamo sempre in difficoltà".

Difficoltà che non derivano solo dal numero di "ospiti" in eccesso. "Nel pieno della nostra attività dovremmo avere due corsi di alfabetizzazione, di primo e secondo livello, e un percorso di scuola media - spiega Pecchioli - ma questi corsi non sono tenuti da insegnanti di ruolo, e ogni volta rischiamo di restare senza. Quest’anno abbiamo iniziato con un solo docente". Ma non solo. Perché c’è anche il problema dei laboratori. "Per il momento ne abbiamo due fermi - continua - con una perdita, in totale, di 45 ore settimanali di attività trattamentali. È una situazione gravissima, anche perché questo non è un carcere per adulti, durante il giorno i ragazzi devono fare attività, in cella non può restare nessuno". Così, senza corsi a disposizione, può finire che il tempo trascorso a "fare niente" sia più di quello impegnato nelle varie attività. E la rieducazione diventa ancora più difficile.

Perché, al Meucci, la vita trascorre sempre in comune, tutti insieme ("affratellati", dice Pecchioli), senza percorsi differenziati per età o tipologia di reato commesso. E dire che qua passano ragazzi che di reati ne hanno commessi di tutti i tipi - da omicidi a spaccio, da furti a rapine - e delle nazionalità più disparate: si va dai magrebini ai rumeni, dai rom agli italiani, soprattutto del sud. Anche l’età è varia: per legge, l’istituto può accogliere ragazzi dai 14 ai 21 anni, ma capita che qualcuno rimanga anche dopo il ventunesimo anno, o che al suo interno siano presenti extracomunitari senza documenti di cui stabilire l’età diventa molto difficile.

"Ma la cosa più devastante è la presenza di giovani che sono già stati nelle carceri per adulti - dice il vicedirettore - fanno pesare la loro esperienza, gestirli diventa difficile. Così come difficile è gestire le differenze culturali: manca un mediatore, lo chiediamo da anni. I magrebini hanno atteggiamenti ostili, di scarsa fiducia nei confronti degli operatori, spesso dovuti a esperienze di vita negative - prosegue - ma un grosso problema ora è rappresentato dai ragazzi del sud Italia: vedono il carcere come farebbe un adulto, hanno già i comportamenti tipici delle associazioni criminali a cui fanno riferimento, come la camorra".

Ognuno, poi, ha la sua storia, i suoi fantasmi. Ne passano e ne sono passate tante, di storie, qui dentro. Storie belle "come quella di un ragazzo albanese accusato di concorso in omicidio che, dopo diverso tempo passato da noi, è riuscito a trovare un lavoro, si è fidanzato con una ragazza italiana e quando può viene a trovarci", racconta Pecchioli, ma anche storie brutte. "Ricordo un magrebino in semidetenzione, veniva qui a dormire - ripensa - faceva uso di sostanze, e un giorno è stato trovato morto sulla carrozza di un treno. O un omicida napoletano completamente distrutto da quello che aveva fatto, aveva dentro fantasmi che lo mangiavano. Un giorno chiese di confessarsi: il cappellano, dopo, venne da me a piangere".

"Ma quale istituto penale minorile, il Mario Gozzini?". Capita spesso, a chi lavora al "Meucci", di sentirsi porre questa domanda, da parte di chi pensa che in città, oltre a Sollicciano, ci sia solo la struttura conosciuta anche come "Solliccianino". Perché Firenze sembra non conoscere il "suo" carcere per minori, più propriamente chiamato istituto penale minorile. Eppure è lì da anni, a due passi dalla stazione di Santa Maria Novella. Un grosso portone, una targa, due telecamere e le bandiere dell’Italia e dell’Europa sopra l’ingresso, davanti a cui passano ogni giorno centinaia di persone, tra chi va e chi viene dalla stazione. Ma, nonostante questo, sono in molti a ignorare la sua presenza.

Fu Cione di Lapo Pollini, fiorentino, artigiano diventato poi console dell’Arte della Lana, a fondare nel 1313, all’angolo con via Polverosa (allora così si chiamava l’attuale via degli Orti Oricellari) lo Spedale di Santa Maria della Scala (che dà il nome alla strada), per infermi, pellegrini poveri e bambini abbandonati. Quando poi lo Spedale venne unito a quello degli Innocenti, nato con lo stesso scopo, e quindi soppresso, i locali vennero concessi alle monache di San Martino al Mugnone, che si erano viste demolire il loro convento in occasione dell’assedio di Firenze del 1529/30. Ed è questo storico edificio che oggi ospita l’istituto penale per minori Gian Paolo Meucci.

In pieno centro, quasi nascosto tra le case, così da passare spesso inosservato tra i frettolosi passanti diretti a Santa Maria Novella. Ma per i residenti è diverso. Loro il carcere lo conoscono bene, tanto che recentemente, dopo l’ultima evasione di un detenuto dalla struttura, avevano ritirato fuori la questione dell’opportunità della sua presenza in una zona tanto centrale, e tanto vicina alle case. Ma a rassicurarli ci pensa il vicedirettore Paolo Pecchioli. "Dopo quell’episodio c’è stato un rafforzamento delle misure di sicurezza - spiega - il quartiere può stare tranquillo. Il problema invece è stato, nel tempo, la poca capacità di far conoscere quest’istituto, che per la cittadinanza è un emerito sconosciuto. E purtroppo, anche in Toscana, la devianza giovanile - conclude - non è una questione marginale: i numeri sono significativi, ci sono molti ragazzi a rischio".

Brindisi: il doppio dei detenuti e nessuna attività di formazione

 

Comunicato stampa, 12 ottobre 2009

 

Una nota del capogruppo regionale di Rifondazione comunista, Piero Manni, a seguito della visita nell’Istituto penitenziario di Brindisi, effettuata il 9 ottobre insieme al segretario di federazione del Prc di Brindisi, Gino Gianfreda.

"La Direzione non ha potuto compilare il questionario che avevamo preventivamente inviato, a seguito di disposizione del Provveditorato regionale il quale (su sollecitazione del Direttore dell’Istituto di Bari dottor Sagace, credo di poter dedurre da una serie di indizi) ha richiesto un parere al Dipartimento ministeriale dei penitenziari. Dipartimento che ponziopilatescamente ha scritto che la decisione è di competenza del Provveditorato regionale.

In questo kafkiano scaricabarile, va segnalato che i dati richiesti sono tutti di pubblico dominio e assolutamente non soggetti a segreto né riservatezza.

La spiegazione sta nel fatto che ci sono dirigenti (non solo militari ma anche civili) convinti della separatezza del carcere rispetto al contesto sociale, e che meno la società si interessa del carcere meglio è. Il comandante di uno degli istituti da me visitati, ha reagito con veemenza al mio impegno di sollecitare la nomina del garante per i detenuti previsto da una legge regionale, affermando che noi politici andiamo lì a procurare ulteriori fastidi a chi opera nel carcere. Per questa ragione, i dati di seguito riportati sono approssimativi.

1. L’edificio, interno alla città, risale agli anni Trenta del 900, ha una sezione ristrutturata e adeguata alla normativa vigente nel 2005. Si rileva una certa trascuratezza nella manutenzione (vetri rotti), dovuta alla mancanza di risorse. C’è una gravissima carenza di spazi per le attività.

2. La capacità ricettiva della struttura è di 89 persone; ci sono alla data del 9 ottobre 155 detenuti presenti, tutti maschi. Circa 20 sono stranieri, in prevalenza nordafricani e rumeni. Non è presente nessun mediatore culturale né linguistico: se un cittadino straniero non conosce l’italiano, non ha possibilità di comunicare. Gli Italiani sono quasi tutti pugliesi, qualche campano.

3. Le celle della parte ristrutturata sono grandi circa 10 metri quadri, e quasi tutte con quattro ospiti: non è dunque rispettato il parametro dei quattro metri pro capite previsto dalla normativa vigente. Ciò significa che i detenuti passano il loro tempo di cella (20 ore quotidiane) prevalentemente stesi sulle brande, in quanto nello spazio non occupato dai letti è disagevole muoversi in quattro. L’arredo non è completo di un armadietto e un pensile a testa, come previsto. Ogni cella è dotata di doccia. Le celle della parte non ristrutturata, nemmeno in condizioni di normale presenza, rispondono ai criteri di superficie previsti dalla legge e hanno docce comuni.

4. Non ci sono corsi professionali né attività di formazione. Per i corsi professionali, c’è da rilevare che il trasferimento di competenze dalla Regione alle Province, ha provocato una situazione di confusione burocratica che le grandi organizzazioni riescono tranquillamente a superare ma che penalizza fortemente i piccoli enti ed in particolare quelli già non molto motivati degli istituti penitenziari. Rifondazione comunista solleciterà un’attenzione di consulenza da parte di Regione e Province in questo senso. L’anno scorso c’era un corso di scuola primaria, che quest’anno non può partire per mancanza di spazi; c’è una stanza disponibile ma manca del pavimento e non ci sono risorse per sistemarla. I mezzi di comunicazione possono lanciare un appello affinché un’azienda edile, magari utilizzando una rimanenza di magazzino, provveda alla sistemazione?

In conclusione di questo striminzito punto, nel carcere giudiziario di Brindisi non si svolge alcuna attività di formazione, non è presente alcun trattamento di risocializzazione dei detenuti, contrariamente a quanto prevedono la nostra Costituzione e il diritto penitenziario.

5. Sanità, la quale è oramai competenza totale del Sistema sanitario nazionale. Il presidio sanitario del carcere ha spazi sufficienti ed un organico quasi completo: vi operano sei medici più il dirigente, nonché cinque infermieri; è assicurata la presenza costante per tutta la settimana e per 24 ore quotidiane del personale. I medici presenti mi informano che non ci sono problemi né tempi lunghi nella fornitura dei farmaci, ed anzi che la farmacia del "Perrino", competente per le forniture, si adopera su questo punto anche nei casi in cui risulti sprovvista dei farmaci richiesti. Il punto dolente sta nella specialistica, per la quale bisogna ricorrere sempre all’esterno, anche per casi semplici, quali l’estrazione o l’otturazione di un dente: ciò comporta tempi lunghi nonché un dispendio inutile di personale di custodia per l’accompagnamento.

Fino a prima della ristrutturazione esistevano le attrezzature necessarie ad un gabinetto dentistico e a un laboratorio radiologico (cure dentarie e radiografie sono le due prestazione maggiormente richieste), attrezzature che sono andate disperse e mai più rimpiazzate. Ci siamo impegnati a sottoporre la questione al direttore generale della Asl, Rodolfo Rollo, persona la quale, anche per la sua provenienza dal volontariato, è attenta e sensibile ai problemi della marginalità e dell’emarginazione. Inoltre è presente per cinque giorni alla settimana un infermiere del Sert, per la somministrazione del metadone a circa 20 detenuti in trattamento. Il sabato e la domenica il trattamento è assicurato, su base volontaria, dal personale sanitario interno".

 

Consiglio Regionale della Puglia

Teramo: detenuto di 41 anni, è morto per emorragia cerebrale

 

Il Centro, 12 ottobre 2009

 

Hanno chiesto di vederlo un’ultima volta quando ormai era in fin di vita per una emorragia cerebrale, ma dal magistrato di sorveglianza non hanno ottenuto risposte. Solo ieri mattina, due ore dopo la sua morte, l’anziana madre e i fratelli di Gennaro Cerbone, 41 anni, di Napoli, detenuto a Lanciano ma ricoverato all’ospedale di Teramo, nipote di Raffaele Stolder, uno dei boss della camorra, sono riusciti a vedere il loro congiunto.

"Ci hanno detto che c’era una questione di pericolosità sociale", racconta la sorella Serafina Cerbone, "ma mio fratello non era un criminale. Aveva il diritto di vedere sua mamma e i suoi fratelli un’ultima volta prima di morire. Ma purtroppo così non è stato". La donna racconta che il fratello a luglio era entrato in carcere per scontare un cumulo di pene di qualche mese.

"Si era presentato da solo nel carcere di Poggio Reale per pagare il suo debito con la giustizia", dice, ""da Napoli poi era stato trasferito a Lanciano. Noi che si era sentito male lo abbiamo saputo dai familiari di altri detenuti. Nessuno ci ha avvisati". L’uomo si è sentito male lunedì, mentre era nella sua cella. Improvvisamente si è accasciato a terra. Le sue condizioni sono subito apparse molto gravi. Dopo essere stato trasportato all’ospedale di Lanciano è stato immediatamente trasferito nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Teramo.

"Martedì", racconta ancora la sorella, "abbiamo saputo quello che era successo e ci siamo subiti messi in movimento per venire a Teramo. Abbiamo chiesto l’autorizzazione per poterlo vedere, almeno per farlo vedere un’ultima volta alla madre. Ma, nonostante fosse ormai in fin di vita, ci è stato vietato. Crediamo che sia stato un atto di grande disumanità per noi familiari". Gennaro Cerbone è morto alle 11.40 di ieri. "Solo dopo qualche ora dopo", continua la sorella, "lo abbiamo potuto vedere. Ma la burocrazia ci è ancora ostile. Volevamo riportarlo subito a Napoli, ma dobbiamo aspettare ancora qualche giorno perché ci hanno chiesto il suo atto di nascita, che naturalmente si trova a Napoli". Forse solo domani la salma potrà lasciare l’ospedale di Teramo.

Firenze: detenuto ricoverato in ospedale, per "influenza suina"

 

Adnkronos, 12 ottobre 2009

 

Un detenuto della Casa Circondariale di Sollicciano, M. R, ricoverato da mercoledì scorso, 7 ottobre, nell’ospedale San Giovanni di Dio a Firenze per insufficienza respiratoria grave conseguente a una polmonite da pneumococco, e già affetto da patologie croniche gravi, è risultato successivamente positivo anche al tampone faringeo per virus AH1N1.

 

Sarno (Uil Pa): servono vaccinazioni nelle carceri

 

"Era nell’ordine naturale delle cose, poteva capitare ed è capitato. Ecco il primo detenuto affetto da influenza suina, H1N1. Però non possiamo non sottolineare come ai consueti, roboanti annunci questo Governo faccia seguire il nulla in termini di fatti ed azioni per garantire la sicurezza e l’incolumità fisica degli operatori penitenziari e degli stessi detenuti. Delle annunciate vaccinazioni, infatti, non c’è traccia alcuna". Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil P.a. Penitenziari, commenta così, la notizia della positività di un detenuto di Sollicciano, di origine italiana, al virus dell’influenza N1H1.

"Il detenuto si trova ricoverato all’Ospedale Torre Galli di Firenze e versa in condizioni preoccupanti, considerato che è affetto da altre patologie. Si teme per la sua vita. Avemmo modo di scrivere a Fazio, a Brunetta ad Alfano cercando di spiegare come possa essere devastante una epidemia in luoghi chiusi come il carcere. Quella nostra missiva - rileva Sarno - è rimasta lettera morta e senza alcun riscontro. Ma oramai il silenzio è tratto caratterizzante dei nostri ministri. Ciò che è più grave che nessuna azione di profilassi è stata messa in campo in quasi tutti i 250 penitenziari italiani".

"Ora a Firenze Sollicciano monta la preoccupazione e non sono da escludere forti tensioni. Vogliamo credere - conclude - che in tema di prevenzione si faccia ora ciò che andava già fatto, senza escludere alcuno dalle vaccinazioni contro il virus dell’influenza H1N1".

Arezzo: un altro detenuto si è cucito bocca per avare rimpatrio

 

www.informarezzo.com, 12 ottobre 2009

 

La senatrice Poretti, ha proseguito l’indagine per accertare i fatti che hanno portato il detenuto autolesionista al carcere di Arezzo. Scoperto un doppio caso analogo, a cui sono state applicate misure diverse.

Il 25 agosto 2009 il garante per i detenuti del Comune di Firenze rende noto che un detenuto marocchino nel carcere di Sollicciano, come atto di protesta per la mancata estradizione, si cuce la bocca. Viene medicato e poi la pratica va a buon fine. Torna in Marocco.

Il 10 ottobre 2009 visitando il carcere di Arezzo un detenuto marocchino mi dice che la sua pratica per tornare in patria non si sblocca. Lui ha tentato di tutto, mi mostra le braccia, non c’è più spazio per nuovi tagli, è tutto una cicatrice. Non basta, ammette di essere arrivato perfino a cucirsi la bocca. Chiedo di più, mi ricordo della notizia del garante e lui ammette che da Sollicciano ad agosto lui non è andato mai in Marocco, ma è stato spedito ad Arezzo. Gli agenti penitenziari confermano di tenerlo sotto controllo per il rischio di nuovi atti di autolesionismo.

Raggiungo il garante Corleone al telefono e ribadisce che dalla direzione di Sollicciano gli avevano assicurato che il detenuto alla fine di agosto era andato in Marocco.

Preannuncio una interrogazione parlamentare, l’agenzia di stampa Ansa chiede lumi alla Questura. La Questura conferma il rimpatrio. Ma allora chi è quello ad Arezzo? Da questo momento telefonate e indagini ricostruiscono due terribili storie parallele. Nel sovraffollato carcere di Firenze tra i tanti detenuti stranieri ci sono due marocchini, sono coetanei ed entrambi sanno che mancando due anni alla fine della pena, potrebbero ottenere di rientrare nel loro Paese di provenienza liberi. Gli spetta per legge, ma si sa, la burocrazia in certi casi è molto lenta e potrebbero anche passare i due anni.

A.I., nato in Marocco il 01.07.1983, incontra il garante a Sollicciano dopo ferragosto, minaccia di cucirsi la bocca come atto estremo. La pratica è bloccata anche se ci sono tutti gli estremi per il rimpatrio. I giorni passano, si cuce la bocca, la pratica si sblocca. Il 26 agosto dopo essere stato medicato viene imbarcato su un volo Royal Air Maroc.

C.M., nato in Marocco il 10.08.1982, il 7 luglio 2009 si cuce la bocca nel carcere di Sollicciano come forma di protesta per la mancata estradizione, mancano due anni alla fine della pena. Nel suo dossier non risulta esserci neppure la richiesta. Anche questa non è una notizia, tra questa tipologia di detenuti in particolare, e i loro avvocati, la comunicazione è spesso difficile. Spesso gli avvocati si negano, spesso non vengono pagati, le pratiche non vengono fatte, i termini scadono... Il 28 agosto viene spedito al carcere di Arezzo. Il suo dossier è enorme e gli atti di autolesionismo sono di ogni genere, dall’ingestione di varechina ai tentativi di impiccagione, oltre ai "classici" tagli nelle braccia.

Entrambi i nostri marocchini erano noti anche a Torregalli, l’Ospedale fiorentino vicino a Sollicciano dove finiscono i detenuti per le medicazioni dopo gli atti di autolesionismo più gravi. Diversi referti medici testimoniano il loro passaggio, sempre per autolesionismo.

Ad Arezzo dalla fine di agosto c’è il detenuto marocchino che a Sollicciano si era cucito la bocca per protesta per la mancata estradizione. Il detenuto marocchino che a Sollicciano si era cucito la bocca per protesta per la mancata estradizione è in Marocco dalla fine di agosto.

L’amara conclusione è che entrambe le affermazioni sono vere, infatti non si tratta della stessa persona, ma dello stesso caso. Quanti marocchini, extracomunitari a due anni dal termine della pena, chiedono l’espatrio e la pratica o si blocca o neppure parte e quanti arrivano ad atti di autolesionismo per vedersi riconosciuto un diritto che gli spetta? Questa è la domanda che tristemente resta senza risposta.

 

Sen. Donatella Poretti

Parlamentare Radicali - Partito Democratico

Gela: il nuovo carcere aprirà nel 2010, dopo 50 anni di "lavori"

 

La Sicilia, 12 ottobre 2009

 

Il carcere di Gela aprirà i battenti il primo luglio del 2010. Lo ha detto Orazio Faramo, provveditore alle carceri intervenendo ad una conferenza di servizi svoltasi questa mattina nell’aula consiliare del Comune di Gela. Il carcere di Gela potrà ospitare 96 detenuti. Darà lavoro ad 80 agenti di polizia penitenziaria. Il carcere di Gela venne progettato nel 1959.

Ci sono voluti 20 anni per progettarlo, poi vi è stata una pausa di cinque anni e altri 25 anni sono stati necessari per costruirlo. Nel piano varato dal ministro della Giustizia Angelino Alfano, che prevede la creazione di ventimila nuovi posti letto per far fronte al sovraffollamento delle carceri italiani, quello di Gela è il primo che aprirà i battenti.

Nel novembre 2007, due mesi dopo la chiusura del cantiere, l’allora ministro della Giustizia Mastella ricevette dall’ amministrazione comunale, nel corso di una cerimonia ufficiale, le chiavi del nuovo istituto". La burocrazia ha nuovamente fermato il tempo, e a ottobre 2008 il nuovo Guardasigilli Alfano ha comunicato alla Camera che "entro entro il 2010 dopo gli ultimi ritocchi per "l’ adeguamento e completamento dei sistemi di sicurezza" al prezzo di due milione e mezzo di euro, la nuova prigione aprirà celle e cancelli.

Roma: il figlio è ucciso, detenuto ottiene procreazione assistita

 

Ansa, 12 ottobre 2009

 

In carcere dal 1991, ha ottenuto dalla Cassazione l’autorizzazione alla procreazione assistita per realizzare insieme alla moglie il desiderio di avere un figlio. Si tratta di Andrea Montani, 45 anni, boss del quartiere San Paolo di Bari attualmente detenuto a Rebibbia, dove sta scontando una condanna che scadrà nel 2027.

L’unico figlio di Montani, Salvatore, venne ucciso con colpi di pistola il 10 giugno 2005 al quartiere San Paolo durante una discussione con altre persone per l’acquisto di un cane. A sparare fu il gestore del negozio di animali, pare dopo che le altre persone si erano impossessate già del cane. La battaglia giudiziaria di Andrea Montani, avviata dall’avv. Pasquale Loseto, per ottenere l’ok alla procreazione assistita era iniziata nel 2007. Ora l’uomo, insieme alla moglie Anna Mininni, potrà avere un altro figlio grazie alla procreazione assistita.

Bologna: figlia di Wanna Marchi scarcerata per problemi salute

 

La Stampa, 12 ottobre 2009

 

La figlia di Wanna Marchi, Stefania Nobile, ha lasciato il carcere bolognese della Dozza, dove sta scontando la condanna a 9 anni e 4 mesi per associazione a delinquere finalizzata alla truffa. Da ieri l’ex tele imbonitrice è in una clinica del capoluogo emiliano, dove sarà curata per l’anemia e l’artrite di cui soffre e che la obbliga a trasfusioni e altre terapie.

Sono cure che non potevano essere garantite in carcere e di qui la decisione del magistrato di sorveglianza di accogliere l’istanza del legale della donna, Liborio Cataliotti, che assiste anche Wanna Marchi. Per quest’ultima sarà presto fatta richiesta per l’assegnazione al lavoro esterno: se il giudice la accoglierà, l’ex regina delle televendite truffaldine potrà uscire dal carcere durante il giorno.

Stefania Nobile, che compirà 45 anni fra un mese, era stata arrestata nello scorso marzo in esecuzione della sentenza della Cassazione. L’avvocato aveva chiesto l’incompatibilità col carcere o gli arresti domiciliari per gravi motivi di salute. "È affetta da anemia mediterranea con forte compromissione delle difese immunitarie e da artrite reumatoide - spiega il legale -. Il consulente del tribunale di sorveglianza ha accertato la non compatibilità con la detenzione in carcere".

Nel frattempo le condizioni della Nobile peggiorano: "Si sono resi necessari otto ricoveri in day hospital e uno in ospedale, finché la direzione del carcere non ha attestato che nell’istituto non potevano assisterla come richiesto".

A questo punto però sono sorti altri ostacoli. È stata individuata una casa di cura, che però si è rifiutata. Un’altra clinica ha dato il consenso, ma l’ha messa in lista d’attesa. Il fidanzato della Nobile, Davide Lacerenza, ha quindi trovato una struttura a Milano, mentre la direzione del carcere aveva provveduto al ricovero in una terza struttura. L’altro giorno Lacerenza ha scritto una lettera drammatica: "Ho visto Stefania al colloquio ed è in pericolo di vita".

Ieri l’intoppo burocratico si è sbloccato e la donna è stata trasferita in una clinica dove pagherà una retta da 233 euro al giorno. Il 15 ottobre si pronuncerà anche il tribunale di sorveglianza, ma, finché le cure potranno essere somministrate solo in una struttura sanitaria, la Vitale resterà fuori dal carcere.

Como: ruba 6 euro; condanna a 4 mesi, da scontare in carcere

 

Ansa, 12 ottobre 2009

 

Il furto, in sé, è davvero poca cosa: 6 euro e tre centesimi "prelevati" (con un’asta dotata di nastro adesivo) dalla cassetta delle offerte della chiesa parrocchiale di Santa Maria Nascente a Cabiate. Un 55enne milanese è però stato scoperto poco dopo dagli agenti della polizia locale che si sono avvalsi anche del supporto di una telecamera piazzata in zona. E così l’uomo di Sesto San Giovanni, con precedenti specifici, ieri è comparso al tribunale di Como per il processo con rito direttissimo. Ha patteggiato (pm Vanessa Ragazzi) il minimo della pena, ma la fedina penale e la recidiva specifica non gli hanno fatto ottenere alcuno sconto. Quattro mesi di carcere, tutti da scontare.

Bolzano: "Progetto Odòs", le opere dei detenuti vanno all’asta

 

Ristretti Orizzonti, 12 ottobre 2009

 

A cavallo tra i mesi di luglio ed agosto il Progetto Odòs della Fondazione Odar, il servizio che gestisce una casa d’accoglienza per detenuti ed ex detenuti, ha organizzato la mostra Tracce di libertà, nei frammenti l’intero. Questa esposizione, ospitata presso la Piccola Galleria di via Streiter a Bolzano, ha riscosso un notevole successo: l’interesse (molto più della semplice curiosità) dei molti visitatori che hanno ammirato i pezzi unici in mostra, chiedendo anche di poterli acquistare, ha così suggerito agli organizzatori ed agli stessi artisti l’idea di mettere all’asta queste venti opere (alcune sono state terminate nel corso dell’ultimo mese), destinandone ovviamente l’intero ricavato ai rispettivi autori, tutti ospiti o ex ospiti della casa di accoglienza.

Ciascuno di essi riceverà così una "borsa economica", che gli verrà consegnata alla fine del percorso individuale presso Odòs: questa somma, assieme all’interesse per le loro opere dimostrato da quella stessa società civile che li rinchiude quasi dimenticandosi della loro umanità, al termine della detenzione potrà forse motivarli ed aiutarli nel difficile reinserimento nel tessuto sociale.

Infatti, come hanno osservato i curatori della mostra, "tra le attività svolte dagli ospiti vi è un’area ludico-ricreativo-culturale, che assume una valenza fondamentale nella realizzazione del diritto di cittadinanza e di integrazione alla comunità nella quale la persona si ri-conosce, vive, lavora e si relaziona. Nel corso di quest’anno alcuni ospiti hanno impegnato il proprio tempo nella produzione di alcune pitture e sculture.

Affinché quanto prodotto non restasse soltanto "patrimonio" visionabile da chi opera o vive nella casa, abbiamo pensato che potesse essere importante dare risalto all’impegno profuso da queste persone, mettendo dapprima tali opere in mostra presso la Piccola Galleria e successivamente all’asta. In questo modo anche la popolazione può essere sensibilizzata su alcuni aspetti che riguardano il mondo carcerario".

L’asta si è aperta il 1° ottobre e si concluderà domenica 15 novembre: qualora ci fossero più offerte per la medesima opera prima di assegnarla verranno ricontattati tutti gli interessati, a partire dal 16 novembre. Una delle opere è già stata venduta per 150 euro ad un privato che preferisce rimanere anonimo: questo quadro, intitolato "Gioia di vivere", è anche la copertina del catalogo realizzato per promuovere la diffusione e la conoscenza non solo delle opere ma anche dell’asta. Una copia del catalogo in formato digitale può essere scaricata anche dal sito della Caritas diocesana, all’indirizzo www.caritas.bz.it.

Per informazioni ed offerte è possibile contattare sin d’ora il Progetto Odòs, che risponde tutti i giorni (festivi inclusi) dalle 9 alle 11 e dalle 16 alle 18 al numero 0471.054080, mail odos@caritasodar.it a questi stessi recapiti è possibile chiedere un appuntamento per prendere visione delle opere.

Immigrazione: la Consulta dovrà decidere su reato clandestinità

 

Il Sole 24 Ore, 12 ottobre 2009

 

Spetterà alla Corte costituzionale scrivere una parola definitiva sulla legittimità delle norme del pacchetto sicurezza che hanno introdotto in Italia il reato di clandestinità. Il giudice di pace di Torino, infatti, accogliendo l’istanza della procura, ha chiesto alla Corte costituzionale di verificare se l’articolo 1, comma 16, della legge 15 luglio 2009 n. 94, che ha modificato il Codice penale introducendo, per la prima volta, il reato di clandestinità, sia in contrasto con gli articoli 2,3,24, comma 2,25 comma 2 e 97 comma 2 della Costituzione.

In pratica, prima di decidere se l’imputato ha commesso il reato, il giudice vuole sapere se la nuova fattispecie criminosa introdotta nel Digs n. 286/80 (articolo lo-bis), possa confliggere con l’obbligo costituzionalmente protetto di garantire i diritti inviolabili dell’uomo, con il principio di uguaglianza e il divieto di discriminazioni, con il diritto di difesa e quello di essere puniti solo in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.

L’ordinanza del giudice di pace, per il momento, sospende il procedimento in corso, ma lascia in piedi, negli altri casi, gli effetti della norma sul reato di clandestinità sino alla decisione dei giudici costituzionali. Diversi gli scenari che potrebbero prospettarsi con la pronuncia della Consulta. Prima di tutto, la Corte potrebbe accogliere in toto le eccezioni di illegittimità costituzionale e, considerando fondate le censure, dichiarare incostituzionale la norma viziata, che non avrebbe più effetto. Di conseguenza, i clandestini non andrebbero più incontro, per il solo fatto di essere entrati illegalmente sul territorio, a conseguenze penali.

Stesso risultato se i giudici costituzionali ritenessero la disposizione che ha introdotto il nuovo reato in contrasto con una sola norma della Carta costituzionale, accogliendo parzialmente il ricorso. In questo caso, però, il legislatore potrebbe intervenire nuovamente e, seguendo le indicazioni della Corte, adottare un testo legislativo rimuovendo i profili di incostituzionalità indicati dalla Consulta. Molto dipende dalla norma considerata violata.

Se il reato di clandestinità risultasse in contrasto con articoli come il 2 o il 3 ci sarebbe poco spazio per il mantenimento di questo reato. La norma potrebbe invece sopravvivere se i giudici costituzionali dichiarassero, con ordinanza, il ricorso manifestamente inammissibile o, ancora, con sentenza, la manifesta infondatezza della questione di legittimità proposta, rigettando il ricorso. In entrambi i casi, i giudici di merito dovrebbero continuare ad applicare questa nuova fattispecie criminale. A meno che, anche se sembra improbabile considerando che l’ordinanza del giudice di pace di Torino investe già numerose norme costituzionali di fondamentale importanza come quelle incentrate sul rispetto dei diritti inviolabili della persona, non siano sollevate altre questioni di costituzionalità. Non è da escludere, poi, che la Corte costituzionale adotti un’ordinanza di inammissibilità cosiddetta "vestita": in pratica, pur ritenendo inammissibile il ricorso, i giudici costituzionali potrebbero, in ogni caso, fornire alcuni criteri interpretativi, guidando gli operatori giuridici nella fase applicativa.

Immigrazione: dall'Unione Europea lo "stop" al caro-permessi

di Marina Castellaneta

 

Il Sole 24 Ore, 12 ottobre 2009

 

"Dalla Ue arriva lo stop al caro-permessi. L’Italia e gli altri partner non possono chiedere il pagamento di contributi per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno a cittadini di Paesi terzi con cui la Comunità europea ha accordi di associazione, più elevati rispetto agli importi previsti per i comunitari.

La Corte di giustizia delle Comunità europee - con la sentenza del 17 settembre 2009 (causa C-242/06, Sahin) - interviene per la prima volta sui costi amministrativi relativi al rilascio dei permessi di soggiorno per gli stranieri extracomunitari. La sentenza interpreta alcune disposizioni dell’accordo di associazione tra Comunità europea e Turchia, ma avrà effetto in molti Stati membri. Inclusa l’Italia che con il pacchetto sicurezza (legge 15 luglio 2009, n. 64) ha stabilito che il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno a stranieri sono condizionati a un contributo, ancora da determinare, compreso tra 80 e 200 euro. La pronuncia, poi, oltre a interessare direttamente i cittadini turchi (quasi tre milioni legalmente residenti sul territorio comunitario), avrà conseguenze sui cittadini di tutti gli stati terzi con i quali la Comunità ha siglato accordi di associazione, come quelli nell’aria mediterranea (per esempio la Tunisia) e accordi di partenariato (è il caso della Russia), in presenza di norme analoghe a quelle dell’accordo con la Turchia.

Il caso arrivato a Lussemburgo prende avvio da una controversia tra un cittadino turco e il ministro dell’Immigrazione dei Paesi Bassi perché, con le regole introdotte nel 2002, le autorità olandesi avevano subordinato il rilascio della proroga del permesso di soggiorno al pagamento di diritti pari a 169 euro. Poiché il richiedente non aveva provveduto al versamento, le autorità olandesi si erano rifiutate di esaminare la domanda Di qui lunghe schermaglie nelle aule giudiziarie, che hanno spinto il Consiglio di stato a chiedere l’intervento dei giudici comunitari.

La Corte di giustizia è partita dall’esame dell’accordo di associazione tra Comunità europee e Turchia (decisione n. 1/80), che ha introdotto la clausola che impedisce agli stati membri di inserire nel proprio ordinamento misure interne più restrittive, rispetto a quelle già applicabili al momento dell’entrata in vigore della decisione, per coloro che hanno la cittadinanza del paese che ha stipulato l’accordo.

È, quindi, vietato, ai partner comunitari introdurre nuove restrizioni all’esercizio della libertà di circolazione "incluse quelle riguardanti le condizioni sostanziali e/o procedurali in materia di prima ammissione nel territorio", a danno dei cittadini turchi che intendono avvalersi delle libertà economiche coperte dall’accordo. Per la Corte, quindi,le autorità nazionali possono prevedere che il rilascio di un permesso di soggiorno o la proroga della sua validità sia subordinato al pagamento di diritti, a patto però che i cittadini turchi non si trovino in una situazione più sfavorevole rispetto a quelli comunitari.

Con una diretta conseguenza sulle norme interne: vanno, infatti, abrogate le disposizioni che fissano importi sproporzionati per il rilascio del permesso di soggiorno a danno di cittadini di Paesi terzi tutelati dall’accordo di associazione. Chiara, quindi, la conclusione della Corte: la legge olandese, che stabilisce un importo di 169 euro per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno per ogni cittadino extracomunitario, inclusi quelli che hanno cittadinanza turca, mentre prevede un importo di soli 30 euro per i comunitari, è contraria al diritto Ue.

La decisione avrà conseguenze anche sulla legge italiana che non differenzia tra extracomunitari, cittadini di Paesi con i quali è stato concluso un accordo di associazione simile a quello con la Turchia e altri stranieri. Di conseguenza, il legislatore nazionale dovrà intervenire e modificare il quadro normativo, equiparando i cittadini terzi protetti da accordi di associazione ai comunitari. Non solo. In attesa dell’intervento del legislatore, il giudice nazionale, tenuto a interpretare il diritto interno alla luce di quello comunitario, dovrà disapplicare la norma interna. Tenendo conto, tra l’altro, che gran parte delle regole contenute nell’accordo di associazione sono direttamente applicabili e sènza dimenticare, poi, che la Commissione europea potrebbe decidere di avviare una procedura d’infrazione.

Iran: impiccato giovane, per un omicidio commesso a 17 anni

 

Apcom, 12 ottobre 2009

 

Un giovane di 21 anni è stato impiccato poco prima dell’alba oggi a Teheran per un omicidio commesso quando aveva 17 anni. Lo riferisce l’agenzia Fars. La notizia arriva all’indomani dell’annuncio di altre tre condanne a morte in Iran per le violenze scatenate dalla riconferma di Mahmoud Ahmadinejad alle elezioni presidenziali.

Behnud Shojai, il giovane iraniano che è stato impiccato oggi, era in carcere dall’età di 17 anni, nonostante gli appelli da parte di Amnesty International che ha chiesto gli fosse risparmiata la vita. Solo ieri in Iran altre tre persone arrestate dopo le contestate elezioni presidenziali iraniane erano state condannate a morte. Mohammad Reza Ali Zamani è il nome del primo imputato al quale è stata inflitta la pena capitale, a seguito dei disordini scatenati dalla rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Il tribunale della rivoluzione di Teheran ha condannato Zamani per appartenenza a quella che il giudice ha definito "organizzazione terroristica". Gli inquirenti hanno riferito che l’imputato ha ammesso l’accusa di spionaggio, ma i gruppi per la tutela dei diritti umani - in prima fila Amnesty International - hanno denunciato che per ottenere le cosiddette confessioni è stata praticata la tortura.

I tre imputati erano stati riconosciuti colpevoli anche di legami con organizzazioni interdette in Iran. "M.Z. e A.P. sono stati condannati per i loro legami con l’associazione della monarchia dell’Iran e N.A per i suoi legami con Monafeghin", ha detto Rad alludendo ai Mujaheddin del popolo, un gruppo di opposizione iraniano in esilio. La rielezione di Ahmadinejad, lo scorso 12 giugno, scatenò massicce proteste di piazza per denunciare brogli - i cartelli Where is my vote? (Dov’è il mio voto?) ne sono diventati il simbolo - e migliaia di persone sono state arrestate. L’opposizione ha parlato di almeno sessantanove vittime durante la repressione, compresi alcuni manifestanti morti per le torture in carcere. La maggior parte dei detenuti è stata scarcerata, ma oltre cento figure di spicco dell’opposizione sono al momento sotto processo con l’accusa di aver organizzato l’uso delle proteste anti-elettorali per destituire la leadership clericale iraniana.

Brasile: caso Battisti, parla il ministro brasiliano Tarso Genro

di Paolo Persichetti

 

Liberazione, 12 ottobre 2009

 

Quando nel gennaio scorso il ministro della Giustizia brasiliana, Tarso Genro, concesse l’asilo politico a Cesare Battisti, una reazione carica di astio coprì la sua decisione. Dai vertici istituzionali, sui media, dalla magistratura, senza mai veramente contro-argomentare vennero risposte spesso fuori dalle righe. Addirittura nel corso di una cerimonia, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, rivolto ai carabinieri, disse: "se ci potesse essere un gruppetto che vuole andare in Brasile…". Oggi, per la prima volta, il guardasigilli brasiliano si spiega su un quotidiano italiano. Lo fa estesamente e con molta pacatezza. Evita le riposte polemiche. Tempo fa, Armando Spataro, il pm milanese che condusse l’inchiesta contro i Pac, noto per essere uno dei cuori di pietra dell’emergenza, domandò a i giudici brasiliani di "decidere col cuore". In Brasile, a leggere questa intervista, pare che continuino a preferire il Diritto, la Filosofia, la Storia.

 

Quali sono le fonti giuridiche della sua decisione di concedere l’asilo a Cesare Battisti?

Il Brasile ha sottoscritto la convenzione sullo Statuto dei rifugiati del 1951 e il Protocollo del 1967, che amplia la possibilità di riconoscimento dello status di rifugiato anche per fatti diversi da quelli accaduti fino al 1951, e legati alla seconda guerra mondiale. Nella legislazione brasiliana, la mia decisione trova sostegno nella Legge 9.474 del 1997, che disciplina il riconoscimento della condizione di rifugiato. Questa legge riconosce l’asilo ad ogni persona che, a causa di fondati timori di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, gruppo sociale od opinioni politiche, si trovi fuori dal suo paese di origine e non possa o non voglia avvalersi della protezione di tale paese. Sempre secondo questa legge, il ministro della Giustizia è l’istanza di ricorso nella concessioni dell’asilo e la sua decisione è inappellabile. Inoltre, considerando che la carta delle Nazioni unite e la Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo affermano il principio secondo il quale gli esseri umani senza distinzione alcuna debbano godere dei diritti e delle libertà fondamentali, e che gli stessi principi sono riconosciuti dalla Costituzione brasiliana, ritengo che la mia decisione sia ampiamente fondata.

 

Nel testo in cui lei concede l’asilo politico cita importanti autori nel campo della filosofia politica e del diritto costituzionale, come Norberto Bobbio, Carl Schmitt, Jurgen Habermas, il sociologo Laurent Mucchielli. Si dilunga con un’analisi molto dettagliata sulla particolare natura dello stato d’eccezione che è venuto a crearsi. Una disamina che assomiglia, per taluni aspetti, alle analisi condotte dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga nel 1991, quando avviò la procedura di grazia (poi bloccata) a Renato Curcio, uno dei fondatori delle Brigate rosse. Gran parte delle obiezioni che si sono levate contro le sue argomentazioni riguardano i passaggi sui "poteri occulti", citazione di Norberto Bobbio. I suoi argomenti, tutt’altro che grossolani e affrettati, sono stati stravolti fino ad accusarla di aver definito l’Italia degli anni 70 una dittatura fascista. Può spiegare meglio cosa intendeva?

Non ho mai definito l’Italia degli anni 70 un regime dittatoriale o fascista. I fatti da me richiamati sono pubblici e ampiamente argomentati dagli autori sopracitati. Ho sostenuto invece la legittimità della reazione dello Stato di diritto italiano di fronte ad una situazione storica di rivolta sociale. Quella reazione venne portata avanti applicando le norme giuridiche in vigore all’epoca. Tuttavia è impossibile negare che avvenne anche ricorrendo alla creazione di un regime di eccezioni che ha ridotto le prerogative di difesa degli accusati di sovversione o di azioni violente. L’introduzione del "pentitismo remunerato" è un esempio di queste eccezioni restrittive del diritto di difesa, e, nel caso in questione, fu la base principale della condanna di Cesare Battisti. Inoltre è notorio che i meccanismi di funzionamento dell’eccezione operarono, a quell’epoca, anche fuori dalle regole della stessa eccezionalità prevista dalla legge. Circostanza che suscitò ripercussioni in diversi paesi, anche fuori dall’Europa, che per questo concessero asilo politico ad attivisti italiani, e che spinse organismi internazionali che si occupano dei diritti umani, come Amnesty International e il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti, a elaborare dei rapporti su quanto accadeva.

 

La decisione del presidente Lula di nominare il giurista José Antonio Dias Toffoli nuovo giudice del Supremo Tribunal Federal al posto di Carlos Alberto Menezes Direito, deceduto il primo settembre, ha suscitato polemiche perché considerato vicino al Pt (partito del presidente ndr). Secondo i critici, questa nomina modificherebbe gli equilibri interni al tribunale a ridosso di un voto controverso, come quello sul caso Battisti. È vero?

L’indicazione di un nome per ricoprire l’incarico nel Stf suscita sempre polemiche. È impossibile che un nome sia gradito a tutti i settori politici. È però una prerogativa attribuita dalla Costituzione al Presidente della Repubblica. Lo stesso presidente del Stf, Gilmar Mendes, ha dichiarato che Toffoli è una persona "qualificata" per divenire componente della Corte, e che ha "un buon dialogo all’interno del tribunale". L’indicazione attuale non provocherà cambiamenti significativi nell’equilibrio interno della corte. Il Presidente Lula ha già designato in passato 8 ministri del Tribunale, il che non significa che ciò gli permetta una qualsiasi ingerenza nel lavoro del Stf. Perché mai la designazione di Toffoli dovrebbe avere conseguenze diverse dalle precedenti? Anche Menezes Direito era stato designato dal Presidente Lula, eppure allora nessuno sollevava critiche.

 

La stampa di destra, riprendendo un’opinione del presidente del Tribunale Gilmar Mendes, ha sostenuto che Toffoli difficilmente potrà votare sul caso Battisti perché non ha assistito fin dall’inizio alla discussione. Cosa dice la legge in proposito?

Fino alla nomina al Stf Toffoli ha esercitato il ruolo di avvocato generale dell’Unione. Vi potrà essere un impedimento a votare solo sull’eccezione di incostituzionalità, poiché l’Avvocatura generale si è espressa in proposito. Ma nel processo di estradizione non esiste nessun ostacolo alla sua partecipazione.

 

In caso di parità tra i voti dei Ministri all’interno del Tsf, cosa succede?

Sarà il presidente della corte ad esprimere il voto decisivo.

 

Secondo il presidente del Tsf, Gilmar Mendes, è il Tribunale e non l’Esecutivo che deve dire l’ultima parola sulla procedura di estradizione. A suo avviso è corretta questa interpretazione? È in corso un conflitto istituzionale?

In concreto, l’estradizione rappresenta la proiezione del diritto di punire di uno Stato sul territorio di un altro Stato. Proprio per questo suo costituire un atto di disposizione sulla propria sovranità, si tratta di un fatto politico, e dunque di competenza del capo del potere esecutivo, che è il legittimo rappresentante del paese negli affari internazionali. Ciò non è una novità nel Diritto: né di quello brasiliano, né di quello straniero. Anche l’Italia possiede un sistema simile. Il procedimento esaminato dal Tsf è diviso in due fa si distinte. Una giudiziaria, dove il Tribunale funziona come garante dei diritti individuali della persona richiesta per l’estradizione, e verifica la possibilità giuridica di mandare avanti la procedura di estradizione. È una fase di autorizzazione, in cui la decisione è senza dubbio di competenza del tribunale. La decisione finale, invece, è di competenza dell’autorità amministrativa. Conseguenza del potere politico conferito dal voto al suo rappresentante, eletto anche per rappresentare il paese nelle sue relazioni esterne.

Il procuratore generale Antonio Fernando De Souza, che pure nell’aprile 2008 si era detto favorevole all’estradizione di Battisti, a patto che l’Italia commutasse la pena dell’ergastolo a 30 anni, aveva riconosciuto che la concessione dell’asilo estingueva la procedura d’estradizione. Il presidente del Tsf, Gilmar Mendes, ha ritenuto il contrario. Esiste una diversità di vedute anche all’interno del mondo giudiziario?

Nel mondo giuridico ci saranno sempre divergenze interpretative. Tuttavia la posizione del Procuratore generale non è una interpretazione isolata. Corrisponde al giudizio dei più capaci giuristi del nostro paese e fa parte della tradizione giuridica del nostro paese. Ciò che sorprende, in questo caso, è l’incompatibilità tra questa decisione e la giurisprudenza precedente del Stf. Ad esempio, nel caso Medina (esponente delle Farc), dove la richiesta di estradizione da parte del governo colombiano venne estinta dalla concessione dell’asilo.

 

Se, come ha detto il relatore Cesar Peluso nella sua requisitoria, la legge del 1997, che attribuisce al potere politico il compito di concedere l’asilo politico, è corretta, perché la corte pretende di sindacare nel merito della singola concessione?

La verifica di merito da parte di un altro potere costituisce senz’altro un danno al regime costituzionale della separazione dei poteri.

 

In Brasile, la vicenda Battisti non corre il rischio di favorire un’offensiva del potere giudiziario contro quello politico-elettivo? In Italia, la supplenza giudiziaria concessa dal potere politico alla magistratura sul finire degli anni 70, per combattere la sovversione politica della sinistra armata, si è poi trasformata in una "interferenza" teorizzata dagli stessi giudici, auto investitisi "nuovo soggetto" politico negli anni 90, fino a paventare scenari di "democrazia giudiziaria", di "repubblica penale", per dirla con Antoine Garapon. C’è il rischio che in Brasile si arrivi ad uno scenario simile?

La Costituzione del 1988 garantisce un ampio ricorso al potere giudiziario. La giudiziarizzazione è un fenomeno interessante perché promuove un ampio dibattito pubblico su te mi importanti. Ovviamente c’è sempre il rischio di cadere in una giudiziarizzazione della politica, cosa che non sarebbe salutare. Però non credo che questo processo sia in corso. Il Brasile è una democrazia recente, e ancora in fase di maturazione, ma avanziamo rapidamente nel consolidamento delle nostre istituzioni.

Iraq: l'esercito avrebbe ostacolato indagini su abusi ai detenuti

 

Apcom, 12 ottobre 2009

 

Numerosi ufficiali britannici in Iraq si sarebbero rifiutati di autorizzare indagini su presunti maltrattamenti ai prigionieri iracheni: lo ha affermato un ex funzionario della polizia militare, le cui dichiarazioni sono state riportate dal quotidiano britannico The Times. Secondo quanto asserito dal funzionario molti casi anche gravissimi sono stati fatti passare sotto silenzio, privilegiando gli interessi delle forze armate a quelli della giustizia: "L’intero sistema della giustizia militare è a pezzi, ci sono centinaia di casi su cui non si è mai indagato o si è indagato in modo molto superficiale". Le forze armate sono già in imbarazzo per le rivelazioni emerse durante la pubblica inchiesta sulla morte di Baha Musa, civile iracheno morto durante la detenzione nel settembre del 2003: la scorsa settimana un militare del reggimento che aveva catturato Musa aveva dichiarato che incappucciare i prigionieri era una pratica standard nonostante fosse stata proibita dai regolamenti fin dal 1972.

 

 

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